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Museologia 2 cura di Maria Gregorio Karsten Schubert MUSEO STORIA DI UN*IDEA Dalla Rivoluzione francese a oggi Traduzione di Maria Gregorio i Saggiatore BIBLOTESA sez: DELL Gli inizi IL museo sta cambiando. In passato, era un Juogo di certezze assolute, fonte di definizioni, di valori e di dottrina in materia arte, a tutto campo; era il luogo in cui non ci si ponevano in- terrogativi ma si davano autorevoli sisposte. Oggi, il museo & al centro di un acceso dibattito che riguarda la sua natura e la sua metodologia. Al limite, potremmo dire che la sua stessa fi- Finalita @ messa in questione — e negata.' E un dibattito che non ipproda mai a una conclusione, ma che influisce profonda- + mente sulla percezione che abbiamo dei musei e sul modo in SS cui essi sono gestiti Nelle pagine che seguono cercherd di ricostruire lungo gli anni le line guida di questo dibattito ¢ il modo in cui le posi- * zioni assunte dai curatori, via via che andavano modificando- sinel corso del tempo,? hanno rivoluzionato queste istituzioni in Europa e in America. Lidea di museo ha un ruclo centrale e di tale importanza nella definizione della cultura occidentale e nel modo di con- cepirla, che si tende a dimenticare come questo concetto sia, non soltanto relativamente nuovo, ma anche complesso e fra- gile, Viceversa, siamo sempre convinti che il museo sia un luo- go che si pone al di la della critica: neutro, obiettivo e razio- nale, Per “razionale”, in questo contesto, si intende qualcosa di owio, qualcosa che non richiede ulteriori spiegazioni, tan- to meno giustificazioni, Sta di fatto che il concetto di musco @ 18 Museo. Storia di un'idea un ‘mito razionale” dei pitt persistenti e poderosi: & un insie- me di credenze, ampiamente condivise e tradottein forma con- creta, che difficilmente reggono all’analisi critica. Ci sono vo- Juti quasi duecento anni prima che gli assunti su cui poggia la definizione di museo fossero sottoposti a un’indagine serrata, dando avvio all’ultima tornata di disquisizioni sul ruolo del mu- seo ¢ la sua autentica ragion d’essere. Lactisi attuale &, per un verso, i isultato di una tardiva pre- sa di coscienza del fatto che il museo non @ con assoluta evi- denzailluogo che per tanto tempo abbiamo voluto credere che fosse. Per altro verso, la crisi siflette fedelmente le tcasforma- zioni avvenutenella societa postindustriale e postmoderna, una societi che reclama e insieme sbeffeggia simbolismi conven- ionali. Di tutti i simboli cultural, il museo 2 al tempo stesso il pid venerato e il pitt contraverso, quindi il pit vulnerabile a fronte degli attacchi di cui & fatto segno. Eppure, sotto certi aspetti, la crisi attuale non é la prima. In ‘modi diversi il dibattito sulla natura ela finalit’ dell'stituzio- ne non si praticamente mai interrotto a partire dal momento in cui il primo museo ha aperto i cancelli al pubblico, nel XViiL secolo. Gli avvenimenti politicie le trasformazioni sociali han- ro di volta in volta inciso in modo sostanziale sullo svolgersi e suli esti della discussione. Ogni generazione ha conosciuto Ja “sua” particolare « si del museo, prodotta dalle esigenze e aspettitive, spesso contraddittorie, che accompagnavano le trasformazioni po- litiche, sociali ed economiche, Il sempiterno appello a una riforma, sebbene abbia assunto forme ogni volta diverse, 2 comunque sempre centrato su due questioni essenziali:il mu- seo deve essere aperto e accessibile a tutti ele esposizioni de- vono rappresentare una lettura adeguata, onesta ¢ “obietti- va" del suo contenuto. In definitive, come ¢ ovvio, Paccesso pub essere sempre pi esteso e le esposizioni si possono am- pliare, correggere e perfezionare senza limit: il processo @ inesauribile e non & mai definitivo. Ne consegue che il mu- seo si sempre collocato sul filo della sua stessa definizione, in perenne trasformazione ed espansione, ed & sempre stato Gliinige 19 oggetto di critiche durissime e di innumerevoli riforme, Ep- pure, alla fine, ogni crisi ha sempre miracolosamente ricon- solidato la sua posizione e il suo potere normativo nell’uni- verso della cultura. In periodi diversi, musei diversi in paesi e continenti diver- si hanno essunto il uolo guida in questo processo che non co- nosce interruzioni, mostrando elle istituzioni sorelle la via da seguite. A seconda della prospettiva in cui ci collochiamo, la storia prende le mosse da Londra oppure da Parigi. Parigi e Londra 1760-1870 ‘I British Museum, fondato nel 1759, potrebbe essere definito il museo indipendente pit: antico del mondo, non fosse che quel titolo é invalidato dal fatto che nei primi cinquant’anni circa della sua esistenza non si é trattato di un musco nel sen- so che il termine assume ogei.! Inizialmente, infatti, non era spazio destinato all’ esposizione di opere d’arte: era prin- cipalmente-unacclleionesemipabblicadl Tone dlmanoscrt, aperta alla consultazione? Da principio, il museo era stato istituito per conservare tre raccolte, da poco divenute proprieta della nazione britannica Jacollezione di manoscritti della famiglia Cotton, la biblioteca di manoscritti creata dai conti di Oxford e la collezione di Sir Hans Sloane, in parte lasciata da lui stesso in legato e in parte venduta allo Stato dai suoi eredi nel 1753. Sloane aveva rac- colto reperti di storia naturale, insieme con un numero relati vamente modesto di sculture antiche e di pietreincise, in uno spirito indubitabilmente vicino a quello dei gabinetti di curio- sit del Cinque e Seicento, e tale modello avrebbe lasciato il se- gno sul museo fino alla svolta del secolo, In un primo tempo, Ja biblioteca non era nettamente separata dalle raccolte di sto- tia naturale e di archeologia, ¢ linsieme era affidato alle cure di un bibliotecario capo, affiancato da due assistenti> Tmuseo eraallora regno incontrastato di gentiluomini era- diti e Paccesso vi era assai limitato, Dopo aver visitato Londra, Parigi 1760-1870 21 nel 1785, lo storico tedesco Wendeborn lamentd che «chiun- que desiderasse visitare il museo era tenuto a lasciare le pro- prie credenziali presso la segreteria e soltanto in capo a quin- dici giorni allincirca ci si poteva aspettare di ricevere una car- ta d'ingresso».* Fino alla fine del secolo x1X, 'accesso é rima- sto soggetto alle medesime norme in vigore nel protocollo di corte e nel cerimoniale dell’aristocrazia, Persino dopo aver su- petato la barriera d'ingresso, i visitatori non erano liberi di os- servare a proprio piacimento gli oggetti esposti: erano invece costrettia seguize, divisi in piccoli grappi, burberi funzionari frettolosi e maldisposti che li guidavano attraverso le sale, Net racconti dei visitatori del tempo, ritorna costante la lamentela per quelle visite compiute in gran fretta ‘A poco a poco le cose migliorarono, ma per molti anni, e ancoranel secolo successivo, iresponsabili continuaronoapen- sare che il museo fosse un istituto fine a se stesso € non uno strumento al servizio dei vsitatori. Di fatto, 'idea che il museo esistesse principalmente a beneficio del pubblico rimasea lun- go un concetto anomalo, Probabilmente é corretto dire che il primo museo in senso moderno é stato il Louvre, a Parigi Il palazzo, costruito per i ze di Francia, era diventato nei secoli il deposito in cui si con- servavano le immense collezioni reali, Lidea di trasformare il Louvre in museo pubblico non @ nata con la Rivoluzione fran- cese, poiché se ne era gi concretamente dibattuto durante gli anni in cui Ancien régime andlava spegnendosi. I progetto era stato studiato con grande cura ¢ autentica dedizione dal conte ’Angiviller, direttore generale degli edifici reali sotto Luigi XVI. Sicra provweduto ad acquistare dipinti che colmassero le Jacune presenti nelle collezioni reali; erano stati chiamati a con- sulto architetti che valutassezo le modifiche da apportare alla Grande Galerie per rendezla pit: adatta all’esposizione delle opereal pubblico, vari artisti erano stati tntersogati a fondo per stabilire quale fosse il concetto di conservazione pitt idaneo all ‘nuovo museo. Gli eroici sforzi di Angiviller, durati quindici anni, non ap- prodarono a nulla, In definitiva, fu necessario che si scatenas- 22 Museo. Storia di un'idea seil cataclisma della Rivoluzione per trasformare in realta quel- Pistituzione radicalmente nuova. Inutile dire che il ruolo fon- damentale di Angiviller nel porre le basi del futuro museo non fu mai riconosciuto dai rivoluzionari, ed egli mori dimentica- to, inesilio. Lamonarchia cadde il 10 agosto 1792: a distanza di soli no- vegiorni fu emanato un decreto che trasformava in museo pub- blico quello che era stato il palazzo del re. E fin dallinizio es- s0 fu strettamente legato agli obiettivi calla politica della nuo- va repubblica. II nuovo museo fu, insieme, simbolo delle con- quiste rivoluzionarie e dichiarazione programmatica di inten- ti: sarebbe stato aperto ai molti e non soltanto a pochi (aristo- cratici gentiluomini colti), in modo che tutti i cittadini po- tessero condividere la proprieta, fino ad allora privata e inac- cessibile, del patrimonio cultural. Istruzionee conoscenzanon erano pit riservate a una stretta cerchia di privilegiati, ma era- no a disposizione di chiunque scegliesse di entrare in quello che era stato il palazzo del re. Le vecchie barriere della classe ¢ dell'educazione erano state spazzate via, II museo non sol- tanto simboleggiava il nuovo ordine ma era anche un impor- tante strumento per porre in essere i auovi obiettivi rivoluzio- nari: attraverso larte, il pubblico avrebbe compreso la storia della Rivoluzione, i suoi intentie le sue finalita. TI museo era destinato a svolgere un ruolo centrale nel for- mare e dare impulso alla nuova societ’. Tuttavia, quando fu aperto al pubblico, il 10 agosto 1793, primo anniversario del- la repubblica, niente di tutto questo si palesava ancora nelle esposizioni, che apparivano ambiguamente prerivoluzionarie © assomigliavano, secondo quanto scrive il drammaturgo Ga- briel Bouquier, «a lussuosi appartamenti di satrapi, a grandi, voluttuosi boudoir di cortigiane, a gabinetti di sedicenti ama- tori d’arte»’ Alcuni mesi pid tardi Jacques-Louis David espri- ‘me il suo pensiero al riguardo: «ll museo non ha da essere una vana raccolta di ftivoli oggetti di lusso, utili soltanto a soddi- sfare un'oziosa curiositd. Deve invece essere un’autorevole scuola».* Evidentemente, fin dagli esordi il museo si mosso i pari passo con i suoi critici Parigi 1760-1870 23, Irovente dibattito sulla forma da dare al museo, alla “scuo- J”, si sarebbe protratto per buona parte del decennio succes- sivo, complicato dal fatto che i parametri erano soggetti a con- tinue modificazioni. Vi erano restrizioni finanziarie e proble- mi dispazio: il rfacimento di parte della Grande Galerie durd a lungo ¢ la collezione continud a crescere, specie quando il bottino delle conquiste napoleoniche comincid ad affluire da tutta Europa; la confusione generale era ulteriormente aggra- vata dalle giravolte ideologiche e dalle divisioni interne alla Ri- voluzione. Nel gennaio 1794, quando fu insediato il comitato diretti- vo, il “Conservatoire”, si fece ogni sforzo per sintonizzare le esposizioni museali con gli obiettivi rivoluzionari, e le opere considerate “inopportune” furonotolte. Per esempio, gran par- te del ciclo dei Medici dipinto da Rubens fu trasferito nei de- positi, a eccezione di due tele dalle quali - per non correre ri- schi~ furono cancellati tutti simboli della regalita. Fu presto evidente che per quella via non si sarebbbe andati lontano. Per sanare il conflitto tra gli obiettivi immediati della Rivoluzione ¢ il messagaio retrogado contenuto in molte opere d'arte di soggetto storico, le interpretazioni religiose o ideologiche fu- rono sostituite da una lettura puramente estetica 0 contigua al- la storia dell’arte. L'espediente consenti di esporre opere che cerano state considerate reazionarie einacceitabili secondo i cri- teri piuttosto rigidi, per non dire moralistic, della nuova re- pubblica, Liintero ciclo dei Medici fu nuovamente esposto — senza interventi censori — nel 1815. Mentre ancora rumoreggiava il dibattito sulla corretta me- todologia da adottare per il nuovo museo, nel gennaio 1797 si insedid un nuovo governo e il Musée Francais divenne Musée Central des Acts, per essere poi ribattezzato, nel 1803, Musée Napoléon. Nel novembre dell’anno precedente, Napoleone aveva nominato direttore, con una scelta piuttosto singolare, Dominique-Vivant Denon. Diplomatico, cortigiano, bon vivant con un passato di pornografo, faccendiere, Denon non era di per sé qualificato ad assumere un incarico di tanto impegno, rma il suo traboccante entusiasmo e il suo fascino itresistibile 24 Museo. Storia di un'idew avevano evidentemente colpito limperatore, La nomina coin- cise con Parrivo a Parigi dei pit grandi tesori d’arte d’Europa, Sulla scia delle conquiste napoleoniche, le collezioni reali di Belgio, Italia, Austria e Germania, nonché quelle vaticane, fu- rono sistematicamente spogliate delle opere pit preziose, fin- ché in pochi anni praticamente lintero corpus dell'arte pos rinascimentale si trovd riunito nella capitale francese. Eventuali scrupoli morali suscitati da quell’immane sac- cheggio del patrimonio artistico di altre nazioni furono presto accantonati. In una lettera indirizeata a Napoleone nel 1803, i ministro della Giustizia affermava che «ricuperaze le opere di genio e custodirle nella terra della Liberta avra leffetto di ac- celerare il progresso della Ragione e dell’umana feliciti».? ‘Ancora oggi, ogni volta che il problema si ipropone, la que- stione della “custodia” accende il dibattito sul cema della re- stituzione.* In merito ai bronzi del Benin conservati al British Museum, il direttore, Sir David Wilson, scriveva non pitt tar- di del 1989: «noi rivendichiamo il senso di responsabiliti cul- turale, insito nel fatto di tenere in custodia materiali a benefi- cio dell’umanit’ per tutto il prossimo futuro». In quello stes- so anno, il problema della restituzione dei marmi di Elgin fu altezzosamente liquidato quale “interminabile soap-opera” in una pubblicazione ufficale che dava conto della politica mes- sa in atto dal British Museum? Denon aveva giustficato il sac- cheggio praticato in tutta Europa dichiarando che «i romani, in origine rozzi, riuscirono a civilizzare la loro nazione tra- piantando sul proprio suolo ogni prodotto della Grecia viata Cosi noi, seguendo il loro esempio, dobbiamo fare uso delle nostre conquiste e portare [..] in Francia ogni cosa che possa dare maggior forza all'immaginazione»,.? Denon non perse tempo e si mise immediatamente al lavo- ro, Appena sei settimane dopo essere stato nominato direttore, invito Napoleone al Louvre per fargliispezionare il nuovo alle- stimento dei cipinti di Raffeello, Era palesemente soddisfatto del risultato ottenuto: «come aver rappresentato la vita del maestro di tutta la pittura. Chi attraversa la galleria per la pri- ma volta, nota che questo [nuovo allestimento] si caratterizza Parigé 17601870 25 per ordine, educazione ¢ classificazione. Continuerd a operare nello stesso spirito per tutte le scuole [...] in modo da offrire [..] un vero e proprio corso di storia dell’arte pittorica».!! Al centro dello spazio riservato a Raffaello nella Grande Ga- erie era appesa la Trasfigurazione (1518-1520), affiancata dal- VIncoronazione della Madonna (1503) e dalla Sacra Famiglia di Francesco 1, In alto, a sinistra ¢ a destra, due opere del Perugi- no, maestro di Raffaello. Lallestimento prevedeva inoltre il Ri tratto di Baldassar Castiglione e alcune tavole della pala Ba- glioni. I dipinti erano stati scelti, spiegava Denon, in modo che il visitatore «potesse cogliere immediatamente la grandezza del genio dell’artista, la stupefacente rapidita dei progressi da lui compiutie la varieta di generi che il suo talento era in grado di fare propri.!2 Questa cetrospettiva dell'intero percorso artistico di Raf- faello, allestita su una sola parete, era costruita con alcuni dei suoi dipinti pid celebrati. Lordinamento diDenon ricordal'im- paginazione, per gruppi di artisti, che Vasari aveva adottato nel suo famoso Libro de’ disegni,? ed & vero che il gusto e il giu- dizio estetico di Denon devono molto al manierista italiano. Per quanto riguarda le opere d’arte antica di provenienza vaticana, era assai difficile applicare gli stessi metodi di allesti- mento che avevano dato risultati tanto felici con i quadri del- Ja Grande Galerie. La collezione di arte antica, sebbene com- prendesse I'intero canone della scultura classica, quello fissa- tonel Settecento da Winckelmann, era molto pitt piccolaenon si prestava a essere ordinata secondo una cronologia attendi- bile, poiché la datazione dei marmi antichi su base stilistica era appena agli esordi. A complicare ulteriormente le cose, inter- veniva il fatto che proprio in quegli anni gli studiosi avevano cominciato a intuire che la maggior parte delle sculture collo- cate da Winckelmann ai vertici della civilta greca erano di fat- to copie romane. Il sistema di classificazione e la cronologia proposta dallostorico tedesco, allora autorevolissimi, eranolar- gamente congetturali, nella quasi totale assenza di dati con- creti. Vi erano lacune nella conoscenza che soltanto le genera- zioni a venire sarebbero riuscite a colmare. Denon dovette ar- 26 Museo, Storia di unidea rangiarsi basandosi su un criterio esclusivamente estetico e co- piando in modo fedele l’ordinamento del museo vaticano al quale erano state sottratte a gran parte delle sculture. Sebbene non tutto nella