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Mohamed, riprendi la tua valigia…

Touhami Garnaoui

Scena 1. E’ un venerdì di fine estate del 1430, anno dell’Egira, poco prima di
“el-‘Asr”, la preghiera del primo pomeriggio. All’ingresso della piazza di un
villaggio arabo, una colonna con sopra una foto del capo dello Stato. Davanti al
bar della piazza, due uomini conversano: Karim, insegnante di economia in vacanza
e, Ahmed, un ex tecnico comunale della zona. Ad un tavolo del bar, un energumeno
sta leggendo un giornale locale arabo. Accanto al bar un grosso tappeto color
verde e azzurro buttato per terra e alcuni vasi di terracotta. Da uno di questi
vasi esce un drago blu scuro ondeggiante dall’aspetto minaccioso.

Karim: L’altro giorno, mentre passavo in macchina, ti ho visto davanti alla


macelleria parlare con una signora.
Ahmed: Scommetto che non l’hai riconosciuta.
Karim: Perché la conosco?
Ahmed: Non ti ricordi Latifa? La chiamavamo la “Garota maghrebina”.
Karim: Sì. Noo! Non è possibile. Com’è ingrassata! E’ diventata una tenda. E’
irriconoscibile. L’ultima volta che l’ho vista, era nove, dieci anni fa mentre
stavo qui in vacanza.
Ahmed: Come passa in fretta il tempo! Noi non siamo cambiati, ma lei è molto
cambiata. Ti ricordi com’era bella? Ti piaceva e lei ti guardava sempre con i suoi
grandi occhi neri.
Karim: Ricordo il suo sguardo soave e soprattutto quel culo che aveva, che era un
vero richiamo erotico sotto l’ampio vestito, sempre lo stesso. Si era a pena
sposata con un ingegnere che lavorava in una miniera lontana e veniva a trovarla
ad ogni fine settimana. Lei viveva con una zia nel quartiere popolare, in una casa
modesta comprata dal marito, accanto ad una falegnameria. Non riuscivano a fare
figli, se ricordo bene.
Ahmed: Ti ricordi bene. La falegnameria esiste ancora ma lei si è risposata e ha
cambiato casa. Adesso ha una bambina di due anni, molto graziosa.
Karim: Ha avuto qualche problema di salute?
Ahmed: Peggio. Ha tentato il suicidio l’anno scorso, pochi mesi prima che io
andassi in pensione.
Karim: Oddio, cosa le è successo?
Ahmed: Un giorno, il suo secondo marito mi ha detto che la salute di Latifa desta
qualche preoccupazione e mi ha chiesto di parlarle, perché lei non vuole parlare
con nessuno. Tu che la conosci da quando era bambina, mi disse, vai a farle un po’
di compagnia; sarà sicuramente contenta di rivederti.
Karim: Cosa fa nella vita suo marito?
Ahmed: L’ho conosciuto in Comune. Da allora ha fatto una bella carriera politica
e, attualmente, è Vice Prefetto.
Karim: Sei andato a trovarla?
Ahmed: Sì. Ho trovato sua figlia che giocava nel giardino con la nonna. Sono
entrato in casa, l’ho chiamata, senza ottenere risposta. La porta della camera da
letto era socchiusa, ho bussato, l’ho vista sdraiata sul letto e mi sono accorto
che era in fin di vita.
Karim: Oddio, cosa le è successo?
Ahmed: Aveva preso dei barbiturici ma, per fortuna, poche pasticche. Ho chiamato
un’autoambulanza e l’ho fatta portare al pronto soccorso. Il giorno dopo, sono
andato a farle una visita in ospedale. Si era ripresa. Mi ha accolto con una certa
freddezza. Cosa hai fatto? Le dissi. Ma perché? Perché? Cosa volete da me?
Rispose. Non potete capirmi. Non avete avuto una vita così crudele, così triste,
piena di dolori. Tu hai avuto una vita perfetta, di successo, nel matrimonio, nel
lavoro, con gli amici. Non ti ho mai sentito lamentarti. Ti va tutto bene. Questo
mondo fa schifo, calca i sentimenti degli altri. La vita è una ferita aperta nel
cuore. Fermati, Latifa, le dissi. La tua è una strada sbagliata. Il saggio è
quello che accetta il mondo così com’è. Non lo puoi cambiare.
Karim: Ma sì che si può cambiare, che si deve cambiare. E’ questa sorta di
fatalismo che ci danneggia tutti. Il vero saggio è anche quello che si muove
quando intravede una possibilità di cambiamento e agisce.
Ahmed: Non sentiva ragione. Cosa volete da me, andatevene tutti, mi disse.
Karim: Anche tu, non senti ragione quando uno ti parla.
Ahmed: Mannàggia, Latifa, le risposi. Ascoltami. Io, fra due mesi vado in
pensione. Anch’io volevo suicidarmi. Mi ero detto che differenza c’è tra la vita
