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Aesthetica Preprint

Supplementa

Jean-Baptiste Du Bos
e lestetica dello spettatore
a cura di Luigi Russo

Centro Internazionale Studi di Estetica

Aesthetica Preprint

Supplementa
la collana pubblicata dal Centro Internazionale Studi di Estetica ad integrazione del periodico Aesthetica Preprint . Viene inviata agli studiosi impegnati nelle problematiche estetiche, ai repertori bibliografici, alle maggiori biblioteche e istituzioni di cultura umanistica italiane e straniere.

Il Centro Internazionale Studi di Estetica


un Istituto di Alta Cultura costituito nel novembre del 1980 per iniziativa di un gruppo di studiosi di Estetica. Con D.P.R. del 7 gennaio 1990
stato riconosciuto Ente Morale. Attivo nei campi della ricerca scientifica e della promozione culturale, organizza regolarmente Convegni, Seminari, Giornate di Studio, Incontri, Tavole rotonde, Conferenze; cura
la collana editoriale Aesthetica e pubblica il periodico Aesthetica
Preprint con i suoi Supplementa. Ha sede presso lUniversit degli Studi
di Palermo ed presieduto fin dalla sua fondazione da Luigi Russo.

Aesthetica Preprint

Supplementa

15
Dicembre 2005

Centro Internazionale Studi di Estetica

Jean-Baptiste Du Bos
e lestetica dello spettatore
a cura di Luigi Russo

Il presente volume raccoglie i testi presentati e discussi nellomonimo Seminario promosso dal Centro Internazionale Studi di Estetica in collaborazione con lUniversit degli Studi di Palermo (Palermo, 21-22 ottobre 2005), in occasione della pubblicazione
delledizione italiana delle Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura di Jean-Baptiste
Du Bos e nella ricorrenza del venticinquesimo anniversario di fondazione dellIstituto.

Il presente volume viene pubblicato col contributo del MURST (fondi di ricerca scientifica PRIN 2003, coordinatore scientifico prof. Luigi Russo) Universit degli Studi di Palermo, Dipartimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi (FIERI), Sezione di Estetica.

Indice

Dialogo dei morti: Antichi e Moderni,


di Elio Franzini
Du Bos e la lezione degli Antichi,
di Giovanni Lombardo
Du Bos e le arti visive degli Antichi e dei Moderni,
di Giuseppe Pucci
Du Bos fra retorica e antropologia:
Huarte de San Juan e Franois Lamy,
di Savatore Tedesco
Larte e i suoi limiti:
le fonti inglesi nelle Riflessioni critiche di Du Bos ,
di Andrea Gatti
Du Bos e la musica,
di Enrico Fubini
Du Bos e la recitazione teatrale,
di Claudio Vicentini
Du Bos e la maschera risonante,
di Carlo Serra
Du Bos e la teoria climatica,
di Maddalena Mazzocut-Mis
Let della Reggenza e lestetica di Du Bos,
di Franco Fanizza
Du Bos e lestetica francese del Settecento,
di Fernando Bollino
Du Bos e lestetica inglese del Settecento,
di Giuseppe Sertoli
La fortuna di Du Bos nel Settecento tedesco,
di Lorenzo Lattanzi
La fortuna di Du Bos nellItalia del Settecento,
di Paolo DAngelo

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Du Bos e la critica del sentire,


di Giovanni Matteucci
Du Bos e lo sguardo spettatoriale,
di Roberto Diodato
Du Bos, lempatia e i neuroni-specchio,
di Andrea Pinotti
Il caso Du Bos e il paradigma dellestetica,
di Luigi Russo

183
193
203
213

Dialogo dei morti: Antichi e Moderni


di Elio Franzini

significativo, e per certi versi inquietante, che nel medesimo anno due eventi editoriali riaprano un problema che sembrava chiuso
allinterno di una cerchia specialistica, attribuendogli significati, in modo diretto o implicito, che senza dubbio escono dai confini storici della questione. Si allude, in primo luogo, alla traduzione italiana delle
Riflessioni di Du Bos: opera talmente immensa, di non facile reperibilit neppure in lingua originale, e mai davvero sottoposta a una edizione pur essendo stata, nel Settecento, tra i lavori di teoria dellarte pi letti, tradotti e apprezzati. Opera, si aggiunge, mai davvero dimenticata anche quando i dibattiti in essa contenuti avevano perso,
tra Ottocento e Novecento, la loro stringente attualit. Il fatto che ora
questo monumentale lavoro sia tradotto, pur essendo il segno di numerosi eroismi individuali e imprenditoriali, non un elemento casuale (esattamente, per rimanere allinterno del programma scientifico
di Aesthetica Edizioni, non lo era stato la traduzione degli atti di Nicea II), e indica piuttosto la necessit di rispondere (almeno) a un duplice interrogativo, che si riferisce senzaltro alla nascita problematica
dellestetica moderna, di cui le Riflessioni dubosiane sono una vera e
propria enciclopedia, che potrebbe venire esplorata per anni senza
esaurirne la ricchezza, ma che conduce anche sul tema della Querelle. Forse questo tema non soltanto un orizzonte poetico o retorico,
una questione marginale di una corte assai battagliera (quella di Luigi XIV) e di un successivo periodo di Reggenza in cui le lotte di potere
si mascheravano in infiniti modi diversi, bens qualcosa che parla al
di fuori dellepoca storica in cui nata, e che parla perch si riferisce
al destino della nostra stessa identit (che sempre un problema di
sensibilit e sentimento, prima ancora che di ragione: dunque un
problema che non ha con lestetica un incontro occasionale, ma costitutivo della nostra stessa esteticit).
Ci si riferisce, allora, al secondo evento, cio la traduzione (arricchita di nuovi scritti, il che la rende, anche in questo caso, qualcosa di
nuovo) del testo di Marc Fumaroli Le api e i ragni. La disputa degli
Antichi e dei Moderni (Adelphi 2005): lavoro straordinario di storia
delle idee, indiscutibile nelle sue metodologie di ricerca e nella lucidit
7

magistrale delle conclusioni, ma che, appunto, e non solo nei risvolti


di copertina, ha proprio la volont di far assumere alla Querelle un
valore paradigmatico, che ne trascende i limiti storici. Du Bos pu cos
essere utile per capire come gli orizzonti della Querelle siano senza
dubbio pi ampi di quelli della sua storia peraltro gi piuttosto lunga
ma non facilmente attualizzabili al di fuori dei campi, la teoria delle arti, lestetica, le poetiche e le retoriche, le teorie letterarie in cui essa
sorta e si sviluppata tra Seicento e Settecento. Ci significa non
solo che Du Bos un importante spartiacque allinterno della Querelle
medesima e si cercher di dimostrarlo ma che segna anche dei percorsi storici non facilmente ideologizzabili, che aprono a una cultura
che non antica o moderna secondo i parametri della Querelle,
ma moderna nella direzione del nostro vissuto, affrontando cio
quel problema delle differenze che il nodo di una cultura che non
pu pi presentarsi come unitaria.
Senza dubbio ciascuno di noi, a piacere, potrebbe trovare per la
Querelle un proprio inizio. Al di l dei nomi, sui quali potrebbero
innestarsi altre dispute, ciascuna di grande interesse, la convinzione di
fondo di Fumaroli, ribadita sotto vari angoli prospettici, molto unitaria: Lape degli Antichi riconosce e presuppone nella sua attivit il
fatto che il linguaggio sia preesistente al poeta, e che linvenzione poetica non sia una creazione, ma un ritrovare, che ha per merito principale il rinnovo dei luoghi di uneterna dimora comune. Il moderno,
invece, un ragno che crede di dover tutto al proprio patrimonio, e
si affida alloggettivit del caso e a una mano invisibile affinch la
sua creazione autofaga incontri la simpatia o le affinit di unaltra
isola, nellarcipelago culturale degli individui beckettiani, senza memoria n dimore condivise 1. Gi questa citazione fa apparire lAntico
come rispettoso della storia della cultura e del sapere e quindi di
unidea di organicit naturale della conoscenza contrapposto a un
Moderno schiavo di una societ atomizzata, privo di quella buona retorica in grado di creare validi nessi argomentativi tra il passato e il
presente.
Essendo questa la posizione teorica di partenza, ed essendo una
posizione di straordinaria categoricit, non difficile dimostrarla sul
piano degli eventi storici e dei loro protagonisti. I Moderni, infatti, nel
Regno di Luigi XIV, non erano api facilmente difendibili. Jean Desmarets de Saint-Sorlin, gran cortigiano di Richelieu e, per cos dire, Giovanni Battista di Perrault, non personaggio che brilli per lucidit e
valore. Nelle sue opere modeste e servili, partigiano di un moderno
che si identifica con lo Stato e con il suo reggitore, inteso come un
Evento nella storia che ne permette il ricominciamento assoluto, e che
dunque non solo non vuole avere legami con il passato, ma che non
ne accetta neppure la possibilit di paragone. Sia pure con un sovra8

no diverso Luigi XIV e non Richelieu Charles Perrault, cio colui


che avvi in modo esplicito la Querelle, si pone sulla medesima strada: per questi interpreti dellonnipotenza amministrativa ci che si
addice allo Stato monarchico costituisce il principio della religione, dei
costumi, delle lettere e delle arti del regno. Ai loro occhi niente pu
avere senso ed essere di buon gusto se non emana da quel centro contemporaneo e non rimanda a quel vertice contemporaneo 2.
facile contrapporre a questo strano neoplatonismo della ragion
di Stato, operato peraltro da poeti modesti e maldestri, la saggezza,
e le virt poetiche, dei loro avversari contemporanei Racine e Boileau.
Questultimo non vuole isolare il sovrano in un astratto assoluto,
bens vedere in lui un uomo e una funzione anteriori e superiori allo
stato moderno: guarda a lui come alla sola autorit capace di riconciliare tradizione letteraria e assolutismo 3. Boileau vince alla corte del Gran Re, e la sua la vittoria della concezione umanistica e liberale della letteratura, contro una concezione moderna che minacciava di imporsi automaticamente a tutti in regime assolutista 4, ma
perde in un contesto storico pi ampio, l dove la letteratura, la societ stessa abbandonano la loro memoria e distruggono lautonomia della letteratura. Infatti, per Boileau, le lettere devono prendere come
modello la bellezza e la verit morale degli antichi capolavori, e non
annullarsi nella contingenza di un banale servilismo.
Essere moderni, dunque, per Perrault, significa non soltanto non
essere classici (anche se questa componente ben presente, al di l
delle finalit socio-politiche della Querelle), ma soprattutto ritenere che
la letteratura abbia un progresso che coincide con il presente, quando
cio alcune situazioni e circostanze sono giunte a maturazione e compimento. Appunto, Perrault non si pone, come sar invece in una seconda fase della Querelle, il problema del classico e della sua modernit, ma quello del ruolo dellarte e della letteratura nel presente. Per
parte sua, invece, Boileau intende creare una continuit tra il passato
e il presente: solo attraverso lesercizio letterario della memoria possibile legittimare il presente e la sua arte, togliendoli da unincerta casualit e da una banale contingenza. In questo senso, anche se forse il
suo elogio della ragione non cartesiano, si pu dire che se il classicismo ci che costruisce una diacronia letteraria, la garanzia di tale
continuit assiologica sono proprio le regole. Classico allora, per Boileau, un oggettivismo delle regole che lo conduce ad apprezzare il regolismo del moderno Cartesio: le opere degli antichi, e in primo luogo quelle letterarie e architettoniche, sono il modello di uneterna razionalit dello stile. Da qui, peraltro, la sua esigenza di tradurre il
trattato sul sublime dello Pseudo Longino, considerato il modello, secondo unespressione di Fumaroli, di una riuscita letteraria superiore
e durevole 5. La definizione che Boileau offre del sublime quindi il
9

sigillo di ci che per lui il classico e lantico: il segno infallibile del


sublime si coglie quando sentiamo che un discorso ci fa riflettere molto, avendo su di noi un effetto al quale difficile, se non impossibile,
resistere; e, in seguito, perdura il ricordo, il quale non si cancella se
non a fatica 6. Questa frase tradotta da Boileau deve far riflettere,
anche in relazione a Du Bos: il sublime il simbolo dellantico perch
, al tempo stesso, riflessione, sensibilit e memoria, cio raccoglie in
s le principali facolt conoscitive delluomo.
Paradossalmente, tuttavia, e proprio su un terreno razionale,
dopo liniziale e violentissimo contrasto, la posizione di Boileau sembra trovare analogie con quella del nemico Perrault: in definitiva entrambi vogliono scorgere nella regola artistica quella forza soggettiva
capace di controllare le passioni, riconducendole a una dimensione
oggettiva e formale. La differenza, rilevante, certo, ma non ontologica,
si pone piuttosto nel considerare queste regole eterne o contingenti:
ma per entrambi larte fondata sulla supremazia della regola rispetto alla fantasia. Ed forse significativo osservare che il potere accademico pass dal classicismo di Boileau al modernismo di Perrault in
modo piuttosto indolore. Arriviamo quindi alla prima conclusione: pur
con tutte le ermeneutiche possibili e immaginabili, e i suoi indubitabili
retaggi storici, con le catene ideologiche che si trascinano, la Querelle stata un fondamentale episodio per definire gli orizzonti critici,
retorici e poetologici di unepoca; ma i suoi confini sono ristretti e, sul
piano teorico, ben pi interessanti sono gli esiti estrinseci rispetto
alla specifica storia delle idee, che pu essere sino in fondo compresa
solo nella contingenza del periodo, senza che ogni suo tratto assuma
palingenetici valori epocali. In questo senso dire che hanno vinto gli
Antichi o i Moderni del tutto privo di senso: nellepoca di Luigi il
Grande hanno vinto un po gli uni e un po gli altri (sia perch Luigi aveva altro cui pensare sia perch il divide et impera era certo da
lui ben conosciuto), nel grande tribunale della storia e della cultura la
domanda, come tutte le domande del genere, del tutto priva di senso. Quando vi una disputa, sia essa quella tra iconoclasti e iconofili, tra Antichi e Moderni, tra Moderni e Postmoderni e via dicendo,
non vince nessuno perch nessuno sa, per la verit, quale sia la posta
in gioco, al di l di quella immediata, di cui si perde quasi subito
memoria.
Ma, invece, sono da ben valutare le conseguenze, in cui vincitori
non sono mai coloro che si fanno portatori di posizioni estreme e assolute, bens quelli che cercano una mediazione intelligente e dialogica. Non si con ci vittime della dialetticit del pensiero occidentale, ma si cerca soltanto di trarre indicazioni da quel che effettivamente accaduto, comprendendone il valore simbolico: e, appunto, non
si pu non notare il fatto che quasi immediatamente, come gi accen10

nato, Perrault e Boileau si resero conto che lassolutizzazione del conflitto giovava soltanto a chi sapeva trarre da esso posizioni nuove, totalmente estranee ai giochi di corte. Queste posizioni nuove escono
dalla Querelle, le sono senza dubbio debitrici, ma non sono riducibili
ad essa, alle sue estremizzazioni e ai suoi contesti politici e letterari.
significativo, allora, che tali vincitori (nellambito della storia
del pensiero, che lunico che qui conta) sono, sul piano tecnico,
sia di un partito sia dellaltro. In primo luogo, sin dal 1677 Bernard Le
Bovier de Fontenelle scrive una Digression sur les Anciens et les Modernes dove imposta il problema in modo ben diverso dallamico Moderno Perrault e dallavversario Boileau. Egli infatti sostiene che la
natura ha plasmato uguali gli ingegni degli antichi e dei moderni e che
dunque impossibile distinguere il moderno e il classico in base a riferimenti alla natura. Le differenze sono quindi di carattere culturale
e storico. Ecco, allora, la prima definizione compiuta della modernit
del classico: se si considera larte sul piano della complessit storica
evidente che anche per le arti possibile parlare di progresso, e di
differenze con il classico. Ma se si guarda invece al lato soggettivo delle arti, alla loro capacit di suscitare sentimenti naturali, ovvio che
caratteristica del classico, in ogni epoca, manifestare un senso di continuit, che non bastano nuove regole ad abbattere o mettere in discussione. Il classico segna cos la continuit della capacit artisticoprogettuale da parte delluomo. su queste basi fontenelliane che si
muover gran parte del Settecento, e non solo in Francia (e anche lo
stesso Du Bos): loggettivit del bello e dellarte ha bisogno di leggi
progressive (cio moderne) che per siano in grado di suscitare sentimenti formali, cio storicamente connessi alla percezione della classicit. O ancora: il gusto in quanto capacit di giudicare il bello pu
progredire e rivestirsi di contenuti moderni, ma la sua base pur sempre una sorta di regolistica naturalit dellarte, offerta dalla classicit.
Fontenelle, che fu segretario dellAccademia delle Scienze dal 1697
al 1740, e divulgatore di molte teorie scientifica di attualit filosofica,
ritiene infatti che la poesia nasca per fissare nella memoria le leggi profonde delle cose, e abbia dunque una ben precisa funzione epistemologica. Inoltre, nei Dialoghi dei morti (che riprendono nel titolo, e non
per caso, il classico Luciano) Fontenelle dimostra, rifiutando ogni
ideologia scientista o umanistica, che Montaigne e Socrate possono e
debbono dialogare: e dialogano perch entrambi conoscono gli strumenti di unarte del pensiero che il vero patrimonio dellumanit, al
di l delle dispute e delle astratte categorizzazioni. In questo dialogo,
pur esaltando il processo scientifico, si consapevoli, con un motivo
che tipico degli antichi, e che si ritrover in Du Bos, che la natura
umana sempre uguale e anche se ci sono secoli rozzi e secoli raffinati, non ci sono secoli pi virtuosi e secoli pi malvagi 7. Secondo
11

unaffermazione molto nota, che anche Du Bos avrebbe sottoscritto,


Fontenelle afferma che se gli abiti mutano, non cambia tuttavia la
figura dei corpi: il cuore non cambia, e tutto luomo nel cuore 8.
Se in Fontenelle svanisce lultima ambizione che restava alla letteratura, quella di conoscere la verit umana di ogni tempo e di farla conoscere attraverso la bellezza 9, ci pu forse anche significare lingenuit e la banalit di tale ambizione, sconfitta dalla volont di guardare
il senso dellartistico nella complessit dei suoi strati, senza far ricorso a maiuscole e nomi generali, soppiantata dallesigenza di fare uscire
la Querelle medesima dalle pastoie di una letterariet accademica per
condurla sul piano del metodo e della critica, allinterno del quale si
pone il ruolo della scienza e dei suoi valori conoscitivi. giusto chiedersi una domanda retorica dalla facile risposta se fu il carattere
sconcertante e anche vagamente inquietante di questo nuovo interlocutore della disputa a far riflettere sia Boileau che Perrault 10, conducendoli a una pace forzata. Ed doveroso anche domandarsi, sulla medesima scia, se non sia figlia di Fontenelle anche la seconda fase della Querelle e, in essa, la posizione di Du Bos.
noto che tale seconda fase prende avvio intorno al problema
omerico, coinvolgendo un discepolo di Fontenelle, Houdar de la Motte e la brillante grecista Madame Dacier. La fase omerica , come dire,
molto fontanelliana, nel senso che non si ritrovano pi le posizioni
estreme del secolo precedente, anche perch Luigi era morto, e mancavano precisi interlocutori a corte: tuttavia, forse anche in ci figlia di
Fontenelle, mette in rilievo ed un problema in parte nuovo il
ruolo della critica, ovvero della ricezione dei classici. Segno, e non di
poco conto, che stavano davvero mutando gli interlocutori sociali dellarte: non pi i cortigiani, ma un pubblico borghese e pagante, che
vuole partecipare a ci che piace, sapendo che il sapere ha un prezzo.
significativo, anche se veleggiando alto si tende a non far notare quel
che capita nel mondo, che la parola gusto, quasi assente in Boileau
e Perrault, divenga ora protagonista, forse perch segna la nascita di un
nuovo soggetto di giudizio 11. Ed questo nuovo soggetto, cartesianamente in grado di giudicare in modo autonomo, che potr dare
origine allestetica (anche l dove rigetta Cartesio): perch si discute e
si dialoga quando il piacere non prono allassoluto parere del principe, ma il risultato di un confronto, di uno scontro, di un dialogo (per
cui, appunto, gli esiti della Querelle sono Moderni, cio figli di Cartesio. Ma vedono venire in luce un concetto Antico, cio il potere della
sensibilit).
Lopera di Du Bos, che Fumaroli definisce la prima estetica generale che sia stata scritta dopo lInstitutio oratoria di Quintiliano 12,
ha sicuramente in s tutte le eredit della Querelle: ma sono eredit
che vengono trasfigurate nel momento stesso in cui sono accolte, e
12

forse proprio perch Du Bos scrive unestetica che affronta il problema essenziale del giudizio, ovvero del rapporto tra sensibilit e critica. Il classico, come si sa, non qui connesso alla dimensione astratta
della regola, bens si definisce, in primo luogo, grazie a una sorta di
sensualismo empirista: le opere degli antichi sono superiori a quelle dei
moderni in virt del piacere metastorico che suscitano, cio perch
anche oggi generano sentimenti, dimostrando in questo modo che non
esiste progresso nella determinazione dei valori spirituali e, di conseguenza, che la durata di alcune regole naturale e fondata sul loro
valore estetico-espressivo. Ma, di contro a queste posizioni antiche,
come in Fontenelle, vi in Du Bos una prospettiva del tutto diversa:
il classico pu diventare moderno perch egli individua la sua autentica modernit non in nuove regole che devono soppiantare le vecchie, ma nelle costanti estetico-sensibili-sentimentali che accompagnano
lautentica classicit. Classicit che non dunque mera applicazione di
un apparato regolistico statico, ma la manifestazione della capacit dellarte di suscitare emozioni attraverso regole. Con ci si individua per
larte un ben preciso orizzonte conoscitivo, che coincide con quello
della qualit: ed stato questo ordine di conoscenza che i moderni,
con leccezione di Fontenelle, non sono stati in grado di afferrare, tanto meno di trasferire al mondo delle cosiddette belle arti. La modernit del classico non si pone quindi nel cogliere il progresso delle
arti, bens nel comprendere che larte sempre attuale (cio, propriamente, sempre moderna) se, e solo se, sa afferrare quella stessa
emozionalit che caratterizza larte antica, se sa cio trovare una via di
mezzo, una mediazione tra regola ed emozione, tra ragione e passione.
Larte tanto pi moderna e attuale quanto pi classica, cio
quanto pi in grado di instaurare un rapporto, empatico e intellettuale, tra lopera e il suo fruitore. In questo senso, pur appartenendo
senza dubbio Du Bos a un Settecento che ancora non conosce i Lumi,
e pur essendo figlio degli Antichi, le sue parole aprono la strada a una
visione critica dellarte, priva cio di mitizzazioni astratte e di pregiudizi. Aprono la strada a Burke ben pi di Boileau e, soprattutto, per
quel che scrive sulle arti figurative, alle passeggiate dei Salons di
Diderot e a una nuova disputa sul moderno e il classico che soppianta,
e per valore teorico fa scordare, quella secentesca.
Du Bos, anche attraverso la mediazione di Diderot, insegna infatti a Winckelmann e Lessing che larte classica non un modello statico, bens unimmagine originaria, un Urbild: ma non per questo vi
alcuna utopica nostalgia, bens soltanto la convinzione che, anche nella
modernit, larte deve mirare a unespressivit serena, educatrice,
capace di controllare il mondo del disordine e della passione non annullandoli, bens esaltando la sensibilit corporea allinterno di unessenziale idea di forma. Ma perch ci accadesse, perch lidea del clas13

sico continuasse a vivere nella modernit, era necessario mettere definitivamente da parte il modello classicistico. Crisi paradigmatica che
prende avvio dalla Querelle, ma che sono un Antico e un Moderno
insieme Du Bos e Fontenelle a lasciare in eredit al neoclassicismo
tedesco, e a Lessing in prima istanza. Perch, in lui, la critica dubosiana allut pictura poesis oraziano, caposaldo del classicismo secentesco,
precisa consapevolezza, non pi mediata da strumenti che provengono dalla pur nobile tradizione della retorica, che il classico pu nella
modernit imporsi soltanto attraverso la consapevolezza della differenza tra le arti, differenze espressive che vengono determinate in base al
loro diverso rapporto estetico-sensibile con lo spazio e il tempo. Classica dunque quellarte che sa usare in una direzione espressiva le
possibilit estetico-sensibili che la sua materia le offre.
Du Bos si era fermato un passo prima: ma un passo che disegna
scenari ignoti alla Querelle, cio sottolineando che le differenze tra le
arti non sono riducibili allantico e al moderno, bens ai segni che le
caratterizzano e alle emozioni che suscitano.
Avere sottolineato questa espressione segnala che il nucleo del pensiero di Du Bos, quel che eredita e che lascia in eredit, proprio un
dialogo tra antichi e moderni che vede nelle regole semiotiche e nella loro capacit di generare sentimenti artificiali il nucleo di unestetica ignota ai morti antichi e moderni, e che tuttavia pu essere resa
vivente facendoli dialogare. Si riconosce come mal posta la domanda
se sia pi importante il contenuto espressivo o la regola formale, il
sentimento o la ragione e limitazione viene interpretata come una
motivazione che si stabilisce fra le due facce del segno, significante e
significato. A questo modo la problematica estetica sinscrive esplicitamente nel quadro di una semiotica 13. Quando Du Bos elabora la
propria teoria della differenza tra i segni artificiali della poesia e i segni naturali della pittura, inaugurando una prospettiva che Lessing,
con ben altra consapevolezza simbolica, porta sino alla contemporaneit, che solo in quanto cos posta pu essere dalla contemporaneit
scardinata, le sue fonti sono infatti, al tempo stesso, antiche e moderne: Platone, Agostino, Port Royal, Pascal, Arnauld e Nicole sono
tutti quanti presenti in un contesto nuovo.
E ci accade ed il secondo punto essenziale perch questi
segni devono essere giudicati. Fontenelle e Du Bos, che non sono cortigiani, aprono il problema della critica, che poi lautentico risultato
della Querelle tramandato ai Lumi. Ma Lumi che non sono un blocco che avanza inesorabile in un sola direzione, bens un crogiolo di
idee che hanno amplificato, esteso, drammatizzato con ogni sorta di
nuovi sviluppi e di intersezioni impreviste, e su scala europea le due
dispute che la costellazione delle Accademie reali sotto Luigi XIV era
riuscita a contenere entro i limiti dello Stato colto 14. Vi sono, di con14

seguenza, e Du Bos il primo a comprenderlo, almeno due, e ben


differenti, concezioni di critica.
Da un lato, come ben si sa, Du Bos affronta la questione nei capitoli conclusivi (dalla sezione 22 alla 39) delle Riflessioni. Il giudizio
della gente del mestiere qui condannato senza appello, e per ben
tre ragioni: appiattimento abitudinario della loro sensibilit; eccesso di
discussione (ovvero di ragionamento) nella formulazione del giudizio; prevenzione a favore di qualche aspetto dellarte e incapacit di
discernere particolare e universale. Sarebbe istruttivo avviare un dialogo dei morti tra Du Bos e Hume: si scoprirebbe con facilit che,
nella propria Regola del gusto, Hume si limita a rovesciare, cambiandogli ovviamente di segno, i criteri dubosiani. Per cui larte va giudicata dai critici proprio perch hanno maggior abitudine, ovvero maggior esperienza di opere, perch sono in grado di comprendere il significato di unopera discutendo e ragionando e in quanto, in tale ragionamento, sono attenti ai particolari. In apparenza questo dialogo
non avrebbe sintesi costruttiva: i due autori sono entrambi classicisti, e senza dubbio Hume apprezza gli Antichi perch in grado di
meglio applicare le regole costruttive, articolando la creativit dellimmaginazione. Ma, ulteriore segnale che gli orizzonti della Querelle sono nel Settecento ben superati e il discorso si spostato dalla retorica alla critica, i punti di dissenso superano e quasi cancellano le affinit. Si aggiunga che la gente del mestiere descritta da Du Bos assume, difficile dire con quanta consapevolezza, proprio le fattezze dei
padri della Querelle: sono coloro, insiste nella sezione 25, che non solo
compongono o dipingono, ma tutti quelli che scrivono sui poemi e i
dipinti. Sembra, appunto, il ritratto di Racine, Boileau o Perrault (e
Du Bos, che sciocco non , se ne accorge subito, cercando poco credibili giustificazioni). Labitudine pu certo generare consapevolezza;
ma il suo contrario linsensibilit, cio lincapacit di emozionarsi:
per cui, appunto, anche i loro specifici ragionamenti sono spesso corretti, le persone del mestiere giudicano male perch fanno di essi un
cattivo uso.
Questo esempio, tra i numerosi che si possono trarre dalle pagine
dubosiane, pu valere per tutti e ben espone lessenza del suo pensiero, mostrando che in esso, come in Hume, proprio in gioco, al di l
dei confini della Querelle, il dibattito sul rapporto tra ragione e sensibilit nellesercizio del giudizio estetico. Si sar anche gi compreso che
questo dibattito, e questo ulteriore dialogo dei morti, pu essere risolto portandosi su un altro piano, per nulla sintetico, che va cio alla
ricerca delle condizioni di possibilit del giudizio, e vede le facolt
come funzioni operative di queste condizioni e non in quanto elementi
assoluti, nei quali soltanto si raccoglie la verit dellartistico. La conclusione di Du Bos infatti nota, ed espressa in modo perentorio
15

nella sezione 26: alla fin fine i giudizi del pubblico prevalgono sui giudizi della gente del mestiere. E, con spirito lockiano, afferma che
lesperienza stessa a insegnare che sono frequenti gli errori della gente
del mestiere, dal momento che i loro giudizi sono spesso annullati da
quelli del pubblico. Il giudizio dunque estetico-sentimentale, senza
dubbio intersoggettivo, ma non derivante per questo dalla discussione, cio da ragionamenti particolari e specialistici. Infine, soprattutto, muta il soggetto di tale giudizio, che non il critico, bens il pubblico, ovvero una nozione che, pur da definire e circoscrivere, , rispetto ai protagonisti della Querelle, ben pi delineata. Boileau, qui citato da Du Bos, partigiano come era del carattere storico e memorativo
delle arti, sulle quali fondava il loro valore, e il valore stesso di unarte
che celebrasse il presente come punto di arrivo di una tradizione, non
poteva ignorare il gusto generale del pubblico. Ma tale gusto era
necessariamente sottoposto a una serie di mediazioni che ne inficiavano, ben al di l delle apparenze, la forza impositiva. Senza dimenticare che il pubblico in s era un concetto astratto, dal momento che
il valore dellarte era sancito a Versailles, e non sulle piazze di Francia:
se, dunque, valeva lopzione sentimentale, lunica a garantire la continuit tra il passato e il presente, laspetto intersoggettivo di tale sentimento giudicante era qualcosa che la generazione della Querelle poteva vedere solo confusamente o tramite esempi esclusivamente letterari, in quanto, come noto, il valore pubblico di unopera pu essere
stabilito solo l dove vi libert di giudizio, senza un principe o dei
cortigiani che frenino il libero arbitrio.
Il problema, in realt banale, relativo alla storicit della percezione non qui in gioco: che vi sia in essa una componente storica ,
appunto, unovviet. La percezione in velocit o dallaltro ha mutato
alcuni suoi aspetti, come peraltro anche linvenzione delle lenti o luso
di allucinogeni. Ma la questione unaltra: muta lessenza della percezione dellarte, cio la relazione empatica che pu instaurarsi tra
unopera e il suo pubblico fondata su atti di apprensione sensibile? La
risposta di Du Bos fenomenologicamente corretta: non solo non muta, ma anche la prova della continuit emotiva che larte in grado
di suscitare tra il passato e il presente, dimostrando il valore delle opere antiche e, al tempo stesso, la capacit giudicante del pubblico. Pubblico che, pur non essendo la Francia lInghilterra di Addison e del
suo Spectator, non soltanto un antico soggetto retorico. Anche se
vi sono retaggi delluditorio proprio alla tradizione della retorica 15,
retaggi che vogliono contrapporre alla discussione ragionante dei cartesiani largomentazione emotiva ed empatica, con tutti i suoi ben stratificati pregiudizi, il pubblico di Du Bos una concreta realt estetica, sia sul piano sociale sia su quello teorico, nel senso che il sigillo
dellunificazione di individui che non sono pi tenuti legati da una
16

corte e dalla condivisione di benefici sovrani quello di possedere un


potere comune, che il potere del sentimento. Un potere, certo,
conosciuto anche alla prima generazione della Querelle, ma qui reso
operativo sul piano concreto, quasi commerciale, del successo dellopera, del suo essere evento pubblico, liberamente sottoposto allassenso o al dissenso.
Il sentimento inaugura infatti, con un pubblico colto, borghese,
moderato, autonomo, in cerca di un proprio ruolo, e quindi anche
delle proprie facolt e dei propri poteri, privo di un re assoluto a limitarlo, un nuovo orizzonte per la critica, che non quello della gente
del mestiere, bens di persone in grado di radicare nellemozione i propri giudizi. Seguendo Pascal, che i suoi antichi antenati non sempre
avevano apprezzato, e applicando a questa dimensione teorica princip
tratti da Cartesio e Malebranche, per Du Bos il sentimento un preciso principio conoscitivo che, nel campo delle opere darte, possiede la
medesima certezza propria alla ragione nelle dimostrazioni geometriche. chiaro, come giustamente scrive A. Becq 16, che non si tratta di bandire ogni ragionamento a favore di qualche pulsione affettiva incontrollata, ma di opporre due tipi di ragionamenti, che procedono da princip differenti: princip astratti da una parte, princip sperimentali dallaltra, per cos dire una specie di tatto, nato da unesperienza concreta pi o meno raffinata. Critica che dunque esercizio sentimentale del giudizio, come si afferma in modo perentorio allavvio
della sezione 22, l dove si ricorda che il sentimento dice sullimpatto
dellopera su di noi (e si tratta sempre, per Du Bos, di opere concrete, presenti nel contesto sociale dellepoca, e non di concetti astratti)
pi di tutte le dissertazioni dei critici: esercizio consapevole (quindi non
ingenuo, non immediato, non privo cio di specifiche ragioni, sia
pure del cuore) in quanto il sentimento originato non dalla natura
contesto percepito senza mediazione alcuna ma da oggetti imitati,
cio costruiti proprio far sorgere delle passioni artificiali.
Questa consapevolezza , ancora una volta, uneredit antica e retorica, figlia anche di Quintiliano, ma che ha la specifica finalit di
attribuire al sentimento giudicante una sorta di come se dellimmediatezza, facendo in modo che larte, pur non essendo natura, venga
afferrata come se lo fosse attraverso lintervento congiunto del sentimento e dellimmaginazione produttiva. Senza che con ci si perda
tuttavia la consapevolezza che essa non natura e che dunque compito della critica pubblica e sentimentale anche quello di frenare la
natura in noi istinto regolistico che sempre accomuna, come gi si
osservato, Antichi e Moderni facendo intervenire larte in quanto
principio sublime. Infatti, la sua essenza artificiale, pur capace di
restituire allo spettatore la forza e lattivit della natura, ne purifica la
violenza passionale: i quadri tragici di Le Brun o la Phdre di Racine
17

faranno allora piangere, ma senza davvero rattristare, mantenendo il


piacere su un piano nominalistico e semiotico, che non tocca la
pi profonda e lacerante essenza delle cose.
Si potrebbe proseguire utilizzando la folla di esempi offerta da Du
Bos: ma non muterebbe la conclusione, che si ormai gi delineata. Il
linguaggio dubosiano antico e retorico e, a rigore, mai viene meno
ad alcuni princip sanciti da Boileau o Racine, in essi compreso un
intelligente uso del paradigma del sublime in quella stessa linea che
poi riprender Burke: ma il contesto, e non solo quello, ovviamente,
storico-sociale, si ormai completamente modificato. intervenuto
infatti, sulla scia della Querelle, il problema fondativo della critica: il
classico non un concetto lontano, ma un modo per giustificare nel
presente il senso di unopera e, con esso, il giudizio che lo fonda. La
stessa concretezza del pubblico non solo non occulta, ma anzi esibisce il nucleo teorico del problema, che quello di mettere in gioco, nella foresta di segni che larte, le facolt naturali del soggetto,
costruendo per esse un orizzonte di supremazia che stabilisca regole
sulle cui basi costruire lartificialit di un sapere autonomo.
qui, probabilmente, il limite interpretativo di Fumaroli: la disputa tra Antichi e Moderni forse eterna se la si ritiene uno scontro
tra chi affida alla memoria letteraria il senso veritativo dellumanit e
chi, guidato dallidea di progresso, vede nella memoria anche, se non
soprattutto, una fonte di errori e pregiudizi. Ma, con questa eternit,
di cui pure si dubita, come di tutto ci che assoluto ed epocale, nulla ha a che vedere lopera di Du Bos: a lui non interessa la vittoria
metastorica degli antichi e dei moderni, non insegue le utopie pi o
meno negative di Rousseau, n ha la visione ciclica della storia di un
Vico. Il suo scopo quello di comprendere come un tempo-luogo tramato di differenze semiotiche e chiamato arte possa far dialogare
gli spiriti: e come questo cronotopo non sia riducibile a una discussione razionale, dal momento che esibisce una relazione pi profonda
e segreta, in cui il giudizio possibile anche prima delle categorie e
delle parole.
Si pu dire, con lo sguardo storico, quindi consapevole del gi stato, che questa esigenza, proprio perch intende analizzare il rapporto
tra esperienza e ragione, tra sensibilit e giudizio, si pone allorigine sia
della teoria dellarte sia dellestetica: della teoria dellarte perch opera
il passaggio da una visione retorica a uno sguardo fenomenologico e
fondante; dellestetica perch pone quello che sar uno dei grandi temi
della filosofia moderna e contemporanea, cio se il giudizio sia radicato in una capacit intellettuale o in una sintesi estetica (e la preferenza
che Du Bos mostra per questultima ipotesi lo rende ovviamente molto
vicino, sul piano delle idee, alla tradizione fenomenologica; e giustifica,
peraltro, linteresse mostrato nei suoi confronti da Diderot, le cui con18

clusioni sono in molto debitrici al suo pensiero). Du Bos, allora, figlio


della Querelle, conduce a ben diversi dialoghi dei morti, e diviene
come dimostra la sua stessa ricezione settecentesca il punto di avvio
di orizzonti tematici non riducibili a polemiche n poetologiche n,
tanto meno, ideologicamente epocali. Sarebbe troppo facile affermare
che la traccia che esce viva da questi dialoghi dei morti quella tradizione che, nelle idee estetiche, cio nelle opere darte, sa far dialogare in modo simbolico la sensibilit e la ragione, attribuendo a tale dialogo un senso conoscitivo soprasensibile, teleologico e precategoriale.
Sarebbe facile, e dunque per tale motivo indebito, inserire Kant tra i
figli di Du Bos: ma, al di l del fatto che Kant ben conosceva le Rflexions dubosiane, va almeno sottolineato che grazie a Kant, in questo senza dubbio seguace di Du Bos, che un pensiero critico annulla la
possibilit di confronti assoluti tra antichi e moderni, cercando invece nelle pieghe delle varie tradizioni storiche le condizioni di possibilit della genesi della facolt di giudicare.
Infatti, nelle pagine di Du Bos, si confrontano sia le api sia i ragni,
e senza che i luoghi comuni si modellizzino in esempi eternizzati, bens nella consapevolezza che il significato dellarte e della sensibilit pu
essere compreso solo l dove si analizza il senso conoscitivo della critica, nella consapevolezza che essa critica, cio teoria del giudizio,
e non occasione per giudizi definitivi sul mondo e sul sapere: gli antichi e i moderni che hanno dialogato sulle pagine di Du Bos non lo
hanno fatto per ricostituire gli assurdi paradigmi delle due culture 17,
ma per comprendere come larte, quando si confronta con i temi del
classico, dello stile, della sensibilit e della ragione, luogo di incontro tra laracnofilia e lindustriosit delle api. Perch essere ragni non
significa solo, con oscurantismo classicistico, essere decisi a trarre
tutto dalle proprie risorse, ricavando dalle loro oscure viscere un filo
astratto, con cui tessono tele geometriche tese al di sopra del mondo 18. N essere api significa soltanto essere partigiani della Memoria
cancellata dal tramonto dellOccidente, valorosi che meritano di essere nuovamente ascoltati con attenzione e partecipazione, perch sono nostri alleati e nostri amici 19. La Querelle, forse grazie ai propri
esiti, cio a Fontenelle e Du Bos, ha insegnato, al contrario, che teoria dellarte ed estetica sono nate proprio perch api e ragni si sono
confrontati e hanno saputo dialogare.
Unape come Goethe pu dunque, attraverso Du Bos, dialogare
con un ragno come Valry (che, appunto, si identificava con un ragno, tessendo, nei suoi Cahiers, una tela al tempo stesso casuale e necessaria): ragno che senza dubbio traeva dalla propria mente cartesiana
fili totalmente estranei alla storia e ai suoi miti. Ma che, al tempo stesso, sapeva, consapevole che la costruzione figlia del caso e della necessit, che la Perfezione della ragnatela e quella di unarnia sempre
19

perfezione sono: e il compito dellartista non quello di esprimere


preferenze soggettive e solipsistiche, bens di accogliere una sfida progettuale e, in essa, salvare la forma, afferrarla come voleva Goethe
in quanto matrice di senso. Forma classica che punto di incrocio dialogico di molteplici elementi, che rimane tale pur vivendo nella differenza, nel caso, nella passione, nelleccedenza, forma che, per
usare proprio parole valryane, deve poter salvare la perfezione anche nel naufragio del tempo moderno.
Molti nostri contemporanei, figli di questo naufragio, da Klee a
Eliot, da Valry a Pound sino a Calvino si sono interrogati, con una
domanda non retorica, su Che cosa un classico?. Le risposte sono
diverse e, a rigore, hanno tutte in s qualche filo della tela di ragno.
Ma, proprio perch sono il risultato di quel processo di trasformazione
organica della natura attraverso larte che origina il miele, ci piace
considerare tutte queste risposte, nella loro diversit, figlie dellopera
di Du Bos.

1 M. Fumaroli, Le api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni, Milano, Adelphi,
2005, p. 14.
2
Ivi, p. 130.
3 Ivi, p. 131.
4 Ivi, p. 132.
5
Ivi, p. 158.
6 N. Boileau, uvres completes, a cura di A. Adam e F. Escal, Paris, Gallimard, 1966,
pp. 348-49.
7
G. Preti, Retorica e logica, Torino, Einaudi, 1971, p. 136
8 B. Fontenelle, Dialogues des Morts anciens avec des modernes, in uvres, vol. III, Paris, 1825, p. 425
9
M. Fumaroli, cit., p. 188.
10 Ibidem.
11 Si veda Il Gusto. Storia di unidea estetica, a cura di L. Russo, Palermo, Aesthetica,
2000.
12 M. Fumaroli, cit., p. 203.
13 T. Todorov, Teorie del simbolo, a cura di C. De Vecchi, Milano, Garzanti, 1984, p.
181.
14 M. Fumaroli, cit., p. 206.
15 Nella mia Introduzione alle Riflessioni ho osservato che la struttura del percorso dubosiano ricorda le classiche finalit del sistema retorico nel momento in cui diviene prassi
pubblica, confrontandosi con lidea di uditorio universale: movere (commuovere), delectare
(piacere), docere (insegnare), quindi trasferire lethos e il pathos sul piano di un giudizio condivisibile.
16 A. Becq, Gense de lesthtique franaise moderne, Paris, Michel, 1994, p. 257.
17 Su cui si veda il gi citato volume di G. Preti, Retorica e logica.
18
M. Fumaroli, cit., p. 259.
19 Ivi, p. 13.

20

Du Bos e la lezione degli Antichi


di Giovanni Lombardo

1. Quando, alcuni anni fa, preparavo il commento del trattato Sullo


stile di Demetrio, mi colp la citazione di Du Bos che si legge nella
nota monografia di Guido Morpurgo-Tagliabue sullantico retore. Nel
capitolo sullattualit di Demetrio, lAutore delle Rflexions ricordato
come il primo esplicito teorizzatore moderno di quel gusto per la voluptas tristiti che discende dallantica categoria della deinotes (cio
della potenza espressiva) enunciata per lappunto nel trattato di Demetrio e premonitrice del sublime burkiano. Du Bos, spiega Morpurgo-Tagliabue, fu il primo illuminista a teorizzare il piacere della sofferenza, la volutt del pianto, la istintiva nostra inclinazione per le scene crudeli, lattrazione del terribile; di qui, poi, pi vigoroso, il Burke,
con il suo delight del sublime 1. E in effetti Du Bos esordisce sostenendo che larte della poesia e larte della pittura non sono mai tanto
apprezzate come quando riescono ad affliggerci 2 e che in genere,
gli uomini a teatro provano pi piacere a piangere che a ridere 3. Ma
quando evoca il famoso brano di Lucrezio in cui oggi tutti noi siamo
abituati a riconoscere il topos del naufragio con spettatore, egli tralascia di citare i versi relativi al piacere di sentirsi al riparo della sofferenza 4. Affermare dunque che per Du Bos larte sia un masochismo artificiale e inoffensivo, terapeutico, atto a eccitare la nostra vitalit 5 forse sottovalutare che il merito delle Rflexions (come pi
tardi il merito dellInquiry di Burke) est davoir su considrer en et
pour eux-mmes les dlices provoqus par lobjet ou par sa reprsentation, cest--dire davoir su majorer les effets de la sympathie par
rapport ceux dun gosme qui trouverait se conforter dans les
malheurs dautrui 6. Tanto Du Bos, quanto poi Burke hanno infatti
evitato lcueil dans lequel nous semblent tre tombs daprs Lucrce Addison et, plus tard, Hume: le fait de penser labsence de
danger encouru stimule aux yeux dAddison le plaisir ressenti; et pareillement, aux yeux de Hume, la douleur dautrui augmente lide de
notre bonheur, sous laction dun principe de comparaison qui joue un
rle suprieur celui du principe de sympathie 7.
Se pertanto vero che la componente patetica del pensiero estetico
di Du Bos non pu essere spiegata soltanto in termini di eccitazione
21

masochistica probabile che anche il suo legame con Demetrio (un


autore, peraltro, assente dalle Rflexions) sia piuttosto congetturale che
reale. E tuttavia laffinit, segnalata da Morpurgo-Tagliabue, con lantico teorico della deinotes lascia indovinare in Du Bos un rapporto tuttaffatto personale con i classici che popolavano le biblioteche dei polemisti impegnati nella Querelle des Anciens et des Moderns: un rapporto che, senza annullarsi nellossequio acritico a modelli perfetti e inconcussi, cercava di riguadagnare alle esigenze del presente la linfa creativa dei grandi del passato e si adoperava per riscoprire quella che ora
Elio Franzini (suggellando anchegli con un riferimento a Burke il suo
saggio introduttivo alla prima edizione italiana delle Rflexions) chiama la forza trasgressiva, irriducibile a ogni canone 8, del sublime:
questa stessa analoga scoperta che Du Bos intuisce, ed lui che la trasmette agli autori delle generazioni successive, da Diderot a Lessing,
cio a quellasse di pensiero che, spezzando un classicismo razionalistico, vedr nel rapporto tra arte e natura un nuovo modo per cogliere
il concetto stesso di classico, di cui non si vogliono imitare le forme
estrinseche, bens lenergia formativa del processo costruttivo 9.
Latteggiamento spesso anticanonico di Du Bos impone dunque
che lo studio delle sue fonti antiche non si volga alla semplice ricognizione dei suoi debiti culturali: Platone, Aristotele, Cicerone, Lucrezio,
Livio, Orazio, Longino, Giovenale, Quintiliano sono infatti le letture proprie di ogni buon retore e accademico 10 e le loro suggestioni
si avvertono quasi a ogni pagina delle Rflexions, s da rendere qui impossibile il loro censimento completo. In questa sede, sembra invece
pi proficuo osservare luso spesso anticonvenzionale che di queste
letture convenzionali proponeva un intellettuale, per certi aspetti, eccentrico come lAbb Du Bos. In particolare, vorrei soffermarmi sulle ascendenze greche e romane di quella dimensione sentimentale ed
emotiva dellesperienza artistica che, pi di ogni altra, caratterizza
lestetica di Du Bos e che, movendo proprio da queste basi antiche, la
immerge nel presente e la proietta verso il futuro.
Ancorch fosse un paladino dei classici, Du Bos non restava infatti
sordo ai richiami del pensiero contemporaneo e poteva anzi sentirsi
perfettamente a proprio agio tanto nelluniverso degli Antichi quanto
in quello dei Moderni 11. Con lautorit e la superiore intelligenza di
un umanista che la carriera diplomatica e lattivit storiografica rendevano sollecito alle esigenze del tempo suo, egli aveva infatti stabilito
che il genio antico era uno stimolo insostituibile per linventiva moderna, e che la via dellAntichit era indispensabile per spronare e illuminare il giudizio di gusto 12.
2. Quali erano dunque le caratteristiche di questo genio antico donde, secondo Du Bos, i moderni avrebbero potuto trarre sprone per i
22

loro progressi intellettuali? Notiamo sbito che lo stesso incitamento


a guardare al passato in funzione del presente risale alla critica letteraria antica: dove la critica letteraria anzitutto la tradizione retorica
che, nellellenismo, approfondisce o corregge il lascito aristotelico e
viene poi a consolidarsi nella trattatistica romana dellet repubblicana e della prima et imperiale 13. Cicerone e Quintiliano, dunque: ovvero i due grandi Maestri cui le Rflexions tributano quellomaggio
che, circa mezzo secolo fa, indusse un critico a cogliervi la riproposizione del sistema precettistico dellantica oratoria e a fare di quel sistema il corresponsabile della rivalutazone estetica del sentimento: il y a
lieu de penser que la rhtorique ancienne partage largement cette responsabilit et que, loin de hanter les seuls abords des Rflexions, elle
sut pntrer jusque dans la structure du systme 14.
In tempi in cui la retorica poteva ancora essere considerata incompatibile con lestetica, sembr che un tale giudizio non rendesse giustizia a Du Bos e tendesse anzi a limitare di molto limportanza e
loriginalit del suo pensiero 15. E del resto anche chi aveva formulato
quel giudizio aveva sbito sentito il bisogno di denunciare il fcheux
snobisme de la nouveaut originale che degradava la retorica au
rang dune discipline mprisable force dusure et dubiquit 16. E,
a corollario di quella denuncia, aveva auspicato lavvento di una storiografia finalmente interessata al ruolo della retorica nella storia della cultura moderna: Il faudra bien, un jour, aller plus loin. [...] On
sapercevra que, de la Renaissance au Romantisme, par toute lEurope lettre, la Rhtorique a puissamment agi pour maintenir ou amorcer nombre de positions et de thmes, non seulement dans les doctrines littraires et dans lesthtique des arts en gnral peinture, musique mais dans la littrature mme o on nesest jamais avis de la
reconnatre 17. Oggi quellauspicio pu dirsi compiuto. Oggi nessuno
mette pi in dubbio la dignit filosofica dellantica retorica e gli apporti che dal suo retaggio vennero alla fondazione dellestetica moderna. Perci non ci sorprendiamo se un autorevolissimo storico delleloquenza addita ora nelle Rflexions la prima estetica generale che sia
stata scritta dopo lInstitutio Oratoria di Quintiliano 18.
E appunto da Quintiliano Du Bos mutuava il sentimento di riconoscenza verso le epoche antiche che hanno accumulato e trasmesso
tante conoscenze da rendere pi fortunate e pi facili le ricerche delle
epoche successive (Quintil. 12.11.22): Essi dovettero scoprire queste
cose, noi dobbiamo soltanto conoscerle. Lantichit ci ha istruito con
tanti precettori, con tanti esemp che sembra quasi che nessunaltra
epoca fu, per sorte di nascita, pi felice della nostra, se le epoche precedenti tanto si impegnarono per istruirla. E ancora in Quintiliano
Du Bos poteva trovare lidea di una sagace imitazione dei grandi del
passato: idea peraltro inerente alla vocazione manieristica della let23

teratura latina. Nata infatti con i caratteri della derivazione e dellapprendistato, la letteratura latina aveva sbito riconosciuto il prestigio
della letteratura greca e ne aveva derivato modelli degni di essere appresi e ritentati nella lingua di Roma 19. Lungi dal cancellare lidentit nazionale, il culto degli exemplaria grca concepiva la pratica della
mimsi nella specie di quel fecondo agonismo culturale per cui gli imitatori si proponevano non gi come epigoni ma come emuli degli imitati e tentavano di riadattarne la lezione al gusto e alle attese della societ romana. Secondo Quintiliano, anche gli scrittori che non miravano alle vette avrebbero dovuto confrontarsi con i grandi modelli: non
gi per ricalcarli pedissequamente, ma per ingaggiare con loro un cimento tale da meritare la laus di avere superato i predecessori e di
avere insegnato ai successori (Quintil. 10.2.9, 10.2.28): [...] anche coloro che non aspirano al primato devono gareggiare piuttosto che seguire passo passo. [...] Giacch torner a gloria di questi scrittori anche il fatto che di loro si dir: hanno superato i predecessori, hanno
insegnato ai successori.
Ma gi prima di diventare, grazie a Quintiliano, un precetto scolastico, laspirazione a unmulatio creativa aveva caratterizzato il classicismo augusteo e aveva trovato i suoi pi efficaci propugnatori in
due autori cari a Du Bos: Orazio e soprattutto Longino. E appunto
secondo lAutore del trattato Sul sublime, lo scrittore proteso alla grandezza avrebbe dovuto porsi in un cimento agonistico con la tradizione e avrebbe dovuto attendere alla propria opera come se essa fosse
stata destinata al giudizio dei grandi del passato: di qui la necessit di
assimilare compiutamente la lezione degli spiriti magni della letteratura
e la conseguente opportunit di concepire la scrittura come una continua evocazione delle loro ombre sublimi 20.
Nellultimo scorcio del secolo XVII, la lezione di Longino era stata
ampiamente divulgata da Boileau, attraverso la sua classicistica traduzione del Per hypsous. E tuttavia Boileau non si era mai posto il problema di una competizione con i modelli: Die Frage einer berbietung der Alten stellt sich fr Boileau eigentlich nirgends auch nicht
im Art potique, der durchweg Regeln angibt, wie sich ein Autor in
franzsischen 17. Jhdt. durchsetzen kann. Die Alten sind dabei nur ein
Orientierungspunkt neben nature und raison 21. Lo spirito con cui
invece Du Bos guardava agli antichi era proprio quello di unemulazione che, senza irrigidirsi nelle forme di un classicismo raggelante, sapesse, come abbiamo visto, instaurare un confronto utile a formulare un
principio estetico applicabile alla moderna esperienza della poesia, della
pittura e della musica. Tale era il principio della persuasion passionnelle
ovvero degli effetti emotivi dellarte, che Du Bos ricavava dallantica
dottrina dei pathe, delle passioni, cos come essa era stata enunciata da
Quintiliano e dalla manualistica prequintilianea: La confusion,
24

fcheuse en principe, de lart et du pathos, si caractristique dans les


Rflexions et apparemment inexplicable, sexplique assez bien, sclaire
mme dun jour nouveau et reoit son vrai sens, passionnel, riche davenir, ds quon limpute des concepts rhtoriques transplants, sans
plus, dans des terroirs peu propres les nourrir demble, cest--dire,
de lart oratoire, dans la posie et dans la peinture 22. Vediamo dunque di perlustrare brevemente alcune tra le antiche ascendenze di questo principio della persuasion passionnelle, cominciando proprio dallAutore dellInstitutio Oratoria, verso il quale Du Bos nutr una venerazone tale da meritarsi lappellativo de Quintilien de la France 23.
3. Al pieno intendimento del significato storico e culturale dellopera di Quintiliano ha spesso nociuto il confronto con Cicerone, dei
cui ideali egli fu peraltro un fervente custode. Severo censore delle
voghe declamatorie e delle nuove tendenze letterarie dellet dei Flav, Marco Fabio Quintiliano (ca. 30/35-96 d.C.) fu il primo docente di
retorica regolarmente stipendiato dallo stato e prese parte al dibattito
sulla crisi delleloquenza sia con un contributo specifico (il De causis
corrupt eloquenti, oggi perduto), sia con il progetto pedagogico
enunciato nei dodici libri dellInstitutio Oratoria, un imponente trattato sulla formazione delloratore. Lombra di Cicerone ha tuttavia offuscato limmagine di questo grande retore, che il giudizio, pocanzi evocato, di Marc Fumaroli saluta giustamente come lAutore di unincomparabile estetica generale 24.
Certo, il ritorno al modello catoniano del vir bonus dicendi peritus
auspicato da Quintiliano con gli accenti un po accademici di un
tranquillo e stimato professore, pago dei suoi privilegi e spesso ignaro della passione intellettuale che aveva immerso Cicerone in una militanza politica e culturale cos intensa da saldare immediatamente
teoria e prassi. Perci nella precettistica quintilianea non vibra pi la
tensione filosofica delle pagine ciceroniane, giacch anzi vi tintinna
largento dorato di una scrittura che riecheggia lArpinate senza
uguagliarlo 25. E tuttavia lInstitutio non il frutto di un classicismo
pedante e freddamente scolastico. Quintiliano un maestro antidommatico e sa bene (come poi sapr anche Du Bos) che i modelli vanno
adeguati alle esigenze dei tempi e degli individui; sensibile e rispettoso
della dignit dei aspiranti oratori, egli si preoccupa di additare loro un
percorso formativo che coniughi rigore etico e curiosit intellettuale,
disciplina e gusto dellapprendere. Ecco perch, fra il Quattrocento e
il Settecento, il suo manuale diventa un riferimento irrinunciabile nella
moderna storia dellumanesimo pedagogico e retorico: Quintiliano
forma il gusto, determina i canoni di lettura e contribuisce a improntare la teoria di tutte le arti, fino alla musica. Erasmo ha studiato a
fondo Quintiliano, Lutero lo preferisce a quasi tutti gli altri autori,
25

Melantone ne raccomanda lo studio. Alla scuola di Quintiliano lEuropa moderna ha imparato a pensare e a parlare autonomamente 26.
Spesso Quintiliano cerca di dare un contributo personale allapprofondimento delle formule tradizionali. Tale , per esempio, la trattazione della nozione ethos, condotta in opposizione alla nozione di pathos.
Lethos il contrassegno di quella umanit affabile e dignitosa che
rende credibile loratore anche quando descrive personaggi moralmente equivoci: saddicono quindi allethos le situazioni della commedia
psicologica e il registro stilistico medio. Il pathos ovvero ladfectus esige
invece le passioni forti e lo stile sublime convenienti alla tragedia.
Quintiliano illustra luso letterario del pathos-adfectus con esemp tratti
dallEneide, dimostrando quale importanza avesse nel frattempo assunto la poesia (e in ispecie la poesia vergiliana) nellinsegnamento della
retorica. Virgilio, in particolare, lodato per la capacit di suscitare
emozioni attraverso lenrgeia, la tecnica della visualizzazione mentale
(Quintil. 6.2.29-33):
Riuscir efficacissimo nel destare le emozioni chi sapr ben concepire quelle che
i Greci chiamano phantasai (noi possiamo pure definirle visiones): per esse le immagini delle cose assenti vengono rappresentate alla nostra mente in modo tale che ci
sembra di vederle con i nostri occhi e di averle davanti a noi. [...] Saggiunga lenrgeia che Cicerone chiama inlustratio o evidentia. Pi che dire le cose, lenrgeia sembra mostrarcele: s che ne restiamo commossi come se prendessimo parte ai fatti.
Non sono forse frutto di visiones quelle espressioni vergiliane: la spola le cade dalle
mani e il gomitolo si sdipana, aprirsi la ferita nel petto delicato e il cavallo con
le insegne deposte al funerale di Pallante? E questo stesso poeta non ha forse colto
dentro di s limmagine dellestremo fato per poter dire: e morendo la dolce Argo
ricorda 27.

Questo passo molto utile per comprendere il debito di Du Bos


verso lantica retorica e in ispecie limportanza che per lui assumono
le immagini ai fini emotivi. Topico gi nellantichit, il confronto tra le
arti figurative e le arti verbali (e la conseguente sottolineatura del potere icastico della parola poetica) era stato riscoperto nei dibattiti umanistici sulla pittura e aveva trovato un compendio lapidario nella formula oraziana dellut pictura poesis 28. Nel suo contesto dorigine, questa formula descriveva per un processo squisitamente letterario. Al
pari dei capolavori della pittura, i capolavori della poesia spiegava
Orazio ci dichiarano sempre la loro grandezza, anche quando non
sono immuni da qualche piccola menda; tant che, a un esame critico ravvicinato, ci lasciano ancora pi ammirati. Invece i testi e i dipinti
mediocri possono magari piacerci a una prima lettura o a un primo
sguardo cursorio ma, riconsiderati con attenzione, tradiscono la loro
vacuit (Hor. ad Pis. 438-52):
La poesia come la pittura. Ci sar il dipinto che, se lo guardi da vicino,

26

ti catturer di pi, e ci sar quello che ti prender se lo guardi a distanza.


Questo dipinto preferisce la penombra, quellaltro vuol essere osservato in piena
luce
e non teme locchio sagace dellintenditore.
Questo dipinto piace una sola volta; quellaltro, ammirato dieci volte, non finisce di piacere.

Per meglio illustrare il proprio ideale poetico, Orazio ripropone


lanalogia con larte figurativa, gi introdotta nellesordio dellArs poetica, che appunto si apre sulla descrizione di una grottesca sirena: volto di donna, membra piumate, coda di pesce prestano forma a un mostro che introduce la precettistica relativa alla tecnica, denunciando i
paradossi di un maldestro governo dei processi compositivi. Applicandosi al momento appunto compositivo della coerenza strutturale e della verosimiglianza mimetica, nei versi iniziali dellArs lanalogia con la
pittura inerisce alloperato dellautore; qui invece, applicandosi al momento ricettivo dellefficacia del testo, essa inerisce alla reazione e al
giudizio del lettore.
In et moderna, la formula dellut pictura poesis sar tuttavia interpretata come un contributo alla critica darte: e verr usata per affermare il primato mimetico della pittura sulla poesia o per discutere il
problema della differentia specifica tra le arti. A parere di Rensselaer
W. Lee, in questi versi dellArs Orazio invoca una maggiore flessibilit nel giudizio critico, sostenendo in effetti che la poesia dovr essere
giudicata alla stregua della pittura: che dispone non soltanto di uno
stile rifinito (richiedente in chi guarda un esame accurato), ma anche
di uno stile sommario, impressionistico (che non sortir leffetto se
non gustato da una certa distanza) 29. Ma quale moderno pittore impressionista sarebbe disposto a sottoscrivere laffermazione oraziana
secondo cui un quadro fruibile da lontano placuit semel, piace una
volta sola 30? In realt, Orazio non intende spiegarci in quanti modi
si possa guardare un dipinto, ma attraverso il paragone (vetusto ma
didatticamente utile) con la pittura vuole soltanto metterci in guardia dalla mediocrit, indicandoci una sorta di test per verificare leccellenza di una poesia. Proviamo egli suggerisce a leggere una stessa
poesia pi volte: se non ci annoieremo, ma anzi ci appassioneremo
sempre di pi, saremo davanti a un autentico capolavoro: Actually
the phrase means less than what it says, which is: as a painting, so
also a poem. It really implies only this. As sometimes in painting, so
occasionally in poetry. There is no warrant whatever in Horaces text
for the later interpretation: Let a poem be like a painting 31.
4. Nononstante il fraintendimento cui andata incontro, la formula
oraziana ha tuttavia avuto una sua utilit comparativa: Elle a dtermin une utile raction contre la thorie qui faisait de la posie une
27

branche de lloquence, et contribu ainsi dgager lesthtique de la


rhtorique. Elle a surtout enrichi le vocabulaire de la critique en lui
fournissant des comparaisons des images, des expressions commodes
pour un bon nombre dides abstraites et ainsi elle a contribu fixer
et prciser mieux la notion de ces ides mmes 32. Quando Du Bos
la elegge a epigrafe della sua opera, la frase oraziana gi fasciata dai
fraintendimenti della sua ricezione moderna. E tuttavia una trattazione, com appunto quella di Du Bos, attenta alle risposte dei fruitori
e preoccupata di evitare loro la noia non si dimostra poi cos lontana
dalle intenzioni del contesto oraziano dellut pictura poesis. Certo questa formula serve a Du Bos per restituire alla pittura tutta la sua forza di arte visiva atta a colpire limmaginazione attraverso la sola sua
capacit originaria dinfluire sul senso della vista 33. Un quarantennio
prima delle Rflexions, nei Dialogues sur lloquence di Fnelon si leggeva: Toute lloquence se reduit prouver, peindre et toucher.
[...] Peindre cest non seulement dcrire les choses, mais en reprsenter les circostances dune manire si vive et si sensible, que lauditeur
simagine presque les voir 34. Per commuovere bisogna dunque dipingere 35. Perci, quasi facendo eco a Fnelon, Du Bos scrive:
La somiglianza delle idee che il poeta ricava dal suo genio con quelle che possono avere uomini che si trovano nella stessa situazione in cui il poeta colloca i suoi
personaggi; le immagini patetiche che ha concepito prima di prendere in mano la
penna o il pennello costituiscono dunque il maggior merito dei poemi e dei quadri.
Dallintenzione del pittore o del poeta, dallinventiva delle idee o delle immagini
adatte a emozionarci e messe in atto per realizzare il suo intento, si distingue il grande artista dal semplice manovale, che spesso artefice pi abile di lui nellesecuzione. I pi grandi verseggiatori non sono i pi grandi poeti, come i verseggiatori pi
precisi non sono i pi grandi pittori 36.

Il poeta che vorr, come il pittore, commuovere, toucher, il suo


lettore dovr conferire alle sue parole una flagranza pittorica. il precetto che abbiamo appunto incontrato nel passo, pocanzi citato, di
Quintiliano. Esso discende da un vecchio insegnamento aristotelico,
cui Longino avrebbe poi immesso nuova forza.
Secondo Aristotele, affinch un processo di immedesimazione possa attivarsi necessario che lo spettatore si senta moralmente e psicologicamente vicino (e anzi: uguale, hmoios) al personaggio, cos da
ritrovarvi il ritratto migliorato di s stesso: Poich la tragedia imitazione di uomini migliori di noi, si dovranno emulare i bravi ritrattisti: i quali dipingono fedelmente le nostre fattezze, rendendole tuttavia pi belle (Aristot. Poet. 15.7, 1454 b7). Non solo: ma, disponendosi a rivestire con un testo la spoglia struttura dellintreccio, il poeta deve essere anche in grado di immaginare come il suo linguaggio
influenzer il pubblico, tanto per ci che delleffetto scenico, quanto
28

per ci che delleffetto emotivo. Se vorr conquistare gli spettatori


alla vicenda che rappresenta, egli dovr calibrare la forza evocativa
delle sue parole, sperimentando anzitutto su s stesso quei processi di
visualizzazione che, mediante la tecnica dellenrgeia ovvero della subiectio sub oculos, conferiscono al linguaggio una grande immediatezza
icastica e consentono allascoltatore (o al lettore) di vedere con locchio della mente quanto viene descritto (Aristot. Poet. 15.7, 1454 b7).
E appunto latto del pro ommton tthesthai, cio del mettere sotto gli
occhi mentali (unesperienza psicologica che pi frequentemente Aristotele chiama phantasa), permette di realizzare quella che per Du Bos
sar la somiglianza fra le idee del poeta e le idee che possono avere
uomini che si trovano nella stessa situazione in cui il poeta colloca i
suoi personaggi 37. Chi intenda muovere gli ascoltatori alla paura o
alla piet precisa ancora Aristotele deve accenderne la phantasa,
in modo che essi possano immaginare un male (kakn) imminente e,
sentendosene impauriti o impietositi, possano poi accedere allesperienza della catarsi. Gli oratori abili a governare le tecniche della hypkrisis, dellactio, ovvero capaci di una recitazione tale da secondare con
una gestualit appropriata le suggestioni patetiche del linguaggio, fanno apparire (phainesthai) vicino il male, mettendolo sotto gli occhi (pro
ommton poiontes) dellascoltatore: un pthos che si mostri davanti
agli occhi (en ophthalmos phainmenon) viene infatti condiviso pi
prontamente 38.
Lidea aristotelica del pro ommton poien ritorna in Orazio, pronto
ad ammirare il drammaturgo di talento che gli fa provare le emozioni tragiche e che, con la magia evocativa del suo linguaggio, gli trasmette lillusione tipica della subiectio sub oculos di trovarsi sui
luoghi stessi dellintreccio. Davanti a un bravo poeta egli rimane col
fiato sospeso, come se ammirasse i numeri straordinar di un acrobata (Hor. epist. 2.1.208-12):
Non pensare per che il mio sia lelogio di un invidioso:
perch altri praticano con successo il teatro e io invece mi rifiuto di praticarlo.
Mi sembra di assistere allesibizione
di un funambolo quando un poeta mi stringe il cuore,
mi fa trepidare, mi rassicura e poi ancora mi riempie di illusorie paure
o mi trasferisce, come per incanto, ora a Tebe ora ad Atene,

Ma il precetto aristotelico della flagranza icastica dello stile ricompare, attraverso la mediazione stoica, anche in Longino, in uno dei
luoghi che pi si sono prestati ai fraintendimenti romantici del Per
hypsous (15.1):
Molto efficaci, mio giovane amico, per produrre gravit, grandezza espressiva e
forza di dibattito sono anche quelle che noi chiamiamo fantasie e che alcuni invece

29

chiamano idolope. Infatti si definisce comunemente fantasia ogni pensiero che, comunque si presenti alla mente, genera un discorso: ma il termine s imposto anche
per quei discorsi nei quali le cose che tu dici nellentusiasmo e nella passione sembri proprio vederle e le metti sotto gli occhi degli ascoltatori.

Ovviamente, qui la phantasa non limmaginazione creativa modernamente intesa. Bench Longino insista sullemozione dellautore
piuttosto che su quella del lettore, la phantasa di cui egli parla non
tanto la facolt rappresentativa quanto loggetto rappresentato, come
risulta anche dal confronto con il luogo quintilianeo che conosciamo.
Ai fini delleffetto sublime, Longino stringe la phantasa allentusiasmo
e alla passione e distingue poi lkplexis, effetto della fantasia poetica,
dallenrgeia, effetto della fantasia prosastica. Una distinzione di cui
sembra ricordarsi anche il nostro Du Bos quando, allinizio della seconda parte delle Rflexions, scrive: Il sublime della poesia consiste
nellemozionare e nel piacere, quello delleloquenza nel persuadere 39.
5. Lo studio delle fonti antiche di Du Bos potrebbe ancora toccare
molti temi. Si potrebbero, per esempio, rilevare le ascendenze aristoteliche dellopportunit di conciliare il verosimile con il meraviglioso 40. Si potrebbe indagare quanto lidea che il semplice manovale, ancorch tecnicamente abilissimo, riesca sempre e comunque inferiore al
grande artista debba al motivo oraziano e longiniano per cui la perfezione senza grandezza non mai preferibile alla grandezza con qualche imperfezione 41. Si potrebbe sottolineare laccordatura longiniana
del criterio dellammirazione universale come garanzia della qualit di
unopera darte 42.
Lo spazio a nostra disposizione non ci permette di approfondire n
queste n altre, pur importanti, analogie. Avere rintracciato la presenza
della poetica e della retorica classiche nella rivalutazione dubosiana
dellemozione dovrebbe comunque aiutarci a comprendere quale contributo Rflexions abbiano portato alla riscoperta degli antecedenti
antichi del pensiero moderno.

1
G. Morpurgo-Tagliabue, Demetrio: dello stile, Roma 1980, p. 180. Per la nozione di
deintes: Demetrio, Lo Stile, a cura di G. Lombardo, Palermo 1999, passim.
2 J. B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, a cura di M. Mazzocut-Mis
e P. Vincenzi, trad. it di M. Bellini e P. Vincenzi, prefazione di E. Franzini, cura delle fonti antiche di M. Gioseffi, consulenza musicale di C. Serra, uniformazione editoriale di F. Orabona, Palermo 2005, p. 37.
3
Ibid.
4 Lucr. 2.1-13. Du Bos cita solo i vv.1-2 e i vv.5-6. Vedi: J. B. Du Bos, Riflessioni etc.
cit. (qui supra nota 2), I.2, pp. 40-41. Per la metafora del naufragio con spettatore: H. Blumenberg, Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dellesistenza, trad. it. di Fr. Rigotti e B. Argenton, introd. di R. Bodei, Bologna 1985 [ed. or.: Frankfurt 1979].
5 G. Morpurgo-Tagliabue, Il concetto di gusto nellInghilterra del Settecento, in Id., Il

30

gusto nellestetica del Settecento, (Aesthetica Preprint, Suppl. 11), Palermo 2002, pp. 129209; per la frase cit. p. 159.
6 Cos B. Saint Girons, Esthtiques du XVIIIe sicle. Le modle franais, Paris 1990, p. 22.
7 Ibid. Ma vedasi anche: A. Lombard, LAbb Du Bos: un initiateur de la pense moderne
(1670-1742), Paris 1913, p. 206.
8 E. Franzini, Jean Baptiste Du Bos e la genesi dellestetica moderna, in: J. B. Du Bos,
Riflessioni etc. cit. (qui supra nota 2), pp. 11-30; la cit. a p. 27.
9
Ibid.
10 Ivi, p. 23.
11 M. Fumaroli, Le Api e i Ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni, trad. it. di Gr.
Cillario e M. Scotti, Milano 2005 [ed. or.: Paris 2001], p. 204.
12 Ibid. Al riguardo leggasi anche E. Fubini, Empirismo e classicismo. Saggio sul Dubos,
Torino 1965, p. 126: Il Dubos difende gli antichi capovolgendo i presupposti teorici, mal
fondati, dei tradizionali sostenitori dei classici, difende gli antichi con armi moderne e proprio in questa difesa gli si offre loccasione di mostrare la validit e la praticit della sua estetica (corsivo di Fubini).
13
Sullo stretto rapporto tra la retorica e la critica letteraria nellantichit classica: C. J.
Classen, Rhetoric and Literary Criticism: their Nature and their Function in Antiquity, Mnemosyne, 5, 1995, pp. 513-35.
14
B. Munteano, LAbb Du Bos esthticien de la persuasion passionnelle, Revue de Littrature Compare, 3, 1956, p. 318-40 (la cit. a p. 324). Ma vedasi anche, dello stesso B.
Munteano, Les prmisses rhtoriques du systme de lAbb Du Bos, Rivista di Letterature Moderne e Comparate, gennaio-marzo 1957.
15 Cos E. Fubini, Empirismo e classicismo, cit. (qui supra, nota 12), p. 148.
16 B. Munteano, LAbb Du Bos etc., cit. (qui supra, nota 14), p. 324.
17
Ivi, p. 325.
18 M. Fumaroli, Le Api e i Ragni, cit. (supra nota 11), p. 203.
19 Al riguardo: M. von Albrecht, Storia della letteratura latina. Da Livio Andronico a
Boezio, trad. it. di A. Setaioli, Torino 1995-1996, vol. I, pp. 14-15.
20 Vedasi Auct. de sublim. 14.1-3. Per un commento a questo passo: Ps. Longino, Il Sublime, a cura di G. Lombardo, Palermo 19922, p. 43 e pp. 45-46. Pi in generale, sullantica poetica dellmulatio: G. Lombardo, Unantica metafora dellintertestualit: la Pietra di
Eraclea (Plato, Ion 533d-e; 535e-536b), Helikon, 31-32, 1991-1992, pp. 201-43.
21 K. Maurer, Boileaus bersetzung der Schrift Peri hypsous als Text des franzsischen 17.
Jahrhunderts, in: H. Flashar, (d.), Le Classicisme Rome aux Iers sicles avant et aprs J.C.
(Fond. Hardt, Entr. sur lAntiquit Classique, 25), Vandoeuvres-Genve 1979, pp. 213-57
(Discussion: pp. 258-61); la nostra cit. a p. 261.
22
B. Munteano, LAbb Du Bos etc., cit. (qui supra, nota 14), p. 327 (c.vo dellA.).
23 Sullorigine questo appellativo: A. Lombard, LAbb Du Bos etc., cit. (supra nota 7), p.
190.
24
Vedi qui supra nota 18.
25 Per il silver-gilt style di Quintiliano vedasi: Quintilian, Training of an Orator, trans. by
H. E. Butler, Cambridge- London, 1921-1922, p. IX; G. M. A. Grube, The Greek and Roman
Critics, London 1965, p. 287.
26 M. von Albrecht, Storia della lett. lat., cit. (supra, p. 11, nota 33), vol. II, pp. 1261-62.
27 Per i riferimenti vergiliani del passo: Verg. Aen. 9.476, 11.40, 11.89, 10.782.
28
Al riguardo: R. W. Lee, Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, trad. it. di
C. Blasi Foglietti, Firenze 1974 [ed. or.: New York 1967]; J. H. Hagstrum, The Sister Arts.
The Tradition of Literary Pictorialism and English Poetry from Dryden to Gray, Chicago and
London 1958, pp. 57-92.
29 R. W. Lee, Ut pictura poesis, test cit., p. 8.
30 Ripeto qui unosservazione di C. O. Brink, Horace On Poetry. The Ars Poetica, Cambridge 1971, pp. 368-72.
31 J. H. Hagstrum, The Sister Arts, cit. (qui supra nota 28), p. 9.
32 A. Lombard, LAbb Du Bos etc., cit. (supra nota 7), p. 211.
33
R. W. Lee, Ut pictura poesis, cit. (supra nota 28), p. 100.
34 Fnelon, Dialogues sur lloquence, in Id., uvres, d. par J. Lebrun, Paris 1983, II, p.
689.
35
Losservazione di A. Michel, La parole et la beaut. Rhtorique et esthtique dans la

31

tradition occidentale, Paris 19942, p. 292: il faut toucher et, pour toucher, il faut peindre.
36
J. B. Du Bos, Riflessioni etc. cit. (qui supra nota 2), II.1, pp. 195-96.
37 Cos appunto si legge nel passo poco sopra riportato: J. B. Du Bos, Riflessioni etc. cit.
(qui supra nota 2), II.1, p. 195.
38
Per tutta questa problematica, vedasi il cap. aristotelico di G. Lombardo, Lestetica
antica, Bologna 2002, pp. 85-133.
39 J. B. Du Bos, Riflessioni etc. cit. (qui supra nota 2), II.1, p. 195.
40
J. B. Du Bos, Riflessioni etc. cit. (qui supra nota 2), I.28, pp. 111-13: per cui cfr. Aristot. Poet. 24.9, 1459a 30, 24.7, 1460a 15, 25.14, 1561b 10.
41 J. B. Du Bos, Riflessioni etc. cit. (qui supra nota 2), II.1, pp. 195-96: per cui cfr. Hor.
ad Pis. 347-65, Auct. de sublim. 33.2, 34.1-4. Ma vedi anche Sen. ep. 114.12: nullum sine
venia placuit ingenium.
42 J. B. Du Bos, Riflessioni etc. cit. (qui supra nota 2), II.38; p. 66; per cui si legga Auct.
de sublim. 7.4.