Grande Galerie c nel resto del mu- seo avesse forse la stessa coerenza della sezione dedicata a Raf- faello, il risultato complessivo fu considerato un grande suc- cesso. Denon aveva ideato un allestimento fondato esclusiva- mente sulla cronologia, sul percorso artistico e le scuole na- zionali. Perla prima volta, finalitA pedagogiche e una metodo- Jogia desunta dalla storia dell’arte svolgevano un ruolo centra- le nell’esposizione di opere darte. Inoltre, egli era riuscito da solo a dare un nuovo orientamento agli obiettivi perseguiti dal museo: allideologia politica aveva sostituito Ia documentazio- ne storica, Purtroppo,il sognonapoleonico di un musco universalenon bbe lunga durata e dopo la battaglia di Waterloo, nel giugno 1815, seguita dal congresso di Vienna, nell'autunno di quello stesso anno, la maggior parte delle opere d’arte tomé rapida- mente ai legittimi proprietari. Per una decina d’anni Domini- que-Vivant Denon aveva felicemente governato sulla pitt gran- de collezione museale che sia mai esistita, conseguendo un sultato eccellente e lasciando un contributo durevole alla mu- scologia: aver costruito un senso all'interno di quel terrifican- te insieme di opere. Sebbene per molti versi il Louvre e il British Museum ab- biano seguito percorsi paralleli, le differenze tra le due istitu- zioni sono fondamentalieriflettono le diverse origini. A diffe- renza del Louvre, il British Museum non si é installato in un palazzo di proprieti del re, né si impadronito, per arricchire le proprie collezioni, di opere appartenenti a famiglie reali, al- Ja Chiesa o all’ aristocrazia, Entrambi i musei sono nati in conseguenza di trasforma- zioni intervenute nella societi e per soddisfare le esigenze cul- turali della nuova classe borghese emergente. Sotto In dire- zione di Denon, il Louvre aveva stabilito con chiarezza quale metodologia adottare, costituendo un modello che i musei eu ropei e americani avrebbero seguito fino ai primi decenni del Parigi 1760-1870 27 xx secolo, ma il suo implicito radicalismo politico sembrd ec- cessivo al resto d’Europa. Quelle idee dovevano essere tem- perate se volevano trovare applicazione in altre istituzioni che andavano allora nascendo nelle capitali di paesi ancora retti da una monarchia. Le riflessioni di Edmund Burke sulla Ri- voluzione francese (1790) ben sintetizzanol’atteggiamento del- Ja gran parte dei suoi connazionali nei confronti della nuova repubblica e del concetto di museo. Per gli inglesi era molto difficile accoglierea braccia aperte un istituzione nata da quel- Ja che esi ritenevano fosse per la Francia una paurosa cata- strofe. Eppure, il concetto di museo aveva evidentemente fat- to presa sull'immaginazione degli inglesi, sopratcutro perché andava incontro alle aspirazioni culturali di una élite non ari- stocratica che si stava facendo strada nel solco della Rivolu- zione industriale. Per superare l'ostacolo, Pidea di museo doveva essere de- purata del suo contenuto politico. II risultato fu ottenuto met- tendo in ombra le origini rivoluzionarie dellistituzione ela sua natura politica fondamentalmente radicale e ponendo in pri- mo piano le opportunita che il museo offriva in materia di edu- cazione ¢ ricerca scientifica. Un espediente altrettanto efficace fu quello di differire ogni applicazione concreta del conce:to fino a che la scomods associazione con gli eventi rivoluziona- rion fosse stata resa innocua, assorbita dalla storia. Questo spiegherebbe almeno in parte il motivo per cui la National Gal- Jery di Londra — istituzione gemella del British Museum a tut- ti gli effetti - non apri i battenti fino al 1824 per molti de- cenni ebbe una crescita capricciosa e lenta. ‘Ma le apprensioni inizialmente suscitate dalle origini tivo- luzionarie del museo furono rapidamente messe da parte non appena ci si rese conto delle grandi opportunita che listitu- zione offriva all'incipiente competizione tra gli stati nazionali europe Per gran parte del x1x secolo, Gran Bretagna e Francia fu- rono invischiate in una furibonda gara che aveva di mira Pe- spansione imperialista e il dominio globale. Il Louvre e il Bri- tish Museum divennero entrambi simboli culturali di quella 28 Museo. Storia di wn'idea competizione, affiancati solo in un secondo tempo dai musei berlinesi, quando la Germania entré nella mischia coloniale, dopo il 1870. I musei si fecero portatori di rivendicazioni culturali a va sto taggio, ciascuno per la rispettiva nazione. Grazie ai musci diventd pit facile costruire una genealogia all interno della qua- lel singolo Stato si presentava quale incamnazione moderna dei grandi imperi del passato, assumendo il ruolo di loro erede po- litico e morale. Operatori museali, coadiuvati da diplomatici, dallesercito e dalla marina, perlustrarono i siti culturali del mondo intero.'S Francia e Inghilterra avrebbero spesso riva- leggiato per assicurarsi gli stessi reperti archeologici: la stele di Rosetta, per esempio, fu scoperta dai francesi ma fini a Lon- dra, dopo che Napoleone fu sconfitto nella battaglia di Abukir, I francesi misero in atto ogni possibile stratagemma per inter- cettarei marmi del Partenone curanteil lungo e periglioso viag- gio che li portd da Atene a Londra; tedeschi, inglesi e francesi fecero a gara per raggiungere e depredare i palazzi dei sumeri prima che vi mettesse piede uno dei rival” T musel presentavano i politici loro patroni quali custodi della cultura universale, ateribuendo loro il merito di mettere in salvo cid che per ignoranza era stato trascurato se non ad- dirittura minacciato di distruzione nei paesi di origine. Di fat- to, il museo si pose al servizio dellimperialismo, e una traccia di questa associazione incombe ancora oggi sui grandi musei d'Occidente. Lesempio pili rivelatore, e meglio conservato, dell'uso stru- mentale dei musei ai fini dell’imperialismo sono le sale egizic del Louvre. Risalgono agli anni della restaurazione dei Borbo- ni e quindi non sorprende che il museo avesse per l'ennesima volta gia cambiato nome e fosse allora noto come Musée Char- les x. Progettato dall’egittologo Jean-Francois Champollion ¢ realizzato sotto la sua attenta supervisione tra il 1826 e il 1834, il ciclo di decorazioni parietali nelle sale egizie celebra la su- periorita culturale della nazione francese. Nel creare un lega- me tra Ja dinastia recentissima dei Borboni e i quattromila an- ni di storia egiziana, si vantavano continuita ¢ stabilita, giusti- Parigi 1760-1870 29 ficando nel contempo le conquiste coloniali francesi e la su- premazia della razza bianca. Come gid era avvenuto per il Mu- sée Napoléon diretto da Denon, é interessante osservare come anche in questo caso finalita politiche e scientifiche, tra le qua- Ii non esisteva in via di principio alcun collegamento, coesi- stessero felicemente nello stesso progetto. Nella prima meta del x1X secolo il British Museum non servt ‘mai scopi cosi scopertamente propagandistici, ¢ cid & forse do- vvuto al fatto che all’epoca gli inglesi non nutrivano timori ri- guardo alle proprie ambizioni imperiali. Non avevano bisogno, pertanto, di rassicurazioni magniloquenti e autocelebrative, ‘mentre i francesi, dopo il terremoto della Rivoluzione e delle guerre napoleoniche, erano ancora in cerca di un’identita na- zionale ¢ di stabilita politica. Autentico figlio del suo tempo, il curatore ottocentesco del British Museum si portava appresso un bagaglio decisamente darwinista. La sua mentaliti era quella del tassonomista pid che dello storico dell'arte, e il suo pensiero era dominato, pitt che da qualsiasi altra idea, dal concetto della catena dell’arte. (Ogni espressione artistica era considerata un semplice gra- dino verso vertice rappresentato dalla classicita greca,e il mu- seo era il deposito in cui si conservavano i “reperti” utili a il- lustrare quel lignaggio. Ancora nel 1875 la guida ufficiale al museo usava il termine “reperto” sia per i manufatti dell'uo- mo sia per gli esemplari di storia naturale. Considerazioni di ordine estetico avevano scatso rilievo: le opere d’arte non erano tenute in conto per la qualita, bensi ve- rivano studiate al semplice scopo di valutamne lo scarto rispet- to a quello che si riteneva fosse il sommo ideale della classicita ‘greca, rappresentato dai marmi di Elgin Le fotografie prese nelle sale del British Museum in epoca ottocentesca mostrano allestimenti che rispecchiano il gusto vittoriano per gli interni scuri e ingombri di oggetti. Ancora durante gli anni settanta di quel secolo, le sale greco-romane rassomigliano, non a un’esposizione ordinata, bens! a deposi- ti sovraffollati e male assortiti."® Si ha Pimpressione che non ci si sforzasse in alcun modo di mediare il rapporto tra visitatori 30 Museo. Stora d un‘idea © opere dart Si dava per scontato che chi entrava nel museo sapeva quello che cercava: il curatore si limitava a vedere nel visitatore un altro se stesso. Il vecchio protocollo di corteo del- Varistocrazia, usato per escludere, era stato sostituito da quel lo fondato sulla cultura. Tmusei ottocenteschi recano il segno della mania ossessiva dei curatori per la cronologia, prevalente su ogni altra consi- derazione, mentre a completezza dell’esposizione era atal pun- toil criterio dominante che, la dove si immaginava vi fosse una Jacuna nella collezione, le si colmava senza remore con calchi in gesso. Questi ultimi divennero parte integrante della mag gior parte delle collezioni museali ottocentesche ¢ furono eli- ‘minati soltanto poco per volta finché, intorno agli anni venti, scomparvero quasi del tutto. Le didascalie erano nel migliore dei casi sommarie, per non dire condiscendenti, e molto spes- so mancavano del tutto. Con il passare degli anni, le sale espositive divennero sem- pre piti affollate di oggetti Intomno al 1857 il problema era di ventato talmente grave che i nuovi arrivi dal mausoleo di Ali- carnasso, in Asia Minore, furono collocati in capannoni di le- gno provvisori - rapidamente sostituiti da strutture simili a ser- r¢ — sotto il colonnato di Great Russell Street. Nel 1860, l'E- ening Standard scrisse ironizzando che «se la legge che rego- Ja Vaffollamento nelle abitazioni si applicasse a opgetti inani- mati [...], gli amministratori del British Museum sarebbero gia stati denunciati alla polizia, (II museo] @ continuamente asse- diato da inquilini sempre nuovi, ai quali si offrono soltanto le sgradinate o una sistemazione di fortuna sotto una tettoia quan- to mai precarian.? Limmagine del British Museum quale deposito polveroso € poco invitante ha probabiimente origine nella tarda eta vi toriana. Le sale erano talmente sovraccariche di oggetti che ci volle parecchio tempo per correggere il tiro e sollecitare una riforma, Tuttavia, a poco a poco le cose cominciarono a cam- biare: negli anni ottanta, le sezione di storia naturale traslocd a South Kensington, gl allestimenti furono alleggeriti e scom- parvero le esposizioni “miste” di originali e calchi, Le opere origi 1760-1870 31 arte farono finalmente riconosciute per tali— enon solo in quanto “seperti” ~ ed ebbero il giusto spazio vitale. Nondi- ‘meno, si continud ad attribuire maggior peso alla storia che al estetica, ¢ i concetto di arte antica incentrato sulla Grecia ri: ‘mase dominante: al British Museum le sculture del Partenone rappresentavano l'apoteosi della cultura antica, ele opere d’ar- te di tutte le altre civilta altro non erano se non tappe succes- sive lungo il cammino che conduceva a quella meta suprema. Non pitt tardi del 1852, Richard Westmacott Junios, docente disculeura presso le Royal Academy Schools, chiamato a testi- moniare di fronte al Parlamento, sostenne che i marmi di El- gin «sono le cose pitt belle che esistano al mondo; non vedre- mo mai pith qualcosa di paragonabile». Le sculture di Ninive, affermd ancora, sono «semplici oggetti di curiosita, certamen te non opere d'arte», per poi aggiungere, nello stesso senso: «aon vi @ chi pensi di studiare l'arte egizia, In quanto alle ci- vilta site a limiti addirittura della barbarie orientale, come la cinese, tanto minore @ il numero degli artisti che guardano a quel genere di arte e meglio >” Con lespandersi dell'impero britannico, il museo si riempt di oggetti arte che non rientravano in quell’angusta conce- zione ellenocentrica; gli esempi exano troppi perché fosse pos- sibile continuare a ignorarli. Nel 1914, Pinaugurazione delle sale cinese ¢ indiana, fastose come voleva let’ di Edoardo, an nuncié finalmente Tarrivo ¢ la compjuta emancipazione del- Varte asiatica. Infine, agli albori del Xx1 secolo Iarte africana e ‘oceanica,cosi come quella sudamericana, non saranno pittospi- tate altrove ma troveranno una collocazione stabile nel British Museum, dopo che le British Library ha lasciato libera la sede di Bloomsbury e la corte centrale @ stata ridisegnata da Nor- man Foster. La crescita senza precedenti ¢ la continua espansione che hanno caratterizzato i grandi musei europei si sono di fatto ar- restate nei primi decenni del xx secolo. Quelle istituzioni era no il prodotto di una mentalita imperialista,e soltanto Pimpe- rialismo garantiva le condizioni per spogliare intere nazioni del loro patrimonio culturale, Con Vinizio del xx secolo il clima 32 Museo. Stora di wnidea ideologico cambié e quelle pratiche non furono pitt ammissi- bili, La gara per il dominio del mondo ~ tra Francia, Germa- nae Inghilterra— era giunta a conclusione: mentre la Francia rinunciava a malincuore alle sue illusioni e la Gran Bretagna si avviava a un lento e glorioso declino la Germania fortificé la linea di difesa interna, con due catastrofici tentativi di ulterio- re espansione durante le due guerre mondial Una dopo laltra, le nazioni africane e asiatiche, che fino ad allora erano rimaste alla mercé delle potenze occupant, pro- clamarono Pindipendenza e cominciarono lentamente a rico- stituire quell’ identita nazionale che era stata spietatamente di- strutta, Via via che la riscoperta della propria storia acquisiva in questo processo un'importanza sempre maggiore, quei pae- sinon farono pid disposti a condonare il saccheggio indiseri- minato messo in atto dai vecchi padroni coloniali e si impe- gnarono con forza ad arginare il flusso dei loro beni culturali verso lidi stranieri. Nei limiti del possibile, cercarono altresi di reclamare quelli che erano gia approdati a Berlino, a Londra 0 Parigi.?t Di conseguenza, Ja marea di oggetti che un tempo raggiun- sgevano i musei occidentali si drasticamente ridimensionata: acquisizioneed espansionecedonoorail passoallaricercascien- tifica ¢ all’allestimento di esposizioni.” Sebbene nella seconda meta del XIX secolo sia stato com- piuto qualche lento progresso in direzione di allestimenti pitt attenti alle esigenze del visitatore, si& trattato di cambiamenti pressoché impercettibili se paragonati al radicale ripensamen- to delle pratiche di conservazione che ha avuto luogo nei pri- mi decenni del nuovo secolo, gli anni in cui la museologia ha subito una vera e propria rivoluzione. «I marmi del Partenone, essendo il maggior corpus esistente discultura greca originale, nonché monumento unico della sua prima maurita, sono innanzitutto opere Parte. La loro prece- dente funzione decorativa in quanto ornamenti architettonici Led &, a paragone, di interesse secondario ¢ insignificante».? Con queste parole esordivano nel 1928 tre archeologi classici — Berard Ashmole, John Beazley ¢ Donald Robertson — nel Peri 1760-1870 33 presentare alla Royal Commission on National Museums and Art Galleries il loro rapporto sul problema del riallestimento delle sculture, Un documento che capovolge radicalmente po- litica e pratica espositive messe in atto per cento anni e che eb- be come esito, cinque anni pit tardi, il progetto di John Rus- sel Pope per la Duveen Gallery, dove i marmi di Elgin sono tuttora esposti, Per la prima volta le sculture non erano con: derate “reperti” — né venivano esposte insieme a calchi in ges- so delle parti rimaste ad Atene 0 conservate altrove -, benst cerano valutate principalmente come opere Parte. Perla prima volta i marmi venivano esposti da soli, mentre tutti i material documentari e comparativi erano relegati in una sala attigua. Questo cambiamento non ha interessato soltanto le scultu- re del Partenone. JI nuovo orientamento nelle modalita espo- sitive si profilato dopo la svolta del secolo e poco per volta ha trasformato i musei in luoghi in cui si privilegia Pesperien- za estetica e conoscitiva, e non pit esclusivamente gli interes- si dei ricercatori. Fin dalPinizio, sia i curatori di musei sia i politici hanno ri- conosciuto Ia duplice potenziale valenza delPistituzione in quanto logo idoneo all’educazione di massa simbolo della gloria nazionale. Il contrasto che ne é scaturito, tra finalit’ dattiche ¢ propagandistiche, continua a influenzare la meto- dologia cla definizione di ruolo del museo, e questa dicotomia determina tuttora in ampia misura la struttura del museo e la definizione che il museo da di se stesso. fatto che questo complesso impianto ideologico, sotteso alla nuova istituzione, fosse opportunamente “dimenticato” non @ imputabile a chissa quale gigantesca cospirazione, ben- sifuil risultato indiretto di considerazioni pratiche. Con ilsen- no di poi, possiamo affermare che era necessario ignorare le contraddizionic leincoerenze insite nella nuova istituzione per poter cogliere a piene mani tutti vantaggi della me:odologia che essa metteva a disposizione. Ben lungi dall’essere obit vo, il musco si modellava sulla realta sociale e politica: ma agli inizi della sua storia questo concetto era troppo complesso per