che mi aspetta e la morte.
Karim: Oddio, Ahmed. Anche tu, ma cosa vi ha preso?
Ahmed: Infatti. Ho pensato ai figli, ai parenti e agli amici. Mi ha salvato
soprattutto la mia fede in Dio. Non potevo tradirla. Lei si è messa a piangere,
poi disse: Tu non esisti come sei, ma come ti vogliono gli altri, come ti vuole
questo Stato schifoso. Le ho fatto osservare che lei l’ha voluto questo Stato
sposando un Vice Prefetto.
Karim: Noi arabi, non capiremo mai le donne. Non ci poniamo neanche la questione
di capirle. Come ha risposto?
Ahmed: Mi ha aggredito. Mi disse: Non sei stato nemmeno capace di andare fino in
fondo al tuo più profondo desiderio.
Karim: Il suicidio è una libera scelta, è vero, ma non possono esserci altre
scelte da fare prima di suicidarsi? Ci sono tante di quelle cose belle nel mondo
che non basterebbero due vite per vederle.
Ahmed: Per una donna sola tutto sommato o per uno come me, con i soldi della
pensione, tu pensi…
Karim: Il vero problema è la testa. Anche il carattere è un problema ma penso che
anche il carattere possa cambiare con la testa e l’esperienza.
Ahmed: Pensi che con la tua testa, con le denunce, le inchieste, puoi cambiare
veramente le cose che non vanno nel mondo? Tu sogni la luna.
Karim: Nelle società più evolute, più di qualcuno se ne assume il compito. Chi
tace è complice. Tu, invece, sei contraddittorio.
Ahmed: In che senso?
Karim: Nel senso…meglio lasciare perdere. Dai continua il racconto. E’
sconvolgente.
Ahmed: Ti ricordi, mi disse Latifa, che sei stato tu a dirmi della missione
tecnica francese che cercava una segretaria pratica di computer. Però, ti prego,
quello che sto per raccontare, non lo devi ripetere a mio marito né a
nessun’altro. Dopo i primi colloqui, mi assunsero per tre anni, alla condizione di
cambiare i vestiti in ufficio e di vestirmi all’europea. L’ho fatto tutti i
giorni. Arrivando in ufficio, mi levavo il sopravestiti ed il fazzoletto che mi
copre la testa e li rimettevo per tornare a casa. Non potevo uscire “nuda” per
strada, incontrare i vicini di casa e farmi vedere da mia zia che avrebbe potuto
raccontare tutto a mio marito. Mio ex marito! Paliamone. Sempre assente. Quando
tornava da me, gli interessava trovare il pranzo pronto, i ricambi dei vestiti
puliti. Mai un gesto affettuoso. Era sempre stanco. Pregava e andava a dormire.
Raramente mi desiderava. Voleva un figlio ma non riuscivamo ad averlo. Dava la
colpa a me. Io mi lamentavo dei pochi soldi che portava a casa, delle cose che non
mi potevo permettere. Non avevo neanche un orologio da quattro soldi al polso. Non
avevamo la corrente elettrica in casa. Aveva uno stipendio da fame, è vero. Diceva
che i soldi non bastavano per l’affitto di casa sua, restituire il prestito preso
in banca per comprarci la casa dove abitavo e mantenere anche mia zia. Quando ho
saputo che mi tradiva, ho voluto scappare da casa, ma per andare dove? I miei
nonni non mi avrebbero accettata. La mia vita è cambiata il giorno che sono stata
assunta dai francesi. Ero contenta, tranquilla. Mi piaceva la compagnia di quegli
esperti, spensierati, simpatici. Avevano un forte controllo su di se, mai un
confronto diretto, sempre con il sorriso. Mi piaceva il loro modo di trattarmi, di
scherzare. Ero puntuale, ordinata, disponibile, e loro mi facevano un sacco di
complimenti. Uno di loro ha cominciato a corteggiarmi. Mi diceva che i miei lunghi
capelli neri sono meravigliosi quando mi si spandono sulla schiena. Era bello e
dolce. Diventava ogni giorno più intraprendente e io sempre più eccitata. Mi ha
insegnato a bere il vino e la birra. Io preferivo la birra, una specie di gassosa
dolce amara, che aumentava le mie eccitazioni. Ci siamo messi insieme. Facevamo
l’amore in ufficio, quando tutti gli altri andavano a pranzo. Il fuoco spento, me
ne tornavo a casa affrettando il passo. Non era un grande amatore ma con lui mi
sentivo rinascere, mi sentivo una donna desiderata, una donna che ha un potere su
un uomo. Era un’atmosfera avvolta di tenerezza, di sesso e di complicità. Amare è
salutare. Non è mai effimero come lo è una promessa incandescente di fedeltà