32

Du Bos e le arti visive degli Antichi e dei Moderni


di Giuseppe Pucci

La sezione XXXVIII della Parte prima delle Rflexions si apre con la


presa datto che i poeti francesi moderni sono irrimediabilmente inferiori ai poeti latini. Non tutta colpa loro, certo: la lingua in cui si devono esprimere non tutti ne convengono comparabile per bellezza a quella degli antichi Romani. I pittori moderni, invece, non hanno
questo handicap: i colori e gli strumenti della loro arte sono rimasti
sostanzialmente gli stessi di quelli in uso nellantichit. Per in questo
caso il confronto risulta meno agevole, perch le opere dei migliori
pittori greci non ci sono pervenute, e quelle poche di et romana che
conosciamo non sembrano attribuibili ad artisti di primo piano. In
queste condizioni difficile dice subito Du Bos formulare un giudizio equo. E pur tuttavia non se ne esime.
Per cominciare, egli d per scontato che gli scultori antichi non
sono stati superati dai moderni. A differenza di quanto accade con la
pittura, sono arrivati fino a noi i capolavori greci. Tra questi ci sono
quelli che Plinio descrive per averli visti a Roma, dove erano stati trasportati come preda di guerra. E taglia corto Du Bos non ho sentito mai preferire il Mos di Michelangelo al Laocoonte del Belvedere.
Potrebbe darsi in teoria concede il nostro che la pittura antica
fosse rimasta indietro rispetto alla scultura; ma pur vero che Du Bos
si trova a scrivere in unepoca in cui il paragone delle arti era stato da
tempo risolto in favore della pittura, e dunque in pratica ritiene pi
probabile il contrario. Ora, se gli antichi sono superiori ai moderni
nella scultura, a fortiori lo devono essere nella pittura.
Fatta questa pregiudiziale apertura di credito agli antichi, Du Bos
cerca di verificarla con argomentazioni estetologiche, lasciando da parte lerudizione. Nonostante la sua ammirazione per gli antichi, infatti,
Du Bos non un antiquario 1, e non nasconde il fastidio per chi come
lo Junius si accontentato dice di mettere insieme tutti i passi
degli autori antichi in materia di pittura e li ha commentati en philologue, senza spiegarli attraverso la pratica dellarte e addirittura senza
metterli in relazione con i frammenti antichi rimastici.
I pittori dellantichit vanno giudicati per Du Bos, per quanto possibile, in base a tre criteri: la composizione, lespressione e il colorito.
33

Ora, va detto che la composizione si distingue per Du Bos in composizione poetica e composizione pittorica. unarticolazione innovativa, nella quale Rennselaer Lee vede addirittura la dissoluzione delleredit umanistica e linizio delle idee estetiche moderne.
Ebbene, in fatto di composizione pittorica (vale a dire di effetto di
armonia generale nellinvenzione e nella disposizione degli elementi
del quadro) si deve riconoscere che a giudicare dai bassorilievi e
dalle pitture rimaste gli antichi non sembrano affatto superiori a Raffaello, Rubens e altri grandi moderni (per non parlare della scarsa conoscenza della prospettiva).
Diverso il discorso sulla composizione poetica, vale a dire sulla
composizione funzionale allespressione drammatica. Sono troppe e
troppo circostanziate le testimonianze degli scrittori antichi per dubitare che i pittori antichi fossero perfettamente capaci di rendere con
tratti e colori i moti dellanimo. Si va da Aristide di Tebe, che nel raffigurare, allinterno di una scena di assedio, una madre ferita a morte
mentre allattava il figlioletto, seppe esprimere lo sgomento per la propria sorte e insieme lamorevole apprensione per il destino della sua
creatura; a Timomaco, che fu capace di rendere la battaglia di contrastanti sentimenti nel cuore di Medea che si appressa ai figli per ucciderli; a Zeusi, che nella Famiglia di Centauri lasci trasparire la natura
mista insieme umana e ferina delle passioni di quelle ibride creature, e via di questo passo.
Per quanto riguarda lespressione, poi, Du Bos ripropone il postulato dellesordio: non pensabile che i pittori fossero da meno di quegli scultori che avevano concepito Laocoonte e i suoi figli, lArrotino, il
Gladiatore morente, Papirio e sua madre 2.
Infine il problema del colorito. Problema per la cui soluzione non
basta certo, secondo Du Bos, lesame delle Nozze Aldobrandini (la pittura
antica pi celebrata allepoca della stesura delle Rflexions) e dei pochi
altri frustuli, tutti peraltro di et romana. Tutto quello che si pu dire
che il fatto di non conoscere la pittura a olio non precludeva a priori agli
antichi la possibilit di essere buoni coloristi. Invece quello che dicono
gli scrittori antichi sulla padronanza del chiaroscuro porta a ritenere che
i pittori antichi eguagliassero in questo i pi grandi pittori moderni.
La conclusione di Du Bos che gli antichi vanno considerati pari
ai migliori moderni per quanto riguarda la composizione poetica,
lespressione, il chiaroscuro, oltre che, naturalmente, per il disegno.
Sul colorito non possibile pronunciarsi, mentre per quanto riguarda
la composizione pittorica essi appaiono, sempre per quanto se ne pu
giudicare, inferiori ai moderni. Una sorta di compromesso, insomma,
tra le opposte fazioni della Querelle, per la quale Du Bos non ha peraltro un eccessivo interesse.
Non si pu non osservare che la posizione su cui egli finisce per
34

attestarsi si avvicina per molti versi a quella di un altro autore, da lui


poco citato, ma al quale deve invece molto: Roger de Piles.
Anche De Piles, per quanto propenda per i moderni, riconosce agli
antichi, mutuando la formula resa celebre da Bouhours, un je ne sais
quoi de grand, e pur insistendo sulla perdita degli originali, concede
generoso credito alle fonti letterarie. Per De Piles era il colorito il primo e pi importante criterio con cui andava giudicata la pittura, e se
da una parte lassenza di significativi originali antichi lo consiglia a
evitare su questo punto i confronti con i moderni, proprio come far
Du Bos, dallaltra non si perita di accettare per buone le testimonianze
degli scrittori antichi sulleccellenza di Zeusi come colorista. Quanto
alle Nozze Aldobrandini il suo giudizio ancora pi severo di quello di
Du Bos, ma per il resto anche lui riconosce ai pittori antichi correttezza di forme, purezza ed eleganza di contorni, nobilt di espressione e
buona scelta (bon choix), un concetto, questultimo, che non estraneo a quello dubosiano di composizione pittorica.
De Piles, infine, precede Du Bos nel postulare una correlazione tra
la qualit della pittura antica nonostante che per essa abbiamo in
pratica solo la parola degli antichi stessi e quella della scultura, che
invece possiamo giudicare da noi (anche se la pittura resta comunque
superiore in virt del suo specifico, che per De Piles il colorito).
Linfluenza di De Piles su Du Bos risulta ancora maggiore se dal
confronto antichi-moderni passiamo a considere globalmente il rapporto tra arti visive e arti della parola. Quando Du Bos, per esempio,
afferma che in poesia lespressione che colpisce il sesto senso, mentre
in pittura il colorito, certamente a De Piles che si rif.
Du Bos, come noto, sostiene che la pittura agisce su di noi pi in
maniera pi forte di quanto non faccia la poesia. E di questo fatto d
due spiegazioni: la prima che la pittura opera per mezzo della vista,
e la vista ha pi presa degli altri sensi. la spiegazione tradizionale,
che gi dava Orazio nellArs poetica: locchio pi vicino allanima
dellorecchio. La seconda spiegazione, non altrettanto scontata, che
la pittura impiega segni naturali, mentre la poesia fa uso di segni artificiali. Ora, i segni naturali hanno un effetto immediato, in quanto
mettono sotto i nostri occhi la natura stessa; i segni artificiali esercitano invece unazione indiretta, in quanto le parole non solo vengono
una dopo laltra, ma devono prima richiamare le idee, di cui non sono
che segni arbitrari, e successivamente le idee si devono disporre a formare le immagini che ci commuovono e ci attraggono. Insomma la
poesia mette in moto le molle della nostra macchina secondo unaudace immagine di Du Bos una dopo laltra. E di molla in molla
una legge della fisica la potenza dellimpulso iniziale progressivamente si affievolisce. Se la tragedia recitata in teatro commuove pi della
pittura, proprio perch si aiuta con la vista, come se contenesse un
35

gran numero di quadri. Paradossalmente, la percezione visiva risulta


importante anche per la musica antica, nella misura in cui in essa il
movimento aveva un ruolo fondamentale. Per gli antichi, ricorda Du
Bos, la saltatio non si riduceva a ci che noi moderni oggi chiamiamo
danza, ma comprendeva larte del gesto in senso lato, la quale era parte integrante dellesecuzione musicale, insieme allarte di suonare gli
strumenti e del cantare. La padronanza del formulario gestuale consentiva, come nella pantomima, di rendere comprensibile lazione, di
esprimere i sentimenti senza parole (vedi anche la danza muta di Davide davanti allArca dellAlleanza). Anche la performance musicale
antica, quindi, ha una componente visuale che rende possibile, come
in pittura, una comunicazione immediata attraverso segni naturali.
Ho riassunto, a grandissime linee, quello che Todorov ha chiamato, sottolineandone loriginalit, il progetto di tipologia semiotica delle arti di Du Bos (che, ricordiamolo, precede di cinquantanni il Laocoonte di Lessing). Tuttavia, per quanto originale, un tale progetto si
innesta in larga misura proprio sulle argomentazioni di De Piles.
Gi dal 1688, in fatti, con le Observations alla traduzione francese
del De arte graphica del Dufresnoy, De Piles inverte la tradizionale gerarchia tra poesia e pittura, e lo fa sulla base della superiorit tanto estetica che comunicativa della pittura. Non solo, quindi, per la consueta
preminenza dellocchio sullorecchio, e per il privilegio di creare come
Dio forme armoniose, ma anche in virt della maggiore forza illusionistica della pittura, dovuta al fatto che i significanti di questultima sono
segni naturali, mentre quelli della poesia non lo sono. De Piles, in altre
parole, sposta il discorso sul paragone tra le arti dal piano puramente
percettivo a quello semiotico. Le parole, egli dice, sono segni arbitrari,
senza la verit e lesattezza dei significanti della pittura. Du Bos ribadir
questo concetto, come anche quello della maggiore capacit di comunicazione della pittura, che, proprio perch fa uso di segni naturali, di
comprensione universale. De Piles era giunto a paragonare il linguaggio
della pittura al dono fatto dallo Spirito Santo agli apostoli nella Pentecoste, e, indirettamente, altrettanto aveva fatto, solo pochi anni prima
del Du Bos, Jonathan Richardson padre, propagatore delle idee di De
Piles in Inghilterra, nel saggio Sulla teoria della pittura, del 1715.
Posizioni del genere si rifanno ovviamente alla grande utopia seicentesca della pansofia, della lingua perfetta delle immagini, che produsse, fra le altre, due opere grandiose, diverse fra loro ma per molti
versi complementari, come ldipus gyptiacus di Atanasio Kircher e
lOrbis pictus di Jan Amos Comenius (1658). In Du Bos si avverte poi
sicuramente anche linfluenza di Locke. Ma se vogliamo andare ancora
pi indietro, allora dobbiamo dire con Rennslaer Lee che Du Bos
del tutto leonardesco. Egli riecheggia infatti la famosa osservazione di
Leonardo secondo cui la pittura sta alla poesia come un corpo alla sua
36

ombra, perch la poesia pone le sue cose nella immaginazione di lettere, e la pittura le d realmente fuori dellocchio [...] non altrimenti
che selle fossero naturali ; e mentre le opere dei poeti spesse sono
le volte che non le sono intese [...] lopera del pittore immediate
compresa da suoi risguardatori.
La pittura ha anche un altro vantaggio rispetto alla poesia: il pittore pu dire tutte insieme le cose che il poeta deve esporre una dopo
laltra, col rischio di annoiare. Per esempio, il pittore pu efficacemente rendere una folla partecipe di unazione, mentre in poesia una folla di personaggi non essenziali allazione fredda alleccesso.
Eppure, nonostante la maggiore forza comunicativa, la arti visive hanno per Du Bos come lavranno poi notoriamente per Lessing un
limite oggettivo rispetto alle arti della parola: non possono rappresentare
la durata delle azioni, lo svolgimento di queste nel tempo. Il pittore o lo
scultore costretto a immobilizzare la porzione della realt che ci vuol
mostrare in un istante (quello che Lessing chiamer pregnante, o fecondo). E dato che pu rappresentare una sola volta i suoi personaggi, anche
per quanto riguarda i sentimenti ne pu esprimere uno alla volta. A lui
negato quello che Du Bos chiama il sublime de rapport, cio leffetto
che deriva dal contrasto drammatico con quanto precede il momento
culminante, o dalla preparazione di questultimo attraverso un climax.
Questo handicap della pittura si manifesta esemplarmente per Du
Bos in un quadro di Poussin, La morte di Germanico (1623, Minneapolis, Institute of Arts). Gli accademici seicenteschi, Poussin e Lebrun
in testa, non avevano dubbi sul come si potessero esprimere la passioni
in pittura: col gesto, la posa e la fisionomia del volto.

37

Ora, Du Bos espone con ammirazione e compiacimento il modo in cui


Poussin iscrive nei diversi visi i segni cumulativi e reciprocamente rinforzantisi del dolore, in modo che ogni aspetto di esso si offre allo
spettatore nellistante della percezione; ma se da un lato il pittore
riuscito a mostrare le varie forme e i vari gradi di afflizione dei 15
personaggi che contornano il principe morente, fino al dolore indicibile
di Agrippina (per il quale ricorso allo stesso espediente del capo velato gi impiegato da Timante nel celebre Sacrificio di Ifigenia), dallal-

tro non ha potuto penetrare la complessit degli intimi sentimenti del


protagonista. Non ha potuto fargli dire ci che avrebbe potuto fargli
dire un poeta. Per esempio: avrei il diritto di lamentarmi per una morte
cos prematura, anche se fosse per cause naturali, ma muoio avvelenato:
sta a voi vendicarmi, con ogni mezzo, nessuno ve ne far una colpa.
possibile cogliere qui almeno a mio modo di vedere una duplice contraddizione di Du Bos. La prima che egli non concede in
questo caso a Poussin quello che pronto a concedere sulla fiducia ai
pittori antichi. La seconda, pi rilevante, che Du Bos stesso, in una
sezione precedente delle Rflexions, la VI, aveva di fatto riconosciuto
questa capacit a Poussin a proposito di una sua altra opera, I pastori dArcadia. Du Bos si serve di questo quadro per illustrare la sua tesi
secondo cui i pittori intelligenti non dipingono mai paesaggi privi di
figure, che risulterebbero di scarso interesse, ma vi introducono di
solito figure che pensano, uomini agitati da passioni, per risvegliare le
38

nostre e per coinvolgerci in quel turbamento. C per un problema,


perch il quadro che Du Bos analizza non corrisponde esattamente a
quanto vediamo nel dipinto oggi a Chatsworth (I pastori dArcadia,
1629-30) n tantomeno allaltra versione che Poussin dipinse qualche
anno dopo (1638-39), e che oggi esposta al Louvre. Verrebbe quasi da pensare che Du Bos descriva un quadro oggi perduto 3.

39

Comunque, nel quadro che Du Bos descrive ci sono due coppie di


giovani inghirlandati, due ragazzi e due ragazze (mentre qui c una
sola ragazza e tre uomini, di cui uno un vecchio: una divinit fluviale) che scoprono in un paesaggio idillico la tomba di una giovane
morta nel fiore degli anni, come si deduce dalla statua distesa sulla
tomba (mentre qui sulla tomba c solo un teschio). Liscrizione sulla
tomba (la celebre quanto controversa formula Et in Arcadia ego) intesa da Du Bos come riferita alla defunta: Eppure vivevo in Arcadia!
Ora, questa scoperta da parte delle due coppie, che erano venute in
quei luoghi con piacevoli pensieri, se non come tra le righe implica
Du Bos pensando di darsi ai piaceri, provoca in loro un brusco cambiamento: Sui loro visi appare attraverso la tristezza che subentra, il
riflesso di una gioia che si spegne. Immaginiamo di udire le riflessioni di quei giovani sulla morte, che non risparmia n let n la bellezza
e contro la quale neanche i climi pi felici offrono riparo. Ci figuriamo cosa essi possano dirsi di commovente dopo essersi ripresi dalla
sorpresa.... Insomma Poussin in grado in questopera di raccontare le emozioni di momenti diversi che si susseguono; in grado di
toccare quel sublime de rapport che altrove Du Bos nega alla pittura;
in grado di esprimere e di trasmettere, nellunico istante fissato sulla
tela, il dialogo interiore dei personaggi, le loro riflessioni, il conseguente mutamento di stato danimo dalla gioia e dal desiderio alla compassione e alla malinconia.
Perch allora in generale Du Bos sostiene che la pittura non pu
esprimere compiutamente le emozioni che hanno per teatro la coscienza?
Credo si possa rispondere che questo atteggiamento di Du Bos deriva in parte dal fatto che il suo sistema, fondato sul sensualismo
lockiano, esclude la ragione analitica nellarte (pi tardi Baudelaire
avrebbe detto: la pittura suggerisce i sentimenti, ma il ragionamento e
la deduzione appartengono al libro).
In questa prospettiva si comprende anche la diffidenza che Du Bos
ha per lallegoria, che diventa netto rifiuto nel caso delle allegorie di
invenzione moderna. Sono dei messaggi cifrati, dice, di cui nessuno ha
la chiave e anzi in pochi la cercano. Du Bos reagisce con forza agli intellettualismi di quanti, artisti o critici, cartesianamente volevano fare
dellarte una funzione della ragione. Cos la sua censura colpisce anche
un capolavoro di Rubens, quale lArrivo di Maria de Medici a Marsiglia (1622-25, Parigi, Louvre), nonostante che il maestro fiammingo sia
in generale uno degli artisti pi apprezzati dal nostro, soprattutto in
fatto di colorito e di composizione poetica.

40

Queste qualit che Du Bos antepone chiaramente a ogni altra


nella valutazione della pittura sono anche quelle che vanno ricercate
nella scultura. La sezione L della Parte prima esplicita nel giudicare
eccellenti quegli scultori che sono stati capaci dei pi nobili procedimenti pittorici, senza distinzione tra antichi e moderni. Cos vediamo
citati in sequenza il gruppo dei Niobidi, unopera ellenistica che contava non meno di 14 statue unite in una medesima azione, e che infatti
fu pi volte trasposta in pittura dai moderni, il Pasquino, la Tomba di
Richelieu e il Ratto di Proserpina di Girardon, la Fontana dei Quattro
Fiumi e lEstasi di S. Teresa del Bernini, il bassorilevo dellAlgardi con
41

Papa Leone I che ferma Attila. Si tratta in effetti di composizioni di


ampio respiro, caratterizzate da uno spiccato pittoricismo e da un sapiente, talora virtuosistico, uso del chiaroscuro che ottiene anche dal
marmo o dal bronzo raffinati effetti coloristici.
Invece per quanto riguarda i rilievi, torna il giudizio negativo su
quelli antichi gi formulato alla sezione XXXVIII. Vale la pena ricordarlo, perch questa presa di posizione innesc nel secondo Settecento
una vivace polemica, che vide, fra gli altri, uno scultore e teorico come
Falconet decisamente allineato con Du Bos nel sostenere la superiorit
del rilievo moderno su quello degli antichi.
Eppure, nella II riflessione della Parte seconda Du Bos concede
che Raffello e i suoi contemporanei seppero trarre grande vantaggio
sia dalle dalle statue che dai bassorilievi antichi che copiarono assiduamente. Come mai allora la domanda che da questa osservazione legittimamente scaturisce i loro predecessori non avevano saputo farne
lo stesso buon uso? La risposta viene da una pi vasta argomentazione
di Du Bos, secondo cui larte in qualche modo facit saltus, ossia raggiunge allimprovviso dei risultati altissimi, spesso in pi ambienti contemporaneamente, indipendentemente dalle cosiddette cause morali:
non esiste, cio, una relazione causale in senso stretto tra la pace, la
prosperit, il favore di sovrani e patroni, lesistenza di accademie, ecc.,
e lo straordinario progresso delle arti che si produce in certe epoche
storiche. Allo stesso modo, non bastano le cause morali a render conto
della decadenza. Lo dimostra per Du Bos la storia dellintera Europa
moderna, dal Rinascimento ai suoi giorni.
Non questo il luogo per entrare nei dettagli di questa tesi. Va
sottolineato per che in riferimento allarte antica essa porta il nostro
autore a delineare un abbozzo di storia dellarte romana con forti elementi di novit. La prima novit appunto quella che si parli di arte
romana, e non di arte antica in generale o, come far Winckelmann
ancora nel 1765, di arte greca sotto i Romani. Poi Du Bos sostiene che
la decadenza dellarte romana si manifesta non gi con le invasioni dei
barbari ma sotto i Severi, ossia pi di duecento anni prima del sacco
di Alarico; e anzi che le radici di questa decadenza affondano in quel
secolo aureo degli Antonini che dal punto di vista politico ed economico costitu lacm di tutto limpero. Per apprezzare loriginalit di
Du Bos baster dire che lidea di una crisi dellarte romana che si manifesta a partire dalla Colonna di Marco Aurelio (eretta sotto Commodo) torner a essere affacciata nella storia dellarte antica solo nel secolo scorso, da Ranuccio Bianchi Bandinelli.
Nella III riflessione, infine, Du Bos sostiene che non solo i pi grandi pittori e scultori vivono di solito tutti quanti entro lo stesso periodo, anche se in luoghi geografici diversi, ma sono anche sempre contemporanei dei grandi poeti loro compatrioti. Il secolo di Augusto ebbe
42

la stessa sorte del secolo di Platone, quello in cui vissero, fra gli altri,
Apelle e Prassitele, Euripide e Aristofane, A cavallo dellera volgare,
quando vissero Virgilio e Orazio, Properzio e Tibullo, si ebbero anche
eccellenti opere di scultura e di architettura (e qui Du Bos dispiega la
sua dottrina antiquaria, citando a supporto una quantit di opere note
e meno note).
Partito dal paragone tra arti figurative e letteratura, Du Bos approda dunque al parallelo delle arti sorelle. Ma se la sincronia nel prodursi di certi fenomeni, che gi gli antichi avevano rilevato (Du Bos riprende in proposito, adattandolo, un passo di Velleio Patercolo), gli
appare chiara, le ragioni di ci ammette con sincerit non lo sono
altrettanto. Du Bos ritiene tuttavia che la risposta al perch ci siano
dei secolo illustri e dei secoli di stagnazione o di decadenza nelle arti,
vada cercata in buona misura nellinfluenza climatica.
Ora, lidea che esista una correlazione tra clima e indole dei popoli,
non certo nuova (si trova gi nei testi di medicina greca), e in questo senso facile per Du Bos argomentare che esistono aree geografiche naturalmente pi favorevoli di altre alle belle arti. Pi difficile
spiegare perch allinterno delle stesse aree si registri storicamente
unalternanza di periodi di progresso e periodi di decadenza. Du Bos
ipotizza che le emanazioni della terra, che un corpo misto in cui si
producono continui fermenti, non possono essere sempre esattamente
della stessa natura in una certa regione [e] la differenza tra due generazioni di abitanti dello stesso paese si avr per lo stesso motivo per il
quale gli anni non sono ugualmente temperati e i frutti di un raccolto
sono migliori dei frutti di un altro raccolto. Insomma, come si attribuisce la differenza del carattere dei popoli alle differenti qualit dellaria dei loro paesi, allo stesso modo bisogna attribuire ai mutamenti
che sopraggiungono nelle qualit dellaria di un certo paese le variazioni che si verificano nei costumi e nel genio dei suoi abitanti.
Questa spiegazione, basata interamente su cause naturali, pu apparire, per il suo marcato determinismo, poco convincente a un lettore di
oggi; ma allo stesso tempo ci ricorda che le Rflexions non vanno lette come un sistematico trattato di filosofia delle belle arti ma come lindagine di una mente brillante assai poco tentata da suggestioni idealistiche, e curiosa invece di quella molteplicit di saperi che di l a poco
avrebbe trovato nellEncyclopdie il proprio monumentale inventario.

Bibliografia
Su Du Bos e le arti visive: Saisselin R., Ut pictura poesis: DuBos to Diderot,
in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 20, 2 (1961), 145-56; Lee R.,
Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, Sansoni, Firenze 1974 (ed.

43

orig. Merton and Co., New York 1967); Rudowski V. A., The Theory of Signs in
the Eighteenth Century, in Journal of the History of Ideas, 35, 3, 1974, pp.
683-90; Alderson S., Ut pictura poesis and its discontent in the late seventeenth- and early eighteenth-century England and France, in Word & Image, II, 3
(1995), pp. 256-63; Kavanagh Th.M., Esthetics of the Moment. Literature and art
in the French Enlightenment, University of Pennsylvania Press, Philadelphia
1996, pp. 148-63; ONeal J. C., Changing Minds. The shifting perception of culture in eighteenth-century France, Delaware, Newark-London 2002, pp. 25-45.
Sullinfluenza di De Piles su Du Bos: Teyssdre, B., Roger de Piles et les
dbats sur le coloris au sicle de Louis XIv, Bibliothque des Arts, Paris 1957;
Rubin J. H., Roger de Piles and Antiquity, in The Journal of Aesthetics and Art
Criticism, 34, 2 (1975), pp. 157-63; Puttfarken, Th., Roger de Piles Theory of
Art, Yale U. P., New Haven and London, 1985.
Sulla teoria climatica: Koller A. H., The Abb Du Bos. His Advocacy of the
Theory of Climate: A Precursor of Johann Gottfried Herder, The Garrand Press,
Champaign, 1937; Gates W. E., The Spread of Ibn Khaldun Ideas on Climate
and Culture, in Journal of the History of Ideas, 28,3, 1967, pp. 415-22.
Su Du Bos e Winckelmann: Woodfield R., Winckelmann and the Abb Du
Bos, in British Journal of Aesthetics, 13, 3 (1973), pp. 271-75.

1
Il primo impatto con le antichit di Roma, nel 1700, era stato perfino deludente, come
confess per lettera allamico Abb Feuquires.
2 Du Bos si riferisce a queste opere con i nomi sotto cui andavano allepoca: lArrotino
degli Uffizi stato successivamente riconosciuto come lo Scita del gruppo ellenistico del
Supplizio di Marsia; il Gladiatore morente del Museo Capitolino un Galata morente, copia
del donario pergameno di Attalo I; il gruppo di Papirio e sua madre, gi nella Collezione
Ludovisi e oggi al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, firmato da Menelaos,
allievo di Pasiteles (I sec.) e rappresenta pi probabilmente Oreste ed Elettra.
3 Tra laltro, Dubos afferma che Poussin avrebbe dipinto questo soggetto plusieurs fois,
espressione che meglio si interebbe se riferita a pi di due quadri con lo stesso soggetto.

44

Du Bos fra retorica e antropologia:


Huarte de San Juan e Franois Lamy
di Salvatore Tedesco

La presenza della retorica nel pensiero e nella pagina di Du Bos


un dato cos macroscopico da esser stato unanimamente riconosciuto
dai lettori delle Rflexions critiques 1; dallabate Le Blanc, 1747, alla
monografia di Lombard, 1913, ai lavori fondamentali di Munteano
degli anni cinquanta, sino al recente saggio di Fumaroli sulla Querelle, Du Bos vale come il Quintiliano di Francia 2. Soprattutto qualora
si veda nel nostro autore uno dei protagonisti del pensiero estetico del
Settecento come credo sia inevitabile oggi, anche grazie alledizione
italiana da cui muovono i nostri lavori un cos condiviso riconoscimento non elimina tuttavia il rischio di intendere la retorica in Du Bos
come un portato tradizionale, decisivo forse, ma infine in se stesso
inerte, e tendenzialmente riassorbito o messo fra parentesi dalla nuova sensibilit estetica.
Non mi addentrer pi di tanto nelle articolazioni materiali della
retorica di Du Bos: vorrei piuttosto provare a mostrare per quali ragioni e in che modi, a mio avviso, ben lungi dal costituire un semplice
dato, nellopera di Du Bos la retorica va incontro a una vera e propria rifondazione, cio a una rideterminazione complessiva della sua
ragion dessere e della sua funzione allinterno del nascente sistema
estetico. Se per un verso ci potrebbe condurre a porre il nostro autore in una costellazione di cui, in modi diversissimi, fanno parte altri
grandi retori cui si deve un impulso fondamentale alla coscienza
estetica moderna, da Vico a Baumgarten sino a Schiller 3; per laltro
verso ci ci porterebbe poi a intravedere relazioni credo significative
fra il ripensamento della funzione sistematica della retorica nelle relazioni complessive dei saperi moderni e la nascita di quel punto di vista pi generale che corrisponde allestetica.
lo stesso Du Bos, sin dalle prime pagine della sua opera, a guidarci a scorgere in unantropologia a forte caratterizzazione fisiologica e climatologica il punto di vista da cui considerare la funzione dellarte, con ci intendendo la funzione delle arti sorelle poesia e pittura
ma pi in generale ancora individuando una funzione estetica della
produttivit delluomo artisan 4.
In questottica, il tema della noia quale origine delle arti tema
45

pascaliano e quantaltro, destinato ancora a lunga fortuna nel settecento francese non figura in Du Bos, a ben vedere, che al fine di mettere in chiaro, nellessenziale, la distinzione, direi il vero e proprio discrimine antropologico, fra due modi di porre rimedio alla noia stessa: lanimo umano, dice Dubos, pu tenersi occupato solo in due
modi: o abbandonandosi alle impressioni che gli oggetti esterni esercitano su di esso, e questo si chiama sentire; oppure intrattenendosi
con speculazioni su materie utili e curiose, e questo si chiama riflettere
e meditare 5. Queste considerazioni, sviluppate da Du Bos nel primo
capitolo della prima parte delle Riflessioni critiche, meritano particolare attenzione, dal momento che propongono in certo modo la griglia
su cui si articoler buona parte dellopera. E allora vediamo come in
questa contrapposizione fra sentire e meditare, direi fra unantropologia e unestetica delluomo che sente e una delluomo che medita, si
innesti il riferimento alle due fonti che vorrei tener particolarmente
presenti: Huarte de San Juan e Franois Lamy. Riferimenti qui entrambi impliciti, ma credo assolutamente trasparenti: dice infatti Du
Bos che il secondo genere di occupazione, cio la meditazione, risulta penoso e a volte perfino impossibile [] specialmente quando
oggetto delle riflessioni non un sentimento attuale o recente 6.
Gli sforzi di concentrazione, spiega quindi Du Bos, risulteranno in
tal caso spesso sterili per nessun altro motivo che per la stessa disposizione degli organi del cervello, cui da riportare unimmaginazione troppo accesa o la vana e infine stancante tensione della mente.
Queste parole fanno riferimento, come era sin troppo evidente per il
lettore contemporaneo, alla fisiologia sottesa al celeberrimo Examen
de Ingenios di Huarte de San Juan, lopera del celebre converso che,
dopo la prima edizione spagnola del 1575, aveva conosciuto una traduzione in latino e almeno una decina di edizioni in svariate lingue
moderne (due in italiano gi nel primo quindicennio dalla comparsa
dellopera, due francesi, svariate ristampe); a ulteriore testimonianza
dellinfluenza dellopera di Huarte baster ricordare che ancora nel
1751 uno dei primi lavori impegnativi di Lessing in campo filosofico
sar una traduzione tedesca, pi volte riedita, dellExamen 7.
Torniamo alle relazioni col nostro Du Bos: in senso pi specifico
occorrer riferirsi a quel ripensamento della teoria umorale che, in
nome di una stabile connessione fra il corpo e le differenti forme di
conoscenza, portava Huarte ad attribuire alla diversit fra gli ingegni
una precisa base fisiologica, prima ancora e piuttosto che anatomica,
pur in presenza di un modus operandi sostanzialmente unitario dei ventricoli cerebrali 8. La diversit infinita fra gli ingegni si spiegher sostanzialmente, per il medico spagnolo, sulla base della teoria umorale, innestando tuttavia nella tradizione della medicina ippocratico-galenica
gli esiti di un dibattito che attraversa la cultura umanistica rinascimen46

tale (un punto di passaggio importante in tal senso Vives) e investe


un progetto politico e pedagogico (direi per brevit: il progresso della scienza e quello dellordine sociale della monarchia assoluta) nei cui
sviluppi, come sappiamo e anche oggi abbiamo sentito, anche la riflessione del diplomatico Du Bos almeno in parte riportabile.
Unindagine circostanziata delle relazioni fra la teoria huartiana dellingegno e Du Bos, indagine che prima o poi sar necessario effettuare,
ci porterebbe tuttavia troppo lontano; mi limiter dunque a sottolineare in questo momento come la teoria degli ingegni di Huarte non si
limiti a postulare per cos dire in modo statico differenze fra costituzioni umorali e dunque fra ingegni, implicando di gi lattenzione per
le diverse circostanze legate al clima, al nutrimento, alla temperatura,
e insomma a quei fattori ambientali, che erano gi in certo modo presenti nella tradizione antica (Ippocrate nello scritto Sulle arie, acque,
luoghi) e acquisteranno un rilievo estremo nella seconda parte delle
Riflessioni critiche, che non a caso, nellambito di una ricerca sulla natura e le condizioni del genio, si aprir con lunico riferimento esplicito, ma con una massa notevolissima di rimandi impliciti, allopera di
Huarte 9, per proseguire e veniamo alla seconda fonte cui in apertura
facevo riferimento con una lunga trattazione sulle teorie climatiche
in cui gi Munteano 10, seguito da Ermanno Migliorini 11 ma direi da
pochi altri, trovava la presenza del benedettino Franois Lamy, autore di un grosso trattato De la Connoissance de soi-mesme 12; Munteano parlava a questo proposito di numerose e sorprendenti analogie nel
pensiero, nelle formulazioni, persino nei termini dei due teorici 13,
facendo poi riferimento a svariati documenti, specie epistolari, che dimostrano la profonda conoscenza di Fr. Lamy e della sua opera da
parte di Du Bos 14.
Franois Lamy nel suo trattato si propone la creazione di unantropologia (alla lettera di una scienza delluomo 15) fisiologicamente
fondata, allinterno della quale le teorie climatiche acquistano un rilievo assolutamente considerevole. Al di l delle parentele con la fantasiosa filosofia climatica di Du Bos (per riprendere la bella definizione di Maddalena Mazzocut-Mis nel suo libro sullanima degli animali 16), sono le intenzioni di Lamy a interessarci in primo luogo: labate benedettino deplora lignoranza di s e della propria natura da parte dellessere umano, che dedica la propria pur vivacissima curiosit
solo a oggetti proibiti o indegni, trascurando di indagare ci che costituisce la natura delluomo, ci che la sua essenza racchiude, ci che
significa precisamente essere uomo 17.
Lignoranza di s in cui luomo vive, tuttavia, significa per Lamy in
senso specifico ignoranza della propria costituzione psicofisica e dei
condizionamenti che essa comporta: condizionamenti dai quali deriverebbero in sostanza, con un terribile automatismo, tutte le illusioni e
47

le sregolatezze cui luomo soggiace 18. Luomo, leggiamo ancora nella


prefazione generale alla Connoissance de soi-mesme, si interessa a conoscere le maree e la loro alternanza, ma non si d pena desaminare come il suo sangue e i suoi umori sagitano e fermentano, pi o
meno, in certi tempi, causando cos violenti e improvvisi sollevamenti nelle sue passioni 19. Eppure, prosegue Lamy, nulla sarebbe tanto
a portata di mano quanto la conoscenza di s, dal momento che nulla avviene nelluomo senza essere in qualche modo avvertito e percepito, e persino nel rapporto con le cose sensibili luomo incontra piuttosto se stesso, cio la propria costituzione e la propria organizzazione fisiologica, che quelle.
Lantropologia di Lamy dunque in primo luogo un trattato di
patologia, che si propone innanzi tutto di far vedere i princip naturali e fisici di tutte queste malattie: mostrare come tutti questi movimenti sregolati si formano nel cuore, ci che ve li fa nascere, le relazioni che hanno con lo spirito e tramite lo spirito col corpo 20, nella
convinzione che senza la conoscenza delluomo, secondo il suo essere
naturale e fisico, nulla pi disagevole, seguendo il corso ordinario
delle cose, che rimediare efficacemente alle malattie dellanima, o prevenirle 21.
Se il modello di narrazione delle passioni umane quello del drglement, spietatamente meccanicista il principio di costruzione della scienza delluomo: le leggi dellunione dello spirito e del corpo
[] sono necessarie e indipendenti dalla volont 22, il che implica,
come recita il titolo di un capitolo del terzo volume della Connoissance
de soi-mesme, che tutti gli uomini hanno nei loro corpi dei princip
meccanici di compassione e dimitazione, che sono per il cuore grandi sorgenti di illusioni e sregolatezze 23. Ne deriva che la scienza delluomo sar in possesso di una terminologia prettamente fisiologica
(muscoli, nervi, fibre, membrane, tracce cerebrali, spiriti animali, maniere dessere intese in quanto disposizioni, stati in cui si trova un determinato soggetto, ed elettivamente la sensazione in quanto maniera
dessere che deriva allanima dalluso degli organi di senso 24) e muover dallammissione della maggiore efficacia delle idee sensibili rispetto a quelle spirituali 25, dal momento che, come scriver Lamy nellEclaircissement posto in coda al quinto volume, luomo preferisce
sentire piuttosto che riflettere 26.
Particolarmente evidenti, a questo punto, tanto i motivi dellinteresse di Du Bos per Fr. Lamy, quanto labissale lontananza nelle intenzioni e nelle conseguenze teoriche. Scopo della scienza delluomo
infatti per Lamy quello di condurre luomo a umiliarsi nel sentimento della propria miseria e impotenza, e in tal modo spingerlo ad allontanarsi dalla frequentazione degli oggetti sensibili, che andranno sostituiti con idee spirituali e verit edificanti 27.
48

Non sorprende allora che da questo progetto tragga origine anche


unaggressione senza quartiere alle lusinghe sensibili di cui responsabile la retorica 28. Allargomento Lamy dedica una strategia piuttosto
articolata allinterno di un capitolo dedicato alle Illusioni che riguardano limmaginazione 29. Persino nella retorica sacra (siamo alla fine del
secolo della sophistique sacre e dei concetti predicabili) si sarebbe
insinuata una falsa eloquenza che soddisfa lorecchio con la misura dei
periodi, le passioni con le figure e limmaginazione con espressioni
vive e sensibili, lasciando lo spirito vuoto di verit solide e salutari, e
il cuore senza un moto per i veri beni 30.
C tuttavia uno spazio per una eloquenza santa, cui Dio stesso
solito accordare la propria grazia, eloquenza che vorr raggiungere il
cuore partendo dallo spirito e non dai sensi, e che, piuttosto che a
questi discorsi cos studiati e politi, cos ornati e propri a colpire
lorecchio e scaldare limmaginazione, si affider a discorsi semplici e naturali, che partono da un cuore appassionato per la verit 31. Si
apre cos, ed di estrema importanza allinterno di quella querelle di
fine Seicento sulla retorica, nei cui confronti Du Bos prender posizione si apre, dicevo, lo spazio per una rhetorica contra rhetoricam,
che si affida, in Lamy come in altri sostenitori coevi delle stesse posizioni, al magistero di SantAgostino 32.
Altrettanto evidente la polemica anti-gesuitica 33 in ambito pedagogico e retorico, se vero che Lamy si scaglia contro coloro che si dedicano metodicamente nelleducazione e nellistruzione dei giovani 34
a sviluppare e promuovere luso dellimmaginazione e della memoria,
quando piuttosto occorrerebbe esercitare e coltivare il giudizio, di cui
si ha un bisogno infinito, e lasciare in riposo la memoria, che c sempre in abbondanza 35. Primato del giudizio che poi, nel gi citato Eclaircissement, verr tradotto, secondo una impostazione di tipo logico, in
primato dellevidenza nelle scienze naturali e della prudenza nelle scienze pratiche 36. Balthasar Gibert, lavversario gesuita di Fr. Lamy, metter polemicamente in rilievo la dichiarata ispirazione lockiana da cui
deriva, cosa ai nostri fini piuttosto notevole, una simile impostazione 37.
Non approfondir ulteriormente questi aspetti della querelle sulla
retorica, per considerare piuttosto altri due punti delle argomentazioni
di Lamy, ricchi di ricadute sul nostro Du Bos. Lamy sottolinea infatti nelle stesse pagine quanto scarsa durata abbiano nel nostro cuore
quelle emozioni che non sono che leffetto naturale del discorso, che
legano dunque il successo dello scopo edificante alle lusinghe sensibili 38. Ancora un punto sensibile, mi si perdoni il bisticcio, per il ripensamento che ne far Du Bos. Tutta la questione acquista il suo reale
spessore solo se messa ulteriormente in relazione a quanto, circa duecento pagine dopo, lo stesso Lamy giunger a dire, in un apparente
capovolgimento di questi ultimi assunti; il discorso si ora spostato sui
49

princip meccanici di compassione e imitazione causa di illusioni nel


nostro cuore, e dalleloquenza sacra si passer, vedremo, alla musica
vocale.
Le passioni troveranno sempre la strada che dagli organi di senso
conduce al cuore, per riversarvi i loro distruttivi effetti; impossibile
che la vista della passione sul volto di un uomo non produca delle
tracce nel cervello, dei movimenti negli spiriti animali e delle impressioni nel cuore, del tutto simili a quelle da cui quelluomo agitato.
Ma se queste impressioni non sono favorite dal temperamento e dalle disposizioni della macchina, aggiunge Lamy, esse si cancellano
ordinariamente non appena non si pi in presenza di colui che le
ha prodotte in noi per il principio meccanico dellimitazione 39.
Violenta allora, quanto effimera, lemozione che proviene dai sensi.
Ma con una distinzione ulteriore e fondamentale; se cio alle emozioni
si affida il compito di trasmettere delle verit, di operare per ledificazione morale, leffetto verr velocemente cancellato dal prevalere di
altre sensazioni, di segno diverso: il caso appunto di uneloquenza
sacra che si affidi a effetti sensibili, da cui non deriva che un ardore
passeggero 40. Lemozione intesa a turbare il cuore per la via dei sensi, invece, non far che trovare nei sensi stessi un canale sempre meglio disposto a subire gli effetti di quei princip meccanici di compassione e imitazione. Ci vale per il senso della vista, ma vale non meno
per lorecchio. E veniamo appunto alla musica vocale, che unisce in s
un linguaggio arbitrario, quello della parola, nata per convenzione
umana, a un linguaggio naturale, quello della musica (e della stessa
voce umana), il cui significato fondato sulle leggi dellunione dello
spirito col corpo 41. Saremo dunque portati a risentire in noi nel modo pi vivo le passioni che ha o finge di avere colui che canta, ma ben
al di l di ci, per effetto di quelle stesse leggi naturali, mille idee accessorie, assai differenti da quelle che presentano le parole, e tutte toccanti e turbolente, sinsinuano furtivamente nello spirito degli uditori,
e ci in modo differente, secondo la diversit del loro temperamento,
et, inclinazioni, abitudini, turbandoli in modo altrettanto differente,
secondo le disposizioni della loro macchina 42. Esiti ultimi che la
scienza delluomo di Lamy diagnostica con inflessibile necessit, per
contrapporre loro, tramite la conoscenza di s e cio lo studio della
fisiologia umana, la via della mortificazione e delle idee spirituali,
astratte dai sensi.
Possiamo a questo punto tornare allobiezione su cui si aprono le
Rflexions critiques di Du Bos: la via della conoscenza di s penosa e impraticabile alla massima parte degli uomini, la speculazione
contraria alla stessa costituzione cerebrale e per lo pi improponibile,
e ora sappiamo perch, se non legata a un sentimento attuale o re50

cente 43. Si potrebbero moltiplicare le citazioni, gi solo rileggendo le


prime due o tre pagine delle Rflexions critiques: Poche persone sono
tanto fortunate [] da essere abitualmente in buona compagnia con
se stesse. [] La situazione del proprio stato danimo sconosciuta
alla maggior parte degli uomini, i quali, pensando a quanto gli altri
devono soffrire di solitudine in base a ci che essi stessi ne soffrono,
ritengono che essa sia un male doloroso per tutti 44. E ancora, sul
versante fisiologico, cambiare lavoro rimette in moto gli spiriti animali
dando nuovo slancio allimmaginazione, mentre le passioni, fonte al
tempo stesso di piaceri e dolori vivissimi, impediscono agli uomini di
incontrarsi, per cos dire, faccia a faccia con se stessi quando non sono
occupati, e di trovarsi quindi afflitti e annoiati 45.
Si tratta alla lettera della stessa diagnosi di Lamy, si badi bene, da
cui per seguono conseguenze diametralmente contrapposte. Lemozione naturale che si risveglia in noi meccanicamente quando vediamo
i nostri simili nel pericolo o nella sventura non ha altre attrattive se
non quella di essere una passione i cui moti agitano lanimo e lo tengono occupato 46: sono parole di Du Bos, ma potrebbero stare nelle
pagine di Lamy prima citate, se non appunto per linversione di segno
con cui viene considerato il nesso fra passione e occupazione dellanimo. Non a caso gi Heinrich von Stein notava che contro una tradizione che elaborava il topos lucreziano del suave mari magno mettendo laccento sulla calma del saggio, sul distacco dello spettatore, le
considerazioni di Du Bos puntano tutte a valorizzare lo stimolo fisiologico che proviene dallemozione (Reiz der Erregung 47).
Munteano metteva in luce i parallelismi fra la climatologia di Lamy
e quella di Du Bos: considerazioni che non star a ripetere, per segnalare invece come tanto il principio dellazione meccanica delle emozioni, si appena visto, quanto quello del carattere superficiale delle passioni scatenate dalle arti (esposto da Du Bos nel terzo capitolo della
prima parte) abbiano giusto in Fr. Lamy una fonte di riferimento assolutamente principale.
Si tratta realmente delle principali pietre di costruzione dellestetica dubossiana. Limitazione operata dal poeta o dal pittore ispira in
noi una copia della passione che loggetto stesso avrebbe ingenerato 48; tuttavia limpressione meno profonda, non raggiunge la ragione, per la quale in queste sensazioni non c illusione, e colpisce
solo lanima sensitiva, dileguandosi subito.
Mi viene in mente un passo delle Lettere persiane di Montesquieu:
Quando a un europeo capita una sventura, non gli resta altra risorsa che la lettura di un filosofo chiamato Seneca; ma gli asiatici, pi
sensati e migliori medici in questa materia, prendono bevande capaci
di rendere luomo gaio e di distrarlo dal ricordo delle sue pene 49.
Qui il tetro europeo di Montesquieu potrebbe essere senzaltro Fr.
51

Lamy, mentre per una volta potremmo accostare la funzione dellarte


in Dubos, piuttosto che al tanto spesso maltrattato ragot, alle bevande del malinconico Usbek 50.
Larte produce passioni artificiali capaci di tenerci occupati nel
momento in cui le sentiamo e incapaci di causare in seguito pene reali
e autentiche afflizioni 51. E tuttavia la funzione dellarte, senza allontanarsi in modo notevole da questo livello dinterpretazione da questo
quadro antropologico, voglio dire si innalza a funzioni strutturali ben
differenti; il sentimento, senza cessare di essere profondamente innervato nelle specifiche situazioni culturali, climatiche, negli specifici temperamenti e quantaltro (esemplari in questo senso le considerazioni
sulla traduzione 52), si innalza al ruolo di una costante: Leggendo un
poema che ha commosso le generazioni passate [] anche le future ne
saranno colpite. In questo ragionamento vi solo una supposizione e
cio che gli uomini, di ogni tempo e in ogni luogo, hanno tutti lo stesso
cuore. [] Vediamo cos che gli uomini, che non si accordano sulle
questioni la cui verit si basa sul ragionamento, sono daccordo su quelle che si giudicano per mezzo del sentimento 53.
Ed qui che la retorica offre la sua funzione di supporto: e tuttavia ed eccoci di nuovo al punto da cui pu prendere le mosse un
approccio antropologico allattualit della retorica di Du Bos non
si tratter della retorica, e dellantropologia, delluomo che medita, ma
di quella delluomo che sente.
In breve, il modello retorico di comprensione della poesia e della
pittura garantisce costanza e durata allemozione, la organizza culturalmente nel mondo del sentimento, strutturazione intersoggettiva delle
passioni umane. La nozione di sentimento in Du Bos nozione su
cui ovviamente non sar qui possibile addentrarsi in analisi pi minute
sarebbe del resto impensabile al di fuori dei rapporti fra genio, emozione e pubblico, nel senso specifico che il sentimento figura, al tempo
stesso, come un elemento imprescindibile del corredo antropologico
e come il punto di arrivo di una strategia culturale di interazione: intendendo con questultima affermazione non lesito di un processo di
apprendimento, ma piuttosto lespressione concreta dellessere sociale delluomo. Potremmo riconsiderare a questo punto le complesse tessiture, tutte sostanziate di riferimenti quintilianei, che Du Bos intraprende per cercare di coniugare insieme i poli della natura e dellarte.
Lontanissima dallanti-retorica in ultima analisi cartesiana sui generis del benedettino Lamy, e dal suo esser fondata sullevidenza della
verit, la nuova retorica di Du Bos mirer a costruire istituzioni 54, costruire le fondamenta della valutazione estetica; dovr cercare di commisurare insieme le costanti antropologiche, le peculiarit ambientali e
la concretezza delle differenti situazioni argomentative. Quella di Du
Bos sar una retorica interamente ripensata nel nuovo progetto antro52

pologico, con esso compenetrata al punto da trovare un esemplare momento saliente nella costruzione della nuova teoria del genio.

1 J.-B. Du Bos, Rflexions critiques sur la posie et sur la peinture (1719), Paris 17707, ed.
it. a cura di M. Mazzocut-Mis e P. Vincenzi, Palermo 2005, nel seguito cit. semplicemente
come Riflessioni.
2 Cfr. J.-B. Le Blanc, Lettre sur lexposition des ouvrages de peinture, sculpture etc., Paris
1747, p. 166; A. Lombard, LAbb Du Bos, un initiateur de la pense moderne (1670-1742),
Paris 1913, rist. an. Genve 1969, p. 190; B. Munteano, Un rhteur esthticien. LAbb Du
Bos, in Idem, Constantes dialectiques en littrature et en histoire, Paris 1967, p. 297 (ivi il rif.
a Le Blanc); M. Fumaroli, Les abeilles et les araignes, in La Querelle des Anciens et des Modernes, Paris 2001, p. 212.
3 Evidente la cosa con i primi due nomi, sullultimo si veda almeno G. Ueding, Schillers
Rhetorik, Tbingen 1971.
4 Gi H. Von Stein, Die Entstehung der neueren sthetik, Stuttgart 1886, p. 240, sottolineava questo aspetto decisivo.
5
Riflessioni, 1, I, p. 38.
6 Ibidem.
7 G. E. Lessing, Johann Huarts Prfung der Kpfe zu den Wissenschaften, Zerbst 1752, n.
ed. Mnchen 1968.
8 Penso in particolare a quanto Huarte dice nel cap. VIII della sua opera, si veda led.
it. J. Huarte de San Juan, Esame degli ingegni, Bologna 1993, pp. 107-16.
9
Cfr. Riflessioni, 2, I, p. 198.
10 B. Munteano, cit., pp. 339-40 e pp. 357-64.
11 E. Migliorini, Studi sul pensiero estetico del Settecento, Firenze 1966, p. 211.
12
In 4 voll., Paris 1694-98.
13 B. Munteano, cit., p. 339.
14 Ivi, p. 361.
15
Fr. Lamy, De la Connoissance de soi-mesme, vol. I, Paris 1694, Prface, non numerata (alla p. 23).
16 M. Mazzocut Mis, Animalit. Idee estetiche sullanima degli animali, Firenze 2003, p.
63 nota.
17 Fr. Lamy, De la Connoissance de soi-mesme, vol. I, cit., Prface, p. 1.
18 Questo tema percorre continuamente il lungo trattato di Lamy, fino a essere teorizzato
nel modo pi esplicito nel terzo volume, Paris 1697, pp. 195-258.
19 Fr. Lamy, De la Connoissance de soi-mesme, vol. I, cit., Prface, p. 5.
20 Ivi, p. 13.
21
Ivi, p. 14.
22 Ivi, p. 18.
23 Idem, De la Connoissance de soi-mesme, vol. III, cit., p. 195.
24
Idem, De la Connoissance de soi-mesme, vol. I, cit., Prface, pp. 23-27.
25 Ivi, p. 19.
26 Idem, De la Connoissance de soi-mesme, vol. V, Paris 1698, p. 407.
27
Idem, De la Connoissance de soi-mesme, vol. I, cit., Prface, p. 21.
28 In proposito, oltre al cit. Munteano, cfr. P. France, Rhetoric and truth in France, from
Descartes to Diderot, Oxford 1972; M. Fumaroli, Lge de lloquence, n. ed. Paris 1994; V.
Kapp, Lapoge de latticisme franais ou lloquence qui se moque de la rhtorique, in M. Fumaroli (a cura di), Histoire de la rhtorique dans lEurope moderne 1450-1950, Paris 1999, pp.
707-86, specie 780-84.
29
Fr. Lamy, De la Connoissance de soi-mesme, vol. III, cit., pp. 116-36.
30 Ivi, p. 122.
31 Ivi, p. 123.
32
Cfr. ivi, p. 132 e cfr. M. Fumaroli, Lge de lloquence, cit., p. 640 e la relativa bibliografia.
33 Cui infatti risponde piuttosto prontamente il gesuita Balthasar Gibert, De la vritable

53

loquence, ou Refutation des paradoxes sur lloquence: Avancez par lAuteur de la Connoissance de soi-mme, Paris 1703; Lamy risponde con La Rhtorique de collge trahie par son apologiste, dans son trait de la vritable Eloquence, contre celuy de la connoissance de soy-mme,
Paris 1704; segue ancora il gesuita con unopera in tre volumi (Paris 1705-07) di Rflexions
sur la rhtorique: o lon rpond aux objections du P. Lamy, bndictin. Ancora il gesuita avr
lultima parola, dopo la morte dellavversario (1711) raccogliendo tre altri volumi (Paris 171319) di Jugemens des savans sur les auteurs qui ont trait de la rhtorique. Il lettore sar confortato nellapprendere che quasi tutti i testi citati, insieme a una confutazione di Spinoza
opera dello stesso Fr. Lamy, sono direttamente scaricabili dal sito (gallica.bnf.fr) della Biblioteca Nazionale di Parigi.
34
Cfr. Fr. Lamy, De la Connoissance de soi-mesme, vol. III, cit., p. 133.
35 Ivi, p. 134.
36 Idem, De la Connoissance de soi-mesme, vol. V, cit., p. 382.
37
B. Gibert, Rflexions sur la rhtorique, cit., vol. I, p. 68. Gibert, in una rflexion che
mira a dimostrare che retorica ed eloquesnza non sono altra cosa che la ragione stessa,
tratta Locke da perfetto sconosciuto che Lamy avrebbe limpudenza di contrapporre a tutte le autorit della retorica e del pensiero filosofico.
38 Fr. Lamy, De la Connoissance de soi-mesme, vol. III, cit., p. 123.
39 Ivi, p. 226.
40
Ivi, p. 230.
41 Ivi, p. 233.
42 Ivi, pp. 234-35.
43
Riflessioni, 1, I, p. 38.
44 Ivi, p. 39.
45 Ivi, pp. 39-40.
46
Ivi, 1, II, p. 40.
47 H. Von Stein, Die Entstehung der neueren sthetik, cit., p. 231.
48 Riflessioni, 1, III, p. 45; stesso riferimento per le cit. che seguono.
49
Ch.-L. Secondat de Montesquieu, Lettere persiane, ed. it. Milano 20007, p. 106.
50 Si legga del resto, a conferma, questo passo di Dubos: Coloro che comprendono gli
antichi e non ne provano piacere, sono cos pochi rispetto a quelli che ne sono appassionati, come gli uomini che hanno una naturale avversione per il vino sono pochi rispetto a tutti
gli altri; Riflessioni, 2, XXXV, p. 353.
51 Riflessioni, 1, III, p. 44.
52
Ivi, 2, XXXV.
53 Ivi, 2, XXXIV, p. 346.
54 Mi riferisco qui a H. Blumenberg, Anthropologische Annherung an die Aktualitt der
Rhetorik, in Idem, Wirklichkeiten in denen wir leben, Stuttgart 1981, pp. 104-36, trad. it.
Milano 1987, pp. 85-112.

54

Larte e i suoi limiti:


le fonti inglesi nelle Riflessioni critiche di Du Bos *
di Andrea Gatti

Chi voglia leggere, o soltanto scorrere, le Riflessioni critiche sulla


poesia e sulla pittura di Jean Baptiste Du Bos (1719) non tarder ad
accorgersi della ridotta presenza di fonti inglesi menzionate esplicitamente: a prescindere da Joseph Addison, pi volte richiamato, pochi
altri fra i suoi connazionali ricorrono, fuggevolmente, nelle pagine del
trattato. Una latitanza che coinvolge anche poeti e pittori, pi direttamente legati al tema del libro. I primi non sono quasi mai presi a supporto testuale per le asserzioni critiche di Du Bos, il quale menziona
ad esempio Thomas Otway, drammaturgo dalla fortuna discontinua e
che fin la sua breve vita sul lastrico, o John Wilmot, gi dismesso da
Samuel Johnson nel secondo Settecento, ma tace autori di prima grandezza come Milton e Shakespeare. Questultimo, in verit, sarebbe stato pienamente rivalutato solo nella seconda met del XVIII secolo (ancora nel 1710 un lettore esperto come Lord Shaftesbury ne criticava la
naturale rozzezza, lo stile non raffinato, lo spirito e il verso antiquati e la mancanza di metodo e coerenza 1) ; ma certo Milton era
oggetto di venerazione gi al tempo di Addison, che gli dedic diversi
fogli dello Spectator, richiamandovi invece solo sporadicamente il
poeta dellAmleto.
Nelle Riflessioni critiche John Dryden prima citato a margine di
una digressione sullo stato dellarte pittorica in Inghilterra e poi censurato per aver copiato gli autori francesi in opere che offriva come
frutto della sua invenzione (II 32, p. 331); ma di lui vengono taciuti
i numerosi scritti sulle arti e le versioni degli autori classici pi cari
anche a Du Bos: fra gli altri Virgilio, alla cui Eneide (libri IV e VI) nel
1697 Dryden antepose un saggio di teoria poetica nel quale affronta
temi non troppo diversi da quelli discussi poi da Du Bos. Senza contare che Dryden aveva procurato nel 1695 la versione inglese del De
arte graphica di Du Fresnoy (cesellato come scrive Tatarkiewicz
nel corso di venticinque anni dal 1641 al 1665 2), premettendovi quel
Parallel of Poetry and Painting che, almeno nella materia dindagine,
costituisce lantecedente pi prossimo del trattato dubosiano. Di William Temple figura nelle Riflessioni critiche il trattato sulle Province
unite olandesi (Observations upon the United Provinces of the Nether55

lands, 1672), ma non il saggio sulla poesia del 1690, presto tradotto e
incluso fra le uvres mles pubblicate a Utrecht nel 1693; o il trattato On Ancient and Modern Learning (1690), cui Wotton replic
quattro anni dopo con un saggio modernista ben noto a Du Bos,
che ne riporta alcuni luoghi (fra i pochi in cui siano fatte concessioni
al primato degli antichi; I 19, p. 81). N menzionato Alexander Pope, il cui Essay on Criticism, sorta di risposta inglese allArt potique di
Boileau, a partire dal 1711 si era assicurato in Europa notevole risonanza, e gi nel 1717 era apparso in versione francese, seppure parziale, per cura di John Robethon.
Pi ovvio il silenzio delle Riflessioni critiche intorno alla pittura
doltremanica, giacch l una scuola nazionale, sebbene in formazione,
non si sarebbe affermata che verso la met del secolo. In uninteressante digressione sullarte britannica, Du Bos riconosce che questa annovera validi musicisti e poeti eccellenti, ma non pittori che occupino, tra i pittori celebri, lo stesso posto che i filosofi, gli studiosi, i
poeti e gli altri inglesi illustri occupano tra quelli delle altre nazioni
che si sono distinti nella stessa professione; e solo in una rubrica a
margine del testo egli richiama i tre ritrattisti Samuel Cooper, William Dobson e John Riley (II 13, p. 243). Converr per ricordare che
al tempo di Du Bos il peintre-philosophe Jonathan Richardson aveva
riscosso gi una certa attenzione anche fuori dInghilterra coi suoi trattati sulle arti e sulla critica: in Italia labate Pellegrino Orlandi non
solo lo include con plauso fra gli artisti del suo Abecedario pittorico
(nella seconda ed. accresciuta del 1719) 3 , ma anche ne menziona il
saggio sulla Theory of Painting pubblicato a Londra quattro anni prima e noto ben presto ai cultori europei delle arti.
In campo specificamente estetico lInghilterra aveva prodotto alcuni
dei suoi testi pi influenti gi prima che Du Bos mettesse mano alledizione originale delle Riflessioni critiche del 1719: per limitarsi a quelli di risonanza pi immediata, o duratura, si ricorder che i Saggi di
Bacone, uno dei quali specificamente dedicato alla bellezza, iniziarono
a circolare in francese dal 1619, con due diverse edizioni e versioni in
soli quattro anni. Verso la met del Seicento il drammaturgo William
Davenant e Thomas Hobbes serano gi confrontati pubblicamente su
questioni di teoria poetica, lasciandone testimonianza scritta il primo
nella prefazione al suo dramma Gondibert (1650), il secondo in una
celebre replica pubblicata lanno successivo (Answer of Mr. Hobbes
to Sir William Davenants Preface Before Gondibert). Inoltre, sui temi
della fancy e dellimagination Hobbes si era fermato non solo nel Leviatano (1651), del quale difficile credere Du Bos non avesse sentito parlare (anche perch una versione ridotta dellopera era disponibile
dal 1668 in latino, idioma certamente noto al francese), ma anche nel
trattatello sui pregi del poema eroico premesso alle sue traduzioni se56

nili dellOdissea e dellIliade (1677; ma le due versioni erano gi uscite


separatamente nel 1675 e 1676 rist.).
Infine, Addison nel 1712 aveva adunato i suoi Piaceri dellimmaginazione in undici fogli dello Spectator (nrr. 411-421), che a partire
dal 1716 avrebbe conosciuto diverse edizioni francesi col titolo Le
Spectateur, ou le Socrate moderne. E nel 1713 a Napoli la morte prematura imped a Shaftesbury di confermare alleditore John Darby a Londra limprimatur alla seconda edizione delle Characteristics (la prima era
del 1711), che usc nondimeno quello stesso anno completa di scritti
inediti e altri che gi si erano affermati autonomamente presso il pubblico europeo nella prima decade del secolo: temi specificamente estetici affrontavano il Soliloquio, o consigli a un autore (1709), forse non
ignoto a Du Bos, che nelle Riflessioni accenna a sua volta al tema del
dialogo interiore (I 1, p. 39), e il saggio su humor e wit, pubblicato in
Inghilterra nel 1709, che fu tempestivamente tradotto in francese lanno
successivo (Essai sur lusage de la raillerie et de lenjoument); per non
dire della fama europea che seppe presto assicurarsi lopera sua pi famosa, I Moralisti. Soprattutto, la seconda edizione delle Characteristics
includeva quel saggio sul dipinto storico (A Notion of the Historical
Draught, or Tablature of the Judgment of Hercules) chera originariamente uscito proprio in lingua francese nel novembre 1712 sul Journal
des Savans (Jugement dHercule) e solo in un secondo tempo era stato
tradotto dallo stesso Shaftesbury e pubblicato in Inghilterra: operetta
la cui ampia risonanza attestata dal fatto che, ad esempio in Italia,
Francesco Algarotti nel suo Saggio sulla pittura (1756) non solo ne imitava il tema, ma addirittura ne riprendeva alla lettera alcune parti 4 .
dunque da escludere che fatti esterni quali la circolazione libraria
siano allorigine della scarsa menzione di autori inglesi da parte di Du
Bos; tanto pi che in Francia la ricezione di opere straniere fra Sei e
Settecento poteva avvenire anche per vie meno documentabili, ma non
per questo meno collaudate o significative: conversazioni private, scambi epistolari, citazioni indirette o notizie e recensioni in periodici dinformazione culturale quali le Nouvelles de la Rpublique des lettres,
la Bibliothque choisie, il Journal des Savants o gli Acta eruditorum. Siamo cos indotti a volgere lattenzione dal fatto alla sua causa, e a ricercare altrove i motivi del ridotto numero, nelle Riflessioni
critiche, di riferimenti espliciti agli autori inglesi che in tutta Europa
venivano letti e discussi con riscontri non sempre e non necessariamente positivi proprio a partire dagli anni in esame. Le ragioni, come s visto, non sono storico-fattuali e dovranno forse cercarsi, a questo punto, sul piano teorico.
Prima di avanzare una possibile spiegazione, va detto che, se pure
le riflessioni di Du Bos si fermano su poesia e pittura, il problema
emerge pi chiaramente ove solo si consideri il secondo termine del
57

binomio; insieme, naturalmente, al generale pensiero estetico che ne


comprende i rispettivi mbiti di riflessione. Mentre infatti agli inizi del
Settecento la teoria poetica vantava una tradizione teorica consolidata alla quale attingevano a un tempo inglesi e continentali (cos che
risalendo a essa pi agevolmente si scorgerebbero analogie e concomitanze, ma rimarrebbero indefiniti i termini e lesistenza stessa del problema), nella riflessione sulla pittura che i caratteri peculiari, o comuni, della riflessione estetica inglese e dubosiana si definiscono pi
nitidamente. Escludendo ovviamente, in virt della sua attitudine di
storico, che Du Bos abbia mancato di indicare le fonti alle quali attinge, mi chiedo se il silenzio inglese delle Riflessioni non rifletta una
certa cautela di Du Bos nelladattare alla propria teoria artistica i contenuti e i modi della coeva speculazione doltremanica una cautela
forse dettata dalla forma mentis non tanto (o non solo) di Du Bos
quanto anche del pubblico di artisti, conoscitori, critici e spettatori cui
egli intendeva rivolgersi. In ogni caso, questa sarebbe ancora solo una
parte della spiegazione, oltre la quale occorre spingersi pi indietro e
capire le ragioni profonde di quel silenzio; e soprattutto, se esso sia
indice di unassenza reale o solo apparente.
Intanto, nella Francia di primo Settecento la teoria e critica delle
arti figurative versava in uno stato meno aurorale che in Inghilterra.
Fin dal secolo precedente Frart de Chambray, Bosse, Flibien, Du
Fresnoy e altri avevano impostato il discorso estetico-critico in saldi
termini di classicismo (e accademismo), e in quella linea Du Bos sembra disporsi. Ed vero che sulle due sponde della Manica la riflessione intorno alle arti attingeva a fonti comuni: gli auctores della classicit, la tradizione neoplatonica rinascimentale e la letteratura artistica
barocca. Ma fra quella tradizione e autori come Addison e Shaftesbury
sera interposta una variante specificamente inglese: Locke, il quale
aveva segnato una via peculiare alla riflessione anche estetica dei connazionali, fornendo i propri moderni criteri dindagine ed esasperando per reazione quelli tradizionali. E dopo Locke cera stato Berkeley,
che entro il 1719 aveva gi pubblicato il Saggio sulla visione (1709), i
Principi della conoscenza umana (1710) e i tre Dialoghi tra Hylas e Philonous (1713), definendo ulteriormente il carattere originale della filosofia inglese nella medesima linea empiristica. Una filosofia la cui
applicazione estetica non doveva apparire troppo immediata agli occhi
di chi non partecipava direttamente a tale dibattito.
Tanto che dove aveva luogo, come in Addison, quellapplicazione
non costituiva comunque la principale causa dinteresse nel lettore
continentale, a giudicare dallo stesso contesto delle citazioni dubosiane. Se Addison pot varcare i confini insulari fu per la sua critica conforme ai canoni del classicismo, per lescatologia platonizzante che
reggeva la sua estetica, per lascendenza ficiniana della sua ontologia
58

dellarte, pi che per aver inserito (o cercato dinserire) simili caratteri


in una cornice gnoseologica di stampo lockiano. Eppure, avvertiva lo
stesso Addison dai fogli dello Spectator: Il saggio sullintelletto
umano del sig. Locke potrebbe essere considerato un libro piuttosto
insolito per un uomo che volesse farsi una certa reputazione come autore di saggi di critica; ma nello stesso tempo, assolutamente certo
che un autore che non ha imparato larte di distinguere fra parole e
cose, e di disporre i suoi pensieri e metterli in giusta luce, qualunque
regola conosca, destinato a perdersi nella confusione e nelloscurit 5. N linfluenza del pensiero di Locke sui connazionali manc di
coinvolgere i teorici dellarte; nella gi menzionata Theory of Painting
Richardson equiparava il genio del filosofo a quello di Newton, osservando: Un vlto e unespressione come quelli di Mr. Locke o di Sir
Isaac Newton darebbero lustro alle migliori composizioni perfino di
Raffaello, giacch esprimere i loro caratteri sarebbe cmpito degno di
quella mano divina 6 .
A partire dalle fonti comuni sopra menzionate v una lente piuttosto efficace per scorgere specifici presupposti e caratteri dellestetica dubosiana e inglese, e vedr di impiegarla rapidamente. Intanto, ricordo brevemente che a fondamento delle teoria artistica delle Riflessioni critiche la funzione dellarte di suscitare emozioni nello spettatore per contrastare quella noia che, secondo Du Bos, la peggior afflizione della vita spirituale. Emozioni che lartista pu eccitare riproducendo soggetti che gi nella realt risultano appassionanti (I 1-3, pp.
38-47): la rappresentazione della morte di Germanico commuoverebbe
assai pi dellesecuzione di un vaso di fiori perch diverso linteresse
che i due fatti sollevano nella vita reale; e nel secondo caso, precisa
Du Bos, non loggetto rappresentato a coinvolgerci, ma larte che
lha imitato (II 6, p. 52). Se lemozione effetto dellarte, limitazione
pi o meno fedele ne costituisce invece la qualit essenziale; dei
modi di quellimitazione Du Bos d subito conto approfondendo numerosi e spesso originali aspetti corollari, fra i quali il tema della verosimiglianza.
Ora, quello di verosimiglianza un canone per cos dire ancipite,
bifronte. Di fatto, come lo si deve intendere? Come una concessione
o una restrizione? Indica la libert dellarte o i limiti oltre cui questa
non pu espandersi? Informa gli artisti che nelle loro creazioni possono
liberamente e completamente affrancarsi dal mondo visibile o che i loro
voli fantastici non possono spingersi oltre il punto in cui quel mondo
viene trasceso? La natura per larte un punto di partenza o di arrivo? Un trampolino o una catena? A seconda di come la verosimiglianza
viene intesa, si determinano due distinte concezioni riguardo a metodi, fini e valori dellarte, delle quali possono testimoniare esemplarmente le estetiche qui al vaglio; simili concezioni sottendono una logica ben
59

precisa che vale la pena evidenziare, e offrono una spiegazione possibile


della catena di riferimenti inglesi nelle Riflessioni critiche.
Procedendo anzitutto a un rapido esame dossografico, fra i maggiori estetologi inglesi si nota la tendenza a enfatizzare gli aspetti di libert
della verosimiglianza. Non intendo ovviamente sostenere che in Gran
Bretagna tutti i teorici dellarte fra Sei e Settecento convergessero su
tale interpretazione; rilevo anzi che gli stessi sostenitori di questa non
di rado si ritirano su posizioni meno tolleranti, insistendo sul valore
delle regole imposte dal sensus communis. Tuttavia, da Bacone a Hobbes allo stesso Addison, la libert dellartista viene quantomeno ammessa, e linvenzione ricondotta a un processo associazionistico per il
quale la natura il deposito di immagini del quale la fantasia dispone
liberamente per le sue creazioni. Prender Addison esplicitamente
noto a Du Bos per esporne meno la teoria della libera creativit che
la consapevolezza del carattere specificamente inglese di questa. In due
fogli dei Piaceri dellimmaginazione Addison si diffonde sul tema dellispirazione artistica e osserva che proprio della natura degli Inglesi indulgere a creazioni bizzare e storie fantastiche: Il genio della nostra gente meglio si attaglia a codesto tipo di poesia. Infatti, gli Inglesi
son per natura fantasiosi e spesso, a causa dellindole cupa e malinconica cos diffusa fra la nostra gente, proclivi a concepire in gran copia
idee e visioni peregrine, cui altri popoli non sono altrettanto inclini.
Riguardo al rapporto arte-natura, Addison aggiunge poi che la poesia
ha per provincia non solo lintero ambito della natura ma, creando
nuovi mondi di suo, ci mostra esseri non reperibili nella realt, rappresentando perfino le facolt dellanima, insieme a ogni suo vizio e virt, con caratteri e forme sensibili 7 ; cos, mentre poeti e prosatori ricavano i loro multiformi materiali dagli oggetti esterni combinandoli
insieme a loro piacimento, gli unici davvero costretti a seguire la
natura pi dappresso e a prendere da esse intere scene sarebbero gli
storici, i fisici, i viaggiatori e i geografi 8 .
Nel sostenere ci Addison si univa a unautorevole schiera di teorici
che prima di lui avevano insistito sulla libert dellarte. A partire da
Philip Sidney, che nel suo celeberrimo Elogio della poesia (1581, ma
pubblicato postumo nel 1595), anticipando quasi alla lettera Addison,
scriveva che ogni arte umana, dalla astronomia alla geometria, dal diritto alla grammatica, ha per suo oggetto principale le opere della
natura, senza le quali essa non potrebbe esistere; fa eccezione per
larte del poeta, il quale rifiutando di soggiacere a tali legami ed elevandosi con la forza della propria creativit, inaugura effettivamente
una realt nuova, sia migliorando ci che gi produce la Natura, sia
creando ex novo forme mai esistite; [] egli cammina tenendo per
mano la Natura, senza esserne limitato dal rigido mandato ma esplorando liberamente e mantenendosi solo entro lorizzonte della propria
60

immaginazione. La Natura non ha mai dipinto la Terra con il ricco


caleidoscopio dei poeti []. Se il mondo del Creato il riflesso dellet del bronzo, solo i poeti ricreano unet delloro! 9 . A sua volta
Bacone nel saggio Della bellezza accennava alla necessit per lartista di
procedere con una specie di felicit [], e non con regole, criticando a un tempo Drer per aver ridotto larte a proporzioni geometriche nei Vier Bcher von menschlicher Proportion (1528) 10 . Nel suo
trattato Of Poetry, del 1690, William Temple scriveva: La verit che
esiste qualcosa di troppo libertino nel genio della poesia per essere confinato entro tante regole; e chiunque si appresti ad assoggettarlo a tali
costrizioni ne perde sia lo spirito sia la grazia, che sono sempre innati
e mai appresi, nemmeno studiando i maestri migliori 11 . E in un distico del 1670 Dryden dava lapidariamente voce a una convinzione
assai diffusa tra i teorici dellarte suoi connazionali: E colui che striscia
servilmente dietro ai sensi | corretto, ma lontano dalleccellenza 12,
tornando sullo stesso motivo sette anni dopo nellApologia della licenza
poetica premessa a The State of Innocence and Fall of Man.
Nellestetica inglese fino al primo Settecento sera assai insistito
sulla libert dellarte di officiare illegittimi accoppiamenti e divorzi fra
le cose e di volare da unIndia allaltra, indicando altres nel bello
la combinazione del tutto arbitraria di idee tratte dallesperienza 13.
Al contrario, nelle Riflessioni critiche e nella tradizione classicistica di
cui esse sono tributarie, prevale unaccezione della verosimiglianza come limitazione e censura dogni forma artistica che sovverta lordine
naturale delle cose. Du Bos insiste spesso sul fatto che nel trattare
qualunque soggetto pittori e poeti sono invitati a non inserirvi nulla
che sia contro la verosimiglianza, pena sconfinare nel meraviglioso
(II 28, p. 111). Per lui la natura d la regola allarte; e lartista, quale
che sia la potenza del suo genio, non pu prescindere dallevidenza
dei sensi. Oltre che lesito di inclinazioni individuali, fedelt a tradizioni culturali pregresse o refrattariet ad accoglierne di nuove, quei diversi approcci allarte in termini di autonomia o eteronomia risultano
essere una conseguenza logica delle due concezioni del verosimile sopra presentate.
Nella distinzione fra verosimile come libert o come limite, il discrimine implicito dato non tanto dalla possibilit di esperienza, quanto
dalla necessit di esistenza. Mentre pu essere falso che lassenza di
esperienza implichi la non-esistenza, il contrario sempre vero. Personalmente, non ho fatto mai esperienza della citt di Lovanio; eppure, se
le carte geografiche o i resoconti degli amici studiosi o i cataloghi online della sua celebre biblioteca non mi ingannano, e credo nella realt del mondo esterno, allora non ho motivo di ritenere quella citt inesistente. Allo stesso modo, se mai ci capitasse di vedere uno Yahoo o
un Leviatano, in teoria la noia non sarebbe scongiurata meno che al co61

spetto di un generale romano morente; a differenza di questultimo, per, i primi due non sono mai intervenuti nellesperienza di nessuno come realmente esistenti, o dati in natura: proprio questa non-esistenza
oggetto della censura di Du Bos, per il quale ci che non pu essere
solleva le difese razionali e impedisce lautentico apprezzamento estetico. Il problema conciliare una simile affermazione con luniversale
ammirazione, da lui stesso condivisa, per la letteratura greca e latina,
certo non priva di ciclopi, sirene, gorgoni, sfingi e altri mostri polimorfi.
Un fatto verosimile un fatto possibile nelle circostanze in cui lo
si fa accadere, giustifica Du Bos, commentando che non condannabile il poeta che descrive Diana in atto di rapire Ifigenia per salvarla
dal sacrificio e trasportarla nella Tauride, giacch lepisodio era possibile, secondo la teologia dei Greci di quel tempo (II 28, p. 111).
Tuttavia, possibile qui sta a indicare qualcosa non che ha parvenza
di verit, ma che si crede possibile; e il secondo fatto, lungi dal discendere, va anzi distinto dal primo. Le circostanze oggettive che rendono possibile credere nellesistenza di una citt chiamata Lovanio non
sono le stesse che giustificano la convinzione che si possa scendere agli
Inferi e poi tornare grazie a un ramo doro. Questo qualcosa a cui gli
antichi credevano, se vi credevano, senza prova o conferma desistenza.
Du Bos piuttosto critico con le invenzioni fantastiche di Ariosto, ma
dubito che il Pegaso di Bellerofonte apparisse agli antichi Greci pi
possibile dellIppogrifo di Astolfo agli umanisti. Alla base dellidea
di verisimiglianza come fedelt alla natura sembra essere lasserzione
che ove sia descritto il non-esistente, ovvero ci che in natura non ha
possibile esistenza, allora necessariamente non si d vera arte. Ma nella
sua forma positiva una simile proposizione mostra la propria incongruenza perch implica che ove sia descritto lesistente allora si d necessariamente vera arte: il che, ovviamente, non vero. Con ci non
intendo sostenere, giacch non lo penso, che il riconoscimento dellautonomia dellarte sia negli autori britannici frutto di ragionamento:
rilevo solo che le accezioni concessiva o limitativa del verosimile conducono anche logicamente a estetiche difformi.
Cos, avrei potuto trovare, e certo vi sono, temi e problematiche
comuni agli scritti inglesi sullarte e alle Riflessioni critiche di Du Bos:
penso, per esempio, al gi ricordato motivo del soliloquio, che Du Bos
avanza comunque evocando lauctoritas non di Shaftesbury ma di Orazio; o alla teoria della composizione figurativa e relativa distinzione fra
verit pittorica e poetica (I 31, p. 120 s.), che ripete quasi alla lettera
quanto enunziato da Shaftesbury nel trattato sul disegno storico 14 . E
al filosofo dellaesthetic sense rimanda ancora lidea dubosiana del sentimento come primo reagente alla sollecitazione estetica (vd., p. es., II
23, pp. 300-304); mentre lenfasi posta dal francese sulle impressioni
visive che determinano la superiorit della pittura sulla poesia (I 40,
62

pp. 161-66) argomento che appare discusso in termini assai simili da


Addison nei Piaceri dellImmaginazione. Uscendo poi dallo specifico
campo estetico, Du Bos mostra dessere informato sulle indagini scientifiche che andavano svolgendosi in Gran Bretagna presso la Royal Society e sul metodo baconiano (ivi), sulle ricerche di William Harvey
intorno alla circolazione sanguigna (II 33, p. 340) e quelle di Robert
Boyle sulla pesantezza dellaria (ivi, p. 339); il suo riferimento alla noia
e allumor basso non forse alieno dalla suggestione della fortunatissima Anatomy of Melancholy di Robert Burton (1621); e Locke
senzaltro uno degli autori presenti a Du Bos, nei termini e per i tramiti correttamente indicati da Elio Franzini (Presentazione, pp. 11-30:
pp. 16 e 23). Ma in generale, il tipo di riflessione estetica che anche
dopo Locke s sviluppata in Du Bos da un lato e nei contemporanei
inglesi dallaltro non mostra a mio avviso punti di convergenza tali da
annullare la percezione delle differenti prospettive dalle quali essi discendono. Du Bos non manca di procedere, come gli inglesi, a una
comprensione teoretica dellarte, ma pi spesso si muove con sicurezza
e solida erudizione nel chiaro solco delle poetiche classiche. A differenza dei trattati inglesi sulle fluttuanti idee del gusto, sulle idee di bello
e sublime, e di altre inquiries che fin dal titolo insistono sullorientamento gnoseologico della loro indagine, le Riflessioni di Du Bos sono
per sua stessa definizione critiche, in un senso meno trascendentale che
applicato; e anche l dove la loro indagine appare pi equamente divisa fra classicismo e modernit, la seconda meno fine che mezzo per
procedere pi speditamente alla riaffermazione del primo.
Questi caratteri peculiari emergono anche dalle interpretazioni o
valutazioni che di un medesimo dipinto dnno talvolta Du Bos e gli
inglesi. Nella Theory of Painting Jonathan Richardson descrive uno dei
cartoni di Raffaello oggi al Victoria & Albert Museum di Londra
per gli arazzi della Cappella Sistina (1515); a quanti obiettavano che
nellepisodio della Pesca miracolosa anche il divino maestro aveva
commesso lerrore di realizzare una barca sproporzionata rispetto alle
figure che contiene, Richardson replicava insistendo sul canone di libera verosimiglianza e sulla conseguente autonomia dellarte: A un
pittore a volte concesso di allontanarsi dalla verit storica e perfino
da quella naturale. [] La verit che se egli avesse disegnato la barca larga abbastanza per quelle figure, il suo dipinto sarebbe stato tutto
barca, il che avrebbe sortito un effetto sgradevole 15. A sua volta
Du Bos, nel richiamare da quella stessa serie il cartone con la Predica di San Paolo, adotta un canone critico del tutto opposto a quello di Richardson, sottolineando come, nelleffigiare in maniera tanto
eloquente le espressioni degli uditori, Raffaello abbia realizzato un capolavoro di poesia tenendosi nei limiti della verosimiglianza pi precisa (I 13, p. 66, corsivo mio).
63

Tuttavia, muovendosi anche nel solco di canoni letterari tradizionali e accogliendo il retaggio del classicismo antico e rinascimentale
pur sistemato, aggiornato e ampliato nei suoi mbiti di competenza
che le Riflessioni critiche hanno potuto esercitare influenza duratura
sul pensiero estetico moderno. Nel primo Settecento gli Inglesi mostrano la fervida esuberanza e il vigore di chi si avvicina a una materia ancora insondata con forze nuove; ma Du Bos aveva la posata sicurezza e il calmo equilibrio dellesperto conoscitore. Ad altri di dire
se e come i due atteggiamenti si siano confrontati e reciprocamente
avvantaggiati in progresso di tempo. Rilevo solo che nel suo saggio
sulleloquenza del 1742 Hume, nella scia di Du Bos, avvertiva il pubblico che unopera di genio si distingue dalle bellezze adulterate di
uno spirito e di una fantasia capricciosi 16; e il primo fra i pittori e
teorici dellarte inglesi del XVIII secolo, Sir Joshua Reynolds, dal 1769
impart agli studenti della Royal Academy of Arts una serie di lezioni
sui limiti che simpongono al genio creativo e sulla necessit di imbrigliare anche il talento pi fervido entro la salda guida di canoni collaudati. Per contro, Blake di limiti creativi non volle mai sentir parlare,
lanciando violente invettive su chiunque (Reynolds incluso) mettesse in
discussione lautonomia del genio; e se in Francia Du Bos avvertiva
che non pu trarsi alcun piacere da un dipinto che rappresenti un
contadino che va per i fatti suoi conducendo due bestie da soma (I
6, p. 52), centanni dopo dallaltra parte della Manica John Constable
volle ispirarsi proprio a temi come quello per realizzare i suoi capolavori. Ma gli inglesi, si sa, fanno sempre a modo loro.