poter essere messo “in conto crediti”. La museologia, ossia lo 34 Museo. Storia el n'idea studio sistematico della natura e dei metodi della nuova istitu- zione, ha preso a esistere molto pit tardi, dopo che il museo stesso era diventato soggetto storico, Durante i primi cento an- ni, le premesse fondamentali su cui esso poggiava non furono mai né analizzate né interrogate. Soltanto in anni recenti, l’au- toanalisi e Pautocritica sono diventate parte integrante della pratica museale. Berlino 1900-1930 Mente i musei di Parigi e di Londra rischiavano di restare se- polti sotto la valanga delle acquisizioni, Berlino segnava il pas- so sia per Pampiezza sia per la qualiti delle collezioni. La ca- pitale prussiana era rimasta sempre in una situazione di stallo rispetto al panorama politico europeo, finché la proclamezio- ne dell’impero tedesco, nel 1871, non modificd le cose scate- nando una corsa senza precedent all'espansione politica e cul- turale: ora anche la Germania si sarebbe ageregata, seppure tardivamente, alla gara per conquistare un “posto al sole” co- Toniale. Il desiderio di mettersi alla pari con Londra e Patigi sul piano culturale mise in moto un’attiviti museale talmente vasta e intensa che entro pochi decenni i musei di Berlino fu- rono in grado di rivaleggiare in tutto e per tutto con le istitu- zioni sorelle nel resto ¢’Europa. Gran parte del meritoditanto successo vaattribuitoa Wilhelm Bode, che un anno dopo la proclamazione del Reich tedesco era stato nominato curatore aggiunto dei muse stata prussiani a Berlino, Grazicalla sua valentia ca un’energia inesausta, nel 1880 il brillante studioso era diventato direttore della sezione di pit ture e scultura, Giurista di formazione, Bode si era costruito da autodidattauna grande competenzanel campo dellapittura olan- dese e fiamminga del Seicento, dell’arte rinascimentae italiana e delle arti decorative, coniugando un raffinato senso estetico analitiche eccezionali 36 Museo, Storia di nn ‘idew Bode era uomo di mondo, scaltro nelle trattative con i mer- canti e molto abile nel sollecitare donazioni di pregio dai col- lezionisti privati;indirizzé cosi verso i musei berlinesi un flus- s0 inesauribile di acquisizioni e donazioni della massima im portanza, Nonostante limpegno tichiesto dai compiti ammi- nistrativi, Bode non abbandond mai I'ativita di studioso e di ricercatore, e nel campo dellarte italiana ebbe quale unico ri vale soltanto Bernard Berenson, americano che teneva corte a Firenze ed era assaiirritato dalla concorrenza del tedesco, Ne- ali anni tra il 1897 e il 1905, Bode pubblicé inoltre (in colla- borazione con Hofstede de Groot) il catalogo completo dei dipinti di Rembrandt, esito finale di un’intensa ricerca pionie- ristica durata venticingue anni, che a tutt’ogg! informa la no- stra immagine dell artista olandese. Alle svolta del secolo, Bode era universalmente riconoscit- to quale massimo esperto museale e storico dell’arte del suo tempo. Sotto molti aspetti, la sua capacit di mettere a frutto Pattivita politica e ideologica per conseguire obiettivi di ordi ne scientifico ed estetico rispecchia lesperienza che un secolo prima era stata quella di Denon (e di Champollion). Grazie al’inesausto lavoro di Bode, le collezioni berlinesi conobbero una crescita esponenziale ¢ alla fine del secolo Ia capitale tedesca vantava nell'insieme una delle raccolte euro- pee pid complete di pittura, scultura ¢ arti decorative. Nell'ambito delVarte antica, i progressi furono altrettanto rapidi, Nel 1878, 'errivo a Berlino dell’altare di Pergamo fu non soltanto un trionfo artistico, ma anche un avvenimento di enorme portata nazionale, Grazie all'acquisizione dell'altare, lo storico dellarte Jacob Burckhardt si rallegr® che «Berlino [fesse] diventata una delle principali mete di pellegrinaggio artistico del mondo intero».! A questo si aggiunsero i favo- leggiati ritrovamenti di Heinrich Schliemann a Troia (il teso- 0 di Priamo), la porta di Ishtar di Babilonia nonché oggetti di eccezionale valore provenienti dagli scavi di Olimpia ¢ Amarns. La campagna tedesca condotta a Olimpia negli anni ottanta, sotto la direzione di Emst Curtius, fa il primo scavo sistematico diun sito completo dell’antichiti erimane atutt’og- Berlina 1900-1939 37 giun ammirevole modello di precisione archeologica. I ritro- vamenti di Amarna misero in luce uno dei capitoli pid straor- dinari del’arte e della storia dell’antico Egitto, la cui civilta da quel momento non poté pid essere considerata immutabile ¢ monolitica. Nel 1904 fu istituita una nuova sezione islamica, seguita, nel 1907, da un’altra dedicata all’arte dell’Estremo Oriente. Allla svolta del secolo, le raccolte dei musei di Berlino co- privano il mondo intero. Non vi erano una sola civilta 0 un so: Jo periodo della storia che non fossero rappresentati nella ca- pitale tedesca: vierano tesori d’arte etnografica (Pacifico, Ame- rica e Africa), del Vicino e dell’Estremo Oriente (Giappone e Cina), di arte egizia, islamica; greca e romana, paleocristiana, medievale, rinascimentale ¢ postrinascimentale. ‘Uno dei progetti pitt cari a Bode fu il Kaiser Friedrich-Mu- seum, costruito sotto la sua attenta supervisione tra il 1897 e il 1904? e ribattezzato nel 1956 con il suo nome;? qui egli diede forma a una concezione del tutto nuova e innovativa nell’e- sporre opere d’arte. Gli oggetti in mostra non erano pid sud- divisi per categorie ~ dipinti con dipinti, sculture con sculture cece, ~, bens! raggruppati in riferimento al contesto stotico. I ‘quadti del Rinascimento, per esempio, furono espost insieme asculture e artedi della stessa epoca. I quadri francesi insieme ad arredi Luigi xv, xv e xvi; la pittura barocca olandese fu ac- ‘compagnata da medaglie e squisiti intagli in legno dello stesso periodo. ‘Le sale consentivano spesso di integrare le esposizioni con elementi architettonici coevi, quali soffitti, caminetti o infissi. (Oggetti di natura diversa interagivano gli uni con gli altri, am. pliando la prospettiva dell’ Ur#feld artistico e intellettuale in cui erano stati realizzati. In poco tempo il Kaiser Friedrich-Mu- seum riscosse ovunque la pid grande ammirazione, ¢ la meto- dologia di cui esso dava esempio fu imitata dai curatori di tut- 10 il mondo. Bode aveva dimostrato che era possibile super rel'impostazione tassonomicaottocentesca creandoesposizioni significative e scientificamente fondate senza trascurare consi- derazioni di ordine estetico. 38 Museo, Storia di un'idew Nel 1905 Bode fu nominato direttore generale di tutti imu- seiberlinesi incarico cheavrebbe conservatofinoal 1920, quan- do si ritird dal lavoro attivo. Inizi6 subito ad applicare a tutte Ie istituzioni a lui affidare Ia metodologia messa a punto per il Kaiser Friedrich-Museur. Tl progetto da lui presentato nel 1907 (Denkschrift betref- ‘fend Erweiterungs- und Neubauten beiden Kéniglichen Museen in Berlin) avrebbe fatto dei musei berlinesi le istituzioni all’e- poca pili avanzate sotto il profilo metodologico. Al centro del progetto di Bode viera la Museumsinsel,* con I’Altes Museum progettato da Friedrich Schinkel’ — prototipo degli edifici mu- sealiin tutta "Europa ortocentesca, il Neues Museum,¢laNa- sionalgalerie’ e lo stesso Kaiser Friedrich-Museum. A questi edifici Bode ne aggiunse uno nuovo sul lato occi- dentale dell’“isola”: il complesso destinato a ospitare il Perga- mon Museum, Lala sud avrebbe accolto le antichita del vici- no Oriente; Pala nord, Parte tedesca; nel corpo centrale avreb- be trovato posto l’altare di Pergamo insieme ad architetture e sculture greche ¢ romane, L'accostamento appare forse singo- laze, ma non era certamente fortuito. Vi era sottesa I'idea, im- pregnata dispirito imperialista, che a cultura tedesca fosse pa- ri agli omologhi della Mesopotamia e della Grecia antica, Lie- dificio era stato progettato nel 1907 dall'architetto Alfred Mes- sel, che moti nel 1909. I progetto fu pertanto sottoposto a una serie di revision’ e i lavori andarono a rilento; furono quindi interrotti dalla Prima guerra mondiale e dalla successiva crisi economica, finché nel 1930 il museo apri al pubblico. I Pergamon Museum rappresenté nella sua versione defini- tiva un decisive passo avanti nell’esposizione di arte antica gre- ca e romana. Sebbene I'edificio di Messel ~ riclaborato da Ludwig Hoffman ~ si richiamasse a modell classici, questi ri- quanto meno negli interni, erano piti presunti che reali, II fatto che la costruzione si fosse prolungata per quasi un quarto di secolo si riveld un vantaggio, poiché consent di far tesoro del pensiero architettonico pitt avanzato e di dare forma aunmuseoil cuinitoreelacuisobrietaevocano quasiil Beuhaus. Sale cosi semplici e ariose avranno sicuramente sconcertato i Berling 1900-1930 39 contemporanei. II paragone tra il Pergamon Museum ¢ le se- zioni di arte antica al British Museum é rivelatore: qui, domi- nano tetraggine vittoriana e sovraffollamento; Ia, semplicita ed essenzialit di stampo modemno. Negi spazi del Pergamon, non viera traccia di aggiunte ornamentali né di tentazioni decorati- areti di colore chiara, illuminazione funzionale e basamenti minimalisti nella loro essenzialita. Le sculture in marmo € le al- tre opere erano collocate in modo da fruire della massima visi- bilita. La scultura classica era vista in una nuova luce: le opere dell’antichita non erano pitt esposte con lo scopo primario di illustrare la narrazione o la cronologia che vi erano sottese, ben- sierano considerate opere d’arte a pieno titolo. Non pago dei progetti per la Museumsinsel, Bode ided un gruppo supplementare di musei che avrebbero avuto sede in un sobborgo di Berlino ~ Dahlem — allo scopo di riunire tutte Ie collezioni extracuropee (arte africana, arte asiatica e prove- niente dalla regione del Pacifico, archealogia americana ecc.). I progetto porta la firma di Bruno Paul e fu realizzato in par- te tra il 1911 e il 1916. Di fatto, il complesso non fu mai ulti- mato e fino alla Seconda guerra mondiale gli edifici completa- ti furono adibiti a depositi. Dopo la guerra, avrebbero ospita- to isettori delle collezioni della Museumsinsel caduti in mano agli Alleati, per essere restituiti a Berlino occidentale negli an- ni cinquanta. Bode non soltanto rivelé capacita straordinarie negli ambi- ti che lo interessavano personalmente, ma ebbe anche il dono di affidare alle persone giuste i settori che non erano di sua stretta competenza. Nel 1896, Hugo von Tschudi fu nominato direttore della Nationalgalerie, che ospitava l'arte del xnx secolo. La scelta si rivel6 quanto mai felice. Tschudi non soltanto ampli e rialle- sti la collezione (spostando Paccento dal petulante nazionali- smo a.un criterio estetico),* ma fu il primo direttore di un mu- seo tedesco ad acquistare opere deali impressionisti, artisti in quegli anni ancora controversi. Nel 1897 comprd il Mulino sul Conleuore a Pontoise? primo dipinto di Cézanne a entrare in una collezione museale. 40 Museo, Storia di wnvidea La carriera di Tschudi era seguita con sospetto e disappro- vazione dall’imperatore Guglielmo 1, il quale dichiard minac- ciosamente: «L’arte che dimentica la propria missione patriot- tica e fa appello soltanto allo sguardo degli esperti non ha ra- gione di esistere», Nel 1908, quando Tschudi sottopose all’ap- provazione dell’imperatore un dipinto di Delacroix tutte le acquisizioni per la Nationalgalerie dovevano ricevere auto- rizzazione definitiva dellimperatore -, Guglielmo 1 diede in escandescenze dicendo che «un direttore pud permettersi di mostrare una cosa del genere a un sovrano che non sa nulla di arte, ma non a me!»."” Infine la situazione divenne insosteni- bile e Tschudi fa mandato in congedo. Nel 1909 diede le di- missioni dalla Nationalgalerie e assunse la direzione dell’ Alte Pinakothek di Monaco. Quando mori prematuramente, nel 1911, aveva acquistato per la capitale della Baviera oltre qua- ranta dipintie sculture di Gauguin, Van Gogh, Toulouse-Lau- tree, Rodin, Maillol, Bonnard e Matisse, nonché tre oli di Cé- zane e La colazione nello studio (1868) di Manet. La maggior parte di queste opere sono ancora a Monaco. Se Guglielmo 11 aveva sperato di trovare nel successore di ‘Tschudi un vomo pitt malleabile, fa amaramente deluso: il nuo- vo direttore scelto da Bode, Ludwig Justi, aveva gusti ancora pid modemi del predecessore e aequisto senza indugi un in- credibile numero di opere di postimpressionisti, di cubisti ed espressionisti tedeschi, Intorno al 1919 — la Prima guerra mondisle si era conclusa ¢ Guglielmo 11 viveva in esilio ~ la collezione della Nationalga- lerie era ormai cresciuta troppo per rimanere nell edificio sul- Ia Museumsinsel. Justi scorpord due musci monografici dedi- cati a Schinkel e a Rauch, scultore neoclessico prussiano, per traslocare le opere del xX secolo nel Kronprinzenpalais. Liro- nia del gesto non sari certamente sfuggita ai pitt: proprio Par teche Guglielmo 1! detestava maggiormente veniva ospitata nel palazzo in cui lui era cresciuto quand’ era ancora principe e do- ve aveva poi abitato suo figlio, in attesa di una chiamata che non sarebbe mai venuta. Tra le due guerre, il Kronprinzenpalais divenne l'emblema Berling 1900-1930 41 diun collezionismo coraggioso e impegnato, nonché la dimora d'elezione dell’avanguardia tedesca einternazionale dell'epoca. Se non fosse stato a tutti gli efferti una sezione della National galerie, avrebbe potuto vantare il titolo di primo museo ded cato esclusivamente allarte contemporanea, con una decina anni di anticipo sul Museum of Modern Art di New York. Sotto Ia direzione di Bode i musei berlinesi divennero un autorevole modello di curatcla, i cui metodi e tecniche trova- rono vasta applicazionc in tutto il mondo. Quali che fossero gli obiettivi politici che ne avevano determinato la nascita, quei musei godevano ora di una reputazione fondata su un'erudi- zione impeccabile, a cui era d’obbligo far tiferimento, e su una museologiaispirata al lberalismo illuminato. Queirisultati,co- munque eccezionali, appaiono ancora piti stupefacenti ove li si consideri nel contesto della sicuazione economica e del cli- ma politico che regnava allora in Germania, Bode e i suoi suc- cessori tennero duro di fronte a condizioni avverse c in conti- nua trasformazione: dalla reazione guglielminaalla Prima guer- ramondiale e all'inflazione cplosa nel dopoguerra, fino al suc- cessivo tracollo ¢ alla lenta ma minacciosa ascesa del fascismo —una catena di avvenimenti che si sarebbe interrotta soltanto nei brevi anni d’oro della Repubblica di Weimar. Lavvento del nazismo pose bruscamente fine alla tradizio- ne inaugurata da Bode. Hitler e i suoi accoliti guardavano con profondo sosperto a tutte le istituzioni cultarali, e non stupi- sce che proprio il Kronprinzenpalais sia divenuto una delle lo- ro prime vittime eccellenti in ambito istituzionale. [nazisti non avrebbero tollerato a lungo che l’odiata arte moderna fosse esposta nel cuore del potere prussiano: Unter den Linden. Il siallestimento pit radicale del Kronprinzenpalais—quando tut- tii quadri impressionisti fuono spostati nella Nationalgalerie per dare il massimo risalto a postimpressionisti, cubisti ed espressionisti — coincise, per colmo d’ironia, con la definitiva presa del potere da parte di Hitler, all'inizio del 1933. Duran- te il sopralluogo precedente Papertura, Goebbels e Rust (mi- nistro dell’Educazione) andacono su tutte le farie, e non pit tardi del giugno successivo fu ufficialmente chiesto a Justi di 42 Museo. Stora di wu'ides dare le dimissioni. Avendo eglirfiutato, fu posto per ordine di Goebbels «in congedo senza limiti di tempo con effetto im- mediaton La Gleichscbaltung imposta dai nazisti alla cultura tedesca procedette fulminea. Nell’agosto 1933 i “lavoratori museali” del Reich tennero un convegno a Magonza, durante il quale deliberarono minacciosamente che «anchei musei devono con- tribuire alla grande missione, concorrendo per quanto @ in lo- ro potere a trasformare la massa amorfa della popolazione in ‘una nazione».!! Entro pochi mesi, da che i nazisti avevano conquistato il po- tere, idirettori dei musei di Bielefeld, Essen, Mannheim, Lu- becca e Amburgo (tra gi altri) furono costretti alle dimissioni. Erano tutte persone di grande qualiti, professionisti appassio- nati, ein alcuni casi avevano acquisito ai loro musei collezioni di respiro ancora piti ampio e innovativo di quelle del Kron- prinzenpalais. Alloro posto subentrarono fautoridichiaratidel- Ja causa nazista, fin troppo vogliosi di obbedire pedissequa- mente alle direttive ufficili. Senza perdere tempo, dimostra rono la loro gratitudine per Ja nomina ricevuta: alla fine del 1933 furono allestite in tutta la Germania non meno di dieci grandi mostre con il preciso scopo di gettare fango sullarte d'avanguardia, Basate su collezioni locali, nessuna di queste esercitazioni propagandistiche raggiunse le dimensioni della mostra divenuta tristemente famosa con ill nome di “Entartete Kunst” (arte degenerata), tuttavia ’anticiparono di quattro an- nialmeno,adimostrazione di come clima culturale fosse cam- biato pid in fretta di quanto spesso si pensi. Dobbiamo uno dei resoconti di prima mano pili profetici e agghiaccianti della si- tuazione ad Alfred H. Barr, che durante un periodo di conge- do dal Museum of Modern Art trascorse quattro mesi a Stoc- carda e fu testimone della svolta nazista.