dettata dal sesso, dall’interesse o da un ideale momentaneo. Mi ha dato dei soldi
per aiutarmi ad installare la corrente elettrica e a sistemare il bagno in casa.
Inorridiva all’idea che uno non possa avere oggi la corrente elettrica in casa.
Mia zia era felice. Mio marito non si era neanche reso conto subito poi, un
giorno, si è complimentato con me pensando che ero riuscita a farlo con i miei
risparmi. Un giorno il francese mi chiese di far venire in ufficio anche mia
sorella più giovane di me. La proposta non mi ha spaventato. Forse non era sul
vettore giusto della mia evoluzione. Ho pensato che anche mia sorella doveva
uscire dal suo mondo, scoprire il suo corpo e la sua libertà, sentirsi francese.
Sapevo che la missione di cooperazione sarebbe presto terminata e rientrata in
Francia. Forse per questo motivo o forse perché non sopportavo più mio marito, ho
cominciato a sentire il senso di una grande nausea. Mi sentivo ogni giorno più
debole. Mia sorella era andata via dai nonni rimasti nel mio paese. Ero straniera
in mezzo a stranieri. Cominciavo a sentirmi straniera anche in mezzo alla gente,
in mezzo ai parenti di mio marito. Mi sembrava di essere una palla che si
passavano di mano in mano, rinnegata per le masse soffocanti, carne venduta per le
invidiose, neanche pastorella ma “bicote”, capretta, per i “pieds noirs” che sono
rimasti qui, una cosa che pensavo esistesse solo leggendo Kafka. Mi sono sentita
persa. Dovevo comunque andare avanti sulla via dove il destino mi ha chiamata. Mi
sono risposata con l’uomo che mi ha sempre corteggiata ed è nata Rashida. Ho
continuato ad occuparmi di tutto e di tutti. Tutti cercano il mio corpo e il mio
conforto. Di me nessuno si è mai preoccupato, nessuno mi ha mai confortata. Mi
sono messa a prendere dei sonniferi tutte le notti e a bere alcool di nascosto. A
chi raccontare la mia infelicità. Il mio mondo è rimasto lo stesso. La mia visione
non si è allargata da nessuna parte. Sì, ho visto funzionare la macchina dello
Stato, ma se uno non pretende di soffrire quando altri muoiono di fame o non sono
sazi tutti i giorni, non c’è rischio, non c’è libertà; rimane soltanto la paura di
invecchiare e di morire. Questo mi ha insegnato il mio francese. Avevo voglia di
dare dei calci alle cose o a qualcuno. Poi ho pensato di farla finita per sempre.
Karim: Hai fatto bene, Ahmed, a lasciarla parlare senza interromperla.
Ahmed: Assolutamente. Aveva bisogno di sfogarsi. Si è fermata solo quando è
passata l’infermiera per chiederle come stava. Le ho detto che nessuno può
sfuggire al suo destino. Il mio è quello di non saper reagire alla sollecitazioni
della vita. Non sono felice né infelice. Non saprei come dire. Mi sono sempre
rifugiato nella melanconia, la melanconia che non ti spinge neanche a riflettere,
quella dei fumatori di narghilé che non pensano mai a niente, giusto per passare
il tempo. La vita mi ha dato quello che tu, Fatima, chiami una sorta di privilegi,
il lavoro, la famiglia, gli amici. Non bisogna essere presuntuosi. Quando uno
sprofonda nella riflessione sulla vita quotidiana, bisogna che abbia qualcuno
vicino, un amico che possa aiutarlo a ragionare, un punto di riferimento sicuro in
somma. Altrimenti, a che serve rompersi la testa. Tu, Karim, ce li hai i tuoi
punti di riferimento, tua moglie è una artista famosa e tuo figlio è tanto
promettente. Voi potete aiutarvi a vicenda. Ma io ho una moglie che mio padre mi
ha obbligato a sposare quando non aveva compiuto ancora sedici anni. Io le voglio
bene ma non posso discutere di filosofia con lei. Lei si affida completamente a
me. Da sola sarebbe completamente handicappata. Anche per il mestiere che ho
fatto, l’unico principio che ho è quello di essere preciso. Non mi fermo alla
superficie. Approfondisco sempre le questioni.
Karim: La precisione richiede l’asservimento o quanto meno la sottomissione. Un
mondo senza arte sarà sempre meno sopportabile, più povero.
Sipario
(Si sente cantare “Garota d’Ipanema)
Olha que coisa mais linda,
Mais cheia de graça
E ela menina
Que vem que passa
Num doce balanço
Caminho do mar