* I capitoli e le pagine indicate tra parentesi si riferiscono a Jean Baptiste Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, trad. it. di M. Bellini e P. Vincenzi, a c. di M.
Mazzocut-Mis e P. V., Prefaz. di E. Franzini, Palermo, Aesthetica Edizioni, 2005.
1
Shaftesbury, Soliloquio, ovvero consigli a un autore (1710), trad. it. di N. & P. Zanardi, a c. di P. Z., Padova, Il Poligrafo, 2000, p. 121.
2 W. Tatarkiewicz, Storia dellestetica, III. Lestetica moderna (1970), trad. it. di G. Cavagli, Torino, Einaudi, 1980, p. 497.
3 Abecedario pittorico, Venezia, Appresso G. Pasquali, 1753, p. 445a, s.v. Richardson di
Londra.
4
Cfr. Saggio sulla pittura, in Illuministi italiani, II. Opere di Francesco Algarotti e di Saverio Bettinelli, a c. di E. Bonora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, p. 377, sul tema della verosimiglianza.
5
Spectator del 2 febb. 1712 (nr. 291), in Joseph Addison, Essays in Criticism and
Literary History, ed. by J. Loftis, Northbrook (IL), AHM Publ., 1975, p. 125 (mia la trad.).
6 In Jonathan Richardson, The Works, ed. by J. Richardson Jr., London, Pr. by T. Davies, 1773, p. 76 s. (mia la trad.).
7 Spectator del 1 lu. 1712 (nr. 419), in I piaceri dellImmaginazione, tr. it. di G. Miglietta, a c. di G. Sertoli, Palermo, Aesthetica, 2002, pp. 59-61 (Del fiabesco): p. 60 s.
8
Spectator del 2 lu. 1712 (nr. 420), ivi, pp. 63-65 (Scienza e immaginazione): p. 63.
9 Sir Philip Sidney, Elogio della Poesia, a c. di M. Pustianaz, Genova, Il melangolo, 1989,
p. 29.

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10 Francesco Bacone, Saggi, trad. it. di C. Guzzo, introd. di E. Garin, a c. di E. De Mas,


Milano, TEA, 1995, p. 154.
11 In Critical Essays of the Seventeenth Century, ed. by J.E. Spingarn, Oxford, Clarendon
Press, 1908, III, pp. 79-89: p. 83 s. (mia la trad.).
12
Cos il Prologue (vv. 14-15) a Tyrannick Love, or the Royal Martyr (1670), in John
Dryden, The Poems and Fables, ed. by J. Kinsley, London, Oxford University Press, 1962, p.
118: And he who servilely creeps after sense | Is safe, but neer will reach an excellence
(mia la trad.).
13 Le citaz. son tratte risp. da Francesco Bacone, La dignit e il progresso del sapere divino ed umano, II 10, in Scritti filosofici, a c. di P. Rossi, Torino, UTET, 1975, p. 216; Thomas Hobbes, Risposta a Sir Guglielmo DAvenant, in Lestetica dellempirismo inglese, a c. di
M. M. Rossi, Firenze, Sansoni, 1944, I, pp. 134-150: p. 141; John Locke, Saggio sullintelligenza umana, II 12, 5 (1690), trad. it. di C. Pellizzi, riv. da G. Farina, Bari, Laterza, 19942, p.
171.
14 Nel cap. V del trattato sul disegno storico (di cui supra, p. 3), Shaftesbury distingue
tra forma e contenuto di un dipinto, osservando a proposito del secondo: la verit storica deve necessariamente dare luogo a quella che noi chiamiamo verit poetica, in quanto
governata non tanto dalla realt, quanto dalla probabilit o apparenza plausibile (Opinione sul disegno storico, o rappresentazione grafica del Giudizio di Ercole, in E. G. Holt, Storia
documentaria dellarte. Dal Medioevo al XVIII secolo [1957], trad. it di F. Peri Minuto, Milano,
Feltrinelli, 1972, pp. 433-445: p. 440).
15 The Theory of Painting, cit., p. 26 s.
16
In Saggi di estetica, a c. di I. Zaffagnini, Parma, Pratiche Editrice, 1994, pp. 85-99: p.
95.

65

Du Bos e la musica
di Enrico Fubini

Il titolo esatto e completo delle famose Rflexions del Du Bos, com noto, Rflexions critiques sur la posie et sur la peinture. Come
mai la musica non compare in questo titolo anche se il Du Bos dedica poi, in effetti, alla musica parecchie pagine del suo trattato e si tratta di pagine non marginali, e inoltre dedica in fondo alla musica in
senso lato anche il terzo volume delle Rflexions? Nel XVIII secolo la
musica era considerata presso la maggior parte dei trattatisti, filosofi e
critici come unarte minore e nelle gerarchie delle arti, cos consuete
durante tutto il Settecento, la musica occupava lultimo gradino a causa
del suo scarso o nullo potere semantico o, come si diceva a quel tempo, a causa del suo scarso o nullo potere dimitazione. Ovviamente
nellestetica settecentesca il concetto chiave di imitazione della natura
portava inevitabilmente a una svalutazione della musica: cosa poteva
mai imitare la musica se non pochi e forse inessenziali rumori del mondo naturale? Di per s questa ridotta imitazione non permetteva la
creazione di opere ragguardevoli; al pi poteva servire nellambito melodrammatico, dove gli apparati scenici erano imponenti, a sottolineare ed esaltare temporali, scorrere dellacqua, fruscii campestri, canti
di uccelli e via dicendo.
Il Du Bos si trovava dunque di fronte a questa situazione che, con
poche varianti, ritroviamo per lo pi nel pensiero musicale della prima met del Settecento. Il Du Bos non ha mai avuto lintenzione e
neppure la coscienza di essere un rivoluzionario, neppure in materia di
estetica ed eredita pertanto il linguaggio e i concetti chiave dellestetica
settecentesca 1. noto che nella famosa querelle des anciens et des modernes opta per gli anciens, qualificandosi pertanto come uno storico
e un pensatore conservatore. Ma la grande novit del pensiero del Du
Bos consiste negli strumenti concettuali che usa per capovolgere molti
tra i giudizi e pregiudizi del suoi contemporanei in fatto di estetica e
nello specifico di estetica della musica, pur conservando per lo pi il
vecchio linguaggio.
Non c quindi da stupirsi pi di tanto se nel titolo delle Rflexions
non compare la musica: nel sentire comune ovvio che larte per eccellenza fosse la poesia e in secondo luogo la pittura. La rivalutazione
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della musica, che a mala pena poteva considerarsi unarte al pari delle
consorelle, avverr nel contesto del Rflexions, alla luce delle ampie
premesse esposte nei primi capitoli: forse non era neppure del tutto
cosciente il Du Bos del fatto che la sua trattazione della musica poneva problemi totalmente nuovi nellambito del pensiero settecentesco e
doveva passare un mezzo secolo perch gli spunti originali e possiamo
ben dire rivoluzionari fossero raccolti e sviluppati da Rousseau, da
Diderot, da Grimm e da tanti altri pensatori, soprattutto in ambito
francese. In altre parole nella trattazione della musica, ma gi nella
trattazione della poesia e della pittura, che precede quella sulla musica,
il Du Bos pone le solide fondamenta per sovvertire la ben nota gerarchia delle arti e per superarla in una nuova concezione in cui la poesia e la musica si troveranno in una posizione di integrazione e non
pi di subalternit.
La sezione XLV del primo volume viene intitolata dal Du Bos Della
musica propriamente detta e cos si apre:
Ci rimane da parlare della musica, come terzo modo inventato dagli uomini per
dare nuovo vigore alla poesia e per metterla in condizioni di esercitare su di noi una
maggiore impressione. Cos come il Pittore imita i tratti e i colori della natura, allo
stesso modo il musicista imita i toni, gli accenti, le brevi pause, le inflessioni della
voce insomma tutti quei suoni per mezzo dei quali la natura stessa esprime sentimenti e passioni. Tutti questi suoni, come abbiamo gi detto, possiedono una forza
straordinaria per emozionarci, poich sono i segni delle passioni, istituiti dalla natura
da cui hanno ricevuto lenergia; le parole articolate invece non sono altro che i segni arbitrari delle passioni. Il loro significato e il loro valore dato unicamente da
quanto gli uomini hanno stabilito in un certo paese 2.

Gi da queste prime righe colpisce il fatto che la musica viene, almeno a livello di trattazione equiparata alle altre arti. Anche per quello
che riguarda loggetto delle sue imitazioni, non compare nessun accenno a una possibile gerarchizzazione. Infatti troviamo nelle Rflexions
espressioni di questo tipo: come il pittore imita cos la musica
imita tutti i suoni con cui la natura esprime sentimenti e passioni 3.
Ogni arte dunque ha un suo campo specifico dimitazione e non si
pu certo dire, nellottica tendenzialmente empiristica e sensistica del
Du Bos, che sentimenti e passioni siano meno importanti dei colori
della natura, oggetto dimitazione della pittura, dal momento che scopo
dellarte in generale proprio quello di suscitare commozione ed emozioni. Ma nella citazione sopra riportata c ancora un altro elemento
di grande importanza: la musica si serve di segni delle passioni, istituiti dalla natura, mentre la poesia si serve di segni arbitrari delle
passioni. Di qui la musica deriva la sua forza, analogamente alla pittura perch anchessa si serve di segni naturali e non arbitrari o convenzionali, come la poesia. Du Bos non istituisce piramidi delle arti ma
tuttavia sintravede nel suo discorso un capovolgimento rispetto alle
68

tradizionali gerarchie settecentesche in cui sempre la poesia si trovava


sempre al primo posto, grazie a un suo pi alto contenuto intellettuale
rispetto a tutte le altre arti. Sempre nella stessa citazione da notarsi
un altro particolare di capitale importanza: la musica sarebbe stata
inventata per dare nuovo vigore alla poesia e per metterla in condizioni di suscitare in noi grande impressione; lasciando cos trapelare
che la musica ha poteri artistici sempre nellottica di Du Bos secondo
cui larte tanto pi arte quanto pi colpisce la nostra immaginazione superiori a quelli della poesia. Inoltre apre una prospettiva che
sar poi sviluppata in modo sin troppo ampio nel terzo volume delle
Rflexions, secondo cui musica e poesia si integrano e si completano
lun laltra. Non si pu non notare che da una parte la musica mostra
una parentela assai stretta con la pittura in quanto entrambe queste arti
si servono per le loro imitazioni di segni naturali; ma daltra parte il
destino della musica di unirsi alla poesia, arte che invece si serve di
segni convenzionali. Il problema, in parte irrisolto dal Du Bos di
approfondire, proprio sul piano della verosimiglianza e dellimitazione,
qual il campo dimitazione della musica che non ha nulla a che vedere con quello della pittura. In fondo ci che unisce la musica alla
poesia di essere entrambe arti del tempo e non dello spazio. Perci
in fondo la parentela con la pittura, affermata da Du Bos nel passo
sopra citato, assai superficiale.
La musica trova dunque la sua destinazione pi appropriata nella
fusione con la parola poetica, vale a dire nellambito dello spettacolo
melodrammatico, arte che occupava un posto donore nella societ
settecentesca e che attirava quindi lattenzione malevola dei filosofi e
dei critici: questo spettacolo veniva per lo pi condannato in quanto
ritenuto artificioso e diseducativo, fatto per venire incontro al cattivo
gusto del pubblico, spettacolo di gran lunga inferiore al pi forte, al
pi educativo e pi tradizionale spettacolo tragico, declamato ma senza laggiunta inopportuna della musica. La musica strumentale pura,
che pur andava diffondendosi molto velocemente, acquistando sempre
pi spazio, non trovava posto n spiegazioni soddisfacenti nelle teorie
estetiche del tempo. Torneremo pi avanti su questo problema nella
trattazione del Du Bos. Per ora concentriamoci sulla questione dellincontro musica-poesia nel melodramma.
Il Du Bos come si detto si mantiene formalmente fedele al
principio dellimitazione della natura e assegna a tutte le arti il compito
dimitarla; tuttavia, proprio per quanto riguarda la musica tale principio si rivela del tutto inadatto a comprenderne la natura; da un punto di vista razionalistico e questo non il punto di vista di Du Bos
si sarebbe dovuto concludere, o che la musica non era arte in quanto
non imitava nulla, o che partecipava, anche se debolmente, del mondo dellarte in quanto capace dimitare i rumori della natura e tale
69

aspirazione non era estranea alla musica francese del tempo. Il Du Bos,
pur rimanendo nellambito di tali concetti, ritocc appena il principio
dimitazione della natura affermando che la musica ha un suo campo
particolare dimitazione, cio quello dei sentimenti. Si sa quale fortuna sar destinata ad avere per tutto il secolo diciottesimo la formula
che definisce la musica come imitazione dei sentimenti, e il Du Bos
forse stato il primo a usarla, seguito poi dal Batteux qualche decennio
pi tardi e poco oltre dagli Enciclopedisti. Il problema di mostrare
quali siano i mezzi di cui dispone il musicista per imitare i sentimenti, dal momento che i sentimenti sono qualcosa di astratto, di connaturato allanimo umano, che si manifestano tuttal pi, e non sempre,
con pochi segni esteriori.
La musica quindi realizza lo stesso fine delle altre arti; non solo,
ma, dalle parole del Du Bos, emerge con chiarezza che esiste una segreta complicit e affinit tra la musica e il mondo dei sentimenti, per
cui di fronte a essi la musica appare in una posizione quasi di privilegio rispetto alla poesia e alla pittura. Indubbiamente questa teoria sembra preludere alla concezione della musica di Rousseau; infatti anche
il Du Bos concepisce la musica come unintegrazione del linguaggio
verbale, di per s insufficiente e privo dimmediatezza. Tuttavia importante notare che egli si stacca dal pensiero di tutta la critica a lui
contemporanea, che considerava la musica nel melodramma tuttal pi,
come unaggiunta inessenziale, un ornamento dannoso al testo poetico, con la funzione di renderlo forse pi facile e gradevole a intendersi
blandendo il nostro orecchio, ma a scapito per della sua drammaticit e soprattutto della sua verosimiglianza.
Nellambito di una dottrina come quella del Du Bos non priva di
elementi sensualistici, o che comunque ha portato a una rivalutazione
dellemozione e della sensibilit come organi della fruizione estetica,
naturale e coerente che si tenti anche una rivalutazione della musica in
quanto arte della sensibilit. Ancora una volta pertanto il principio dellimitazione della natura ha rappresentato per tutto il secolo diciottesimo
un serio ostacolo a questo processo di riconoscimento del valore artistico della musica. Infatti se esso ha costituito lunico principio unificatore delle varie arti, ha anche costituito un principio discriminante formando automaticamente delle gerarchie di valore mirante a escludere
certe arti. Gli strumenti concettuali e le categorie estetiche settecentesche erano poco adatti a inquadrare la musica in un sistema estetico che
non la degradasse allultimo gradino delle arti. Pertanto tutta la trattazione del Du Bos sulla musica risente di questa situazione, riflettendo
le difficolt e le incertezze connesse alluso del linguaggio estetico-filosofico del tempo. Du Bos pur senza uscire da tale linguaggio ha cercato
di piegarlo a esprimere un mondo nuovo e diverso, in cui la musica
potesse essere rivalutata e portata al livello delle arti sorelle.
70

Per il Du Bos la musica unarte come unaltra e sottost quindi


alle stesse regole della verosimiglianza e della convenienza: I principi fondamentali della musica sono dunque gli stessi della poesia e della pittura 4. La musica ha una sua verit, e solo ponendosi in una
prospettiva intellettualistica si pu affermare che un melodramma non
ha verosimiglianza perch sembra alla nostra ragione insensato che i
personaggi cantino sempre in tutte le circostanze della loro vita e persino morendo. La verosimiglianza appare chiaramente da queste pagine pi come un criterio di convenienza interna, che nasce da una regola intrinseca allopera stessa, che come un criterio di adeguazione a
una realt esterna. Si pu parlare quindi di verit anche per il melodramma: Esiste dunque una verit nei recitativi delle opere; questa
verit consiste nellimitazione dei toni, degli accenti, delle brevi pause e dei suoni che sono naturalmente adatte ai sentimenti contenuti
nelle parole. La stessa verit pu trovarsi nellarmonia e nel ritmo dellintera composizione 5. La verit di cui parla qui il Du Bos non pi
la verit razionalistica come la intendeva Boileau, ma la verit dei sentimenti di cui la musica rappresenta lespressione, o meglio per usare
il linguaggio del Du Bos limitazione pi diretta e naturale.
Riaffiora qui un concetto gi espresso, anche se timidamente, in
altre pagine: larte, e qui la musica in particolare, tende a cogliere il
sentimento allo stato sorgivo, non ancora mediato dalle convenzioni
linguistiche e intellettuali; larte, che dispone di segni naturali, come la
pittura o la musica, anzich imitazione della natura, si pu dire che in
qualche modo venga a coincidere con la natura stessa o con gli sia la
natura stessa o gli stessi sentimenti nelle loro manifestazioni anche sensibili. Sospiri, accenti, inflessioni di voce, ecc., connessi allespressione
dei nostri sentimenti, sono gi essi stessi musica. I segni naturali di cui
si serve la musica per aumentare lenergia delle parole che diventano
canto, devono dunque rendere queste ultime pi capaci adatte a colpirci 6; perci la musica non viene pi a configurarsi come unarte
che fa appello solamente ai nostri sensi e questa era laccusa pi comune che le si muoveva ma il piacere dellorecchio diventa il piacere del cuore 7.
Anche per la musica il Du Bos introduce le stesse distinzioni gi
introdotte per le altre arti: da una parte musica fatta per piacere solo
allorecchio, sfoggio di abilit tecnica, dallaltra musica opera del genio, musica che tocca il nostro cuore:
Metterei volentieri la musica in cui larte del compositore non ha saputo commuoverci, allo stesso livello dei quadri che sono solo ben colorati e dei poemi che
sono solo ben versificati. Come una buona esecuzione deve servire sia in poesia sia
in pittura a realizzare la bellezza dellinvenzione e i tratti di genio che dipingono la
natura imitata, cos anche la ricchezza e la variet degli accordi, il fascino e la variet

71

dei canti devono servire in musica solo per fare e per abbellire limitazione del linguaggio della natura e delle passioni. Quella che viene chiamata scienza della composizione una serva, per usare questespressione, che il genio del musicista deve
tenere alle sue dipendenze, cos come il genio del poeta deve tenere il talento del
rimare [...] Credo anche che tutti i poeti e che tutti i musicisti sarebbero del mio parere se non fosse pi facile rimare rigorosamente che sostenere uno stile poetico
come pure trovare, senza scostarsi dal vero, dei canti che siano allo stesso tempo naturali e graziosi. Ma non si pu essere patetici senza possedere genio mentre sufficiente aver esercitato larte, anche quando ci si fosse applicati senza genio, per
comportarsi sapientemente in musica o per rimare riccamente in poesia 8.

Valeva la pena di riportare un passo cos ampio per la chiarezza e


la precisione con cui il Du Bos esprime concetti cos insoliti al suo
tempo. Si tratta del primo tentativo di piena rivalutazione della musica
su salde basi teoriche; ma la spinta pi vigorosa in questa rivalutazione
rappresentata dal concetto di unit delle arti. La musica, infatti, viene continuamente paragonata alla pittura e alla poesia senza che per
questo si formi una gerarchia di valori, anche se il Du Bos mette in
luce le diverse possibilit insite nella natura di ciascunarte. Come si
era distinto tra soggetti adatti alla poesia e altri adatti alla pittura, o
scendendo ancora pi nei particolari, tra soggetti adatti ai vari generi
letterari, cos anche la musica non si presta ad accompagnare qualsiasi
tipo di poesia; solo i versi che contengono sentimenti sono adatti ad
essere musicati mentre quelli che contengono immagini non lo sono
altrettanto 9; anzi dai versi che esprimono sentimenti la musica nasce
quasi spontaneamente: dalla sola lettura di essi nasce la musica perch
lespressione inarticolata delle passioni.
Si dunque parlato di musica come complemento essenziale della
poesia. Questa rappresenta la parte pi importante della teoria del Du
Bos e rimarr una traccia sicura per il futuro sviluppo dellestetica musicale. Ma egli ha pure tentato di giustificare la musica come arte autonoma, tentativo senza dubbio meritevole, anche se in questo suo
sforzo speculativo stato pi debole. Lesigenza del Du Bos di giustificare lesistenza come arte delle Sympbonies, della musica strumentale pura, nellambito della sua estetica, cio senza cadere nel sensualismo. Per salvare la musica pura ne ha ridotto il suo compito allimitazione dei rumori della natura, rinunciando alla felice intuizione precedente della musica come linguaggio proprio dei sentimenti. Il Du Bos
ammette quindi una verosimiglianza nella sinfonia come nella poesia,
e pur tenendo fermo il principio dellimitazione dei suoni inarticolati
della natura, deve ammettere tuttavia che molto spesso le sinfonie non
imitano alcun suono esistente in natura; il Du Bos esce dalla difficolt affermando che bench queste sinfonie siano in un certo senso
inventate per diletto, tuttavia aiutano molto a rendere lo spettacolo
commovente e lazione patetica 10. Senza volerlo per, pur parlando
di musica strumentale, senza accompagnamento del canto, ritorna a
72

considerare anche questa musica in funzione melodrammatica, come


introduzione o preparazione allazione del dramma. Ancora una volta
si pu osservare che il principio dimitazione della natura non solo si
presenta inadatto a rendere ragione delle arti cosiddette asemantiche,
ma agisce come fattore discriminante e tende inevitabilmente a costituire delle gerarchie nel mondo delle arti. Potremmo dire che lestetica
del Du Bos tende a unificare le arti e a eliminare le gerarchie di valore
nonostante luso del principio dimitazione. Daltra parte si visto come nella sua estetica tale principio abbia per larte un valore strumentale e non finale; indubbiamente il Du Bos si serve di tale principio,
pi che per intrinseca necessit concettuale, per acquiescenza al linguaggio estetico-filosofico contemporaneo. Daltra parte una rigida
applicazione del principio dimitazione non pu portare che a unirrevocabile condanna non solo estetica ma anche moralistica della musica.
Ancora qualche parola su un problema che non marginale, come
pu sembrare a una prima lettura distratta delle Rflexions, problema
a cui Du Bos dedica quasi interamente il terzo volume, quello che viene spesso trascurato perch considerato per lo pi dagli studiosi come
unappendice inessenziale allo svolgimento del suo pensiero estetico,
frutto di curiosit erudite. Effettivamente questa lunga dissertazione,
centrata sul teatro antico, non sembra costituire una parte integrante
nel complesso dellopera; il Du Bos stesso doveva esserne consapevole
dal momento che, dopo la prima stesura delle Rflexions in cui essa
costituiva un lungo capitolo della parte dedicata alla musica, estrasse
questa parte dal primo volume e la releg in questo terzo volume come unappendice.
Tuttavia, a ben vedere questo terzo volume delle Rflexions non
solamente il frutto della pignoleria dello studioso erudito; il Du Bos,
come non concepisce la ricerca filosofica astratta dalla realt e dalla
storia, cosi come non concepisce mai la ricerca storica come fine a se
stessa, come pura erudizione.
Il terzo volume delle Rflexions oggi letto molto raramente e dal
punto di vista filologico quasi totalmente smentito da ricerche pi
aggiornate. Tuttavia esso si fonda su di un presupposto ben preciso
anche se storicamente errato che presenta un interesse estetico indubbio e in particolare per la concezione della musica. Non per nulla il Du Bos in un primo tempo laveva incluso nella trattazione sulla
musica.
La tesi sostenuta in questa ricerca che nel teatro antico, greco e
romano, la declamazione era determinata in modo preciso per mezzo
di una notazione di tipo musicale. Il Du Bos per sostenere la sua tesi
si appella a varie autorit, a scrittori, teorici e filosofi del mondo antico, compreso Aristotele, riferendo passi delle loro opere che a suo
giudizio, con ingegnose interpretazioni, convaliderebbero la sua ipotesi.
73

Ma il Du Bos seguiva una sua idea gi esposta nel capitolo sulla musica: tutto il terzo volume delle Rflexions in realt si presenta come la
giustificazione, la dimostrazione della validit della sua teoria sulla musica e sullarte pi in generale. Il Du Bos infatti non si limita a esporre
il frutto delle sue ricerche, ma ne teorizza il risultato e rimpiange che
luso della notazione musicale nei testi teatrali sia scomparso, non solo
perch aiuterebbe gli attori nella recitazione, ma per un motivo ben
pi importante: musica e poesia si integrano vicendevolmente e ci che
oggi affidato al buon senso e allistinto dellattore nellantichit era
fissato dallartista stesso, conscio che la poesia doveva trovare il suo
completamento espressivo nella declamazione, cio negli accenti, nei
sospiri, nelle modulazioni della voce che lavrebbero accompagnata
nella recitazione. Secondo il Du Bos nellantichit la musica era unarte
ben pi vasta e completa, e linsegnamento di essa includeva molte
altre arti. Oltre alla danza, allarte dei gesti, anche larte poetica era
una delle arti subordinate alla Musica e di conseguenza era la Musica
che insegnava la costruzione dei versi di ogni tipo 6.
Il fatto che la musica avesse nellantichit confini molto ampi starebbe a dimostrare una certa unit originaria dellespressione artistica,
e in particolare di musica e poesia. Si era accennato alla teoria sulla
musica di Rousseau come a uno sviluppo di quella del Du Bos; forse
Rousseau non lesse mai il Du Bos, tuttavia proprio dalla trattazione del
problema della declamazione si pu riscontrare in modo pi preciso
lindubbia parentela tra le due dottrine. Il Du Bos infatti vagheggiava
il teatro antico, con la sua declamazione musicale, come unarte perfetta, completa, in cui lespressione verbale e quella musicale, lespressione articolata e quella inarticolata si fondevano in ununit inscindibile, rappresentando il linguaggio stesso delle nostre passioni. Il melodramma di Lulli costituisce un tentativo di ricostruire questunit originaria spezzata per tanti secoli.
Questa lunga dissertazione pertanto costituisce il tentativo pi significativo di rivalutare la musica nei suoi stessi fondamenti, ritornando alle sue origini storiche. La via aperta dal Du Bos si dimostrata
la pi feconda, e lo stesso Romanticismo non ha fatto che sviluppare
il concetto, appena adombrato nelle Rflexions, di musica come linguaggio originario e privilegiato dei sentimenti.

1
Tra i pochi studi italiani che abbiano affrontato questo tema si rimanda soprattutto
allottimo saggio di Ermanno Migliorini, Studi sul pensiero estetico del Settecento, Il Fiorino,
Firenze 1966.
2
Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, trad. italiana di Manuele Bellini e Paola
Vincenzi, Aesthetica Edizioni, Palermo 2005, p. 177.
3 Ibid.

74

Ivi, p. 182.
Ivi, p. 178.
Ibid.
7 Ibid.
8
Ivi, p. 183.
9 Ivi, p. 188.
10 Ivi, p. 182.
4
5
6

75

Du Bos e la recitazione teatrale


di Claudio Vicentini

Dubos e la nuova percezione dellarte dellattore


Nelle Rflexions critiques sur la posie et sur la peinture Du Bos dedica ai problemi della recitazione teatrale tre sezioni del primo volume, del 1719, e poi una serie di argomentazioni assai pi articolate e
approfondite nel terzo volume che appare nel 1733. E gi nelle prime
considerazioni del 19 emergono delle importanti novit, che risiedono non tanto nelle formulazioni di taglio specificatamente teorico, in
cui Du Bos ripropone sostanzialmente, con le consuete citazioni di
Orazio e Quintiliano, la teoria emozionalista dorigine classica secondo cui la partecipazione emotiva dellattore o delloratore il presupposto indispensabile della sua arte, quanto nelle osservazioni sui modi
di recitare le tragedie e le commedie nei diversi paesi europei. Du Bos
apprezza e difende lo stile cantato della recitazione tragica francese,
sottolinea i limiti dellimpostazione italiana che assimila le forme della tragedia a quelle della commedia, rileva gli eccessi, in un altro paese, degli attori abituati a interpretare le tragedie alternando toni furiosi a unalterigia cupa e tetra e ad accessi di furore per cui
Giulio Cesare sulla scena arrivava a strapparsi i capelli e Alessandro a
pestare rabbiosamente i piedi, e infine testimonia lesistenza, da qualche parte in Europa, di uno stile pi meschino che permette agli
spettatori di osservare Scipione fumare la pipa e bere un boccale di
birra sotto la tenda, mentre progetta il piano della battaglia che dar
ai cartaginesi 1.
Queste notazioni, al di l dellinteresse che rivestono per la storia
della recitazione (senza Du Bos non avremmo mai sospettato che nel
primo Settecento esistesse una recitazione tragica che includesse gesti
quotidiani come bere la birra e fumare la pipa) inaugurano un nuovo
modo di percepire larte dellattore, estraneo alla cultura seicentesca,
ed essenziale invece allintenso sviluppo del dibattito sulla recitazione
che caratterizza la vita teatrale del Settecento.
Gli anni in cui si colloca la pubblicazione delle Rflexions costituiscono infatti un periodo nevralgico per la teoria della recitazione, che
almeno in Europa, dallinizio dellet moderna, aveva conosciuto un
77

andamento singolare. Sorta nella seconda del Cinquecento in ritardo


rispetto alla trattatistica dedicata ad altri problemi della produzione
teatrale come la composizione del testo o la realizzazione delle scenografie, la teoria della recitazione, dopo una prima fase sviluppata dai
trattatisti italiani, era apparentemente scomparsa per una settantina
danni nel corso del Seicento, ed era poi riapparsa allimprovviso, sul
cadere del secolo, con lopera fondamentale di Andrea Perrucci Dellarte rappresentativa premeditata, ed allimprovviso. Seguiva nel 1707 il
primo trattato francese, Lart du rcitatif di Jean Lonor Le Gallois de
Grimarest poi, nel 1710, il primo trattato inglese, The Life of Mr. Thomas Betterton attribuito a Charles Gildon, e infine nel 1727 la Dissertatio de actione scenica del gesuita Franciscus Lang che inaugurava
lestetica della recitazione teatrale in area tedesca 2.
Si apriva cos la grande stagione della trattatistica sullarte dellattore. Sullargomento, per tutto il Settecento, sarebbero intervenuti decine di autori, ponendo i fondamenti della moderna concezione della
recitazione, e gi nel primo scorcio del secolo sarebbe affiorata una
precisa capacit di osservare gli interpreti al lavoro sulla scena con
unacutezza e una sensibilit fino allora sconosciute 3.
In questo periodo di trasformazione Du Bos si colloca tra i teorici pi pronti a sviluppare e innovare il discorso sulla recitazione. Innanzi tutto per lampiezza e lacutezza dello sguardo con cui considera
il fenomeno. il primo a rilevare criticamente, nel 1719, la coesistenza
di diversi stili attorici radicati nella tradizione dei differenti pesi. tra
i primi, nel 1733, a sottolineare limportanza di impressioni e sfumature tecniche particolari, come la variazione del colorito e il diffondersi
del pallore sul volto dellattore, lamentando leccesso delluso del belletto, diventato di moda, che nasconde questi effetti agli occhi dello
spettatore 4. Ed sua, sempre nel 1733, la fondamentale osservazione
secondo cui limmagine dellattore che viene colta dal pubblico in
realt una composizione dello spettatore, prodotta dalla percezione
visiva contaminata dallimmaginazione. Limmaginazione supplisce
scrive Du Bos parlando delluso della maschera ci che ci vien nascosto; e quando vediamo occhi ardenti di collera, crediamo di vedere il resto del viso illuminato dal fuoco di questa passione, sicch ci
commuoviamo come se lo vedessimo davvero 5.
Ma soprattutto, in unottica pi precisamente teorica, Du Bos il
primo ad accogliere il fenomeno della recitazione come oggetto di riflessione allinterno di un ampio trattato, che spazia della pittura alla
poesia alla musica, conferendo cos di fatto allarte dellattore lo statuto di fenomeno estetico e culturale a pieno diritto. Lattivit attorica,
quale viene effettivamente praticata sulla scena e pu essere concretamente osservata nei teatri del tempo, non costituisce pi una forma di
ambiguo divertimento, procurato da una pratica corredata da una se78

rie di accorgimenti esclusivamente tecnici, ma viene collocata, con i


suoi tratti propri, specifici ed esclusivi, allinterno dellorizzonte ufficiale dellarte e assume inoltre il valore di uno strumento indispensabile per cogliere correttamente una parte significativa del mondo culturale dellantichit 6.
Ladozione delloratoria e il problema dellemancipazione
La chiave per comprendere il significato della posizione innovativa di Du Bos risiede proprio nel lungo periodo di silenzio della trattatistica sulla recitazione che aveva preceduto la straordinaria rinascita
del primo Settecento. Quel silenzio, infatti, aveva paradossalmente segnato il trionfo degli sforzi compiuti dai pi consapevoli protagonisti
della scena europea, tra la fine del Cinquecento e linizio del Seicento, per ottenere il pieno riconoscimento della dignit culturale del lavoro dellattore. Per giungere a questo scopo, di fronte agli attacchi
della chiesa e al discredito elargito dai letterati, una sola era apparsa la
via da percorrere: rivendicare lidentit della figura dellattore con
quella delloratore, che godeva nella societ del tempo di un indiscusso
prestigio intellettuale 7. E per sostenere questa tesi era possibile ricorrere ai testi canonici di Cicerone e Quintiliano che insistevano sulla
profonda affinit della recitazione con loratoria e costituivano per altro
i punti di riferimento fondamentali dellintero studio delleloquenza
sviluppato in tutta lEuropa.
Per la cultura dellepoca, inoltre, la dottrina delloratoria racchiudeva tutta la conoscenza relativa ai processi di creazione di un testo
(scritto o anche solo pronunciato) e della sua concreta comunicazione,
fornendo cos le basi teoriche per un ventaglio amplissimo di attivit,
che andavano dalla produzione poetica allinsegnamento scolastico,
dalla professione forense allattivit parlamentare, fino allabilit di
condurre una conversazione attraente ed efficace e alla determinazione
dei modi che dovevano caratterizzare il comportamento di una persona
per bene in societ 8. In questottica la recitazione non poteva che essere una forma delloratoria, che fissava appunto le regole da seguire
per conferire efficacia, perfezione e bellezza a tutte le forme dellespressione verbale e gestuale. E la tecnica di pertinenza dellattore sulla
scena doveva senzaltro essere identificata con lactio delloratore descritta nei trattati della retorica classica.
Proprio di qui doveva nascere limpressione della scomparsa, nel
corso del Seicento, della teoria della recitazione, che in realt non era
affatto svanita, ma restava semplicemente immersa nel ricchissimo dibattito generale dedicato allarte delleloquenza. Mentre veniva meno
la produzione di scritti e trattati specificamente rivolti alla recitazione
79

teatrale, si sviluppava nella coscienza del tempo un sistema di regole


codificate, utili per orientare e valutare la prestazione dellattore. Queste, per, non erano altro che le norme tecniche delleloquenza, indispensabili per chiunque parlasse in pubblico, il predicatore come lavvocato, linsegnante come il conferenziere, luomo politico o lattore. E
collocandosi allinterno di una disciplina che occupava una posizione
centrale nellorizzonte culturale dellepoca, la teoria della recitazione
ricavava un doppio beneficio. Nobilitava ovviamente loggetto della
sua ricerca, che poteva essere riconosciuto come un prodotto culturale
a tutti gli effetti. E soprattutto poteva fruire dei risultati dellenorme
lavoro di studio e di riflessione che accompagnava lo sviluppo della
dottrina delloratoria per tutto il Seicento. Moltiplicava cos i dati e le
osservazioni di cui poteva disporre, e di fronte alle semplici connotazioni dei personaggi, delle passioni e delle espressioni caratteristiche,
offerte dai trattati di recitazione del tardo Cinquecento e del primo
Seicento, poteva ora giovarsi della definizione di un catalogo straordinariamente ampio di figure, di moti dellanimo, di gesti e di espressioni fisiche. Di qui nasceva la nuova attenzione per le prestazioni degli
attori, impegnati a individuare, per una corretta interpretazione del
personaggio, una gamma di atteggiamenti emotivi e di espressioni esteriori particolarmente ricca e a dedicare una maggiore attenzione alla
resa dei dettagli e delle sfumature. Il pieno riconoscimento della recitazione come fenomeno culturale si associava dunque a una pi raffinata capacit di osservare gli interpreti al lavoro sulla scena. E questi
dovevano essere appunto i presupposti della sorprendente ripresa della
trattatistica sulla recitazione nel primo Settecento.
Lo sviluppo di una precisa attenzione culturale rivolta al fenomeno della recitazione apriva per una problema capitale, che doveva
collocarsi alla radice stessa della riflessione settecentesca. Trattare la
recitazione come oggetto di studio particolare significava, di fatto, riaprire la questione del suo rapporto con loratoria. In linea di principio,
per formulare un sistema di regole direttamente rivolte allarte dellattore sarebbe stato necessario precisare almeno i termini e i limiti della
sua identificazione con unattivit che comprendeva, allo stesso titolo,
la predicazione del sacerdote dal pulpito, larringa dellavvocato in
tribunale, il discorso politico pronunciato in parlamento o la celebrazione encomiastica allinterno di una cerimonia ufficiale.
Ora, la percezione di una diversit della recitazione rispetto al
complesso generale delloratoria non era certo rimasta estranea alla
cultura del Seicento. Ma si trattava di una percezione confusa: lesigenza stessa di attribuire una dignit indiscutibile allarte dellattore rendeva impossibile affrontare con chiarezza il problema della sua distinzione dalle altre forme delleloquenza. I criteri che venivano adottati
nei rari luoghi in cui si accennava al problema apparivano del tutto
80

estrinseci, inefficaci: il paragone, ad esempio, tra la recitazione teatrale


e la predicazione religiosa ruotava intorno alle maggiori difficolt che
doveva affrontare lattore perch si mostrava e agiva con tutto il corpo, mentre il predicatore sul pulpito appariva solo dal mezzo in su
discoperto, e dunque poteva utilizzare una serie assai pi ridotta di
gesti e posizioni 9.
Cos quando Perrucci, Grimarest, Gildon e Lang compongono i
loro trattati direttamente dedicati alla recitazione teatrale si trovano di
fronte a uno spinoso problema, che non riescono a risolvere: individuare la specificit della recitazione allinterno dellintero sistema delloratoria. Perrucci se la cava con un espediente. Stabilito che solo le
regole delloratoria comuni al predicatore, allinsegnante, allavvocato
e allattore possono costituire il fondamento della recitazione, questa viene proposta come paradigma deccellenza, come la forma in cui
le norme e le regole vengono applicate con la massima efficacia possibile 10. Gildon, nella Life or Mr. Betterton, assume una posizione simile. solo sulla scena teatrale, scrive, che lactio oratoria pu raggiungere la sua perfezione 11.
Grimarest imbocca invece unaltra strada che appare ma solo
unillusione pi promettente, e sembra procedere allindividuazione
delle caratteristiche proprie della recitazione rispetto alle altre forme
delleloquenza. Distingue cos allinterno delloratoria quattro forme
fondamentali, ognuna delle quali possiede esigenze e procedure proprie: la lettura, il discorso, la declamazione e il canto. La recitazione si colloca in una di questa forme, la declamazione, accanto
alle altre. Ma ci che poi individua le quattro forme soltanto il maggiore o minore livello di passionalit che loratore deve investire nella comunicazione del testo, e la maggiore o minore possibilit di accompagnare le parole con i movimenti e le espressioni del corpo. E in
questo modo Grimarest, se riesce a separare la recitazione dalla lettura e dal discorso, non poi in grado di distinguerla dalla predicazione, che ricade anchessa nei modi della declamazione 12. Lang,
dal canto suo, imbocca una via analoga. Mantiene rigorosamente lidentificazione della recitazione con loratoria, ma osserva che i trattatisti
non si sono finora preoccupati di definire regole di declamazione che
rispondano alle esigenze proprie del teatro, e proprio questo dovrebbe
essere lo scopo del suo lavoro 13. Per tali esigenze, nel corso del trattato, si riducono soltanto a due. La prima di nuovo la difficolt propria dellattore di mostrarsi al pubblico con tutto il corpo, mentre
gli oratori, dal pulpito e dalla tribuna, appaiono solo dalla vita in su 14.
La seconda riguarda invece la difficolt di dialogare con un altro attore
sulla scena, mantenendo comunque il volto, secondo le prescrizioni
delloratoria, rivolto verso gli spettatori 15. E questo tutto.
Ora, il criterio capitale per distinguere la recitazione teatrale dalle
81

altre forme di oratoria risiedeva evidentemente altrove, ed era gi stato


per altro indicato, sia pure indirettamente, da un teorico del Seicento,
lAubignac. Lattore, spiegava lAubignac nella sua Pratique du thtre
pubblicata nel 1657, non un oratore, perch il suo compito consiste
non tanto nel declamare un discorso, come accade al predicatore dal
pulpito o allavvocato in tribunale, ma nel mostrare agli spettatori con
il proprio corpo e con la propria voce un personaggio, vivo e concreto, in azione nel corso di una vicenda 16. Dunque un attore diverso
da un oratore perch deve raffigurare compiutamente un personaggio
diverso da s, mentre agisce allinterno di una situazione immaginaria.
Il che ovviamente non capita, se non per brevi momenti, n allavvocato n al predicatore
Lintuizione dellAubignac restava per isolata, e la consapevolezza di questa fondamentale differenza rimaneva impigliata nella necessit di proteggere la dignit del lavoro dellattore ammantandolo del
prestigio tradizionalmente riconosciuto di altre figure pubbliche. Ma il
problema, rimosso dai trattatisti, doveva riproporsi in forma diversa, e
dirompente. La gestualit e il comportamento di un attore impegnato
a recitare un personaggio nel corso di una vicenda, come di fatto avveniva normalmente a teatro, non poteva evidentemente limitarsi ai
gesti e ai modi di comportamento sufficienti a un oratore che pronuncia un discorso. Sulla scena, per rendere convenientemente un personaggio in azione pu essere necessario, ad esempio, calzare un cappello, infilarsi un paio di stivali, impartire ordini alla servit, bere e mangiare, scontrarsi in una rissa, duellare, e magari morire. E di fronte a
queste esigenze il repertorio di gesti e atteggiamenti forniti dalla dottrina dellactio oratoria appariva senzaltro insufficiente. Cos Perrucci era costretto, dopo aver diligentemente riproposto agli attori le norme consuete dei trattati deloquenza, a rivolgersi altrove, e a consigliare a chi voleva calcare le scene un testo di tuttaltra natura, Il galateo
di Della Casa, adatto a definire il comportamento da assumere nella
pi disparate situazioni della vita quotidiana, che dovevano appunto
essere imitate nelle rappresentazioni teatrali. Lattore, spiegava Perrucci, vi trover le indicazione necessarie per eseguire una serie di azioni
assai semplici, della vita di tutti i giorni, come forbire il naso oppure
come mangiare, che gli accadr di dover compiere davanti al pubblico interpretando la propria parte 17. Lang, dal canto suo, imboccava
la strada opposta. Teatro o non teatro, il rigore e il decoro caratteristici delloratore impegnato a pronunciare un discorso dovevano essere
mantenuti. La soluzione, dunque, non poteva essere che una: escludere dalla recitazione tutte le azioni che nessun avvocato o predicatore
avrebbe mai potuto riprodurre decorosamente nel corso di una predica o di unarringa, come tagliare la legna, zappare, oppure picchiare
con un bastone, o tendere un arco. A tutto ci, con i propri movimen82

ti, lattore doveva semplicemente accennare o alludere, proprio come


avrebbe fatto un oratore di fronte al suo pubblico 18.
In questo modo, al di l di ogni affermazione esplicita e convinta,
e nonostante le acrobazie di Perrucci, Grimarest, Gildon e Lang,
lidentit della recitazione teatrale con loratoria si andava comunque
sgretolando. Perch, di fatto, la gamma delle azioni necessarie per interpretare in modo immediato e diretto un personaggio sulla scena si
dimostrava pi ampia e comunque differente da quella prevista dalla
dottrina dellactio. E di fronte a questo problema la teoria della recitazione, nel corso del Settecento, avrebbe finito con limboccare due
strade. La prima, crollata la possibilit di riportare lintera espressivit teatrale alle norme dellactio oratoria, consisteva nellabbandonare
qualsiasi tentativo di fondare la recitazione su un codice mimico e vocale prestabilito. Mantenuta lesigenza che lattore, sulla scena, si comportasse sempre e comunque in maniera elegante e decorosa, la definizione dei gesti e delle espressioni da impiegare doveva essere affidata
a un processo spontaneo e immediato, per cui ogni sentimento e ogni
emozione che percorreva lanimo umano trovava naturalmente la sua
espressione pi adatta ed efficace. Tutto stava quindi nel sentire davvero ci che si doveva esprimere: il gesto esatto, giusto e perfetto sarebbe venuto da s. Gi nel 1711 un attore della Comdie Franaise,
Jean Poisson, nel suo Quelques rflexions sur lart de parler en public
spiegava come tutte le regole di Demostene, di Cicerone, di Quintiliano e degli illustri moderni che hanno scritto sulleloquenza sono
inutili, perch quando chi parla toccato dal proprio discorso, il
viso, la voce, i gesti si conformano ai moti interiori dellanimo 19. E
nella stessa direzione si sarebbero mossi prima Luigi Riccoboni, con il
suo Dellarte rappresentativa, del 1728 e poi Pierre Rmond de SainteAlbine, con un trattato fondamentale, Le comdien, del 1747.
La seconda via, percorsa nella seconda met del secolo da Lessing
e poi da Engel, mirava invece allelaborazione di un codice gestuale ed
espressivo nuovo, assai pi ampio e diverso da quello previsto per
loratoria, definito in base allosservazione diretta dei comportamenti
umani e formulato a uso specifico dellazione scenica. E le due strade,
com noto, sarebbe sfociate nelle posizioni contrapposte degli emozionalisti e degli antiemozionalisti che avrebbero caratterizzato il dibattito
sulla recitazione per quasi due secoli.
Le soluzioni di Dubos e le critiche emozionaliste
dunque allinterno di questa area di profonde tensioni che emerge il significato della teoria della recitazione consegnata da Du Bos alle
pagine delle sue Rflexions. Di fronte agli inefficaci tentativi di Perruc83

ci, Grimarest, Gildon, e Lang di districare la recitazione dalla rete delloratoria, la posizione di Du Bos appare senza dubbio pi brillante e
originale. Di fatto, anzich individuare larte dellattore come una forma possibile di eloquenza nei termini pi tradizionali, Du Bos ricompone la rete di riferimenti teorici in cui deve essere inserita la recitazione teatrale. Da un lato resta ancorato ai fondamenti classici delloratoria Cicerone e Quintiliano che anzi sfrutta ampiamente in decine
e decine di citazioni. Ma dallaltro lato, anzich utilizzare questi riferimenti alla luce degli sviluppi della pi ortodossa teoria delloratoria
elaborata nel corso del seicento, li coniuga con un altro autore del
pensiero antico, Aristide Quintiliano, e trasferisce senzaltro la recitazione allinterno di un sistema diverso, quello delle arti musicali.
Loperazione, a prima vista, gli possibile perch il complesso della
riflessione sullarte dellattore e la pratiche stesse delle scene del tempo,
concedevano una spazio infinitamente maggiore alla vocalit dellattore
rispetto alla sua gestualit: non per nulla il trattato di Grimarest dedicava cinque pagine allimpiego dei gesti e cinquantaquattro alluso della voce. Tuttavia la posizione di Du Bos non affatto indirizzata a
sottolineare la maggior importanza della voce rispetto al gesto. Proprio
il riferimento alla dottrina musicale degli antichi gli consentiva di mettere a punto, nella recitazione, larte della vocalit insieme allarte del
gesto. La musica degli antichi spiegava Du Bos aveva sottoposto
a una misura precisa tutti i movimenti del corpo, cos come lo sono i
movimenti dei piedi dei nostri ballerini 20.
Nella sistemazione di Aristide Quintiliano la musica si articolava
infatti in un sistema di arti strettamente coordinate che comprendevano tanto la produzione di effetti strumentali, quanto la vocalit e la
gestualit. Dal punto di vista della composizione si distingueva in arte
di comporre la melopea o i canti, in arte ritmica che forniva le regole per disciplinare con ununica misura tutti i movimenti del corpo e
della voce, e in arte poetica che insegnava la meccanica della poesia e
mostrava come comporre i versi. Dal punto di vista dellesecuzione
abbracciava larte di suonare gli strumenti, larte del canto e larte del
gesto, questultima denominata, precisava Du Bos, orchesis dai greci e
saltatio dai romani 21.
Leffetto artistico complessivo era il risultato della coordinazione
del suono degli strumenti, del canto e del movimento del corpo, e la
coordinazione era appunto garantita dallarte ritmica che sottoponeva
a ununica misura i suoni cavati dagli strumenti e tutti i movimenti del
corpo e della voce 22. Ma la costellazione di regole costitutive di tutti
queste arti musicali, inoltre, poteva ovviamente essere efficacemente
utilizzata solo in presenza di una notazione o comunque di una scrittura che permettesse di fissare gli effetti sonori, gli effetti vocali e i
movimenti fisici dellattore. E tali forme di scrittura erano in effetti
84

possedute dagli antichi, che disponevano per altro di veri e propri dizionari dei gesti 23. Impiegando questi sistemi di registrazione, specifiche categorie di specialisti potevano curare la perfetta ed efficace applicazione, ai singoli prodotti artistici, delle regole tecniche relative alle
sei arti musicali. Larte di comporre la declamazione delle opere teatrali, spiegava infatti Du Bos, costituiva a Roma una professione specifica 24.
Ci che Du Bos propone, dunque, lelaborazione di una nuova
codificazione dellarte dellattore, che abbandoni il modello convenzionalmente inteso dellactio oratoria, e ricuperando un diverso suggerimento della cultura antica trovi il fondamento della recitazione nella
sapiente amministrazione di tempi, ritmi e misure. Infatti mentre appare necessario ritrovare un metodo basato su principi certi per guidare lesecuzione scenica dellattore che oggi affidata soltanto allistinto, o tuttal pi a unabitudine aiutata e sostenuta da alcune
osservazioni, solo larte ritmica realmente in grado di coordinare la
gestualit e la vocalit di chi opera sulla scena 25.
In questo modo Du Bos si trova inconsapevolmente allavanguardia di quanti, tendenzialmente antiemozionalisti, reagiscono nel corso
del settecento alla crisi del rapporto tra oratoria e recitazione teatrale
riformulando il codice vocale e gestuale corrente, irrimediabilmente
schiacciato nei limiti dellactio. Ma Du Bos, anzich imboccare la via
che verr seguita dagli autori di poco successivi, diretta a dedurre il
nuovo codice dallosservazione dei gesti reali della quotidianit coniugati a una pi o meno convincente teoria dellespressione delle diverse
passioni, opta per un sistema di riferimento pi astratto e formale (i
tempi, i ritmi, le misure) privilegiando gli aspetti stilistici della recitazione rispetto a quelli immediatamente rappresentativi. Ci che pi
importa, insomma, che lattore si muova e declami bene seguendo
una normativa ispirata a garantire la precisione e la coordinazione di
gesti e vocalizzi, e la produzione di effetti attentamente studiati. Mentre di peso assai inferiore lesigenza che linterprete renda in modo
assolutamente plausibile, convincente, efficace e veritiero la figura di
un personaggio concretamente in azione di fronte al pubblico.
Non per nulla Du Bos, se si sforza di dimostrare che la recitazione deve essere intesa come canto in un senso assai diverso da quello
che noi attribuiamo comunemente al termine, perch gli antichi chiamavano cantare anche la declamazione di un discorso pubblico o di
un proclama, finisce poi con lapprezzare quanto pi possibile una
dizione che evoca le seduzioni o i caratteri propri di quello che chiamiamo canto nel significato pi ovvio e comune, anche se ci rende pi faticosa la recitazione rispetto a una riproduzione pi semplice e diretta della conversazione naturale. Per questo, difende lo stile
caratteristico della recitazione tragica francese del tempo, che non solo
85

pi elevato, grave e sostenuto, ma assume anche laspetto, ferocemente criticato da altri teorici, della cantilena 26. E pi avanti apprezza
gli interpreti che quando il senso lo permette ricorrono senzaltro
alla declamazione che pi si avvicina al canto musicale 27.
Per Du Bos del resto non certo la capacit di produrre sul palco lapparenza di unazione reale a conferire perfezione ed efficace alla
recitazione. Non , spiega, lillusione la fonte principale del piacere
che ci procurano gli spettacoli. Nulla di ci che percepiamo a teatro,
dai versi del poeta, allapparato scenico e alla declamazione degli interpreti, diretto a produrre nel pubblico limpressione di assistere allavvenimento stesso 28. Ed questa unaffermazione di capitale importanza, che sancisce labbandono di un principio canonico della recitazione teatrale stabilito gi dalla prima trattatistica italiana, secondo
cui il compito finale dellattore consisteva proprio nellingegnarsi e
sforzarsi per portar gli spettatori a credere non gi di vedere rappresentar cosa concertata n finta, ma s bene di veder succedere cosa
vera et improvvisamente occorsa 29. Non per nulla, proprio allepoca
della pubblicazione delle Rflexions, nei suoi ripetuti attacchi condotto, tra il 28 e il 38, al cantilenato della recitazione tragica francese,
che solo per una vera e propria eresia poteva essere riferito allantica recitazione tragica dei greci, Luigi Riccoboni finiva con il concludere che questo modo di recitare distruggeva negli spettatori lillusione di vedere sulla scena gli eroi stessi che agiscono e che parlano e
non gli attori che li rappresentano 30.
Ma soprattutto, con la proposta di ricorrere a un sistema prestabilito di intonazioni e gesti che privilegiassero gli aspetti stilistici della
recitazione rispetto a quelli immediatamente rappresentativi, la posizione di Du Bos restava particolarmente fragile nei confronti delle posizioni emozionaliste che guardavano con sospetto qualsiasi possibilit di
codificare le espressioni mimiche e vocali. Cos, ad esempio, la coordinazione del gesto con la parola, destinata a diventare un cardine della teoria attorica settecentesca, mentre in Du Bos appare faticosamente
affidata a una normativa sostenuta da una minuziosa notazione, dalla
maggioranza degli autori successivi verr presto concepita come il risultato spontaneo e naturale di un comportamento non eccessivamente irrigidito da regole stilistiche strettamente convenzionali, quali
possono essere quelle desunte dalla teoria musicale degli antichi. E
in ogni caso proprio lesigenza di non ridurre i modi della resa vocale e gestuale dellattore a un repertorio troppo limitato rispetto allinfinita variet delle possibili espressioni, in tutte le combinazioni e
sfumature che ormai paiono indispensabile alla nuova sensibilit proiettata sullarte dellattore, ad escludere per gli emozionalisti ogni possibilit di codificazione e notazione. Se gi Poisson aveva ritenuto inutile esporre le regole della gestualit, perch sufficiente il sentimento,
86

davvero provato, a dettare immediatamente allattore il gesto adatto,


Luigi Riccoboni nel 1738 spiegava ai suoi lettori che non si sarebbe
soffermato sulla variet immensa delle inflessioni vocali che necessario impiegare nelle diverse situazioni, perch queste inflessioni sono
infinite, non hanno regole certe, e ciascuno le sfuma e le trasforma
seguendo la propria natura 31. Daltronde, precisava schiudendo una
nuova concezione del personaggio inteso non pi secondo le rigide
categorie del tipo ma ormai come essere unico e individuale, ogni
persona umana prova la medesima passione in modo differente, e se
tutti gli uomini possono essere innamorati ognuno lo sar necessariamente nella sua propria maniera 32.
Le conclusioni, nellottica delle teorie emozionaliste, sulle posizioni
assunte da Du Bos dovevano infine essere puntigliosamente tratte da
Charles Duclos in una breve comunicazione pubblicata nelle Mmoires de lAcadmie des Inscriptions del 1747-48. Lautore, stabilito che
declamazione e gesto sono indissolubilmente legati, ne deduce che non
pu essere mai stato necessario concepire larte dei gesti come unarte particolare. Se lespressione vocale giusta, il gesto non potr che
essere giusto a sua volta. Ma la declamazione si articola secondo le
affezioni o modificazioni delle voce che si verificano quando il nostro animo, passando da uno stato tranquillo a uno stato agitato,
mosso da qualche passione o da qualche sentimento. Si tratta di cambiamenti involontari della voce che accompagnano sia le emozioni
naturali sia quelle che lattore si procura sulla scena compenetrandosi in una situazione. In ogni caso, insiste Duclos, un sistema di notazione della declamazione non avrebbe neppure la mediocre utilit che
hanno le annotazioni coreografiche. Perch anche se convenissimo che
i toni della declamazione possono essere espresse mediante segni, questi
formerebbero un dizionario cos esteso che esigerebbe uno studio di
parecchi anni. E poi un simile modo di procedere nellapprendimento
della recitazione non servirebbe che a formare attori freddi, che sfigurerebbero lespressione che il sentimento pu ispirare 33.
Qualche anno dopo il tentativo di formulare un codice vocale e
gestuale immediatamente adatto alle esigenze dellattore sulla scena
sarebbe stato ripreso, in termini assai diversi, da Lessing sulla pagine
della Theatralische Bibliotek.

1 Jean-Baptiste Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e la pittura, traduzione a cura di


Maddalena Mazzocut-Mis e Paola Vincenzi, Palermo, Aesthetica Edizioni, 2005, p. 171. Ma
le considerazioni pi ampie sulla recitazione nei diversi paesi europei saranno poi quelle di
Luigi Ricconi, nell sue Rflexions historiques et critiques sue les differens thtre de lEurope,
del 1738.
2 La prima fase della riflessione sullarte dellattore in et moderna si risolve essenzialmente nelle brevi considerazioni di Giraldi Cintio allinterno del Discorso over lettera intor-

87

no al comporre delle commedie e delle tragedie del 1554, nei Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche di Leone de Sommi, nelle pagine Della poesia rappresentativa e del
modo di rappresentare le favole sceniche di Angelo Ingegneri, e infine nel trattato di Pier
Maria Cecchini apparso nella sua ultima stesura nel 1628 col il titolo Frutti delle moderne
commedie et avisi a chi le recita. In proposito vedi Claudio Vicentini, I primi trattai italiani
sulla recitazione, Annali dellUniversit di Napoli LOrientale. Sezione Romanza, XLV, 1,
2003.
3
Particolarmente importanti a questo riguardo sono la Lettre Mylord *** sur Baron et
sur Mlle Lecouvreur, dellabb Allainval, ora nelle Mmoires sur Molire, Parigi, Ponthieu,
1822, le finissime analisi sugli attori e le attrici francesi del tempo contenute nella Seconde
lettre du souffleur de la comdie de Rouen au garon de caf, ou entretien sur les dfauts de la
dclamation, di Jean Dumas Aigueberre (Parigi, Tabarie, 1730), e poi, in area inglese, il Treatise on the Passions, so far as they regard the Stage, di Samuel Foote (London, Corbett, 1747)
con le analisi delle interpretazioni di Garrick, Quin, Barry e Macklin.
4 Riflessioni, cit., p. 430. Il primo autore a intervenire sulla capacit dei migliori attori e
delle migliori attrici di mutare i colori del volto durante la recitazione Leone de Sommi,
nei Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, a cura di F. Marotti, Milano, Il
Polifilo, 1968, pp. 42, 44. Per quanto riguarda luso del belletto che impedisce di scorgere le
variazioni di colore sul viso dellattore, secondo alcune (dubbie) testimonianze era possibile
vedere il pallore diffondersi sulle guance di Mrs Cibber, celebre attrice inglese della prima
met del settecento, anche sotto il trucco di scena, vedi P. Fitzgerald, The Life of Garrick,
riportato in W. Clark Russel, Representative Actors, Londra, Frederick Warne, s. d., p. 96.
5
Riflessioni, cit, p. 430.
6 Proprio dalla polemica sulla possibilit di considerare la recitazione come unarte,
garantita dallesistenza di leggi definibili con certezza, aveva del resto promosso la stesura del
trattato di Grimarest. Le due posizione opposte riguardo al problema si trovano esposte nellanonima Lettre critique M. de... sur le livre intitul La vie de Molire, Parigi, chez Claude
Cellier, 1706, e nella risposta di Grimarest, Adition [sic] la vie de Mr. de Molire, contenant
une rponse la critique que lon en a faite, Parigi, Le Fvre, 1706 (ambedue ora Jean-Lonor Le Gallois de Grimarest, La vie de Molire, edizione critica curata da Georges Mongrdien, Parigi, Michel Brient, 1955). Per quanto riguarda Dubos e il riconoscimento dellarte
scenica (recitazione compresa) come fenomeno pienamente degno di attenzione culturale
sintomatico il capovolgimento operato nella sezione IX del terzo libro delle Rflexions. Mentre la ricostruzione delle forme teatrali greche e romane aveva a lungo costituito il modello
di riferimento per la discussione della moderna produzione teatrale, Dubos sostiene che per
capire i passi degli antichi che parlano delle loro rappresentazioni teatrali appare necessario conoscere quanto succede nei teatri moderni e anche consultare le persone che professano quelle arti che hanno almeno qualche nesso con quelle degli antichi, ma la cui pratica
andata perduta (cit., pp. 414-15).
7 Tra le prime testimonianze del tentativo operato dal teatro professionale di assimilare la
recitazione alloratoria la descrizione dellarte dellattrice Vincenza Armani, proposta da
Adriano Valerini nello scritto In morte di Vincenza Armani, comica eccellentissima, ora in F.
Marotti e Giovanna Romei, La professione del teatro, Roma, Bulzoni, p. 34, nonch lidentificazione dellattore con loratore operata da Giovan Battista Andreini nella Ferza. Ragionamento secondo contra laccuse date alla commedia, sempre nella Professione del teatro, cit., p. 496.
8 Sul tema delloratoria come fondamento delle diverse manifestazioni artistiche vedi
Marc Fumaroli, Lge de lloquence, Parigi, Droz, 2002, in particolare alle pp. 28-31.
9 Giovan Battista Andreini, La ferza, in op. cit., p. 497.
10 Andrea Perrucci, Dellarte rappresentativa premeditata ed allimprovviso, Firenze, Sansoni, 1961, p. 55.
11 Charles Gildon, The Life of Mr. Thomas Betterton, London, Robert Gosling, 1710, p.
25.
12
Lonor Le Gallois de Grimarest, Trait du rcitatif, dans la lecture, dans laction publique, dans la dclamation et dans le chant, avec un trait des accents, de la quantit et de la
ponctuation, Parigi, Jacques Lefvre et Pierre Ribou1707, p. 123.
13
Fraciscus Lang, Dissertatio de actione scenica, Monaco, Typis Mari Magdalen Riedlin, 1727, p. 6.
14 Ivi, p. 11
15
Ivi, p. 55

88

16 Franois Hdelin dAubignac, La pratique du thtre, Ginevra, Slatkine Reprints, 1996,


p. 282. Su questo punto vedi Claudio Vicentini, Lorizzonte delloratoria. Teoria della recitazione e dottrina delleloquenza nella cultura del seicento, Annali dellUniversit di Napoli
LOrientale. Sezione Romanza, XLVI, 2, 2004.
17
Andrea Perrucci, Dellarte rappresentativa premeditata ed allimprovviso, pp. 121, 134,
141. Lindicazione del Galateo getta tra laltro una luce significativa su quello che doveva
essere il comportamento scenico di almeno una parte degli attori dellepoca. Se da un lato
lattore era comunque impegnato ad agire con eleganza in ogni situazione, e doveva saper
maneggiare una bastone con leggiadria, dallaltro lato era necessario ricordargli linopportunit di sbadigliare o ruttare sulla scena, o di sputare se non nel moccichino (p. 121).
18
Franciscus Lang, cit, pp. 35-36.
19 Jean Poisson, Quelques rflexions sur lart de parler en public, in Sabine Chaouche, Sept
traits sur le jeu du comdien, Parigi, Champion, 2001, p. 429.
20
Riflessioni, cit., p. 373.
21 Ivi, pp. 372-73.
22 Ivi, pp. 373, 376.
23
Ivi, p. 380.
24 Ivi, p. 413.
25 Ivi, p. 374.
26
Ivi, p. 169-70.
27 Ivi, p. 411.
28 Ivi, pp. 173 e 446.
29
Leone de Sommi, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, cit., p. 44.
30 Luigi Riccoboni, Dellarte rappresetnativa, Arnaldo Forni, Bologna, 1979, pp. 42-43 e
44-45; Histoire du thtre italien, Arnaldo Forni, Bologna, p. 319; Penses sur la dclamation,
in Rflexions historiques et critiques sur les differens thtre de lEurope avec les Penses sur
la dclamation, Arnaldo Forni, Bologna, 1969, pp. 319, 266-67.
31 Penses sur la dclamation, in op. cit., p. 249.
32
Histoire du thtre italien, cit., p. 303.
33 M. Duclos, Mmoire sur lart de partager laction thtrale et celui de noter la dclamation quon prtend avoir t un usage chez le Romains, Mmoires des lAcadmie des Inscriptions, 1747-1748, pp. 313, 324, 333.