™ In provincia, i nazisti potevano agire in fretta e brutalmen- te, ma a Berlino Je cose andarono altrimenti. Nel luglio 1933, Alois Schardt fu nominato successore di Justi alla Nationalga- lerie e al Kronprinzenpalais. In precedenza, Schardt aveva la- vorato alle dipendenze di Justi e fino a poco tempo prima ave- Berlino 1900-1930 43 va diretto lo Halle Museum; ben noto sostenitore dell'arte mo- derna, fece del suo meglio per mertere in salvo tutto quanto gli fu possibile Riportd gli impressionisti al Kronprinzenpalais e tolse dal- le pareti i dipinti pit rivoluzionari: le opere di Kandinskij non sarebbero piti state esposte, la sala dedicata a Beckmann fu tra- sfetita nei depositi c gli espressionisti furono rappresentati sol- tanto da pacsaggi. Messo sotto pressione dei nazisti, Schardl si arrampicd sugli specchi pur di costruire una genealogia stori- cadell arte tedesca, dal gotico all’espressionismo, ein una con- ferenza arrive a definire un “errore artistico” il soggiomo di Diirer in Tralia nel 1494. Ma ancora non bastava e in novem- bre, quando Rust and® a ispezionare il nuovo allestimento, ri- fiutd di autorizzare la riapertura del Kronprinzenpalais Schard: tentd ancora di rappezzare le cose e i nazisti conti- nuarono a borbottare, finché il musco riapri miracolosamente { battenti¢, tra alti ¢ bass, rimase aperto per i due anni suc- cessivi. I Giochi olimpici del 1936 regalarono a Schardt una pausa momentanea: ossessionato dalle apparenze, il governo fascista era evidentemente riluttante a compiere pass irrepa- rabili nel momento in cui I'attenzione internazionale era pun- tata su Berlino. Ma non appena Pultimo ospite straniero ebbe Iasciato la capitale, Goebbels entrd finalmente in azione e il 30 ottobre ordind la chiusura del Kronprinzenpalais Nel novembre del medesimo anno, lo stesso Goebbels isti- tui la Reichskulturkammer, assumendo il controllo totale su ogni aspetto della vita culturale tedesca. Chiunque operasse in una sfera dell arte - arti visive, letteratura, cinema, teatro, gior- nalismo e musica — doveva iscriversi alla Reichsulturkammer, e il dititto di scrivere, comporre o dipingere venne concesso soltanto a chi ne fosse diventato membro. Nella primavera successiva, iniziarono i lavori per allestire Ja tamigerata mostra “Entartete Kunst”, Fu nominata una commission con il compito di visionare in tutto il Reich le col- Iezioni pubbliche di arte moderna. Le sedicimila opere d’arte confiscate furono trasferite nella Kopemnicker Strasse, a Berli- no, dove un magaazino era stato affittato espressamente allo 44 Museo. Storia di un'idea scopo. Sempre attenti a dare alle loro azioni una parvenza di legalita, il 31 maggio 1938 i mazisti votarono una legge che tra- sformava la confisca in esproprio: il governo divenne in tal mo- do proprietario unico del deposito segreto di Kopernicker Strasse. Alcune opere furono selezionate in base alla vendibi- lita, altre furono scelte per essere incluse nella mostra in pro- gramma, Le prime furono trasferite a Schloss Niederstein, fuo- ri Berlino. Le opere destinate alla vendita ~ per esempio, al- T'infame asta organizzata dalla Galerie Fischer di Lucerna - partirono di qui e l'operazione continué fino al giugno 1941. Oltte cinquemile opere rimaste in Kopernicker Strasse, ¢ gi dicate di valore commerciale nullo, furono bruciate il 20 mar- z0 1939 nel cortile di una caserma dei pompieri di Berlino in occasione di un’esercitazione. Per qualche tempo Goebbels, sempre voglioso di aggiun- gere al danno le beffe, prese in considerazione Pidea di tra- sformareil Kronprinzenpalais in un museo dedicato all’arte uf- ficiale, approvata dai nazisti, ossia in una succursale a tutti gli effetti dello Haus der Kunst di Monaco. Ma il progetto non approdé a nulla, e da allora in poi il Kronprinzenpalais, an- nesso all’ Akademie der Kiinste, fu soltanto l’ombra di cid che era stato. ‘A Bode erano occorsi cinquant’anni di duro, appassionato lavoro per tradurre in realt3 il progetto dei musei di Berlino, eppure gran parte di esso, tra cui il complesso di Dahlem, era ancora incompiuto. Bode moti nel 1929 e dunque non fu co- stretto ad assistere alla distruzione, a opera dei nazisti e della Seconda guerra mondiale, di quella che era stata l’opera della sua vita, Allapertura delle ostilita, nel 1939, le collezioni che aveva- no sede sulla Museumsinsel furono evacuate ed ebbe cosi ini: zio un’epopea che sarebbe durata cinquant’anni e che non sié ancora conclusa.” In conseguenza degli ordini folli, per non dire wagneriani, impartiti da Hitler per combattere a oltranza T'avanzata degli Alleati che stavano accerchiando Berlino, !'I- sola dei musei si trové collocata sull’ultima linea difensiva nel- Ja capitale. I12 maggio 1945, dopo un lungo combattimento, i Berlino 1900-1930 45 russi conquistarono finalmente quell'insieme di edifici ormai in cenere. Al primo colpo d’occhio la distruzione si riveld im- mane. Il Pergamon Museum ¢ la Nationalgalerie erano grave- mente danneggiati ma ricuperabili, non cosi gli interni del- TAltes Museum di Schinkel; il Kaiser Friedrich-Museum era stato in parte distrutto dal fuoco ma il Neues Museum risultd essere, di tutti i fabbricati, il pit pesantemente deteriorato. Sa- rebbe rimasto un rudere fino alla fine del secolo.* Il governo della Germania orientale impegnd molte energie nella rico- struzione, ma sotto lassillo delle precarie condizioni econo- miche del regime comunista i lavori andarono per le Iunghe e i risultati furono deludenti. B attualmente in corso un proget- to di restauro e di riedificazione guidato dall’architetto ingle- se David Chipperfield. Tuttavia, non soltanto le strutture materiali, gli edifice le collezioni avevano riportato danni gravissimi: la pratica mu- seale tedesca era screditata e la grande tradizione di un’intera epoca era in pezzi, Dopo la guerra, nessun curatore tedesco rivendicd Pereditd di Bode. Quel attivi nella Germania orientale avevano gid il loro daffare a sintonizzarsi con la nuova musica, mentre le ge- nerazione che era stata costretta a lasciare il paese sentiva bru- ciare ancora troppo le ferite — 0 la sabia ~ per poter pubbli: camente aderire alla tradizione di Bode. La sua impresa gode- va sempre della massima autorevolezza, ma non gli fu tributa- to alcun rinoscimento. Quanto alla Germania occidentale, la museologia mantenne per circa vent’anni un silenzio imbaraz zato. Soltanto negli anni settanta sié fatta strada una nuova ge- nerazione di curatori e storici dell'arte non compromessi in al- cun modo con il passato regime, i quali a poco a poco, con mal- ta cautela, hanno cominciato ad analizzare i misfatti compiuti dai predecessori Non era una noviti che i musei fossero facile preda dei po- litici, Dopo tutto, il museo doveva la sua nascita alla politica e fin dalla Rivoluzione francese aveva svolto un ruolo importan- te nel dar voce alle identita nazionali in un processo fomenta- to dai confliti tra stati nazionali europei. Lo scandalo non era 46 Museo. Stora di wn'ideo dunque nella politicizzazione dell arte e del museo messa in at- to dai nazisti: quel che lasciava sconcertati era lingerenza to- talizzante, il fatto che non si fossero accontentati di interventi censori ma che si fossero palesemente accaniti a distruggere. ‘Tenendo conto dell’ansia da loro dimostrata nell’assumere il controllo dei musei per “riformarli” il pit in fretta possibile, stupisce constatare il ruolo tutto sommato marginale che il mu- seo ha svolto nell’insieme della propaganda totalitaria, Tra i motivi vi @ forse il farto che, per quanto forte fosse la spinta propagandistica impressa alle esposizioni, in definitiva il visi- tatore rimaneva sorprendentemente immune dalla manipola- zione. Non sara sicuramente sfuggito ai funzionari nazisti che ron pochivisitatoririmanevano profondamente affascinati dal- Ie opere esposte alla mostra sull!"arte degenerata”. Guardare Parte continuava a essere un'attivita solitaria, impossibile da controllare a vista e sostanzialmente difficile da dirigere, mol- to meno utilizzabile della radio, dei film e delle sflate per pie- gare la testa dei cittadini alla lines di partito. Dallesperienza della Germania si ricava un'immagine di museo ~ e di cultura — quali entita estremamente vulnerabili ¢ bisognose di protezione speciale; convincimentosuffragato dal- Je vicende coeve nell’Unione sovietica di Stalin.'’ Dopo il 1945, Ianecessita di proteggere da ogni ingcrenza statale i musei—e pitt in generale la libert& di parola e di espressione artistica — ha assunto un ruolo importante in molti paesi occidentali. In Gran Bretagna, é stato creato un Arts Council che pone i be- neficiari difondi statali al riparo di ogni intervento diretto del governo. In Germania occidentale, la responsabilith in mate- ria di cultura @affidata alle regioni pit che al governo federa- Ie, per rendere impossibile qualsiasi forma di controllo cen- tral, In Occidente, @in genere maturata una nuova sensibilit® che si dimostrata capace di garantire ai musei un notevole li- vello di autonomia. New York 1930-1950 Nei primi anni settanta del x1x secolo, negli Stati Uniti furono fondati in un tempo relativamente breve tre grandi muse il Metropolitan Museum of Art, a New York, il Museum of Fine Arts, a Boston, eArt Institute, a Chicago. Ma anche in segui- too slancio non veane meno fino agli anni trenta, e musei di considerevoli dimensioni furono aperti in rapida successione in quasi tutte le maggiori citta americane, Inapparenza, imusei americani rassomigliavanoailoroomo: loghi europei, ma in realta le differenze erano notevoli sotto molti aspetti. Se i musei europei furono strumenti della Rivo- Iuzione, e poi dell'imperialismo, non si pud dire lo stesso del- le istituzioni ameticane. Queste ultime non annoveravano tra {loro obiettivi alcuna strategia di riforma sociale; quanto alle mire globali e imperialistiche, sarebbe trascorso ancora mezzo secolo prima che gli Stati Uniti calcassero la scena mondiale. Di conseguenza, i primi grandi musei americani ebbero il ca- rattere di un’istituzione civile molto pitt che nazionalista, con un netto orientamento didattico Ma la differenza pitt radicale rispetto al modello europeo consiste nel fatto che i musei americani erano fondati, guidati e finanziati non da politi, bensi da privati cittadini. Nonostante queste notevoli diversita, le isttuzioni ameri- cane imitarono molto da vicino la concezione museale euro- pea. Forse cid va imputato a un certo complesso di inferiorita 48° Musee. Stora di un'ides culturale, ma pit probabilmente é dovuto al fatto che alla fine del x1X secolo la struttura del museo europeo era ormai dive- nuta il parametro universalmente accettato. Quali che fossero i motivi, V'idea di museo e i suoi esiti coincidevano pecfetta- ‘mente con le aspirazioni di quanti avevano da poco accumula tojingenti patrimoni dopo la guerra cvilee volevano dimostrare di essere non soltanto immensamente ricchi, ma anche accul- turati e, per soprammercato, dotati di coscienza civica.' Co- storo volevano il meglio per iloro musei e evevano i mezzi per ottenerlo: una concomitanza grazie alla quale una fiumana d'o- ro senza precedent si riversd sul mercato del? arte Dal xvii secolo, ossia da quando gli inglesi avevano pre- soa battere tutta 'Europa per arredaze le loro case di cam- pagna, non era pit accaduto che un patrimonio culturale co- si imponente passasse di mano. Allettati da prezzi mai visti, ali eredi di quelli che nel Settecento erano stati acquirenti si trasformarono in venditori, e quadri, sculture, arredi, argen- ti, disegni, manoscritti ¢ libri, insomma tutte le insegne delio stile di vita aristocratico, lasciarono PInghilterra alla volta del Nuovo mondo. TI flusso crebbe in misura tale che lo stesso Parlamento in- glese dovette rispondere a interrogazioni allarmate in merito a una cosi massiccia dispersione del patrimonio nazionale. In al- cuni casi, il Tesoro fu costretto a concedere sovvenzioni spe- Ciali alla National Gallery di Londra per salvare alcuni dipinti di straordinaria importanza strappandoli di mano a compra- tori americani delusi La Gran Bretagna non fu tuttavia I'uni- co paese europe interessato dal fenomeno, La transazione pitt spettacolare fu probabilmentelacquisto diventuno dipinti dal: V'Ermizage, nel 1936: tra essi vi erano opere fondamentali di Hals, Rubens, Van Dyck, Van Eyck, Veronese, Chardin, Peru- gino, San Giorgio e il drago ¢ la Madonna d’Alba di Raffaello, il Ritratto di Innocenzo x, di Velazquez, |’ Adorazione dei Magi di Botticelli e la Venere allo specchto di Tiziano, Opere che og- i costituiscono il fondo pit prezioso della National Gallery di ‘Washington. Incentivati da queste acquisizioni e al riparo dai guasti del- New York 1930-1950 49 Ja guerra, i musei americani conobbero una crescita straordi- aria, tanto che negli anni quaranta, se non addirittura un po? prima, alcuni diessi cominciaronosa rivaleggiare con iloroomo- oghi europci per ampiezza e qualita delle collezioni. Acquisi- zioni spettacolari ebbero Juogo anche dopo il 1945, ma senza pit raggiungere ilivelli d’epoca prebellica. Vi posero freno sia i finanziamenti in calo sia il controllo molto pitt severo eserci- tato dagli europei sul loro patrimonio culturale. Tra gli esem- pi pit pubblicizzati si segnalano due acquisti del Metropolitan ‘Museum: Aristorele contempla il bustodi Omero, diRembrandt, da Parke Bereta New York, nel 1963, eJuan de Pareja di Veliz quez, da Christie's a Londra, nel 1971. Limpianto concertuale del museo americano rispecchia quello delle istituzioni europee: al centro delle collezioni, arte egizia, antichiti greche e romane, arti applicate (arredi, argen- tiece.), i grandi maestri e la pitcura dell’ Ottocento, con I'ag- giunta degli impressionisti e dellarve asiatica. Insomma, una versione aggiornata della prospettiva ellenocentrica. Trovare opere di arte antica era diventato ovviamente pitt difficile che allinizio del secolo? eppure nel 1931 John D. Rockefeller riusci ancora a donate al Metropolitan Museum una collezione di cinquantacinque importanti sculture e rilie- vi assiri, "equivalence di quanto era consezvato a Londra, Pa rigi e Berlino# Se il eampo dell’antichitariservava qualche delusione, mol- te soddisfazioni venivano invece dalle grandi collezioni di arte asiatica, in particolare a Boston, ¢ cos pure dalla pittura im- pressionista e postimpressionista. Le battaglic cultural ¢ arti- stiche che in Europa si combattevano ancora intorno allim- pressionismo, di fatto non interessavano gli americani. Vi era, piuttosto, una certa naturale affinita tre Ja nuova pittura fran- cese, essenzialmente borghese, e l’immagine di sé delPoligar- chia industriale americana, e si deve a questo se dal 1890 in poi un numero sbalorditivo di quadri impressionisti approdarono rel Nuovo mondo. A tutt’oggi arte impressionista i pid im- portante settore nel quale i musei americani in genere primeg- iano su quelli curopei. 50 Museo, Storia di idea Manonsoltantoleidee di Bode approdarononel Nord Ame- rica. Nel 1909 William R. Valentiner, che era stato suo assi- stente, divenne primo curatore della sezione Arti decorative al Metropolitan Muscum. Nella lertera di raccomandazione in- dirizzata a New York, Bode aveva descritto Valentiner come «al giovane studente d'arte pid dotato e preparato che io abbia ‘mai avuto al musco» Valentiner aveva lavorato in stretto con- tatto con Bode agli allestimenti del Kaiser Friedrich-Museum © ammirava molto il metodo espositivo del maestro, fondato sulla sintesi; per parte sua, questi lascid partire a malincuore Vallievo di un tempo. ‘ANew York, Valentiner riusci a dare nuovi esit alle idee di Bode, non limitandosi semplicemente a seguire il criterio usato dal maestro — ossia collocare nello stesso spazio espo- sitivo gli oggetti appartenenti a un medesimo contesto stoti- co € geografico ~, bensi ricostruendo interi ambienti di una determinata epoca, Acquistd, soprattutto in Francia e in In- ghilterra, arredamenti ¢'interni completi, che furono smon- tati e imbarcati alla volta dell’America. Nel 1927 la sua idea raggiunse I'apoteosi - 0 i vertici del grottesco, 2 seconda del punto di vista con Pallestimento dei cosiddetti Cloisters, lo spazio che ospita le collezioni medievali del Metropolitan. In tutta Europa furono raccolte, ¢ poi riunite a Manhattan, par- ti di monasteri e di chiese. Oggi, immagine complessiva di quelle esposizioni evoca sicuramente pit gli anni trenta che non i Medioevo ‘Queste messe in scena di ambienti d'epoca (periad rooms) caratterizzano tuttora i musei nordamericani, sebbene l'idea sia ormai piuttosto sereditata. Troppo spesso la linea di confi- ne tra ricostruzione fedele e invenzione fantasiosa @ vage, ¢ le sale cosiallestite sono meno ricche di informazioni sul perio- do che pretendono di rappresentare che non su quello in cui sono state ricreate. In proposito si citano spesso gl poca ticostruiti nellala Robert Lehman al Metropolitan Mu- seum, Allestiti nel 1975, riproducono fedelmente le stanze del palazzo newyorkese che Lehman siera fatto decorare nel 1959 dalla ditsa Jansen, di Parigi a imitazione di ambienti del 1905, New York 1930-1950 51 qualia loro volta riecheggiavano interni del Settecento fran- cese.’ E difficile identificare il risultato cosi ottenuto con un preciso stile storico: 'aggettivazione pil indicata sarebbe for- se Alto Stile Predatorio. Lultime incarnazione del concetto di period room sono i progetti, molto discussi, realizzati da Thierry Despont (1995- 1996) per la sezione di arti decorative al Getty Museum di Ri- chard Meier a Malibu, in California. Larchitetto che ha impresso il segno pitt forte sull’immagi- ne del musco americano é John Russel Pope (1873-1937). Ne- ali anni venti, alPapice della carriera, egli aveva creato un li guaggio architettonico di grande alterigia e severita classica perfettamente idoneo a esprimere le aspirazioni civili e nazi nali, al punto che commissionare a lui il progetto di ogni gran- de edificio museale o governativo divenne una scelta obbliga- ta, Quando Pope non costruiva, fungeva da consulente, e Wa- shington & ancora opgi in gran parte la sua citta, Se il linguaggio @ europea, la misura del lavoro di Pope & decisamente americana. Per rendersene pienamente conto & sufficiente dare uno sguardo ai suoi due progetti londinesi- a Duveen Gallery (1929-1937), alla Tate Gallery, e le sale che ospitano i marmi di Elgin al British Museum (1930-1937) -, entrambi donazioni del mercante d’arte Joseph Duveen, che aveva fatto fortuna vendendo arte europea ai bramosi colle- zionisti american ‘La Duveen Gallery alla Tate era stata progettata per acco- sliere sculture moderne, ma fin dallinizio fa chiaro che le pro- porzioni avrebbero schiacciato le opere esposte. Negli anni cin- quanta i curatori del museo si arresero e cominciarono a use- re pareti mobili e false soffittature per contenere Pestensione di quell’immenso spazio a volta voluto da Pope. Lesperienza del British Museum non fu dissimile. Non appena ebbe preso visione dei primi progerti per le sale de- stinate a ospitare i marmi di Elgin, il direttore, Sir George Hill, osservd causticamente con una certa irritazione che «al confronto il resto del British Museum sembrera un canilen.* Nonostante sia poi stata dimezzata, la sala del Partenone con- 52 Museo. Stora di un'idea serva ancora misure imponenti e una severa semplicita. La critica pitt frequente é che la monumentalita dello spazio stoglie I'attenzione dalle sculture, e allo sguardo del profa- no i marmi dell’ Acropoli rischiano di apparire quali sempli- ci particolari decorativi. Eppure, nonostante queste riserve, le due sale sono diventate gli spazi emblematici dei rispetti- vi musei Lultimo progetto di Pope, da molti considerato il suo ca- polavoro, fa la National Gallery di Washington, di cui Andrew Mellon volle fare dono alla nazione e che fu commissionata al- Varchitetto nel 1936. Visitare la National Gallery @ tuttora un'esperienza singo- lare, e ancora ogei implacabile monumentalita di Pope é ca- pace di sbalordire, Il visitatore trovaimprowvisamente di fron- te a sé la rapinosa austerita della facciata cieca? le imponen- ti dimensioni dell’edificio (lungo 233 metri), la maestosita possente della roronda d'ingresso con le sue colonne di luci- dissimo marmo verde scuro, il pavimento di marmo rosso- bruno e le pareti di marmo rosa e, infine, Ia sommessa son- tuosita delle sale rivestite di legno, spettacolarmente ampie. Non vi é mai una pausa, uno spazio in cui riparare; il passo della retorica non rallenta mai: dallinizio alla fine, Parchitet- tura vuole sbalordire, sedurre, incutere soggezione. Popenon silimita a esplicitare: incalza senza sosta con la sua visione di uno spazio quasi sacrale dedicato ai capolavori. Ma ironia vuole che vi riesca talmente bene che i quadri diventano og- getti secondari, messi in ombra dallo scenario architettonico che funge da cornice. Pope mori nell agosto 1937, senza avere il tempo di vedere ultimati i due progetti londinesi, né fu testimone del comple- tamento della National Gallery. Il musco di Washington apri al pubblico ne! 1941 e fu immediatamente bersagliato da cri- tiche durissime e fatto oggetto di non pochi maligni sberleffi. Le critiche pitt aspre erano sivolte senza eccezione all’arc tettura: «Beaux-arts nella purezza della morte»,!" ebbe a scri- vere un recensore. Il responsabile del settore Arte presso il Te- soro pare abbia definito l'edificio un «bordello di mermo r0- New York 1930-1950 53 sa», mentre Philip Goodwin, uno degli architetti del Museum of Modern Art di New York, ne parlava come di quella «mum- mia miliardariay.!! Larchitettura di Pope era derisa perché reazionaria, d'imi- tazione elontana dalla realta dell’ America moderna; la sua mo- numentaliti era ripudiata in quanto monomaniacale ¢ vacua. Apochi mesi dalla morte, Parchitetto ela sua opera furono pra ticamente dimenticati, Ma, se il lavoro di Pope fu condannato in quanto retrogrado, non fu soltanto perché lo stile architet- tonico aveva cambiato rotta, imboccando la via della moder- nits aicrtici, agli architetti ai curatori americani non era sfug- sito il fatto che il linguaggio architettonico, nella Germania di Hitler come nella Russia di Stalin, era neoclassico. A torto 0 2 ragione, il classicismo fu identificato sempre pit spesso con ill totalitarismo, E "America, che si avviava ad assumere il ruclo dibaluardo del mondo libero, non poteva pitt ostentare in pub- blico uno stile ormai screditato. Gli Stati Uniti, se volevano esprimere senza equivoci gliidea Tic leaspirazioni, il destino e la missione che si erano scelti, do. vevano trovare un linguaggio architettonico senza macchia e dungue preferibilmente nuovo. Lo stile modemo fu in certo ‘modo una scelta obbligata, poiché era contemporaneo e non soltanto incontaminato, ma addirittura messo al bando dai re- simi totalitari, Sotto questo aspetto, 'affermazione dello Stile internazionale non fu una semplice questione di estetica—a im- porlo contribui in buona misura anche la politica. Pope fu l'ultimo esponente del neoclassicismo americano € Ja National Gallery a Washington il suo ultimo grande monu- mento. Per ironia della sorte, edificio della National Gallery fa bella mostra di sé nelPodiemno contesto dell architettura post- moderna ¢ gode di maggior favore di quanto sia mai avvenuto prima. ‘Mentre a Washington andava in scena Pultimo atto dellar- chitettura museale neoclassica, a New York nasceva un’istitu- ione che avrebbe influenzato la pratica museale nella secon- da meta del xx secolo tanto quanto i musei berlinesi avevano Iasciato il segno sulla prima. 54 Museo. Stora di un'idoa Lidea di un museo dedicatoesclusivamenteall'artemoderna era nata per caso dalle conversazioni tra Lillie P. Bliss, Abby Aldrich Rockefeller (moglie di John D. Rockefeller Jr) e Mary Sullivan. Il discorso fece rapid progressi e nel 1929 per sug- gerimento di Paul Sachs, storico delParte a Yale ~ il ventot- tenne Alfred H. Barr diventé il primo direttore del Museum. of Modern Art di New York. Fino ad allora i musei americani non si erano discostati mol- to dalla concezione europea, si erano limitati a metterla a pun- +o, [gnorare'esempio curopeo era impossibile, poiché quel mo- dello exa diventato parte integrante del tessuto culturale delle nazioni occidentale, sotto questo aspetto, gli Stati Uniti erano fin troppo felici di conformarvisi. Un museo dedicato all arte moderna era invece qualcosa di diverso, poiché non vi erano precedenti europei né un tracciato da seguire né una storia di fronte a cui genuflettersi. Americano per natura ¢ nelle pro- spettive, il Museum of Modern Art é il contributo pid autenti- co che il Nuovo mondo abbia offerto alla storia del museo. La sede prescelta segnalé immediatamente il tratto che avrebbe distinto il MoMA. Non fu ospitato in un edificio ap- positamente progettato nelle dovute forme monumentali, ben- sinei locali di un ufficio al dodicesimo piano dello Heckscher Building, al numero 730 di Fifth Avenue (e West 57" Street), vistosamente lontano dal Metropolitan Museum o dalla Frick Collection: quello che sarebbe diventato, con Paggiunta del Guggenheim Museum, il “Museum Mile”. Ilnovembre 1929, il New York Times scriveva che il nuovo ruseo «occupa poco pitt di quattrocento metri quadri di uno spazio destinato a uf- fici. Trecentocinquanta di essi all’incirca sono destinati a sale espositive: una grande sala, tre medi ¢ due piccole. Dalla sa- Jagrande si accede a un piccolo locale adibito a biblioteca esa- ladi lettura».? Tl progetto concepito da Alfred Barr negli anni trenta per il Museum of Modern Art fu davvero rivoluzionario. Per citare le parole dello stesso Bars, divenute famose, si trattava di «un laboratorio, ai cui esperiment il pubblico @ invitato a parteci- pare», II museo non si sarebbe limitato alla pittura e alla scul- New York 19301950 55 ‘ura moderne, ma avrebbe accolto ~ cosa mai avvenuta prima ~ fotografia, architertura, disegno industriale e film, ossia l'in- tera gamma della cultura visiva contemporanea, Né il museo si sarebbe limitato a documentare, ma avreb- be assuinto un ruolo attivo nel sollecitaze il dibattito critico in tutti i campi di sua competenza, partecipandovi o addirittura orientandolo. I giudizi che venivano pronunciati dettavano la norma, quando non assurgevano a dogma, ed esservi accolti & considerato a tutt'oggi un titolo d’onore. Nel 1937, Barr apri una sezione didattica sotto la direzione di Victor d’Amico (che ricopri la carica fino al 1969). Per Barr, Ja funzione educativa non era marginale, bensi essenziale al fe- lice esito di tutta limpresa, ed egli stesso si impegnd con zelo missionario a ideare nuovi metodi e strumenti in quel campo. Barr era attentissimo a ogni particolare e mise in atto cambia- ment che avrebbero lasciato il segno su ogni aspetto della pra- tica museale a venice. Le didascalie alle pareti non furono pitt considerate trascu- rabili minuzie, che qualche volta davano l'impressione di esse- re volutamente oscure, ma adesso portevano sempre concise note esplicative, Le mostre erano accompagnate da program- mi densi di conferenze e visite guidate. In occasione della maggior parte delle mostre furono pub- blicati esaurienti cataloghi, per i quali lo stesso Barr scriveva i testi nello stile che sarebbe divenuto famoso: quanto mai di- sinvolto eppure ricco di informazioni. Inoltre, Barr teneva a che il maggior numero possibile di cataloghi fosse illustrato. Controllava scrupolosamente Pimpaginazione ¢ la grafica del- le pubblicazioni del museo, che in breve tempo divennero ve- tie propri classici di progettazione grafica, Distribuite ad am- pio raggio, queste pubblicazioni furono uno strumento im- portante per divulgare la dottrina del museo ed esercitarono una notevole influenza su curatori ¢ artisti di tutto il mondo, Fin dallinizio il MoMA ebbe un ufficio responsabile delle mostre itinerant in tutto il paese. Una delle pitt innovative, per esempio, “Modern architecture ~ International exhibition”, fa ospitata in non meno di quattordici citta dopo aver esordito a 56 Museo. Storia di n’idea New York nel 1932-1933. Nei primi dieci anni di vita del mu- seo, novantuno mostre del MoMA furono portate in 1400 lo- caliti degli Stati Uniti, Dopo la guerra fu istituito un nuovo uf- ficio per le mostre itineranti su scala internazionale, e in anni recent si molto recriminato sul fatto che vi affluivano petio- dicamente finanziamenti della CTA attraverso la United States Information Agency. Nessun particolare, ancorché minuscolo, sfuggiva al? atten- zione di Barr, ed egli costrui per il suo museo un'“immagine aziendale” forte e facilmente riconoscibile, cosa che nessuna istituzione di quel tipo aveva mai deliberatamente fatto, Come se ancora non bastasse, per legare a sé il pubblico Barrnel 1930 affidd a un addetto stampa il compito di dare pitt smalto all'immagine del MoMA —e nemmeno a questo un di- rettore di museo era mai arrivato."? Barr aveva intuito che il pubblico americano era pronto ad accoglicre Parte moderna e il grande, immediato sucesso del MOMA gli diede ragione. La risposta della stampa fu ampia e calorosa, e non pitt tardi del 1931 gli angusti locali per uffici nello Heckscher Building erano gia diventati il sesto musco d'arte pi frequentato degli Stati Uniti. Spesso, la domenica, fino a tremila visitatori aspettavano pazientemente in coda che ascensore li portasse al dodicesimo piano. Lo spazio divenne presto un problema serio. Non erano trascorsi due anni de che era stato fondato, e gia il MoMA era in cerca di un nuovo tetto; verso la fine del 1931 fu preso in affitto un elegante edificio a cinque piani, al numero 11 di West 53" Street. Ma di i a pochi anni an- che questo stabile cra divenuto troppo piccolo, ¢ verso la fi- ne degli anni trenta Philip L. Goodwin e Edward Durrell Stone furono incaricati di progettare espressamente per il museo un edificio, sempre in West 53% Street, Barr non era d'accordo con la scelta degli architetti e avrebbe preterito af- fidare un incarico cosi importante a un europeo scelto tra i iit innovatori, ma la volonta del consiglio di amministra- ione ebbe la meglio. Tutzo sommato, quello progestato da Goodwin e Stone non fu probabilmente né il primo né il pid New York 1930-1950 57 rivoluzionario degli edifici americani costruito secondo le norme dello Stile internazionale, ma risult6 senz’altro quel- lo di pit alto livello. Non si lodera mai abbastanza impresa di Barr: grazie al- la sua politica di acquisizioni, al suo programma espositivo ¢ alle pubblicazioni esemplari lo studio dell’arte contempora- nea divenne con lui un campo di ricerca di tutto rispetto. In- troducendo nell’ambito dell’arte moderna la precisione dello studioso e 'attenzione fino ad allora riservata soltanto ai gran- di maestri del passato, egli fu il primo a concepire una storia coerente dell’arte moderna, dettando Ia terminologia che ayrebbe dominatoil successive dibattito critico in matetia. Dai tempi di Denon ¢ Bode, nessun altro direttore di museo ave- va esercitato un’influenza altrettanto profonda. Quando Barr mori, nel 1981, Philip de Montebello (allora direttore del Me- tropolitan Museum of Artdi New York) disse cheluic Wilhelm Bode erano stati «nel xx secolo i direttori di museo pitt gran- di del mondo».*! Nonostante il successo, Barr era consapevole del dilemma inscritto nel cuore stesso della sua impresa, Che cosa sarebbe accaduto nel momento in cui parte della collezione fosse di- ventata “storica”? Lactitica mossa al MOMA da Gertrude Stein = si pus essere modemi oppure essere un museo, ma non en- trambe le cose contemporaneamente ~ vale ancora oggi pet tuttii musei di arte contemporanea, Negli ultimi anni della sua cartiera, Barr si impegnd a fondo per risolvere quell’implicita contraddizione. A.uso del consiglio d’amministrazione, epli aveva inventato per la collezione del museo immagine della torpedine: la te- sta é «il presente che incessantemente avanza; la coda, il pas- sato che perennemente si allontana».%¢ Nel 1932, Barr scrive- va che ala composizione della collezione & destinata a cambia- +e; rimarranno fermi i principi su cui essa @ costruita [...] Do- po essere rimaste per un certo tempo nella collezione perma- nente del MoMA, molte (...] opere troveranao il loro posto in C... altri musei».!” Gli amministratori concordarono con Inie fu addisittura presa in considerazione una norma in base alla 5B Museo, Storia di un’idea quale, trascorsi cinquant’anni dalla morte dell’ artista, le opere sarebbero state cedute.'* Si pensd seriamente di fare in modo che il MoMA “alimentasse” il Metropolitan Museum of Art. Questi propositi sono caratteristici dei primi anni del Mo- MA, quando i tivolo di opere del Novecento acquisite alla col- Jezione non si era ancora trasformato in un torrente di capola- vori. Alf inizio, il MOMA si era avvalso in ampia misura di pre~ stit, funzionando pid che altro come una Kunsthalle, con un programma di mostre costantemente rinnovate. La prima gran de spinta verso une collezione permanente venne nel 1934 con Parrivo del lascito di Lillie P. Bliss, Negli anni quaranta e cis quanta, la collezione del museo continué la sua rapida crescita e con il passare del tempo le dichiarazioni di costante rinnova- mento divennero puramente formali: sebbene i rifletori fosse- ro puntati sulla testa della torpedine, la coda continuava a cre- scere. [rariinterventidisfrondamento rimasero limitati alle nuo- veacquisizioni, mentrenon ebbe mailuogola programmata ces- sione in blocco delle opere divenute storiche. Un tardo esito di «questa politica fu le clausola inserita nel 1948 nel testamento di Abby Aldrich Rockefeller, che obbligava il MOMA a cedere, nel 1998, i disegni di Van Gogh e Seurat al Metropolitan Museum e all’Art Institute di Chicago. Di li a mezzo secolo — quest, il ragionamento — non sarebbero pitt stati “moderni” 2° Nel corso degli anni, si tornd periodicamente a parlare del- Peventualiti di collaborare con altri musei di New York, ma Vorgoglio legato alla proprieti, per non dire dei sentimenti e dei desideri espressi dai donatori, resero sempre piit difficile modificare le cose. Ne! 1948, il Metropolitan Museum of Art, il Whitney Museum ¢ il MoMA sottoscrissero un patto” Al- Ja base vi era Idea che i tre musei dovessero ripartirsi le aree dicompetenza per evitare sovsapposizioni nei programmiespo sitivi enelle politiche di acquisizione. Tuttavia, gelosie profes sfonali e paranoia fecero si che l'accordo spirasse senza risul- tati di riliev Negli anni sessanta Pidea rivoluzionaria di Barr ~ quella di tun museo in costante rinnovamento ~ era stata soppiantata dal concetto di un MOMA divenuto /a collezione che documenta ‘Netw York 1930-1950 59 Yaite modema. La rivendicazione non era infondata: le colle- zioni esposte nella nuova sede non avevano rivali e compren- devano un tale numero di capolavori che nessun museo pote- ‘ya competere con il MOMA per la gamma pressoché enciclo- pedica ¢ la qualita delle opere. Nonostante l'imporcanza sempre maggiore del patrimonio di opere storiche, il musco rimase decisamente orientato ver- so l'arte contemporanea ¢ contribui in modo rilevante all'af- fermazione dell’espressionismo astratto, primo grande movi- mento del dopoguersa che segnala l'affermarsi sulla scena in- temazionale di un’arte autenticamente americana. L’espressio- nismo astratto ben si accordava con la concezione di Barr, se- condo cui arte veramente modema era Perede nararale del surrealismo: per il museo fu pertanto relativamente semplice inscrivere il nuovo movimento nel canone chesiera dato. I pro- blemi concettualiebbero inizio peril MOMA soltanto dopo le- spressionismo astratto. Né la pop art né il minimalismo erano in sintonia con le idee-guida fissate da Barr ¢, sebbene il mu- sco sisforzasse valorosamente di stare al passo con il nuovo che avanzava, il suo cuore batteva altrove. Verso la fine degli anni cinquanta, listituaione rivoluziona- ria che Barr aveva progettato negli anni tzenta era diventata a sua volta parte di un sistema, frenata dalla sua stessa storia © dal peso della coda via via pit imponente della torpedine. Il MoMA era fatto segno di attacchi sempre piti numerosi da par- te di una generazione pitt giovane di artist e di critic, ai cui cocchi il museo appariva un serioso baluardo WASP: conserva tore nell atteggiamento, nel programma ¢ nelle prospettive. Sebbene fosse nata a un passo dal MOMA, la pop art combat- teva in Europe le sue battaglie con le istituzioni e le critica e, ancora oggi, nelle collezioni del museo questo movimento i novatore @ rappresentato da opere di media importanza. Il mi- nimalismo, l'arte concettuale, quella degli anni ortanta e no- vanta sono rappresentati in modo ancora pitt distratto, e forse non poteva essere altrimenti, Naturalmente, era pitt facile va- lutare quanto avveniva su un altro continente, a una distanza che consentiva, oltre a un salutare distacco, anche di genera- 60 Museo. Storia di un'idea lizzare di fronte a eventi spesso complessi senza tischiate di es- sere accusati di superficialita, partigianeria o imprecisione. Mancando una prospettiva intercontinentale in campo lungo ea causa della visione spudoratamente eurocentrica di Barr? il museo si trovd impreparato ad affrontare la complessa guer- 1a che si era scatenata nell’ambito della critica, nonché gli in- candescenti dibattiti che accompagnarono l'ascesa dell'arte americana dopo l'espressionismo astratto. (Quando il Museum of Modern Art fu fondato, nel 1929, pet la maggior parte dei visitatori i termini “moderno” e “con- temporaneo” erano di fatto sinonimi. Poco per voltail signifi- cato dei due termini prese a differenziarsi, via via che la “co- meta” di Barr andava appesantendosi nella coda. Analoga- mente, dalla fine degli anni sessanta in poi, “contemporaneo” e “postmodemo” divennero pressoché sinonimi, e il MOMA rimase ai mazgini proprio nel momento in cui prendeva avvio un capitolo completamente nuovo dell’artee della cultura con- temporanee> Quali che fossero le ragioni, negli anni settanta — lo stesso Barr aveva lasciato il suo incarico nel 1967, dopo trentotto an- ni di infaticabile impegno — il ruolo del museo quale arbitro supremo dell’arte moderna e contemporanea era messo dra- sticamente in questione. Fino ad allora, tuttavia, il Museum of Modem Art aveva regnato sovrano, modello ammirato e ca- pace di dettar legge a curatori e musei di tutto il mondo occi- dentale. Europa 1945-1970 La Seconda guerra mondiale non ebbe quasi conseguenze per imusei americani. Dopo il bombardamento di Pearl Harbour, 117 dicembre 1941, vi fu una breve minaccia di attacchi aerei giapponesi sulle citta della costa orientale, ci musei di Boston, Washington e New York si predisposero in fretta a mettere in salvo le collezioni. Nel febbraio 1942, il Metropolitan Musearn of Art di New York diede inizio alle operazioni di sgombero, tenendo perd in vita un programma di esposizioni speciali, tra cui “The art of Rembrandt”, “The art of advertising” e~scel- tadovuta - “Artists for victory” mostra di arte americana con- temporanea. La collezione di modelli in gesto, relegata nei de- posit fin dagli anni trenea, fu rispolverata eriallestita, Ma nes- suna bomba nemica colpi il suolo degli Stati Uniti e i mused americani sopravvissero alla guerra conservando intatti edifiet e collezioni In realta, negli anni successivi al 1945 i musei statunitensi beneficiarono per certi versi della guerra: siuscivano infatti a ottenere prestiti della massima importanza dai curatori dei mu- sei europei bombardati e devastati dalla guerra, i quali si di- chiaravano pia che felici di mandare i loro gioielli alle isttu- zioni americane, ben protette e climatizzate. Obbedendo a fi- nalita politiche pia che a una scelta dei curatori, nel 1948 ap- prodd a Washington la mostra “Paintings from the Berlin mu- seum” ricca di 202 opere, vale a dire il fior fiore della colle- 62 Museo. Stora di un'idea zione del Kaiser Friedrich-Museum nonché, probabilmente, la pitt grande raccolta di capolavori europei che sia mai sbarcata negli Stati Uniti.' Dopo Washington, la mostra fu ospitata in altre venti sedi ¢ visitata da oltre dieci milioni di persone. In quello stesso anno, il Metropolitan Museum di New York al: esti una gigantesca retrospettiva di Van Gogh, Negli anni del dopoguerra, era invalso l’uso di faz leva sul- Parte per ingraziarsi i politici americani, BasterA ricordare la decisione presa da André Malraux ~ e molto contestata — di mandarela Giocondaa Washington ea New York (1962-1963); né sarebbe difficile ricostruire le trame della Guerra fredda semplicemente documentando la comparsa o (all'ultimo mi- nnuto) la non comparsa nelle mostre occidentali di quadri im- pressionisti ¢ postimpressionisti di proprieta sovietica. Mentre molte collezioni in Europa rimesero senza un tetto fin oltre la meta degli anni sessanta ei musei sopravvissuti era- ro spesso pressoché impraticabili, trail 1950 e il 1954 il Me- tropolitan Museum of Art di New York restaurd novantaci gue sale per Ia somma ~ allora sbalorditiva ~ di 9,6 milioni di dollari La situazione europea era radicalmente diversa. Non viera quasi museo che non avesse subito danni, e anche dopo la fi- ne delle ostliti le condizioni rimasero spesso quanto mai pre- carie per anni, se non per decenni. Vari edifici erano stati rasi al suolo e molte collezioni risultavano distrutte o gravemente danneggiate, oppure erano semplicemente scomparse nell'in- furiare della battaglia. La guerra aveva dimostrato fino a che punto i musei fosse- +o esposti alla distruzione sia Fisica sla politica. Thttavia, que- sta facilita a cader preda di prevaricazioni ideologiche e poli- tiche non scatend alcun istinto di protezione: se mai, indusse maggior consapevolezza del fatto che direttori e curatori do- vevano rammaricarsi di essere stat fin troppo disponibilia col- laborare con il potere, E forse questo uno dei motivi per cui dopo la Seconda guerra mondiale i musei europei furono ab- bandonati a se stessi, e molti ~ sia ira i politici sia tra il pub- blico ~ li considezarono logori baluardi di espirazioni ¢ valori Europa 1945-1970 63 mai compromessi, accusandoli di opportunismo po- manere chiusinel passato. 1La sensazione che il museo fosse simbolo di una concezio- ne ottocentesca ormai fuori del tempo era rafforzata dalle con- dizioni in cui versavano i grandi musei europei, che appariva. no senza eccezione pieni di problemi, in disordine, trascurat. Ancora nel 1960 Sir Mortimer Wheeler cosi descriveva il Bri- tish Museum: «(...] oggeiti disposti in ranghi compatti al pari dijun trasandato reggimento che sfila in parata; molti sono sen- za didascalia o fuori contesto, polverosi e palesemente poco amatin.? David Wilson scriveva che «nel corso degli anni, mo- delli espositivi diversi {e] il modificarsi del gusto hanno avuto come conseguenza orribili pastrocchi [...] le didascalie erano sibilline. Soltanto in una o due occasioni importanti, nelle mo- stre furono installati pannelli informativi (...]. Il British Mu- seum era un cao»? Lo stesso si sarebbe potuto dire di qual- siasi analoga istituzione europea Scarseggiavano i finanziamenti — o il pubblico interesse — a combatiere un’impressione tanto negativa. Politica economia erano incentratesualloggi, interventisociali,istru- zionee infrastrutture, mentre imusei occupavano gliultimi po- sti nell’elenco delle priorit8. Si era creato un circolo vizioso, per cui il ritardo nell’affrontare il disastroso panorama musea- Je quando in altri settori la ricostruzione procedeva a pieno ritmo —non faceva che rafforzare limpressione negativa. Fino agli anni sessanta e settanta non si trovarono fondi per ripristinare e risanare attrezzature e servizi, ein Europa orien- tale occorsero tempi ancora pid lunghi per mettere in opera i restauri essenziali. Fino agli anni oftanta, la Museumsinsel ri- mase in uno stato di semizbbandono, con i pochi edifici anco- , 1a praticabili rabberciati alla bell’e meglio. Le sale interne era- no fredde e sporche, la luce fioca, gli allestimenti squallidi ¢ » banali; dappertutto, odore di polvere, di cera e di cibo stantio } da mensa aziendale, Anche in Occidente il processo di rinnovamento fu spesso lento ¢ difficoltoso. Soltanto nel 1962, per esempio, il British Museum riapri le Duveen Galleries, gravemente danneggiate 64 Museo. Stora di wn'idea dai bombardamenti, mentre nel 1980 una parte del museo era ancora coperta da un tetto di fortuna, messo prowvisoriamen- te in opera nel dopoguerra. Imusei tedeschi erano sicuramente i pit colpiti. Tutti gran- di centri urbani avevano subito i terribili raid aerei anglo-ame- ricani e la grande maggioranza degli edifici museali era stata pesantemente danneggiata o completamente distrutta. Come negli altri paesi europei, il processo di ricostruzione fu di una lentezza esasperante, esi dovette aspettare tredici an- ni per veder sorgere il primo nuovo museo: il Wallraf-Richartz ‘Museum, a Colonia, che apr al pubblico nel 1958." Ledificio era gia di per sé una dichiarazione d’intenti politi- ca, Alieno da qualsiasi monumentaliti, era addiritrura modesto e ricordava pit la sede di una cassa di risparmio che un‘impor- tante isticuzione culturale. Owviamente, si voleva evitare a tutti icosti immagine tradizionale del musco quale segno di supe- riorit culturale o di dominio politico, e fin oltre la meta degli anni settanta i progetti museali in Germania seguirono da vici no il modello sottotono di Colonia. In quasi tutte le citta della Germania (occidentale) troviamo esempi di edifici museali pro- gettati in cemento armato con vetraté, secondo i dettami del pitt annacquato Stile internazionale. La parete di vetro era diven- tata un importante espedientearchitettonico per segnalare aper- tura, trasparenza e dichiarare che all’interno non vi era nulla di nascosto, che non vierano acculte mire ideologiche o politiche. Persino nel settore orientale il problema si impose all'attenzio- ne, anche se con qualche ritardo, ¢ nel 1982 il Pergamon Mu- seum fu prowvisto di un salone d’ingresso in vetro ¢ acciaio, con tun risultato architettonico quanto mai scialbo. ‘Lamodestia ea monotonia dell’architettura segnalano chia- ramente il desiderio di uniformarsi e di fare ammenda, Il pe- tiodo postbellico fu un'epoca di architettura museale invisi Ie Tl primo edificio museale monumentale © non apologetico nella Germania del dopoguerra fu la Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe, costruita a Berlino-Tiergarten (1963-1967). Lasevera monumentaliti moderna e la divisione tra la parte al- ta (ingresso) el seminterrato si richiamano al classicismo del- Europa 1945-1970 65 Y’Alte Nationalgalerie di Schinkel sulla Museumsinsel. E, an- che in questo caso, Pamplissimo salone d’ingresso dal quale si scende nelle sale del seminterrato riecheggia il tema della tra sparenza di cui si detto poc'anzi. Tuttavia, il progetto di Mies vvan der Rohe non significava tanto una fiducia riconquistata al museo quanto un immagine importante, senon addirittura cen trale, nella guerra di propaganda che si andava intensificando sulla citta da poco divisa. Fa, questa, l’unica eccezione importante: altrimenti, tutti sli edifici museali del dopoguerra si caratterizzano per il con- sapevole capovolgimento del classicismo e della monumen- talita del passato, ormai irricuperabili dopo !’abuso che ne era stato fatto da pazte di fascisti stalinisti, Nello stesso tem- po, molti nuovi edifici rappresentarono un cauto tentativo di riabilitare la tradizione moderna, spezzata da dodici anni di governo nazista. Fino a quando non furono costruite la Neue Pinakothek di Monaco (1976-1981) e la Staatsgalerie di Stirling a Stoccarda (1979-1983), i nuovi edifici museali della Germania non por- tarono riferimenti storicizzanti, e anche nei due casi citati il ri- torno a un linguaggio architettonico pit classicistico e autore- vole fu reso possibile soltanto peril tramite dell'ironia racchiusa nel pastiche postmoderno. Nel leggere le relazioni annuali dei musei a partire dagli an- ni sessanta, si avverte con chiarezza il senso di perdita dell’o- rientamento, quasi a in¢ he l'istituzione era stata lascia- ta ai margini ¢ svolgeva do piano nella rio ganizzazione della societa postbellica. Niente poteva essere pit Jontano dall’indiscussa supremazia di cui i musei avevano go- duto nel passato, eee Forse mai come nej.decenni del dopoguerra, l'immagina- zione pubblica aveva cos strettamente associato il museo alli- dea della forre Favorio, vivendolo come tin luogo del passato. Eppare, sia dentro sia fuori le mura dei musei si parlava ben poco della necessita di una riforma. All'esterno, perché si ave- va l'impressione che il museo fosse ormai al di la di ogni pos- sibile riforma e che avesse comunque scarsa rilevanza nel ben 66 Museo. Storia di un’idea pid ampio quadro del dopoguerta. Chi lavorava all’interno era invece troppo occupato a riparare le perdite e i danni provo- cati dalla guerra, Negli anni cinquanta e sessanta, le battaglie culturali per- cepite come davvero impostanti non si combattevano nei mu sei ma in Iuoghi ¢’impatto pit: immediato, per esempio nelle universiti. Dopo la guerra, furono il teatro, la Jetteratura e la musica aesercitare un grande richiamo, non Varte, Il futuro ap- paiva desolante: il museo ere fenuto sempre pit a matin del discorso culturale: un’istituzione sorpassata e ideologicamen- te sospetta, Chi avesse preconizzato che dil a vent’anni la sor- te del museo sazebbe radicalmente cambiata, avrebbe raccol- to Soltanto irrisione. Parigi 1970-1980 “Tre fattori produssero enormi cambiamenti nei musei di tutta Europa. La ricostruzione e la ripresa economia avevano or- ‘mai fatto il loro corso e nei primi anni settanta, in Occidente, potevano dirsi concluse. Nel pravedere alle necessiti del do- poguerra, si era data la precedenza a infrastrutture, alloggi, istruzione e arti dello spettacolo: musica, opera, teatro. Ades- so per la prima volta era finalmente disponibile anche qualche soldo da destinare ai poveri musci. I secondo fattore fu costituito, negli anni settanta, dall’en- trata in scena del turismo di massa e contemporaneamente del- la cultura del tempo libero. Intorno al 1958, i progressi regi- strati dagli aerei a reazione avevano consentito di introdurre i transatlantici di linea, Durante gli anni sessanta, il nu- mero complessivo dei passeggeri era triplicato, eppure si era ancora ben lontani dalla rivoluzione che si sarebbe prodotta, nel 1970, con l’arrivo del corpulento Boeing 747, I’aereo che inaugura l@ra del viaggio di massa a basso costo, Raramente ci si sofferma a considerare la transizione del viaggio da passa- tempo elitario di lusso a svago a basso costo per le masse: ep- pure, si trova forse qui la spiegazione dell’incanto e del fasci- no che il viaggio continua a esercitare, sebbene la cealti di og- ginon conservi quasi traccia dell'esperienza del passato. ‘Tattavia, pid che dalla disponibilita di fondi e dall’avvento del turismo di massa, il destino del museo 2 stato profonda- 68 Museo. Stora di n’idea mente modificato dalle trasformazioni culturali degli anni ses- santa, culminate negli avvenimenti del 1968. Non questa la sedein cui analizzare in profondit’ gli straordinari avvenimenti di quel dieci anni, ma non é eccessivo definirli un vero ¢ pro- prio spartiacque culturale.” Il Sessantotto ha avuto il suo epicentro nelle universita dell’Europa occidentale ¢ del Nordamerica, ma le ripercus- sioni hanno interessato il mondo intero. Gli eventi seguiro- no troppi binari diversi per provocare direttamente un cam- biamento politico, ma i risultati indiretti furono notevoli sono ormai imprescindibili per qualsiasi discorso politico ¢ sociale, Il potere in tutte le sue manifestazioni, visibili o in- visibili, normative o istituzionali, divenne oggetto di una profonda analisi,e le sue motivazioni e intenzioni furono po- ste sotto la lente d’ingrandimento come mai era avventito pri- ma. Nessun ambito - dalla politica all'istruzione, dalla so: cieta in senso lato alle strutture familiari di base ~ sfugei a un’indagine penetrante—eimusei non fecero eccezione. Sim- boli di autorita culturale e di potere normativo, nel dopo- sguerraessi avevano comunque eluso qualsiasi tiforma ed era- no considerati anacronistici e superati: rifugi riservati alla classe media, per i quali era ormai scacuto il tempo di un sveglio alla grande. ‘Al centro delle critiche mosse al museo nel 1968 vieralaque- stione della sua credibilita. Nel 1904 D, Murray aveva dato una definizione di museo apparentemente inoffensiva: «tina colle- ione di antichita o di altri oggetti che interessano lo studioso ‘oPuomo discienza, analizzatied esposti secondo metodi scien- tific? Tale definizione, a lango accolta senza obiezioni, pone- va invece, nel nuovo clima, pitt interrogativi di quanti ne scio- aliesse. Alla luce del post-sessantotto, la definizione di Mursay assumeva un significato quasi minaccioso, evocando in molti os- servatori idea di un'implicita trama cospirativa