89

Du Bos e la maschera risonante


di Carlo Serra

1. Da che parte del cono vocale?


Liminare alla rivoluzione che condurr la teoria musicale dalla purezza matematica del modello intervallare allinterpretazione naturalistica della teoria degli armonici (il testo ramista del 1722), la terza
parte delle Riflessioni di Du Bos 1 offre unarticolata discussione su un
problema teorico ancora aperto, la definizione di voce e le relazioni
che la legano alle sue relazioni con la spazialit scenica.
Il nostro autore si tiene lontano da speculazioni teoriche o matematiche, proponendosi un compito che, sulle prime, ci apparirebbe modesto. Il suo sforzo teso verso un orizzonte ricostruttivo, in senso
storico: si tratta di spiegare quali siano, in termini di efficacia rappresentativa, le principali differenze fra il teatro degli antichi, le forme di
declamazione che ne sostenevano la forza drammaturgica, e il mondo
dello spettacolo che lo circonda, scosso dallirrompere di figure come
Lulli e Molire, che di quel teatro si sentono, in misura diversa, i continuatori.
Compito ampio e rassicurante, di sapore accademico, riconducibile, al massimo, alla dimensione della storia del gusto; eppure, proprio
in questo approccio, lintelligenza teorica di Du Bos porta alla luce un
tema che ci accompagna sulla soglia delle discussioni relative alle tematiche dellascolto che il Novecento ci ha lasciato in eredit: il rapporto fra spazialit, contesto sonoro, ed immaginazione.
Unosservazione meramente quantitativa: nella discussione sulla
musica antica, le fonti greche che Du Bos prende in considerazioni
sono davvero poche: egli pizzica, in modo molto libero, e quasi mai di
prima mano, dai trattati di Aristosseno, Tolomeo, Porfirio, Aristide
Quintiliano, Boezio, isola definizioni platoniche e qualche luogo aristotelico, in particolare il sesto libro della Poetica 2. Il suo interesse sembra guidato da una sensibilit che risente della rinata curiosit nei confronti delleffetto ritmico nellascolto, secondo gli orientamenti della
corrente cartesiana 3. Una visione dassieme latita.
Il procedimento dimostrativo si affida a un montaggio fra testi,
messi in correlazione polifonica, in cui un autore viene utilizzato per
91

spiegarne un altro, creando una fluidit concettuale che d alla discussione unapparente dispersivit: Du Bos ha in mente un disegno nitido, che nasconde mescolando fonti e registri linguistici, dando limpressione di praticare un gioco erudito che non vuol distinguere il momento pratico da quello teorico, e inchiodando la dimensione teoretica
della riflessione musicale a quella pragmatica della drammaturgia. Per
poter articolare coerentemente le testimonianze, parlando ai propri
contemporanei, bisogna risolvere anzitutto un problema, spiegare cio
cosa sia la categoria di ritmo nel mondo antico, su cui le testimonianze
latitano, che tipo di ricaduta essa abbia avuto sulluso del declamato,
e infine quale sia lo spessore dellevento vocale nella rappresentazione
teatrale, come si possa, ad esempio, far viaggiare il suono in uno spazio ampio come il teatro antico, quali impasti timbrici la voce possa
utilizzare per rimandare a unimmagine pregnante della corporeit
dellattore, e in fine che ruolo abbia il canto in questo intreccio rappresentativo.
Per organizzare una materia tanto densa, Du Bos deve dar ragione
dello statuto ontologico della voce, delle modalit attraverso cui essa
si offre allascolto e alla sollecitazione delle emozioni: ponendo il problema in questi termini, e collocando momento gestuale e momento
vocale sullo stesso piano, viene in questione il legame dialettico che li
stringe.
Du Bos si muove adottando un doppio registro teorico, che lo
orienta verso una riflessione sulle forme dellespressivit umana, sui
legami originari che la voce stringe con le posture irriflesse del corpo,
e con i suoi spasmi da tutti riconoscibili mediati, sul piano della rappresentazione teatrale, dallartificialit linguistica del gesto convenzionale. Un discorso estetico, quindi, nel senso pi pieno, del termine,
una ricostruzione che oscilla continuamente dal piano antropologico a
quello artistico, dando per ragione della natura del suono vocale, che
non si identifica completamente con lalveo ristretto del suo gemello
musicale e cantato.
Di fronte a un tema di tale portata, che stringe immediatamente la
riflessione estetica sullefficacia espressiva della rappresentazione teatrale al modo in cui facciamo esperienza del sentimento, Du Bos oscilla fra due atteggiamenti antitetici: da un lato, egli costretto a ricostruire integralmente il significato originario del termine musica, compito che impone un riattraversamento di tutta la teoria armonica elaborata nel mondo greco, con il continuo riferimento alle categorie di
numero, di armonia, di sistema scalare, sempre vissuto, programmaticamente, allinterno di una sfera epistemologico-prescrittiva, che tende a sporcarsi ben poco le mani con la dimensione della pratica musicale; dallaltro, egli deve percorrere una viaggio straordinario, assolutamente inedito, allinterno di una fitta rete di testimonianze in cui
92

materiali provenienti dalla poesia, dalle discipline retoriche, dalle testimonianze epistolari si fondano assieme per costruire unimmagine coerente del teatro antico, e soprattutto dei modi in cui il teatro e la musica portano lo spettatore a commozione.
Stabilire in quali forme gli eventi vocali, i rumori, il canto e il gesto potessero avvolgere lo spettatore, portandolo a identificazione con
il personaggio, non semplice. Nel teatro antico, il personaggio lontano, collocato a parecchi metri di distanza dallo spettatore, che pu
vederne solo la maschera, una sezione del volto, stilizzata, a cui d vita
solo il movimento oculare dellattore e il corpo che la sostiene. Il nostro autore, con originalit, lascia emergere dal quadro composito di
questi temi solo due fili conduttori: il ritmo, inteso come attacco del
vocale sul piano timbrico, e la diffusione del suono nello spazio.
Se il teatro contemporaneo a Du Bos cerca di portare lo spettatore
allinterno dellazione drammatica, che si preannuncia nel mutare del
colore delle scene e del colorito dellattore, risucchiando lo spettatore
allinterno della scena, il teatro antico si riverbera, si proietta fuori dalla scena, per avvolgerlo. Il cono cambia verso: il teatro antico amplificazione, il moderno assorbimento: la macchina antica procede per
stilizzazione che si rovescia sullo spettatore-ascoltatore, quella moderna
agisce per unidentificazione che fa partecipare.
Il cono lo stesso, ma il verso di percorrenza muta: il cono, tuttavia, anzitutto processo vocale, movimento concentrico della voce,
luogo privilegiato per una riflessione sul suono.
2. Il carmen e la modulatio: dal corpo statico alla dinamicit dellazione
Della teoria antica, a Du Bos interessa lo statuto epistemologicofondazionale: il fatto che la musica sia una disciplina in grado di portare a evidenza concetti 4, che sostengono il valore della drammaturgia,
partendo dalla definizione di strutture elementari quali suono, ritmo,
melodia, scala, genere e intonazione. Il suo interesse volto soprattutto alla funzione ipocritica, narrativa, della musica allinterno della costituzione fonica delloggetto poetico: struttura del verso, curvatura
melodica del canto, e intonazione 5 confluiscono nel pensiero che sostiene la costruzione della composizione musicale, e, in questa nicchia,
il movimenti della voce e i movimenti del corpo sono strettamente
correlati tra loro dallintelaiatura ritmica.
Passaggio di per s delicato, che impone che gestualit corporea e
vocale siano intrecciate in modo cos rigido, da evitare un problema
che tanto impensieriva Cicerone, che pure qui Du Bos non cita, ossia
i fenomeni di continuum ritmico, in cui il venir meno della regolarit
della scansione determina un flusso aperiodico, libero, privo di cesu93

re interne, dando luogo a una continuatio incontrollata, in cui si perde larticolazione della struttura temporale 6, e con quella, la capacit
di orientamento nel tempo o nellarticolazione dellorazione.
Quelle staticit che preoccupano loratore vengono meno solo se
metro e ritmo si intrecciano coerentemente, con tenui conflitti locali.
Emerge ancora una tendenza cartesiana alla linearit della forma, alla
totale interdipendenza delle parti con lintero, che si ripercuote sulla
struttura dellopera, ove il numero sostiene implacabilmente la struttura del verso, e il contesto di queste auree banalit sembrerebbe chiudere la discussione nellalveo di un arcadico formalismo, dove il numero offre lo scheletro del verso e la parola ne solo rivestimento sonoro 7. Ma proprio nel momento in cui Du Bos appare massimamente
inoffensivo, egli ci sorprende con una straordinaria torsione teorica,
ponendosi una domanda assai insidiosa: che funzione ha la voce in
tutto ci?
Quintiliano ha sostenuto che la modulatio della voce, il movimento di frazionamento del flusso vocale attraverso accenti e sillabazione
ritmica, pratica dominata da un ritmo musicale specifico, Boezio ci
dice la forma ritmico-sillabica del verso si fonde alla struttura musicale
che lo sostiene, ma tutto questo accade in grazie dellintonazione vocale, di una modulatio che, in fondo si sottrae a tutti questi schematismi, e che colpisce lascoltatore.
I regimi intonativi della modulatio sono rigidi, hanno contesti propri che non vanno imbastarditi tra loro, loratore che si affida a un
tono teatrale sporca la purezza del proprio discorso, il canto guerresco
e la declamazione del proclama hanno un proprio regime vocale inconfondibile, ma tutto questo spinge Du Bos a sollevare una domanda non priva di malizia: se le cose stanno davvero cos, che natura ha
la voce, per riuscire a partecipare a intendimenti tra loro opposti? Il
verso evento che partecipa del rumore vocale, il canto no. Se quella sintesi ha luogo, la voce ha carattere mimetico, elemento metamorfico che passa attraverso quei contesti, non lasciandosene esaurire.
Du Bos si diverte a riportare molti esempi 8 tratti dal mondo greco
e latino, in cui la voce vive in un regime bastardo, fra canto e declamazione, ma perch proprio il vocale, la modulatio a fondersi continuamente ad altre istanze espressive, legate al gesto, alla dimensione
rappresentativa della saltatio, una categoria ampia, in cui il gesto si fa
narrazione e che fa parte del terreno irriflesso di tutta lespressivit
umana. Saltatio e modulatio sono, in primo luogo, atteggiamenti che si
appogiano al corpo prendendo spessore nellurlo o nella gesticolazione
e, in secondo grado, categorie estetiche.
In altri termini, se nella musica ipocritica, e nella saltatio, attori
diversi mimano e recitano, appoggiandosi alla stessa struttura ritmica,
che sostiene canto e accompagnamento strumentale, ci trova fonda94

mento nel fatto che gesto espressivo e intonazione vocale sono un atteggiamento spontaneo, che viene teatralizzato attraverso convenzioni
artificiali. Quellartificialit poggia su una componente cerimoniale,
che fa parte integrante dellespressivit umana.
La lunga polemica che Du Bos intesse con gli esegeti del mondo
antico della sua generazione, e di quella appena precedente, sembra
avere come scopo una questione davvero astratta ossia che la saltatio
non sia solo passo di danza, ma gesto espressivo che rafforza la trasmissione di una emozione. Se sorridiamo amaramente di fronte alla
rassegna di imperatori romani che mettono sullo stesso piano laspetto
gestuale e quello della parola, preferendo, a volte, il gesto alla componente verbale, se Eliogabalo, Caligola, Nerone portano consapevolmente la dimensione teatrale nella comunicazione del politico, perch un residuo emozionale accompagna continuamente la nostra esperienza del mondo, e quel residuo non si esaurisce nella parola. Il gesto oracolare non un doppio della parola, ma un semplice ampliamento del suo senso.
La differenza di grado fra saltatio e danza, la gradualit del passaggio fra modulatio, carmen e canto dispiegato, permette allo spettatore
di teatro di cogliere con maggior chiarezza delle emozioni che lo attraversano nella vita quotidiana. Siamo a un passo dal linguaggio dazione
di Condillac, ma qui non si costruisce una storia naturale della lingua,
ci si limita a osservare il comportamento dello spettatore sollecitato
dallattore, dal corpo e dalla risonanza che esplode nella maschera.
3. Musica e natura ontologica della voce
I toni e il ritmo agiscono su di noi per natura 9: la musica allevia le
sofferenze, mentre la battaglia balletto cruento, in cui i guerrieri si
attaccano al suono, che completa il senso delle loro azioni, scandendone quasi un gesto idealizzato. Nel discorso retorico e nella musica siamo tratti fuori di noi: ma il potere della musica anche potere della
parola, la parola messa in musica dalla melopea devessere eufonica, il
suono vocale guarda in entrambe le direzioni, e nella tragedia lattore
e il musicista obbediscono alle medesime partizioni spazio temporali.
Questo implica che esista una melodicit della declamazione, ma dove
possiamo collocare questelemento intermedio, fra canto, diastematico
e parlato, che continuo?
Du Bos punta sulla scansione del suono, sullattacco dellevento
vocale, come colpo che segue una forma ritmica, e il carmen, da questo punto di vista, valorizzazione del rumore in direzione di una residualit musicale. Laccento, che intensifica la corposit del suono o
che ne riduce limpatto, un sistema per modulare il modo di portare
95

il suono alla presenza attraverso le molte forme percussive dellattacco. Il discorso parlato essenzialmente momento melodico che prende
consistenza attraverso il controllo sul timbratura vocale, che contiene
il flettersi della voce verso lalto e verso il basso. Lantica distinzione
aristossenica stata rovesciata, la comunanza dorigine conta assai pi
della differenziazione formale.
La distinzione fra ritmo e metro, cos sfumata, trova il proprio luogo nella ricerca di un declamato melodico, che sostiene landirivieni
rumoroso delle frequenze vocali e parlanti: il ritmo trattiene, il timbro
ora fa cantare la melodia racchiusa nella parola, e questa ricostruzione del suono antico sembra aprire la porta alle suggestioni di Ligeti e
di Berio, ma con una straordinaria consapevolezza delleffetto drammaturgico del suono vocale, e non della sua polisemia.
In questo, il suo legame con la saltatio si rafforza: il gesto ci accompagna anche nellenunciazione del suono e la messe di portati
lockiani che si appoggiano alla feconda distinzione fra gesti naturali e
artificiali deve, in Du Bos, arricchire la struttura empirica con il portato immaginativo legato alleloquenza del gesto, che ci accompagna in
continuazione.
Tutto il sesto libro della Poetica aristotelica viene spiegato, e brutalmente compresso, in questa prospettiva: vi un convergere originario di danza e suono, di parlato e cantato, che trova il proprio fondamento nellunit originaria della vocazione espressiva delluomo, in
una posizione dove cartesianesimo e filosofia lockiana si tendono inaspettatamente la mano rispetto alle forme del com-prendere: anche se
canto e declamazione vocale sono oggetti scientifici diversi, nel teatro
devono esser portati a unit, nella relazione ritmica che ne scandisce
le occorrenze, mentre la declamazione del carmen abbandona il terreno del parlato per approdare al musicale. Un residuo di musicale, tuttavia, presente nella materia sonora della parola, canta dentro il suono delle lingue naturali: la voce non ha pi un luogo, semplicemente
perch dappertutto. Calcando sulla mediet dellevento vocale, Du
Bos pone con grazia un problema pesante: come distinguere fra suono musicale e componente rumorosa della voce, come sostenere una
distinzione teorica cos forte, se lo statuto espressivo della voce prolifera nellarea intermedia in cui lattacco vocale, sposandosi al ritmo,
rende espressivo il residuo rumoristico del suono vocale? Alla voce
pertiene lopacit e la pesantezza della pietra, come la possibilit di
fusione armonica con gli strumenti, selezionati sulla base dellandamento della declamazione o del canto 10.
Cos, lattore antico, che canta, ha bisogno di un gruppo di strumenti a fiato che lo sostenga nel mutare delle intonazioni e che sappia
creargli intorno un contesto espressivo, in grado di rafforzarne leffetto
drammatico: la possibilit di manipolazione sulla fonte sonora in Du
96

Bos cos forte, da spingerlo a concentrare le proprie attenzioni sugli


strumenti a fiato, che possono ombreggiare le condotte vocali, accompagnandole con una libert di gran lunga superiore agli strumenti a
corda. Quello che per la teoria greca era un grave difetto, per Du Bos
diventato un pregio: il mondo degli effetti sonori interessa il nostro
autore molto pi della pura filologia. Se la declamazione pu essere
scritta in note, questo significa che la voce non centra perfettamente
laltezza, ma gli si colloca intorno, in un continuo gioco di sbavature.
Lo strumento a corda, preciso ma rigido, offre meno possibilit.
Tutto questo proprio il contrario di quanto la teoria classica ci
insegni: nel mondo greco, la sbavatura sonora, il glissando rigorosamente allindice, confonde le carte, rompe con la purezza dellintonazione conformata al modello matematico. La voce pensata da Du Bos
prolifera proprio nel terreno delle equivocit dove i teorici greci, da
lui citati, lavrebbero sepolta.
Entriamo cos nel regno del misto, dellombreggiatura, retta solo
dalla punteggiatura ritmica e da un aggancio a una struttura melodica:
pensata in questi termini, la distinzione fra il declamato della commedia e lurlato della tragedia, su cui Du Bos insiste per un intero paragrafo, comporta ancora osservazioni sorprendenti. Se possiamo giovarci della distinzione stilistica quanto alla forma della recitazione, il carattere bivalente dellevento vocale mantiene ancora la sua pregnanza:
gli antichi attori lavorano su intonazioni poco estese, che toccano il
quarto di tono, e si valgono di un accompagnamento strumentale che
sostiene lemergere del declamato dalla continuit dello spazio che lo
accompagna, ormai, come unombra.
Potremmo osservare che la mobilit del concetto, il continuo tendersi del rumore verso il suono, il veicolo privilegiato dellemozione:
se la teoria greca aveva creato figure chiuse e distinte, lapproccio di
Du Bos tende, quasi empiristicamente, a rivendicare il vincolo materico del mezzo vocale contro lastrattezza della sua concettualizzazione.
La possibilit di creare una cifratura in grado di portare dal parlato
allintonato viene riproposta da Du Bos, attraverso unulteriore frantumazione microtonale degli intervalli su cui si appoggia la voce 11. Il
mondo sonoro del teatro antico vive nel trascolorare dei cromatismi
che, come un solfeggio, sostengono lemergere della componente timbrica della voce. Il ritmo, e le varie convenzioni stilistiche legate ai
generi teatrali, rimane lunico appiglio a cui ci si aggrappa per non far
crollare il teatro antico in un regime di continuit sonora. Il delibarsi della massa sonora porta, nel teatro antico, a una dilatazione dei
tempi di recitazione, e a una forte staticit dellattore e del cantante,
ma, osserva Du Bos, con il mutare del gusto, quella solennit viene
perduta. Quando Orazio si lamenta, perch nel teatro dei suoi tempi,
declamazione e gesto risultano troppo affrettati rispetto al realismo
97

della rappresentazione, ci si lega a un prepotente ritorno della componente musicale degli strumenti a intonazione fissa, a corda, che non
permettono allattore o al cantante di poter sporcare lattacco del suono, perch in quel contesto la stonatura, o lapprossimazione dellintonazione, si fa avvertire con nettezza.
Muovendosi verso il canto, la declamazione e il gesto che lo accompagna, devono diventare pi veloci, perch gli attori hanno bisogno di un riferimento musicale continuo, devono cercare la nota di
appoggio e la durata dellemissione si deve contrarre. Per molti versi,
Du Bos non sta pi parlando del mondo antico, ma sta riflettendo su
quel mondo limmagine del dibattito sulla rappresentazione drammatica delle passioni che tanto peso ha nei tempi suoi. Il gesto teatrale
muta, perch si trasformata la compagine strumentale che ne sostiene laggancio vocale. Dietro a Orazio, Du Bos mette in scena i fantasmi di Lulli e Molire, e con quelli il passaggio dalla rappresentazione teatrale della passione come forza a quella dellattore-personaggio
scosso dallemozione.
4. La digressione sulla maschera: la stilizzazione del carattere
Nel XII capitolo della sua ricognizione sul tema del teatro antico
Du Bos apre unampia digressione 12 sulla funzione della maschera antica, portando a fusione i precipitati del rapporto fra carmen e saltatio.
In apparenza si tratta di discutere della funzione di due figure distinte,
il mimo e il cantore nel teatro antico, ma la dotta dissertazione nasconde, dietro allampio repertorio di citazioni, il tema scottante dellidentificazione fra spettatore e attore: il riferimento allirruzione della maschera italiana nella commedia, allattualit, infatti, permette a Du Bos
di aprire una fitta serie di osservazioni sullamplificazione della vocalit nel teatro antico, e sulle capacit rappresentative dellascolto.
Il disegno della maschera offre un carattere al personaggio, lo rende inconfondibile, ne porta alla luce una somatica intrisa di concetti,
crea cio una fisiognomica. La maschera una gabbia che porta in
scena linteriorit del personaggio, non copre, ma svela. Giochi di profilature, dove le maschere di vecchi ostentano serenit da un lato, tristezza dallaltro: presso il Museo Archeologico di Lipari, esiste unemozionante maschera di Edipo, dagli occhi bianchi, e spalancati, che contrastano con lespressione remota che tiene fisso il resto del viso, che
ha gi vissuto la macchina tragica. Du Bos cita molti esempi del vantaggio pratico di un mascheramento in grado di estrovertere linterno:
egli rileva che, nella costruzione dellespressione della maschera, possono coesistere tratti contraddittori, che illuminano le differenti funzioni drammaturgiche dei personaggi, rispetto alle emozioni che le scuote.
98

Il proiettare sul mondo antico il portato della maschera italiana


impone anche di dar ragione del luogo in cui si colloca lo spettatore,
che deve essere complice del taglio prospettico messo in gioco dallalternarsi delle profilature, che portano alla luce i diversi caratteri che
coesistono nel personaggio.
Quando Du Bos vuol presentare uno spunto teorico, parte da un
problema pratico, secondo la moda dellempirismo filosofico, che per
molti versi la sua maschera: cos, partendo da unosservazione banale
(la maschera permette di assegnare agli uomini ruoli femminili), egli
costruisce un primo affondo in direzione della diffusione del suono,
come vincolo emozionale. Il commediante Polo, che interpreta il ruolo
di Elettra, portando sulla scena lurna che contiene le ceneri del figlio
appena deceduto, facendo cadere sul teatro il velo della commozione,
protetto dalla maschera, che impedisce la visione del suo volto sconvolto, e dello sforzo vocale, entrato nel regime della contrattura. La
maschera diventa sensibile grazie al corpo e alla voce, la maschera porta a rappresentazione il volto dellaltro, del batavo dai capelli rossi,
proteggendo la linearit narrativa, e permette allattore unimmedesimazione che ha il solo difetto della staticit 13.
Il disegno della maschera tratteggia il personaggio colto nello snodo narrativo in cui vengono fuori tutte le sue potenzialit, ma troppo
forte, rigida, racconta troppo o troppo poco. Du Bos non ha paura
dellinsensatezza, quando scrive con tranquillit che il gioco degli occhi dellattore dentro la maschera, le d vita e trasmette le passioni: ma
locchio stravolto, il bianco del globo oculare riverso, come fa a mantenere visibilit, come possibile, insomma, vedere locchio ardente
dellattore nella maschera che fascia tutto il volto, se nel teatro antico,
egli posto a dodici tese dallo spettatore? Entra finalmente in scena
il suono, attraverso cui lattore permette alla poesia di arrivare allorecchio dello spettatore. Il teatro antico essenzialmente evento acustico,
quasi acusmatico, perch dietro al suono c una maschera, e dietro
alla maschera, il movimento dellattore che le d corpo.
5. Il teatro antico come risonanza del significato
Ora sappiamo qual il verso del cono: lamplificazione del vocale,
attraverso la maschera, i risuonatori del viso (che permettono alla voce
dellattore di salire verso il colore del femminile), porta in scena gli
accenti di una vocalit ingigantita. La maschera risonanza, il termine latino persona indica la maschera che fa echeggiare la voce, moltiplicando il verso nello spazio, mentre lattore costretto dentro a un
casco che ne avvolge la testa, con un piccolo foro che permetta luscita
del flusso vocale, schiarendolo e discretizzandolo. La pressione della
99

massa daria vocale esce per un pertugio, che la potenzia e la comprime, imponendo un regime di chiarezza e distinzione alla parola intonata, facendoci ripetere, con Boezio, che la concavit della maschera
amplifica la voce.
Teatro della risonanza, dove eco trattiene il suono della poesia e fa
vibrare il pubblico nella sfera sonora attorno al palcoscenico. Questa
osservazione non accontenta Du Bos, che sente il bisogno di aggiungere alla maschera un piccolo cornetto, che ci fa sospettare in lui un
attento lettore della Phonurgia kircheriana.
Nella maschera dellattore, la bocca si spalanca in modo innaturale,
assume un caratteristico andamento a cono, portando in avanti le labbra e creando una sorta di protuberanza, che funge da amplificatore:
il deformarsi della componente rumoristica rendeva, osserva ancora
Du Bos, che cita ora Quintiliano, il riso dellattore sgradevole, troppo
cavernoso, diremmo noi. Ma lorecchio inquieto di Du Bos ha altri
luoghi da segnalarci, che rimandano alla centralit dello strumento
vocale e del rapporto con la maschera: Stratocle ha voce stridula, impersona bene la tipologia del personaggio dazione, la scattosit del
gesto si coniuga alla grana della sua voce, il cui timbro acuto viene
modulato virtuosisticamente nella risata allinterno della piccola grotta
vocale. Il materiale di costruzione del cornetto si evolve e nella testimonianza di Plinio la pietra calcofona, nera e dal suono dottone, va
raccomandata al commediante.
Du Bos fa preziose osservazioni, che, se da un lato rimandano a
decise sintesi dellimmaginazione (il concetto di suono dottone, non
semplicemente metallico, dove la luminescenza del metallo, che fa
tuttuno col timbro della maschera facciale 14, allude anche allatteggiamento corporeo che porta la voce lontano), dallaltro tracciano la linea
di una fenomenologia del materiale amplificatorio.
Partendo da questi elementi, possiamo trarre alcune conclusioni:
linteresse di Du Bos nei confronti del musicale volto alleffetto, la
sua organologia si trattiene su gruppi di strumenti ingombranti, dalla
sonorit squillante, potente, e si trattiene pi sugli aspetti di teatralizzazione della musica, che non sulla concettualit che la sostiene. Egli
opera una lettura drammaturgica della spazializzazione del suono: allorigine, il teatro antico pura risonanza, rafforzata dal gesto, e questo basta a dar presenza al lontano.
Quella sintesi affonda nel comportamento umano, di cui il teatro
antico ancora rappresentazione stilizzata: la nascita del teatro ci
che il teatro ancora , nella sua essenza, e che la poesia condensa sul
piano del significato. Origine e struttura, per Du Bos, sono identiche,
mentre i mezzi empirici evolvono.
Il teatro antico ritualizzazione dellemozione, e questo riferimento, ancora aristotelico, lo guida in quella che, forse, la parte pi sor100

prendente delle sue riflessioni sulla drammaturgia del teatro, lidea


cio che il teatro antico sia una bolla sonora dove musica e voce si
danno in eco. Se la maschera ferma, il movimento del suono concentrico.
Attorno al palcoscenico, nella testimonianza di Vitruvio, gli antichi
collocano vasi dottone: il raggio vocale della voce si riverbera nel vaso, concavo e convesso gonfiano il suono, e se leffetto dei vasi toglie
realismo alla scena, il ritorno del suono, potente. La poesia stata
amplificata, ci circonda in tutte le direzioni, non sappiamo pi tracciare una provenienza, perch nel momento in cui lattore o il cantante
ha emesso la parola, essa non gli appartiene pi. Essa ha costruito un
ambiente, e abita il mondo, proprio nel momento in cui porta lo spettatore a commozione, per poi sparire. Come un suono. Il significato
cade in eco, la purezza del verso si rifrange e si sporca, mentre la punteggiatura ritmica ne garantisce ancora la leggibilit.
La sfera acustica, la bolla in cui vive il teatro antico, il luogo sospeso in cui lattore pu emettere suoni di una tale qualit, da non
avere pi nulla di umano: lamplificazione cos il luogo costitutivo
dellimmaginazione, e dello schiudimento del significato del poetico. Il
teatro del gesto, dellamplificazione espressiva del gesto quotidiano,
attenua, in Du Bos, la rigida distinzione, e il convenzionalismo che
presiede alla distinzione fra segno artificiale e segno naturale, perch
tutto accade allinterno di un quadro dove esplode il livello fenomenologico dellenfatizzazione, del suono e della postura, che fissa le coordinate qualitative del godimento estetico. Dal cono, dove il fenomeno
delleco locale, alla risonanza dello sferico.

1
J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, a cura di M. Mazzocut-Mis
e P. Vincenzi, Prefazione di E. Franzini, cura delle fonti antiche di M. Gioseffi, Aesthetica
Edizioni, Palermo 2005.
2
Ivi, p. 395.
3 Esemplare, da questo punto di vista, il tentativo di dimostrare, attraverso Aristide
Quintiliano e Porfirio che nella declamazione del verso nel mondo romano si determini una
bipartizione delle discipline musicali in metrica e arte ritmica propriamente detta. Gli aspetti
ritmici toccano, naturalmente, anche la dimensione del timbro: ivi, p. 375 e ss.
4 Ivi, p. 374.
5
Ivi, p. 376.
6 Per questo problema, vedi Witold Rudzinski, Il ritmo musicale. Teoria e storia, ed. it.
a cura di Rosy Moffa, LIM, Lucca, 1993, p. 181. Cicerone, nel De Oratore, osserva che il
ritmo devessere nettamente percepibile, come accade per le gocce dacqua, che riesci a contare. Nella continuit inarticolata, perdendosi la scansione, si perde lintero andamento del
discorso (De Oratore, III, XLVIII - 84).
7
Vedi lesempio tratto dalle Egloghe virgilane: J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, cit., p. 377.
8 Tutta la discussione che sostiene il quarto, il quinto ed il sesto paragrafo della Parte
terza adombra questa direzione.
9 J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, cit., p. 384.

101

10 Non ci stupisce che un modo cos raffinato, ed eretico, nel proporre la tematica dellascolto aggredisca anche il piano sensibile in cui i suoni musicali si fondono tra loro nelle
consonanze. Seneca osserva che in un coro suoni diversi riescono a fondersi tra loro, in modo
tale che voci in tessitura grave, media e acuta, sostenute dalle sonorit dei fiati, diano luogo
a un complesso sonoro in cui non sia possibile distinguere le parti, in cui suoni diversi divengano semplici momenti di unemergenza complessa. Se questo implica che, in quel contesto,
la declamazione del coro possa emergere semplicemente come canto, Du Bos non esclude
che vi sia la possibilit di lavorare sul coro, per portare la scabrosit vocale del carmen a
essere avvolta da un impasto timbrico in grado di raggiungere una fusione altrettanto efficace.
Du Bos indica la direzione che percorre tutto il modello della cantabilit novecentesca, appena affrancata dalle isole degli intervalli di consonanza, che punta, per varie vie, verso un
parlato cantato, da Janack a Schoenberg.
11 Ivi, p. 416.
12
Ivi, pp. 427-41.
13 Ivi, p. 431.
14 Sul tema, vedi Franoise Frontisi Ducroux, Du masque au visage, Flammarion, Paris,
1995, pp. 39-44.

102

Du Bos e la teoria climatica


di Maddalena Mazzocut-Mis

Jose dire, Seigneur, que par tous les climats


Ne sont pas bien reus toutes sortes dtats,
Chaque Peuple a le sien conforme sa nature,
Quon ne saurait changer sans lui faire une injure:
Telle est la loi du Ciel dont la sage quit
Sme dans lunivers cette diversit.
Corneille, Cinna, II, 2
Des sicles, des pays, tudiez les murs;
Les climats font souvent les diverses humeurs.
Boileau, LArt potique, III, v. 113-114

Il clima ideale per larte


Semplice e non particolarmente stimolante di per s, la teoria climatica di Du Bos si fonda su due princip guida: lanalisi dellaria scaldata dal sole e lumidit nefasta delle terre paludose 1.
Nel contesto dinizio Settecento clima significa temperatura.
Lo dimostra ancora la voce Climat dellEncyclopedie, che riporta, tra
le altre, le teorie di Boulainvilliers 2, contemporaneo di Du Bos, per
cui gli usi e i costumi degli arabi sono direttamente influenzati da fattori climatici. Con una temperatura mite, assenza di umidit e di processi che favoriscono la putrefazione, la vita pu fiorire nel suo pi
perfetto equilibrio. Nulla predispone meglio allo sviluppo di tutte le
specie viventi. A maggior ragione, in tale ambiente, gli spiriti migliori e quelli geniali trovano il terreno pi adatto alla loro crescita e al
potenziamento delle loro qualit.
Il genio dubosiano non pi lingenium retorico, ma un insieme di
qualit soprattutto produttive che la natura dona, favorisce e sviluppa.
Una natura che, a partire dallanalisi della teoria climatica, soprattutto ambiente. Una natura che influisce anche sulle cause morali, quelle, per dirla con Du Bos, che operano in favore delle arti senza in realt attribuire maggior ingegno agli artisti e, in una parola, senza provocare nella natura alcun mutamento fisico, ma che sono per gli artisti soltanto unoccasione per perfezionare il loro genio, perch tali cause facilitano loro il lavoro e li stimolano, attraverso lemulazione e le ricompense, allo studio e allapplicazione 3. Un dono naturale, quello
del genio, che va favorito attraverso lapplicazione e lo studio.
103

Le cause che concorrono al progresso del genio e delle arti sono


quindi prevalentemente fisiche e solo in minor misura storiche.
Ci non toglie che se il clima avverso alle arti, gli uomini non possano fare qualche cosa per contrastarlo. Agli uomini riservata una
possibilit in pi, negata agli animali e a maggior ragione ai vegetali.
Se lo spirito e la forza fisica consentono loro di irrigare, disboscare,
risanare, coltivare, essi possono opporsi agli eventi della natura mitigando il clima e favorendo lo sviluppo delle specie, anche con unalimentazione varia e nutriente. Come dire: il genio va scovato, alimentato, istruito, favorito in ogni modo.
Unestetica, quella del nostro abate, che deve fare i conti con il
corpo, con lambito fisiologico. Gli abitanti che oggi popolano la provincia di Olanda, che comprende lIsola dei Btavi e una parte del
paese degli antichi Frisi, hanno inclinazione per il commercio e per le
arti. Superano tutti gli altri popoli nel talento di ingentilire le citt e nel
governo amministrativo. Il popolo paga le imposte pi elevate, che si
chiedano attualmente in Europa, pi volentieri di quanto faccia il mestiere di soldato 4. Luomo olandese lesempio ideale. Si fatto da
s, bonificando le sue terre. Il terreno ha cambiato natura in modo
cos evidente che i buoi e le mucche di questo paese sono pi grossi
che altrove, mentre una volta erano pi piccoli 5. Lo stesso sviluppo
si pu riscontrare in tutti gli altri animali, nelle piante e nelle facolt
delluomo. Non solo laria migliorata, anche lalimentazione cambiata: pi sana, con poca carne e molti cereali, favorendo lumore e
la produttivit. Laria e lalimentazione sono fondamentali per la fomazione di un individuo operoso e alloccasione perch proprio su questa base si costruisce in Du Bos la teoria della creativit geniale 6.
A causa delleccesso di caldo, i romani sono in netto declino, ormai
conclamato da decenni. Il clima, quasi torrido, causa una serie di ripercussioni sullaria e sulla terra che non possono essere trascurate.
Laria di Roma malsana come un veleno 7. Una sensorialit ottusa
inviluppa i suoi abitanti. il loro turno, ed un vero peccato, dato
che, a causa dellabbondanza di arte, prodotta nei tempi propizi,
potrebbero esercitare il pi sottile e completo esprit de comparaison,
base empirica essenziale per il buongustaio e per il genio. Ma i romani
non sanno riscattarsi. Evviva gli olandesi, allora: navigatori, esploratori,
emozionabili ed emozionanti, capaci di un vero risveglio sensibile.
Siamo di fronte a unestetica industriale 8? Ipotesi da non scartare. Non si ha pi il diritto, dopo Du Bos, di separare il luogo delle
tecniche da quello delle arti o anche quello dei beni e quello delle
opere []. Il commercio e le belle arti fioriscono insieme. Siamo di
fronte a una prima estetica palesemente sensorialista e materialista nel
pi ampio significato del termine9.
Ma non solo. Alla facile obiezione, secondo la quale le arti e le
104

scienze hanno prosperato sotto climi molto diversi, Du Bos risponde


che ogni eccesso di caldo e ogni eccesso di freddo non nuocciono a
un buon nutrimento dei bambini ma solo gli eccessi prolungati, sia di
freddo sia di caldo. Lungi dal limitare entro quattro o cinque gradi la
temperatura adatta a coltivare scienze e belle arti, credo che questa
temperatura possa essere compresa tra venti o venticinque gradi di
latitudine. Questo clima fortunato pu anche estendersi e guadagnare
terreno, grazie a parecchi fattori. Per esempio, lestensione del commercio d oggi alle nazioni iperboree, cosa che non accadeva un tempo, la possibilit di avere, come parte della loro abituale alimentazione, vini e altri alimenti originari dei paesi caldi. Il commercio, che si
accresciuto infinitamente negli ultimi due secoli, ha fatto conoscere
tali cose in luoghi dove non erano note. [] Nei paesi del Nord ha
messo lo zucchero e le spezie nel novero di quei prodotti alimentari
che tutti consumano, ecc. 10.
Esiste quindi un clima ideale per larte e unalimentazione appropriata, varia e sana. Soprattutto la variet ritorna qui come costante
fondamentale per la vitalit delluomo. Tali fattori influiscono sulluomo, non c che dire, ma resta da capire se ne determinano in tutto e
per tutto il suo sviluppo. Per Lombard non vi sono dubbi: larte un
piacere degli organi, il giudizio estetico un sesto senso, il genio una
pianta. Anche il morale sottoposto al fisico o ancor di pi, sempre
per Lombard, agli organi della macchina umana 11.
Eppure, data per scontata una scoperta non da poco, il fatto cio
che la terra instabile, che il suo clima mutevole, vero che luomo,
se favorito, pu anche contribuire a volgere le condizioni climatiche a
suo favore (ma non proprio cos che opera il genio?). Non si tratta
affatto per Du Bos di un assoluto determinismo climatico. Lolandese,
ad esempio, ha saputo sfruttare il clima, ha saputo disboscare, irrigare, arginare il mare. Una climatologia quella di Du Bos che glorifica il
Nord non in modo passivo ma attivo. Gli olandesi non soffrono certo la noia. E, tradotto nel linguaggio dellestetica, gli olandesi sanno
produrre la genialit. Il genio, che consiste in una felice disposizione
degli organi cerebrali, nella loro buona conformazione, nella peculiare qualit del sangue influenzato da cause fisiche e ambientali e,
come una pianta, deve poter fiorire 12.
In pi gli olandesi non si annoiano mai! Se luomo si dibatte tra lo
stato di noia e di dolore, entro due limiti che, se portati allestremo,
preludono alla morte, gli olandesi hanno trovato la via della salvezza.
E come il terreno che va dissodato e concimato perch dia buoni frutti, anche le emozioni che uccidono la noia, una volta provate, vanno
ricercate e alimentate bisogna per fare attenzione che non divengano delle vere e proprie ossessioni ( il caso del gioco, ad esempio). Le
emozioni hanno infatti un limite invalicabile: sono destinate a finire e
105

la velocit della loro fine determinata da quanto effimere siano. La


passione per il gioco o per lalcool o per le droghe, capaci di far perdurare lanimo in una sorta di estasi che distrae e non richiede concentrazione, rappresenta, di fatto, unalternativa, tuttavia assai pericolosa e poco efficace poich unisce il godimento alla passivit. Il gioco
e lalcool vanno scartati per il semplice motivo che coniugano la distrazione con la passivit. Ma gli olandesi non sbagliano e sanno fare un
buon uso anche delle droghe!
Du Bos aveva qualche cosa da dimostrare. Se il freddo sta regredendo, le regioni del Nord avranno un clima pi mite, mentre quelle
pi a Sud saranno soggette a un clima troppo caldo per favorire le
attivit delluomo. Gli uomini del Sud saranno ridotti in uno stato di
apatia e di inoperosit, di mollezza e di pigrizia, molto vicino alla mortale noia. La ripetitivit e la stasi vanno cancellate attraverso il principio del piacere e della variet. Il gioco del soddisfacimento dei bisogni
e del superamento della noia assai diffuso 13. Certo che in Du Bos
diventa il perno stesso della trattazione, il presupposto senza il quale
unestetica non si d. Il piacere sempre frutto di un bisogno, che ha,
potremmo dire, una funzione quasi biologica, certamente vitale. Il desiderio va alimentato come fosse un soffio di vita ed maggiore il piacere che si prova nel soddisfare una vera fame, anche con un pasto
non ricercato, di quello di partecipare a un ricco banchetto, avendo
un appetito non eccezionale 14.
Ecco quindi che le emozioni, le passioni provocate da una forte
impressione, fosse anche di dolore o di estremo dolore, rappresentano quasi paradossalmente una via di salvezza dalla noia mortale. Lanima, non diversamente dal corpo, ha bisogno di essere occupata, forse
anche distratta, ma non pu giacere nellinattivit.
Anche il lavoro manuale, e gli olandesi ne sono dei maestri, pu
essere un valido antidoto. Lattivit, di qualunque genere essa sia, un
farmaco potentissimo. Daltra parte, al di fuori del lavoro, lanima pu
tenersi occupata in due modi diversi: o abbandonandosi alle impressioni che gli oggetti esterni esercitano su di essa, e questo si chiama
sentire; oppure intrattenendosi con speculazioni su materie utili e curiose, e questo si chiama riflettere e meditare 15. Tuttavia questo secondo modo pu risultare perfino penoso o impossibile. Pochi
eletti hanno la capacit di godere della compagnia della propria meditazione e possono trovare piacere nella speculazione solitaria. La maggior parte degli uomini, per potersi distrarre, ha invece bisogno unicamente di emozioni forti. Cos il primo modo quello di abbandonarsi alle impressioni esercitate su di noi dagli oggetti esterni, molto pi
facile 16. Questo il motivo per cui gli uomini si sovraccaricano di
lavoro e compiono imprese inutili, pur di non cadere nella noia.

106

Listinto di un diplomatico
Du Bos sa bene quanto lanimo delluomo sia impressionabile,
quanto sia predisposto a emozionarsi sia davanti agli spettacoli reali sia
davanti agli oggetti imitati dallarte. La natura ha dotato luomo di
una sensibilit pronta e sollecita, come principale fondamento della
societ 17. Da questo punto di vista la sensibilit pu diventare non
solo la base di una nuova estetica ma anche il fondamento del vivere
civile proprio perch, arginando lamore per s, promuove la compassione e la compartecipazione. E siccome le lacrime di uno sconosciuto ci commuovono addirittura prima di conoscere il motivo del suo
pianto 18, chi vuole governare una comunit di uomini sa bene che si
ottiene molto di pi attivando la sensibilit, passando attraverso i facili canali della commozione e del turbamento, che non cercando lapprovazione attraverso il ragionamento e la convinzione.
Non un caso che Du Bos fosse un diplomatico e un acuto consigliere politico che metteva i suoi sforzi al servizio di una difesa della
cattolicit anche in funzione propagandistica, svolgendo delicate missioni
soprattutto in Olanda e in Inghilterra 19. Esponente del partito dOrlan, preoccupato di non fondare la monarchia assolutistica n sul diritto divino n sul diritto di conquista, ma su dati storici e giuridici,
vuole restituire ai Parlamenti le loro antiche competenze. Legato al cardinale Dubois, che preme per unalleanza con lInghilterra e con lOlanda contro la Spagna, fautore di un nuovo assolutismo, che riconosce nel pubblico e nella propaganda due strumenti assai potenti 20.
Un fatto certo per Du Bos. La sensibilit deve essere attivata velocemente e in modo impressionistico. Da qui lidea che la fede dei
cattolici possa essere stimolata attraverso lattrattiva delle immagini,
per mezzo di una propaganda energica. Bando, quindi, alle disquisizioni, ai lunghi discorsi. Ci che egli teme pi di ogni altra cosa lasfissia di una frase regolamentata, di una frase soggetta alle regole dellaccademia 21. Egli teme unarte giudicata da un gruppo di funzionari, che applicano una regolistica rigida e senza vita, che decretano che
cosa sia bello e che cosa sia brutto, senza riferimento a quella massa
emotivamente coinvolta, il pubblico, a cui lopera rivolta.
Non a caso, quindi, si dichiara lettore di Roger de Piles, ammiratore sovversivo dei pittori fiamminghi 22, decreta limportanza del colorito, esaltando nel dipinto il gusto non per la verosimiglianza ma per
la menzogna e lartificio e va contro Le Brun, accademico e regolista 23. Cos, leggendo larte attraverso gli occhi di un diplomatico, contro un impero che si chiude in se stesso e che difende i propri valori,
anche attraverso le sue accademie 24, Du Bos esalta lOlanda, con il
suo attivismo, i suoi commerci, i suoi scambi con lOriente, le sue droghe, che cambiano il gusto degli abitanti e lo rinvigoriscono con il calore dei paesi dalle quali provengono 25.
107

La battaglia in favore dellocchio, daltra parte assai comune nel


Settecento, si potrebbe inquadrare nel pensiero di Du Bos senza un
eccessivo sforzo di fantasia anche in un contesto culturale e politicoreligioso. E, si sa, locchio o lorecchio non possono valere allo stesso
modo. Che il potere quindi della pittura sia maggiore di quello della
poesia sembra essere una delle certezze di Du Bos, che ne fonda la dimostrazione su due motivi: Il primo che la pittura agisce su di noi
per mezzo del senso della vista. Il secondo che la pittura non si serve
di segni artificiali, come fa la poesia, bens di segni naturali. con
segni naturali che la pittura crea le sue imitazioni 26. Annunciando
una linea interpretativa che avr grande successo per tutto il Settecento, Du Bos afferma che la vista ha pi potere sullanima di tutti gli
altri sensi e che lanima si fida della vista che racconta le cose
come stanno.
La supremazia della vista quindi giustificata, in linea con il suo
pensiero, in ragione della maggiore vivezza ed efficacia che riesce a
esprimere. Cos, le grida di un uomo non ci colpiscono come la vista
del suo sangue che direttamente scuote la sensibilit. Ora, per, quando Du Bos afferma che i segni della pittura non sono arbitrari, e quindi sono pi forti, non fa altro che affermare come le esperienze maggiormente realistiche abbiano sulluomo un impatto pi violento, che
non necessita di nessuna mediazione. La pittura mette sotto i nostri
occhi la natura stessa senza che la mente venga ingannata. Inoltre il
fattore temporale diviene discriminante. La pittura colpisce nellimmediatezza mentre la poesia richiede il tempo che porta allo sviluppo
dellazione attraverso la parola.
Cos la poesia sa commuovere solo quando riesce, con le parole, a
rappresentare una serie di quadri in successione, quando cio, pur nella peculiarit del suo mezzo, sa raggiungere lintensit della rappresentazione pittorica. Lunico effettivo vantaggio della poesia, allora, sar
quello di poter iterare lemozione a ogni quadro descritto a parole,
mentre il quadro dipinto impressiona per un solo istante.
Perci non azzardato affermare che lepigrafe oraziana ut pictura
poesis voglia significare per Du Bos che scopo della poesia quello di
commuoverci come la pittura, nel senso che la parola scritta non acquista spessore se non quando colpisce direttamente lanima 27.
Daltra parte anche la pittura, per colpire lanima, deve in un certo
senso raccontare una storia. Deve essere quindi poetica, cio in grado di mettere in moto lanimo del contemplatore. Deve, come la poesia, raccontare una storia patetica. Perci il pittore non pu far altro,
pena il fallimento, che rappresentare i suoi personaggi in modo tale
che, senza nessuna ambiguit, siano in grado di rendere conto dei loro
sentimenti. Ecco perch Du Bos parla di poesia della pittura 28.

108

Relativismo del gusto e relativismo climatico


Unopera, secondo Du Bos, non ha che pochi mezzi per emozionare: largomento interessante e, se questo manca del tutto o in parte, la
declamazione patetica e lapparato scenico. Ma non basta che largomento sia patetico: deve anche essere riconoscibile. Ci significa che
deve attrarre lattenzione del pubblico narrando storie che appartengono alla cultura e alla tradizione della societ alla quale si rivolge. Ma
se cos , addio al disinteresse, addio a quel distacco tra fruitore e
opera che alla base della contemplazione e del giudizio di gusto. Eppure Du Bos ribadisce che il giudizio del pubblico insindacabile proprio perch, seguendo le proprie sensazioni, disinteressato, quasi a
sottolineare il fatto che il coinvolgimento passionale non un pericolo
per il giudizio quanto, al contrario, lo la cultura, forbita ma cieca,
dei critici 29.
Un fruitore dunque un uomo che non pu prescindere dai propri interessi e dalle proprie passioni. Luomo senza passioni unillusione; ma luomo in preda a tutte le passioni un essere altrettanto
illusorio 30. Perci il fruitore seleziona le opere e desidera solo quelle che lo eccitano. Un relativismo del gusto che si rispecchia pienamente nel relativismo climatico.
Come il genio il frutto del suo tempo e soprattutto del suo clima,
anche le sue opere devono essere pensate e realizzate per un pubblico che, a sua volta, sottoposto alle insidie del clima e alla variet
della natura. Maggiormente numeroso o pi contenuto, il pubblico,
come il genio, soggetto alla variet del luogo e del tempo. Cos, il
suo gusto cambia da paese a paese. E siccome anche giudice incontestabile, che non argomenta ma si emoziona, il suo assoggettamento
al clima lo rende apparentemente molto vulnerabile alleffetto emotivo, dettato quando vi la possibilit di esperire dallesercizio del
gusto e dal momento climatico e storico.
Difficile allora trovare un buon metodo per giudicare dellarte. In
effetti, ricorda Du Bos, esistono due modi di mancare totalmente il
giudizio di unopera: o ragionare come un critico che applica razionalmente delle regole imposte oppure peccare in sensibilit. Un uomo
poco incline alle passioni sar un cattivo giudice. Daltra parte un
uomo facilmente impressionabile pu egualmente fallire, lasciandosi
coinvolgere con troppa leggerezza. vero per che Du Bos non si
assoggetter alle insidie del relativismo e cercher nel sentimento, costante antropologica, unautenticit sovrastorica ed extraclimatica. Daltra parte grande quellopera, lopera degli antichi, che passata attraverso unindefinita variet di pubblico e che, detto in altro modo,
ha saputo resistere alle insidie del clima.
Du Bos sente quindi lesigenza di un criterio di giudizio maggiormente fondato e chiama in causa il sentimento, proprio quello stato
109

connesso al giudizio che le passioni suscitano. Attraverso questultimo,


che non coincide del tutto con lemozione e con la passione, il pubblico concetto che appare principalmente nella seconda parte delle Riflessioni, quando pi vivo si fa il retaggio politico e sociale del pensiero di Du Bos e non il singolo, sa decretare il valore di unopera al di
l di qualsiasi preconcetto, che proprio solo dei critici (che giudicano
in base a false conoscenze). Il sentimento sembra quindi andare oltre
la semplice passione o la sola emozione, rinchiuse nella specificit dellindividuo, e costituire un criterio condivisibile. Esistono delle costanti
antropologiche che accompagnano da sempre la ricezione estetica e
fondano il sentimento stesso. Il sentimento diventa a tutti gli effetti un
organo giudicativo preposto al gusto universalmente inteso. Un gusto
che non ha nulla a che fare con il giudizio che passa attraverso la regolistica o il raziocinio e che non implica unestensione della conoscenza del fruitore in chiave concettuale.
Attrae il pubblico quellopera che riesce a far sopraggiungere nel
fruitore un fremito interiore, una ribellione contro il proprio piacere 31. Laffermazione che larte sia figlia di una ribellione contro il
piacere non cosa da poco. Non solo perch Du Bos dichiara esplicitamente che il presunto piacere dellarte di fatto deriva da un dispiacere o addirittura da un disgusto ma anche perch con questa asserzione Du Bos pretende di spiegare agli altri il modo in cui nascono
in essi i loro sentimenti 32, i moti del loro cuore. Terreno complesso,
soprattutto se il metodo di verifica vuole essere empirico. Essendo la
materia trattata a tutti nota e verificabile, nessun inganno e nessuno
sbaglio saranno consentiti.
Lestetica dubosiana si orienta quindi, anche se non in modo esclusivo, verso lo spettatore, misurando il contenuto dellopera in base
alleffetto che essa produce, in base cio alla risposta del singolo fruitore da un lato, e del pubblico dallaltro. E ci perfettamente consequenziale a quanto da lui affermato nelle prime sezioni. Se la noia
il male da fuggire, nessun giudice, oltre allo spettatore, pu decretare
il valore di unopera. Se la gente va a teatro, la commedia buona.
Lerrore tuttavia ammesso, perch luomo per sua natura incostante. Il fattore tempo sar discriminante per giudicare effettivamente della bellezza di unopera: se il giudizio su di essa non muta per anni,
allora siamo di fronte a un capolavoro. Ecco perch non possiamo dubitare della bellezza delle opere degli antichi 33.
Innegabile un certo pragmatismo estetico che pone il successo come base del giudizio. Il problema quello di comprendere se tale gusto possa decretare un relativismo dellesperienza estetica legato al
tempo, alla natura, allo sviluppo delluomo e della sua sensibilit o
un suo assolutismo, nel presupposto lockiano di matrice empiristica 34
per cui le opere degli antichi sono superiori a quelle dei moderni per
110

il piacere metastorico che sono in grado di suscitare (anche per Fontenelle, se larte viene considerata sul piano della complessit storica,
pu progredire quando, guardata dal lato del soggetto, non lo pu
affatto 35).
Ora il paradosso di Du Bos che sono vere entrambe le conclusioni. La prima, per, sar relativa non tanto al gusto quanto al genio, e
gli olandesi lo provano. Cos, per quanto riguarda il gusto, varr in Du
Bos non solo la lockiana esperienza ma anche un certo atteggiamento
conservatore nella difesa non tanto della societ in generale quanto di
quel gruppo di uomini onesti, forse sarebbe meglio dire di uomini onesti borghesi, che costituisce il pubblico in grado di decretare il
valore di unopera.
Perci, se da un lato il gusto pu perfezionarsi attraverso una fruizione allargata che consente di istituire confronti e paragoni (il retaggio esperienziale di lockiana memoria qui evidente), dallaltro non
pu di fatto fallire o contraddirsi, una volta decretato il valore di
unopera. Anzi il perseverare di un giudizio ne garantisce la seriet e
la veridicit che si fonda sul sentimento, patrimonio comune e condivisibile di tutta lumanit, e non influenzabile dal clima.
Una teoria diffusa
Senza sfiorare Montesquieu, che, com noto, subisce la forte influenza di Du Bos e del rinnovato interesse per il clima che ha origine dalle letture dubosiane, e senza recuperare Aristotele o Ippocrate,
le teorie climatiche erano di gran moda ai tempi dellabate, anche a
livello di credenza popolare. La nozione di determinismo geografico, fa notare Jean Ehrard, si accorda bene con due tendenze settecentesche: da una parte fornisce allo spinozismo latente o riconosciuto dellepoca un contenuto concreto e labbozzo di una conferma
sperimentale; dallaltra, supponendo gli uomini individualmente o collettivamente passivi allazione dellambiente naturale, si ricollega allipotesi sensualistica e soprattutto allinterpretazione materialistica che
spesso ne danno i discepoli francesi di Locke 36. Lidea che il clima
potesse influire sullambiente, sugli usi e i costumi di un popolo talmente nota che Boileau linserisce nellArt potique.
Cos Fnelon scriveva:
Sono ben lontano dal voler preferire, in generale, il genio degli antichi oratori a
quello dei moderni. Sono proprio convinto della verit di un paragone che stato
fatto: come gli alberi hanno oggi la stessa forma e producono gli stessi frutti che producevano duemila anni fa, cos gli uomini producono gli stessi pensieri. Ma ci sono
due cose che mi permetto di far osservare. La prima che alcuni climi sono pi fortunati di altri per certi talenti come per certi frutti. Per esempio la Linguadoca e la
Provenza producono uva e fichi che hanno un gusto migliore di quelli prodotti in
Normandia e nei Paesi Bassi. Allo stesso modo gli abitanti dellArcadia erano per natura pi adatti alle belle arti degli Sciti. I Siciliani sono pi portati per la musica dei

111

Lapponi. Si constata pure che gli Ateniesi avevano uno spirito pi vivo e pi sottile dei
Beoti. La seconda cosa che noto che i Greci possedevano una specie di lunga tradizione che a noi manca; avevano una maggior cultura per leloquenza di quanta ne
possa avere la nostra nazione. Presso i Greci tutto dipendeva dal popolo e il popolo
dipendeva dalla parola. Nella loro forma di governo, la fortuna, la reputazione, lautorit dipendevano da ci che i pi sostenevano; il popolo era trascinato dai retori
artificiosi e veementi, la parola era una grande risorsa in pace e in guerra: da ci derivano tante arringhe che sono riportate nella storia e che per noi sono quasi incredibili tanto sono lontane dai nostri costumi 37.

E La Bruyre affermava:
Coloro di cui Teofrasto ci dipinge i costumi nei suoi Caractres erano Ateniesi e
noi siamo Francesi; e se uniamo alla diversit dei luoghi e del clima il lungo intervallo
di tempo che ci separa e se consideriamo che questo libro pu essere stato scritto
nellultimo anno della centoquindicesima olimpiade, cio trecentoquattordici anni prima dellera cristiana e quindi questo popolo di Atene viveva da oltre duemila anni, ci
stupiamo di riconoscere noi stessi, i nostri amici, coloro con i quali viviamo e che tale
rassomiglianza con uomini che ci hanno preceduto tanti secoli fa sia cos completa. In
effetti, gli uomini non hanno cambiato cuore e passioni; sono ancora come erano allora e come sono stati descritti da Teofrasto: vani, falsi, adulatori, interessati, sfrontati,
importuni, diffidenti, maldicenti, litigiosi, superstiziosi 38.

La teoria climatica veniva anche studiata per dare una spiegazione


dello sviluppo contagioso di determinate malattie, come la peste o, per
Du Bos, pi modestamente, il fuoco di santAntonio e la colica di Poitou. Essa riceveva spiegazioni e giustificazioni anche dagli influssi
astrologici o astronomici e il linguaggio dubosiano a volte ne risente.
Difficile quindi risalire a tutte le letture di Du Bos: erano quelle del
tempo.
Una delle fonti certe di Du Bos il cavalier Chardin, pi volte citato: Ho osservato nei miei viaggi che come i costumi seguono il temperamento del corpo, secondo losservazione di Galeno, il temperamento del corpo segue la qualit del clima; in modo che i costumi o
le abitudini dei popoli non sono leffetto del puro capriccio ma di
qualche causa o necessit naturale che si scopre solo dopo una precisa
ricerca 39. Secondo Chardin, la Persia, sotto linflusso di un clima favorevole, diventata un luogo attraente ed elegante ed esercita un fascino unico, recepito anche da Du Bos, che pi volte ne ricorda non
solo i fasti ma anche le stranezze.
I Six voyages, di Jean-Baptiste Tavernier, i Nouveaux mmoires sur
ltat prsent de la Chine, di Louis Lecomte, il Dialogue de monsieur le
Baron de Lahontan et dun sauvage de lAmrique, di Louis Armand de
Lahontan rappresentano un sostrato di notizie, fatti, curiosit molto
apprezzato dal pubblico dellepoca, che amava confrontare la propria
civilt con limmagine del bon sauvage, spesso vigoroso, semplice,
rispettoso della natura, generoso, non vincolato ai legami della politica
e della societ, libero di rispettare una morale non subordinata alla
112

religione ma solo a una generica volont suprema che muove la natura. Una lezione di relativismo, pure questa.
Eppure Du Bos non particolarmente affascinato dal buon selvaggio. La sua una visione tipicamente europeistica. Il resto del mondo
va considerato per quello che : unimmensa regione, varia e complessa, che ha subito un arresto di sviluppo. Du Bos deve, com sua abitudine, far tornare i suoi conti. Vi ununica razza dalla quale noi tutti
discendiamo inutile moltiplicare gli enti ma che purtroppo pu
corrompersi. Lo spirito del diplomatico economista, che guarda di
buon occhio la vittoria dellimprenditoria coloniale, gli suggerisce una
via semplice e proficua: i negri e i lapponi non sono stupidi o ingenui
a causa di una cieca o finalistica ragione divina o vendetta del cielo,
ma ovviamente per il clima, troppo caldo in un caso e troppo freddo
nellaltro. sorprendente che i disegni del Creatore si accordino cos
bene con i pregiudizi razziali di un borghese dOccidente 40.
Saltazione e degenerazione
La fantasiosa filosofia climatica di Du Bos, che ha quale presupposto il riscaldamento della terra, sar di fatto smentita qualche anno
dopo da Buffon che, al contrario, sosterr che la crosta terrestre si sta
raffreddando (noto il calcolo dellet della terra in base a tale teoria) 41.
Il globo terrestre ha un calore interno che gli proprio e che indipendente da quello che i raggi del sole possono comunicargli. [...] Il
calore che il sole invia sulla terra abbastanza poco se lo si paragona
al calore proprio del globo terrestre; e questo calore inviato non sarebbe sufficiente da solo per mantenere viva la natura 42. La terra, globo in origine incandescente, si sta lentamente raffreddando e le regioni
a Nord, un tempo calde, saranno soggette a un irrevocabile raffreddamento.
Ci non toglie che anche per Buffon linfluenza del clima sia determinante e che la stessa temperatura, lo stesso clima, producano, in
ogni luogo della terra, gli stessi vegetali; non diversamente accade agli
animali 43. Anche luomo ha subito le stesse
leggi della natura, le stesse alterazioni, gli stessi cambiamenti. Conveniamo che la
specie umana non differisce essenzialmente dalle altre specie riguardo alle sue facolt
corporee e che a questo proposito la sua sorte stata pressappoco la stessa di quella
delle altre specie; ma possiamo noi dubitare di differire prodigiosamente dagli altri
animali per quel raggio divino che il sovrano essere si compiaciuto di dispensarci?
Non vediamo che nelluomo la materia guidata dallo spirito? Luomo ha potuto dunque modificare gli effetti della natura; ha trovato il mezzo per resistere alle intemperie del clima; ha creato calore quando il freddo lha distrutto: la scoperta e luso dellelemento del fuoco, dovuti alla sua sola intelligenza, lhanno reso pi forte e pi
robusto di qualsiasi animale e lhanno messo nella condizione di affrontare i tristi effetti del raffreddamento 44.

113

Seguendo questo parallelismo, tuttaltro che azzardato, si potrebbe


affermare che una sorta di laicizzazione della natura, delle sue specie,
delle sue razze, sia messa in opera anche dallabate, per quanto paradossale possa apparire.
Vi sono delle cause operative, quale il fattore climatico, che possiamo constatare ogni giorno e che non possono non determinare uninfluenza sul fisico e quindi sul morale delluomo. Ununica legge di natura agisce sulle piante, sugli animali e sulluomo, causando floridezza e carestia, sebbene luomo sia in grado, con la sua intelligenza, di
contrastare il rigido imporsi di tale legge.
La matrice comune delluomo (attenzione per alle differenze: Du
Bos non sviluppa, poich i tempi non sono ancora maturi, lidea di un
tipo o modello umano che via via si modifica o degenera), viene
quindi variata dal clima, soprattutto per il suo aspetto esteriore: il colore della pelle, dei capelli, la statura. Perci solo la sistematicit e la
coerenza interna consentono di attribuire queste parole a Buffon e
non a Du Bos:
Essendo la natura contemporanea alla materia, allo spazio e al tempo, la sua storia quella di tutte le sostanze, di tutti i luoghi, di tutte le et: e sebbene sembri in un
primo momento che le sue grandi opere non si alterino n cambino, e sebbene essa si
mostri sempre e costantemente la stessa nelle sue produzioni, anche le pi fragili e le
pi passeggere, dal momento che a ogni istante i suoi primi modelli riappaiono ai
nostri occhi sotto nuove rappresentazioni; osservandola da vicino ci si render conto
che il suo corso non del tutto uniforme; si riconoscer che essa ammette variazioni
sensibili, che subisce alterazioni successive, che si presta a nuove combinazioni, a mutazioni di materia e di forma; che infine tanto sembra fissa nel suo insieme quanto
varia nelle sue parti 45.

Nonostante questo spirito quasi scientifico, che permea la teoria


climatica dubosiana, sorge anche il dubbio che essa sia, per Du Bos,
un eccellente espediente per attaccare istituzioni, regolamenti, dogmi
e per provare la superiorit del Nord senza infastidire nessuno. A chi
interessa contraddire una teoria tanto popolare che si occupa di ghiacciai, dei loro movimenti, delle nevi, delle piogge, delle paludi, dellaria
malsana?
Un tempo la Francia, con lItalia e la Grecia, era il paese pi favorito dalla natura. Ma quanta fantasia nelle manifestazioni storiche di
questa predilezione! Due secoli di sforzi infruttuosi precedono il brusco sbocciare della pittura italiana alla fine del Quattrocento. La fioritura improvvisa del genio ha un carattere miracoloso, la sua decadenza non meno sconcertante. Miracoli, ammette Dubos, ma miracoli
naturali 46. Si potrebbe parlare di saltazione, una teoria para-evoluzionistica che sar di moda cinquantanni dopo. Ma qui i salti sono in
avanti e indietro. O meglio ancora, non sembra esistere un ordine logico nellalternanza dei periodi. Lavanzamento di una nazione quin114

di in parte dovuto a fattori climatici contingenti, alla costituzione degli


abitanti, al loro talento, allaccumulo di esperienze e di capacit di
discernimento attraverso la comparazione. In questo terreno pu nascere il genio e svilupparsi. la natura che lo offre, il clima, la storia e la morale che lo sviluppano. la natura che lo offre, luomo
che lo fa crescere. Eppure vi sono paesi ed epoche in cui le arti non
si sviluppano sebbene le contingenze culturali, morali o socio-culturali 47 e di costume siano favorevoli. Gli Achille che compaiono in
questi periodi non trovano un Omero degno di cantare le loro belle
azioni. E non solo. La natura favorisce la genialit a tutto tondo:
unepoca propizia per i pittori lo anche per i poeti
La terra si riscalda, spesso si degrada o si evolve. instabile. Non
vi determinismo ma la constatazione della inesorabilit del mutamento, della variet, del relativismo (anche del gusto). Unesaltazione delloperosit, perch non va accettato ci che si ha, ma lo si deve modificare a proprio vantaggio 48. La natura, quindi, si trasforma continuamente e si trova sempre in un equilibrio dinamico, in un continuo fluire nella successione indefinita del tempo. questo ancora un modo
per intendere lunit nella variet. Non vi in Du Bos lidea del passaggio dal semplice al complesso e lidea di progresso delle forme nel
tempo. Come sar ancora in Buffon, che molto deve a Du Bos, il concetto di variazione corrisponde a quello di degenerazione morfologicoestetica, che presuppone non solo una plasticit inerente alla natura
ma anche la possibilit che i caratteri, resi variabili dalla Natura, siano sottomessi fisicamente alla teinture du ciel e alle qualit della
terra, i cui effetti sono accumulati dal tempo e in seguito interiorizzati
e perpetuati dalla generazione 49.
Attraverso linflusso combinato sulla morfologia umana dei fattori
climatici, dei cambiamenti di latitudine, delleffetto della nutrizione, si
determina linsieme della variet. La variabilit morfologica una degenerazione rispetto alle forme primitive. La teoria della degenerazione
una sorta di variabilit ristretta, che consente di spiegare i fenomeni di adattamento, in base alla flessibilit morfologica dei corpi viventi.
Du Bos non un filosofo della natura e non giusto trattarlo da
epistemologo. Inutile insistere ulteriormente. Sar compito di Buffon,
e non lo stato di Du Bos, spingere ai suoi estremi la teoria degenerativa.
Resta da capire che cosa sia Du Bos. Troppo stretto gli va labito
dellestetologo, troppo largo quello del filosofo. Ha vestito i panni del
diplomatico, dello storico e delleconomista. Tutti ritornano in questo
testo che continua a stupire per la quantit di suggestioni.

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1 Allinizio del XVIII secolo si parla spesso degli insetti invisibili presenti nellatmosfera,
e lAbate Dubos si era forse informato, durante i suoi viaggi in Olanda, della teorie di Hartsoeker sulla panspermanie e sulla disseminazione dei germi (J. Ehrard, Lide de nature
dans la premire moiti du XVIIIe sicle, Albin Michel, Paris 1994, p. 710).
2
Non tanto relative alla sua Astrologie mondiale, per lungo tempo restata inedita, quanto
quelle della sua Vie de Mahomet, apparsa nel 1730.
3 J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, a cura di M. Mazzocut-Mis
e P. Vincenzi, prefazione di E. Franzini, cura delle fonti antiche di M. Gioseffi, Aesthetica
Edizioni, Palermo 2005 (dora in avanti RC), Parte II, sezione XII.
4 RC, Parte II, sezione XVI.
5
Ibidem.
6 Du Bos incontra anche degli oppositori. Frron considera chiacchiere ridicole lidea
che delle variazioni climatiche potrebbero essere la causa della decadenza delle arti in Francia, che ha avuto inizio nel secolo precedente (J. Ehrard, Lide de nature dans la premire
moiti du XVIIIe sicle, cit., p. 713, e cfr. E.-C. Frron, in G. Desfontaines, A. M. Mairault, E.C. Frron, abb J. Destres (a cura di), Jugements sur quelques ouvrages nouveaux, 10 tomi,
Pierre Girou, Avignon 1744-145, t. II, 1744, pp. 122-23). In effetti la maggior parte delle
obiezioni rivolte a Du Bos riguardano le supposizioni dellautore, le conseguenze possibili
del sistema o i suoi aspetti pi nuovi e nello stesso tempo pi contestabili: lidea stessa di
unazione diretta del clima sulla mente dei popoli e sulle loro produzioni intellettuali o artistiche non viene attaccata (J. Ehrard, Lide de nature dans la premire moiti du XVIIIe sicle,
cit., p. 713).
7
RC, Parte II, sezione XVI.
8 F. Dagognet, Pour une thorie gnrale des Formes, J. Vrin, Paris 1974, p. 45.
9 Ivi, pp. 45-46.
10
RC, Parte II, sezione XVII.
11 A. Lombard, Labb Du Bos. Un initiateur de la pense moderne, Hachette, Paris 1913,
p. 249.
12
RC, Parte II, sezione II.
13 Il tema della noia, legato anche allanalisi del teatro quale motivo di evasione, presente
in J.-B. Bossuet (Maximes et Rflexions sur la Comdie, Jean Anisson, Paris 1694), in B. Lamy
(Nouvelles rflexions sur lart potique, dans lesquelles en expliquant quelles sont les causes du
plaisir que donne la Posie, & quels sont les fondemens de toutes les Rgles de cet Art, on fait
connatre en mme tems le danger quil y a dans la lecture des Potes, Paris 1668 e Lart de
parler, Paris 1678) e in J. Le Clerc (Trait de lorigine des romans, 1670, ed. critique accompagne dune introduction et de notes, N. V. Swets & Zeitlinger, Amsterdam 1942, oppure
si veda Slatkine, Genve 1970) sicure fonti dubosiane Jean Le Clerc fu corrispondente di
Du Bos gi ampiamente sviluppato da Pascal nelle Penses. Se si considera la sezione
dedicata al divertissement, il tema della noia risalta con particolare evidenza. Luomo ama
il rumore e il trambusto antidoti per quello stato di abbandono e di prostrazione in cui
getta la noia. Il teatro uno di questi antidoti, anche se (e qui la distanza da quella che sar
la posizione di Du Bos particolarmente evidente) la sua funzione moralmente riprovevole.
Il divertimento dannoso per la vita cristiana! Cfr. B. Pascal, Pensieri e altri scritti, a cura di
G. Auletta, Mondadori, Milano 1994, pp. 167-71, in part. p. 168.
14 Cfr. RC, Parte I, sezione I.
15 Ibidem.
16
Ibidem.
17 Ivi, sezione IV.
18 Ibidem.
19
F. Dagognet, Pour une thorie gnrale des Formes, cit., p. 28.
20 A. Becq, Gense de lesthtique franaise moderne 1680-1814, Albin Michel, Paris 1994,
p. 259.
21
F. Dagognet, Pour une thorie gnrale des Formes, cit., p. 31.
22 Ivi, p. 32.
23 Cfr. R. De Piles, Dialogue sur le coloris, in Ch.-A. Dufresnoy, LArt de peinture, N.
Langlois, Paris 1673; R. de Piles, Cours de peinture par principes, J. Estienne, Paris 1708;
Confrences indites de lAcadmie royale de peinture et de sculpture... La querelle du dessin
et de la couleur, discours de Le Brun, de Philippe et de J.-B. De Champaigne (1672), a cura di
A.-J.-Ch. Fontaine, A. Fontemoing, Paris 1903.

116

Cfr. F. Dagognet, Pour une thorie gnrale des Formes, cit., p. 34.
Cfr. RC, Parte II, sezione XVII.
Ivi, Parte I, sezione XL.
27 Cfr. ivi, sezione XXXIII e anche E. Caramaschi, Lestetica dellAbate Du Bos: impressionismo o tradizionalismo?, in V. Branca (a cura di), Rappresentazione artistica e rappresentazione scientifica nel secolo dei lumi, Sansoni, Firenze 1970, p. 225.
28 Tra il 1694 e il 1707 ha il suo culmine in Francia una querelle che prende avvio
dallantica polemica tra le due correnti di pensiero retorico, quella che sosteneva una teoria
psicagogico-irrazionale e laltra logico-scientifica sulla liceit delluso di elementi irrazionali
ed emozionali nelleloquenza. A. Arnauld (La logique ou lart de penser, Des Prez, Paris 1654)
e B. Gilbert (Jugemens des savans sur les auteurs qui ont trait de la rhtorique, 3 voll., Jacques Estienne, Paris 1713-19, vol. III) sostenevano la tesi secondo la quale indispensabile,
per colpire, fare appello allemotivit del fruitore.
29
Scriveva il Gravina, una fonte delle riflessioni di Du Bos: Or la cagione perch alcuni
pongono in fuga il popolo, perch non sempre hanno felicemente colorito al vivo, ed hanno
voluto produrre la magnificenza, e la meraviglia, con la durezza della struttura, colla stranezza, ed oscurit di termini dottrinali, e collintricata collocazione di sentenze astratte ed ideali; quando potean produrla collistesse cose sensibili, e collimmagini materiali, le quali eccitano per se stesse la maraviglia, e la novit, quando saranno in nuova maniera, e con destrezza combinate, trasferite ed alterate (V. Gravina, Della ragion poetica. Libri due, F. Gonzaga, Roma 1708, p. 30). A ben guardare molte possono essere le fonti di Du Bos al proposito. Ne cito una, poco ricordata, a titolo di esempio. Si tratta di Franois Hdelin, Abb
dAubignac, che, nel suo Deux Dissertations concernant le pome dramatique, en forme de
remarques sur deux tragdies de M. Corneille intitules Sophonisbe et Sertorius, envoyes
Madame la Duchesse de R* (J. Du Brueil, Paris 1663, p. 29), spiega che quando si tratta di un
poema drammatico il popolo, che non ha letto Aristotele, sa giudicare correttamente ascoltando solo il proprio sentimento.
30 RC, Parte I, sezione XVII.
31
Ivi, Introduzione.
32 Ibidem.
33 Cfr. ivi, parte II, sezione XXXII.
34
Linfluenza della filosofia inglese (Bacone, Locke, Berkeley, Shaftesbury) e della critica
letteraria (Dennis, Addison) assai consistente. In particolare la riflessione di Locke noto
il fatto che aiut la diffusione in Francia dellEssay Concerning Human Understanding nella
traduzione francese di P. Coste alla base del sensualismo e dellempirismo dubosiano.
35 Cfr. Fontenelle, Bernard Le Bouyer de, Posies pastorales avec un Trait sur la nature
de lglogue et une digression sur les Anciens et les Modernes (Nouvelle dition augmente),
Pierre Mortier, Amsterdam 1701.
36 J. Erhard, Lide de nature en France dans la premire moiti du XVIIIe sicle, cit., p.
691.
37
Fnelon, F. de Salignac de La Mothe, Lettre sur les occupations de lAcadmie franaise.
Suivie des Lettres de Lamotte et de Fnelon sur Homre et sur les Anciens, nouv. d. collationne sur les meilleurs textes et accompagne de notes historiques, littraires et grammaticales
par E. Despois, Librairie Ch. Delagrave, Paris 1897, pp. 12-14. Cfr. R. Mercier, La thorie des
climats des Rflexions critiques LEsprit des lois, Revue dhistoire littraire de la France,
janvier-mars e avril-juin, 1953, pp. 17-37 e 159-75.
38
J. de La Bruyre, Les caractres ou Les moeurs de ce sicle [Document lectronique],
prcd de Les caractres de Thophraste, texte tabli par R. Garapon, Reprod. de ld. Bordas, Paris 1990, p. 5.
39
RC, Parte II, sezione XVII. Cfr. J. Chardin, Voyages en Perse et autres lieux de
lOrient..., 10 voll., J.-L. de Lorme, Amsterdam 1711, e Id., Journal du voyage du chevalier
Chardin en Perse et aux Indes orientales: par la mer Noire et par la Colchide..., Hachette, Paris
1976.
40 J. Erhard, Lide de nature en France dans la premire moiti du XVIIIe sicle, cit., p.
707.
41
Cos, se sono necessari trentacinquemila anni per il raffreddamento della terra ai poli,
solo per poter toccare la superficie senza bruciarsi e venti o venticinquemila anni in pi sia
per la ritirata dei mari sia per lintiepidirsi necessario allesistenza degli esseri cos sensibili
come lo sono gli animali terrestri, si capir bene che necessario aggiungere qualche migliaio
24
25
26

117

di anni in pi per il raffreddamento del globo allequatore sia per la maggior densit della
terra sia per laccesso del calore del sole che considerevole allequatore e quasi nullo al
polo (G.-L. Leclerc comte de Buffon, Des poques de la nature, in Histoire naturelle gnrale
et particulire, V, Imprimerie royale, Paris 1778, pp. 165-66).
42
Ivi, pp. 5-6.
43 Cfr. ivi, p. 187.
44 Ivi, pp. 187-88.
45
Ivi, pp. 2-3.
46 J. Erhard, Lide de nature en France dans la premire moiti du XVIIIe sicle, cit., p.
708.
47
Vedi, P. Vincenzi, J.-B. Du Bos: Gli antichi e la fondazione dellestetica moderna, Mimesis, in corso di stampa, cap. II, par. I.
48 Buffon afferma: La natura si trovata in differenti condizioni; la superficie della terra
ha preso successivamente forme differenti; anche i cieli sono mutati e tutte le cose delluniverso fisico sono come quelle del mondo morale, in un movimento continuo di variazioni
successive. Per esempio la condizione nella quale noi vediamo oggi la natura per opera
nostra e per opera sua; noi abbiamo saputo temperarla, modificarla, piegarla alle nostre necessit, ai nostri desideri; abbiamo scandagliato, coltivato, fecondato la terra: laspetto sotto
il quale si presenta dunque molto differente da quello dei tempi anteriori allinvenzione
delle arti (G.-L. Leclerc comte de Buffon, Des poques de la nature, in Histoire naturelle
gnrale et particulire, cit., pp. 4-5).
49 B. Balan, Lordre et le temps. Lanatomie compare et lhistoire des vivants au XIXe sicle, Vrin, Paris 1979, p. 119.