di vaste pro- porzioni. La questione dell accessibilita e dell'obiettivia era sempre apparsa fondamentale ~ non per nulla era stata posta perla prima volta durante la Rivoluzione francese -, ma ora co- stituiva il problema centrale. Parigi 1970-1980 69 Alsservizio di chi si poneva precisamente il musco? E i cu- ratori, su quale base predisponevano e mettevano in atto le lo- ro scelte? Chi decideva quale storia raccontare? Le storie non raccontate diventarono improvvisamente altrettanto (se non pia) interessanti di quelle raecontate, Quali oggetti entravano nel museo e quali ne erano esclusi? In base a quale autorita si decideva di quelle sceltee di quelle amissioni? Laffermazione di autonomiz dei curatori, data per implicita fino ad allora, adesso veniva considerata con molta diffidenzs. Il risultato fu che entro pochi anni si affermarono nuove convenzioni mu- seologiche: non ci si accontentava piti di presentare ai visita- tori i risultati final, ma si rendeva pubblico L'intero proceso che aveva portato a quelle decisioni, ponendolo in discussione e facendone parte integrante della pratica museale, In conse- guenza ditale decostruzione, il musco prese effettivamente co- scienza di sé, divenendo consapevole dei poteri e dei limiti di cui é portatore: e, questo, non pit soltanto di passaggio 0 per caso, ma in modo permanente e deliberato. Daallora in poi, la riflessione sulla natura del museo ¢ isuoi implicii presuppostié diventata elemento integrante della pra- tica museale quotidiana. Listituzione ha perduto una parte del- Japassata autorevolezza e della sua immagine infallibile, ma per Jo stesso motivo é divenuta pit trasparente, pit affidabile ¢, in definitiva, molto pitt democratica. Lironia delle storia ha voluto che fosse un politico con- servatore di ispirazione gollista il primo a tradurre in realta le conseguenze ¢ il grande potenziale impliciti in tutto que- sto. Quando divenne presidente, nel 1969, Georges Pomp dou era, al pari del suo partito e di tutta la classe politica, profondamente scosso dagli avvenimenti dell’anno appena trascorso, quando gli studenti erano stati a un passo dall’ab- bactere lo Stato. Pompidou era impaziente di imbrigliare par- te di quell’energia anarchica per fonderla in uno stampo isti- tuzionale, Senza perdere tempo, annuncié la sua idea di un centro culturale da costruire in un’area degradata del centro di Parigi. Importa sottolineare che questa fu un’idea del presidente 70 Museo. Storia di un idea enon Vinvenzione di qualche funzionario del ministero del- ja Cultura, Di fatto, Pompidou evitd accuratamente i tradi- zionali canali politico-istituzionali e, con grande irritazione 4i Edmond Michelet (nuovo ministro della Cultura), cred ‘on'agenzia governativa indipendente, con il compito esclusi- Yo di occuparsi del nuovo progetto e di riferirne direttamen- te al presidente. ‘Ne! luglio 1970, fu indetto un concorso peril progetto ar- chitettonico: lo avrebbe vinto un gruppo anglo-italiano, allora sconosciuto, capeggiato da Renzo Piano e Richard Rogers. Tl inguaggio usato nelle indicazioni progettuali rivolte agli architetti ricorda singolarmente lo spiito delle parole, vec- thie di mezzo secolo, con cui Barr aveva presentato il museo quale «laboratorio, ai cui esperimenti il pubblico & invitaro a parteciparen, II novo centro voluto da Pompidou non sa- Febbe stato suddiviso in sezioni, al modo del Museum of Mo- een Art, poiché 'intento era di creare un complesso auten- ticamente interdisciplinace. Si diede il massimo risalto allo ito democratico e sperimentale del luogo. Uno dei requi- iti prioritari era la faclita del’accesso, senza impediment: “al pedone a livello della strada non deve essere costretto s Girigersi [..1 verso un particolare ingresso» poiché «il pub- blico pots’ entrare da ogni lato»; «il visitatore deve provare latentazione diandare dappertutton. Laseparazionetraquan- ti intendono visitare le esposizioni ¢ quanti si ditigono verso Ja biblioteca deve venir meno, poiché se «questi due gruppi doversero timanere separati, V'cffetto desiderato andrebbe perdutom. «Ogni cosa € basata [,..] sull’agio e la liberta con a il visitatore partecipa alle iniziative offerte dal Centro, ¢ Sul modo in cui lo stesso visitatore @ costantemente attratto dalle une o dalle altren, Flessibilita e adattabilitA sono ele~ menti centrali: «le arce segnalate (nelle indicazioni proget- tuali] sono state giudicate sufficienti per consentire il pieno volgimento di tutte le atcivith previste attualmente, Non & programmato alcan ampliamento delledificio, in quanto le Pollezioni saranno periodicamente rinnovate faltra idea di Bars] [J allinterno del Centro deve regnare la massima fles- Parigi 1970-1980 71 sibilita [..] & necessario tenere in particolare considerazione sorgere di nuove esigenze».? Nel presentareill progetto, Rogers iprende quel discorso di movimento e apertura, ampliandolo ed evocando un uogo de- dicato all’informazione e all intrattenimento vivo» - «un in- crocio fra una Times Square dell’informazionee il British Mu- seum ~ per invocare infine una «pitt limpida» definizione di cultura! Una simile concezione dilatava lo spazio del musco per coinvolgere un pubblico del tutto nuovo, quello che fino ad allora non aveva mostrato alcaninterese per isttuzione e Taveva rifiutata in quanto retriva ¢ di nessuna rilevanza per la vita moderna. Leinnovazioniarchitettoniche di Piano e Rogers furo tenziate dalle sceltealtrettanto tholuionaie del curator Nel primi dieci anni di vita, il Centre Pompidou, diretto da Pon- tus Hulten, organizzd una serie di esposizioni Pimportanza epocale, che sembravano sfidare la narrazione lineare, mono- direzionale di cu era stato modello il MoMA. Mostre quali ‘Paris-New York” (1977), “Paris-Berlin” (1978), “Paris-Mo- scou” (1980) e “Paris-Paris” (1983), nonché “Les réalismes” (1980) e “Vienne: apocalypse joyeuse 1880-1938” (1986) por- tarono ala luce una storia in cui il moderno appariva molto pit complesso, anarchico e volatile di quanto avesse mai voluto ri- conoscere l'estetismo apolitico ispirato al MOMA, dove l'ac- cento era insistentemente posto su una lettura dell’arte rigo- rosamente formale e autobiografica. Le mostre del Pompidou sgombrarono il campo da quell orientamento isolazionista, dando invece grande rilievo al dialogo paneuropeo e ai pro- cessi incrociati di “fecondazione” interdisciplinare, che di fat- to potevano essere identifica soltanto prestando la dovute at texzione agli svveniment sociali e politic. esempio del Centre Pompidou ha esezcitato degli storci dellarte e dei curator vafinfuenas wine ooe dente: noa soltanto dando spazio nelle singole istituzion a una pi ampia gamma di letture delle collezioni, ma in definitiva consentendo a concezioni diverse della storia dell'arte di coe- sistere nei diversi musei. Se negli anni cinquante e sessanta la 72 Museo. Storia di un'idea norma era stata di clonare il MoMA, adesso i musei potevano dispiegace uno stile proprio e identita proprie riguardo all'o- rizzonte delle collezioni, al punto di vista interpretativo e alle tecniche alestitive. Quanto alla funzionalica architettonica, il successo del Pom- pidou ha mostrato qualche crepa. Liedificio di Piano ¢ Rogers, sebbene sia impregnato di ironia ¢ abbia regalato a Parigi un nuovo punto di riferimento, non si @ rivelato altrettanto vin- cente per quanto riguarda l'esposizione delle opere d’arte; in questo ha seguito i destino del Guggenheim Museum di Frank Lloyd Wright, « New York, e della Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe, a Berlino. La configurazione a pianta aperta con pareti mobili tem- poranee rendeva di fatto impossibile esporre in modo sodd sfacente dipinti e sculture, Parte del problema era da ascri- vereallo straordinario successo tributato dal pubblico al nuo- vo museo. Fin dall’inizio, il numero delle presenze aveva in- fatti superato del doppio le previsioni pit ottimistiche, tanto che Pedificio ricordava spesso pitt un aeroporto affollato che tun museo. Il ivello di rumore e il sovraffollamento rendeva- no impossibile concentrarsi nel dovuto modo sulle singole opere d’arte. 11 fabbricato del Centre Pompidou prevedeva alti costi di manutenzione, tuttavia quegli eserciti di visitatori ne dete- riorarono velocemente Ia struttura, che assunse un aspetto trasandato e consunto. Gli interventi di restauro € conserva- tivi si trasformarono in una perenne fatica di Sisifo. Nel 1985- 1986, otto anni soltanto dopo I’apertura, il Centre Pompidou fu sottoposto a una massiccia revisione strutturale, ¢ all’ar- chitetta italiana Gae Aulenti fu affidato il compito di proget- tare sale espositive pit tradizionali “solide” da “infilare” ne- gli spazi a pianta aperta. Tutto sommato si trattava di una mi- slioria, eppure ci si domandd se le modifiche introdotte dal- Ia Aulenti non fossero in contraddizione con lo spirito stesso del centro. Nonostante il nuovo orientamento di cui era stato foriero, il Centre Pompidou rappresentava il canto del cigno del vec- Pari 1970-1980 73 chio ordine. II progetto architettonico apparteneva alla tarda modemiti e la sua concezione riprendeva le idee romantiche del moderno, per la prima volta fatte proprie da Barr verso la fine degli anni venti: prospettive e intenti erano smaccatamen- te utopistici” I! Pompidou @ stato un tentativo globale di ve- nire a patti con la nascente cultura postmoderna, ma usando gli strumenti della moderniti Mantenere il ritma imposto da Hulten durante i primi an- ni sisultd impossibile ai curatori e ai responsabili della ma- nutenzione, che non riuscivano a stare al passo. Ledificio fu presto vittima del suo stesso sucesso ¢ fu letteralmente con- sumato dalle masse dei visitatori. II Centre Pompiduou ri chiedeva giganteschi costi di gestione e di manutenzione ma, non appena l'aura di novita si fu appannata, a poco 2 poco il governo ridusse i finanziamenti, specie dopo il 1981 con la nuova presidenza di Mitterrand, che rivolse la sua attenzio- ne al Louvre. Dopo le dimissioni di Hulten, il Centre Pompidou diede spesso Pimpressione di non avere pid una direzione, né man- carono di tanto in tanto rivalita interne tra curatori e ammini- stratori, La nomina di Dominic Bozo quale nuovo direttore sembré annunciare una rinascita, ma la sua motte precoce nel 1993 rappresentd un duro colpo. ‘Alpari del MoMA, il Centre Pompidou ha rinunciatoamol- titra gli obiettivi pid rivoluzionari formulati nei primi anni, sta- bilizzandosi al servizio di un pubblico multiforme in perenne crescita, con competenzae professionalitima raramenteinmo- do veramente ispirato. Lawento de! postmoderno ha modificato nel profondo la posizione del museo. E impossibile definire i] postmoderno se non in riferimen- toalmoderno, del quale costituisce il rovescio, eil termine stes- so denuncia il rapporto di dipendenza. II museo & peraltro ine- stricabilmente legato agli ideali ¢ alle aspirazioni della moder- ita. Quest’ultima, dal canto suo, sembra essere stata prede- stinata fin dallinizio al museo, poiché ne condivide la pro- pensione per la gerarchia, la cronologia, l'ordine e la classifi- 74 Museo. Stora di un'idea cazione normativa, mentre il postmoderno & per definizione antigerarchicoeanticronologico,contrarioall ordineealla clas- sificazione. Tl postmoclemo & tutto cid che il modemo ~ e, per esten- sione il museo — non &, ¢ questo confitto appare oggi al cen- tro del discorso sul museo. Il postmoderno &il cavallo di Troia sulla soglia del museo: nella seconda parte del libro raccon- terd in che modo diverse istituzioni hanno reagito alla sfida, in che migura tutto questo ha inciso sulla configurazione mu- scale e come si modificata di conseguenza I'interpretazione del museo. Seconda parte Dopo il Centre Pompidou Vaoi che proviamo a scrivere una storia? Non domando di meglio! Ma quale? Qual in effeti? Gustave Fiauenr, Bouvard e Pécuchet! Fino alla nascita del Centre Pompidou la storia del concetto di museo & stata lineare: é infatti possibile ricostruime l’evoluzio- ne mettendo a fuoco una sequenza di singole istituzioni che in periodi diversi hanno assunto il ruolo di guida, rielaborando quell'idea ¢ partecipando, cosi, a una sorta di corsa museologi- caa staffetta, La narrazione prende le mosse da Parigi, nell ul- timo decennio del xvur secolo; verso Ia Fine del x0% si sposta a Londra, quindi a Berlino all’inizio del xx secolo, per approda- re in America nel 1929, con Ja nascita del Museum of Modern Art, e ritornare infine a Parigi negli anni settanta del Novecen- to. In alternativa, la stessa storia potrebbe essere raccontata at- traverso le figure dei curator, i pili carismatici dei quali sono Dominique-Vivant Denon, Wilhelm Bode e Alfred H. Barr; op- pure, quanto meno a partire dallinizio dell’Ottocento, descri vendo una serie di edifici museali progettati dagli architeti pid prestigiosi del momento, Sebbene questa sia un'esposizionemol- to semplicistica di un processo composito, al quale non sono mancate numerose deviazioni nazionali e locali, @ comunque possibile iscrivere in questa trama la gran parte delle istituzioni. Purtroppo, non é altrettanto facile riassumere quanto @ av- vento dopo il Centre Pompidou. Il grandissimo numero di musei nati dopo di allora, fondati su concezioni diverse ¢ spes- so contraddittoric, rende praticamente impossibile proporre generalizeazioni si 78. Museo. Stora di un'idea Il Pompidou & stato il primo museo ad adottare prospetti- ve multiple per i propri contenuti, con un'inversione di rotta rispetto al Museum of Modern Art che, invece, ha sempre ti- gorosamente privilegiato la narrazione monolineare: non sol- tanto il Pompidou ha cosi aperto la strada ad altre istituzioni, ma ha altresi legittimato i musei a differenziarsi in modo so- stanziale gli uni dagli altri. Dopo decenni di uniformita al se- guito del MoMA, idea che un'istituzione potesse avere una sua identit’, particolare ma non parrocchiale, ha segnato una svolta clamorosa. Questo cambiamento fondamentale & stato sollecitato non soltanto dagli avvenimenti culturali -avvento del postmodemo =, ma anche dalla consapevolezza che oggi il pubblico dei muse! viaggia dappertutto ~ quasi la meta det v Sitatori vengono spesso da fuori ~ e che pertanto collezioni identiche in luoghi diversi non esercitano pi alcuna attratti- va. Lidea che si possa attraversare mezzo mondo soltanto per vedere quello che é possibile vedere anche a casa propria sem- bra non avere pit alcun senso. ‘Osai, dunque, al posto di alcune specifiche istituzioni che “indicano la via”, vi sono numerosi musei che hanno elabora- to una propria risposta a particolari condizioni culturali, na- zionali, politiche ed economiche. Con cid non intendo dire che non esista pit alcun terreno comune tra le varie istituzioni. Molti problemi che oggi tor- mentano direttori e curatori sono di fatto condivisi dalla mag- gior parte dei musei. Mai come oggi si é consapevoli del pub- blico a cui ci si sivolge e delle sue molteplici esigenze. Come mai era avwenuto prima, gli operatori museali sono alle pre- se con questioni attinenti I'architettura e la metodologia alle- stitiva; il fatto che i politici abbiano ricominciato a mettere le briglie ai musei per finalita che sono a essi estranee & inquie- tante; i conflitei sempre pit aspri in materia di finanziamenti statali e privati hanno acuito Ja consapevolezza dei musei ri- guardo alla propria autonomia; nelle istituzioni dedicate al- Parte contemporanea, il rapporto con gli artistie le loro com- plesse esigenze & ormai diventato parte essenziale del discor- so. Infine, il processo di autoanalisi e autocritica avviato ne- Dope il Cenire Pompidou 79 ali anni sessanta & divenuto parte integrante della pratica dei curatori. Sebbene questi problemi e questi temi siano identici nella maggior parte delle istituzioni, le risposte ¢ le pratiche museo- logiche che ne discendono sono sorprendentemente diverse. Nelle pagine che seguono mi propongo, non gia ci registrare esaurientemente P'intera gamma delle soluzioni, bensi di pre- sentare almeno un panorama della stupefacente varieta diorien- tamenti—una varieta che é diventata la caratteristica principa- Je dell'universo museale odiemno. La “scoperta” del pubblico Inseguitoaimutamenti cultural e demografiiin direzionedel postinademno e di una societA postindustriale del tempo libe- roe cambiata anche la percezione che il pubblico ha del mu- seo; Iuogo destinato non soltanto all’ apprendimento ma so- prattutto al diversimento, orientato non soltanto ale gees € allesposizione, ma molto pid attento al pubblico all'interno srospettiva di servizio. : : Tmase, Efe Un tempo si autodefinivano depositi autorevo- lied elitari di modelli culturali da presentare al pubblico sen- za ulterior’ interrogazioni né spiegazioni, hanno cominciato a considerare sempre di pit le proprie collezioni permanenti ¢ Te mostre temporanee come un invito ad aprite il dialogo tra caratore e visitatore. In certo modo, negli ultimi vent anni i musei si sono effertivamente e concretamente molto avvicina ti alla visione di Barr, che aveva individuato in questa istitu- ione un leboratorio nel quale il visitatore sarebbe stato parte iva fae aa i musel non tengono pitt nascosta la mano del cura tore per presentare soltanto il prodosto finale, ma rendono sea sparente Mintero pracesso decisionale che ha preceduto qu tromento; oggi essi dicono “Cosi noi vediamo le cose (¢ voi sie- teautorizzatia non essere d’accordo, ed & possibile che abbia- te effettivamente ragione)” anziché “cosi é”. Tmusel sono ra- ‘icalmente cambiati e sono diventati democratici in modi che La"soperta’ del