118

Let della Reggenza e lestetica di Du Bos


di Franco Fanizza

Let che in Francia comprende il periodo della Reggenza, et che


stata spesso considerata quasi esclusivamente di decadenza in confronto con i tempi gloriosi del Re Sole, merita invece di essere meglio valutata, soprattutto nel suo essere let del passaggio dalla societ di corte (cfr. N. Elias, La societ di corte, Bologna 1980) alla societ di citt (cfr. J. Brewer, I piaceri dellimmaginazione, Roma 1999,
in particolare la parte I, I contesti) e, com stato anche detto, alla
consumazione della cultura (cfr. The consumption of culture, ed. by
A. Bermingham and J. Brewer, London-New York 1995). Si pensi, tra
laltro, al significato appunto culturale, oltre che politico, di quello che
subito dopo la morte di Luigi XIV fu uno dei primi atti pubblici compiuti dal reggente Filippo dOrlans, ossia il rientro della corte da Versailles a Parigi. Si pensi pi in particolare per quel che qui cimporta
sottolineare alla crescente rilevanza che venne proprio in questet
acquisendo un nuovo genere di sensibilit: una sensibilit, vale a dire,
che mostr via via di aver sempre meno a che fare con le precedenti
modalit classicistiche, proprie e tipiche della cosiddetta Grande Manire. Delle caratteristiche di tal nuovo genere di sensibilit, Jean Starobinski ha detto giustamente che esse segnalano una condizione di
felicit sensibile (cfr. La scoperta della libert, Genve 1954). E ha
ulteriormente specificato che una simile condizione si sarebbe concretizzata in uno stato psicologico, nel quale, tutta presa dalla sensazione, dunque sempre pi autonomamente rispetto al discernimento
razionale, lesistenza si d alla successione discontinua dei godimenti
sensibili (cit., p. 54).
Come peraltro facile dedurre da quanto si trova documentato
soprattutto dalla Querelle des Anciens et des Modernes, tenuto conto in
particolare di ci che vi si trova affermato da qualche sostenitore dellAntico nella sua critica del Nuovo (cfr. ad esempio, Rmond de
Saint-Mard: Il nuovo [] cincanta e ci seduce cos bene con le sue
attrattive, affascina a tal punto, [] che noi non vediamo ci che esso
ha di vizioso, visto che esso coperto da qualcosa di piacevole) (Deuxime lettre sur les causes de la dcadence du got, in Querelle des Anciens et des Modernes, Paris 2001, p. 754, trad. di F. Fanizza) non va
119

certo considerato di minore importanza anche il fatto che appunto il


progressivo imporsi di un tal genere di sensibilit non ebbe a riguardare soltanto unlite di isolati cultori di beaux-arts. Sembra proprio,
invece, che abbia ben presto cominciato a coinvolgere anche quei molti o moltissimi, i quali, a prescindere dalle competenze effettivamente
possedute, non solo si trasformarono in abituali consumatori di prodotti artistici dogni tipo, ma si trovarono altres a rappresentare, con
ci stesso, coloro dai quali in misura crescente finivano col dipendere tanto la formazione quanto la gestione delle conseguenti opinioni e
preferenze estetiche prevalenti. Non solamente, infatti, per quanto riguardava le idee sulle arti, si era giunti alla fase di un ormai generalizzato passaggio, come ha sostenuto il Fumaroli gi per il Seicento,
dal monopolio degli artisti a quello degli spettatori (cfr. M. Fumaroli, Rome 1630: entre en scne du spectateur, in Roma 1630. Il trionfo
del pennello, Roma 1994). E si era passati, per questo, dallo studio dei
dettagli tecnici degli oggetti darte allinteresse per la gioia chessi
dovevano o potevano produrre. Ma ci si trovava anche e soprattutto di
fronte a un nuovo genere di art de jouir, a unidentit profondamente rinnovata dello spettatore, considerando soprattutto che ai
residui rappresentanti del vecchio ceto aristocratico che aveva in genere praticato razionalisticamente il proprio amore dellarte, stavano
man mano sostituendosi altri fruitori darte socialmente differenti, sicuramente non allo stesso modo n predisposti n preparati. Facendo
molto spesso a meno di qualsiasi educazione e relativa misura
estetica, molto pi attratti da ci che risultava pi piccante che bello, tali nuovi fruitori si distinguevano per il fatto che nella loro domanda di artisticit reclamavano prima di tutto il diritto di appellarsi alle
piacevolezze, diciamo cos, del vissuto quotidiano. Si pu anzi sostenere che mai, come invece stava appunto avvenendo in questo periodo,
era accaduto che il comportamento estetico, dando luogo a quella che
Daniel Roche descriverebbe come una vera e propria estetica sociale (cfr. Storia delle cose banali, Roma 1999, in particolare il cap. VIII),
sera trovato a far riferimento, non gi a un generico ideale di Arte,
bens a ci che risultava esteticamente connotato o connotabile in concrete e ogni volta circostanziate interrelazioni tra le persone e le cose.
Peraltro, tale stesso comportamento, va riportato al gioco della domanda e dellofferta di quelli che vanno considerati come i beni del
lusso popolare (cfr. C. Fairchilds, The production and marketing of
populuxe goods in eighteenth-century Paris, in Consumption and the
World of Goods, ed. by J. Brewer and R. Porter, London-New York
1994, pp. 228-48).
Per la verit, occorre prendere atto che nellet a cui ci si sta qui
riferendo sono pochi i teorici, i cui argomenti riescono a liberarsi
delle tesi delle vecchie estetiche di estrazione accademica. Basti pensa120

re a unopera come il Trait du Beau (1715) del Crousaz. Ma ci nulla


toglie al fatto che man mano che si fanno pi frequenti ed evidenti i
segni della crisi dellAncien Rgime, tende contemporaneamente ad
attenuarsi, rischiando persino di scomparire, la differenza tra unestetica alta e unestetica bassa, e safferma invece, pi unitariamente,
unestetica che si identifica al limite con una vera e propria cultura del
corpo, o anzi, per meglio dire, del vissuto corporeo (cfr. D Roche,
Il popolo di Parigi, Bologna 2000, parte II, Insediamento e consumo).
Una cultura, che perci, se da un lato, a un certo elevato livello di
ceto sociale continuer a compiacersi del e nel rapporto tra disponibilit finanziarie e ricerca del fasto (cfr. Ph. Perrot, Le luxe, une richesse
entre faste et confort, XVIIIe-XIXe sicles, Paris 1995), include anche,
per, tutte le manifestazioni consentite a un gusto pi diffuso e pi
legato a un mondo di cose banali (Roche). Un gusto, in altri termini, che non riesce pi, come si faceva una volta, a fare una netta distinzione tra le beaux-arts e le arts-agrables (cfr. J. Jones, Sexing la
mode, Oxford-New York 2004).
Tutto questo, daltronde, si trova sostanzialmente gi detto nelle
pagine della favola delle api di Bernard de Mandeville. stato infatti
il Mandeville che entro il primo quindicennio del Settecento, riferendosi a una nazione nella quale si fosse voluta evitare lindigenza dei
suoi abitanti, pur sapendo di fare cos lapologia della frode e del vizio, propose appunto una vera e propria, oltremodo libera e spregiudicata cultura estetica, lunica cultura valida, a suo giudizio, per luomo mondano, voluttuoso ed ambizioso (cfr. La favola delle api, Torino 1961, p. 148), che perci fosse tutto preso ad eccitare e soddisfare i suoi appetiti (ib.). questo tipo duomo, egli sosteneva, che
sceglie le arti per farsene soprattutto oggetto di godimento. Persino
quando si tratta di cose di poco conto. Specialmente allorch il suo
gusto e la sua fantasia hanno la possibilit di esprimersi nelle grandi
citt, dove la gente oscura pu, a ogni momento, avere occasione di
conoscere nuove persone e pu avere quindi il piacere di essere giudicata non per quel che realmente , ma per quel che appare (p. 126).
il caso di aggiungere, a questo punto, che proprio in una grande citt comera Parigi, da un lato, in questet, erano in fase di profondo cambiamento i luoghi dellarte e dunque gli scenari, per cos
dire, della cultura estetica, e dallaltro, complementarmente, stavano
assumendo unidentit via via pi netta alcune nuove e caratteristiche
figure di veri o sedicenti esperti, che si mettevano a disposizione per
far s che i frutti di tale stessa cultura riuscissero ad arrivare a un pubblico sempre pi numeroso.
Sotto il primo aspetto delle cose, ci che va messo pi particolarmente in evidenza tenuto conto, peraltro, dellesistenza di un mercato darte che si rivolgeva soprattutto ai nuovi ricchi il determi121

narsi della crisi ormai irreversibile delle grandi, tradizionali gallerie


darte nobiliari, e laffermarsi, invece, di tutti quegli altri posti, dove
letterati, magistrati, filosofi e femmes savantes hanno modo di mettersi in evidenza e di far sentire la propria voce. Pi che nelle vecchie
gallerie, infatti, in posti come i cabinets dart privati o come i cosiddetti coffee-hauses che si apprende laesthetic behavior (cfr. L. Shiner, The Invention of Art. A cultural History, Chicago and London
2001, p. 133 e ss.). l, inoltre, che non solamente viene praticato
lesercizio della visual attitude, ma c il modo che siano anche coinvolti i sensi pi volgari e per cos dire meno depurati. Anzi, non
forse solo per caso che non sia ancora comparso alcun sistematico
lavoro, appunto di depurazione, ci che in sostanza finir per laversi soltanto con lEstetica del Baumgarten, che serva a liberare la ricezione estetica dalle sue componenti, diciamo cos, pi sensuali. Il fatto
che il comportamento estetico, anche quando riguarda soltanto il
vedere o lascoltare, ancora fortemente intriso di quelle sensazioni
assai corpose, che nellambito di un consumo darte pi o meno vistoso, si collocano al di qua della distinzione tra luso del buon gusto e quello del cattivo gusto, e che nella Francia di inizio Settecento
furono sicuramente abituali per quella che stata definita una boorish middle class (cfr. Shiner, cit., p. 140), ovverosia unineducata
classe media.
Per quanto poi riguarda la posizione assunta da coloro che si trovano a svolgere il ruolo di pi diretti competenti, per dir cos, della
nuova sensibilit che andava appunto diffondendosi tra la classe media, e, tra di loro, in particolare, coloro che furono considerati come
altrettanti connoisseurs, si sarebbe autorizzati a pensare, stando a
quanto fa intendere il Voltaire nel suo Tempio del gusto, che essi, invece di procedere al loro disciplinamento, sono pi che altro molto
compiacenti verso le preferenze di chi li consultava. Il fatto che con
la fine dellAncien Rgime e col contemporaneo, irreversibile aggravarsi della crisi dellortodossia estetica che quel regime aveva stabilito,
non esiste pi unautorit centrale che decida su ci che valido e su
ci che non lo . Sulla pittura, tra laltro, che era stata il campo o il
settore darte sul quale forse quellautorit sera fatta pi sentire, la
comparsa delle tesi contenute sia pure in un piccolo libro qual il
Cours de peinture par principes (1708) di Roger de Piles, testimonia di
un modo di sentire in maniera assai diversa da come nel Grand Sicle sentivano, tanto, mettiamo, i protagonisti delle Confrences e degli
Entretiens del Flibien quanto il Le Brun come autore di una nota
opera sullexpression des passions. Come infatti ha fatto notare Jacques Thuillier, tanto pi dovrebbe essere chiaro che il De Piles un
innovatore, quanto pi evidente che egli ha rotto con i generi pittorici considerati in precedenza canonici. Per lui i problemi dellarte pit122

torica vanno totalmente liberati dai loro effetti letterari e dai pretesti
dellerudizione e della storia (cfr. Prface a Roger de Piles, Cours de
peinture par principes, Paris 1989, p. IV).
logico, inoltre, che cos venga a mancare lunit di uno sguardo assolutistico labsolutist gaze di cui parla la Jones (cfr. cit., p.
211) e tutto si frammenti e si disperda in una molteplicit di punti
di vista male o per nulla collegati tra di loro. perfettamente spiegabile, altres, che si determini ci che non azzardato intendere come
la femminilizzazione dellestetica. Se infatti la grande arte del precedente periodo storico, dalle arti figurative allarchitettura, dalla letteratura al teatro, aveva richiesto e trovato, nei propri fruitori, la predisposizione alla ricezione di valori tipicamente maschili, tra cui in primo luogo la gloria e lonore, ora che subentrano le piccole arti che
privilegiano linteresse prima di tutto per labbigliamento e larredamento, invece il momento in cui saffermano valori altrettanto tipicamente femminili. Grazie, soprattutto, alle borghesi, che, com nel
caso tipico della Pompadour, arriveranno persino ai vertici del potere,
e si finir cos collassistere alla definitiva affermazione di quel rgne
du Tendre, le cui prime manifestazioni gi risalgono, come si sa, alla
seconda met del secolo precedente.
Dopo aver rilevato tutto questo, non difficile dire che le Rflexions dubosiane, ancor prima che si consideri il successo da loro via
via ottenuto durante lavanzato Settecento nellambito della cultura
estetica europea (cfr. A. Lombard, Labb Du Bos. Un imitiateur de la
pense moderne (1913), Slatkine Reprints, Genve 1969, livre II), vanno considerate come un documento storico assolutamente affidabile
sullestetica francese che and affermandosi nellet della Reggenza. Va
infatti preso atto che malgrado si sia schierato dalla parte degli Antichi (cfr. Rflexions critiques sur la poesie et sur la peinture, A Paris,
chez Pissot, MDCCLXX; Slatkine Reprints, Genve 1967, sections 33
39; trad. it. Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, Aesthetica,
Palermo, 2005, pp. 122-61), coerentemente, daltronde, con la sua propria formazione umanistica, ci non toglie, per, che il Du Bos prima di tutto colui nel quale, pi che in qualsiasi altro, si trovano altres
registrati i profondi mutamenti nella sensibilit del suo tempo: mutamenti, e anzi, veri e propri sommovimenti, che sono patiti, ma che
sono anche ben accolti, un po da tutti i suoi connazionali, durante il
primo ventennio del XVIII secolo. Si tratta di non sottovalutare il fatto che quando le Rflexions compaiono, nel 1719, la Francia attraversa
un periodo particolarmente caratterizzato, non soltanto dalla cosiddetta invenzione del denaro (cfr., ad esempio, J. Gleeson, Luomo che
invent il denaro. La vera storia di John Law, Milano 2000), come valore che sta sopravanzando tutti gli altri, ma anche dallidea o ideolo123

gia del progresso, che portava a mettere via via in ombra la fede in
quella che Fnelon, nel suo Trait de lexistence de Dieux (1713), chiamava la verit [de] ma raison [qui] est en moi. Inoltre, per quel che
riguarda le pi dirette esperienze di carattere estetico, peraltro socialmente e psicologicamente sempre pi rilevanti, occorre aggiungere che
ci si trovava a vivere in un periodo in cui le libere e spesso spregiudicate conversazioni in merito, che animavano a Parigi preferibilmente
i salotti femminili (cfr. B. Craveri, La civilt della conversazione, Milano 2001) e dove i mots, le battute [] riassumono in modo pertinente un pensiero estemporaneo, [] divertono limmaginazione, contribuiscono a produrre quellebbrezza leggera senza la quale non esiste
conversazione (cfr. M. Fumaroli, Il salotto, laccademia, la lingua, Milano 2001, p. 187), rendevano quasi del tutto inattuali, nonch inevitabilmente noiose, le tradizionali riunioni che dallepoca del Colbert in
poi serano invece svolte, e in maniera assai ristretta, nelle sedi delle
varie accademie.
Non un caso, daltronde, che proprio dal bisogno di sfuggire allennui, vale a dire a quella passiva e penosa condizione di languore dellanima e del corpo, che sin dai tempi del La Rochefoucauld,
sembra aver sostituito lumor nero della melanconia nellesistenza
dei francesi, il Du Bos prenda le mosse nella sua opera per arrivare a
indicare negli effetti quasi psicologicamente terapeutici della poesia,
della pittura, della musica, i mezzi e i modi per eccitare le passioni.
Passioni, egli subito specifica, che sono s artificiali, che cio, non
avendo un oggetto reale, non provocano gli inconvenienti delle
emozioni serie, che sono insomma soltanto le imitazioni degli oggetti
che suscitano in noi passioni vere (Rflexions, parte I, sezione III, pp.
44-45) ma che lo stesso Du Bos mostra di considerare, malgrado tutto questo, non meno intense e trascinanti di quelle naturali. Egli
sembra cos voler ignorare il principio, diciamo cos, della distanza
estetica. E anzi, parlando in particolare dei giovani dediti alla lettura
dei romanzi, egli afferma che essi sono sottoposti a tormenti che
causano afflizioni e desideri molto reali, tant che in tal caso proprio
lemozione artificiale, oltre a fomentare nel cuore di un giovane,
che legge romanzi con troppo piacere, i princip delle passioni naturali
che sono gi in lui (ivi, p. 46), pu far s che in lui la ragione non
possa pi dominare la loro immaginazione smarrita (ib.). Analogamente, poi, in queste prime iniziali e fondamentali pagine della sua
opera, egli rileva che non c niente di straordinario che dei semplici
quadri, ovvero dei semplici colori applicati su una tela possano destare in noi delle passioni (p. 47). Se cos non fosse, osserva tra laltro,
non sarebbe certamente mai accaduto che coloro che hanno governato i popoli in ogni epoca hanno sempre fatto uso delle immagini e
delle statue per meglio ispirare i sentimenti che volevano suscitare, sia
124

in materia di religione sia di politica (ib.). Il fatto che, per Du Bos,


quando si medita sulla sensibilit naturale del cuore umano, sulla sua
predisposizione a emozionarsi facilmente davanti a tutti gli oggetti imitati dai pittori e dai poeti, non ci si sorprende che i versi e gli stessi
quadri possano turbarlo. La natura ha voluto dotarlo di una sensibilit
pronta e sollecita, come principale fondamento della societ. [...] La
natura ci ha forgiati in modo tale che tutto ci che si agita intorno abbia su di noi una grande influenza (ivi, p. 48).
allora pi che mai evidente come appunto in nome della Natura il Du Bos accorci, per cos dire, pi che gli era possibile, la tradizionale distinzione tra unestetica alta e unestetica bassa, sicch
c semmai da chiedersi sino a che punto egli sia consapevole di essere
il fautore di unestetica che potrebbe venire intesa come unestetica
media. Lestetica chegli stesso, in vari luoghi della sua opera, tra i
quali va sicuramente segnalata la fondamentale sezione XXII della Parte seconda, assegna come propria a un pubblico che non comprende
il volgo, quello che doveva risultargli socialmente incontrollabile,
bens quello composto soprattutto dalle persone che hanno acquisito conoscenze, leggendo, o attraverso le relazioni sociali (ivi, p.
298). Il pubblico, o, per meglio dire, i vari tipi di pubblico, che pur
non possedendo in tutti i loro comportamenti, sempre e dovunque, le
medesime oggettive possibilit di apprezzare ci che i prodotti delle
arti mettono a disposizione dei loro fruitori, tuttavia conoscono gli
spettacoli, vedono o per lo meno sentono parlare di quadri, e che
cos hanno acquisito quel criterio per giudicare chiamato gusto di
comparazione (ib.). Egli non accetta che un pittore, un poeta, un musicista, solo per essere tali, possano avere il diritto di ricusare chi non
conosce la loro arte: cos come un chirurgo, egli dice, non ha il diritto di respingere la testimonianza di chi abbia subito unoperazione
(ivi, p. 299). E poich dunque egli sostiene che ogni uomo deve dunque poter dare il proprio consenso, quando si tratta di stabilire se i
poemi o i quadri fanno leffetto che devono produrre (ib.), si pu
tranquillamente sostenere che anticipi, gi aglinizi del Settecento, la
nota, successiva posizione assunta dal La Font de Saint-Yenne collaffermazione che chiunque ha il diritto di far valere il suo giudizio,
giusto il sentimento che sta alla base del gusto (cfr. Riflessioni su
alcune cause dello stato presente della pittura in Francia, in Riflessioni
e sentimenti sullo stato delle arti francesi, a cura di F. Fanizza, Bari
2002, pp. 68-69).
Importa relativamente meno, a questo punto, osservare come lo
stesso Du Bos sia dellopinione che quando si tratta del merito dei
quadri, il pubblico non un giudice competente come quando si tratta del pregio dei poemi (p. 300). Che perci, tra i vari sensi, come si
trova ad esempio da lui sostenuto nella sezione XL della Parte prima
125

(Se il potere della pittura sia sugli uomini maggiore di quello della poesia),
egli valuti quello della vista, pi popolare e a disposizione di chiunque, meno bisognoso, diciamo cos, dintegrazioni colte, di quello dellascolto. Ci che in realt e rimane essenziale rilevare, il fatto che
nelle parti pi originali delle Rflexions, quelle, vale a dire, in cui viene
dichiarato apertamente che quando i maestri dellarte e il pubblico
sono di pareri diversi su una produzione nuova, sempre lopinione
di questultimo a prevalere (parte II, sez. XXVI, p. 310), quelle in cui
peraltro lerudizione si trova messa pi organicamente al servizio di
analisi specificamente estetiche, il loro autore proceda decisamente
verso lidentificazione tra lartistico e lestetico. Per lui, infatti,
che, non per nulla, quando parla della lettura, sostiene che non lo
studio, ma il piacere, che ci porta ad aprire un libro, e al quale appartiene soprattutto la nota metafora del rag, ogni esperienza quale
che sia di natura artistica, non solamente non incompatibile, ma tende addirittura a confondersi col plaisir, ovvero, per cos dire, ad
amalgamarsi con esso. In qualche modo egli ha anche anticipato, a
livello di ricezione estetica, ci che a partire dalle dottrine dellEinfhlung s venuto posteriormente teorizzando sullaffinit che c o
dovrebbe esserci tra soggetto senziente e oggetto sentito.
N poteva essere diversamente, per quel che anche da altre fonti si
sa che avvenne nellet della Reggenza, quando cio cominci ad affermarsi un consumo darte che era quantitativamente aumentato e sera
insieme qualitativamente rinnovato (cfr. F. Fanizza, Presentazione a Il
consumo darte nella Francia del Settecento, Bari 2000). Quando perci,
comebbe a rilevare il Dumesnil, sia pure con un piglio un po troppo
moralistico, il gusto dei piaceri [] coinvolgeva giovani, uomini fatti,
vecchi, nel triste dominio dellegoismo e della facile volutt. Fu quello
il momento, diceva ancora quellautorevole storico, in cui la leggerezza
della nazione, tenuta cos a lungo sotto controllo dalla gravit della
corte di Luigi XIV, aveva libero sfogo. Larte francese aveva risentito il
contraccolpo di tale reazione: sera completamente allontanata dal gusto
severo e finanche un po triste del Poussin, di Lesueur e di Le Brun,
per mettersi a rimorchio della moda e delle maniere ispirate dallentourage del reggente. Al giogo pesante di Le Brun era succeduto quello
pi leggero di Watteau, che regnava da despota nel regno della novit
(cfr. J.-G. Dumesnil, Histoire des plus clbres amateurs francais, t. I,
Paris 1858, Genve 1973, pp. 10-11, trad. it. di F. Fanizza). Come dire,
in definitiva, che era succeduta unestetica tutta spostata dalla parte
dello spettatore, con la quale ci sembra pi che opportuno aggiungere, veniva anche a determinarsi linizio della successiva, intera storia
della spettacolarit moderna, che, come tale, giunta sino a noi.

126

Du Bos e lestetica francese del Settecento


di Fernando Bollino

Gi dAlembert, in un suo luogo, aveva sostenuto che Du Bos appartiene a quel genere di scrittori che hanno pi merito che reputazione, mentre Chateubriand nel secolo romantico scriveva: Si saccheggia
labb Du Bos senza ammettere il plagio 1. Allo scadere dellOttocento Victor Basch introducendo il suo Essai critique sur lesthtique de
Kant (1897) parlava di Du Bos come di un esthticien troppo poco
noto pur a fronte dei suoi meriti e della notevole influenza esercitata dalle Rflexions su autori inglesi e tedeschi: certe sue asserzioni circa il primato del sentimento nel giudizio di gusto, circa lesistenza di
un sesto senso in grado di decidere dellopera senza consultare riga
e compasso 2, e circa la correlata nozione di un pubblico che nessun
ragionamento critico potrebbe mai trattenere davvero nel chiuso di
astratti recinti normativi, tutto ci, e altro ancora, presagirebbe la teoria di Hutcheson e, per suo tramite, la stessa teoria kantiana. In Du
Bos, insomma stando alla lettura di Basch il giudizio estetico
diventato chiaramente un giudizio di puro sentimento e i verdetti della
ragione risultano subordinati espressamente alle apprensioni dellemozione 3.
Condivisibile o meno che sia la lettura di Basch, constatiamo che
lasimmetria sussistente fra lelevato grado di penetrazione delle teorie
dubosiane nella cultura estetica francese del Settecento e linsufficiente
riconoscimento dellimportanza del loro autore si andata attenuando
fin quasi a rovesciarsi nelleccesso opposto: cos Braunschvig (1904)
considera Du Bos come il rnovateur de la critique au XVIIIe sicle,
mentre Lombard (1913), nella sua monografia lo etichetta, non senza
enfasi, come un initiateur de la pense moderne; in seguito Raymond
Bayer, nella sua breve storia dellestetica (1961), non esiter ad adottare lo stereotipo storiografico del Du Bos precursore, questa volta,
nella fattispecie, dellestetica psicologica nonch, alla luce della teoria
climatica, della critica darte scientifica e sociologica dellOttocento 4.
Per solito, a questo punto, dobbligo fare il nome di Taine, autore
della celebre Philosophie de lart (1865), richiamando la nota triade positivista: race, milieu, moment. Linfluenza di Du Bos su Taine certo documentata; cito un titolo per tutti che ci riporta alla consueta ico127

nografia: Un precurseur de Taine: labb Dubos (1907) di G. de Lacaze-Duthiers. Tuttavia, per Jacques Chouillet vedere in Du Bos il Preromantico, il Rinnovatore della critica, lIniziatore del pensiero moderno, e magari, aggiungiamo noi, lAntirazionalista, rischia di produrre un nant de connaissance 5. Dal suo canto Jean Ehrard sottolinea
il contrasto nelle Rflexions fra spunti teorici spesso originali e ingegnosi e conclusioni pratico-critiche non di rado conformiste: Ce novateur afferma, suggellando un ulteriore rovesciamento del giudizio
storiografico est dabord un attard 6.
Restringendoci al Settecento francese, il gioco delle ricezioni e delle
influenze, quale si riflette nei titoli della letteratura critica, vede per
solito il nome di Du Bos associato a quelli di Voltaire, Diderot, Rousseau. Se ne debbono aggiungere altri, naturalmente, e non sempre di
secondo piano: potremmo dire tuttavia, anticipando qualche esito del
nostro percorso, che, paradossalmente, linfluenza delle teorie dubosiane sullestetica francese dellepoca fu tanto pi pervasiva ed efficace
quanto meno a prima vista visibile o documentabile in modo certo.
Daltro canto lo stesso Voltaire, che pure autore che certo apprezza
e conosce bene le Rflexions, sembrerebbe aver sfogliato questopera
per ricavarne dati, elementi, anche spunti interessanti, pi che teorie
generali. Insomma, per Voltaire pare trattarsi di un valido strumento
di consultazione, di unopera utile, anzi la pi utile che si sia mai
scritto su questi argomenti in tutte le nazioni dellEuropa. Non un
libro metodico aggiunge ma lautore pensa e fa pensare 7. Tuttavia, non facile identificare le tracce di un influsso organico sul suo
pensiero. Certo, lo stesso Voltaire scriver (a proposito di Omero) che
per giudicare i poeti bisogna saper sentire, e noi saremo autorizzati, con Lombard, a supporre che ci sia in questaffermazione leco non
troppo lontana dellidea dubosiana del sentiment e della sua infallibilit giudicativa. Si potrebbe ulteriormente citare il Voltaire che afferma: impossibile che una nazione intera si sbagli in fatto di sentimento 8 e qui, magari, ci radicheremmo di pi nella convinzione che
il patriarca di Ferney abbia avuto sottocchio, mentre scriveva questa
frase, le sezioni delle Rflexions dove si parla di consenso generale 9,
ossia di un accordo sempre riscontrabile a posteriori sulla base di un
consolidarsi e stratificarsi del giudizio del pubblico basato sul sentimento. Tuttavia, in scritti privati emergono critiche non solo in riferimento allo stile giudicato piuttosto pesante (ad Algarotti scrive: il
faut le lire, mais le relire serait ennuyeux 10, e laccusa sia detto per
inciso condivisa da Desfontaines 11), ma, pi nel merito, Voltaire
diventa tagliente quando afferma, in una lettera al dArgens, che non
comprerebbe mai un quadro su parere di Du Bos. Del resto rincara di quadri non se ne intendeva affatto, come anche di musica e di
poesia, ma conclude, non senza una punta di perfidia se pensiamo
128

che sta parlando dellautore di un libro che sintitola Rflexions...


rifletteva molto su tutto ci che aveva letto e sentito dire, e ha trovato il segreto di fare un libro utilissimo, dove non c di cattivo che
quello che viene unicamente da lui 12. Eppure si sostiene che Voltaire
sarebbe fra tutti i grandi scrittori del suo secolo quello che ha meglio
reso giustizia a Du Bos, ma certo sembra eccessivo dare per scontato,
come fa ancora Lombard, che intorno al 1730 Voltaire sia tutto nutrito di pensieri dubosiani 13, pur non potendosi negare che si diano certe consonanze. Tuttavia si tratta a mio avviso di indizi abbastanza
tenui e non sempre specifici, ascrivibili trasversalmente a varie fonti, se
si eccettua qualche passaggio riscontrabile soprattutto nel Dictionnaire philosophique come, ad esempio, il seguente relativo alla definizione di gusto: Si tratta di un discernimento pronto come quello della
lingua e del palato, e che, come quello, anticipa la riflessione 14. Per
converso, non mancano significative prese di distanza: Voltaire, come
molti del resto, respinge la dottrina materialistica del clima e, inoltre,
non accetta che il giudizio dei connaisseurs venga radicalmente svalutato, e nemmeno condivide lassimilazione fra gusto sensuale e gusto
intellettuale. Insomma tutto sembra ridursi, nel caso di Voltaire, ad
alcune significative assonanze, non senza importanti distinguo e qualche ambiguit, fermo restando un giudizio complessivo abbastanza
lusinghiero: Du Bos un homme de trs grand sens..., un uomo
sensatissimo, che ha scritto il breviario dei letterati 15: abbastanza,
ancor pi se detto da un personaggio come Voltaire, ma troppo poco, forse, per poter parlare in termini di influenza marcata e di particolare apprezzamento.
Un discorso non molto dissimile potrebbe ripetersi per altri autori che si rifanno alle Rflexions riprendendone alcuni elementi e contestandone altri, da Louis Racine a Rollin a Montesquieu. Per Trublet
lIliade non un rag e la poetica di Du Bos di quelle pi curiose
che veramente utili. DAlembert gli riconosce il merito di aver gettato il seme da cui sono germogliate molte idee, ma poi nella celebre
Prface allEncyclopdie nega che ci si possa basare sul giudizio di sentimento e sul criterio del piacere: I nostri lumi vanno quasi sempre a
discapito dei nostri piaceri. a Du Bos, ancora, che Condillac (come
poi Diderot) chiaramente si ispira quando nellEssai sur lorigine des
connaissances humaines (1746) tratta della distinzione fra linguaggio
gestuale e pantomima, ma poi nellArt dcrire lo accusa di essere farraginoso: lungo, nellintento di essere pi chiaro, ed pi oscuro.
Lo stesso Lombard giudica la modalit espositiva di Du Bos pi vicina
alla causerie che non alla deduzione ordinata. Altri autori sembrano
attingere alle Rflexions: Rmond de Saint-Mard si mostra discepolo
zelante delle nuove teorie; il poeta e scrittore Gresset dichiara che il
sentimento non va a casaccio; Cartaud de la Villate ribadisce: in129

fallibile; cos pure, La Font de Saint-Yenne mostra di credere nellinfallibilit del pubblico 16. Una menzione merita anche Helvtius: il suo
materialismo trova nelle pagine delle Rflexions un punto di riferimento, com riscontrabile in qualche passo del celebre e condannato De
lEsprit (1758): La noia nelluniverso una molla pi generale e potente di quanto non si pensi [...]. il bisogno di essere commossi, e
quella specie di inquietudine che lassenza dimpressione produce nellanima [...] che deve inventare, perfezionare le arti e le scienze [...].
per strapparsi alla noia che, a rischio di ricevere impressioni troppo
forti e di conseguenza sgradevoli, gli uomini cercano con la maggiore
premura tutto ci che pu commuoverli fortemente; [...] il desiderio
che fa correre il popolo alla piazza di Grve, e la gente del mondo a
teatro 17. Ma soprattutto il poligrafo Jaucourt a diffondere, e in un
certo senso a dissolvere, le teorie dubosiane nei tanti rivoli dellEncyclopdie non sempre citando la fonte (vedi, in particolare, gli articoli
Paysage, Peinture, Posie, Rime, Style, Tragdie, Vraisemblance): cos le
Rflexions usciranno praticamente di scena nellultimo terzo del secolo.
Diderot (che pure non menziona Du Bos nel suo celebre articolo
Beau dellEncyclopdie), sembra essersi ispirato alle Rflexions nel trattare temi quali il teatro degli antichi e la mescolanza indebita nelle
opere darte di personaggi reali e allegorici. Ancora, nelle Rflexions
che Diderot potrebbe aver trovato conferme circa lespressivit sintetica
del linguaggio gestuale, la necessit di differenziare le diverse modalit
di applicazione del principio di imitazione nelle varie arti, la distinzione
fra segni di istituzione e segni naturali. Sempre dalla stessa fonte Diderot pu aver attinto ulteriori suggestioni: la teoria climatica; il principio secondo cui il piacere che ci procura loggetto imitato puro,
cio esente da ogni effetto residuale negativo e per questo superiore al
piacere che ci procura loggetto naturale; perfino alcuni esempi, tratti dai classici, relativi ai suoni motivati e onomatopeici che dimostrano la superiorit in questo campo delle lingue antiche, come il verso
virgiliano monstrum, horrendum, informe, ingens, cui lumen ademptum 18. stato detto che la critica darte diderotiana sarebbe condotta
secondo modalit critiche non molto dissimili da quelli dubosiane portando ad esempio lanalogia fra la descrizione di Du Bos della Suzanne
di Antoine Coypel e quella di Diderot della Chaste Suzanne di Van Loo
(Salon del 1765): per entrambi, infatti, vale un criterio psico-fisiognomico, come di chi guarda ai personaggi dipinti quasi fossero attori sulla
scena colti in unespressione teatrale 19. Del resto che Diderot avesse
per mano le Rflexions lo sappiamo per certo dal registro dei prestiti
della Bibliothque Royale (alla data del 25 gennaio 1748).
Nella Lettre sur les spectacles (1758) anche Rousseau mostra di frequentare criticamente le Rflexions citando il suo autore nella veste di
paladino della positivit catartica del teatro, concezione questa, come
130

sappiamo, di grande tradizione, ma che appare radicalmente ribaltata


nella prospettiva etico-estetica del ginevrino. Per Rousseau, infatti, se
gli uomini si lasciano commuovere fino alle lacrime per i mali finti, per
le vicende imitate nelle rappresentazioni teatrali, invece di rischiare una
sofferenza autentica di fronte ai casi reali, non tanto perch, come
pensa labate Du Bos, le emozioni siano pi deboli e non arrivino al
vero dolore, ma piuttosto perch esse sono pure e senza ombra di angoscia per noi stessi. [...] In fondo, quando un uomo andato ad ammirare delle azioni encomiabili in qualche favola e a versare qualche
lagrima per delle infelicit immaginarie, che si vuole ancora da lui? [...]
Che praticasse egli stesso la virt? Questo ruolo non gli compete: non
mica un attore. In nota, lo stesso Rousseau segnala poi di non condividere la tesi dubosiana secondo cui lo spettatore resterebbe sempre
padrone delle proprie emozioni o passioni superficiali sia dolorose che
piacevoli, perch anzi dice lesperienza ci insegna il contrario 20. In
effetti, qui, la critica rousseauiana sembra mettere in discussione larchitrave di unestetica, come quella di Du Bos, fondata sul padroneggiamento delle passioni artificiali e dunque sulla positivit dellarte.
Accomunati nella concezione eteronoma dellarte, i due autori divergono quanto al valore attribuibile alla sua funzione: ottimisticamente
terapeutica per luno, cofattore degenerativo per laltro.
Unattenzione particolare merita infine il nesso Du Bos-Batteux, per
molti versi esemplare, e di grande rilievo per lo sviluppo della riflessione estetica settecentesca non solo in Francia. Batteux stato considerato da Stein e da Lombard come lesthticien che pi di altri ha
tentato di sistematizzare Du Bos 21, ma la formula appare riduttiva
e fa torto a entrambi. Certo le stesse Rflexions andrebbero lette tenendo anche conto delle posizioni dello svizzero Crousaz che, nel suo
Trait du beau (1715), aveva tentato dinnestare nella tradizione cartesiana elementi pascaliani e anche empiristici, ma in una prospettiva
eclettica, teo-teleologica, traversata da istanze leibniziane (gli oggetti di
per s belli sono fonte di sentimenti piacevoli perch sussiste unarmonia prestabilita fra la nostra natura sensibile e la nostra natura intellettuale). Dunque, per Crousaz che qui sembra anticipare Du Bos, alla
noia, allassenza di sentimenti, che la pi insopportabile delle condizioni, si contrappone la Bellezza che appare in grado di esercitare un
grande potere, un imperio sui sentimenti stessi: essa previene le
nostre riflessioni; il cuore le rende omaggio senza consultare le idee
della nostra mente. Dunque il buon gusto, luogo di unideale conciliazione fra ragione e sentimento ci fa stimare in prima battuta con
il sentimento quel che la ragione approver successivamente, una volta
che si sia data il tempo di esaminarlo quanto basta per giudicarne sulla
base di idee esatte 22. Occorre ulteriormente tener conto degli spunti
che Du Bos avrebbe potuto trovare in un testo non menzionato dal
131

pur informatissimo Lombard, Lart de ne point sennuyer (1715) di


Andr-Franois Boureau-Deslandes, un autore la cui biografia intellettuale ben si pu accostare a quella di Du Bos: commissario di marina,
filosofo mondano a tendenze epicuree, discepolo di Fontenelle e di
Saint-Evremond, legato a Malebranche, fu considerato da Voltaire un
bel esprit provinciale. Ora, nel suo libro si leggono dichiarazioni che
supponiamo non siano sfuggite a Du Bos mentre presumibilmente gi
attendeva alle Rflexions. Dopo aver sostenuto che pi gusti si hanno
e pi si vive felicemente, Boureau-Deslandes suggerisce, per sfuggire
alla noia, di procurarsi una condizione emotiva artificiale che sia effetto
dellimitazione delle passioni naturali. Infatti: Per sentire bene, occorre respingere tutte le passioni che vengono dalla natura e produrne
delle altre sul loro modello 23. Per converso, lo stesso Essai sur le beau
(1741) del metafisicissimo e malebranchiano padre Andr, che muove
dallintento di assolutizzare e completare il lavoro di Crousaz, non potrebbe essere davvero compreso in certe sue apparenti deroghe rispetto
alla linea teorica dichiarata senza tener conto del probabile influsso
delle Rflexions: Limmaginazione e il cuore ammette Andr sono
facolt altrettanto naturali per luomo quanto la mente e la ragione 24.
Nettissima, si diceva, linfluenza delle teorie dubosiane su Batteux
riscontrabile sia nei Beaux-Arts rduits un mme principe (1746) che
in scritti successivi, anche se Du Bos non mai citato. I temi comuni
sono numerosi: un po a caso, la noia come molla originaria per il costituirsi dellattivit artistica; la convinzione che lanima ha i suoi bisogni come il corpo e che vi una strutturale uniformit dei meccanismi
psicologici delluomo; il fatto che il prodotto artistico si ottiene mediante un processo imitativo-creativo e che il gusto un sentimento; la
distinzione fra segni naturali e artificiali; lefficacia poetico-emotiva dei
suoni imitativi e la superiorit espressiva delle lingue antiche sulle moderne; il mito dellopera melodrammatica come Spettacolo Totale nel
quale le belle arti mettono in scena finalmente la loro Ri-Unione, e
insomma al tempo stesso rappresentano e si rappresentano.
Annoiati dalla monotonia della Natura ordinaria, gli uomini, alla
ricerca di un sempre maggiore piacere, ricorsero al loro genio per produrre un nuovo ordine di idee e di sentimenti capace di rivitalizzare
sia la loro mente che il loro cuore: lo afferma Batteux 25, e non si potrebbe essere pi dubosani di cos. Ma sul terreno del gusto che si
compie lincontro decisivo fra i due autori: Batteux, che pure il teorico della bella natura, dichiara che non intende formulare una definizione del bello, anche perch convinto che ogni uomo educato
(poli) in grado di riconoscere la bellezza unicamente per la via del
sentimento. Anzi afferma che il sentimento, in questo genere di cose,
molto pi rapido e sicuro della pi sottile metafisica. Tuttavia c
una distinzione da fare: in Du Bos, nel giudizio di gusto il sentimen132

to precede sempre la ragione che solo a posteriori chiamata ad una


notarile conferma del gi accaduto; per Batteux, invece, il dato percettivo-razionale anticipa sempre, sia pure per un attimo, quello emotivovalutativo: Bench il sentimento sembri prendere avvio repentinamente e alla cieca, tuttavia sempre preceduto almeno da un lampo di
luce grazie al quale scopriamo le qualit delloggetto. [...] Solo che
questoperazione cos rapida che spesso non ce ne accorgiamo, tanto
che la ragione, quando ritorna sul sentimento, fatica molto a riconoscerne la causa. E poi aggiunge, con una notazione interessante che
riannoda il tema del giudizio di gusto ancora una volta a Du Bos ma
con riferimento, questa volta, alla famosa Querelle nel cui contesto
quella problematica si era inizialmente radicata e giustificata: Probabilmente questo il motivo per cui la superiorit degli Antichi sui Moderni cos difficile da decidere. il gusto che ne deve giudicare e al
suo tribunale si sente pi che non si possa provare 26.
Dunque, Batteux da un lato assume una posizione relativamente
aperta nei confronti della tradizione, e, dallaltro, pone in rilievo il
problema del rapporto fra conoscere e sentire: la conoscenza illumina
loggetto, ce lo fa vedere per quel che esso , mentre il sentimento un
moto dellanima che ci porta verso di esso o ce ne allontana (ignoti
nulla cupido). Si pu dire, in fondo, che se lautore delle Rflexions,
partendo da una concezione relativistica (lesempio del rag), giustifica
la variabilit dei giudizi individuali per poi ammettere una convergenza
tendenziale e di fatto di questi stessi giudizi (e quindi una loro oggettiva
prevedibilit in un certo arco di tempo: questo il tema del giudizio
consolidato sui classici), lautore dei Beaux-Arts si cura gi in partenza di garantire al gusto un retroterra tendenzialmente oggettivistico, anche se poi non esclude che i giudizi individuali possano essere
entro certi limiti diversificati. Ma il punto conclusivo , in ogni caso,
schiettamente dubosiano: Il gusto scrive Batteux una conoscenza
delle regole mediante il sentimento. Questa maniera di conoscerle
assai pi fine e pi sicura di quella della mente, e inoltre in sua mancanza tutti i lumi della mente sono quasi inutili a chiunque voglia comporre. E in un altro luogo aggiunge, con significativa efficacia (siamo
nel 1777, e si sente): Lo stesso gusto che ha fatto le regole le interpreta, le modifica, ne dispensa in certi casi in nome di regole superiori.
Sono i misteri dellarte, se cos posso esprimermi, che non sono contrari alla ragione, ma che sono al di sopra della ragione 27.
Il nucleo profondo tanto della riflessione dubosiana che di quella
batteuxiana risiede, con ogni evidenza, nella teoria emozionalistica dellarte che si innesta, in Du Bos come in Batteux, in una concezione
universalistica e fissista della natura umana. Da un lato, Batteux parla di plaisir de lmotion, di un terreur agrable, e dice a chiare
lettere che lemozione ci piace per se stessa 28, dallaltro, sostiene che
133

se un uomo dal gusto raffinato, capace di sentire distintamente, si


pronuncia su unopera criticamente non possibile che gli altri uomini non sottoscrivano il suo giudizio. Essi provano il suo stesso sentimento... 29. Qui sembra quasi prospettata la necessariet di un giudizio
uniformemente condiviso. In realt, per Batteux, come per Du Bos,
tutti gli uomini sono strutturalmente conformati allo stesso modo sul
piano psicologico, e ci consente la condivisione e la comunicazione
dei giudizi di gusto, anche se tale posizione sembra contrastare con un
sensualismo a volte pi dichiarato che coerentemente perseguito. Du
Bos: Gli uomini di tutti i tempi e di tutti i paesi sono simili quanto al
cuore 30; Batteux: Tutti gli uomini sono quasi allunisono dalla parte
del cuore 31.
Ci che differenzia i due autori, nel tentativo irrisolto di trovare
una sintesi fra istanze razionali e istanze emozionali, la diversa concezione del genio. La facolt produttiva, infatti, concepita da Du Bos
in senso meccanicistico e psicofisiologico, mentre per Batteux si connota finemente in senso neo-razionalistico: il genio, infatti, non n un
trasporto violento che trascina lanima a casaccio, n una forza cieca
che procede deterministicamente; invece una ragione attiva, inventiva, analitica che esplora tutti gli aspetti reali e tutti i possibili, in
altre parole, uno strumento illuminato che scava, sviscera, penetra
sordamente 32. Tale differenziazione deriva, secondo Annie Becq, dallambiguit insita nella visione razionalistica di Malebranche contaminata dalle posizioni di Locke e dal neoplatonismo di santAgostino,
ambiguit che, secondo la studiosa, innerva lestetica francese della
prima met del secolo: da una parte, (1) ci sarebbe la tendenza a dominante sensualista, dove il sentimento, assunto in una sua immediatezza passiva e non perfettibile, in sterile opposizione alla ragione,
cosicch si cade nellimpasse di unestetica del piacevole e del patetico non in grado di concepire lordine estetico (Du Bos); e, dallaltra,
(2) ci sarebbe la tendenza che innesca una fase di razionalizzazione del
sensibile indispensabile alla nascita dellestetica moderna, dove il sentimento si attiva nella conoscenza dellordine e dei valori, aprendosi
alla razionalit e ai rapporti di perfezione: questo tentativo di conciliazione, condotto da opportunisti al servizio del potere reale, maschererebbe il conflitto bloccando la riflessione teorica e favorendo il ritorno a un certo classicismo. In Andr e in Batteux, esponenti di spicco
di questa seconda tendenza, si realizzerebbero gli sviluppi estetici possibili della nozione malebranchiana di sentimento come percezione
dellordine e dei valori, ma anche qui si cadrebbe in un impasse. Una
simile prospettiva storiografica, per quanto suggestiva, finisce tuttavia
per dislocare Du Bos e Batteux ciascuno in una sorta di ramo morto
di un percorso storico-evolutivo prederminato in vista della vera sintesi dilettica di sensibile e razionale 33.
134

Infatti, non si possono comprendere appieno i fenomeni estetici


del tempo se non si tien conto dellincidenza di molteplici orientamenti fra loro strettamente intrecciati: lelenco sarebbe stucchevole, ma
non potremo dimenticare i nomi Pascal, Gassendi, Agostino, Epicuro... Secondo Morpurgo-Tagliabue lestetica di Du Bos si fonda sulla
tesi agostiniana (lacrim ergo amantur et dolores, Confessiones, III,
II) e su quella cartesiana (c un naturale piacere nel sentirsi commuovere dalle passioni, Les passions de lme, 1649). Ma ecco: per gli illuministi larte produce un piacere elementare lo scriver Montesquieu
nel saggio sul gusto procurando allanimo lidea della propria esistenza opposta al sentimento del nulla. questo a mio avviso un
punto decisivo per comprendere la genesi dellestetica francese del
Settecento. Anche Hume del resto, buon lettore di Du Bos, conosceva perfettanente lorigine agostiniano-giansenista della tesi pessimistica del piacere della sofferenza, [...] e la tesi ottimistica della tendenza
umana a fuggire il languore, e a cercare di mettere in moto le sue
facolt, [...] rianimandole con qualche fervida e viva emozione, ma
doveva essersi accorto che la teoria delle passioni immaginarie si giustificava male con entrambe quelle tesi 34.
Du Bos, come prima Crousaz e poi Andr e Batteux, si incrive, a
differenza da quanto sostiene la Becq, in un percorso segnato dal tentativo di trovare sul terreno dellarte e del (buon) gusto il luogo privilegiato di una nuova reciproca integrazione, armoniosamente composta
e in tal senso neoumanistica, fra sfera della sensibilit e sfera della razionalit in nome del principio ottimistico, tutto settecentesco, del
bonheur. Lo spunto gi in Pascal (Penses, 412): Guerra intestina
nelluomo tra la ragione e le passioni [...] poich ha luna e le altre,
non pu stare senza guerra [...] e cos sempre diviso e in conflitto
con se medesimo. Batteux, come gran parte del secolo, e per certi
versi col conforto dello stesso Du Bos, con la sua teoria della bella
natura intende assicurare il concerto di queste due parti della nostra
anima. Altrimenti il conflito fra i lumi della mente e i moti del cuore
produrrebbe una sorta di guerra intestina che distruggerebbe ogni
possibile bonheur 35. Una delle chiavi di volta di questa ideale ricomposizione dellintegralit delluomo, sta proprio nel peculiare legame
intravisto da Du Bos fra gli effetti emotivo-terapeutici dellarte e la
piena consapevolezza e valorizzazione della nostra esistenza. In tal senso, il coinvolgimento emotivo prodotto dallarte, scaturendo da un moto di appassionato interesse destato dalla rappresentazione mimetica,
ci sottrae allo stato esistenzialmente depotenziato della noia.
Sulzer, nel Supplment dellEncyclopdie (1777, ma il testo del
1771) scrive che il termine Interessante concerne principalmente
ci che ci colpisce non come un oggetto di meditazione, o come il
ricordo di un godimento passato, ma come ci che ci procura unoc135

casione attuale di godimento stimolando in noi un desiderio che dura


tanto quanto linteresse. Ora, linteressante la propriet essenziale
di tutti gli oggetti estetici che, in quanto tali, ci fanno sentire che ci
manca qualche cosa, ci fanno provare dei desideri, insomma non solo
ci strappano alla noia e allindolenza, ma soprattutto sono capaci di intensificare al massimo lattivit dellanima. Il mezzo pi efficace che
lartista ha a disposizione appunto quello di stimolare la nostra attivit interiore mediante la rappresentazione di oggetti interessanti: I
nervi dellanima la metafora sempre di Sulzer per cos dire si
rilassano nellinattivit, nellozio, e perfino nello stato di semplice godimento. Ma le belle arti potrebbero prevenire un tale rilassamento qualora fossero in grado di presentarci sempre oggetti interessanti.
Si viene dunque delineando, a partire da 1715, il percorso ideale di
una estetica dellinteressante che trova nel modello dubosiano uno dei
suoi punti di forza: le radici sono antiche e nobili, linterpretazione
moderna. Per Malebranche, come ha visto Mauzi nella sua straordinaria thse sullidea di bonheur nel Settecento, il moto che trascina
lanima era frutto di un impulso divino. Per Shaftesbury, si tratta di un
entusiamo in cui luomo trova il suo pieno compimento. Locke ne d
uninterpretazione puramente umana: la molla dellanima linquietudine, fonte di ogni sua attivit, dei suoi desideri e mutazioni: questo il vero significato dellinteresse, principio della morale naturale.
Non si tratta qui, di mero utilitarismo, non si tratta della ricerca cinica
dellutile, n di una negativit morale. Alla base della nozione di interesse nel Settecento c un principio pi profondo segretamente incatenato allessere, ovvero un palliativo naturale dellangoscia originale, quellistinto che Rousseau chiamer amour de soi, versante positivo
dellegoistico amour-propre. Dunque, opportuno attribuire alla termine interesse un valore esistenziale e non morale. Linteresse, in
tal senso, segna il punto dinserzione delluomo nel mondo, la saldatura fra la coscienza e lesistenza. Quando questultima difettosa,
siamo esposti alla noia o allinquietudine [...]. Linteresse corregge
spontaneamente questa doppia eresia vitale, da cui derivano tutte le
malattie dellanima. Sistematizzato dalla filosofia, [...] sar la chiave di
volta del bonheur 36.
Per Batteux, la prima qualit che devono avere gli oggetti che ci
presentano le arti che siano interessanti, che abbiano, cio, un rapporto intimo con noi. Il criterio dellinteresse, per altro, gioca un ruolo determinante nella definizione della bella natura per ci che concerne uno dei due aspetti costitutivi che la caratterizzano, quello relativo al cuore. Sappiamo, infatti, che la bella natura ha il pi stretto
rapporto con la nostra perfezione, il nostro vantaggio e il nostro interesse, ovvero che essa deve mostrarci nelle opere darte interessi che
ci siano cari, che riguardino la conservazione o la perfezione del no136

stro essere, che ci facciano sentire piacevolmente la nostra esistenza 37. Non ci si potrebbe esprimere pi nitidamente. Ma in un passo
notevole, e di grande modernit, inserito nei Beaux-Arts a partire dalla
seconda edizione, Batteux aggiunge una precisazione ulteriore, determinante: Tutti [i grandi artisti] hanno avuto lo stesso scopo: mostrare
cose perfette in s e al tempo stesso interessanti per gli uomini cui
dovevano mostrarle. [...] E linteresse consistito nel far vedere agli
uomini cose che avessero un rapporto intimo con il loro essere, sia per
accrescerlo, perfezionarlo e assicurarne la conservazione, sia per diminuirlo, indebolirlo o metterlo in pericolo. Queste due specie di rapporti sono
ugualmente interessanti per gli uomini, il secondo forse pi del primo 38. Le ragioni che inducono Batteux a inserire questa variante si
comprendono meglio alla luce delle teorie sullimitazione dello spiacevole e del tormentoso. questo il vero punto: a Batteux preme spiegare perch gli oggetti che ci atterriscono nella realt ci piacciono,
invece, e ci attirano, quando sono imitati. La soluzione di marca dubosiana: nel presentarci questi oggetti sgradevoli larte, proprio perch
si dichiara come apparenza, riesce a procurarci delle emozioni, per
cos dire, pure, e cio esenti da quella mescolanza con sensazioni
spiacevoli o dolorose che la vista dei medesimi oggetti produrrebbe
nella realt. Cos larte, imitando di preferenza lo spiacevole e il tormentoso (se non proprio il brutto e il ripugnante), riesce a conseguire il suo scopo, il piacere dellemozione: Allelemento emozionale
scrive Dieckmann viene riconosciuto un ampio spazio, un ruolo decisivo e una grande potenza; lelemento razionale e i criteri del piacere
in esso radicati trovano un limite nel cuore e nella libert 39.

1
Cfr. A. Lombard, Labb Du Bos. Un initiateur de la pense moderne (1913), repr. Genve 1969, p. I e p. 518 (dora in poi indicato con la sigla L).
2 J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, Palermo 2005, p. 296 (dora
in poi indicato con la sigla RC).
3 V. Basch, Essai critique sur lesthtique de Kant, Paris 19272, pp. IX-X.
4 R. Bayer, Histoire de lesthtique, Paris 1961, p. 138.
5
J. Chouillet, Lesthtique des lumires, Paris 1974, p. 40.
6 J. Ehrard, Lide de nature en France dans la premire moiti du XVIIIe sicle (1963),
repr. Paris-Genve, 1981, p. 284.
7
In Le Sicle de Louis XIV (L, pp. 314 e 332).
8 L, p. 315.
9 RC, I/XXV, II/XXII.
10
Lettera ad Algarotti, 1761 (L, p. 332).
11 Non so se c mai stato uno scrittore pi noioso dellabate Du Bos (L, p. 310).
12 Lettera a dArgens, 1752 (L, p. 332).
13
L, p. 332.
14 Trad. di M. Modica, in Lestetica dellEncyclopdie, Roma 1988, p. 150.
15 L, p. 292 e p. 311.
16
Per i riferimenti cfr. nellordine L, pp. 315, 321-22, 308, 305-06, 320, 329.
17 C.-A. Helvtius, De lEsprit, Paris 1758, t. I, pp. 396-99.

137

18

Eneide, III, 658. Cfr. D. Diderot, Lettera sui sordi e muti, Modena 1984, p. 65; RC, p.

138.
RC, pp. 66-67 (L, 336).
J.-J. Rousseau, Lettera sugli Spettacoli, Palermo 2002, pp. 42 e 124.
21
K. H. von Stein, Die Entstehung der neueren sthetik, Stuttgart 1886 (cfr. L, p. 324).
22 Cfr. F. Bollino, Teoria e sistema delle belle arti. Charles Batteux e gli esthticiens del sec.
XVIII, Bologna 1979, p. 40.
23
A.-F. Boureau-Deslandes, Lart de ne point sennuyer, Paris 1715, p. 141.
24 Cfr. F. Bollino, cit., p. 82.
25 Ch. Batteux, Le Belle Arti ricondotte a unico principio, Palermo 20024, p. 34 (dora in
poi indicato con la sigla BA).
26 BA, p. 49 (con lievi modifiche).
27 Cfr. F. Bollino, cit., pp. 165-67.
28
BA, p. 59.
29 BA, p. 51.
30 RC, p. 346 (con lievi modifiche). Nelle Rflexions si trovano anche dichiarazioni differenti: gli uomini hanno tutti lo stesso scopo, il piacere, ma poich non sono fatti allo stesso
modo, non cercano tutti gli stessi piaceri (RC, p. 44).
31 BA, p. 51.
32
Il brano si trova solo nelled. del 1753 dei Beaux-Arts.
33 A. Becq, Gense de lesthtique franaise moderne, Pisa 1984, I, pp. 240-41.
34 G. Morpurgo-Tagliabue, Il Gusto nellestetica del Settecento, Palermo 2002, pp. 15861.
35 BA, p. 66.
36 R. Mauzi, Lide du bonheur au XVIIIe sicle, Paris 1969, p. 19.
37
BA, pp. 54-57.
38 Ch. Batteux, Les Beaux-Arts, Paris 19472, pp. 91-92.
39 H. Dieckmann, Illuminismo e rococ, Bologna 1979, pp. 154-55.
19
20

138

Du Bos e lestetica inglese del Settecento


di Giuseppe Sertoli

In quella che a quasi un secolo di distanza rimane la pi ampia e


documentata monografia su Du Bos, Lombard dedicava due sole pagine alla fortuna delle Rflexions in Inghilterra, mentre ne dedicava
trenta alla loro fortuna in Germania 1. La differenza significativa;
cos come significativo il fatto che i nomi citati siano tutti di autori
degli anni 40 e seguenti 2. Oltre a un paio di giudizi genericamente
elogiativi di Johnson e Chesterfield, si tratta di autori interessati al problema dei rapporti fra le arti (Spence, Harris, Webb), mentre su un
piano pi schiettamente filosofico vengono menzionati sono Burke e
Hume (non invece, sorprendentemente, Gerard). Burke ripeterebbe
Du Bos quasi alla lettera circa i princpi del gusto comuni a
tutti gli uomini, pur rifiutandosi di identificare il gusto stesso con una
specifica facolt della mente, mentre a proposito di Hume Lombard
ricordava lapprezzativa citazione di Du Bos allinizio del saggio sulla
tragedia, dimenticandosi per di aggiungere che Hume rende s omaggio allingegnosit di Du Bos, ma solo per prenderne le distanze. In
ogni caso, ci che premeva a Lombard era sottolineare i punti di contatto fra Du Bos e i suoi ricettori doltre Manica, non segnalarne gli
scarti e tanto meno impostare il confronto in una chiave pi generale
che tenesse conto degli sviluppi della riflessione estetica britannica e
misurasse Du Bos su di essa.
Beninteso, la lista di nomi stesa da Lombard parziale; ricerche
successive lhanno integrata 3, anche se un inventario completo manca tuttora. Pur senza di esso, tuttavia, il quadro sommariamente delineato da Lombard appare corretto e autorizza le seguenti due conclusioni: primo, linfluenza di Du Bos generalmente posteriore alla traduzione inglese delle Rflexions (1748) e comunque mai anteriore
fatta eccezione per Hume agli anni 40; secondo, essa investe tanto
la discussione intorno a specifici temi (il sistema delle arti, la naturalit o storicit, del gusto, il piacere tragico, etc.) quanto, in maniera
pi indiretta, la curvatura che la riflessione estetica assume in Gran
Bretagna nella seconda met del Settecento.
Ci premesso, devo avvertire che nelle pagine che seguono non
affronter se non di striscio singoli punti del sistema teorico di Du
139

Bos (sempre che tale termine gli sia appropriato), bens adotter una
prospettiva pi distaccata, magari un po obliqua, cercando di misurare le Rflexions da un lato sugli sviluppi della teoria estetica da Addison in poi, dallaltro lato sulla situazione culturale che esse incontravano nel momento in cui varcavano la Manica. Naturalmente, proceder per sommi capi, sacrificando lanalisi a una sintesi che, per quanto schematica, ci pu forse aiutare a capire i tempi e i modi della ricezione di Du Bos in Gran Bretagna. Solo a Burke e Hume dedicher
un po pi di spazio, giustificato dal fatto che essi sono i due autori
che pi direttamente si confrontano con Du Bos.
1. Parto da una prima, semplicissima constatazione. Che passino
trentanni dalla pubblicazione delle Rflexions alla sua traduzione inglese non un caso n un dettaglio irrilevante. Tanto meno lo se si
ricorda che solo qualche decennio prima le opere critiche francesi venivano tradotte immediatamente in Inghilterra. Cos era stato per Boileau, Bouhours, Rapin, Dacier... Cos non avviene, invece, per Du Bos.
Come mai? Solo per la mole delle Rflexions? Difficile crederlo. In
realt, quel ritardo il segno che, allaltezza degli anni 20 e 30, le
Rflexions non erano in sintonia n col gusto artistico n con la teoria
estetica allora dominanti in Gran Bretagna in una Gran Bretagna che
a partire dallinizio del secolo aveva cominciato a recidere il cordone
ombelicale che per tutta la Restaurazione laveva legata alla Francia.
vero che il classicismo augusteo, che perdura fino alla met del Settecento, aveva la stessa matrice di quello di Du Bos; ed altrettanto vero
che lapproccio empiristico (psicologistico) di Du Bos ai problemi dellarte, con la reimpostazione del discorso a partire dagli effetti che
essa produce sullo spettatore, era sulla linea di Locke e di Addison
(del resto, sue dichiarate fonti). Ci non toglie, tuttavia, che fra le Rflexions e lo scenario inglese contemporaneo e immediatamente posteriore alla loro pubblicazione sussista uno scarto. Scarto bifronte, nel
senso che, rapportate a quello scenario, le Rflexions appaiono al tempo stesso in ritardo e in anticipo, e come tali doppiamente distoniche.
In anticipo le Rflexions lo sono per la loro concezione sentimentale dellarte. Non era una concezione senza precedenti in Inghilterra.
Chi laveva avanzata e fortemente sostenuta, muovendo dagli stessi
autori che stavano alle spalle di Du Bos (Cartesio, Rapin, Bouhours,
Pascal), era stato John Dennis (The Advancement and Reformation of
Modern Poetry, 1701; The Grounds of Criticism in Poetry, 1704). Niente se non la passione pu darci piacere, senza passione non pu esistere poesia come non pu esistere pittura, la poesia larte con la
quale il poeta eccita le passioni, etc. 4. La coincidenza con Du Bos
lo scopo principale della poesia e della pittura quello di coinvolgerci
(nous toucher) 5 evidente 6, anche se non vanno sottaciute le dif140

ferenze. Mentre Du Bos privilegia il versante della fruizione artistica,


Dennis privilegia ancora quello della produzione. Certo, anche per
lui scopo della poesia toucher le coeur, commuovere (movere) il
lettore agitandone le passioni, ma affinch tale scopo sia raggiunto indispensabile che il poeta sia lui commosso, che il suo cuore sia pervaso, agitato da una (grande) passione. Mentre in Du Bos, che costruisce la sua intera teoria avendo in mente il teatro (tragico) 7, la rappresentazione della passione che attiva la passione del lettore, per Dennis,
influenzato da Longino (da un Longino interpretato in chiave patetica), la passionalit del poeta che si trasmette al lettore contagiandolo e trasportandolo. Ne discende unidea entusiastica della poesia e del poeta stesso che non ha riscontro in Du Bos e nella sua concezione, assai meno barocca, del genio. Daltra parte, per Dennis,
che nonostante Longino rimane un classicista, il piacere conseguente
alleccitazione delle passioni il fine secondario della poesia (dellarte), mentre il fine primario ovvero ultimo lammaestramento, la
riforma morale (e religiosa) del lettore. Il che implica che la passione
non pu andare mai disgiunta dalla ragione e il poeta (lartista) non
pu prescindere da quelle regole eterne e inalterabili che con la ragione fanno tuttuno. Qui la distanza da Du Bos notevole; ma ci
non toglie che fra i due autori sussista una consonanza di fondo. Dennis aveva imboccato una strada che era gi quella di Du Bos: percorrendola, lInghilterra sarebbe stata pronta ad accogliere le Rflexions
fin dal momento della loro pubblicazione.
Senonch, quella strada sinterruppe, o rimase per quarantanni talmente secondaria da non essere quasi pi frequentata. Nel periodo che
intercorre fra i Grounds of Criticism in Poetry e le Rflexions, la concezione dennisiana della poesia fu fatta bersaglio di un duplice attacco,
da cui usc sconfitta. Da un lato, simpose il classicismo oraziano di
Pope (lEssay on Criticism del 1711), ostile a ogni entusiasmo poetico e diffidente nei confronti delle passioni: un classicismo che, riconoscendosi assai pi in Boileau che in Bouhours o Rapin, non poteva
che resistere a Du Bos. Dallaltro lato, cosa per noi pi importante,
nei Pleasures of the Imagination (1712) Addison impost tutto il discorso sullesperienza estetica, cio sugli effetti prodotti dallarte (e
dalla natura), in chiave di immaginazione e del piacere inerente al
suo esercizio anzich in chiave di emozione o passione. La quale
entra in gioco solo nel caso cui venga direttamente espressa o messa in
scena: per esempio in una tragedia ovvero (potremmo aggiungere noi)
in un poemetto popiano anomalo come Eloisa to Abelard (1717).
Ora, lenorme influenza esercitata da Addison fece s che, nei decenni seguenti, di emozione/passione non si parlasse affatto, o se ne parlasse solo marginalmente, in sede di teoria estetica. Lo si constata nellInquiry into the Original of our Ideas of Beauty and Virtue (1725) di
141

Hutcheson e, ancora, nellEssay on Taste (1759) di Gerard. Pur vicino


per taluni aspetti a Du Bos (centralit del piacere, senso del bello indipendente dalla ragione), Hutcheson esclude dal suo discorso qualunque riferimento a quelle passioni a cui pure, solo tre anni dopo, dedicher un intero trattato di filosofia morale (An Essay on the Nature and
Conduct of the Passions and Affections, 1728). Quanto a Gerard, egli
riserva alle passioni 10 pagine su un totale di 200 Le recupera, s,
sotto la rubrica sensibility of heart 8, ma solo come fattore complementare, bench necessario 9, di quel (buon) gusto che anche per lui,
come per Addison e Hutcheson, sidentifica con limmaginazione con
unimmaginazione, e qui Gerard si differenzia da Hutcheson, che agisce sempre di conserva col giudizio (ragione). Allaltezza degli anni 50,
non si pu dire che Gerard fosse allavanguardia! Al contrario, era
arretrato rispetto alle nuove tendenze culturali e teoriche che si
stavano allora affermando e che favorivano, anzi promuovevano la riscoperta di Du Bos. Ma proprio perci egli un testimone a carico
della lunga fin de non-recevoir con cui si scontr, in Gran Bretagna,
lautore delle Rflexions. Perch le tesi sulla natura sentimentale dellarte fossero accolte ed entrassero in circolazione, dovevano prima
maturare delle condizioni che nel 1719 erano ancora di l da venire.
Se per un verso, dunque, Du Bos era in anticipo sui tempi inglesi,
per un altro verso era in ritardo. In ritardo sia sotto il profilo del gusto artistico sia sotto quello della teoria estetica. Circa il primo punto,
il gusto poetico e pittorico di Du Bos era ancora quello del classicismo
secentesco. I suoi autori restavano Corneille, Racine, Poussin (il Poussin
della Morte di Germanico, non quello paesaggistico che influenzer il
picturesque settecentesco) 10; la sua gerarchia dei generi non si discostava sostanzialmente da quella tradizionale pur privilegiando la tragedia
rispetto allepica 11; e quanto allenfasi sulla passion, essa pu s apparire, retrospettivamente, pi moderna della raison di Boileau, ma
in sostanza gli serviva come la dlicatesse era servita a Bouhours,
come Longino era servito allo stesso Boileau per fondare su pi solide basi le argomentazione del partito degli Antichi. Un partito, certo, rappresentato anche in Inghilterra. Ma, ecco, col passaggio dallet
di Dryden a quella di Pope il classicismo aveva assunto, in Inghilterra, una fisionomia diversa, assai poco compatibile col gusto di Du Bos.
Non solo questione di un pi di ragione vs un pi di passione. Il
fatto che Pope non era n un poeta epico (anche se traduceva Omero) n un poeta tragico, bens era un poeta satirico che si misurava coi
nuovi tempi nei quali viveva, i tempi della prosa del mondo, e impiegava la poesia basti pensare alla Dunciad per rappresentare una
realt che non era pi quella della Restaurazione o, tanto meno, quella
della Francia di Luigi XIV. Viceversa, chi legga Du Bos con ottica anglocentrica ha la netta sensazione di star leggendo un contemporaneo
142

di Dryden, non di Pope. un ritardo, questo, che diventa ancor pi


vistoso se si tiene conto di ci che allinterno della cultura augustea tendeva a fuoriuscire dai canoni classicistici e a costituirsi come polo alternativo. Mi riferisco, lo si sar intuito, a quel gusto per il sublime
naturale che dopo Shaftesbury e Addison sarebbe andato crescendo
per tutto il Settecento ma per il quale non cera spazio nella prospettiva
di Du Bos. Sono noti i suoi giudizi restrittivi (per non dire sprezzanti) sulla pittura di paesaggio, che ci lascia indifferenti perch indifferente, ai suoi occhi, la natura stessa 12. Solo linserimento in essa di
figure umane, cio di un dramma umano (come nel caso, appunto, della Morte di Germanico di Poussin) in grado di animarla, e quindi
riscattarla, perch solo la rappresentazione di passioni umane parla
al sentimento delluomo (dello spettatore). Du Bos scriveva questo nel
1719 Sette anni dopo Thomson avrebbe cominciato a pubblicare
The Seasons : deserti, oceani, tempeste, aurore boreali..: scenari naturali
che attivano, cos nella realt come nellimitazione artistica, emozioni
di sgomento e piacere perfettamente integrabili nella teoria psicologica
di Du Bos e nella sua stessa concezione mimetica dellarte ma emozioni dalle quali egli non potrebbe essere pi lontano. Si tratta di una
lontananza di sensibilit e di gusto che il segno di uno scarto
davvero epocale.
A questo scarto se ne aggiungono altri, pertinenti al piano della
teoria estetica, che forse in questa sede ci riguardano pi direttamente.
Intanto, le Rflexions non sono unopera di estetica ma unopera di
retorica e poetica (n solo descrittiva ma prescrittiva) secondo ancora il modello secentesco. Il discorso di Du Bos verte esclusivamente sullarte, non sul bello e men che meno sul progetto di una loro sintesi. Estraneo gli rimane quellobiettivo di un piano unitario (come
lha chiamato Migliorini), cio di una saldatura fra discorso sullarte e
discorso sul bello, che gi Addison aveva delineato nei Piaceri dellImmaginazione e che dopo di lui sarebbe rimasto centrale in tutta la riflessione settecentesca. Da qui sarebbe nata lestetica modernamente
intesa. Ma qui Du Bos non ha nulla da dire, qui in ritardo non solo
rispetto a Addison ma anche a un autore come Crousaz. Inoltre, poco
da dire egli ha su quella logica del gusto alla cui elaborazione, da
prospettive e con soluzioni diverse, contribuiscono tutti i filosofi inglesi (e scozzesi) da Addison a Alison. Il semplicismo psicologico che
tante volte gli stato giustamente rimproverato era di scarsa utilit a quanti si proponevano di analizzare i poteri della mente per
definire i rapporti fra sensi, immaginazione e giudizio, e in tal modo
costruire un modello dellesperienza estetica. Il famoso sesto senso di Du Bos, sinonimo di sentimento, non altro che il cuore,
il cuore contrapposto alla testa. E se ci poteva bastare a letterati
dissidenti nei confronti del razionalisno classicistico, di certo non po143

teva bastare a un filosofo come Hutcheson e a quanti sarebbero venuti


dopo di lui (cos come non sarebbe bastato a Addison se Du Bos
lavesse preceduto). dubbio che Hutcheson abbia letto Du Bos, ma
se lo aveva letto non ne trasse pi che una suggestione analogica per
la definizione del suo sense of beauty. Il quale discende, per linee strettamente britanniche, dal senso interno di Herbert of Cherbury e di
Shaftesbury (ma anche di Locke) e si articola in un modo che nulla
deve a Du Bos (se non la sua immediatezza contrapposta alla mediatezza della ragione). Che tanto meno gli deve quando, poi, Hutcheson
distingue la bellezza in assoluta e comparativa, e di conseguenza
distingue due tipi di piacere: uno prodotto dagli oggetti, uno prodotto
dalla loro imitazione. Si tratta di una distinzione, ripresa pari pari da
Addison (piaceri primari/piaceri secondari), che rimarr canonica nella riflessione successiva, ma che non ha riscontro in Du Bos, nel
quale il problema dellimitazione e dello specifico piacere che le pertiene semplicemente eluso nel momento in cui si dice che la copia
produce lo stesso piacere delloriginale in quanto attiva la stessa passione (solo di grado pi debole). Questo rimane uno dei maggiori limiti teorici di Du Bos, e qui egli arretrato rispetto allo stesso Aristotele! NellEssay on Taste Gerard terr s presente il sesto senso di
Du Bos, ma solo, appunto, come riferimento analogico rispetto ai
sensi interni (al plurale) di Hutcheson, che costituiscono la base su
cui egli costruisce la sua teoria 13. E quando, nello stesso anno, Burke
rifiuter di postulare sensi supplementari a quelli fisici dicendo che
inutile moltiplicare le facolt 14, liquider non solo i sensi interni di
Hutcheson ma, insieme a essi, il tanto pi modesto sesto senso di
Du Bos.
2. Fin qui, pi che di fortuna di Du Bos in Gran Bretagna si dovrebbe parlare di sfortuna! Il discorso per cambia quando, intorno alla
met degli anni 40, il classicismo augusteo inizia a tramontare e allorizzonte sorge incomincia a sorgere quello che un tempo si designava col termine preromanticismo e che oggi si preferisce chiamare
age of sensibility. adesso, quattro anni dopo la morte di Pope (tre
dopo quella di Swift), che le Rflexions vengono tradotte; e vengono
tradotte come dubitarne? perch solo ora appaiono attuali, in
sintonia con le nuove tendenze del gusto e, appunto, della sensibilit.
Sono, questi, gli anni che vedono la pubblicazione (e lenorme successo) dei Night Thoughts di Young; sono gli anni degli esordi poetici di
Gray, Collins, Joseph e Thomas Warton; gli anni in cui Burke si accinge (e forse comincia) a scrivere lEnquiry Nel primo volume del
libro che dedica a Pope (An Essay on the Genius and Writings of Pope,
1756 15), Joseph Warton lo declassa da poeta a versificatore ritenendolo
privo di quelli che sono i due nervi principali di ogni vera poesia,
144

cio il patetico e il sublime, e accusandolo di aver sacrificato il sentimento alla ragione, il cuore alla testa 16. Analogamente, suo
fratello Thomas nella History of English Poetry (1774) far dellemozione il requisito indispensabile di ogni (vera) poesia, deprecher limitazione degli Antichi e condanner il classicismo augusteo per aver
anteposto la ragionevolezza e la correttezza allimmaginazione e allinvenzione (proprie, invece, del romantico Medioevo). Meno di
trentanni dopo, Wordsworth dir che la poesia the spontaneous
overflowing of powerful feelings 17 Senza indulgere a tentazioni anticipatrici, che sarebbero fuori luogo, non si pu non percepire la consonanza delle tesi di Du Bos sullarte-come-passione con quelle degli
autori appena citati. Cos come non si pu non rilevare la sintonia fra
quanto Du Bos scrive a proposito del genio nel secondo volume delle
Rflexions e quanto ne scrivono, in questo stesso giro danni, Sharpe,
Young, Duff, Gerard e altri autori 18. Autori che nelle loro opere non
mancano mai di citare Du Bos, non solo perch egli offre loro una
miniera di spunti relativi a singole questioni (limitazione, i generi, il
pubblico, etc.), ma soprattutto perch essi trovano in lui la giustificazione teorica della loro idea di poesia 19. Il che, in un certo senso, ha del
paradossale. La polemica anti-classicistica che segna la fine dellet
augustea e prepara il terreno al Romanticismo si alimenta di si legittima in unopera, improntata al gusto di un secolo prima, che era una
monumentale difesa degli Antichi contro i Moderni. Ma il paradosso
solo apparente. Come giustamente ha osservato Fubini, le Rflexions
sono s unapologia degli Antichi, ma unapologia fatta con strumenti moderni 20. Ora, sono precisamente questi strumenti che vengono
ripresi e utilizzati al di fuori del quadro nel quale e per il quale Du Bos
li aveva impiegati. Detto altrimenti, il metodo si svincola dal sistema
(artistico e culturale) in funzione del quale era stato adottato e viene
rifunzionalizzato in vista di un altro sistema. Le Rflexions diventano
allora un trampolino per andare oltre Du Bos in una direzione diversa
dalla sua (se non addirittura opposta). Il teorico del sentimento, si
pi volte notato, non era un sentimentale. Vero. Ma egli autorizza, non
importa se malgr soi, proprio quel sentimentalismo che si diffonde
nella seconda met del Settecento ed la versione moderna dellantica passione: sensibility, delicacy of heart, cult of feelings
A partire dalla svolta degli anni 50, la presenza di Du Bos rintracciabile in una molteplicit di ambiti. La ricchezza enciclopedica 21 delle Rflexions fa di esse uno dei testi pi consultati e citati,
verta la discussione sulla poesia, la pittura, la musica, il genio dellartista, il gusto del lettore/spettatore, il rapporto fra natura e societ, etc.
Impossibile, qui, render conto o anche solo passare in rassegna tutte
queste occorrenze. Mi limito a indicare un ambito nel quale lincidenza
di Du Bos particolarmente forte: quello relativo allo statuto delle sin145

gole arti e ai loro rapporti di convergenza/divergenza. Lannoso problema del parallelo fra poesia e pittura, e pi in generale del sistema delle arti 22 problema che in Inghilterra aveva trovato una prima, bench approssimativa, soluzione nei Piaceri dellImmaginazione di
Addison , diventa particolarmente nevralgico nel momento in cui, per
effetto del tramonto del classicismo da un lato e, dallaltro, della messa
in discussione del privilegio accordato dallepistemologia lockiana alla
vista, il principio dellut pictura posis viene fatto oggetto di un acceso dibattito in cui si scontrano sostenitori e avversari. Dibattito che
non manca mai di chiamare in causa, insieme ad altri autori (in primis
Batteux), anche Du Bos 23. Il quale, a dispetto dellepigrafe stampata
sul frontespizio delle Rflexions e delle numerose asserzioni circa la supremazia dellocchio, offre tutta una serie di considerazioni sulle differenze fra pittura e poesia in particolare per quanto riguarda la rappresentazione del tempo 24 che vanno nella direzione opposta e vengono riprese da quanti contestano il principio dellut pictura posis e
la gerarchia delle arti che da esso discende. Non ho bisogno di ricordare, in proposito, la quinta e ultima parte dellEnquiry di Burke, nella
quale il rigetto della concezione pittoricistica del linguaggio a favore di
una concezione emozionalistica che riconosce maggiore forza alle
parole rispetto alle immagini e dunque alla poesia rispetto alla pittura, se da un lato esplicitamente diretta contro Addison, dallaltro non
pu non coinvolgere anche Du Bos 25 nel momento stesso in cui si
fonda proprio sulla teoria dubosiana dellarte come generatrice di
passioni.
Passioni Qui Burke certamente lautore nel quale linfluenza di
Du Bos pi evidente anche se non va dimenticato il precedente di
Dennis, che Burke non cita (mentre cita invece Du Bos) a causa del
discredito nel quale il nome di Dennis era caduto dopo la sua morte,
ma che rimane una presenza percepibile quasi in ogni pagina dellEnquiry. Al tempo stesso, per, Burke si scarta da Du Bos e da Dennis su un punto teoricamente rilevante. Larousal of passions prodotto
da unopera darte non presuppone alcuno stato di passionalit nellartista (lentusiasmo di cui aveva parlato Dennis), n implica quella rappresentazione di passioni che era il limite maggiore della teoria di Du
Bos limite conseguente a uninterpretazione ristretta del principio
della mimesi, per cui larte eccita passioni solo in quanto imita (=rappresenta) passioni. Per Burke, viceversa, qualunque oggetto beninteso,
dotato di idonee caratteristiche pu suscitare emozioni ovvero passioni (terrore, amore) in chi lo guarda, cio in chi ne ha esperienza
diretta (nella realt) oppure indiretta (nellarte). Questa ancora una
concezione mimetica dellarte, fondata su un empirismo radicale e,
anzi, su un vero e proprio realismo. Non solo: una concezione
conforme alla tesi dubosiana secondo cui la passione prodotta dalla
146

rappresentazione di un oggetto qualitativamente identica a quella prodotta dalloggetto reale 26. (La tenebra, ad esempio, terrorizza allo stesso
modo tanto un viandante che attraversi di notte un bosco quanto chi
ne legga la descrizione in un romanzo gotico.) Burke, per, estende
enormemente il campo dellarte il repertorio artistico nel momento in cui attribuisce alla (rappresentazione di) una molteplicit di oggetti quel potere di attivare le passioni (toucher le coeur) che Du Bos
aveva invece riservato alla messa in scena delle passioni stesse. Fra
tali oggetti quasi superfluo rammentarlo spiccano quelli naturali.
Erede di Addison e di tutta la tradizione britannica, Burke non poteva
condividere lindifferenza di Du Bos per la natura e per un arte che
lassumesse a proprio tema.
Oltre a Burke, c un altro autore nel quale, in questi stessi anni,
la presenza di Du Bos particolarmente forte. Si tratta di Hume,
che aveva letto le Rflexions lo sappiamo dai suoi Memoranda gi
allinizio degli anni 30, prima cio di partire per la Francia e accingersi a scrivere il Treatise of Human Nature 27. Se e quanto tracce di quella lettura siano rinvenibili nel Treatise, questione che possiamo lasciare impregiudicata. Certo che echi di Du Bos risuonano insistentemente come ha dimostrato Peter Jones nei saggi del 1741-42,
specie in The Sceptic e in Of the Rise and Progress of the Arts
and Sciences 28. per nei due saggi sulla tragedia e sullo standard of
taste, pubblicati nelle Four Dissertations del 1757, che il dialogo con
Du Bos si fa pi esplicito e serrato.
Com noto, Du Bos aveva spiegato il piacere che si prova assistendo a una tragedia, da un lato riconducendolo al fatto che tutto ci che
agita le passioni di per s fonte di piacere anche quando, per la
sua natura cruenta, strazia il cuore e lascia dietro di s impressioni
dolorose 29, dallaltro lato distinguendo fra passioni reali e passioni
artificiali le prime prodotte da eventi essi stessi reali (per esempio,
lesecuzione di un condannato a morte), le seconde dalla loro imitazione teatrale e attribuendo il piacere che lo spettatore ricava, poniamo,
da una tragedia di Racine al fatto che le passioni da essa attivate sono
solo superficiali e, in quanto tali, non sono accompagnate (o meglio,
seguite) da pene reali e vere afflizioni 30. Non il caso, in questa
sede, di discutere una simile spiegazione, per un verso geniale 31, per
un altro contraddittoria con lassunto iniziale delle Rflexions 32. Ci
che importa notare come Hume, nel suo saggio, parta esattamente
da qui allo stesso modo che ne parte Burke. Senza riprendere la distinzione delle passioni in reali e artificiali, incongrua con la teoria
delle passioni elaborata nel secondo libro del Treatise, Hume esordisce ammettendo la (parziale) validit del discorso di Du Bos sul dolore
come (piacevole) liberazione dalla noia, ma subito dopo se ne allontana affermando che il piacere prodotto da una tragedia non ha nulla a
147

che fare con quello prodotto da reali oggetti di pena 33. Se ci che
nella realt ci procurerebbe solo dolore ci procura invece, in una tragedia, anche piacere, per lintervento di altri fattori, cio per la concomitanza di altri (effetti di) piacere che, prendendo il sopravvento sul
dolore che la vicenda rappresentata suscita in noi, lo colorano cos
fortemente da alterarne completamente la natura, vale a dire lo trasformano (convertono) in piacere 34. Questi altri fattori sono: (i) la
coscienza della finzionalit della vicenda cui assistiamo (e che ci addolora): coscienza da cui deriva il piacere di sapersene fuori (e qui
Hume si rif a Fontenelle 35); (ii) lessere ogni tragedia una imitazione
(della realt) e, in quanto tale, fonte di uno specifico piacere gi individuato da Aristotele e ripreso da innumerevoli autori (fra cui Addison); (iii) leloquenza con cui una tragedia scritta, cio la sua qualit formale e il piacere che ad essa inerisce. Linsieme di questi fattori
(=piaceri), che interagiscono in forza di quel principio di associazione
non solo delle idee ma anche delle passioni che Hume aveva formulato nel Treatise, la soluzione del problema del piacere tragico che
egli offre in alternativa a quella di Du Bos 36.
Ben pi che nel saggio sulla tragedia, per, in quello sullo standard of taste che Hume intavola un vero e proprio dialogo con Du
Bos. Dialogo che, a partire dalla definizione della bellezza come sentimento della mente 37, ruota attorno alla questione se tale sentimento sia qualcosa di individuale ovvero di universale. Ora, che cosa Hume intenda esattamente col termine sentiment termine che ricorre
gi nel Treatise, n solo in riferimento allambito estetico argomento
che esula dai limiti di questo intervento e sul quale in anni recenti sono
stati scritti interi libri, ultimo quello di Townsend 38. Per quanto ci
riguarda, sufficiente notare che, impiegandolo in sede di fruizione
estetica, Hume gli attribuisce due distinti significati: da un lato sentiment leffetto prodotto da un oggetto (bello) sulla mente, dallaltro
la facolt della mente che percepisce loggetto. In questa seconda accezione, esso equivale allinternal sense di Hutcheson ma anche a ci
che Du Bos aveva chiamato sentiment. Migliorini ha osservato giustamente che nelle Rflexions, in particolare nel secondo volume, il termine sentimento non sinonimo di emozione o passione. Al contrario, esso designa per citare le parole di Du Bos quella parte di
noi che giudica secondo limpressione provata 39. quel sesto senso
che percepisce lemozione/passione trasmessa dalloggetto (lopera darte) e contemporaneamente la valuta (Il senso che giudica [] lo
stesso che sintenerisce) 40. dunque una facolt, una facolt ricettiva e al tempo stesso giudicante, che svolge la medesima funzione del
senso interno di Hutcheson, rispetto al quale tuttavia si differenzia per
il fatto di essere configurata in termini puramente emozionalistici.
questa configurazione che passa nel sentiment di Hume. Il quale,
148

certo, non condivide lenfasi di Du Bos sulle passioni, tanto meno su


quelle violente 41 (pur assegnando alle passioni, fin dal Treatise,
unimportanza che esse non avevano nellepistemologia lockiana e nellestetica che ne era derivata). N condivide la riduzione del valore di
unopera darte alla sua forza emotiva 42. Ma se da un lato il sentimento di cui egli parla a proposito della fruizione estetica rimanda al
senso interno di Hutcheson, dallaltro lato assume (per usare un termine humiano) una coloritura patetica, vale a dire emozionalistica,
che si pu ben ricondurre allinfluenza di Du Bos. (Il che, sia aggiunto
per inciso, corrisponde allo slittamente semantico che il termine inglese sentiment subisce poco dopo la met del secolo per ripercussione, dicono gli storici della lingua, dellanalogo termine francese 43.)
Naturalmente, il sentimento di Hume assai pi complesso di quello di Du Bos. Una volta stabilita lequazione cuore=sentimento=gusto,
e contrapposto il sentimento alla ragione, Du Bos non va oltre. Estranei gli rimangono i problemi relativi a quella logica del gusto che invece sono affrontati da Hume: (i) qual il rapporto fra il soggetto e
loggetto (estetico/artistico), (ii) come si struttura il giudizio di gusto
formulato dal sentimento, e dunque (iii) come interagiscono (se interagiscono) sentimento e ragione nellesercizio del gusto Du Bos evade queste domande, pertinenti a obiettivi epistemologici che non sono
i suoi. Lunica domanda che egli si pone quella relativa alla validit
del giudizio (di gusto) espresso dal sentimento. Domanda per lui cruciale, dato il suo intento di difendere il canone artistico degli Antichi
argomentandone e sancendone lautorit erga omnes. Ma domanda
che costituisce anche il core del saggio humiano.
E qui, sostanzialmente, i due autori concordano. Tutti i punti del
discorso di Hume, anzi la loro stessa sequenza, hanno un corrispettivo nelle pagine delle Rflexions. Superfluo, in questa sede, mostrarlo
dettagliatamente 44. Comune lintento di parare la deriva soggettivistica, vale a dire relativistica, del giudizio di gusto ancorandolo a sentimenti che, in quanto inscritti nella natura umana, dovrebbero
restare invariati in tutti i paesi e in tutte le epoche 45. Una natura
umana, daltra parte, che in entrambi gli autori viene ipotizzata inferita dice Hume, supposta dice Du Bos 46 a partire da e sulla
base del consensus gentium che nel corso del secoli ha sancito il valore
di determinate opere (quelle, prevedibilmente, rientranti nel canone
classicistico). Torner subito su questa opzione naturalistica comune a
Hume e Du Bos. Per il momento, faccio notare che, se il discorso di
Hume procede in parallelo con quello di Du Bos, ne diverge per alla
fine, quando egli candidamente riconosce che, malgrado tutti gli argomenti addotti, la diversit dei sentimenti, e quindi dei giudizi (storici e individuali), rimane un dato di fatto inoppugnabile e, di conseguenza, la ricerca di una norma e perci stesso di un canone del
149

Gusto impresa vana 47. Con il che, Hume torna al punto di partenza: a quella variet soggettivistica e relativistica dei gusti da cui
aveva preso le mosse e contro la quale aveva montato ledificio argomentativo del suo saggio. Una variet che pu essere contrastata
e questo, secondo numerosi studiosi, sarebbe lesito implicito del saggio solo appellandosi a un principio dautorit che definisca e imponga quello che deve essere lo standard of taste 48. Principio dautorit,
vien fatto di aggiungere, non certo estraneo n alla cultura n alla
mentalit di Du Bos, ma al di l del quale egli si era sforzato di andare
cercando una convalida e dunque una legittimazione non autoritaria
delle regole del (buon) gusto nellesperienza empirica empiricamente
indagata. Salvo, paradossalmente, ritrovarsi consegnato a quel principio dal pi grande dei filosofi empiristi! Quanto dire che la conclusione scettica del saggio di Hume, proprio nella misura in cui ripete
Du Bos, lo inchioderebbe secondo alcuni interpreti 49 a quel relativismo che il rischio, anzi la deriva inevitabile, di ogni teoria estetica
fondata sul piacere. Non cita forse, Du Bos, il verso virgiliano Trahit
sua quemque voluptas 50 verso che equivale allammissione humiana
All sentiment is right; because sentiment has a reference to nothing
beyond itself 51?
Che questo sia lesito di una possibile lettura, o meglio di un possibile uso delle Rflexions confermato, trentanni dopo il saggio di
Hume, dagli Essays on the Nature and Principles of Taste (1790) di
Alison. Per un verso, essi possono considerarsi il punto darrivo di
quel recupero delle emozioni che, dopo Burke ma smorzando il forte
burkiano nel piano di una quasi femminea sensibilit , non solo
(come accennavo prima) contrassegna lintera cultura della seconda
met del secolo, ma entra decisamente nella stessa teoria estetica. Basterebbe leggere, in proposito, le decine e decine di pagine che nei
suoi Elements of Criticism (1762) Kames dedica a passioni emozioni e
sentimenti. Spetta per a Alison stringere le fila e, scaricata ogni zavorra classicistica (che appesantisce ancora Kames), riarticolare pre-romanticamente lesperienza estetica intorno allasse delle emotions e
del piacere (delight) che le accompagna. I trains of thoughts che costituiscono quellesperienza, infatti, sono trains of emotions nei quali le
idee si associano non in base a relazioni di somiglianza contiguit o
causalit, ma in base al loro puro e semplice tenore emotivo. Nel
momento stesso in cui riprende Hume e, pi indietro, Locke, Alison
li traduce in chiave patetica. Immaginazione ed emozione fanno
tuttuno e la seconda governa la prima. Ottantanni dopo Addison,
Alison riscrive i Piaceri dellImaginazione in un modo che non gli sarebbe stato possibile senza larrivo in Inghilterra di Du Bos e quanto
egli aveva messo in moto nella riflessione estetica britannica. Per un altro verso, tuttavia, gli Essays sono anche un manifesto di soggettivismo
150

e, dunque, di relativismo. I trains of emotions, infatti, sono qualcosa di


assolutamente individuale, qualcosa la cui logica genesi, sviluppo,
dinamica dipende esclusivamente dallesperienza del singolo individuo. Cade, di conseguenza, la possibilit di qualunque standard of taste del quale, non a caso, non c traccia nelle trecentonove pagine
degli Essays.
Linterpretazione scettica (humiana) di Du Bos non per convincente. E non lo per un aspetto delle Rflexions su cui vorrei ora, in
conclusione, soffermarmi brevemente. Accennavo prima a una opzione
naturalistica condivisa tanto da Hume quanto da Du Bos Il richiamo di Hume a una struttura originaria della fabbrica interiore [delluomo] nella quale sarebbero reperibili i princpi generali del Gusto sottesi alla variabilit storica (oltre che individuale) dei gusti ha
infatti il suo antecedente nel ricorso di Du Bos alla macchina umana
per spiegare la dinamica storica della produzione artistica 52. Con una
differenza, tuttavia: che mentre in Hume natura e storia rimangono
scisse, in Du Bos si saldano luna allaltra. Il saggio sullo standard of
taste oscilla continuamente per usare i termini di Morpurgo-Tagliabue 53 fra metodo empirico e sistema naturalistico, cio fra la
rilevazione della (insuperabile) variety of tastes esibita dalla storia e dallesperienza da un lato e, dallaltro, la postulazione di una human nature nella quale sarebbero inscritti i criteri universali dellapprovazione e del biasimo 54. Nelle Rflexions, invece, la saldatura fra storia e
natura assicurata dalla teoria del clima (respinta da Hume 55), e ci
che tale saldatura promuove una concezione storica della natura che
ha ripercussioni sulla stessa teoria estetica. En effet la machine humaine nest gures moins dpendante des qualits de lair dun pays []
que le sont les fruits mmes 56. Terraariasanguespirito e dunque
arte ovvero genio/gusto: cest le physique qui donne la loi au moral 57. Ma ci che fisico (=naturale) al tempo stesso morale
(=culturale), perch le variazioni del clima (e, prima, della terra) modificano la macchina umana e di conseguenza determinano quella
variet, storica e geografica, dei gen e dei gusti che presiede alla creazione e alla fruizione delle opere darte 58. Variet sopraindividuale,
collettiva, che non ha nulla a che fare col soggettivismo relativistico di
Hume, bens inerisce alla storicit materiale della natura umana e,
quindi, delle sue produzioni. Ora, precisamente questo nesso di natura e storia questo materialismo storicistico, come lo chiam un secolo fa Lombard che ritroviamo in molti autori inglesi e scozzesi
della seconda met del Settecento. Beninteso, la teoria climatica circolava in Gran Bretagna gi da un secolo (Cowley, Temple, Sprat, etc.),
ma Du Bos che le d nuovo slancio ed a lui oltre che a Fontenelle e Montesquieu che si riferiscono, spesso citandolo direttamente,
autori come Joseph e Thomas Warton, Hurd e Goldsmith, Kames e
151

Blair 59. Attraverso quella teoria, cio attraverso lidea di una storia
della natura che diventa storia della cultura, si sviluppa un nuovo senso
storico che dalle pagine delle Rflexions transita nelle opere di molti
autori di ultimo (o penultimo) Settecento. Nel secondo volume delle
Rflexions, infatti, fortissima lattenzione di Du Bos alle condizioni
storico-sociali della produzione artistica e insistente anche se non
sempre immune da contraddizioni lesortazione a tenerle presenti
nella valutazione di unopera, tanto pi se appartenente a unaltra epoca o un altro paese. [D]obbiamo trasformarci in coloro per i quali il
poema fu scritto, se vogliamo giudicare assennatamente le sue immagini, le sue figure e i suoi sentimenti 60. una frase, questa ripetuta
quasi alla lettera anche da un classicista come Johnson 61 , che esprime eloquentemente quella tendenza a storicizzare i fatti dellarte e della
cultura che si diffonde nella seconda met del secolo nonostante i persistenti richiami allinvariabilit della human nature e malgrado lorgogliosa fiducia in un progresso che sancirebbe contrariamente a quanto, per larte se non per la scienza 62, pensava Du Bos la superiorit
del presente sul passato 63. Unet storica defin Hume lepoca nella
quale viveva e una nazione storica la Gran Bretagna 64. Let e
la nazione di Robertson, di Gibbon, dello stesso Hume autore della History of England Allemergere di questo nuovo senso della storia al maturare di questo storicismo le Rflexions diedero un contributo di fondamentale importanza. Esso anzi, insieme allidentificazione di arte e passione, il lascito maggiore che Du Bos abbia consegnato a quanti vennero dopo di lui.

A. Lombard, LAbb Du Bos, Paris 1913 (rist. anast. Genve 1969), pp. 346-48.
Fa eccezione Jonathan Richardson, il cui Essay on the Theory of Painting per del
1715, non del 1719 come indica Lombard per sottolinearne le frappantes analogies con
lopera di Dubos.
3
Cfr. A. F. B. Clark, Boileau and the French Classical Critics in England (1660-1830); Paris 1925, pp. 299-300; A. Bosker, Literary Criticism in the Age of Johnson, Groningen 1953,
p. 73.
4
Per queste e le successive citazioni rinvio a J. Dennis, Critica della Poesia, a cura di G.
Sertoli, Palermo 1994, pp. 47 ss., 103-05.
5 Rflexions, II.xxii. Cito le Rflexions dalla recentissima edizione italiana curata da M.
Mazzocut-Mis e Paola Vincenzi: Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, Palermo 2005.
Per il testo francese, ho tenuto presente ledizione di Parigi 1770 (rist. anast. Genve 1982).
6 La stessa noia di Du Bos ha il suo corrispettivo nellindifferenza di Dennis (poi ripresa da Burke). Su Dennis probabile precursore di Du Bos si veda B. Munteano, Labb Du Bos esthticien de la persuasion passionnelle, Revue de littrature compare, III (1956),
pp. 339 e 348-50, che non si sbilancia per sul se e quando il secondo abbia letto il primo.
7
Questo punto stato ben visto da Lombard, cit., p. 223.
8 A. Gerard, An Essays on Taste, London 1759 (rist. anast. Menston 1971), p. 86 ss.
9 Citando espressamente Du Bos, Gerard gli rimprovera di aver fatto del movere the
only business of [art] (ivi, p. 87). Sul rapporto fra Gerard e Du Bos si veda G. MorpurgoTagliabue, Il Gusto nellestetica del Settecento, a cura di L. Russo e G. Sertoli, Palermo 2002,
pp. 186-88.
1
2

152

10 Cfr. Lombard, cit., p. 217, che nota giustamente il ritardo di Du Bos rispetto al gusto
pittorico dellepoca di Watteau.
11 Per un approfondimento della questione si veda E. Caramaschi, Lestetica dellabate Du Bos: impressionismo o tradizionalismo?, in V. Branca (cur.), Rappresentazione artistica
e rappresentazione scientifica nellet dei Lumi, Firenze 1970, pp. 216-18.
12 Rflexions, I.vi.
13 significativo che lEssay on Taste si apra con la menzione di Hutcheson e non di Du
Bos.
14 E. Burke, Inchiesta sul Bello e il Sublime, a cura di G. Sertoli e G. Miglietta, Palermo
19986, p. 64.
15
Il secondo volume uscir solo nel 1782.
16 J. Warton, An Essay on the Genius and Writings of Pope, London 1756 (rist. anast.
Amersham 1984), I, pp. iii-iv, x-xi.
17
Cos nella Prefazione del 1800 alle Lyrical Ballads.
18 La pi ampia e sistematica trattazione del tema senza dubbio lEssay on Genius di
Gerard (1774). significativo peraltro che Du Bos vi sia citato solo due volte a proposito di
dettagli assolutamente marginali. In effetti, limpostazione di Gerard, centrata sullanalisi delle
facolt (immaginazione, giudizio, memoria, etc.) che costituiscono la natura del genio e
presiedono alle sue varie manifestazioni, non meno lontana dalle Rflexions di quanto lo
fosse il precedente Essay on Taste. Ci che accomuna i due autori, semmai, il rifiuto di circoscrivere il genio allambito artistico, cio di identificarlo con una facolt specificamente
estetica. Condivido in proposito, per quanto riguarda Du Bos, la tesi di Lombard, cit., p. 239,
ripresa da E. Migliorini, Studi sul pensiero estetico del Settecento, Firenze 1966, p. 206. Contra
E. Fubini, Empirismo e classicismo. Saggio sul Dubos, Torino 1965, cap. VI.
19 Esemplare in proposito Joseph Warton, che nelle Reflections on Didactic Poetry (1753)
cita un lungo passo di Du Bos a sostegno della tesi che a stroke of passion is worth a hundred of the most lively and glowing descriptions. Men love to be moved much better than to
be instructed. Cfr. Bosker, cit., p. 206.
20
Fubini, cit., p. 126.
21 Traggo il termine da Migliorini, cit., p. 158.
22 Dobbligo il rinvio al vecchio (1951-52) ma sempre fondamentale saggio di P. O. Kristeller ristampato in Il pensiero e le arti nel Rinascimento, tr. it. Roma 1998, cap. IX (su Du
Bos, pp. 208-09).
23 Si vedano in proposito i saggi di David Marshall, Ut pictura poesis, e di Dean Mace,
Parallels between the arts, in The Cambridge History of Literary Criticism, vol. 4, The Eighteenth Century, ed. H. B. Nisbet and Claude Rawson, Cambridge 1997, pp. 681-99 e 730-41.
Cfr. anche J. H. Hagstrum, The Sister Arts, Chicago 1958, passim.
24
La tesi (peraltro non nuova) di Du Bos che la pittura pu farci vedere solo un istante della durata di unazione (Rflexions, I, xiii) era gi stata ripresa, quasi alla lettera, da
James Harris nel secondo dei suoi Three Treatises (1744), quello concerning Music, Painting and Poetry: of necessity every picture is a Punctum Temporis [] The Subjects of
Poetry, to which the Genius of Painting is not adapted, areall Actions, whose Whole is of
so lengthened a Duration, that no Point of time, in any part of the whole, can be given fit for
Painting (cit. da Marshall, cit., p. 695). Com noto, Harris fu una delle fonti pi dirette
del Laocoonte di Lessing (cfr. G. E. Lessing, Laocoonte, a cura di M. Cometa, Palermo 20002,
p. 17), ma nelle sue pagine Lessing ritrovava semplicemente le Rflexions di Du Bos (Lombard, cit., p. 347). Anche la distinzione lessinghiana fra segni naturali e segni arbitrari era
ripresa da Harris (cfr. Laocoonte, cit., pp. 43 e 125), ma Harris a sua volta la ricavava da Du
Bos (Rflexions, I.xxxv). Cfr. W. Folkierski, Entre le classicisme et le romantisme, Paris 19692
(1 ediz. 1925), p. 181 ss.; F. Binni, Gusto e invenzione nel Settecento inglese, Urbino 1970,
p. 189 ss. Stante la data di pubblicazione dei Three Treatises, si deve concludere che Harris
lautore inglese che pi tenne conto di Du Bos prima della traduzione delle Rflexions.
25
Cfr. anche Enquiry, II.iv, dove, citando (ed lunica volta) Du Bos, Burke lo critica per
aver anteposto la pittura alla poesia, quanto alla facolt di suscitare le passioni, in forza
della maggior chiarezza delle idee che essa rappresenta (trad. it. cit., p. 88).
26
La copia delloggetto deve, per cos dire, ispirare in noi una copia della passione che
loggetto stesso avrebbe ingenerato (Rflexions, I.iii).
27 Cfr. E. C. Mossner, Humes Early Memoranda, 1729-40: The Complete Text, Journal of the History of Ideas, IX (1948), pp. 492-518. Che la lettura delle Rflexions risalga agli

153

anni 1730-34 congettura di Mossner. I due appunto relativi alle Rflexions (p. 500) non
riguardano per larte o lestetica bens leducazione di un giovane.
28 P. Jones, Humes Sentiments, Edinburgh 1982, p. 101 ss.
29 Cos noi rincorriamo per istinto gli oggetti che possono eccitare le nostre passioni,
sebbene essi esercitino su di noi impressioni che spesso ci costano notti inquiete e giornate
infelici; ma in generale gli uomini soffrono di pi per una vita senza passioni che per la sofferenza suscitata dalle passioni stesse (Rflexions, I.i).
30
Ivi, I.iii. Lopera di Racine [Phdre] ci fa piangere senza rattristarci realmente (ivi,
trad. modificata). Ci peraltro contraddice la tesi, pi volte ripetuta, che unopera tragica, per
piacerci, deve affliggerci.
31
Geniale per lintuizione di quello che oggi chiameremmo piacere masochistico, o meglio sado-masochistico.
32 Contraddittoria non solo per la ragione accennata sopra (nota 30), ma soprattutto
perch, dicendo che il piacere prodotto da una tragedia dipende dal fatto che il dolore dello
spettatore non dura (Rflexions, I.iii), Du Bos imputa quello stesso piacere alla scomparsa
(o comunque attenuazione) del dolore, mentre in precedenza (I.ii) aveva detto che, se si accorre ad assistere a eventi o spettacoli cruenti, perch al dolore che essi provocano inerisce un piacere consistente nellagitazione delle passioni. (Noto en passant che allidentificazione del piacere con lattenuazione/scomparsa del dolore verosimilmente debitore Burke per
il suo concetto di delight, definito appunto sollievo-dal-dolore.)
33 certo che lo stesso oggetto di pena, che ci piace in una tragedia, ci darebbe la pi
sicera afflizione se lavessimo realmente davanti ai nostri occhi, per quanto costituisse in
questo caso la cura p radicale per il languore e lindolenza (D. Hume, Saggi di estetica, a
cura di I. Zaffagnini, Parma 1994, p. 76). Cfr. D. Hume, Essays Moral, Political and Literary,
London 1963, p. 222.
34
Hume, Essays, cit., p. 225; trad. it. cit., p. 79. Laccenno alla conversione del dolore
in piacere rimanda naturalmente alla teoria dellassociazione delle passioni nel libro II del
Treatise.
35
Fontenelle, Rflexions sur la Potique, 36. Gi nel Treatise (I.iii.9), per, dunque
prima della pubblicazione dello scritto di Fontenelle (1742), Hume era giunto alla stessa
conclusione attribuendo il piacere prodotto da rappresentazioni drammatiche a un want
of belief in the subject. Cfr. T. Brunius, David Hume on Criticism, Stockholm 1952, p. 53.
Anche Du Bos riconosce che lo spettatore di una tragedia sa di assistere a una fiction ingnieuse (I.xliii), ma non tiene sufficientemente conto di questo fattore quando elabora il suo
modello del piacere tragico.
36 Torner in altra sede su quanto Du Bos dice a proposito della compassione che la
tragedia attiva negli spettatori (Rflexions, I.iv). Si tratta di un punto che Hume lascia cadere,
mentre lo riprende invece Burke.
37 la definizione data in The Sceptic (Essays, cit., pp. 165-67) e nel 242 dellEnquiry concerning the Principles of Morals (1751).
38
D. Townsend, Humes Aesthetic Theory, London and New York 2001, spec. capp. 23 (su Hume e Dubos, pp. 76-85).
39 Rflexions, II.xxii. Cfr. Migliorini, cit., pp. 214 ss.
40
Ibid.
41 Nel Treatise (II.ii.1) il senso del bello era stato ascritto alle passioni calme. E nel
saggio Of The Delicacy of Taste and Passion al (buon) gusto era stato assegnato il compito
(e riconosciuto il merito) di migliora[re] la nostra sensibilit per tutte le passioni tenere e
gradevoli [rendendo] al tempo stesso la mente incapace delle emozioni pi rozze e violente
(Essays, cit., pp. 5-6; trad. it. cit., pp. 71-72).
42
[] louvrage qui ne touche point [] ne vaut rien (Rflexions, II.xxii). Laddove
per Hume unopera darte presenta anche altre qualit che devono essere apprezzate e che
possono esserlo solo dalla ragione. Cfr. Essays, cit., p. 246; trad. it. cit., pp. 53-54.
43
Cfr. E. Ermets, A Study of the Word Sentimental, Helsinki 1951.
44 Si veda Jones, cit., pp. 106-23. Si spesso detto che Hume si scarterebbe nettamente da Du Bos nel riconoscere valore al giudizio dei critici, disprezzati invece da Du Bos
(cfr. Essays, cit., p. 247; trad. it. cit., p. 55). Forse per lo scarto si riduce osservando che per
critici Hume non intende tanto i professionisti della critica (equivalenti ai gens de mtier
di Du Bos: Rflexions, II.xxv-xxvi), quanto unlite educata e colta formata proprio da quelle
persone che hanno acquisito conoscenze leggendo o attraverso le relazioni sociali (soit par

154

la lecture, soit par le commerce du monde) che Du Bos (come prima di lui Addison) contrappone al bas peuple (ivi, II.xxii). tale lite a possedere quel got de comparaison (ivi,
II.xxxi) che Gerard cita con approvazione nellEssays on Taste (p. 120 n.) e Hume identifica con lesercizio del buon gusto.
45
Hume, Essays, cit., p. 236; trad. it. cit., p. 44.
46 Ivi; Dubos, Rflexions, II.xxxiv, p. 269.
47 Ivi, p. 250; trad. it. cit., p. 57.
48
Su questo esito del discorso humiano rimando al mio saggio Il gusto nellInghilterra
del Settecento, in L. Russo (cur.), Il Gusto. Storia di una idea estetica, Palermo 2000, pp.
112-13.
49
Ultimo Townsend, cit., p. 77.
50 Rflexions, I.xlix.
51 Hume, Essays, cit., p. 234; trad. it. cit., p. 42.
52
Ivi, p. 238 (trad. it. cit., p. 46); Du Bos, Rflexions, II.xiv. Macchina termine usato
anche da Hume (Essays, cit., p. 237; trad. it. cit., p.45).
53 Morpurgo-Tagliabue, cit., pp. 147-77.
54
Hume, Essays, cit., p. 238; trad. it. cit., p.46.
55 Ivi, p. 234; trad. it. cit., p. 42.
56 Rflexions, II.xiv.
57
Ivi, II.xix.
58 Ivi, II.xxxiv.
59 Cfr. Bosker, cit., p. 69 ss.
60
Rflexions, II.xxxvii.
61 Per giudicare correttamente un autore, dobbiamo trasferirci nel suo tempo ed esaminare quali fossero le esigenze dei suoi contemporanei e di quali mezzi egli disponesse per
soddisfarle (S. Johnson, Life of Dryden, in Lives of the English Poets, London 1977, I, p.
288). Ma la frase di Du Bos riecheggiata anche da Hume quando, nel saggio sullo standard
of taste, scrive (memore di Quintiliano): Un critico di unet e di una nazione differenti, che
voglia esaminare attentamente quel discorso [sc. il discorso di un oratore], deve [] mettersi
nella stessa condizione delluditorio per giudicare rettamente lorazione (Hume, Essays, cit.,
pp. 244-45; trad. it. cit., p. 52).
62
Rflexions, II.xxxiii.
63 Oltre al cap. III dellop. cit. di Bosker, si veda D.L. Patey, Ancients and Moderns,
in The Cambridge History of Literary Criticism, cit., p. 57 ss.
64
Cit. da Bosker, cit., p. 60.

155

La fortuna di Du Bos nel Settecento tedesco


di Lorenzo Lattanzi

Unanonima recensione negli Acta eruditorum di Lipsia offre un


breve riassunto delle Riflessioni critiche sulla poesia e la pittura gi nel
1721, ma la prima diffusione delle idee di Du Bos nella cultura tedesca si deve alla Untersuchung von dem guten Geschmack in der Dichtund Redekunst di Johann Ulrich Knig (1727), che, ripercorrendo il
dibattito europeo sul gusto dalla fine del Seicento, lo cita pi volte 1.
Knig accoglie lanalogia tra il gusto poetico e quello fisico, ma precisa
che allimpressione dei sensi deve seguire la ricerca intellettuale delle
cause per cui qualcosa piace, dal momento che solo la conoscenza distinta garantisce certezza. Se lintelletto, in base alla definizione della
Deutsche Metaphysik di Wolff ( 277), la facolt di rappresentare in
maniera distinta il possibile, Knig vede nel buon gusto un habitus
(Fertigkeit) acquisito nel recepire immediatamente ci che la riflessione
razionale approverebbe, se avesse modo di esaminarlo. Poich il gusto
opera tramite una innere Empfindung des Verstandes, la stessa universalit dellintelletto, che si riflette nellesistenza di regole artistiche provate dallesperienza di tutti, a fondare un sentimento condiviso, che
anche secondo Du Bos, conclude Knig, pu essere educato 2. A distanza di un paio danni Gottsched dedica al buon gusto un capitolo
della prima parte del Versuch einer Critischen Dichtkunst, dichiarando
di assumere il termine Geschmack come acquisito, senza entrare in indagini storiche che gi altri hanno condotto con profitto: il riferimento
a Knig evidente e proprio nella Untersuchung von dem guten Geschmack Gottsched trova il nome del Pater Dubosc: accennando alle sue
discussioni con Rollin, egli si limita a esprimere una generale insoddisfazione per le teorie francesi, che mancano di una solida indagine
delle facolt dellanima, in particolare di quel empfindender und urtheilender Verstand, che Gottsched identifica con il gusto, attribuito metaforicamente allanima. Per comprendere il sentiment dei Francesi,
Gottsched conclude che il buon gusto lintelletto stesso, quando giudica correttamente la bellezza in base alla mera percezione sensibile
(nach der bloen Empfindung), laddove non si possiede una conoscenza
pienamente distinta 3.
Forse ancora attraverso Knig, Bodmer si confronta con le idee di
157

Du Bos nel carteggio con il conte di Calepio sul gusto poetico, iniziato
nel 1728. Il teorico zurighese raccomanda di non estendere indebitamente la metafora del gusto divenuta consueta: il gusto sensibile distingue la diversa natura dei cibi, quello figurato le propriet dei discorsi, ma il primo reagisce in maniera meccanica alle impressioni esterne,
il secondo una forza dellanimo, che opera attivamente. In termini
che potrebbero suggerire anche una conoscenza diretta di Du Bos,
Bodmer ritiene che lesclusiva giurisdizione del sentimento (Richteramt
der Empfindung), che nel gusto sensibile giustifica il detto de gustibus
non disputandum, estesa a quello poetico, trasformato in una sorta di
sesto senso, determinerebbe uno sterile scetticismo. Al sistema meccanico presupposto nella metafora del gusto, che riconduce alla filosofia cartesiana, Bodmer oppone il sistema leibniziano dellarmonia
prestabilita, che preserva la forza attiva dello spirito. Egli contesta lopinione di Calepio, per cui il piacere sorge dalla semplice emozione procurata dalloggetto artistico, comune ai conoscitori e agli incolti, sulla
base della teoria cartesiano-wolffiana della Lust come conoscenza intuitiva della perfezione nella Deutsche Metaphysik ( 404): il piacere dipende dalla riflessione sulla somiglianza tra limmagine artistica e il modello, che permette di riconoscerne la perfetta coincidenza (bereinstimmung), e ci spiega anche perch gli intenditori provino pi piacere degli ignoranti 4. Negli anni seguenti, Bodmer attenua lintellettualismo di questa posizione, aderendo alla poetica di Breitinger: nella prefazione della Critische Dichtkunst dellamico (1740) si dichiara daccordo a considerare gli effetti di unopera sul pubblico comune, almeno
nelle materie in cui dominano le passioni, convinto che non si dia alcun
conflitto tra le regole e das, was gefllt: proprio osservando ci che
produceva costantemente un certo effetto sullanimo e riflettendo poi
sulle cause di tale effetto, i grandi poeti dellantichit trovarono le regole nella natura stessa, come i migliori critici, da Aristotele fino a Muratori, Pope e Du Bos, fecero seguire alle esperienze la riflessione. Questa apertura si situa ancora nellorizzonte del pensiero di Leibniz: poich il buon gusto si diffuso soltanto nelle nazioni predisposte allindagine critica dalla pratica filosofica, Bodmer confida che presto dominer in Germania, come un frutto della filosofia leibniziana 5.
Fin dalla prima sezione della Critische Dichtkunst Breitinger accoglie la distinzione dei mezzi con cui poesia e pittura realizzano il comune scopo di suscitare piacere, dicendosi daccordo con il tiefsinniger Dubos, che le raffigurazioni pittoriche attraverso la vista commuovono pi rapidamente e con maggior forza, ci che determina al tempo
stesso il limite della pittura, destinata a rappresentare gli oggetti da un
unico punto di vista, mentre la poesia, servendosi di segni arbitrari,
raffigura direttamente le immagini nel cervello di altri uomini 6. Ma
soprattutto nel capitolo sullimitazione della natura che la lezione di
158

Du Bos si rivela determinante, inducendo Breitinger a inserire nello


schema di derivazione wolffiana, per cui il piacere consiste in una
estensione della conoscenza, nel riconoscimento della perfetta coincidenza tra copia e modello, un criterio emotivo: la bereinstimmung
si riconosce nella Gleichheit der Wrckung, nellimpressione prodotta
sullanimo dalloriginale e dalla copia, diversa nellintensit, ma non
nella specie. Breitinger estende alla poesia losservazione del quarto
capitolo della Poetica di Aristotele che oggetti disgustosi o terribili
piacciono quando vengono imitati in un quadro, e la interpreta come
aveva fatto nella terza sezione della Prima parte delle Riflessioni critiche
Du Bos, di cui traduce alla lettera, senza citarlo, lesempio della Fedra
di Racine, concludendo che la tragedia commuove senza lasciare tracce
durature di afflizione. Il riferimento al piacere puro procurato da
poesia e pittura diventa esplicito alla fine del capitolo: limitazione artistica purifica le passioni dalle loro conseguenze nefaste, facendo godere ein reines Ergetzen. Lintroduzione di un criterio di effetto nel paradigma mimetico determina la preferenza per oggetti capaci di suscitare emozioni pi intense: come ha osservato Du Bos, esordisce Breitinger, traducendo dalla sesta sezione della prima parte, le imitazioni
commuovono come avrebbero fatto nella realt i loro modelli, perci
la cosa pi imprudente sarebbe imitare ci che in natura risulta indifferente. Da questo punto di vista il pittore avvantaggiato, perch
un quadro pu piacere anche solo per la bellezza dellesecuzione, altra tesi sostenuta da Du Bos. Oggetti in grado di soddisfare soltanto il
desiderio di conoscenza attirano meno di quelli capaci di toccare il
cuore, lagitazione emotiva talmente gradevole, che gli uomini si lamentano piuttosto di una vita senza passioni, essendo la noia pi molesta dellignoranza 7. Breitinger si distacca da una concezione strettamente intellettualistica, facendo del desiderio di conoscere una curiosit, che trova alimento nellinesauribile ricchezza della natura e nel
capitolo dedicato al nuovo, esprimendo con limmagine dei nani sulle spalle dei giganti la sua fiducia nelle potenzialit dei moderni, ricorda ancora lopinione di Du Bos, per cui i soggetti della tragedia e della
commedia non sono esauriti 8.
Nel 1745 compare la prima traduzione tedesca delle Riflessioni critiche, limitata alla prima sezione della prima parte, sul bisogno dellanima di mantenersi occupata per sfuggire la noia, nei Neue Beitrge
zum Vergngen des Verstandes und des Witzes, noti come Bremer
Beitrge, la rivista nata dalla decisione di alcuni collaboratori di abbandonare le Belustigungen des Verstandes und des Witzes del fedelissimo di Gottsched J. J. Schwabe, stanchi della polemica condotta sulla
rivista lipsiense contro Bodmer e Breitinger 9. La traduzione si inserisce, dunque, nel quadro di una crescente insofferenza nei confronti del
razionalismo gottschediano, da cui i giovani secessionisti marcano la
159

propria distanza pubblicando componimenti in generi popolari, come


le imitazioni dei salmi di J. A. Cramer, le satire di Rabener e le favole di Gellert, e occasionalmente brevi saggi e traduzioni. Sul finire degli
anni Quaranta la cultura letteraria e filosofica tedesca si avvia al definitivo superamento della poetica di Gottsched, cominciando a assimilare la ristrutturazione della gnoseologia leibniziano-wolffiana proposta da Baumgarten, che, riconoscendo nuove potenzialit alla conoscenza sensibile, mostra numerosi punti di contatto con la teoria di Du
Bos, dalla verosimiglianza poetica al valore del meraviglioso, riconducibili al comune terreno della tradizione retorica 10. Anticipata dal
92 delle Meditationes philosophic de nonnullis ad poema pertinentibus (1735), dove Baumgarten spiega il giudizio dei sensi come iudicium confusum sulla perfezione degli oggetti, recuperando anche la riflessione francese sul gusto, le gout Gallorum, la fondazione di una
facultas dijudicandi sensibile trova posto gi nella psicologia empirica
della Metaphysica (1739), identificandosi con il gusto in senso lato.
In questo rinnovato quadro sistematico lallievo Meier, riesaminando
la poetica gottschediana (Beurtheilung der Gottschedischen Dichtkunst,
1746), ritiene ormai incoerente e inefficace la soluzione di un intelletto
che giudica nach der Empfindung, concludendo che Gottsched avrebbe
fatto meglio a non distaccarsi dalla definizione wolffiana di Verstand,
allargando piuttosto gli spazi della sensibilit. Nel nuovo clima culturale le idee di Du Bos sul bisogno dellanima di mantenersi attiva tornano alla ribalta nellincontro con la teoria di origine leibniziana, per
cui lattivit rappresentativa dellanima, rendendo coscienti di un maggior grado di realt, risulta sempre gradevole. Questa conciliazione
stimola un graduale distacco dalla teoria che riconduce il piacere a una
perfezione oggettiva. Nelle Recherches sur lorigine des sentiments
agrables et dsagrables (1751-52) Johann Georg Sulzer definisce lanima una sostanza attiva, la cui naturale forza consiste nellincessante
attivit rappresentativa, e, dichiarandosi insoddisfatto dalla teoria del
piacere di Cartesio e di Wolff, riconosce in questa forza originaria dellanima la fonte di tutti i sentimenti gradevoli e sgradevoli, compresi i
piaceri sensibili. A conferma di questa spiegazione ricorda la noia, che
sorge dallinazione dellanima, definendola una delle condizioni pi
penose in cui essa possa trovarsi. Lidea leibniziana dellattivit psichica
come fonte soggettiva di piacere, confermata dalle osservazioni di Du
Bos, si combina poi con la teoria della perfezione oggettiva: per Sulzer suscitano sentimenti gradevoli solo oggetti dotati di un ordine nella
molteplicit di idee che offrono allanima, che in tal modo soddisfa con
facilit il proprio originario bisogno, come dimostra la bellezza, spiegata appunto con lunit del molteplice 11.
Mendelssohn parte proprio dalla memoria accademica di Sulzer
nelle lettere ber die Empfindungen (1755), che un anonimo articolo
160

sulla Bibliothek der schnen Wissenschaften und der freyen Knste


nel 1762 definir un supplemento dellopera di Du Bos 12. Il filosofo
Palemone, eclettico discepolo di Leibniz, Wolff e Locke, corregge la
posizione di Sulzer, distinguendo il piacere della bellezza, percezione
dellunit del molteplice dovuta alla limitazione dei sensi umani, dalloggettivo piacere della perfetta bereinstimmung del cosmo, ma il
giovane interlocutore Eufranore va oltre, ironizzando sulla pretesa di
spiegare con la perfezione, sensibile o intellettuale, piaceri sensuali
come il vino e lamore, e ribatte che talvolta il piacere sembra fondarsi
su unimperfezione. Lo illustra, rivisitando il topos lucreziano, con il
piacere suscitato dal quadro di un naufragio, che giudica tanto pi intenso, quanto pi grave il pericolo rappresentato, ritenendolo perci
irriducibile allammirazione per labilit mimetica dellartista 13. A conclusione del saggio, Mendelssohn si confronta esplicitamente con Du
Bos, di cui Eufranore ammette di seguire lopinione che lanima prova un costante bisogno di tenersi occupata, anche con rappresentazioni sgradevoli, come mostrano arene, tornei, combattimenti tra animali
e tragedie. Per bocca di Palemone, Mendelssohn ribadisce che ogni
piacere si fonda sulla perfezione e introduce una distinzione alternativa
a quella tra eventi drammatici reali e le arti, che suscitano passioni
artificiali. In alcune delle bltige Ergtzlichkeiten ricordate da Eufranore, per provare piacere bisogna soffocare ogni compassione e concentrarsi sullabilit delle persone o degli animali coinvolti, che una forma di perfezione: Palemone ammette, citando gli esempi di acrobati e
gladiatori analizzati da Du Bos, che in questi casi si prova tanto pi
piacere, quanto maggiore il pericolo, ma lo spiega con lammirazione
per la presenza di spirito di fronte al rischio. Al contrario, tragedie e
dipinti di soggetto drammatico (ma anche le esecuzioni pubbliche, per
il popolo meno sensibile) per piacere devono suscitare compassione, il
solo sentimento sgradevole in grado di attrarre, in quanto mescolanza di amore per la perfezione di un oggetto e dispiacere per la sua
pi o meno immeritata sventura 14.
La compassione diventa per Mendelssohn il principale sentimento
tragico, posizione che Lessing accoglie pi radicalmente nella loro corrispondenza sulla tragedia, tra la fine del 1756 e la primavera seguente,
occasionata dalla discussione sulla Abhandlung vom Trauerspiel del
comune amico Nicolai, destinata alla Bibliothek der schnen Wissenschaften und der freyen Knste (1757). Correggendo la definizione
aristotelica, che a suo parere fa di una possibile conseguenza, la purificazione delle passioni, una propriet necessaria, Nicolai sostiene che
la tragedia deve suscitare intense passioni, sul presupposto individuato
da Du Bos: lo spirito umano detesta linattivit e tende a un appropriato impiego delle proprie forze, che perci risulta sempre gradevole. A suo parere Du Bos, pur avendo forse ecceduto nel trarre con161

seguenze da questo principio, ha colto il fondamento del piacere in


poesia e nella fattispecie nella tragedia, dove limitazione di passioni
sgradevoli, annullando le dannose conseguenze che esse avrebbero nella realt, risulta piacevole, in quanto sollecita un movimento dellanima 15. Per Lessing, invece, si tratta di conciliare lo scopo della tragedia, il miglioramento morale delluomo, con leffetto indicato da Nicolai, riconoscendo nel Mitleid la sola passione tragica in senso proprio,
in quanto favorisce lidentificazione degli spettatori e quindi lefficacia
pratica del teatro. in questo contesto (2 febbraio 1757) che egli riformula nei termini della psicologia leibniziana il principio di Du Bos
impiegato da Nicolai: quando si desidera o si rifugge qualcosa, si acquista coscienza di un maggior grado della propria realt, e ci non
pu che risultare piacevole, perci anche le passioni pi sgradevoli
piacciono in quanto mere passioni. Per Lessing, tuttavia, la tragedia
non deve suscitare questi zweyte Affecten, che nellimitazione risultano graditi indipendentemente dagli oggetti, ma soltanto la compassione, che non un affetto secondario provato dai personaggi e comunicato alla platea, ma sorge direttamente nello spettatore dalleffetto di
determinati oggetti sullanimo. Contro Nicolai e Du Bos (se si pensa
alla sua ambigua posizione sulla catarsi tragica, alla sezione XLIV della prima parte delle Riflessioni critiche), Lessing rifiuta la subordinazione dello scopo morale della tragedia a un generico effetto patetico, che
risulta piacevole semplicemente in quanto tiene attivo lo spirito 16. Lo
confermer la Hamburgische Dramaturgie, dove viene citata (12 febbraio 1768) lopinione di Du Bos sulla presenza di personaggi totalmente malvagi nella tragedia, esclusi da Aristotele in quanto incapaci
di suscitare piet e timore: Lessing d atto che, diversamente da Corneille, Du Bos li ammette solo nelle parti secondarie, come mezzi che
rendono meno gravi le colpe dei protagonisti, e concorda con lui che
linfelicit di questi scellerati subalterni non fa alcuna impressione
sullo spettatore, ma conclude che il dramma sarebbe migliore, se ottenesse il medesimo effetto senza tali mezzi sussidiari. un richiamo
al peculiare compito della tragedia, che presuppone la verifica delle
leggi aristoteliche del genere tragico compiuta nei numeri precedenti
della Drammaturgia, contro lidea che lo spettacolo drammatico debba soltanto commuovere il pubblico, come potrebbe fare un romanzo 17. Fin dal carteggio sulla tragedia (2 marzo 1757) Mendelssohn riconosce nel principio formulato da Lessing, al di l della sua applicazione al teatro, una soluzione generale al problema delle schmerzhaftangenehme Empfindungen, di cui aveva discusso nel suo saggio giovanile, e lo traduce in termini sistematici, ponendo le basi per una definitiva integrazione delle idee di Du Bos nella cornice della psicologia
leibniziana. Forse in attesa che lamico sviluppasse quel principio in un
apposito saggio, come aveva promesso, nella prima edizione della
162

Rhapsodie (1761), concepita come una serie di aggiunte al saggio ber


die Empfindungen, Mendelssohn non ne fa ancora uso e solo nella
nuova edizione (1771) lo pone a fondamento di una teoria del piacere ormai distante dalloggettivismo wolffiano: ogni rappresentazione intrattiene una duplice relazione, con loggetto e con il soggetto pensante, perci anche la cosa pi imperfetta, nella misura in cui impegna
le facolt di conoscere e desiderare, accresce la realt dellanima, procurando piacere. Mendelssohn non esita a riconciliarsi pubblicamente con Du Bos riconoscendo che lanima anela a essere costantemente stimolata, persino da rappresentazioni sgradevoli, perch ci risulta sempre gradevole dal punto di vista soggettivo 18.
Della classificazione semiotica delle arti di Du Bos Lessing e Mendelssohn discutono gi in lettere precedenti la pubblicazione delle Betrachtungen ber die Quellen und die Verbindungen der schnen Knste
und Wissenschaften (1757), dove Mendelssohn accoglie il duplice criterio da lui impiegato nella distinzione di pittura e poesia, lo statuto
naturale o artificiale del segno e il canale sensoriale della vista o delludito, per estendere alle arti figurative e alla musica il progetto di
Baumgarten, soltanto abbozzato nel caso di poesia e eloquenza, di fondare la teoria dellarte sulla scientia signorum wolffiana 19. Nel Laocoonte, raccogliendo lintuizione del carattere istantaneo della rappresentazione pittorica, le cui parti sono disposte luna accanto allaltra,
rispetto allo sviluppo temporale dellazione nella poesia, che trovava in
diverse sezioni della prima parte delle Riflessioni critiche (13, 26, 32,
40), Lessing subordina questi criteri allordinamento coesistente o consecutivo dei segni, che fa corrispondere alla simultaneit o alla successione degli oggetti nello spazio e nel tempo, in base alla tesi formulata
nel capitolo sedicesimo, per cui i segni devono avere un rapporto adeguato (ein bequemes Verhltnis) con loggetto 20. Lampio materiale raccolto in preparazione del Laocoonte, del resto, mostra che Lessing, anche seguendo lesempio di Du Bos, come Mendelssohn, interessato
a estendere alle altre arti il tradizionale paragone tra poesia e pittura,
e proprio in questa prospettiva pensa di correggerlo. significativo
che da Du Bos soprattutto derivi il loro interesse per le arti composte,
che entrambi, limitando la possibilit di una stabile connessione tra poesia e pittura, analizzano in riferimento alle antiche arti musicali, cui
dedicata la terza parte delle Riflessioni critiche, tradotta da Lessing
sulla Theatralische Bibliothek nel 1755 21. Mendelssohn verifica il
rapporto di poesia e musica nella declamazione, nel canto e nellopera,
ritenendo che in questo genere la poesia possa deviare dalle proprie
regole e dalla stretta verosimiglianza, ci che Lessing sostiene gi in
una Kritik ber die Gefangenen des Plautus nei Beitrge zur Historie und Aufnahme des Theaters (1750). Dagli studi di Du Bos sullantica saltatio derivano le idee di Mendelssohn sulla danza prosaica,
163

che accompagna con gesti la declamazione per animarla, e poetica,


connessa alla musica, e linteresse di Lessing per la pantomima, dalla
giovanile Abhandlung ber die Pantomime der Alten ai confronti della Drammaturgia tra la mimica antica e la povert del gesto nella recitazione moderna, nonch per le combinazioni di danza, poesia e musica nei materiali del Laocoonte 22.
Negli anni centrali del secolo la teoria di Du Bos contribuisce anche
alla nascita di una nuova estetica delle arti figurative in Germania. Winckelmann studia le Riflessioni critiche nel periodo di Nthnitz (174854) ricavandone una nutrita serie di estratti, che permettono di valutare limpatto di questa lettura nella formazione della sua teoria dellarte, ben pi complesso di quanto suggerirebbero le ricorrenti critiche
che muover poi a Du Bos nella Geschichte der Kunst des Altertums,
rimproverandogli di aver osservato in maniera superficiale le opere
antiche a Roma o di aver giudicato in base allopinione di altri 23. Nel
Sendschreiben ber die Gedanken von der Nachahmung der griechischen
Werke in der Malerey und Bildhauerkunst allegato alla seconda edizione
del saggio sullimitazione delle opere greche (1756), nelle vesti di un
fittizio corrispondente che contesta le tesi sostenute in quel saggio,
Winckelmann, alludendo a un passo che aveva annotato dalla sezione
34 della prima parte delle Riflessioni critiche, associa le idee di Du Bos
sul fascino del colore, che riesce a celare o a far notare meno i gravi
errori di un pittore contro il disegno e la verosimiglianza, alla teoria di
De Piles sul primato del colore, per concludere che in un dipinto conta
soprattutto la seduzione immediata della vista, indipendentemente dalla
riflessione intellettuale. Confrontandosi con questa obiezione, nella successiva Erluterung der Gedanken Winckelmann riconosce che il giudizio nellarte dovuto pi a una raffinata sensibilit che a unapprofondita riflessione, ma ribadisce che scultura e pittura non possono limitarsi a lusingare il senso della vista 24. Di qui deriva un grave motivo
di dissenso con Du Bos, la valutazione della pittura allegorica, che
Winckelmann apprezza proprio in quanto permette al pittore di rivolgersi allintelletto, eguagliando i generi pi alti della poesia. Dalle Riflessioni critiche ricava gli esempi che celebra nei Gedanken e nella Erluterung, i cicli allegorici di Rubens al Lussemburgo e di Le Brun a
Versailles, ma il suo attacco agli scrupoli dei critici che non tollerano
la mescolanza di verit storica e favola allegorica e dubitano della chiarezza della allegorie si indirizza in gran parte alle riserve dello stesso Du
Bos 25. Una certa ambiguit si nota anche dove Winckelmann lo segue
in maniera pi diretta, ossia nel riconoscere lazione del clima sui caratteri delle nazioni: riconducendo al clima temperato leccezionalit
della natura greca, Winckelmann cita autori antichi, soprattutto Ippocrate, ma ha ben presenti anche le idee di Du Bos, come mostrano i
suoi estratti. Dalle Riflessioni critiche in particolare accoglie la tesi che
164

lambiente naturale di un paese agisce sulla fisionomia e sulla mentalit dei popoli che lo abitano nel corso dei secoli, spiegando, ad esempio, come caratteristiche degli antichi Galli si ritrovino poi nei Franchi, che si sono stabiliti nella stessa terra, pur non discendendo dalla
loro stirpe 26. Ma rispetto a Du Bos, che considera linfluenza del clima
pi forte rispetto alletnia, Winckelmann attribuisce non minore importanza al sangue: ammette che i Greci delle colonie dAsia e dAfrica si assimilarono agli indigeni, ma aggiunge che gli attuali abitanti
della Grecia sono come un metallo fuso con altri, in cui per la massa
principale si riconosce chiaramente. E precisa che, sebbene lambiente
e il clima siano peggiorati, i Greci moderni conservano molti dei privilegi naturali dellantica nazione, soprattutto la bellezza, come riferiscono i viaggiatori 27. Limportanza di Du Bos nel rinnovamento della teoria tedesca delle arti figurative confermata dalle Betrachtungen
ber die Mahlerey (1762) del direttore della pinacoteca di Dresda Christian Ludwig von Hagedorn, che gi nella prefazione, dichiarando di
voler mantenere un equilibrio tra le nozioni tecniche e un sapere pi
generale, auspica prossimo il tempo in cui artisti e collezionisti leggeranno con piacere e profitto Du Bos e parallelamente le persone di ingegno apprezzeranno la concisione e precisione dei trattatisti. In particolare, Hagedorn condivide le sue idee sul ruolo secondario delle
figure allegoriche nei dipinti storici (pur giustificando, come lamico
Winckelmann, i quadri di Rubens dalle sue obiezioni) e una certa diffidenza nei confronti del giudizio della gens du mtier 28.
Nel frattempo le Riflessioni critiche vengono ristampate in francese dalleditore Walther di Lipsia nel 1760, e tra questo e lanno successivo compare anche la prima traduzione tedesca completa, in un ambiente culturale prossimo a quello in cui era nata la parziale versione
dei Bremer Beitrge: lanonimo traduttore Gottfried Benedikt Funcke, che in questi anni vive a Kopenhagen come precettore in casa di
Cramer, uno dei fondatori della vecchia rivista 29. Negli anni seguenti le idee di Du Bos diventano patrimonio comune nella cultura tedesca, ci spiega il ruolo del tutto eccezionale che gli riconosce Sulzer nel
primo volume della Allgemeine Theorie der schnen Knste (1770) allarticolo Aesthetik: Du Bos giudicato il primo tra i moderni ad aver
fondato la teoria dellarte su un principio generale, ossia il bisogno
che luomo prova in certe circostanze di occupare le proprie forze spirituali e di garantire una certa attivit ai propri sentimenti. Pur notando che si limitato a formulare regole generali su questo fondamento e per il resto ha proceduto in maniera empirica, ritiene la sua
opera piena di ottime osservazioni, e la cita spesso, in particolare negli articoli relativi allespressione poetica e alle arti figurative 30. Presupposto di un proficuo impiego della teoria di Du Bos la sua riformulazione nei termini della psicologia leibniziana del piacere (abbozzata
165

da Sulzer fin dalla memoria accademica sullorigine dei sentimenti gradevoli e sgradevoli), che si delinea in particolare nellarticolo sul genio,
rielaborando una Analyse du gnie da lui presentata allAccademia di
Berlino nel 1757. proprio attorno allidea del genio che la cultura
razionalistica tedesca aveva tentato di verificare lefficacia di una rilettura leibniziana di Du Bos, come suggerisce linteresse per questo tema
sulle riviste berlinesi di Nicolai, che pochi mesi dopo la memoria accademica di Sulzer traduce per la Bibliothek der schnen Wissenschaften und der freyen Knste le sezioni 5-7 della seconda parte
delle Riflessioni critiche, sul genio di poeti e pittori 31. Sulzer prende le
mosse da Du Bos, traducendo la sua definizione del genio come nellabilit nel compiere bene e facilmente cose che altri riuscirebbero
a fare solo male e con fatica. Ma questa descrizione delleffetto ricondotta alle cause nei termini della psicologia tedesca: poich il genio
richiede limpiego di tutte le capacit spirituali, il suo fondamento va
cercato nella forza originaria da cui esse derivano e che costituisce secondo Leibniz lessenza dellanima, una forza attiva che produce idee
e stimola incessantemente a svilupparle. Dopo aver analizzato le capacit spirituali che contribuiscono al genio, Sulzer pone la questione
delle cause, fisiche e morali, che ne favoriscono la formazione, non
senza ricordare che Du Bos ne ha trattato con competenza, sebbene
solo induttivamente. Poich lintensit della forza psichica che costituisce il fondamento del genio dipende in buona parte dalla costituzione fisica, dal momento che lanima sente e agisce solo in proporzione
alle impressioni che riceve attraverso il corpo, Sulzer conclude che esso
deve molto a cause naturali, in particolare clima e alimentazione, anche se questo dono di natura pu essere rafforzato da fattori morali 32.
Larticolo della Allgemeine Theorie, confermando che il genio si manifesta con una straordinaria abilit nel compiere operazioni cui si
portati, riconduce le sollecitazioni venute da Du Bos allipotesi (fondata sullidea leibniziana dellanima dei bruti) che una predisposizione al
genio si riconosce gi nella natura animale, presupponendo uneccezionale suscettibilit dei sensi: il genio deve rispondere a una qualche
eccitazione, per poter esercitare le forze rappresentative dellanima su
certi oggetti. Sulzer chiude larticolo con lauspicio che gli studiosi,
individuando con precisione nei capolavori dellarte la peculiare impronta del genio, sviluppino una compiuta storia naturale dello spirito umano 33.
In questa direzione, gi nel 1765 Karl Friedrich Flgel aveva pubblicato una Geschichte des menschlichen Verstandes, che si apre proprio
con un capitolo sul genio, in cui lallievo di Baumgarten riconosce agli
autori francesi il merito di aver stimolato unattenta riflessione su questo concetto e cita, tra diverse altre, la definizione di Du Bos gi impiegata da Sulzer, prima di introdurre la spiegazione della Metafisica (
166

648) del maestro, che definisce ingenium in senso lato una felice proporzione tra le facolt conoscitive dellanima. Grazie a Du Bos Flgel
consolida la tendenza a separare nella nozione wolffiana di ingenium
le funzioni del Genie da quelle del Witz, un orientamento individuato gi da Mendelssohn nella recensione del saggio sul genio di Sulzer
nei Literaturbriefe (aprile 1760) 34. Su questo terreno si muove anche
il giovane Herder, che recensisce il saggio di Flgel nellottobre 1765
e abbozza su questo modello il progetto, conservato nei manoscritti, di
una storia dellintelletto umano, a partire da unindagine dei fattori naturali e morali che agiscono sulla sua formazione. In questo contesto ricorda, accanto allopinione di Huarte, Hlvetius e Montesquieu,
quella di Du Bos, che associa in particolare allidea dellazione dellaria
e delle esalazioni della terra 35. Herder lultimo dei grandi autori
tedeschi del secolo a confrontarsi direttamente con le Riflessioni critiche, che legge forse gi a Knigsberg o nel periodo di Riga (1764-67),
ricavandone una serie di estratti, anche se il suo interesse sembra in
buona parte mediato dalle personalit dominanti nella sua formazione
culturale, Lessing, Mendelssohn e Winckelmann. Nei primi saggi, in
cui rivisita criticamente il loro percorso, Herder richiama in rari casi
Du Bos. Ad esempio nella prima serie dei Fragmente, ber die neuere
deutsche Literatur (1767), illustrando lipotesi delle et della lingua,
accenna alle testimonianze raccolte nelle Riflessioni critiche sulloriginaria coincidenza di parola e canto, ma si mostra piuttosto diffidente
nei confronti di un simile armamentario di erudizione, e contesta,
alludendo alla sesta sezione della terza parte dellopera, quella che considera una riduzione del canto teatrale degli antichi a una declamazione
alla moda secondo lorecchio francese 36. Dagli anni 70 Herder non
cita pi Du Bos, ignorandone anche la teoria dellinfluenza climatica
sul carattere delle nazioni, un fattore cui attribuisce, del resto, sempre
meno valore nelle sue sintesi di filosofia della storia: gi in Auch eine
Philosophie der Geschichte der Menschheit (1774), pur interessandosi
allazione del clima e citando a questo proposito autori francesi, soprattutto Montesquieu, la subordina a una legge evolutiva di tipo biologico,
introducendo un modello finalistico del tutto estraneo a Du Bos 37.
Come mostra in modo emblematico lopera di Herder, dal principio degli anni 70 la teoria di Du Bos perde rapidamente la sua capacit di attrazione. Il giudizio della Allgemeine Theorie di Sulzer (1770)
e la pubblica riconciliazione di Mendelssohn lanno seguente nella
Rhapsodie, formalizzando la sua compiuta assimilazione da parte dellestetica razionalistica, segnano anche linizio di una nuova stagione,
in cui la cultura tedesca relega Du Bos al ruolo di un inoffensivo pioniere. Alla fine degli anni 80, ribadendo in formule ormai fisse il giudizio di Sulzer, Du Bos viene generalmente riconosciuto come il fondatore della teoria che riconduce il piacere delle belle arti al principio
167

della Beschftigung des Geistes, come si esprime Carl Leonhard Reinhold in un saggio Ueber die Natur des Vergngens apparso sul Teutscher Merkur alla fine del 1788 38. Ma lorizzonte teorico non pi
quello aperto da Baumgarten, bens il criticismo kantiano. In una lettera a Kant di qualche mese prima (19 gennaio 1788) Reinhold, che
gi teneva a Jena un affollato corso di introduzione alla Kritik der reinen Vernunft, dichiarando di attendere con ansia la critica del gusto
annunciata dal filosofo, ricorda che sta cercando di applicare la dottrina kantiana della conoscenza a una nuova teoria del piacere, e giudica questo tentativo molto promettente, in quanto gli permette di recuperare le diverse opinioni sulla natura del piacere, da quella di Du
Bos, che lo ha spiegato con una leichte und starke Beschftigung delloriginaria forza dellanima, a quelle di Wolff, Mendelssohn, Sulzer,
Hlvetius, conciliandole in una prospettiva superiore 39.

1
J. U. Knig, Untersuchung von dem guten Geschmack in der Dicht- und Redekunst, in
Des Freyherrn von Canitz Gedichten, Leipzig 1727, pp. 227-322, in part. pp. 230-31, 251-52,
266, 275.
2
Ivi, pp. 255-57, 306-07.
3 J. C. Gottsched, Versuch einer Critischen Dichtkunst fr die Deutschen, Leipzig 1730;
rist. 4 ed. Leipzig 1751, Darmstadt 1962, 118-23.
4
Briefwechsel von der Natur des Poetischen Geschmackes, Zrich 1736; rist. a cura di W.
Bender, Stuttgart 1966, pp. 12-14, 44, 48, 51-52.
5 J. J. Breitinger, Critische Dichtkunst mit einer Vorrede von J. J. Bodmer, Zrich und
Leipzig 1740, rist a cura di W. Bender, Stuttgart, 1966, I, pp. 9-12. Lanno seguente, nella
prima sezione delle Critische Betrachtungen ber die poetischen Gemlde der Dichter (Zrich
1741; rist. Frankfurt am Main 1971, pp. 25-26) Bodmer cita Du Bos tra i critici che hanno
tentato di spiegare come acquisire uninfallibile prontezza di giudizio, ossia il buon gusto, che
descrive ora come un senso specifico deputato al giudizio artistico, analogo al gusto fisico.
6 Ivi, pp. 14-31.
7
Ivi, pp. 61-64, 69-70, 81-83, 85-86.
8 Ivi, pp. 113-115. Per una sintesi delle citazioni da Du Bos nella Critische Dichtkunst si
veda A. Lombard, LAbb Du Bos. Un initiateur de la pense moderne (1670-1742), Paris
1913, pp. 359-61
9 Abhandlung von der Nothwendigkeit, beschftigt zu sein, wenn man der verdrlichen
langen Weile ausweichen will. Aus dem Franzsischen des Herrn Abts du Bos, in Neue Beitrge zum Vergngen des Verstandes und des Witzes, II.1, 1745, pp. 14-21.
10 Cfr. A. Bumler, Kants Kritik der Urteilskraft. Ihre Geschichte und Systematik, I: Das
Irrationalittsproblem in der sthetik und Logik des 18. Jahrhunderts bis zur Kritik der Urteilskraft, Halle, Niemeyer 1923, pp. 87-89. Un accenno a Du Bos si trova nel corso di lezioni
che Baumgarten tiene tra 1750 e 1751, seguendo i paragrafi del primo volume dellEstetica:
a proposito della correzione estetica, uno degli attributi necessari al schner Geist, menziona ( 97) un saggio, che dice pubblicato da qualche anno, Sur la posie et la peinture, nel
quale le due arti sono messe in parallelo. Cfr. A. G. Baumgarten, Lezioni di Estetica, a cura
di S. Tedesco, pres. di L. Amoroso, Palermo Aesthetica 1998, p. 67.
11
La memoria, letta allAccademia di Berlino, venne pubblicata sugli Atti nelle annate
1753-54 e in seguito tradotta in tedesco. Cfr. Untersuchung ber den Ursprung der angenehmen und unangenehmen Empfindungen, in Vermischte philosophische Schriften, 2 voll. Leipzig 1773-1781, I, pp. 1-98, in part. pp. 4-23.
12 Von der Kritik der Empfindungen. ber einer Stelle des Herrn du Bos, in Bibliothek
der schnen Wissenschaften und der freyen Knste, VIII, 1, 1762, pp. 1-20, p. 16.

168

13 M. Mendelssohn, Gesammelte Schriften. Jubilumsausgabe, I, a cura di F. Bamberger,


Berlin 1929, rist. Stuttgart-Bad Canstatt 1971, pp. 71-74. Cfr. Scritti di estetica, a cura di L.
Lattanzi, Palermo 2004, pp. 52-55.
14 Ivi, pp. 107-11. Cfr. Scritti di estetica, cit., pp. 78-82.
15
G. E. Lessing - M. Mendelssohn - F. Nicolai, Briefwechsel ber das Trauerspiel, a cura
di J. Schulte-Sasse, Mnchen 1972, pp. 12-13
16 Mendelssohn, Gesammelte Schriften, XI, a cura di B. Strauss e A. Altmann, Bad Canstatt 1974, pp. 105-07. Dopo aver letto per intero il trattato di Nicolai, Lessing gli rimprovera (2 aprile 1757) di aver accolto in maniera troppo assoluta le idee di Du Bos, che andrebbero formulate in modo pi filosofico. Cfr. op. cit., XI, p. 113.
17
Lessing, Gesammelte Werke, a cura di P. Rilla, Berlin 1954-1958, VI, pp. 417-19.
18 Mendelssohn., Gesammelte Schriften, cit., I, p. 389. Cfr. Scritti di estetica, cit., p. 109.
19 Lessing, Gesammelte Werke, cit., IX, pp. 137-38.
20
Ivi, V, pp. 115-16. Sul valore di questo passaggio rispetto alle sue fonti si veda T. Todorov, Esthtique et Smiotique en XVIIIe sicle. G. E. Lessing Laokoon, in Critique, 26
(1973), pp. 26-35, in part. 32-38.
21
Des Abbts du Bos Ausschweifung von den Theatralischen Vorstellungen der Alten, in
Theatralische Bibliothek, III, 1755, pp. 5-312.
22 Cfr. L. Lattanzi, Lestetica musicale dellIlluminismo tedesco, Aesthetica Preprint, 60,
2001, pp. 38-43 e 48-56.
23 J. J. Winckelmann, Schriften und Nachla, vol. 4.1: Geschichte der Kunst des Altertums. Text, a cura di A. H. Borbein, T. W. Gaethgens, J. Irmscher e M. Kunze, Mainz am
Rhein 2002, pp. XVIII, 528, 532, 718.
24 Id., Kleine Schriften. Vorreden. Entwrfe, a cura di W. Rehm, II ed. Berlin - New
York 2002, pp. 79, 97, 118.
25
Ivi, p. 137.
26 Ivi, p. 100.
27 Ivi, pp. 104-05. Questo orientamento si impone nella Geschichte der Kunst des Altertums, dove il fattore etnico spesso prevale sullinfluenza del clima e della libert politica. Cfr.
lisabeth Dcultot, Johann Joachim Winckelmann. Enqute sur la gense de lhistoire de lart,
Paris 2000, pp. 162-64.
28
C. L. von Hagedorn, Betrachtungen ber die Mahlerey, Leipzig 1762, I, pp. XV, 46869; II, pp. 753-54.
29 Critische Betrachtungen ber die Poesie und Mahlerey. Aus dem Franzsischen des
Herrn Abtes D Bos, 3 voll., Kopenhagen 1760-1761; 2 ed. Breslau 1768.
30 J. G. Sulzer, Allgemeine Theorie der Schnen Knste (2 voll. Leipzig - Berlin 17711774), 4 voll. Leipzig 1792-1794, rist. Hildesheim - New York 1994, I, p. 48. I richiami pi
significativi riguardano le allegorie pittoriche (Allegorie - schne Knste, I, pp. 107-08), la posie du style (Farben - Dichtkunst e poetische Sprache, II, p. 214; III, p. 710) e la scelta dei soggetti (Wahl - schne Knste, IV, pp. 707-08).
31
Des Abt du Bos Anmerkungen von der Beschaffenheit des Genies einiger Dichter und
Mahler, in Bibliothek der schnen Wissenschaften und der freyen Knste, III.1 (giu. 1758),
pp. 1-28, e III.2 (ott. 1758), pp. 215-26.
32
Sulzer, Entwickelung des Begriffs vom Genie, in Vermischte philosophische Schriften,
cit., I, pp. 308-22.
33 Id., Allgemeine Theorie der schnen Knste, cit., II, pp. 363-67.
34
Mendelssohn, Gesammelte Schriften, cit., V.1, pp. 166-70.
35 Si veda la postfazione di W. Pross in J. G. Herder, Werke, Mnchen 1984, II, pp.
1183-84.
36
Herder, Werke, cit., I, pp. 159-60.
37 Cfr. G. L. Fink, De Bouhours Herder. La thorie franaise des climats et sa rception
Outre-rhin, in Recherches germaniques, 15, 1985, pp. 50-60.
38
K. L. Reinhold, Ueber die Natur des Vergngens, in Der Teutsche Merkur, Ott.
1788, pp. 61-79 e 62-64. Una serie di analoghi giudizi su Du Bos a fine secolo ricordata in
C. Zelle, Angenehmes Grauen. Literaturhistorische Beitrge zur sthetik des Schrecklichen in
Achtzehnten Jahrhundert, Hamburg 1987, p. 310.
39 Kants Gesammelte Schriften, Knigliche Preuische Akademie der Wissenschaften, X,
Berlin u. Leipzig 1922, pp. 524-25.