pubblico 81 vanno ben al di [a della norma del libero accesso. In questo processo, 'apertura 2 avvenuta in tutte le possibili direzioni verso nuovi settori di pubblico, che fino ad anni recenti non si erano mai sentiti a proprio agio nel museo; verso 'arve e gli ar- tisti, che non vi erano rappresentati o che erano stati giudicati estranei all’orizzonte istituzionale; infine, verso voci nuove di curatori, che nella dominante narrazione monodirezionale del passato non avevano trovato ascolto. Questo percorso ha trat- to forza anche da cambiamenti analoghi avvenuti nella sfera politica ed economica. Sei musci americani avevano sempre fatto affidamento sul- la propria capaciti di raccogliere fondi, durante gli anni di Rea- gan anche quel poco che ricevevano dallo Stato @ scomparso del tutto.! In Europa, l'ondata neoconservatrice ha avuto sul- le istituzioni culturali un impatto ancora pitt traumatico. Il di- ritto al finanziamento pubblico, occasionalmente integrato da singole donazioni filantropiche, non era mai stato messo in que- stione ed era dato per acquisito. All’improvviso, i padroni po- litici hanno intimato alle istituzioni di dare un taglio a quella che ora veniva irrisa con il termine di “cultura assistita” per so- stituirla con un nuovo sistema incentrato sull autosufficienza e il “finanziamento plurale”. In Gran Bretagna ~ dove il governo Thatcher ha persegui- to questi inditizzi_politici molto prima e con molta magior energia rispetto a quanto é avvenuto nel resto d’Europa—non pochi direttori e curatori di musei hanno reagito con sorpresa ecosternazione. Stentavano asuperare le proprie obiezioni per- sonali, ideologiche e morali alla nuova politica, che pareva con- traddire tutta la loro esperienza e le loro propensioni. Né han- no avuto quasi il tempo di adattarsi alla nuova realta o di crea- re strutture organizzative capaci di farvi fronte: drastici tagli sono stati messi in atto in tutta fretta, e molte istituzioni si so- no ritrovate in paurose ristrettezze finanziarie molto prima di aver potuto organizzare opportuni dispositivi per reperire fon- di altrove, ‘Le conseguenze di tutto questo sono state spesso disustro- se. Lesempio classico 2 il Victoria and Albert Museum di Lon- : 82 Museo. Storia di un'ideo dra, che ha trascorso gran parte degli anni ottanta e novanta arrancando da un disastro finanziario ¢ amministrativo all’al- tro. Era intrappolato in un circolo vizioso poiché, pit si dete~ tiorava Ia condizione complessiva, pitt era difficile trovare so- stegno presso terzi, II museo é rimasto bloccato in una spira~ Ie che @ sembrata portaclo al disastro ¢ che non si @ arrestata prima di una decina danni: in pit occasioni la bancarotta & apparsa inevitabile, e ogni volta quell'eventualita era spett ‘colarmente sventata dalle piti micragnose e umilianti elemos ne governative, elargite in extremis e a denti stretti. In Gran Bretagna, il Victoria and Albert non @ stato di certo l'unico museo a navigare in cattive acque, ma sicuramente il pit pre~ stigioso da un punto di vista istituzionale. In quel frangenti be perduto molto pubblico, parte della sua reputazione scienti- fica nonché la sua storica collocazione nella schiera dei gran- di musei d'Europe. Tasitvazione non &stata certamente agevolata dal fatto che Ja politica governativa inglese nei confronti dei musei (e di al- tre iscituziont cultural era a senso unico: i tagliistituzionali al bilancio non erano infatti mai accompagnati da agevolazioni fiscali a favore dei potenaiali donatori (come accade invece ne- WiStatiUni. i Sul lungo termine, si registrato un esito a due livell. In ge- nerale, i grandi musei delle are metropolitane se la sono ca- vata meglio delle piccole istituzioni in aree pia decentrate e, nel comple, i muse! londinesi pit degli altri sebbenie anche tra di essi si siano avute grandi discrepanze. Alcuni direttozi si sono trovati decisamente pil in sintonia con a nuova situa~ zione, ma tn fattore importante si rivelato essere anche la particolare natura delle singole istituzioni, Pit la collezione del museo.era.mirata, pit sembrava facile attrarge sponsor ¢ do- natorie, al riguardo, sia la National Gallery sia la Tate Gallery hhanno ottenuto successi superiori a ogni aspettativa. Invece, jstituzioni come il Victoria and Albert Museum oil British Mu- seum, le cui collezioni sono pitt poliedriche, hanno incontrato gravissime difficolta. z ‘Nonostante un piccolo manipolo di musei vantasse risul- La “scoperta” del pubblico 83 tati positivi, in Gran Bretagna il pessimo stato della gran par- te delle istituzioni destava allarme. In genere, gli sponsor si sono fatti avanti soltanto per le istituzioni di massimo presti- gio e anche in quel caso la competizione é stata feroce e la ge- nerosita pericolosamente legata allo stato generale dell’eco- nomia. Cid significa che sor si sono resi meno dispo- nibili proprio 1a dove pit efano nécessari, € durante la pe- sante recessione degli anni 1990-1992 lesponsorizzazioni con- cesse da grandi aziende in Gran Bretagna sono andate prati- camente esaurendosi. Di conseguenza, molti musei si sono adattati a vivere alla giornata e per la prima volta nella loro storia non pochi tra essi hanno accumulato debiti. Ogni vol- ta che ci si avvicinava al punto di rottura, il governo interve- niva all’ultimo minuto elargendo i fondi necessari a tappare i buchi. Per gran parte degli anni trascorsi, sotto i governi ‘Thatcher e Major, molti musei hanno lavorato con la minac- cia di un crollo finanziario imminente, ossia in condizioni che non giovavano di certo alla ricerca, alla programmazione e al- Je acquisizioni. Tutto questo ha impedito una pianificazione alungo termine, e in quel periodo chi avesse parlato con i cu- ratori avrebbe raccolto un senso di profonda insoddisfazio- ne, rabbia e frustrazione. E difficile immaginare che cosa sarebbe accaduto se, nel 1993, non fosse stato tempestivamente annunciato che da al- lora in poi i musei avrebbero ricevuto finanziamenti dalla neo- nata lotteria di Stato grazie a una legge, il National Lottery Bil approvata nel dicembre 1992. Ha preso cosi avvio la tanto at- tesa rinascita di molti musei britannici rimasti a lungo neglet- ti? questo ha consentito alle istituzioni di porre mano ai gua- sti strutturali prodotti da un abbandono durato decenni ¢ di ammodemare edifici_e attrezzature giusto in tempo per af- frontare il nuovo secolo. Preoccupa constatare che gli anni d’o- 10 si stanno gia approssimando al termine, giacché questa fon- te vitale di finanziamenti va lentamente inaridendosi grazie al- Je politiche dell'attuale governo laburista,’ anche se é di qual- che conforto notare che i laburisti, al pari dei conservatori pri- ma di loro, non hanno avuto il coraggio (per lo meno finora) EEE —————__ 84 Museo, Stora di nn'idea di varcare la soglia poiticamente molto rischiosa del biglieto a pagamento per entrare nei musei. Tpatveomento che non potevano pi contare su stanzia- enti governativi elargiti senza ‘condizioni, i musei hanno co- rae eert rivolgere molta maggiore attenzione al loro pub~ blico, Improvvisamente, i visitatori sono ‘diventati importan- Fi glucche un numero elevato di presenze sembrave garent acre anmui, ge non in crescita, quanto meno stabil. Ino The, iuisitatori portavano denaro fresco ~ disperatamente ne, Ceesario ~ grazie ai negozi interni ai musel ¢ ad altre attivita cari srcial, Un numero consistente di visitatol (tanto me” plio se in crescita spettacolare) rappresentavs 0 argomento ne fatabile nelle battaglie combattute anno dopo anno per aeonere finanzinmenti dagli enti locali e dal governo centra- Je, Gli stessi dati erano altrettanto bene accolti da sponsor € Sonatori A differenza di molte altre complesse argomenta- zjoni intorno ai musei, Ja conta delle presenze & facile da ca- pire e difficile da contestare Da allora in avanti il pensiero dei curatori si & concentrate sah io mialiore per far crescere H numero delle presenze, al fine di giustificare lz spesa publica ¢ attirare sponsor. Credo wine sia esagerato dire che fino a quel momento si ¢ra prestata na cvamente poca attenizione al pubblico, alle sue esigenze ¢ eaevarloni, e che [a storia del museo, dalla Rivolurione fran- eae nope, porrebbe forse essere considerata secondo unt uo” ta prospertva: lo spostamento graduale del visitatore dalla pe- vote al eentro dela pratica museale, Imusei avevano percorso vin lungo eammino a partze dalla fine del Xvi secolo, quan o i visitatori erano ancora visti a immagine ¢ somiglianza dei oo ei qual laseiavano entrare a dent stret ollerando- fra malgpena poiché la loro presenza Ii distraeva dll ativita scientifica e i strappava alla solitudine. Turtavia, soltanto ne- sti anni ottanta il vistaore & Finalmente diventat il punto fo- Cale assoluto del!'impresa. Ti passato, il curatore era considerato in primo luogo I ct stove ells collezione di cui era responsabile, ei suoi compiti ‘onsistevano complessivamente nel reperire nuove acquisizio- La seoperta” del pubblico 85 ni, condurre rcerche, conservare ed esporre, I dizetore ers urvaffabile figura di studioso che governava il museo sotto lo sguardo altrettanto bonatio del consglo di amministrazione Sullinsieme aleggiava un’atmosfera di eccentriciti amatoriale. TI museo era la torre d'avorio per eccellenza, dove raramente sorgevano questioni di responsabilita, ideologica o finanziatia; ea unluogorasscurante poichéisolato dal rambusto del mon. do ree da quelle che venivano giudicate le meschinita del- T cambiamenti successivi hanno pertanto rappresentato una vera e propria rivoluzione. A poco a poco, un passatempo eli- trio ells dasse medias tasformatoin unvaivit dl mess, ¢ i musei si sono a loro volta trasformati da istcuzionifinan- tiatedallo Stato, in imprese produrtive sempre pit impegnate in attivich commerciale nella ricerca di fon, Pela primavol- «a il pubblico ee sueesigenze sono divenat la chiave del suc- cess0 di tutta Pimprese, dando luogo a una completa riorga- nizzazione della pratice isttuzionale. Oggi, tut i grandi me sei hanno uffci ben organizzati per la rcerea di fond, lo svi- uppo e P'ativita commerciale, Soltanto dieci anni fa, qui era un’assoluta eccezione. — In passato, la cultura “alta” non aveva bisogno di altra giu- stificazione che non fosse a sua pura e semplice esistenza: og- siessa deve dare prova di sé sul mercato ed & sotraposta allo stesso tipo di controll esercitato su un numero sempre mag- giore di attivita finanziate dallo Stato, quali iset sociali ca! nitari, Te scuole ecc. I profitti sul finanziamento ai musei — os- sia i vantaggiche la societaottiene in cambio del denaro pub- blico ~ sono scrupolosamente passati al vaglio. E ipsa pao! pore hei muses oppongaroalfoncre isis at conse, fato che curator trovine ipsa foe cenda non fermer pole dal continzare a pretence: iutare di rispondere potrebbe essere interpretato come un’am- mnissione di obsolescenza, Obbligati a giustficare un esborso proveniente dalle ta- sche dei contribuenti, i musei sono oggi tenuti a dimostrare che offrono un servizio necessario a un costo ragionevole © 86 Museo. Stora dé wn’idea che si impegnano a miglioraze costantemente il rapporto co- sti-ricavi. Inchemodo sia possibile valutareefficacementeil rendimento di un museo é turtora oggetto di molte discussioni. E difficile quantificare il prodotto del lavoro dei curatori ¢ delfistituzione nonché tradurre una testimonianza individuale, soggettiva, in un fatto irrefutabile e oggettivo. Molto di quanto viene scritto in proposito inconcludente, per non dire pseudoscientifico.? Tra i diversi tipi di indicatori di rendimento, i pit praticabili sem- brano essere i cosiddetti red flag indicators, dispositivi d’allarme che evidenziano, per esempio, la scoperta di crescenti passivta finanziarie, un sovradimensionamento dellostaffditigenziale, un calo nel numero di vsitatori, un turover del personale troppo veloce e altri segni civelatori di malessere e di logoramento del- stituzione, Questi indicarori sono utili poiché sfruttano dat il cui rilevamento fa parte delle operazioni che normalmente spet- tano al museo, evitando di dover predisporre un costoso appa- rato adibito alla raccolta di informazioni. Ta che modo tai informazioni siano poi conciliabili con al- tri settori dellattivita statale @ questione molto controversa e tuttora irrisolta. Al cuore del problema vi é Ja vecchia, gros- solana argomentazione secondo cui tutto il danaro speso pet la cultura dovrebbe essere incanalato verso l'istruzione di ba- se 0 i servizi sociali. Alcuni curatori rifiutano tale ragiona- ‘mento, mettendo in luce prove estrinseche di efficienza isti- tuzionale: per esempio, i benéfici effetti del museo sul turi- smo 0 sull’economia locale. In questa linea di pensiero é tut- tavia insito il rischio che, alla lunga, cié finisca per indeboli- re la posizione del musco. Se si riuscisse a dimostrare che un’altra otganizzazione ~ per esempio un teatro, un parco a tema o una sala da concerti ~ ha un'incidenzs anche supe- riore a fronte di un esborso analogo, il museo uscirebbe scon- fitto. Per non correre questo rischio, @ importante che i mu- sei rispondano allinterrogativo sul rapporto valore-denaro tenendosi rigorosamente entro i parametri della loro stessa definizione. Ogni rilievo dato a questioni laterali pud inde- bolire la posizione del museo: «Se i musei non sono in grado La "scoperta" del pubblico 87 diaffermaze la propria importanza in quanto muse, siraffor- zera Vimpressione che i musei non abbiano alcuna impor- tanza» Si potrebbe addirictura sostenere che i musei, nella oro disperata lotta per tenersi a gella nella disastrosa situs- ione finanziaria degli ultimi venti anni, si sono gia procura- tinon poco danno, ed @ un danno che comincera a farsi evi- dente soltanto con il passare del tempo. Tn analogia con il mercato, i musei si preoccupano dei dati di crescita ei loro dirigenti hanno cominciato a tenere il com- puto del numero dei visitatori con la stessa apprensione con cui i proprietari di un’azienda sorvegliano il loro prodotto. Sia il dizettore sia i curatori sono costretti a occuparsi di innume- revoli attivita che spesso hanno ben poco a che fare con I'arte, ¢ in questo processo modificano la definizione delle proprie ‘mansioni rendendole irriconoscibili. Oggi, dicettori e curatori dimusei parlano illinguaggio del management, del marketing, della contabiliti con la stessa disinvolrura con cui usano quel- Jo della museologia e della storia del?arte. Tl primo ¢ pili clamoroso segnale del nuovo orientamento in dizezione del pubblico é stata probabilmente la nomina di Thomes Hoving a direttore del Metropolitan Museum of Art diNew York. Duranteil suo regno durato undici anni, dal 1967 al 1977, il Met si@trasformato nel museo pitt rutilante del tem- po, on unaspiccata propensione commerciale.” Quantoal pen- siero di Hoving, il linguaggio della sua autobiografia é parti- colarmente rivelatore: sebbene sia stata scritta a vent’anni di distanza, Hoving appare tutt altro che pentito dell ativita svol- ta, che egli rivendica nella sua interezza. Ha gestito il pitt am- bizioso programma di espansione nella storia del Metropoli- tan, promuovendo un progetto destinato a raddoppiare le di- mensioni del musco e conclusosi soltanto nel 1990, Le misure, a progetto ultimato, sono da capogiro: quasi settantamila me- tri quadri di spazi espositivi. Secondo la visione di Hoving, il museo @ un uogo destina- to al divertimento di massa, Riguardo alle esposizioni, Hoving scrive: «Le approvavo quasi sempre, di qualsiasi genere fosse- 10, (..] senza troppo riflertere»,* purché il risulrato fosse «sfa- 88 Museo, Storia di un'iea villante», afastosom, «imponenter, purché avesse «una marcia in pid. Riguardo allallestimento del suo primo grande pro- getto di mostra, “In the presence of kings” ? Hoving ricorda di aver voluto nelle sale «un grande sfoggio di colori vivaci alle pa~ reti, per i tessuti delle vetrine: porpora, vermiglio, cremisi, Nel- areata centrale della facciata ho chiesto che fosse appeso un ‘enorme stendardo color porpora con scritte a lettere d'oro».1° ‘Non si trattava pit di esporre opere d'arte in modo da fa- vorizne la visione al meglio, bensi di trasformare Parte in uno spettacolo visivo. La terminologia di Hoving é la stessa usata dal direttore di un grande magazzino o di una rivista di moda, pertanto non meraviglia che egli cosi descriva la responsabi- Iedella sezione dedicata all abbigliamento, Diane Vreeland, gid Jeggendaria direttrice di American Vogue e Harper's Bazaar: ‘ano dei curatori pitt capaci che il Met abbia mai avuto»:!! ‘enella storia del Met, nessun curatore ha mai raccolto tanti con- sensi»,!? Vreeland era riuscita a trasformare la mostra che ave- vva luogo ogni anno nella sua sezione in uno degli eventi pitt brillanti del ealendario mondano di Mankattan, Ma, in defini- tiva, le sue esposizioni erano poco pit che vetrine allestite in pompa magna, ovvero occasioni commerciali appena masche- rate, offerte all'industria della moda, alle quali mancava qual- siasi intendimento o proposito scientifico. Un’altra mostra promossa da Hoving nei primi anni del suo regnofu “Harlem on your mind”, che, secondo Calvin Tomkins, tiusci nella strabiliante prodezza di recare «offesaanegri, cbrei, portoricani, irlandesi, progressisti, reazionari, artisti, politici, al New York Times nonché a parecchi membri del consiglio di amministrazione del Metropolitan». Un'impresa che rischid di costargli prematuramente il posto. ‘Quanto alla politica delle acquisizioni, Hoving pensd bene di

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