169

La fortuna delle Riflessioni di Du Bos


nellItalia del Settecento
di Paolo DAngelo

Non pi possibile dubitare che le Rflexions critiques sur la posie et sur la peinture di Jean-Baptiste Du Bos rappresentino uno dei
grandi testi dellestetica settecentesca, n che esse abbiano avuto una
influenza decisiva sugli sviluppi del pensiero europeo. Se Alfred Lombard, agli inizi del secolo scorso, doveva ancora contrastare una diffusa
sottovalutazione della funzione giocata da Du Bos e rivendicare per lui
un ruolo fra gli iniziatori del pensiero moderno, oggi quel ruolo e
quella funzione, anche nel campo specifico dellestetica, gli sono generalmente riconosciuti. Se ve ne fosse bisogno, Elio Franzini ci ricorda,
nella sua bella presentazione alla nuova edizione delle Riflessioni, che
la storia degli effetti delle Rflexions di Du Bos ampia e non solo
francese, mentre laccurata Appendice bio-bibliografica di Maddalena
Mazzocut-Mis e Paola Vincenzi sostanzia questo giudizio dimostrando,
testi e traduzioni alla mano, come lopera di Du Bos abbia rappresentato il vero e proprio laboratorio dellestetica del Settecento. Non
solo infatti il testo dubosiano stato letto e ripreso in Francia, ma ha
goduto di una circolazione europea attestata, innanzi tutto, dalle numerose traduzioni: quella inglese del 1748, quelle tedesche del 1745 e
1755, quella olandese gi del 1740. E quanto ai nomi dei teorici che
hanno letto e ripreso Du Bos, baster ricordare che tra loro si trovano studiosi del calibro di Lessing e Kant, Voltaire e Diderot.
E lItalia? La riposta non pu essere altrettanto netta, e non perch
Du Bos sia stato poco conosciuto da noi o per il semplice fatto che il
testo capitale dellestetica dubosiana non fu tradotto allora in italiano
(tanto vero che esso vede ora per la prima volta la luce nella nostra
lingua in una edizione completa, dopo quella assai parziale di Enrico
Fubini nel 1970). Questa circostanza non avrebbe di per s alcun valore dirimente, dato che il francese era lingua ampiamente familiare ai
nostri dotti del Settecento, e neppure sintomatico, dato che pot dipendere da motivazioni del tutto estrinseche. No, sono in gioco altre
e diverse ragioni, che per sono da imputarsi non al carattere del testo dubosiano, ma a quello dellestetica italiana del Settecento. Voglio
dire che, se in Italia non troviamo, tra gli autori influenzati da Du Bos,
un nome che si possa porre accanto a quelli appena fatti, principal171

mente per il motivo che questo nome manca, in generale, allestetica


italiana del Settecento, se si esclude ovviamente Vico. E, una volta
constatato che Vico non discusse mai Du Bos, se pur ne conobbe i testi, non restano che personaggi che, su di un piano europeo, hanno un
peso decisamente minore di quelli sopra nominati.
Naturalmente, questo non significa affatto che non sia interessante ricostruire la penetrazione delle idee dubosiane in Italia, e la loro
diffusione, che non fu per nulla esigua. Il compito, per, non facile.
Per pi di un motivo. Intanto, c la consuetudine del tempo che, in
Italia come altrove, non imponeva affatto allo studioso che utilizzava
pensieri e persino parole altrui di dichiarare i suoi debiti. Chateaubriand ebbe a dire una volta che on vole lAbb du Bos sans avouer
le larcin. E questo vero in Italia non meno che in Francia. Inoltre,
vedremo che spesso linflusso generico, cio si manifesta come un
orientamento complessivo della riflessione, piuttosto che come una
ripresa di punti specifici, rendendo meno facile la dimostrazione di
una stretta dipendenza, in luogo dellappartenenza a un filone comune di pensiero. Infine, occorre considerare che se gli influssi dellestetica dubosiana su quella italiana sono poco patenti, linverso non affatto vero, e cio Du Bos utilizza (e talora cita) teorici italiani del Cinque e del Seicento (un nome su tutti, Gianvincenzo Gravina), ragione
per cui alcuni punti di contatto apparenti si possono spiegare in modo
pi economico attraverso una derivazione interna al nostro Paese.
Comunque sia, una cosa appare chiara, e cio che la situazione
molto diversa se ci si riferisce alla prima o alla seconda met del Settecento. Fino alla svolta del secolo, gli echi dubosiani sono piuttosto
rari; dopo il 1750 diventano relativamente frequenti. Ma anche questo
in linea con quanto abbiamo appena osservato: con la diffusione in
Italia di orientamenti sensisti ed empiristi, ovvio che Du Bos trovi un
terreno pi propizio ad accoglierlo.
Proprio perch rari, gli influssi dubosiani nella prima met del secolo sono anche i pi interessanti. A imporsi, qui, innanzi tutto il
nome del conte Pietro Calepio, bergamasco, che anzi lunico che
venisse segnalato dal Lombard nella brevissima sezione dedicata allItalia della sua opera sulla fortuna di Du Bos 1. Pietro di Calepio,
discendente di quellAmbrogio Calepio autore allinizio del Cinquecento del dizionario latino desinato a diventare celebre come Calepino,
apparteneva a una famiglia nobile e visse quasi sempre nel proprio
feudo nelle valli bergamasche, occupandosi dellamministrazione dei
beni di famiglia. In giovent era nato nel 1693 aveva per studiato
a Roma, e aveva soggiornato in Francia, probabilmente tra il 1716 e il
1717. Della cultura francese era buon conoscitore, come dimostrano
sia la sua Apologia dellEdippo di Sofocle contra la censura del sig. di
Voltaire del 1725 2, sia soprattutto la sua opera pi nota, il Paragone
172

della poesia tragica dItalia con quella di Francia, del 1732, opera che
sar ancora lodata da Giosu Carducci. Attraverso un comune amico
letterato, Caspar von Muralt, era entrato in contatto con Johann Jacob
Bodmer, e col critico e teorico svizzero ebbe un interessante carteggio
sui problemi del gusto, della catarsi tragica, della fantasia e del meraviglioso. Le lettere furono pubblicate da Bodmer in traduzione tedesca, assieme alle proprie, nel 1736 (Brief-wechsel von der Natur des
poetischen Geschmacks, Zurigo). E gli originali italiani sembrarono per
lungo tempo irrintracciabili, dopo che erano stati localizzati in una
biblioteca svizzera allinizio del Novecento da Leone Donati, finch
non sono stati localizzati e pubblicati allinizio degli anni Sessanta da
Rinaldo Boldini 3.
Di contro a Bodmer, che a questa altezza cronologica difende strenuamente una posizione razionalistica, e attacca apertamente il sensualismo, Calepio sostiene nelle sue lettere una posizione sensualistica moderata. Il gusto, la capacit di giudicare del bello, essenzialmente una
affare di sentimento. In quella guisa che il gusto significa propriamente laffezion del palato e buon gusto altro non che la perfetta
disposizione degli organi nel distinguere le impressioni de cibi, cos
metaforicamente per gusto sesprime il sentimento che riceve lanimo
per opera della elocuzione, e per buon uso quel discernimento che
con laiuto della ragione conosce le perfezioni e i difetti della medesima [] le sentenze, le figure, i motti, le digressioni, la propriet delle
voci, i colori e larmonia del numero, e finalmente leccitamento delle passioni conformi a temperamenti sono cose tutte idonee a dilettar
lanimo nostro, come recano grato sapore al palato le configurazioni
delle vivande ad esso proporzionate 4. Mentre Bodmer restava legato allidea che della poesia e della bellezza in genere si giudica secondo
sane conclusioni della ragione, Calepio argomentava con vigore che
la poesia agisce innanzi tutto sul senso, per impressione sensibile,
che leloquenza persuade attraverso ragione e diletto, ma solo questultimo il suo mezzo specifico. Le idee sensibili operano con molta
pi forza di quelle intellettuali, limmaginazione tutta sensuale, e
le opere darte agiscono su di noi in primo luogo eccitando le passioni. E se Bodmer riteneva che solo chi conosce le regole e i principi
della poesia pu esserne buon giudice, Calepio difendeva la capacit
di giudizio del lettore o ascoltatore comune, che d voce alla impressione prodotta in lui dalla raffigurazione delle passioni altrui: Convien dunque per mio avviso stabilire che, oltre il diletto prodotto dalla
considerazione dellarte, havvene un altro proprio de sensi, e maggiore, comne al popolo e alli dotti, il qual consiste in sentirsi secondare
linterna commozione dalle immagini delle passioni altrui, e che questo opera immediatamente, eccitando il pianto e preoccupando [cio
anticipando] loperazione dellintelletto, che in ci non ha parte 5.
173

Non difficile scorgere la vicinanza di queste affermazioni di Calepio con le posizioni sostenute da Du Bos nelle Riflessioni. Anche Du
Bos convinto che a giudicare della bellezza sia un sesto senso o sentimento: Il senso che decide se limitazione che ci viene mostrata in
un poema o nella composizione di un quadro ci suscita compassione
e ci intenerisce lo stesso che viene intenerito e che giudica loggetto
imitato; anche lui convinto che quando loggetto realmente toccante [] il cuore si emoziona spontaneamente e con un moto che
precede ogni riflessione [] Si piange per una tragedia prima di aver
considerato se loggetto presentatoci dal poeta tale da commuoverci e se bene imitato. Il sentimento ci spiega cos prima che labbiamo esaminato 6. Du Bos pi radicale di Calepio, che tende sempre
a salvare una qualche collaborazione o compresenza dellintelletto o
ragione nellattivit estetica, laddove Du Bos insiste sullautosufficienza
del senso o sentimento, come nel celebre passo sul ragot: Si usa forse la ragione per stabilire se un intingolo buono cattivo? Si discute
forse mai della giusta quantit e qualit di ogni ingrediente che serve
per realizzare una ricetta, basandosi sui principi geometrici del sapore, prima di decidere se un intingolo buono? No, si assaggia il manicaretto e anche senza conoscere le regole si capisce che buono.
Da qui discende la strenua convinzione di Du Bos, che il pubblico comune in grado di giudicare larte come e pi degli esperti: il ragionamento dice molto di pi sullimpatto che lopera ha su di noi di tutte le dissertazioni dei critici, che ne giudicano il valore valutando pregi
e difetti e dunque la platea, senza conoscere le regole, pu giudicare
un lavoro teatrale quanto la gente del mestiere 7.
Certo, somiglianze e parallelismi non sono ancora prove di un influsso diretto. Calepio non cita mai Du Bos, e ci senza dubbio strano, se si pensa che le Riflessioni gli avrebbero offerto in pi punti il
sostegno dellautorit di un terzo, peraltro gi noto al pubblico italiano
per la sua opera di argomento politico sugli Interessi dellInghilterra 8.
Nella seconda lettera a Bodmer d una serie di ragguagli al suo corrispondente, citando molti commentatori cinquecenteschi della Poetica
di Aristotele, Antonio Muratori e soprattutto Gianvincenzo Gravina,
ma non il teorico doltralpe, e Benedetto Croce ebbe a notare che alcuni dei temi che abbiamo segnalato provenivano a Calepio proprio
dalla tradizione dellestetica italiana 9. Dal canto suo, Mario Fubini si
spinto a negare ogni rapporto tra Du Bos e Calepio, sostenendo che
litaliano affatto estraneo al mondo dellabate lockiano e [] lopera sua ha le sue radici e la ragion dessere nelle discussioni della prima Arcadia, e quanto allaffinit che pu ben essere notata tra lui e il
Du Bos per la concezione del gusto e del piacere estetico, si dovr
ritenere che il problema fosse un portato della maturit dei tempi e
che luno ben potesse affrontarlo indipendentemente dallaltro 10.
174

Ma forse questa conclusione eccessiva. Nel carteggio con Bodmer


vi sono pi punti in cui il critico svizzero sembra adombrare direttamente il trattato di Du Bos (vedi per esempio il riferimento al ragot
nella risposta alla seconda lettera di Calepio, o laccenno al gusto come
una specie di sesto senso nella terza lettera), quasi assimilando il pensiero del suo corrispondente a quello del teorico pi famoso, che daltra parte litaliano forse non ricordava a bella posta, per salvaguardare quel sensualismo pi cauto e temperato di cui voleva farsi portavoce. Certo che le opinioni di Calepio sulla superiorit del giudizio del
fruitore comune rispetto al teorico sono stranamente consonanti con
quelle di Du Bos. Senza nulla togliere al ruolo esercitato da Calepio
nello sviluppo delle idee settecentesche sul gusto, senzaltro possibile,
e forse anche probabile, che egli sia entrato in contatto, direttamente
o indirettamente, con Du Bos e ne abbia tratto qualche suggestione.
Una situazione simile simile, voglio dire, perch anche qui abbiamo
delle affinit ma non la prova inconfutabile di un influsso diretto si
presenta anche nel caso dellaltro nome che va fatto per la prima met
del Settecento, che quello dellabate Antonio Conti. Questo dotto
padovano, nato nel 1677 e morto nel 1749, noto soprattutto per i
suoi studi filosofici e per la sua opera di divulgatore delle scienze, e in
particolare per il ruolo che svolse nella disputa tra Leibniz e Newton
sulla scoperta del calcolo infinitesimale: una monografia di Nicola Badaloni ne ha approfondito, da questo punto di vista, i numerosi elementi di interesse 11. Ma, sebbene Conti si sia occupato a lungo di
estetica, il suo contributo in questo ambito resta ancora ampiamente
non indagato, e non facilmente ricostruibile visto lo stato dei suoi scritti in proposito 12: molti dei lavori su questo argomento (tra cui il Trattato dellimitazione, quello sui Fantasmi poetici, il Discorso sulla italiana
poesia e le pagine sul Fracastoro e sul Gravina) furono editi solo postumi, nel secondo volume delle Prose e Poesie, stampato a Venezia nel
1756 a cura di Giuseppe Toaldo, ma in una forma curiosa, che mescola esposizione indiretta e stralci dai manoscritti con il diretto dettato
contiano.
Conti, dopo aver lasciato la vita religiosa, trascorse lunghi periodi
allestero, in Inghilterra, Germania, Olanda, ma soprattutto fu a lungo a Parigi, dapprima negli anni 1713-1715, poi per ben otto anni, dal
1718 al 1726. Attraverso lepistolario abbiamo la prova che Conti conobbe Du Bos e fu con lui addirittura in rapporti di amicizia 13, e del
resto sappiamo che Conti si interess alla disputa tra Antichi e Moderni. Nella lettera al Marchese Maffei del 1714, scrive: quando giunsi a
Parigi per la prima volta, si disputava con lo stesso ardore sullIliade
di Omero e sulla costituzione di Clemente XI. I partigiani degli Antichi e dei Moderni erano alle mani e io paragonavo volentieri le loro
175

dispute a combattimenti dei Troiani e dei Greci 14. Difficile pensare che non si sia imbattuto fin dallinizio in uno dei pi autorevoli
esponenti del partito degli Antichi, quale Du Bos fu.
Certo, se si prendono gli scritti tardi di Conti sulla poetica e lestetica, non si riscontra una particolare affinit con il pensatore francese,
anzi Conti si mostra scrittore bens tendenzialmente eclettico, ma
orientato comunque verso una forma di platonismo e di intellettualismo abbastanza tradizionali, come dimostra la sua definizione della
bellezza in termini di accordo d proporzioni, di parti e di colori, che
nel modo pi facile e pi vivo rappresentano gli usi per i quali destinato per natura il corpo unito alla mente (lettera al Ceratti). Ma il
Conti non aveva sempre seguitato tale orientamento. Le concezioni
della poesia che aveva elaborato durante il soggiorno parigino, sicuramente per via dellinflusso del pensiero francese, erano orientate piuttosto verso una forma di sensualismo pronta a riconoscere i diritti del
sentimento. Se si legge ad esempio la lettera alla Presidentessa Ferrante, del 1719, il tono e i temi sono ben diversi. Conti imposta innanzi
tutto il confronto tra poesia e pittura, sottolineando che anche la prima deve tendere a trasformare tutto in immagini (la posie a ses
images comme la peinture, la posie nest moins peinture que la
musique); ritiene che il sentimento e il gusto siano indefinibili, e che
gli individui che ne sono privi siano come ciechi e sordi; polemizza
con unidea troppo ristretta di verosimiglianza rivendicando limportanza delle passioni e scrivendo che per natura va inteso non seulement ce qui esiste rellement hors de nous: mais aussi tout ce quoi
les hommes dun certain sicle et dun certain pays ont donn lexistence, soit par la force de leurs prejugs, soit par la certitude de leur
croyance. Non a torto, insomma, Croce scriveva nella parte storica
della Estetica del 1902 che Antonio Conti in un primo periodo aveva professato idee non dissimili da quelle del Du Bos, e il nome dellautore delle Rflexions viene evocato anche da Ferruccio Ulivi per
spiegare laccento posto sul sentimento in questi scritti dellabate padovano 15.
Passando alla seconda met del Settecento, con il diffondersi in
Italia delle teorie del sensismo e dellempirismo lockiano, gli autori da
prendere in considerazione si moltiplicano. Per questo periodo disponiamo di uno studio specifico, il saggio di Norbert Jonard Labb Du
Bos en Italie 16. La tesi di Jonard che linfluenza di Du Bos nel secondo Settecento italiano sia andata al di l dei testi di poetica e di
estetica, e sia rintracciabile in molti letterati. In particolare, Jonard si
sofferma su Gaspare Gozzi, su Carlo Goldoni e su Giusepe Parini.
Cominciando la sua analisi dal maggiore dei due fratelli Gozzi, Jonard nota quanto sia in lui presente il tema del confronto tra poesia e
176

pittura, specialmente nel Dialogo tra Aristofane e il Mantegna. Certo,


lut pictura poesis un principio cos diffuso che difficilmente pu essere sufficiente a provare un rapporto con Du Bos, ma Jonard ritiene
che Gozzi per sostenerlo faccia ricorso al vocabulaire de la philosophie sensualiste, attinto in particolare dalle Rflexions. Lindizio, per
la verit, tenue, come tenue laltro identificato da Jonard, ossia laccento posto dal Gozzi, nella secolare disputa sul primato tra docere e
delectare come scopi della poesia, sul momento del piacere. Infatti Jonard sembra trascurare la presenza di una tradizione italiana di privilegiamento del momento del piacere su quello dellinsegnamento (Robortello, Castelvetro), che rende, se non inammissibile, certo poco probante il rinvio al teorico doltralpe. Del resto lo stesso Jonard pi che
esitante, in proposito: Les rapprochements tablis nous autorisent-ils
faire du rdacteur de lOsservatore Veneto un disciple de Du Bos ou,
dune faon plus gnrale, des empiristes franais ? Il ne nos semble
pas douteux que les thmes traits et les termes employs doivent quelque chose lesthtique franaise du XVIIIe sicle, mais nous ne pouvons enfermer Gozzi dans un systme 17. Anche nel caso di Goldoni non si va oltre il genericissimo confronto tra poesia e pittura, e anche qui la conclusione molto pi dubitativa dellesordio: la source
de la vulgarisation de ce principe, nous retrouvons labb Du Bos, mais
il serait vain de rechercher ici une influence directe 18.
Il confronto condotto sulle opere di Parini d qualche risultato in
pi. Qui non c infatti solo il generico orientamento sensistico del
poeta italiano a costituire lo sfondo, ma anche qualche riscontro testuale pi preciso. Per esempio, Parini non solo richiama il bisogno
che abbiamo di essere sempre occupati e di fuggire in ogni modo la
noia, che notoriamente il tema da cui prendono inizio le Rflexions,
ma cita anche gli spettacoli gladiatori, proprio come fa Du Bos nella
seconda sezione della prima parte: Nulla, dopo di ci, pi atto ad
interessare e a commuovere lanima nostra che lo spettacolo de mali
e de pericoli de nostri simili. [] Ecco perch lanfiteatro di Roma
ingoiava per tate gole un tanto infinito numero di popolo 19. Tra Parini e Du Bos si instaurerebbe, questo il parere di Jonard, una sorta di
parallelismo evolutivo, una simmetria nellitinerario estetico: entrambi
muoverebbero da una posizione classicistica, dalla passione per gli
Antichi, per sviluppare poi una sensibilit nuova per la poesia, il cui
compito viene tutto ricondotto alla necessit di suscitare passioni e
piaceri 20.
Tra i teorici, Jonard dedica qualche attenzione al solo Bettinelli, ma
anche qui trova quasi soltanto raffronti estrinseci od ovvii, come ad
esempio sulla impossibilit delle traduzioni della poesia. Eppure Bettinelli, col suo orientamento sensistico e con la sua opposizione alle
regole e alle precettistiche offre qualcosa di pi, e certamente fu in177

fluenzato da Du Bos nella sua rivendicazione del gusto come opposto


allintelletto, e vicino alla passione e al sentimento. Riscontri ancor pi
precisi si possono trovare allargando lindagine ad altri teorici del secondo Settecento, non presi in considerazione da Jonard. Guido Morpurgo-Tagliabue, nel suo lavoro sulla storia del gusto, segnala una
prossimit tra la teoria dellarte come espressione dellamor proprio e
della ricerca del piacere, sostenuta da Giuseppe Spalletti, e le posizioni
dubosiane; e in effetti nel Saggio sopra la Bellezza si trova pi di una
eco di Du Bos, come ad esempio accade nel capitolo XV in cui Spalletti cerca di rispondere alla domanda sul perch le cose tetre e malinconiche ci piacciano evocando motivazioni non dissimili da quelle offerte dalle Rflexions per rispondere alla stessa domanda 21. Una
vera e propria reminiscenza diretta sembra affacciarsi nello scritto di
Pietro Verri su La Musica, pubblicato nel Caff del 1766, l dove
Verri oppone il giudizio del vasto pubblico a quello degli esperti, dei
professori: Io distinguo molto scrive Verri riecheggiando la sezione XXII del secondo libro delle Riflessioni il giudizio de professori
dal giudizio degli omini che sono particolarmente affezionati alla musica []. I professori per lo pi anzich abbandonarsi senza prevenzione allazione della musica e di giudicarne leffetto che fa nellanimo
(il che sogliono gli uomini sensibili alla musica considerare per lunica e vera pietra di paragone) invece esigono dal musico quel genere di
maestria, che lamor proprio ha fatto che preferissero ad ogni altro 22.
Corrispondenze ancora pi strette si riscontrano con il Saggio del gusto e delle belle arti del napoletano Mario Pagano, composto nel 1783.
Pagano vuole appellarsi non ai dotti e agli esperti, ma alle persone comuni, di gusto e sentimento. Il gusto ha un legame ineliminabile col
piacere, e larte produce il piacere innanzi tutto discacciando la noia e
venendo incontro al nostro bisogno di tenere comunque occupato lo
spirito. Che sono in gran parte le giustificazioni dellarte addotte da
Du Bos proprio allinizio del suo trattato di sessantanni prima 23.
Infine, due lavori recenti hanno richiamato lattenzione sullinflusso
che le teorie dubosiane ebbero sul nostro massimo poeta del Settecento, Pietro Metastasio. Ci riferiamo alla edizione moderna dellEstratto
dellArte Poetica dAristotile, curata da Elisabetta Selmi nel 1998, e al
saggio di Elena Sala Di Felice Non solo i classici: Metastasio lettore
delle Rflexions critiques sur la posie et sur la peinture di Jean-Baptiste Du Bos, letto al convegno metastasiano del medesimo anno e
pubblicato poco dopo 24. La Di Felice ha identificato le circostanze
che permettono di fissare un terminus a quo per la conoscenza delle
Riflessioni da parte di Metastasio. Nei Comptes rendus del Conte Luigi
Malabaila di Canale, giunto a Vienna nel 1737 in qualit di Ambasciatore del re di Sardegna, troviamo infatti non soltanto un ampio rias178

sunto delle Rflexions, ma anche leco di alcune discussioni sullopera di Du Bos intrattenute con une personne qui peut en juger aussi
bien quhomme au monde e che Di Felice, con buoni argomenti, ritiene essere stato appunto Metastasio. Nelle lettere del quale si trova
ripresa, ad esempio, la teoria dubosiana dellarte come rimedio alla
noia, mentre nelle opere poetiche troviamo adombrata in pi di una
circostanza una convinta adesione allidea del piacere, del diletto come
vero fine della poesia, con uninflessione che ci riporta alle teorie sensistiche e sentimentalistiche di Du Bos.
Un esame dellEstratto dellArte Poetica, scritto da un Metastasio
ormai anziano, e pubblicato solo dopo la morte di lui, conferma i rapporti con le Riflessioni. Bench Metastasio non citi mai Du Bos accanto agli altri teorici che pure ricorda (Bacone, Scaligero, Hensius, Dacier), egli si appoggia a lui quando si tratta di rivendicare il ruolo delle
passioni nel dramma. In generale, Metastasio innesta i motivi dubosiani (per esempio il tema della noia da rifuggire, o lindebolimento del
verisimile a favore del fantastico) sulla base graviniana della sua formazione. Anche Metastasio, inoltre, condivide largomento dubosiano a
favore del pubblico e contro il parere degli esperti, come leggiamo nel
capitolo XVII del suo Estratto: Ed infatti, ove ben si ragioni, il voto
del popolo, a riguardo della poesia, dun peso indubitabilmente molto pi considerabile che altri non crede. Il popolo , per lordinario, il
men corrotto dogni altro giudice. Non seduce il suo giudizio rivalit
dingegno, non ostinazione di scuola, non confusine dinutili, di falsi,
di male intesi precetti, non voglia di far pompa derudizione, non malignit contro i moderni mascherata didolatria per gli antichi, n alcun
altro de tanti velenosi affetti del cuore umano, fomentati, anzi bene
spesso prodotti dalla dottrina, quando non giunge ad esser sapienza.
Legge ed ascolta il popolo i poeti unicamente per dilettarsi; non se ne
compiace se non quando sente commoversi e, bench singanni il pi
delle volte quando pretende di spiegar le cagioni del suo compiacimento, non singanna perci in lui giammai la natura, quando si risente allefficacia de non conosciuti impulsi che lhan commossa 25.
Nel diciannovesimo secolo, con il mutato orientamento della filosofia e dellestetica italiane, il nome di Du Bos sar quasi dimenticato.
Bisogner attendere la parte storica dellEstetica di Croce per vedere
riconosciuto il ruolo svolto dal sensualismo di Du Bos nello sviluppo
della disciplina. Ma Croce, se da un lato segnalava limportanza della
rivendicazione dubosiana dellimmaginazione e del sentimento, dallaltro non poteva non considerare il sensualismo dubosiano superato dagli sviluppi successivi dellestetica, ragione per cui, prima di trovare
nel Novecento un confronto critico di ampio respiro con lestetica di
Du Bos, bisogner arrivare alleclissi delle prospettive crociane e dun179

que alla seconda met del secolo scorso, con la monografia di Enrico
Fubini Empirismo e classicismo. Saggio sul Du Bos e i saggi di E. Caramaschi 26. Il resto, cio gli studi sullestetica settecentesca di Migliorini, Bollino, Franzini 27, sono storia recente, o meglio sono unaltra
storia, quella della valorizzazione contemporanea del pensiero estetico
di Du Bos: una valorizzazione di cui ledizione completa delle Rflexions nella nostra lingua rappresenta in qualche modo il punto di arrivo e il coronamento.

1 A. Lombard, LAbb Du Bos, un initiateur de la pense moderne, Paris 1913 (reprint


Genve, Slatkine, 1969), pp. 348-49 : la dottrina sensualista delle Riflessioni fu adottata da
critici intelligenti come il Conte di Calepio. Lombard cita fra gli Italiani anche Francesco Saverio Quadrio (lautore della Storia e ragione di ogni poesia) e Algarotti, ma solo per negare
un possibile influsso, almeno diretto, di Du Bos sulle loro dottrine.
2 Ne esiste una edizione moderna, a c. di M. Scotti, nel Giornale storico della letteratura italiana, 1962 (CXXXIX), pp. 392-423.
3
P. Calepio, Lettere a J. J. Bodmer, a c. di R. Boldini, Bologna, Commissione per i testi
di Lingua, 1964. Per maggiori informazioni sulle vicende del Carteggio, mi permetto di rinviare a quanto ho scritto in Il gusto in Italia e Spagna dal Quattrocento al Settecento, nel volume a c. di L. Russo Il Gusto. Storia di unidea estetica, Palermo, Aesthetica, 2000, in particolare alle pp. 27-31
4 P. Calepio, Lettere, cit., p. 7.
5
Ivi, p. 84.
6 Du Bos, Riflessioni, libro II, sez. 22
7 Ibidem.
8
Les Intrts de lAngleterre mal entendus dans la guerre prsente, pubblicata ad Amsterdam nel 1703 e tradotta nel 1711.
9 B. Croce, Efficacia dellestetica italiana sulle origini dellestetica tedesca, in Id., Problemi di Estetica, Bari, Laterza, 1966, p. 373.
10 M. Fubini, Recensione a R. Boldini, J. Bodmer e P. di Calepio. Incontro della Scuola
Svizzera con il pensiero estetico italiano, Milano, Universit Cattolica del Sacro Cuore, 1953,
in Giornale Storico della Letteratura Italiana, 1956 (CXXXIII), pp. 621-28.
11 N. Badaloni, Antonio Conti. Un abate libero pensatore tra Newton e Voltaire, Milano,
Feltrinelli, 1968; Badaloni ha anche curato il volume A. Conti, Scritti filosofici, Napoli, Fulvio Rossi, 1972
12 Sullestetica di A. Conti si veda M. Melillo, Lopera filosofica di Antonio Conti, Venezia
1911; A. Bobbio, Il pensiero estetico di Antonio Conti, Roma 1941; G. Gronda, Lopera poetica di Antonio Conti, in Giornale storico della letteratura italiana, 1964.
13 Si veda A. Conti, Lettere da Venezia a Madame la Comtesse de Caylus, 1727-1729, a c.
di S. Mamy, Firenze, Olschki, 2003.
14
A. Conti, Lettera al Marchese Maffei, in Id., Prose e Poesie, vol. II, Venezia, Giambattista Pasquali, 1756.
15 B. Croce, Estetica come scienza dellespressione e linguistica generale, Bari, Laterza,
1965, p. 260; F. Ulivi, A. Conti e il classicismo del primo Settecento, in Lettere Italiane,
1955, VII, pp. 145-73).
16 N. Jonard, Labb Du Bos en Italie, in Revue de littrature compare, 1963, pp. 177201.
17 Ivi, p. 182.
18 Ivi, p. 186.
19
Ivi, p. 192.
20 Ivi, p. 199.
21 G. Morpurgo Tagliabue, Il concetto di gusto nellItalia del Settecento, ora in Id., Il
Gusto nellestetica del Settecento, a c. di L. Russo e G. Sertoli, Palermo, Aesthetica Preprint:

180

Supplementa, 11, 2002, p. 66; e cfr. G. Spalletti, Saggio sopra la bellezza, a c. di P. DAngelo, Palermo, Aesthetica, 1992, pp. 64-66.
22 P. Verri, La Musica, ora in P. Verri, Opere Varie, a c. di N. Valeri, Firenze, Le Monnier, 1947, p. 168.
23
M. Pagano, Saggio del gusto e delle belle arti, in Id., Saggi politici, vol. II, Napoli 1785.
24 P. Metastasio, Estratto dellArte Poetica dAristotile, a c. di Elisabetta Selmi, Palermo,
Novecento, 1998; E. Sala di Felice, Non solo i classici: Metastasio lettore delle Rflexions critiques sur la posie et sur la peinture di Jean-Baptiste Du Bos, in M. Valente (a c. di) Legge
Poesia Mito. Giannone Metastasio e Vico fra tradizione e trasgressione nella Napoli degli Anni
Venti del Settecento, Atti del Convegno internazionale di Studi, Napoli 1998, Roma, Aracne,
2001, pp. 247-80.
25 P. Metastasio, Estratto dellarte poetica dAristotile, cit., p. 139.
26 E. Fubini, Empirismo e classicismo. Saggio sul Du Bos, Torino, Giappichelli, 1965; E.
Caramaschi, Arte e critica nella concezione dellabate Du Bos, in Rivista di letterature moderne e comparate, 1959, n. 2.
27 E. Migliorini, Studi sul pensiero estetico del Settecento, Pisa 1966; F. Bollino, Ragione
e Sentimento. Idee estetiche nel Settecento francese, Bologna, Clueb, 1991; E. Franzini Lestetica del Settecento, Bologna, Il Mulino, 1995.

181

Du Bos e la critica del sentire


di Giovanni Matteucci

Pur essendo termine estetico per eccellenza, il verbo sentire spesso appare con connotazioni ambigue allinterno delle riflessioni estetiche. Maniere diverse di liquidarlo sono testimoniate da molti scritti di
filosofia dellarte. Il motivo comune di tali liquidazioni talvolta sbrigative che scopo di buona parte di questi scritti sembra quello di separare con radicalit luniverso elevato dellarte dalluniverso basso
della sensorialit. Di conseguenza si sottolinea con la massima cura che
laisthesis connessa alle opere darte non la medesima aisthesis che
consente di assaporare un buon piatto o di sorseggiare un vino prelibato. Limpiego del verbo sentire o dei derivati dal corrispondente
etimo greco risulta pertanto confinato nel perimetro della metaforicit. , sembra, per metafora che si parla del modo in cui vediamo lintensit di un dipinto, oppure sentiamo la forza del movimento di una
sinfonia, oppure godiamo del nitore di un verso, ed sempre per metafora che addirittura parliamo di filosofia dellarte in quanto estetica.
Di pi. Molti di coloro che sostengono questa impostazione sembrano addirittura restii a riconoscere anche solo identit di rapporti, ovvero analogie, tra lo stato di cose del sentire in accezione propria (o
propriamente estetica) e lo stato di cose del sentire in accezione traslata (o filosoficamente estetica), e dunque ricorrono a metafore di cui
per rinnegano i nessi analogici con le realt desperienza propriamente designate dai termini in questione.
ovvio che con il mio intervento vorrei portare lattenzione su una
differente gestione di questi problemi. Ed altrettanto ovvio che intendo farlo usando come sponda le Rflexions di Du Bos. Meno ovvio
forse cosa possa significare inscrivere queste considerazioni in una
critica del sentire, oltre che determinare il rapporto che sussiste tra
tale critica e lopera dubosiana.
Enigmi della sensazione In realt, per quel che riguarda la critica del sentire, in questo intervento mi soffermer su pochissimi elementi, e prevalentemente su una questione concettuale. Una lunga tradizione filosofica insiste sullendiadi sensazione-percezione cercando di
volta in volta di sottolineare nessi o contrasti tra le due componenti.
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Ci perch il binomio sensazione-percezione ammette due schemi di


soluzione: per alcuni filosofi sentire per natura altro dal percepire;
per altri filosofi latto del sentire il nucleo germinale della percezione. Al di l delle diverse letture per la distinzione stessa che merita
attenzione. Essa infatti presuppone comunque una subordinazione tra
due momenti, il primo dei quali appare pi povero dellaltro in quanto
ci che si considera meramente sentito risulterebbe meno carico, dal
punto di vista esperienziale prima che conoscitivo, rispetto a ci che si
considera integralmente percepito. A giustificare tale subordinazione
la convinzione di dover isolare eventuali elementi meramente passivi
interni allesperienza. La sensazione sarebbe appunto il momento di
passivit nellapprensione di un oggetto, da tenere distinto dallorizzonte pi ampio della percezione in cui intervengono anche fattori
attivi, magari talvolta imputabili alla concettualit. Distinguere tra sensazione e percezione ha quindi rilievo, e senso, in una dottrina dellaisthesis che prevede un primo livello di assoluta passivit nel contatto
tra uomo e mondo, a cui contrapporre o da cui derivare la maggiore
pienezza della percezione.
quanto stabilisce magistralmente per lintero arco della modernit Descartes. In particolare, nel suo trattato sulle passioni (parte I,
artic. XXIII) egli individua nel riferimento oggettuale lelemento discriminante tra il semplice avvertire le qualit sensoriali delle cose e il
connetterle causalmente agli oggetti pertinenti. Secondo la descrizione
cartesiana, le percezioni che riferiamo alle cose che sono fuori di noi,
cio agli oggetti dei nostri sensi, sono causate (almeno quando la nostra opinione non falsa) da questi oggetti che, eccitando alcuni moti
negli organi dei sensi esterni, ne eccitano anche, mediante i nervi, nel
cervello e <questi moti> fanno s che lanima li senta. Lesempio addotto subito dopo da Descartes chiarisce perfettamente il punto, in
quanto marca quella distinzione tra oggetto (la fiaccola e la campana
dellesempio) e relative qualit sensoriali (la luce e il suono dellesempio) che costituisce un presupposto essenziale per la concezione passiva del sentire: cos, quando vediamo la luce di una fiaccola e quando udiamo il suono di una campana, questo suono e questa luce sono
due diverse azioni, per il solo fatto che eccitano due diversi movimenti
in alcuni dei nostri nervi e, per loro mezzo, nel cervello, dnno allanima due diversi sentimenti [passivit del sentire], che noi riferiamo in
modo tale agli oggetti che supponiamo essere loro causa [compimento attivo del percepire], che pensiamo [principio di traslazione metaforica e insieme di illusoriet] di vedere proprio la fiaccola e di udire la
campana, non di sentire soltanto i movimenti provenienti da esse (R.
Descartes, Opere filosofiche, a cura di E. Lojacono, Utet, Torino, 1994,
vol. II, p. 609). Insomma, volendo seguire queste indicazioni, sentiamo
passivamente le qualit sensoriali e percepiamo invece attivamente gli
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oggetti, bench soltanto in virt di una proiezione a rischio di illusoriet poich assorbita nella dimensione noetica e priva di ogni garanzia in chiave estetica. In altri termini, solo per metafora sentiamo le
cose che percepiamo nel mondo. Il soggetto, quando sente, propriamente sente solo se stesso, avvertendo le modificazioni interne che
subisce e che poi sollecitano il meccanismo proiettivo della percezione. Le qualit sensoriali al pi funzionano come segni da abbinare ai
contenuti del mondo. Cristallino e radicale fu quindi von Helmholtz
quando, due secoli dopo Descartes, teorizz la natura semiotica della
sensazione.
Nei cento anni che seguirono alla pubblicazione dei capolavori cartesiani si assistito al consolidamento di interpretazioni che, pur confliggendo su molti aspetti, condividevano la fiducia nellevidenza naturale di alcuni elementi portanti della metafisica della res cogitans come,
appunto, la concezione passiva della sensazione. Sul versante razionalista come pure sul versante empirista il sentire sembra sempre risolversi in unacquisizione discreta di materiale disaggregato che priva
di oggettivit e di obiettivit in quanto dipende dalla imprevedibile
circostanzialit in cui luomo di volta in volta entra in contatto con il
mondo. Materialit sive soggettivit diviene la cifra negativa che affligge il sentire e la sensazione.
A ben vedere, quando la filosofia dellarte sviluppa il tema del sentire secondo la sua consolidata metaforica metafisico-spiritualista,
mossa dal timore di cadere succube dei medesimi spettri. La sua sembra una reazione, interna alle coordinate cartesiane, dettata dal riscontro del coinvolgimento attivo che ci procura larte, palesemente irriducibile alla mera passivit di unaisthesis di per s ritenuta priva di ogni
dinamica poietica. In una cornice speculativa di tal genere si stenta a
riconoscere rilievo teoretico allesteticit, e dunque posizione paritetica
allestetica rispetto a logica, metafisica o epistemologia. Ecco perch,
quando anche si verifica il caso non pacifico che allarte venga conferito un valore significativo, diventa obbligatorio curarne laffrancamento dal sentire e dalla sensazione. Ed ecco perch in et moderna la
riflessione sullarte ha vissuto spesso su un curioso pregiudizio antiestetico. Infatti, chi assume tale atteggiamento non pu che ritenere incommensurabile laistheton rispetto alle pretese di validit extra-materiale ed extra-soggettiva dellarte.
Teoreticamente anche pi grave per il fatto che cos si sottomette laisthesis a una funzione semiotica che riflesso del prevalere di un
modello di tipo nominalista. Come la vox materiale vettore iconico
o significante linguistico signum che per convenzione (senza alcuna
garanzia di validit intrinseca) denota unidea, cos il contenuto materiale della sensazione signum che soggettivamente (ancora, senza garanzia di validit intrinseca) viene riferito a un ente esteticamente inar185

rivabile. Nellun caso come nellaltro gli atti si compiono mediantibus


conceptibus, laddove per i concetti sono tuttaltro che dinamiche operative, essendo invece entit rappresentazionali stabili al punto da costituire il contenuto ipostatico e sostanziale di unesperienza ridotta a
riscontro, e dunque a conoscenza.
In tal senso, il destino moderno della sensazione determinato dal
modello semiotico sotto cui viene sussunto il riferimento delle qualit
sensoriali agli oggetti pertinenti. Si delinea un impianto in cui quanto
pi un segno (dato sensoriale, vettore iconico o significante linguistico) definito dalla sua presenza materica, tanto pi esso si associa a
un designato per labile legame convenzionale, tanto pi pertanto la
sua validit soggettiva, tanto pi infine il suo utilizzo esposto allalea della illusoriet.
Primo motivo dubosiano: lolismo del sentire Le Rflexions di Du
Bos costituiscono un referente per la critica del sentire perch mostrano il pensiero estetico in una fase in cui limpianto appena delineato
non si ancora del tutto consolidato. Pur essendo organicamente inserito nella cultura francese post-cartesiana, Du Bos si muove lungo
direttrici tendenzialmente in conflitto con importanti capisaldi della
metafisica della res cogitans. Al tempo stesso, pur invocando il ricorso al banco di prova dellempiria quale livello decisivo per le questioni
che indaga, il suo pensiero rivela tratti incompatibili con lempirismo
classico. Per mettere in rilievo alcune conseguenti peculiarit delle Rflexions mi servir della lettura dellopera che d Ernst Cassirer nellultimo capitolo della sua Filosofia dellIlluminismo. Si tratta di una lettura interessante anche perch rientra in un alveo speculativo che ha
nella critica della teoria della sensazione di derivazione cartesiana un
momento teoreticamente qualificante (come ho cercato di mostrare nel
saggio introduttivo a E. Cassirer, Tre studi sulla forma formans,
Clueb, Bologna, 2003).
Con lultimo capitolo della sua Filosofia dellIlluminismo, intitolato I problemi fondamentali dellestetica (cfr. la nuova ed. it., Sansoni, Firenze, 2004, pp. 259-336), Cassirer vuole mostrare come lestetica
moderna sia sorta intrecciando nella sua corda fili provenienti da tradizioni diverse. In qualche modo, dunque, sono pagine che ampliano
la ricostruzione della costituzione della concezione estetica della forma
nella cultura tedesca del Settecento splendidamente effettuata nel 1916
in Libert e forma (ed. it. Le Lettere, Firenze, 1999, pp. 101-68), e
anticipano il quadro generale della storia dei problemi estetici dallantichit alla contemporaneit schizzato nel tardo Saggio sulluomo del
1944 (ed. it. Armando, Roma, [1968] 1986, pp. 243-90).
Il capitolo cassireriano del 1932 attribuisce un peso consistente a
Du Bos nel processo di maturazione dellestetica moderna. Sono tre le
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riprese delle Rflexions, e tutte possiedono valore strategico. In primo


luogo (pp. 279-81), Cassirer coglie nellopera dubosiana una caratteristica curvatura antropologica, grazie alla quale essa prende le distanze dal classicismo di Boileau e pone al centro dellindagine estetica lo
statuto della natura umana e dei relativi condizionamenti empirici e storici. Il tema importante, ma preferisco qui limitarmi a un accenno.
In secondo luogo (pp. 284-86), Cassirer sottolinea che il fulcro della concezione dubosiana dellesperienza estetica si trova al di l dellopposizione gnoseologica soggetto-oggetto. Con studiata precisione,
egli nota che nelleffetto intorno a cui ruota lindagine di Du Bos trova
riscontro non gi un elemento soggettivo, quanto piuttosto il campo
complesso da cui lastrazione analitica ritaglia le regioni della soggettivit e delloggettivit. un rilievo importante per la critica del sentire, sia perch ridefinisce in modo non soggettivista la nozione di sentimento, sia perch scardina il binomio sensazione-percezione che presuppone lalternativa ontologica tra io e mondo. A differenza delle
tradizioni cartesiane, osserva Cassirer, in questa analisi dellimpressione estetica lio e loggetto si stanno di fronte come coefficienti ugualmente necessari e giustificati (p. 285). Potrebbe allora essere carattere
del campo, e non proiezione del soggetto, la carica semantica di cui
risultano dotati i cosiddetti dati sensoriali nella pienezza dellesperienza. Alla luce di questa apertura, giustificato dire che, sebbene ancora
Du Bos non parli di un atto estetico in cui viene afferrata la cosa in
carne e ossa, nelle sue Rflexions c la tendenza ad attribuire un connotato olistico al sentire. Del resto, lo conferma anche il rilievo dubosiano della corrispettiva capacit delle parole di veicolare, oltre allinformazione, modalit e intonazioni desperienza.
Al medesimo olismo risale lindeducibilit dellimpressione estetica
che sarebbe errato intendere in senso assertorio, empirico-fattuale. Come mostra anche lesegesi del concetto di classico, limpressione estetica per Du Bos possiede persistenza e generalit. Essa incarna lincontro qualitativo tra uomo e mondo in cui affiorano legalit da cogliere
con un esercizio propriamente, non metaforicamente, estetico. Da qui
la peculiare validit estetica ma non occasionale di un registro desperienza che va soggetto a perfezionamento. Perci scrive Cassirer, con
pregnante richiamo al registro percettivo, che per Du Bos leducazione e laffinamento del giudizio estetico non possono consistere infine
se non nel vedere queste esperienze, queste impressioni originali, sempre pi chiaramente e nellimparare a distinguerle dalle aggiunte arbitrarie e fortuite della riflessione (p. 286). Che lintera esperienza dellarte si sviluppi entro il perimetro dellaisthesis, lo chiarisce anche
lanalisi del sentimento svolta nel XXII della seconda parte delle Rflexions, e centrata sullevenienza della totalit sentita prima di ogni
elaborazione analitica (ed. it. Aesthetica, Palermo, 2005, pp. 295-96).
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Per caratterizzare questa esperienza importante, allora, contrapporre interi organici ad aggregati meccanici pi che elementi immediati a
elementi mediati. Laspetto saliente , cio, che la dimensione estetica
impegnata da interi che crescono in intensit e qualit anzich per
accumulazione e interpolazione progressiva di dati.
Che a Du Bos non prema contrapporre seccamente lestetico al
noetico emerge ad esempio dal rapporto che egli stabilisce tra stile e
tecnica. Queste categorie gli servono per distinguere tra struttura semantica (a cui inerisce lo stile) e struttura fenomenica (a cui inerisce
la tecnica) dellopera. Ed il connotato olistico del sentire a rendere
questa distinzione distonica rispetto a cartesianesimo ed empirismo.
Convinto della interazione tra semanticit e fenomenicit, della coefficienza tra stile e tecnica, Du Bos non ha interesse a definire casi puri di fruizione concentrata sullapparenza o sul contenuto concettuale.
Il suo scopo pare invece di mostrare come in arti diverse queste due
funzioni si distribuiscano secondo rapporti variabili in interi sempre organicamente connessi.
Nel XXV della prima parte delle Rflexions Du Bos scrive: come
lo stile poetico consiste nella scelta e nellordine delle parole, considerate come segni delle idee, la tecnica della poesia consiste nella scelta
e nellordine delle parole, considerate come semplici suoni, ai quali
non sarebbe attribuito un significato. Cos, come lo stile poetico considera le parole in quanto significato, che le rende pi o meno adatte
a risvegliare in noi certe idee, la tecnica della poesia le considera unicamente come suoni pi o meno armoniosi che, combinati in diversi
modi, compongono frasi dure o armoniose alla pronuncia (p. 130).
Se adottasse una matrice empirista, Du Bos confinerebbe nel solo momento tecnico la specificit dellesperienza dellarte. Il sesto senso
che raccoglie le funzioni della fruizione estetica andrebbe quindi equiparato a una facolt di ricezione passiva del tutto estrinseca allordine
dello stile e dellimporto semantico. E sarebbe metaforico, se non assurdo, parlare del piacere per i contenuti stilistici dellopera. Invece,
Du Bos parla di piacere in senso proprio anche in riferimento alla dinamica semantica, poich coniuga il significato alla figuralit e alla
iconicit di cui si alimenta limmaginazione (lo scopo che si propone
lo stile poetico di produrre immagini e di piacere allimmaginazione). E come il rinvio al piacere, anche quello al sentire semantico non
metaforico. Semmai avviene per analogia, secondo una strategia tesa
ad avvicinare e stringere nellintegralit antropologica momenti apparentemente disparati dello spettro dellaisthesis. Ci non toglie che la
fusione delle istanze tematiche e stilistiche richieda lavoro e talento,
genio: lo scopo che si propone lo stile poetico di produrre immagini e di piacere allimmaginazione. Lo scopo che si propone la tecnica
poetica di produrre versi armoniosi e di piacere alludito. I loro in188

teressi saranno spesso opposti, mi si dir: ne convengo, e aggiungo che


occorre essere nati poeti per conciliarli (ibidem).
A ben vedere, nel descrivere il meccanismo di trasmissione del senso, Du Bos rievoca la tradizione retorica gorgiana. Il segno per lui dimostra senso nella misura in cui sollecita dinamiche semantiche (produce immagini). Questo scatenamento del significato Auslsung,
come dir Bhler implica sviluppi per consonanza e riverbero inesplicabili dal punto di vista atomistico che prevale negli ambienti
cartesiani. A cambiare non tanto la costituzione semiotica della vox,
che qui funge da innesco, quanto la concezione del designatum, che si
configura come campo di processi immaginativi metamorfici anzich
come contenuto noetico preconfezionato e parcellizzato. In altri termini, prima ancora di indicare un singolo contenuto di pensiero il segno
quando funziona entra in consonanza con una regola di sviluppo, con
un gioco di analogie (cos come sulle analogie che si basa la concezione dubosiana del piacere; cfr. p. 45).
Per cogliere i vantaggi della posizione di Du Bos in funzione di
una critica del sentire, si potrebbe istituire un confronto con le tesi
che sostiene Berkeley nel quarto dialogo dellAlcifrone (ed. it. Zanichelli, Bologna, 1967, soprattutto p. 207 ss.). Riducendo lestetico a
registrazione passiva di dati privi di carica semantica, Berkeley disconosce ci che in termini dubosiani si chiama stile. Come esperienza
estetica resta il mero flusso delle sensazioni che occorre isolare per
riuscire a goderne. A ben vedere, per, questa astrazione estetica un
esercizio destinato al fallimento. Riprendendo il caso che paradigmatico per Berkeley, come possibile infatti apprezzare una costruzione
linguistica prescindendo da ogni vettore semantico, ovvero senza coglierla appunto come linguistica? Finch percepisco meri fenomeni
acustici, come vorrebbe Berkeley, non potr mai godere dello strato
fonetico di una poesia, in cui piuttosto il miracolo che d piacere
che si verifichi unarmoniosit del suono in considerazione della sua
allusione a un senso, anche se questo senso rimane oscuro. Se avesse
ragione Berkeley dovremmo poter immaginare anche una situazione in
cui confondiamo una successione di rumori con una frase di una lingua sconosciuta senza che nel nostro atto estetico ci sia riferimento a
una configurazione linguistica. Credo invece che percepire la configurazione fonetica di una poesia, magari in cinese per un italiano privo
di ogni nozione di quella lingua e di lingue affini, sia altra cosa dalludire rumori, poich comunque un atto costituito (non solo accompagnato) dalla tensione verso unintenzione comunicativa, sia pure indeterminata allestremo.
Secondo motivo dubosiano: naturalit e segno Il riferimento a Berkeley utile anche per introdurre il terzo rilievo che Cassirer compie
189

sulle Rflexions di Du Bos (cfr. Filosofia dellIlluminismo, ed. cit., pp.


302-306). Infatti, in questultimo caso Cassirer mette a confronto le
considerazioni dubosiane proprio con il referente polemico dellAlcifrone di Berkeley, ossia Shaftesbury. I principi invocati da Berkeley
contro Shaftesbury sono i cardini del nominalismo empirista; assolutamente diverso invece lo scenario implicato dalla distanza di Du Bos
da Shaftesbury che emerge dal confronto svolto da Cassirer. Lo schema che si evince dalla ricostruzione cassireriana si presta a un curioso (e forse, ahim, stucchevole) diagramma cartografico. Rispetto allasse che congiunge gli antipodi, a oriente, del classicismo cartesianeggiante alla Boileau e, a occidente, del nominalismo fenomenista alla
Berkeley, Shaftesbury e Du Bos assumono eguale distanza. Tra le loro
posizioni, per, sussiste simmetria e al tempo stesso polarit, in quanto
il settentrione shaftesburiano dellestetica dellenrgeia viene controbilanciato dal meridione dubosiano dellestetica della ptheia.
Questo gioco di precari bilanciamenti aiuta a vedere come Du Bos
sia estraneo allasse orizzontale quantitativista, rappresentazionalista,
lungo il quale si dispone il confronto tra razionalismo ed empirismo.
Come Shaftesbury, Du Bos prende una posizione che in linea con
coloro che insistono sul primario contenuto di qualit dellesperienza
entrando di fatto in conflitto con le tradizioni del cartesianesimo. E se
lasse orizzontale che ho disegnato vive dellalternativa tra a priori e a
posteriori, lasse verticale muove dalla coefficienza e circolarit tra questi vettori come confermer molto pensiero novecentesco fenomenologico, gestaltista, critico... Credo che questo possa considerarsi un
elemento acquisito per quel che riguarda Shaftesbury, molto apprezzato dal goethiano Cassirer. Meno sicura invece, forse, la medesima
acquisizione per Du Bos.
Nelle Rflexions dubosiane i segni dellarte risultano pertanto semanticamente densi. La loro funzione eccede labbinamento convenzionale. A tal proposito importante ricordare che Du Bos distingue
due tipi di segno, come quando introduce il tema della musica nella
prima parte delle Rflexions (al XLV). In questo caso egli vuole analizzare lanalogia tra musica e pittura dovuta al fatto che le loro opere restano efficaci anche se limporto semantico-concettuale si riduce
al grado minimo. Dapprima Du Bos sembra riproporre una semplice
teoria mimetica: come il pittore imita i tratti e i colori della natura,
allo stesso modo il musicista imita i toni, gli accenti, le brevi pause, le
inflessioni della voce.... Ma la sua riflessione prende presto una strada
inattesa, centrata sulla espressivit: ...insomma tutti quei suoni per
mezzo dei quali la natura stessa esprime sentimenti e passioni (p. 177).
Nellottica di una critica del sentire colpisce il nesso tra rideterminazione espressiva delle qualit sensoriali e attribuzione di una funzione soggettuale della natura stessa. La natura assume forza ed espressi190

vit, tanto che per tutte le Rflexions essa diventa lorizzonte energetico che sopravviene alluomo, ossia la fonte stessa di ogni soggettivit poietica: ci che agisce nellesperienza senza deliberazione umana,
e che quindi definisce la naturalit del genio (cfr. pp. 48-49 e 200). Il
sentire deve di conseguenza saper re-agire anche a segni che traggono
forza dal loro partecipare dellenrgeia naturale e, per cos dire, naturante, come quei suoni che possiedono una forza straordinaria per
emozionarci, poich essi sono i segni delle passioni, istituiti dalla natura, da cui hanno ricevuto lenergia (p. 177). Questa forza espressiva, che sollecita lattivit del sentire, ci che il genio traduce approssimativamente in arte trasfigurando segni artificiali in segni quasi-naturali. Pertanto le configurazioni artistiche riuscite divengono, anzich
rappresentazioni statiche di contenuti extra-estetici, moduli desperienza da riattivare nella fruizione. Da qui la necessit di fare esperienza in
prima persona dellartistico in quanto estetico. Ogni volta occorre saper usare i quadri desperienza confezionati dallartista senza soffocarli
con pregiudizi normativi e senza abbassarli a segnali indicatori.
Sarebbe forse troppo affermare che la dialettica tra segni naturali
e segni artificiali un fuoco tematico del pensiero di Du Bos. Essa
per affiora in luoghi diversi, come nella seconda parte (al XXXII)
quando la naturalit di certi segni funge da garanzia di imperitura capacit deffetto di opere sia classiche che moderne, come i drammi di
Racine (cfr. p. 328). Alla base di ogni convenzione e artificialit semiotica si trova dunque lenrgeia naturante a cui si corrisponde con il
sentire nella misura in cui questultimo irriducibile a mera passivit.
I presupposti per un ribaltamento di decisivi capisaldi cartesiani ci
sono tutti. E il ribaltamento avviene in Du Bos: nella concezione energetica della natura, che dunque ha o pu avere una storia; nella conseguente rifunzionalizzazione della storicit della natura umana; e nel
richiamo dellesperienza allaisthesis come dimensione che si sottrae a
ogni ipotesi di dubbio.
Per quel che concerne questultimo punto, in cui si compie il riscatto critico del sentire, si potrebbero citare numerosi passi delle Rflexions (tra i luoghi pi notevoli: pp. 163, 300-01, 341, 346), molti dei
quali impegnati a mostrare la maggior tenuta delle acquisizioni dellimmaginazione rispetto alle acquisizioni dellintelletto. Du Bos sfrutta
questo argomento per ribadire lincondizionabilit del sentimento da
parte della ragione e del ragionamento, che appunto deve tacere davanti allesperienza (p. 303). La sua strada non conduce tuttavia a
soluzioni relativiste. Tutto ci che riguarda il sentimento egli scrive , come il merito di un poema, lemozione di tutti gli uomini che
lhanno letto e che lo leggono e la loro venerazione per lopera, equivale a una dimostrazione in geometria (p. 350). Sono le costanti di
relazione tra lenrgeia naturante e la ptheia estetica a costituire il
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territorio in cui le qualit rivelano la loro vincolante legalit. Si tratta


quindi, rispetto a Descartes, non gi di un rovesciamento secondo tesi
empiriste, ma di un ribaltamento inteso come traslazione dallasse orizzontale a quellasse verticale in cui valori e modalit diventano vettori intrinseci allesperienza fattuale.
Ulteriore conferma si trae dalla critica dubosiana rivolta a coloro
che giudicano con la riga e il compasso, locuzione platonica che
ricorre spesso nelle Rflexions. Ora, non che a riga e compasso Du
Bos voglia sostituire un vago fiuto. Affine alla sua idea piuttosto il
modello del metro di Lesbo che Vico invoca contro le rigidit dellapriorismo cartesiano. un criterio plastico anzich empirico, e un
principio di relazione anzich di relativit. Daltro canto, con il contemporaneo Vico Du Bos condivide la ricerca di una posizione pi
avanzata rispetto alle tradizioni cartesiane perch capace di mettere a
frutto nel suo complesso larticolazione dellesperienza, di gestire la
densit semantico-modale dei segni, e di valorizzare le strutture del
senso comune come natura storica delluomo. Per seguire questa strada
si dovrebbe almeno riprendere il De nostri temporis studiorum ratione
di Vico, e affrontare da l unaltra questione che rientra nella critica
dellaisthesis: quella del sentire propriamente in quanto con-sentire.
La sponda dubosiana non verrebbe meno. La pazienza di chi legge
forse s.

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Du Bos e lo sguardo spettatoriale


di Roberto Diodato

Le Riflessioni critiche di Du Bos 1 si inseriscono a pieno titolo nel


progetto dellestetica moderna, progetto che culmina con la terza critica
kantiana, perch colgono un problema teoreticamente essenziale, quello
della costituzione di un piano giudicativo, e quindi conoscitivo, che riferisca la complessa struttura sentimentale dellessere umano nella misura in cui questa in grado di produrre un sentire pubblico storico eppure non meramente contingente, non compiutamente definibile eppure
veridico e non facilmente opinabile, non statico eppure ancorato a un
senso razionale e argomentabile. Si tratta dello spazio che con Leibniz
potremmo chiamare delle verit di fatto, che per sua natura spazio del
discorso pubblico, in cui per non si esercita soltanto la forza della
retorica, bens la persuasione di una ragione ampliata ai valori della
conoscenza sensitiva e della sua logica, o meglio, per dirla con Baumgarten, della sua verit estetico-logica 2. un progetto che ha un notevole valore politico, e che anzi connette, come ha visto Hanna Arendt 3,
politica e bellezza per il medio del giudizio di gusto, e tenta la costruzione, attraverso lesplicazione delle potenzialit della convergenza di
immaginazione produttiva e riproduttiva, attraverso un fecondo intreccio tra spontaneit e passivit, e finalmente attraverso lesplicazione delle
potenzialit dellipotiposi simbolica, di un orizzonte di senso comune.
Un orizzonte che, come ha scritto Emilio Garroni riferendosi innanzi
tutto alle Riflessioni critiche di Du Bos 4, non pu essere chiarito in termini definitori, ma nei termini di un uso critico del pensiero che pu
avere nelle opere darte occasioni esemplari di riflessione.
Ora laccertamento della collocazione delle Riflessioni critiche sulla via delledificazione dellestetica come filosofia fondamentale per la
costruzione della dimensione pubblica del senso pu seguire, a me
pare, almeno tre vie, tutte connesse dal tentativo di chiarire le modalit
secondo le quali si costituisce il piano giudicativo del sentimento: mostrare come e per quali motivi Du Bos si smarchi dallempirismo per
edificare una filosofia del sentire nella direzione di una pragmatica del
giudizio; mostrare la presenza in Du Bos dellattenzione per fenomeni
fisiologici e naturali, per esempio neurologici e climatici, che costituiscono una base organica di rapporti empatici e dunque strutture relati193

vamente permanenti, o strati profondi, di atti giudicativi; mostrare infine la qualit dello sguardo spettatoriale, i suoi movimenti e le sue modalit di costituzione, allo scopo di cogliere la struttura di quella figura
teorica che si colloca precisamente nel frammezzo tra sguardo e spettacolo, facendo giocare queste polarit per la costituzione di un terreno
comune che innesta il precategoriale sulla datit variabile delle produzioni artistiche, con le loro ineludibili specificit culturali e tecniche.
Du Bos individua infatti nella figura dello spettatore un punto di
intreccio tra passivit e attivit, tra privato e pubblico, tra pregiudizio
e giudizio e costruisce cos unestetica dello sguardo spettatoriale come
luogo di costituzione delle condizioni quasi-trascendentali del giudizio
operato dal sentimento 5 e del senso comune. Per questo motivo, oltre che per le dimensioni del sentire e dellempatia, le Riflessioni critiche di Du Bos sono un testo contemporaneo, e lo sono in modo specifico, come testo che articola una figura, quella appunto dello spettatore, e una tematica, quella dello sguardo, che certamente nel dibattito
odierno hanno grande fortuna, e soprattutto perch, come tenter di
mostrare, pu fornire a questo dibattito un utile contributo. Gettiamo
quindi un rapido sguardo sul tema dello sguardo spettatoriale oggi,
per poi concentrarci sullapporto delle Riflessioni critiche.
Come noto la nozione di sguardo spettatoriale , innanzitutto,
al centro del dibattito interno agli studi di cultura visuale, un ambito
concettuale e programmatico ancora per certi aspetti ambiguo, introdotto da Baxandall 6 allinizio degli anni settanta per indicare la necessaria attenzione ai modi di vedere di una certa epoca, intesi ampiamente come risultato di fattori culturali, economici, religiosi ecc. che
influiscono e diventano interni agli stili artistici e in particolare, nel caso
interessante per Baxandall, pittorici. Ma negli stessi anni, come altrettanto noto, cresceva linteresse per i processi di spettacolarizzazione
di diversi aspetti di ci che siamo soliti chiamare realt 7. Nei termini
pi semplici ci ha implicato un approccio metodologico interdisciplinare ai prodotti a forte componente visiva, unattenzione specifica al
variegato e pervasivo mondo delle immagini che fosse in grado di sfruttare e di fare interagire strumenti propri di ambiti di ricerca differenti,
dallestetica alla critica e la storia delle arti e non solo della pittura
e della scultura, ma anche della fotografia, dellarchitettura, del design ecc. dalle teorie del cinema a quelle dei nuovi media, attraversando le competenze delle cosiddette scienze umane, dallantropologia alla
sociologia, dalla psicologia alla semiotica. Tutto ci ha condotto a quello che intorno alla met degli anni novanta stato definito pictorial
turn 8, inteso come oltrepassamento, relativo ai processi storico-culturali, quindi allemergenza del visivo e alla conclamata irriducibilit del
figurale al discorsivo, del celebre linguistic turn che aveva caratterizzato
le ricerche degli anni precedenti. Ora qui non certamente opportuno
194

e possibile raccontare le proposte prodotte da questo campo di studi 9,


con i loro pregi e i loro limiti (del resto gi avviata lautocritica 10),
e dunque cercher soltanto di mettere in luce alcuni snodi che mostrano la centralit e la problematicit teoretica della nozione di sguardo
spettatoriale. Comunque va segnalato almeno il richiamo, alla pluralit insegnato dagli studi di cultura visuale: difficile oggi parlare in
generale di sguardo spettatoriale, poich i luoghi dello spettatore 11
sono non solo molteplici ma anche eterogenei, e hanno a che fare con
gli spazi spettacolari, i quali possono implicare continuit tra essi e lo
spettatore o radicale separazione, possono costituire emergenze del
continuum visivo-percettivo o presupporre una previa selettiva concentrazione del corpo e dello sguardo, possono richiedere attivit e partecipazione o costringere alla passivit. Pluralit dice anche, ovviamente, diversit di tecniche e materiali, e introduce laspetto dello sviluppo
delle cosiddette nuove tecnologie dellimmagine: quindi la questione
della materialit o immaterialit dellimmagine, e una rinnovata attenzione ai supporti dellimmagine; a sua volta la pluralit delle tecniche
implica una moltiplicazione delle grammatiche della visione, e la necessit di attraversare i linguaggi che possono descriverle. Infine, attraverso
luoghi, tecniche e grammatiche la questione della pluralit pone a tema
la differenza dei dispositivi (si pensi alla prospettiva, alla macchina da
presa, alla scrittura informatica) nella loro relazione con la costruzione dello spazio-tempo dello sguardo, e quindi lo stabilirsi di abitudini, credenze, insomma di stili della visione. Ma tale stabilizzazione
circolare, poich gli stili di visione sono anche il risultato dellincrocio
di differenziati pregiudizi culturali, di strategie ideologiche e di relative
permanenze fisiologiche, oltre che delle altre pluralit sopra accennate.
Stratificazione di movimenti di senso, emotivi e cognitivi, quindi: una
complessit notevole, la cui rilevazione e critica quelloggetto teorico designabile con letichetta di cultura visuale.
A partire da tutto ci i temi squisitamente filosofici che la complessit dello sguardo spettatoriale oggi pone sono numerosi, ma qui interessa un problema, a mio avviso decisivo e tale da far precipitare dentro il suo orizzonte le risposte a una lunga serie di questioni: il problema della costituzione dello sguardo in quanto spettatoriale. Cosa distingue lo sguardo come tale dallo sguardo spettatoriale? Cosa costituisce, dal punto di vista teoretico lo spettatore? Forse lesistenza di una
spettacolo? Ma in cosa consiste linteresse che trasforma levento in
spettacolo? un problema intorno al quale certamente gli studi attuali
sul visivo hanno molto insegnato proprio perch, come si diceva, hanno mostrato le differenze tra diverse figure di spettatore, quelle differenze che emergono dalla storicit delle forme di rappresentazione, di
dispositivi, di atteggiamenti percettivi e credenze, di quanto insomma
costituisce ci che Martin Jay 12 ha definito, con unespressione ripresa
195

da Christian Metz 13, regime scopico della rappresentazione, il quale


sempre contestuale. Ma il problema, che gli attuali studi non risolvono, consiste proprio nella relazione tra dati culturali, che individuano
i regimi scopici della rappresentazione e, pi che i principi fisiologici
della visione, la struttura della coscienza di immagine nelle sue stratificazioni relativamente ai processi schematici che attivano lo sguardo
in quanto spettatoriale. Tra sguardo e sguardo spettatoriale c insomma uno scarto sottile da indagare, scarto che rende non primaria, per
esempio, la questione dellinemendabilit del percetto, ma fondamentale la questione dello schema proprio dove questo fa plesso col sistema emotivo-cognitivo, con quel denso nucleo che potremmo anche
chiamare, col Settecento, sentimento, e che riferisce comunque allambito complesso dellanalogon rationis.
Allora siccome, in altri termini, non si tratta di comprendere primariamente le condizioni di possibilit dello sguardo come tale ma dello
sguardo spettatoriale, la dimensione della ricerca si sposta da quella trascendentale a quella, un po paradossale, del quasi-trascendentale.
questo lo spazio concettuale, essenzialmente relazionale, su cui lavora
Du Bos, che sta tra la metastoricit del tutto antica della bellezza delle
opere e del piacere che questa suscita, e le dimensioni inevitabilmente
soggettive e storiche della ricezione, e dunque, soprattutto, nel frammezzo tra oggettivit e soggettivit per cui loggetto, per le sue qualit,
toccante ma insieme il cuore si emoziona spontaneamente che
costituisce lartificio dellevento-arte. Che ci a sua volta conduca a un
superamento della scissione tra ragione e sensibilit e apra una regione
propriamente o specialisticamente estetica tutto sommato un importante corollario. Il guadagno fondamentale lintreccio oggettivo-soggettivo che costituisce la struttura relazionale naturale-artificiale, o meglio
di quello spazio tecnico in cui precipitano opera e plesso emotivo-cognitivo, altro non essendo larte per Du Bos, secondo la bella espressione di Ermanno Migliorini, che una tecnica per creare oggetti artificiali
di passioni artificiali 14, dove le passioni in quanto artificiali suscitano,
come sappiamo, il sentimento come motore del giudizio.
Dunque, per riassumere: se gli studi recenti di cultura visuale, seguendo la prospettiva aperta da alcuni classici del Novecento 15, hanno
posto a tema la storicit della visione, insistendo sulla determinatezza
culturale degli stili di visione e dunque sulla necessit per la loro comprensione di un esame da un lato genealogico dallaltro interdisciplinare e esteso a fenomeni genericamente non-artistici, dallaltro questa
tendenza in competizione con quella, altrettanto recente ma anchessa radicata in studi classici, che rivendica un valore fondativo a elementi non immediatamente riducibili alla storicit degli stili, che in
qualche modo precedono la storia e le sue ragioni 16, e che sono evidenziabili per esempio attraverso unanalisi fenomenologica della visio196

ne e dellimmagine che ne faccia emergere le essenzialit esemplari.


Eppure in ogni caso qualora si interroghi la figura dello spettatore e
delle sue pratiche, non possibile postulare alcuna assolutezza sovrastorica (che possa per esempio essere chiarita in termini percettologici), ma si dovr tentare unanalisi del campo che struttura la figura in
oggetto tale da far emergere proprio dalla concretezza dei dispositivi
e delle grammatiche, e delle pratiche di ricezione e di interpretazione,
elementi teoretici, cio propriamente spettacolari e relativamente stabili, quasi-trascendentali appunto.
Ma guardiamo ora la questione dentro le Riflessioni critiche. Noi
sappiamo in generale alcune cose, che possiamo considerare acquisite
come punti di partenza 17: per Du Bos il rapporto tra storicit e permanenza, o tra relativit e validit del giudizio, si pone in modo originale, tale da bloccare qualsiasi deriva culturalistica evitando al contempo la staticit di un orizzonte indiveniente. Infatti la sfera del giudizio
si d nel circolo tra produzione geniale e pubblico, nel quale il genio
un aspetto naturale coltivato e perfezionato, risultato della convergenza tra necessarie contingenze climatiche e fisiologiche e lavoro della
civilt, e cos il pubblico, e il sistema di gusti di cui portatore, anchesso orientato dai vincoli naturali del clima e del territorio e insieme circoscritto da economie e distinzioni sociali. Eppure il circolo tiene, cio consente giudizi che tengono nel tempo, in quanto costituisce
una struttura puramente relazionale, uno spazio comune tra opera e
sguardo, cio propriamente uno sguardo spettatoriale che la struttura
del sentimento. Esaminiamo allora questo spazio di riconoscimento
per quanto concerne lo sguardo spettatoriale in senso proprio, e quindi larte della pittura, anche se credo il discorso si possa estendere per
analogia (tutto sommato Du Bos per quanto riguarda il rapporto pittura-poesia rimane oraziano).
Tutti sappiamo che la parola spettatore ricorre continuamente
nelle Riflessioni critiche, io mi limiter allesame di un luogo che credo possa mettere in luce lessenziale: si tratta delluso della metafora
del naufragio con spettatore. Colpisce che Blumenberg, nel suo celebre saggio, ritenga che il documento in cui il naufragio con spettatore muta da significato originariamente etico in significato estetico
sia una lettera dellabate Galiani relativa a Voltaire. Si tratta di una
lettera dellagosto del 1771 18 posteriore quindi di mezzo secolo alle
Riflessioni critiche in cui Galiani precisa linterpretazione di Voltaire della metafora come esemplificazione del sentimento di curiosit,
inteso come passione fondamentale, tale da liberare la figura dello
spettatore di fronte al naufragio dal sospetto [] dellautocompiacimento riflesso 19. Galiani sposta lapparato metaforico nella scena teatrale, a suo avviso esemplificazione perfetta della situazione umana: in
essa lo sguardo collocato a distanza di sicurezza, e cos pu dispie197

garsi linteresse per lo spettacolo, e dunque la curiosit come motore


di interesse e la partecipazione sentimentale dipendono dalla messa in
sicurezza dello sguardo, da una separatezza essenziale rispetto allevento. A differenza della metafora lucreziana qui il pericolo soltanto
messo in scena, appartiene allordine della finzione, a una situazione
artificiale; viene perci attuata una rimozione della realt effettuale, e
se vogliamo un trasferimento allideale: Trasferito dal mare al teatro
commenta Blumenberg lo spettatore di Lucrezio viene sottratto
alla dimensione morale, diventato spettatore estetico 20. Ora se da
un lato possibile che Galiani dipenda da Du Bos per il trasferimento
della metafora nello spazio dellartificiale, notiamo che in Du Bos le
cose sono molto pi sottili e complesse. Non soltanto infatti Du Bos
introduce nella metafora del naufragio con spettatore quel tema della
curiosit che sar sviluppato da Voltaire, proprio la gestione del rapporto tra sicurezza e pericolo che viene approfondita, in modo da far
perdere alla metafora quella struttura antitetica che sembra costituirne la forma. Infatti possibile sommariamente ricostruire la struttura
della metafora e la sua mutazione di senso nella storia delle interpretazioni secondo una serie di coppie di opposti che configurano una
tavola di preferenze: spettatore-attore, teoria-prassi, sicurezza-rischio,
estraneit-coinvolgimento, immobilit-movimento. Queste opposizioni
configurano uno spazio logico e metaforico diviso simmetricamente
in due parti, separate da una distanza di sicurezza variabile; la prima
serie di termini caratterizza una situazione di isolamento, esteriorit
e astrazione rispetto a un contesto di pericolo. La seconda una condizione aleatoria e mutevole in cui si gi immersi e da cui non si pu
o non si vuole fuggire 21.
Ora a una posizione classica che privilegia il primo termine delle
opposizioni, e quindi la serie spettatore-teoria-sicurezza-estraneit-immobilit, stringendo insieme comprensione teoretica e volont anestetica, la modernit, inaugurata emblematicamente dal Vous tes embarqu pascaliano avrebbe via via sempre pi contrapposto il riconoscimento della precariet e linevitabilit del coinvolgimento nel naufragio,
per cui il naufragio pu ben avvenire sulla terra ferma e lo spettatore
costretto ad accettarne il rischio, a diventare attore, a gettarsi insomma in quel fiume della realt effettuale in cui spettacolo e spettatore
tendono alla coincidenza. Tale immersione, contrassegnata dalla linea
attore-prassi-rischio-coinvolgimento-movimento, pu ben essere unimmedesimazione gioiosa con linstabilit dello slancio vitale, ma ci che
conta per noi che anche questa potente rielaborazione della metafora,
che d origine a questioni complesse e fino a prevedere il ribaltamento
dei suoi significati, non ne intacca la grammatica profonda, consistente
nellapertura di una serie oppositiva, di una polarit dicotomica sensata
che condiziona le possibilit dei lessici e degli atteggiamenti filosofici.
198

In fin dei conti infatti anche il culmine dellinversione metaforica segnato da quel primato della prassi enfatizzato da certa pervasiva cultura
filosofica contemporanea, dominata da espressioni quali rizoma, meccanica dei fluidi, mille plateaux, fonda se stesso come analisi del piano
di immanenza, e quindi su una tipica struttura oppositiva. Quello
che a me pare invece interessante che in Du Bos il naufragio con
spettatore diventi la possibilit di un frammezzo, lapertura di uno
spazio tra le opposizioni, che lo spazio tipico, o se vogliamo la topica,
dello sguardo in quanto spettatoriale. Lemozione naturale scrive Du
Bos introducendo il tema naufragio con spettatore che si risveglia
in noi meccanicamente quando vediamo i nostri simili nel pericolo o
nella sventura non ha altre attrattive se non quella di essere una passione i cui moti agitano lanimo e lo tengono occupato 22: ecco il primo
punto, che sembra appartenere a un Pascal naturalizzato: sfuggire alla
noia necessit fisiologica, meccanismo naturale delle emozioni; tuttavia prosegue Du Bos questemozione possiede un fascino che
induce a ricercarla, nonostante le idee tristi e fastidiose che laccompagnano e la seguono 23: appunto questo veramente impressionante, che
spacca la dinamica del conatus in suo esse perseverandi per aprire labisso di un negativo attraente, di qualcosa che si colloca al di l del principio del mero piacere vitale perch ha a che fare con un pi profondo
piacere. Si tratta di un moto che la ragione mal reprime un moto che
oltre o prima della ragione, e che spinge molte persone a inseguire
gli oggetti pi adatti a lacerarne il cuore 24; lesempio preciso: il
supplizio di un uomo che muore a causa di orribili tormenti, e perentoria la constatazione: Ovunque la gente va ad assistere in massa
agli orribili spettacoli di cui ho parlato. Ora proprio questo, e non
altro, il fascino dello spettacolo del naufragio: la stessa attrattiva
scrive infatti Du Bos che fa amare le inquietudini e le ansie causate
dai pericoli in cui vediamo essere esposti altri uomini, senza prendervi parte direttamente. emozionante, dice Lucrezio 25 e seguono i
bellissimi versi che tutti conosciamo (ma non si noti, tutti quelli che ci
aspetteremmo, bens soltanto quelli funzionali, come vedremo, a una
precisa strategia 26). Du Bos, nel commento che segue, fa s emergere
anche quel tema della curiosit che diventer centrale in Voltaire, per
non interessato alla curiosit come principio, ma solo come effetto
della visione del pericolo: lattenzione dello spettatore scrive infatti Du Bos cesserebbe insieme al pericolo del quale si spettatori, e
prosegue con la celebre pagina sugli spettacoli gladiatori, dai quali un
popolo civilizzato come quello dei Romani derivava un estremo
piacere: Bestie feroci sbranavano esseri viventi. I gladiatori si scannavano tra loro a gruppi nellarena Erano nutriti perfino con pasta
e alimenti che li mantenessero in perfetta forma, perch il sangue scorresse pi lentamente dalle ferite che avrebbero ricevuto e lo spettato199

re potesse godere pi a lungo lorrore della loro agonia 27. Dunque,


la conclusione di Du Bos: Negli spettacoli pi crudeli esiste una sorta
di attrazione capace di farli amare dai popoli pi umani 28. Ora, se
queste non sono solo parole, allora sono parole molto pesanti, perch
intrecciano lessere umano delluomo con una passione particolare.
Ma che queste parole non siano superficiali sembra ribadirlo la successiva affermazione: Il fascino dellemozione fa dimenticare alle nazioni pi tranquille i fondamentali principi umanitari e nasconde alle nazioni cristiane i precetti pi ovvi della loro religione 29. Ecco cos dispiegato il potere dellattrazione emotiva specificamente umana per il
negativo. Qui incrociamo, a mio parere, quella struttura relazionale precategoriale e primariamente emotiva che una curvatura di una delle
(due 30) dimensioni trascendentali dellesperienza emozionale, e che
spiega quale sia per Du Bos la rilevante funzione dellarte e quale la sua
analogia con la filosofia. Cos come la filosofia sembra essere stata, in
origine e per vocazione, elaborazione e trasformazione alla luce della
ragione dello stupore per il riconoscimento del divenire indifferente e
talvolta micidiale della natura 31, cos larte traduce nellartificiale linteriorizzazione del fascino suscitato dal pericolo di dissoluzione, allo
scopo di soddisfarne lattrazione ed esorcizzarne gli effetti. Entrambe,
arte e filosofia, si prospettano dunque come funzioni di una dimensione precategoriale precisa dellesperienza, nella forma rispettiva dellargomentazione e della mimesis.
La vita dellarte, ci dice infatti Du Bos, una vita presa in prestito: ha solo unesistenza artificiale, ma proprio per questo essenziale,
perch ci permette di provare un piacere puro; si tratta in realt di
un piacere piuttosto mostruoso, cio dello stesso piacere, o bramosia,
che ci attrae nello spettacolo del supplizio, privato per del suo peso, cio del peso del ricordo temibile, delleventuale fastidioso senso
di colpa; un piacere che rielaborazione dei fantasmi delle passioni
perch queste non possano nuocere, non possano inserirsi nella vita
ordinata e frantumarla. Lo sguardo dello spettatore si colloca e si costituisce cos in uno spazio di continua oscillazione: posizione variabile
di soglie o di finzioni che permettono un minimo di distanza, relativamente sicura e relativamente precaria, ma tale comunque da consentire
una resistenza della teoria la quale non pu sfuggire al coinvolgimento
emotivo, comunque pregiudiziale. Tale spazio non altro che relazione tra lumano e il suo spettacolo preferenziale, quello che pi corrisponde al desiderio. Per cui il giudizio a sua volta relazione: in quanto lo spettacolo esiste solo per lo sguardo e viceversa non c sguardo
senza spettacolo, e al tempo stesso nello spettacolo lo sguardo ritrova
se stesso, la sua intenzione fondamentale. Riassumendo: Du Bos non
usa, come avviene nella storia della sua notevole fortuna, la metafora
del naufragio con spettatore per indicare primariamente la presa di
200

distanza dal pericolo, la distanza di sicurezza, come fonte del piacere della contemplazione teoretica o come condizione di possibilit
del giudizio del sentimento 32; viceversa ispeziona le motivazioni di
quel piacere fondamentale che condizione di possibilit della metafora, cio condizione di possibilit della figura stessa dello spettatore
e della qualit del suo sguardo. E a partire da questo sguardo spettatoriale svela la funzione dellarte nella sua specifica dimensione mimetica, trasferimento nella sfera ideale di ci che pi affascina 33, tale
da non eliminarne ma senzaltro da limitarne leffetto distruttivo 34.
Certo, il contributo di Du Bos allelaborazione dello sguardo spettatoriale anche molto tecnico e attento alle dimensioni specifiche del
fare artistico e delle incrostazioni, abitudini, credenze, pregiudizi, dei
tipi di sguardo, e in certe analisi appare davvero interessante e raffinato 35, ma quel che conta a mio avviso, quello che mi sembra essere il
suo contributo possibile a un dibattito in corso, consiste nellaver individuato con molta acutezza una dimensione quasi-trascendententale
dellemotivit (cio come curvatura di una passione fondamentale),
non razionale, eppure determinante lo sguardo sullo spettacolo del
mondo, e relativamente a ci di aver individuato la strategia dellarte
nella costruzione mimetica dellartificio in cui sguardo e spettacolo
sono legati da questa struttura. A partire da questo assunto credo si
possa intendere lintrinseca relazionalit sentimentale del giudizio: insomma il giudizio del pubblico alla fine prevale su quelli della gente di mestiere per la sua pi diretta connessione con il precategoriale
dellesperienza.

1 Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, a cura di M. Mazzocut-Mis e P. Vincenti,


Aesthetica Edizioni, Palermo 2005.
2
Si ricordi il 427 dellEstetica di Baumgarten (cfr. A. G. Baumgarten, LEstetica, a cura
di S. Tedesco, Aesthetica Edizioni, Palermo 2000, pp. 152-53).
3 Cfr. Teoria del giudizio politico, lezioni sulla filosofia politica di Kant, il Melangolo,
Genova 1990.
4 Nessuna definizione per esempio gi nelle Rflexions di Du Bos, che insisteva sul
carattere generale e indeterminato del piacere, comune allarte e agli spettacoli gladiatori
Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano 1992, pp. 27-28.
5 Che non coincide precisamente, come ha mostrato Migliorini, col giudizio di gusto (cfr.
Note alle Rflexions critiques di Jean-Baptiste Du Bos, in Atti e memorie dellAccademia
toscana di scienze e lettere La Colombaria, vol. XXVII, Olschki, Firenze 1963, pp. 336-37).
6 Cfr. M. Baxandall, Pittura ed esperienze sociali nellItalia del Quattrocento, a cura di M.
P. Dragone - P. Dragone, Einaudi, Torino 2001 (loriginale del 1972).
7
Cfr. ovviamente G. Debord, La societ dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, Milano
2004.
8 W. J. T. Mitchell, The Pictorial Turn, in Id., Picture Theory, The University of Chicago Press, Chicago & London 1994, pp. 11-34.
9 Per unintroduzione cfr. N. Mirzoeff (a cura di), The Visual Culture Reader, Routledge, London and New York 2002; J. Evans-S. Hall (a cura di), Visual Culture: the Reader,
SAGE Publications, London-Thousand Oaks-New Delhi 1999; Ch. Jenks (a cura di), Visual

201

Culture, Routledge, London and New York 1995; I. Heywood-B. Sandywell (a cura di), Interpreting Visual Culture. Explorations in the hermeneutics of the visual, Routledge, London
and New York 1999.
10 Cfr. W. J. T. Mitchell, Showing Seeing: a Critique of Visual Culture, in The Visual
Culture Reader, cit., pp. 86-101.
11 Su questa complessit cfr. A. Somaini (a cura di), Il luogo dello spettatore. Forme dello
sguardo nella cultura delle immagini, Vita e Pensiero, Milano 2005; il volume contiene tra
laltro unottima Introduzione (pp. 7-26) di Antonio Somaini che presenta con grande chiarezza e competenza i temi della visual culture pi legati alla figura dello spettatore.
12 Cfr. Scopic Regimes of Modernity, in H. Foster (a cura di), Vision and Visuality, The
New Press, New York 1988, pp. 3-23.
13 Cfr. Le signifiant imaginaire, UGE, Paris 1977.
14 Cit., p. 318.
15
Penso innanzi tutto a Benjamin.
16 P. Spinicci, Il Palazzo di Atlante. Contributi per una fenomenologia della rappresentazione prospettica, Guerini, Milano 1997, p. 126.
17
Ben espresse dalla Presentazione di Elio Franzini alledizione citata.
18 Cfr. Voltaire, Correspondence and related documents, a cura di Th. Besterman, Cheney
& Sons, Banbury Oxfordshire 1975, vol. XXXIII, pp. 63-65. La lettera (Naples, 31 aot 1771)
indirizzata a Madame dEpinay.
19 H. Blumenberg, Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dellesistenza, il
Mulino, Bologna 1985, p. 63.
20
Cit., p. 65.
21 R. Bodei, Distanza di sicurezza, in H. Blumenberg, Naufragio con spettatore, cit., pp.
10-11.
22
Riflessioni critiche, cit., p. 40. Sulla questione cfr. M. Mazzocut-Mis, Il gonzo sublime.
Dal patetico al Kitsch, Mimesis, Milano, 2005, pp. 47-69.
23 Ibidem.
25
Ibidem.
26 Du Bos cita De rerum natura, 2.1-2 e 5-6, ma non i fondamentali 3-4: non quia vexari
quemquamst iocunda voluptas | sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est.
27
Riflessioni critiche, cit., p. 41.
28 Ivi, cit., p. 43.
29 Ibidem.
30
Ovviamente non si rimane stupiti (letteralmente: colpiti) solo dalla vita che muore, ma
anche dalla vita che nasce.
31 Scriveva giustamente Migliorini: Per il Du Bos la natura non naturalmente buona,
razionale, disposta verso un fine: tutte le Rflexions sono percorse da una profonda corrente di pessimismo. I rifiuti opposti ai tentativi di razionalizzazione della natura, gli appelli al
caso, la celebrazione di una relativa immobilit naturale, la negazione del progresso indicano che la natura di Du Bos pi vicina a Epicuro che non a Newton, cit., p. 350.
32 Il Du Bos non distingue fra motion e passion che sono ambedue sinonimi di movimento dellanima; sentiment [] designa la funzione del giudizio portato, appunto sulle
motions (o sulle passions), E. Migliorini, cit., p. 301, nota 2.
33 Perci, scrive Du Bos Limitazione, dunque, non pu emozionarci, se non lo pu
neppure la cosa imitata [] Nulla pu emozionarci in una festa di villaggio o nei soliti divertimenti di un corpo di guardia [] Il pi bel paesaggio, fosse del Tiziano e del Carracci, non cinteressa pi della vista di un luogo orribile o ridente: non c nulla in un simile
quadro che, per cos dire, cintrattenga; non ci colpisce e quindi non ne siamo coinvolti,
Riflessioni critiche, cit., pp. 52-53. Qui Du Bos estremizza la sua posizione e paga un debito alle poetiche del tempo. Su questo punto cfr. anche M. Fried, Absorption and Theatricality. Painting and Beholder in the age of Diderot, The University of Chicago Press, Chicago &
London 1980, pp. 73-74.
34 Ma non si tratta di una sfera ideale che rende accessibile, attraverso la rappresentazione del negativo quel che c di positivo nelluomo (come vorrebbe per esempio Lipps).
35
Penso per esempio allanalisi dello sguardo dentro al quadro nelle crocifissioni di
Rubens e Coypel (cfr. Riflessioni critiche, cit., pp. 106-07).

202

Emozione, rispecchiamento, come se:


Du Bos, lempatia e i neuroni-specchio
di Andrea Pinotti

1. Lempatia nello specchio del come se


Pur tra alti e bassi, esaltazioni appassionate 1 e altrettanto appassionate condanne, lempatia non cessa di offrirsi come efficace strumento per la comprensione del nostro rapporto con le opere darte.
Anzi, dopo aver superato pressoch indenne le severe accuse che la
relegavano nella sfera dello psicologismo e del sentimentalismo (dalle
quali gi un fenomenologo come Moritz Geiger si sent precocemente
in dovere di difenderla), vive oggi una rinnovata stagione di fioritura,
in modo particolare in quel campo di indagini ancora in via di formazione che si identifica nella formula della neuroestetica. Per limitarci
a pochi, ma significativi nomi: il pioniere della neuroesthetics, Semir
Zeki, collega lempatia allo studio del collegamento tra le forme preesistenti nellindividuo e le forme del mondo esterno che vi si riflettono 2, nel quadro di una neurobiologia dellesperienza artistica. E
recentissimamente, lo storico dellarte David Freedberg (che gi aveva dedicato il suo studio Il potere delle immagini alle risposte corporee e patemiche alle opere darte visiva) ha fatto tesoro delle ultime
scoperte neurologiche per impostare unindagine neuroestetologica sul
nesso fra immagine, movimento ed empatia: in particolare, Freedberg
si ripropone di studiare the sense of reacting as if one were behaving
in physical ways without actually thus behaving. This form of reaction,
it seems to me, is of particular relevance to the ways in which we respond not only to other beings, but also to paintings and sculptures 3.
Laccento posto sul come se rimanda, nel discorso di Freedberg, in
particolare alle scoperte relative ai cosiddetti neuroni-specchio, avvenute nella seconda met degli anni Ottanta grazie al lavoro di un
gruppo di ricercatori dellUniversit di Parma che fanno capo a Giacomo Rizzolatti 4. In seguito allindividuazione di tale particolare specie di neuroni nella parte rostrale della corteccia ventrale premotoria
(area F5) del macaco la questione dellempatia tornata con forza a
imporsi in questultimo decennio come problema fondamentale per la
comprensione dellessere umano, nei suoi rapporti con gli altri e con
il mondo. In questarea F5 si trovano neuroni altamente specializzati,
203

che sparano in occasione di movimenti finalizzati della mano o della


bocca del macaco: alcuni sono preposti allafferrare, altri al lacerare,
ecc., e si attivano solo in occasione del movimento specifico da essi
codificato. Tali neuroni vengono cos a costituire una sorta di vocabolario dellagire prensivo nelle sue varie declinazioni, e informano
sul grado di afferrabilit di un oggetto, che viene via via perfezionato
dallapprendimento, dai successi o fallimenti delle innumerevoli azioni compiute per prendere una cosa, in una progressiva elaborazione di
un sistema di classificazione codificata delle varie categorie dellafferrabile.
Tale vocabolario si attiva tanto in occasione di azioni effettivamente compiute dal macaco quanto in occasione della semplice osservazione di tale oggetto, non seguita da alcuna effettiva prensione 5. Che
accade per quando a essere in gioco non sono le relazioni fra un individuo e un oggetto, bens quelle fra un individuo e altri individui? E
in modo particolare fra un individuo che osserva altri individui che
agiscono? Esiste una base neuronale per questa complessa esperienza
intersoggettiva? Le ricerche hanno evidenziato come un particolare
gruppo di neuroni F5 (i neuroni-specchio) scarica quando la scimmia osserva unaltra scimmia o un essere umano afferrare un oggetto,
come se fosse essa stessa a eseguire lazione. Lafferramento deve essere
effettivamente compiuto: i neuroni non sparano se il gesto meramente mimato in assenza delloggetto cui dovrebbe essere indirizzato,
oppure se compiuto tramite utensili: la medesima risposta neuronale
viene dunque provocata sia dallazione eseguita in proprio sia dalla
medesima azione compiuta da altri. Il medesimo sistema a specchio
sembra si possa ipotizzare nelluomo 6, cosicch quando osserviamo
unazione si attivano i medesimi circuiti neuronali che sparerebbero
se fossimo noi stessi a compierla: Action cos suona la forte conclusione di Rizzolatti e Gallese, che rievoca celebri formule quali il verum
factum e Am Anfang war die Tat appears to represent the founding principle of our knowledge of the world 7.
su questa base neurologica che soprattutto Vittorio Gallese ha
impostato le sue ricerche sui fondamenti neurali dellesperienza intersoggettiva: la possibilit stessa dellempatia riposerebbe sul funzionamento dei mirror-neurons 8. Comprendiamo gli altri, e riusciamo a
metterci nei loro panni, poich un gruppo di nostri neuroni, quando
vediamo gli altri agire, spara come se fossimo noi stessi a compiere
quelle azioni. Lapplicazione in campo neuroestetico di tale principio
suonerebbe dunque allincirca cos: comprendiamo le situazioni che
larte ci presenta poich i nostri neuroni-specchio, alla vista di azioni
rappresentate nelle opere darte, sparano come se fossimo noi stessi a eseguirle.

204

2. Emozione e rispecchiamento
Non vogliamo qui abbracciare la sdrucciolevole logica dei precursori, dei precorrimenti, delle anticipazioni; molto semplicemente, nel
quadro generale di una storia delle idee (storia di cui non di rado le
scienze sono dimentiche), vorremmo mettere in relazione questa recente stagione dellempatia, che promette fecondi sviluppi tanto nella neuroestetica quanto nella neuroetica, con le sue stagioni passate, ottocentesca e soprattutto settecentesca, e illustrare i motivi per cui un neuroscienziato potrebbe trarre giovamento dalla lettura di quelle antiche
pagine che (ben prima di Husserl e Merleau-Ponty, al cui concetto di
entropatia Rizzolatti e Gallese si richiamano 9), hanno sottolineato la
centralit dellesperienza empatica, e magari riconoscervi uninsospettata aria di famiglia.
Prima di diventare uno dei nodi pi discussi dalle neuroscienze, il
concetto di empatia aveva conosciuto altre stagioni di intenso interesse
teorico: per limitarci ad alcuni casi storicamente macroscopici, ricordiamo qui una stagione psicologico-psicoanalitica (a partire da Freud
fino ad arrivare alle riflessioni di Kohut 10), una fenomenologica 11 e
una psicologico-estetica 12. Questultima stagione in particolare, a cavallo fra Otto e Novecento, fu particolarmente fruttuosa nei paesi di
lingua tedesca per quel complesso e variegato panorama di ricerche
psicologiche ed estetologiche che pu essere raccolto sotto il nome di
Einfhlungstheorie 13. Gli autori che lavorarono allinsegna di questo
concetto Volkelt, Lipps, pi tardi Worringer, per citare solo pochi
nomi , declinandolo variamente come proiezione, animazione, trasposizione, immedesimazione, vivificazione, si posero esplicitamente il problema della sua genealogia, e indicarono quasi unanimemente la sua
genesi storica nellambito del pensiero romantico, in particolare in Novalis, nel cui romanzo naturale Die Lehrlinge zu Sais 14 (1798) si concepisce il sentire come un medio tra il s e laltro grazie alla Sympathie
e al Mitgefhl, e si afferma che lessere umano pu comprendere la
natura solo se empatizza (sich hineinfhlt) in essa. Anche Herder, per
rimanere sul terreno proto-romantico, poteva fornire ai teorici dellempatia spunti decisivi, tanto tematici quanto terminologici: nel IV
capitolo della sua Plastik (1778) leggiamo che la bellezza vita umana che si infonde nel corpo percepito, e che grazie a una interiore
simpatia (innere Sympathie) che operiamo una trasposizione (Versetzung) del nostro s nella figura che stiamo contemplando; nel coevo
trattato Vom Erkennen und Empfinden der menschlichen Seele compare
lo hinein fhlen come un sentire se stessi negli altri 15.
Risalendo allindietro nel Settecento verso la met del secolo, ben
alle spalle dunque di quel terreno proto-romantico, troviamo in alcuni
rappresentanti della cultura anglosassone occasioni di riflessione se
205

non sul nome (empathy sarebbe stato introdotto nella terminologia


psicologica solo nel 1909 da Titchener 16), certamente sulla cosa dellempatia. Cos, fin dai primi capitoli della sua Teoria dei sentimenti
morali (1759), Adam Smith introduce il tema della simpatia come condizione per la comprensione analogica dellaltro e ricorre a un case
study che avrebbe avuto molta fortuna fra i successivi teorici dellempatia, quello dellacrobata: La folla, quando guarda in alto verso un
funambolo che danza, istintivamente si contorce, dimena e oscilla i
corpi, come vede fare da lui, e come sente che dovrebbe fare se fosse nella sua situazione 17. Sempre alla simpatia guarda Burke nellInchiesta sul Bello e il Sublime (1757), come a una forma di partecipazione emotiva che gioca un ruolo basilare nelle relazioni intersoggettive e
in quei rapporti oggettivi particolari che intratteniamo con le opere
darte, sottolineando i processi di sostituzione e di trasmissione: La
simpatia deve essere considerata come una specie di sostituzione, per
cui ci mettiamo al posto di un altro uomo e siamo colpiti, sotto molti aspetti, da ci che colpisce lui []. per questo principio fondamentale che la poesia, la pittura, e le altre arti che destano commozione, trasmettono la loro passionalit da un animo allaltro 18.
Nel Trattato sulla natura umana (1739-40, tradotto poi in tedesco
da Lipps) Hume, per illustrare il processo di contagio patemico, introduce la felice immagine della risonanza musicale prodotta dalle corde
poste a una medesima tensione (unimmagine frequentemente impiegata nelle recenti indagini neuroscientifiche sullempatia): Le menti di
tutti gli uomini sono simili nei loro sentimenti e nelle loro operazioni,
n qualcuno pu mai essere mosso da unaffezione che anche tutti gli
altri non possano in qualche misura provare. Quando delle corde sono
tese tutte a uno stesso grado, il movimento di una si comunica a tutte le altre; allo stesso modo, tutte le affezioni passano prontamente da
una persona a unaltra e generano movimenti corrispondenti in ogni
creatura umana 19.
3. Limitazione di altri noi stessi
Procedendo allindietro nel secolo, in questa rapida e non esaustiva
rassegna dei teorici dellempatia ante litteram, troviamo nelle Riflessioni dubosiane 20 (di cui Hume era stato attento lettore) una ricca e precoce fenomenologia dellesperienza empatica, che mette conto analizzare nel dettaglio.
La premessa fondamentale delle analisi dubosiane dei processi di
immedesimazione consiste nellassunto di un parallelismo psicofisico
che, pur con laccentuazione ora del polo psichico-spirituale (ad es.
Lipps) ora del polo fisico-somatico (ad es. Robert Vischer), sarebbe
206

diventato, sulla scorta dello sviluppo ottocentesco delle psico-fisiologie


scientifiche, una costante dellEinfhlungstheorie: Non esiste passione dellanima che non sia allo stesso tempo passione del corpo (62).
decisamente sul terreno del corporeo e dellorganico che Du Bos
gioca le sue analisi estetiche, e anche laddove parla di animo o di
cuore, subito interviene a correggere con cervello. Linsistenza sul
cervello, insieme a quella sul sangue e sul cuore (forse pi muscolo
concreto che agisce meccanicamente che non metafora dellanimo e
dellinteriorit affettiva: 298) si colloca in un generale contesto organicistico e meccanicistico, in cui una forte enfasi posta sulla macchina umana, sulle sue molle e sui suoi meccanismi. Gli esempi
sono distribuiti abbondantemente nel testo delle Riflessioni: tutti confortano lidea dubosiana che le operazioni fondamentali della natura
umana si svolgano a un livello pre-riflessivo, pre-razionale, affettivo e
istintivo, e che il sopraggiungere di quelle che oggi chiameremmo le
funzioni superiori della coscienza non pu sostanzialmente intaccare
quei processi basilari, n modificarli n controllarli. Cos, riguardo a
quellemozione naturale che si risveglia in noi meccanicamente quando vediamo i nostri simili nel pericolo (40), Dubos sottolinea la valenza pre-cognitiva della commozione: Le lacrime di uno sconosciuto
ci commuovono addirittura prima di conoscere il motivo del suo pianto. Le grida di un uomo che ha in comune con noi solo lumanit, ci
fanno accorrere in suo aiuto con un moto meccanico che precede ogni
riflessione. un meccanismo che la natura stessa ha sviluppato per
correggere quelle spinte egoistiche che minerebbero i fondamenti del
vivere sociale, forgiandoci in modo che tutto ci che si agita intorno
abbia su di noi una grande influenza, affinch coloro i quali necessitano della nostra indulgenza o del nostro aiuto ci possano facilmente
commuovere (48).
Questa facolt pre-riflessiva che risponde meccanicamente a delle
sollecitazioni esterne ha un nome in Du Bos: sentimento. quel sesto senso presente in noi, senza che ne vediamo gli organi. quella
parte di noi che giudica secondo limpressione provata, e che consiste
nella capacit propria del cuore di emozionarsi spontaneamente, con
un moto che precede ogni ragionamento. Con il sentimento giudichiamo immediatamente tanto sulloggetto che ci colpisce affettivamente,
quanto sulla sua imitazione artistica: Il senso che giudica se limitazione in un poema o in un quadro ci suscita compassione o cintenerisce
lo stesso che sintenerisce e che giudica loggetto imitato (296).
Limitazione di situazioni emotivamente connotate ci induce al riso o
al pianto, muovendoci a consentire affettivamente prima che le nostre
facolt razionali abbiano potuto svolgere la loro disamina: per questa
occorre tempo, per quel consenso basta un accenno, un momento.
Ma che cosa distingue le passioni effettivamente vissute nella vita
207

reale da quelle indotte dalle raffigurazioni artistiche, che sembrano


piuttosto fantasmi delle passioni? Le prime sono vere, pi profonde, serie, durature; le seconde artificiali, pi superficiali, transitorie; le
prime sono capaci di sconvolgerci nellintimo, e hanno spesso conseguenze dolorose, le seconde si limitano a tenere occupato il nostro
animo, senza raggiungere il nucleo profondo: Il merito principale della poesia e dei quadri consiste nellimitare gli oggetti che avrebbero
suscitato in noi passioni reali, se le avessimo vissute nella vita e non
nellarte. Larte ha anzi proprio il compito di introdurre una distanza
la distanza della rappresentazione tra noi e le nostre passioni, sterilizzandone le conseguenze negative che spesso seguono nella vita reale al momento passionale. Cos facendo, larte crea una seconda natura, che si trattiene nella sfera del come se, producendo sul fruitore
impressioni che sono dello stesso tipo di quelle causate dalla vita
reale ma, in quanto mere copie, indebolite.
Il piacere puro della rappresentazione artistica, sulla quale esercitiamo un controllo e alla quale volontariamente ci disponiamo, viene
tuttavia meno in alcune circostanze, in cui cade la distinzione fra principio di attualit e principio di rappresentazione (per usare la terminologia che un teorico dellEinfhlung, Witasek, avrebbe introdotto nel
1901 21): il caso di giovani dallanimo acceso e appassionato, che dedicandosi alla lettura di romanzi vivono afflizioni e turbamenti assolutamente reali, oppure di alcuni celebri casi storici, come gli abitanti di
Abdera, colpiti dallAndromeda di Euripide al punto da perdere i sensi
come se avessero effettivamente assistito a quei fatti. Sono, questi, casi
davvero rari, in cui una eccessiva sensibilit del cuore si accompagna
a una particolare debolezza della mente: qui le imitazioni artistiche
non sono direttamente la causa di tale confusione fra piano della rappresentazione e piano della realt, ma non fanno che offrire loccasione ai loro animi instabili di manifestarsi incontrollatamente; in ogni
caso, il loro numero cos insignificante che non pu intaccare la massima generale, secondo cui il nostro animo domina sempre le emozioni superficiali suscitate dai versi e dai quadri (46).
Tale erronea confusione fra piano rappresentativo e piano reale
detta da Du Bos illusione: ora, una riuscita imitazione del reale non
significa eo ipso illusionismo. Du Bos respinge questa equazione tanto per la pittura quanto per la poesia. Imitazione rappresentazione,
mai obliterazione della differenza fra arte e realt: vero che tutto
ci che vediamo a teatro concorre a emozionarci; ma nulla provoca
illusione, perch l tutto imitazione. Nulla vi appare, per cos dire, se
non come copia (173). E, a fronte dei numerosi aneddoti che raccontano di dipinti scambiati per gli oggetti di cui erano solo una rappresentazione, di uccelli che sbattono contro la tela perch ingannati dalla
prospettiva del cielo dipinto, di uomini che rivolgono la parola a dei
208

ritratti convinti di trovarsi al cospetto di persone reali, Du Bos concede che i quadri o i poemi possono a volte darci unillusione, ma questa
non la fonte del piacere estetico, che continua anche quando cessiamo di sorprenderci: Il piacere che i quadri e gli ottimi poemi drammatici ci procurano perfino maggiore quando li vediamo per la seconda volta e quando non c pi motivo dillusione (174). Larte
poetica e pittorica come specchio fedele della natura, dunque, ha il
compito di produrre unimmagine somigliante del reale, che purtuttavia non obliteri o rimuova il proprio carattere di immagine in direzione di una dimensione di illusoriet, ma al contrario lo affermi nellesperienza di un consapevole come se. Mette conto ricordare come,
ancora duecento anni dopo, nel suo saggio sul dilettantismo nella fruizione, Moritz Geiger avrebbe usato simili argomenti contro la produzione pseudo-estetica di affetti reali provocata dalle opere darte su
soggetti erroneamente atteggiati, ironizzando sui cow-boys che a teatro sparano sui cattivi 22.
Se limitazione agisce sempre pi debolmente delloggetto imitato,
e le imitazioni ci toccano solo in proporzione allimpressione che riceveremmo se vedessimo realmente la cosa imitata, grande allora il rischio che si assumono pittori e poeti quando prendono a oggetto della
loro imitazione qualcosa che gi in natura guarderemmo con indifferenza, perch leffetto artistico non potr che essere ancor pi indifferente. Questa argomentazione, molto discutibile, il punto esatto in
cui la teoria meccanicistica dellempatia dubosiana trapassa in una poetica normativa: a differenza di Teniers o Wowermans, che indulgono
in scene di genere o in paesaggi deserti incapaci di colpirci significativamente, Poussin e Rubens hanno sempre introdotto nei loro dipinti
o persone che pensano, per indurci a riflettere, o persone in preda a
passioni, per indurci a turbarci. Larte dunque, in quanto costitutivamente pi debole della realt che imita e orientata a produrre commozione come al suo massimo scopo, dovr prediligere, se vorr aver successo, le situazioni che promuovono unidentificazione nellazione impregnata di pathos.
Du Bos qui trascura totalmente quel campo dellempatia per il subumano, che i successivi teorici dellEinfhlung avrebbero indagato soprattutto nella forma dellempatia di stati danimo (caso eclatante
quello dellesperienza del paesaggio 23), a tutto vantaggio di unempatia
intersoggettiva che domina anche in presenza di soggetti solo rappresentati e non presenti in carne ed ossa. Ma Du Bos non solo enfatizza lempatia intersoggettiva a scapito di quella per gli oggetti; pone
altres precise regole alla prima: Siamo soprattutto sensibili alle inquietudini e alle afflizioni di coloro che soffrono delle nostre stesse
passioni. [] dunque naturale prediligere le imitazioni che descrivono altri noi stessi, vale a dire personaggi in bala di passioni che pro209

viamo attualmente, o che abbiamo provato in passato (75; corsivo


mio). Maggiore la distanza della rappresentazione dal nostro patrimonio patemico, passato e presente, maggiore sar la difficolt di venire
colpiti nel profondo da quella rappresentazione. Eppure al fruitore
richiesta la capacit di trascendere il proprio immediato orizzonte esperienziale, per collocarsi, sempre per via empatica, nel contesto storico
delloggetto rappresentato, in cui solo pu assumere un senso adeguato
il concetto di verosimiglianza; se vero, da un lato, che siamo pi o
meno colpiti dallimitazione in proporzione alla sua verosimiglianza, e
non siamo disposti a seguire ciecamente il pittore o il poeta laddove
questi pretendono da noi una passiva sottomissione agli arbitri della
loro fantasia, altrettanto vero, dallaltro, che va adottato un criterio
di verosimiglianza storica (112), non cio metafisicamente assoluta,
ma storicamente condizionata: Rubens, dipingendo Tritoni e Nereidi
nel rappresentare Maria de Medici in arrivo nel porto di Marsiglia,
commette un errore non per il fatto di aver dipinto creature irreali, ma
perch non ce nerano pi, per cos dire, nel tempo in cui accadde
lepisodio. [] Noi siamo sempre disposti a supporre che queste divinit siano esistite veramente in quei tempi, perch allora gli uomini
credevano alla loro esistenza (96). Come ben mostra unanaloga argomentazione relativa alla poesia, la verosimiglianza storica in fondo
anchessa fondata sul processo empatico di immedesimazione; il poeta trasporta i suoi lettori al tempo in cui colloca lazione poetica, e i
lettori, immedesimandosi nei personaggi dellepoca, discriminano secondo i criteri di quel tempo fra verosimile e inverosimile: un fatto
verosimile un fatto possibile nelle circostanze in cui viene rappresentato, e il poeta ha il diritto di esigere che si trovi possibile tutto quello
che appariva possibile ai tempi in cui egli fa svolgere lazione, e in cui
trasporta, in qualche modo, i suoi lettori (111).
Quattro sembrano essere, dunque, i criteri in nome dei quali giudicare unopera darte: imitazione, identificazione, verosimiglianza e rappresentazione. Lopera devessere mimetica di situazioni e oggetti reali;
deve presentarci personaggi nelle cui azioni e passioni possiamo identificarci; non deve eccedere nel fantastico e meraviglioso, ma proporci fatti verosimili nel senso di ritenuti possibili nellepoca corrispondente; non deve infine mai rimuovere, cercando lillusionismo, la soglia
che separa la realt dalla rappresentazione. In questi quattro deve la
fenomenologia dubosiana dellempatia si precisa in senso poetico-normativo, mostrando al contempo tutti i suoi limiti. Sarebbe tuttavia improprio confrontarla con gli sviluppi successivi dellEinfhlung per
dire che cosa Du Bos non ha fatto: ad es. unempatia della Stimmung
proiettata su paesaggi privi di esseri umani che agiscano o patiscano;
ad esempio una descrizione dei gradi di intensificazione progressiva
dellesperienza empatica, che dal distaccato rappresentarsi la passione
210

altrui possono giungere fino alla fusione di due o pi soggetti in


ununica esperienza. Per comprendere come i limiti dubosiani siano
non il contrassegno di una fase immatura e principiale dellempatia,
ma una precisa opzione interpretativa dellesperienza dellarte, sarebbe sufficiente ricordare come, duecento anni dopo, ancora uno storico dellarte e della cultura come Aby Warburg (profondamente influenzato dalle teorie dellempatia, in particolare nella declinazione di
Friedrich Theodor e Robert Vischer, e tenuto ben presente da neuroestetici come Freedberg) avrebbe tentato una mappatura della storia
delle immagini sub specie patemica, guardare alla innumerevole molteplicit delle opere darte visiva come a una incessante variazione di
alcune formule patemiche originarie (Pathosformeln), tipi di posture
corporee in cui immediatamente si esprime un affetto 24, significa pensare lartisticit in connessione essenziale e strutturale con lemotivit
e la capacit di muovere e commuovere: quella stessa connessione che
Du Bos non si stanca di ribadire lungo tutte le Rflexions.

1
Sullo sviluppo del concetto cfr. N. Eisenberg and J. Strayer (ed.s), Empathy and its
Development, Cambridge University Press, Cambridge MA 1987 (sulla storia del termine si
veda in particolare il contributo di L. Wisp, History of the Concept of Empathy).
2
S. Zeki, La visione dallinterno. Arte e cervello (1999), tr. it. di P. Pagli e G. De Vivo,
Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 127. Il sito dellIstituto londinese di neuroestetica fondato
da Zeki : www.neuroesthetics.org.
3
D. Freedberg, Empathy, Motion and Emotion, in E. Franzini, G. Lucignani, R. Pettoello (a cura di), Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia, Cortina, Milano (in
preparazione), corsivo mio. Per il nesso immagine-empatia cfr. specie i parr. VI-VII. Cfr. Idem,
Il potere delle immagini (1989), tr. it. di G. Perini, Einaudi, Torino 1993.
4 G. Rizzolatti, R. Camarda, L. Fogassi, M. Gentilucci, G. Luppino, M. Matelli, Functional organization of inferior area 6 in the macaque monkey: II. Area F5 and the control of distal movements, in Experimental Brain Research, 71, 1988, pp. 491-507. Pi recentemente: G. Rizzolatti, L. Fogassi, V. Gallese, Neurophysiological mechanisms underlying the understanding of action, in Nature Neuroscience Reviews, 2, 2001, pp. 661-70.
5
Seguo qui lesposizione di G. Rizzolatti e V. Gallese, From Action to Meaning. A
Neurophysiological Perspective, in Les neurosciences et la philosophie de laction, ed. J.-L.
Petit, Vrin, Paris 1997, pp. 217-29.
6
L. Fadiga, L. Fogassi, G. Pavesi, G. Rizzolatti, Motor facilitation during observation: a
magnetic stimulation study, in Journal of Neuropsychology, 73/6, 1995, pp. 2608-11.
7 G. Rizzolatti e V. Gallese, From Action to Meaning, cit., p. 227.
8
Fra gli scritti dedicati da Gallese a tale questione ricordiamo: The Shared Manifold
Hypothesis: From mirror neurons to empathy, in Journal of Consciousness Studies, 8/5-7,
2001, pp. 33-50; The manifold nature of interpersonal relations: The quest for a common
mechanism, in Phil. Trans. Royal Soc. London B., 358, 2003, pp. 517-28; The roots of empathy: the shared manifold hypothesis and the neural basis of intersubjectivity, in Psychopathology, 36/4, 2003, pp. 171-80; Being like me: Self-other identity, mirror neurons and empathy, in S. Hurley and N. Chater (eds.), Perspectives on Imitation: From Cognitive Neuroscience to Social Science (Vol. 1), MIT Press, Cambridge, MA 2005.
9 Cfr. G. Rizzolatti e V. Gallese, From Action to Meaning, cit., p. 218. In unintervista rilasciata sul Manifesto del 22 giugno 2005, Gallese afferma di riconoscersi molto di pi
nella Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty che nella Mente modulare di Fodor.
10 Cfr. H. Kohut, Introspection, Empathy and Psychoanalysis, in Journal of the American Psychoanalytic Association, 7, 1959.

211

11 Cfr. la V Meditazione in E. Husserl, Meditazioni cartesiane e discorsi parigini (1931),


tr. it. di F. Costa, Bompiani, Milano 1989; le indagini raccolte in Idem, Zur Phnomenologie
der Intersubjectivitt (Husserliana, Bde. XIII-XV), hrsg. von I. Kern, Nijhoff, Den Haag 1973;
E. Stein, Il problema dellempatia (1917), a cura di E. Costantini, Studium, Roma 1985; M.
Scheler, Essenza e forme della simpatia (1923), tr. it. di L. Pusci, Citt Nuova, Roma 1980.
12 Cfr. H.F. Mallgrave and E. Ikonomou (ed.s), Empathy, Form and Space. Problems in
German Aesthetics 1873-1893, The Getty Center for the History of Art and the Humanities,
Santa Monica (California) 1994; A. Pinotti (a cura di), Estetica ed empatia, Guerini, Milano
1997.
13 Cfr. M. Geiger, Essenza e significato dellempatia (1911), tr. it. di F. Marelli, ivi, pp.
61-94.
14 Novalis, I discepoli di Sais, a cura di A. Reale, Bompiani, Milano 2001. Contro questa
genealogia romantica, e a favore di una genesi hegeliana, cfr. W. Perpeet, Historisches und
Systematisches zur Einfhlungssthetik, in Zeitschrift fr sthetik und allgemeine Kunstwissenschaft, 11/2, 1966, pp. 193-216: solo dopo che lo spirito ha svuotato di senso la
natura che lempatia la pu tornare a riempire di sentimento.
15
J. G. Herder, Plastica (1778), a cura di G. Maragliano, Aesthetica, Palermo 1994; Vom
Erkennen und Empfinden der menschlichen Seele (1778), in Idem, Werke, hrsg. von W. Pro,
Bd. II, Hanser, Mnchen-Wien 1987.
16
E. B. Titchener, Experimental Psychology of the Thought Processes, Macmillan, New
York 1909.
17 A. Smith, Teoria dei sentimenti morali (1759), a cura di E. Lecaldano, Rizzoli, Milano
1995, p. 83.
18 E. Burke, Inchiesta sul Bello e il Sublime (1757), a cura di G. Sertoli e G. Miglietta,
Aesthetica, Palermo 1985, pp. 75-76.
19
D. Hume, Trattato sulla natura umana (1739-40), tr. it. di A. Carlini, E. Lecaldano ed
E. Mistretta, Laterza, Roma-Bari 1978, p. 609.
20 J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, ed. it. a cura di M. Mazzocut-Mis e P. Vincenzi, pres. di E. Franzini, Aesthetica, Palermo 2005. Citiamo direttamente
nel corpo del testo, rinviando fra parentesi tonda al numero di pagina delled. italiana.
21 S. Witasek, Zur psychologischen Analyse der sthetischen Einfhlung, in Zeitschrift fr
Psychologie und Physiologie der Sinnesorgane, 25, 1901, p. 10. Secondo il principio di attualit il sentimento altrui effettivamente vissuto da me; secondo il principio di rappresentazione da me solo rappresentato.
22
M. Geiger, Del dilettantismo nellesperienza artistica (1928), in Vie allestetica. Studi
fenomenologici, a cura di A. Pinotti, Clueb, Bologna 2005, p. 53). Geiger ha presente le Rflexions dubosiane, che cita nei saggi Effetto superficiale ed effetto profondo dellarte
(1926), ivi, p. 83, ed Estetica (1921), ivi, p. 171, anche se respinge lidentificazione dubosiana di arte e produzione di passioni superficiali.
23 Si veda il denso studio di M. Geiger, Sul problema dellempatia di stati danimo
(1911), tr. it. di P. Galimberti, in Il realismo fenomenologico, a cura di S. Besoli e L. Guidetti,
Quodlibet, Macerata 2000, pp. 153-88.
24 Si veda soprattutto Mnemosyne. LAtlante delle immagini, a cura di M. Ghelardi, Aragno, Torino 2002.

212

Il caso Du Bos e il paradigma dellestetica


di Luigi Russo

Paradossale fortuna quella toccata a Jean-Baptiste Du Bos. Le


sue Riflessioni come ben documentano gli interventi che mi hanno
preceduto hanno dilagato per tutto il Settecento europeo con un
successo inaudito, intessendo di s luniverso della cultura umanistica.
Lintero Settecento il secolo della nascita dellestetica non sarebbe lo stesso senza Du Bos, la cui azione manifesta capillare e pervasiva; ma non meno invasiva anche quella per cos dire sotto traccia,
quella che informa la sensibilit e determina la forma mentis di
unepoca. Eppure, allo svoltare del secolo, fra Kant e il Romanticismo,
proprio quando arriva a maturazione e si fissa il sistema dellestetica,
in larghissima (ma non totale: vedremo) misura a lui inspirato, Du Bos
viene rimosso, viene lasciato affondare nel limo dei fermenti prenatali.
Cos la sua figura si opacizzata nel limbo evanescente degli iniziatori,
anzi dei precursori, quella categoria insomma di pionieri avventurosi
ai quali, come Colombo il continente americano, fortunosamente capitato dintravedere e magari approdare in una nuova terra, che aprono ad altri ma a loro rimane sconosciuta; o come Mos, cui concesso
solo di guardare da lontano la terra promessa lestetica essendo
solo ai suoi successori da Batteux e Baumgarten, via via fino a Kant
ed Hegel concessa la fortuna della mirata esplorazione e del reale
possesso.
Eppure, scavalcato lOttocento, nel secolo scorso, a partire dal fondamentale libro di Lombard 1, che lha rilanciato addirittura come iniziatore del pensiero moderno, nellultimo mezzo secolo, a ritmo accelerato, Du Bos ha riguadagnato primazia, imponendosi allattenzione
contemporanea. ridiventato, come si dice, un autore attuale. Segno
tangibile, del resto, di questo intenso interesse la stessa pubblicazione
in italiano delle sue Riflessioni, che ha dato occasione al presente Seminario. Come mai, che sta succedendo? Cosa determina le dinamiche,
in apparenza banalmente trasparenti, di attualit e inattualit di un
autore? Possiamo tranquillamente metterle in carico alla variabilit
inesplicabile delle mode culturali? Ma la stessa moda culturale davvero senza significato o non piuttosto epifenomenica? Ecco perch mi
sembra il caso scusate il bisticcio di aprire un caso Du Bos.
213

In verit, pu venire il dubbio che sia il caso di fare un caso Du


Bos. Si potrebbe osservare che una sorte analoga, o comunque comparabile a quella di Du Bos, stata riservata nella storia dellestetica a
una miriade di autori antichi e moderni. Senza giungere allestremismo
giovanile dellEstetica crociana 2, che come si sa mise fuori gioco e boll come preistorica la quasi totalit della cultura estetologica occidentale, per rimanere al Settecento, sono folta schiera gli studiosi prima appiccicati in cornice col titolo di precursori e che negli ultimi
anni, solitamente per qualche ragione specifica, sono stati rivisitati e
riabilitati: si pensi ad Addison, Hutcheson e Burke, quando non gli
stessi Baumgarten e Batteux, per esempio, o Winckelmann, Lessing e
Mendelssohn.
Ci sicuramente vero, e anzi costituisce gi un indice eloquente
per le considerazioni che mi accingo a fare. Ma non difficile accorgersi, in questi casi, che tali autori beneficiano della crisi del modello
tradizionale di storiografia estetica, che aveva pontificato eleggendo arbitrariamente polarit e soglie epistemiche preferenziali, in relazione e
in funzione delle quali si dispiegava linterpretazione storica. quella che stigmatizzo come la logica del precursore, secondo la quale la
storiografia abdicava alla sua funzione non preoccupandosi di accertare
la realt storica dei singoli pensatori, ossia quali fossero il tenore dei
problemi che affrontavano e la natura della loro risposta, e confidando
nellesistenza di un astratto problema unico, identico per i pensatori
di ogni epoca, consegnava la soluzione a un eroe disciplinare predesignato. Nasceva cos un orizzonte scientifico grottesco, nel quale lopera
degli studiosi non trovava spiegazione in essi ma in una virtualit indistinta, un puro ideale teorico, in attesa del cui compimento il ritmo
del reale si arrestava e si disponeva en attendent il messia futuro, che
come il bambin Ges sarebbe arrivato per soddisfare le istanze disciplinari. Cos gli studiosi non venivano riconosciuti nella loro realt storica, il loro essere entit perspicue della vicenda storica della teoria, ma
meri vettori strumentali, linee incrementali votate ad alimentare lagognato esito privilegiato, in cui la tensione noetica trovava perfezione.
In una vulgata molto frequentata, il punctum definitionis era solitamente riconosciuto nellignaro Kant, che non poco sarebbe rimasto sorpreso di apprendere che a lui era toccato a lui che non aveva accreditato neanche il nome dellestetica! il destino di teleologizzare il travaglio dellintero secolo, determinando la nascita dellestetica, della
quale gli veniva conferito il (dubbio) nome di padre 3.
Prospettive storiografiche siffatte, di stampo ottocentesco ma che si
sono per inerzia trascinate nel Novecento, procurando non pochi guasti anche in Italia, sono oggi felicemente tramontate. Oggi sicuramente
guardiamo agli autori del Settecento senza i pregiudizi del passato, e
di questa diversa percezione ermeneutica non pu non beneficare an214

che Du Bos. Sono per convinto che per Du Bos non si tratti solo di
questo, ma che vi siano in gioco ulteriori elementi di cruciale rilevanza, sui quali opportuno pertanto focalizzare lattenzione.
Cominciamo allora considerando i luoghi istituzionali forti nei
quali stato formalizzato il destino di Du Bos nella storia dellestetica. Limiter lispezione ai quattro testi fondamentali della tradizione
prenovecentesca, legati ai nomi di Zimmermann, Menndez y Pelayo,
Bosanquet e Croce, che si sgranano nellarco di mezzo secolo.
Vediamo subito lultima sede, la seconda parte dellEstetica di Benedetto Croce. E qui, curiosamente, Du Bos non ne esce tutto sommato male. Croce ne parla nel terzo capitolo intitolato Nuove parole e
nuove osservazioni nel secolo XVII, al paragrafo Fermenti di pensiero, dove scrive:
Il sentimento ha il suo rappresentante pi spiccato nel libro del francese Du Bos,
Rflexions critiques sur la posie et la peinture (1719). Il Du Bos considera larte come
un abbandonarsi al sentimento: se livrer aux impressions que les objets trangers
font sur nous, senza la fatica della riflessione. Ride di quei filosofi che combattono limmaginazione; e del discorso del Malebranche sul proposito, ricco dimmagini, osserva che: cest notre imagination quil parle contre labus de limagination.
Nega ogni nocciolo intellettuale nelle produzioni dellarte, affermando che larte
consiste non gi nellistruzione, ma nello stile. Non rispetta troppo il verisimile, dichiarandosi incapace di stabilire i confini tra verisimile e il maraviglioso, e lasciando quei che son nati poeti di far convenientemente questa miracolosa alleanza di opposti. Per lui non vi altro criterio dellarte fuori del sentimento, questo sixime sens:
contro del sentimento non valgono le riflessioni e le discussioni: i giudizi del pubblico la vincono su quelli della gente di mestiere, dei letterati ed artisti di professione:
tutte le sottili osservazioni dei maggiori metafisici non faranno scadere i poeti di un
grado della loro riputazione, perch, anche se fosser giuste, non li spoglierebbero
dalle attrattive che hanno: invano, dunque si cerca di screditare lAriosto e il Tasso
agli italiani, come invano si tent di screditare il Cid ai francesi: i ragionamenti altrui non ci persuaderanno mai a credere il contrario di ci che noi sentiamo 4.

Una esposizione, come si vede, sicuramente non elogiativa ma nemmeno demolitrice, per uno almeno che andava seminando di cadaveri la storia dellestetica. Anzi, in definitiva, se si considera lottica dellanalisi crociana, tutto sommato ha una qualche positivit la sua considerazione di Du Bos, tanto pi che, se gli nega la scoperta della
scienza estetica, riconosce merito alle intuizioni che circolavano anche nei fermenti dubosiani. Infatti conclude: Il sensualismo del Du
Bos e degli altri campioni del sentimento anche evidente [...]. Per
queste ragioni, pur dando grande importanza per la storia delle origini
della scienza estetica a quelle nuove parole, alle nuove intuizioni cui si
riferivano: [...] noi non sapremmo vedere, nellapparire di esse, la scoperta della scienza estetica 5.
Non si pu dunque imputare a Croce, specificamente, la rimozione di Du Bos.
215

Croce scrive nel 1902, dieci anni prima era stata pubblicata lHistory di Bernard Bosanquet 6. una storia interessante, che tra i tanti meriti ha quello di rivendicare il recupero del tardoantico, del medioevale e del premoderno, denunciando il salto mortale cos in
italiano si esprime 7 ossia la latenza disciplinare di duemila anni che
Zimmermann, allinsegna di una presunta grosse Lcke 8, aveva imposto alla storiografia estetica, e avviando per contro quel tipo di ricerca feconda che guadagner in seguito il titolo di estetica implicita. Eppure lo storico dellAesthetic (e non, come solitamente viene riportato, dellAesthetics), nella rapida e sfocatissima carrellata settecentesca che compie, dei francesi nomina solo Corneille, Fontenelle e Voltaire, e non c neanche lombra di Du Bos.
giocoforza allora arretrare di unaltra diecina danni e rivolgersi
ai due densi volumi dellHistoria di Marcelino Menndez Pelayo, lavoro di regola informatissimo ed equilibrato 9. Non per questa volta.
Perch Menndez del primo Settecento francese attratto solo da Andr, al quale dedica numerose attente pagine. E mentre destina a
Crousaz una ventina di righe, su Du Bos scrive appena: El abate DuBos tiene el mrito de haber sido uno de los primeros en indagar, aunque superficialmente, las causas del progreso y decadencia de las artes,
y en su critica pueden notarse aciertos como el de recomendar a los
poetas que prefieran los asuntos nacionales. Voltaire le estimaba como
el libro ms util que hubiese aparecido sobre estas materias hasta su
tiempo. Hoy nos parece vago, superficial y falto de mtodo 10.
Si tratta di una valutazione talmente gretta che attira lattenzione.
Intanto diciamolo francamente appare di seconda mano, mutuata
da una fonte dichiarata: il famoso giudizio di Voltaire su cui fra poco
ci soffermeremo. Ma si ha limpressione di una sorta dincompatibilit
disciplinare, che esplode nella dannazione finale: vago, superficiale e
privo di metodo. Unasprezza siffatta non stupirebbe nella Storia di
Croce, ma appare sconcertante nellHistoria di Menndez. Talch
inevitabile chiedersi cosa ha determinato la durezza di questo giudizio
e a quale fonte riportabile.
Non credo di sbagliare se suggerisco di approdare alla Geschichte
di Robert Zimmermann, la prima storia della storia dellestetica 11. E
non faccio mistero di ritenere che qui siano stati fissati i nodi del caso Du Bos, che abbiamo visto informare il giudizio di Menndez, e
dunque esistano gli elementi decisivi per mettere pienamente a fuoco
la questione che andiamo indagando. Zimmermann si sofferma sui
pionieri dellestetica cominciando con i francesi, a partire da Batteux.
E chiama subito in causa Du Bos, liquidandolo con le parole: Zwar
hatte schon vor ihm der Abb Dubos in seinen kritischen Bemerkungen ber Posie und Malerei, in welchen er den Geschmack als einen
dem Mensehen angebornen sechsten Sinn zur ausschliesslichen Norm
216

und Regel erhob, die Idee eine Aesthetik anzubahnen versucht. Allein
seine zerstreuten, wenn auch hie und da feinen Beobachtungen sind
welt entfernt ein systematisches Ganze zu bilden 12.
Viene cos a giorno la causa della rimozione di Du Bos dalla storia
dellestetica: egli autore di fini osservazioni ma che non costituiscono un insieme sistematico. dunque in relazione al sistema dellestetica, allassenza di tale sistema, che Du Bos stato giudicato
e condannato senza appello. Ma, per sciogliere la domanda se, e in
che misura, il giudizio, davvero esemplare ed emblematico di Zimmermann, sia fondato, bisogna preventivamente guadagnare la consapevolezza che il vero tema, enormemente pi importante, implicato in questo giudizio il paradigma dellestetica.
Ma procediamo con ordine, e intanto ritorniamo alla fonte esplicita
di Menndez, Voltaire. Infatti Voltaire autore, insieme a tante malignit private (che in verit non risparmiava a nessuno), di un giudizio
fulminante sulle Riflessioni di Du Bos, da tutti citato e che divenuto
un luogo comune: Ce nest pas un livre mthodique mais lauteur
pense et fait penser. A leggere distrattamente, pu sembrare che sia
lo stesso giudizio di Zimmermann e Menndez; ma se poniamo attenzione non affatto cos. Quello di Voltaire un giudizio nettamente
positivo. Precisa infatti: Ce qui fait la bont de cet ouvrage, cest quil
ny a que peu derreurs et beaucoup de rflexions vraies, nouvelles, et
profondes 13. Voltaire si limita a caratterizzare il profilo formale del
testo dubosiano con laggettivo mthodique, registrando che non appartiene al genere del trattato filosofico, ma dellesplorazione intellettuale, unindagine che procede libera da schemi preordinati, appunto
riflessioni critiche del tipo di quelle, per esempio, che anni prima
Boileau aveva dedicato a Longino 14, e ne apprezza al massimo lo spessore conoscitivo. Laddove Menndez male traduce Voltaire con privo
di metodo, e semmai bene invece interpreta Zimmermann con privo di sistema. Il punto essenziale: le Riflessioni di Du Bos non sono
un trattato sistematico, non sono un sistema (filosofico) dellestetica.
Linearizzando la terminologia, potremmo di dire che la questione
poggia tutta sulla differenza fra metodo e sistema. Se riempiamo
queste parole di significati pertinenti alla storia dellestetica, rileviamo
che non significano la stessa cosa: infatti, mentre un sistema non pu
non essere metodico, un metodo pu non essere sistematico. Chiariamo meglio. La storia dellestetica, dellestetica in senso lato, di ci
che sarebbe preferibile chiamare estetologia, conosce una costellazione plurimillenaria di saperi attrezzati in forma metodica ma non sistematica; la sistematica, cio unestetica configurata in modo sistematico, caratterizza solo lestetica in senso stretto, cio lestetica moderna, il sapere filosofico profilatosi nella cultura occidentale col nome introdotto da Baumgarten, sviluppatosi potentemente a partire dal se217

condo Settecento per oltre un secolo e tramontato nel secondo Novecento. Pertanto, il paradigma di ci che legittimo chiamare estetica
(in senso lato: lestetologia) non stato nella storia sempre e di necessit quello sistematico. Quindi storiograficamente intenibile pretendere di apprezzare lintera costellazione dei saperi estetologici, e i loro
autori, col metro di misura, o addirittura in relazione a quel segmento, certo importantissimo ma nettamente circoscritto e differenziato,
costituito dallestetica moderna.
Vale dunque la pena chiedersi in che senso le Riflessioni di Du Bos
non sono un sapere sistematico. Ermanno Migliorini, cui si deve il merito di avere accreditato Du Bos nella storia dellestetica, a questo riguardo parla di sistematicit precaria delle Riflessioni, ma non tale
da non riconoscervi una pi generale sistematicit [] come sistematicit, cio, dellesplorazione di un campo. Esplorazione tuttavia condotta mediante il saggio, linchiesta, un atteggiamento conoscitivo [che]
rifiuta lo spirito di sistema e la tecnica del trattato 15. Proprio quanto, introducendo un indice differenziale, ho prima proposto di chiamare una metodica, non riconducibile a una sistematica.
Lo scarto fra metodo e sistema, in Du Bos, non dunque un
fatto materiale, da ponderare in termini quantitativi (osservazioni sparse, bench qua e l fini), ma epistemico. Du Bos insiste in una soglia
storico-concettuale che non (ancora) quella dellestetica moderna. E
mentre riconosciamo che andato fuori strada Menndez, che maneggiando superficialmente Voltaire fa il verso a Zimmermann, non meno vero che questi fu depistato dal pregiudizio della sua ottica storiografica. Dobbiamo allora decisamente falsificare Zimmermann e concludere che Du Bos non coltiva lidea di costruire unEstetica sistematico-filosofica. Du Bos, pi propriamente, vorrei dire: pi banalmente, cerca di mettere ordine nel proprio universo cognitivo, apre liste di congruenza, introduce catene di analogie, scopre zone dombra
e ribalta opinioni consolidate, traumatizza, intreccia una rete saperi, in
una parola: elabora unaffascinante, monumentale fenomenologia dellesperienza artistica. Fa, insomma, la sua estetica, peraltro come egli
stesso rivendica en philosophe 16, ma ignorando, anzi senza poter immaginare che quindici anni dopo un geniale dottorando tedesco avrebbe introdotto nel lessico filosofico la parola sthetica 17, postulando con
questo nome una nuova scienza filosofica, alla quale quindici anni dopo
avrebbe dedicato unimportante trattato 18, che sarebbe gravitato in una
intricata congerie da cui avrebbe preso avvio lestetica moderna. Du
Bos ripeto fa la sua estetica, non il pioniere o il precursore
dellestetica moderna.
Naturalmente, il fatto che bisogna respingere come atto storiografico indebito, non pertinente, linquadramento di Du Bos nellambito
dellestetica moderna, non significa che lesigenza che ha spinto que218

sto movimento sia irrilevante e, a certe condizioni, possa offrire importanti lumi. Del resto non si pu non pigliare atto che Du Bos stato
comunque dalla tradizione disciplinare radicato nellestetica moderna,
incatenato alla sua genesi. Illusione degli studiosi? La risposta sic et
non, e costituisce il paradosso cui conduce il caso Du Bos.
La situazione lha illustrata bene ancora Migliorini, interlocutore
privilegiato di queste mie considerazioni, che ha osservato:
Non si saprebbe spiegare il successo delle Rflexions, la profonda impressione
che lopera dest ai suoi tempi, il moltiplicarsi delle edizioni e delle traduzioni, la
sua capacit di stimolo, il suo fascino (che in qualche modo ancora essa esercita)
insieme col desiderio di tutti i suoi lettori, antichi e moderni, di vedervi un insieme
ordinato, al punto di farle violenza, se non ponendo mente a un fatto di fondamentale importanza: che le Rflexions sono la prima opera che nella cultura moderna
raccoglie in un unico contesto e quindi con una certa unit di indirizzi e di tono,
unenciclopedia abbastanza completa, in certo modo anzi sovrabbondante, della materia che la cultura posteriore verr configurando come oggetto di una nuova scienza, lestetica []. E qui, probabilmente, in questo fortunato assembramento di temi,
che gi si trovavano tutti nella cultura precedente, ma che giungono alle Rflexions
chiariti singolarmente, uno per uno teorizzati ed anche con strenua coerenza, occorre
vedere loriginalit, la novit dellopera di Du Bos, la ragione della sua fortuna, la
sua funzione storica, in questo definirsi e spiegarsi di piani e di temi che sia pure
senza sistema, senza un generale soddisfacente inquadramento teoretico riescono
a delimitare e a coprire con sufficiente esattezza un terreno che sar proprio di un
campo della cultura moderna 19.

Questa diagnosi precisa e puntuale fa comprendere la difficolt


obiettiva dinquadramento, fino allimbarazzo, che Du Bos ha procurato agli storici dellestetica. Inevitabilmente, essi hanno dovuto prendere atto che nelle Riflessioni non poteva non riconoscersi la genesi
dellestetica moderna, essendovi dispiegato il suo piano tematico con
(quasi) tutte le sue strutturali articolazioni. Dunque, in qualche misura
e accezione, era doveroso registrare Du Bos, e pi che come un generico precursore; e se non come padre (titolo solitamente riservato a Kant, quando non a Vico da Croce) o padrino (ruolo al quale
Croce retrocesse Baumgarten), almeno come un pioniere. Nello stesso tempo, tuttavia, appariva palmare che si era in presenza di una matrice aliena, perch possedeva una diversa costituzione noetica, diremmo oggi che insisteva in una diversa soglia epistemica. Privi degli strumenti per distinguere e valutare la plurivocit dellorizzonte estetologico, limitati allorbita dellestetica moderna, la diversit di Du Bos
stato giocoforza interpretare come minorazione sistematica e limite
metodologico. Del resto dico per inciso tutta una autorevole linea
interpretativa, da Lombard a Fumaroli 20, tuttoggi assegna a Du Bos
altra e non meno rilevante incidenza storico-culturale, riferita alla retorica il Quintiliano di Francia in un ambito di complesse relazioni di saperi, certo pi aderente alluniverso culturale dubosiano.
219

Tornando alla sua declinazione estetologica, va ribadito come agli


occhi degli storici ottocenteschi dellestetica, che furono lo ricordiamo essenzialmente storici dellestetica moderna, Du Bos apparisse
borderline. Adottando una vecchia terminologia storiografica, potremmo dire che appariva inassimilabile sia per eccesso sia per difetto.
Per eccesso, perch mentre non gratificava delle plaghe metateoriche disegnate dalle estetiche sistematiche, liberava scenari inquietanti
nei quali campeggiavano noia ed emozione, gusto e sentimento, piacere e passione, clima e democraticit della fruizione... materie scabrose che la cultura occidentale fin dai tempi di Platone aveva tenuto a
freno, quando non posto sotto chiave quel coacervo insomma incandescente liquidato con la bolla di sensualismo.
Per difetto, perch lo sbilanciamento dubosiano sul versante diciamo sinteticamente dellemozione, era vieppi accentuato dallassenza di quellanticorpo che stato il sale dellestetica moderna. Sempre Migliorini coglie limpidamente il punto osservando:
Lintera enciclopedia estetica dei secoli successivi rappresentata per la prima
volta riunita, con una certa unit dintenti, con la sola eccezione della teoria del bello
di cui per si tenta qua e l un acuto ricupero. Lestetica di Du Bos si presenta
infatti come teoria dellarte; e in questi limiti riempie puntualmente le aspettative: la
bellezza non poteva dunque che perdere ogni suo attributo metafisico e definirsi
solo come raggiungimento dellefficacia dellopera darte 21.

Non basta quindi commentare che Du Bos non appariva sistematico perch non faceva una filosofia dellarte; bisogna precisare: perch
non faceva una filosofia dellarte nellaccezione che qualifica lestetica
moderna. Ossia quella cifra identitaria che leggiamo, rappresentata al
meglio, nella celebre apertura dellEstetica di Hegel:
Signori, queste lezioni sono dedicate allEstetica; il loro oggetto il vasto regno
del bello e, pi dappresso, il loro campo larte, anzi, la bella arte. Certo per questo oggetto il nome di Estetico non completamente appropriato, poich Estetica
indica pi esattamente la scienza del senso, del sentire [...]. Noi vogliamo perci
contentarci del nome di Estetica, giacch come semplice nome per noi indifferente,
e del resto cos entrato nel linguaggio comune che pu essere conservato come
nome. Tuttavia il vero e proprio termine per la nostra scienza filosofia dellarte,
e pi specificamente filosofia della bella arte 22.

Come si sa, limpianto rivendicato da Hegel lapprodo finale di


un travagliato itinerario speculativo iniziato decenni prima, a met del
Settecento, proprio a ridosso di Du Bos. Lo studioso settecentesco che
forse pi di ogni altro tributario di Du Bos Charles Batteux 23, che
da lui massicciamente ha attinto e ne ha condotto una sorta di prima
sistematizzazione, ma incentrandola sulla nota fondamentale lasciata da
lui cadere: la nozione di bellezza. Davvero il sistema delle belle arti
220

di Batteux lanello strategico di congiunzione fra lestetica, diciamo


asistematica o premoderna, di Du Bos e lestetica sistematica che ha al
suo terminale Hegel. Una trentina danni dopo le Riflessioni di Du
Bos, nel 1746, Batteux col suo sistema pone infatti per la prima volta
la condizione sistematica con cui nasce il concetto di arte della modernit, che nei decenni successivi, grazie soprattutto a Mendelssohn 24,
dar origine alla filosofia dellarte, cio al sistema dellestetica moderna,
giusto quanto precisa Hegel, come filosofia della bella arte. Ecco
cosa, tout malgr, malgrado aderenze e infiltrazioni, attrazioni e perplessit, mise progressivamente fuori gioco Du Bos: tanto la mancanza di una sistematica dellarte quanto la quintessenza della sua costituzione filosofica, il concetto di arte bella. La sentenza inevitabile matur
gi ai tempi di Kant, alla fine del Settecento, decretando la sua pressoch completa rimozione dalla storia dellestetica.
Non allora n sorprendente n senza significato il rinnovato interesse per le Riflessioni di Du Bos che registriamo nei nostri anni.
Non sorprendente, perch ci divenuto possibile grazie al dissolvimento dellestetica moderna. Cos gli studiosi, liberi da censure e
condizionamenti, hanno preso a guardare senza pregiudizio lintera
storia dellestetica, riconoscendo le ragioni specifiche di ogni sua stagione teorica. E la riflessione estetologica, aforistica e non pi sistematica, sgravatasi dalla rovinosa ipoteca della nozione di bellezza, ha ritrovato stimolanti ragioni di confronto col passato.
Non allora senza significato ritrovare Du Bos, e sentire naturale
entrare in sintonia con questo fantomatico antenato, cui ci lega una
sorprendente aria di famiglia. Risalito il Nilo dellestetica moderna,
Du Bos divenuto un lascito nuovamente fruibile. Certo intrigante
la rosa di temi che la sua enciclopedia ha liberato: noia, emozione,
piacere immediato, e ancora pathos, clima, natura unestetica democratica, popolare, del successo del pubblico...
Cento anni fa, nel 1913, lantesignano Lombard gi notava: Selon
Du Bos, la plaisir du thtre est chez nous une volupt du mme ordre que les passions des Romains poir les combats des gladiateurs. Il
ne sest pas tromp en discernant, dans la psychologie des spectacles
de son temps, cette frocit instinctive que laction profonde du cinmatographe sur les masses a manifeste de nos jours avec tant dvidence 25. Quarantanni fa gli faceva eco Migliorini: Vale la pena di sottolineare ancora una volta lattualit del pensiero dubosiano [...] queste
posizioni, cos spregiudicatamente moderne (al punto da far pensare
talora a quelle di alcuni pensatori contemporanei), anche se assunte in
un contesto di inevitabile cultura classicistica, giustificano, a nostro
avviso, lattenzione che da qualche tempo si dedica alle Rflexions 26.
Voglio chiudere con un pensiero che sa di provocazione: siamo
sicuri che Du Bos sia il nostro passato? Allarghiamo e riformuliamo la
221

domanda: riuscir lestetica del terzo millennio a emanciparsi dal passato, cio dal paradigma dellestetica moderna, elaborato duecentocinquantanni or sono dal plesso Batteux-Kant allinsegna del concetto di
arte bella e piacere disinteressato? Vi potr riuscire a condizione
di dissimilare la crisi (del sistema) dellestetica (moderna) dalla possibilit dellestetica dimmaginare nuove configurazioni epistemiche. E
qui le Riflessioni dubosiane possono diventare stazione preziosa per la
nostra riflessione. Basta leggere Du Bos come se stesse dopo Batteux e
Kant (e dopo Hegel e Croce) e aprire il paradigma del futuro.

1 A. Lombard, LAbb Du Bos, un initiateur de la pense moderne (1670-1742), 1913, rist.


an. Genve 1969.
2
B. Croce, Estetica come scienza dellespressione e linguistica generale. I Teoria. II Storia,
Milano-Palermo-Napoli, 1902, pp. 157-78. Per un approfondimento della Storia crociana rimando al mio saggio Una Storia per lEstetica, Palermo, Aesthetica Preprint , 19 (1988), e
al pi recente Per eccesso e per difetto: Croce e la storia dellestetica, in Studi di estetica, 26,
2002, pp. 23-40.
3 Come si sa, lestetica, per Kant, la scienza di tutti i princip a priori della sensibilit e, giudicando fallita la speranza di Baumgarten, il quale credette di ridurre a princip razionali il giudizio critico del bello, e di elevarne le regole a scienza, proponeva addirittura di abbandonare di nuovo questa denominazione: Kritik der reiner Vernunft (1781),
trad. it. Critica della Ragion pura, Bari, 1963, pp. 66-67.
4 B. Croce, Estetica, cit., p. 201. Nelle edizioni successive Croce riformuler questo passo,
ma solo dal punto di vista stilistico.
5
Ivi, p. 209.
6 B. Bosanquet, A History of Aesthetic (1892), London 19668.
7 Ivi, p. 77.
8
R. Zimmermann, Geschichte der Aesthetik als philosophicher wissenschaft (1858), rist.
an. Hildesheim-New York, 1973, p. 112.
9 M. Menndez Pelayo, Historia de las ideas estticas en Espaa (1883), Madrid 19744, 2
voll.
10 Ivi, I, p. 994.
11 R. Zimmermann, cit.
12
Ivi, p. 205, corsivi miei.
13 Voltaire, Le sicle de Louis XIV (1752), in Id., uvres Historiques, Paris, 1957, p. 1158.
14 N. Boileau, Rflexions critiques sur quelques passages du rheteur Longin, Paris, 1694.
15
E. Migliorini, Studi sul pensiero estetico del Settecento, Firenze, 1966, p. 153.
16 Nella traduzione italiana: con metodo filosofico, Riflessioni, I, p. 37.
17 Cfr. A. G. Baumgarten, Meditationes philosophic de nonnullis ad poema pertinentibus,
(1735), trad. it. Riflessioni sulla Poesia, Palermo, 19993.
18 Cfr. Id., sthetica (1750), trad. it. LEstetica, Palermo, 2000.
19 E. Migliorini, cit., pp. 158-59.
20
Cfr. A. Lombard, cit.; M. Fumaroli, Le api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei
Moderni (2001), Milano, 2005.
21 E. Migliorini, cit., p. 227.
22
G. W. F. Hegel, Estetica, Milano, 1963, p. 5.
23 Cfr. Ch. Batteux, Les Beaux-Arts rduits un mme principe (1746), trad. it. Le Belle
Arti ricondotte a unico principio, Palermo, 20024.
24
Cfr. M. Mendelssohn, Betrachtungen ber die Quellen und die Verbindungen der schnen Knste und Wissenschaften (1757), trad. it. Sui princip fondamentali delle belle lettere e
delle belle arti, in Id., Scritti di Estetica, Palermo, 2004.
25
A. Lombard, cit., p. 329.
26 E. Migliorini, cit., p. 232.

222

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Supplementa

1 Breitinger e lestetica dellIlluminismo tedesco, di Salvatore Tedesco


2 Il corpo dello stile: Storia dellarte come storia dellestetica a partire da Semper,
Riegl, Wlfflin, di Andrea Pinotti
3 Georges Bataille e lestetica del male, di Maria Barbara Ponti
4 Laltro sapere: Bello, Arte, Immagine in Leon Battista Alberti, di Elisabetta Di
Stefano
5 Tre saggi di estetica, di Ermanno Migliorini
6 Lestetica di Baumgarten, di Salvatore Tedesco
7 Le forme dellapparire: Estetica, ermeneutica ed umanesimo nel pensiero di
Ernesto Grassi, di Rita Messori
8 Gian Vincenzo Gravina e lestetica del delirio, di Rosalba Lo Bianco
9 La nuova estetica italiana, a cura di Luigi Russo
10 Husserl e limmagine, di Carmelo Cal
11 Il Gusto nellestetica del Settecento, di Guido Morpurgo-Tagliabue
12 Arte e Idea: Francisco de Hollanda e lestetica del Cinquecento, di Elisabetta
Di Stefano
13 Pta quasi creator: Estetica e poesia in Mathias Casimir Sarbiewski, di Anna
Li Vigni
14 Rudolf Arnheim: Arte e percezione visiva, a cura di Lucia Pizzo Russo
15 Jean-Bapiste Du Bos e lestetica dello spettatore, a cura di Luigi Russo

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Collana del Centro Internazionale Studi di Estetica
Presso il Dipartimento FIERI dellUniversit degli Studi di Palermo
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Registrato presso il Tribunale di Palermo il 27 gennaio 1984, n. 3
Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione il 29 agosto 2001, n. 6868
Associato allUnione Stampa Periodica Italiana
ISSN 0393-8522
Direttore responsabile Luigi Russo

Jean-Baptiste Du Bos and the Aesthetic of Reception


The International Centre for the Study of Aesthetics celebrated
the 25th anniversary of its foundation with the publication of the
Italian edition of Jean-Baptiste Du Boss seminal Rflexions critiques sur la posie et la peinture (Palermo: Aesthetica Edizioni,
2005). The Centre also organized a Seminar on DuBoss work,
entitled Jean-Baptiste Du Bos and the Aesthetic of Reception,
which took place in Palermo on October 21-22, 2005.
The present volume, edited by Luigi Russo, collects the papers
presented at that Seminar, and more specifically: Elio Franzinis
Dialogue of the Dead: The Ancients and the Moderns, Giovanni Lombardos Du Bos and the Lesson of the Ancients,
Giuseppe Puccis Du Bos and the Visual Arts of the Ancients
and the Moderns, Salvatore Tedescos Du Bos between Rhetoric and Anthropology: Huarte de San Juan and Franois Lamy,
Andrea Gattis Art and Its Limits: The British Sources of Du
Boss Rflexions critiques, Enrico Fubinis Du Bos and Music,
Claudio Vicentinis Du Bos and Theatre Acting, Carlo Serras
Du Bos and the Resounding Mask, Maddalena Mazzocut-Miss
Du Bos and Climatic Theory, Franco Fanizzas The Age of
Regency in France and Du Boss Aesthetics, Fernando Bollinos
Du Bos and 18th-Century French Aesthetics, Giuseppe Sertolis Du Bos and 18th-Century British Aesthetics, Lorenzo Lattanzis Du Boss Reception in 18th-Century Germany, Paolo
DAngelos Du Boss Reception in 18th-Century Italy, Giovanni
Matteuccis Du Bos and the Critique of Feeling, Roberto Diodatos Du Bos and the Spectators Gaze, Andrea Pinottis Du
Bos, Empathy and the Mirror-Neurons, and Luigi Russos The
Case of Du Bos and the Paradigm of Aesthetics.
The volume offers a comprehensive mapping of Du Boss Rflexions critiques within the context of the history of aesthetics,
foregrounding its sources and distinctive thematic concerns, its
enormous influence and diversified reception, as well as the contemporary relevance of Du Boss work and its impact on todays
aesthetic debates.

Centro Internazionale Studi di Estetica, Viale delle Scienze, I-90128 Palermo

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