Moça do corpo dourado


Do sol de ipanema
O seu balançado
E mais que um poema
E a coisa mais linda
Que eu já vi passar

Ah, porque estou tão sozinho


Ah, porque tudo e tão triste
Ah, a beleza que existe
A beleza que não é só minha
Que também passa sozinha

Ah, se ela soubesse


Que quando ela passa
O mundo sorrindo
Se enche de graça
E fica mais lindo
Por causa do amor

Scena 2.(Ahmed e Karim decidono di sedersi ad un tavolo lontano da quello


dell’energumeno per giocare a carte. Arriva il cameriere con il suo piatto in
mano)

Cameriere (Facendo l’inchino): Ciao Karim, ciao Ahmed! (A bassa voce) State
attenti. L’avete visto quello?
Ahmed: Ciao. Chi non lo conosce? I nostri Servizi sono segreti per modo dire. Le
spie le riconosciamo tutti. Loro stessi si travestono per farsi riconoscere
meglio, per incutere suggestione al popolo, per terrorizzarlo e tenerlo buono.
Cameriere: Cosa prendete?
Ahmed: Io un caffé turco.
Karim: Un tè per favore e un mazzo di carte…Karim, hai sentito cosa diceva prima
il giornale radio?
Ahmed: Vuoi dire se ho sentito la notizia della nomina dei nuovi Ambasciatori nei
Paradisi fiscali…?
Karim: Possono offrire merletti e pizzo alle loro mogli, rimangono pur sempre
degli schiavi di piantagione. Il mondo libero ha generato, per grazia di Dio, un
sistema di procedure per l’evasione fiscale ed il trasferimento del denaro
all’estero, salvaguardando l’anonimato, che sono in realtà tombini dove gente come
lui possono occultare denaro rubato per la loro prosperità individuale. I Paradisi
fiscali hanno introdotto persino nella loro costituzione il segreto bancario a
fini di tutela della vita economica e finanziaria degli scippatori. Mobutu ha
rovinato l’Africa prima di morire d’indigestione per le sue grandi abbuffate, tra
conti bancari in Svizzera, ville in mezzo mondo, banane e cafè, whisky e pepè “per
il morale del capo”, come diceva. Mi trovavo in Congo - Zaire a quell’epoca. Non
potrò mai dimenticare un bambino seminudo e affamato che da dietro la siepe di un
ristorante dove stavo a cena con dei bianchi; alcuni erano esperti della FAO. Mi
guardava mentre mordevo una mela e più mordevo più gli si dilatavano gli occhi e
implorava che gli gettassimo l’osso di una coscia di pollo, dicendo: “Padrone!
Padrone! Le ossa, per favore le ossa.”
Ahmed: Non ci sarebbe un sistema di monitoraggio nazionale e sopranazionale?
Karim: Ma chi ci pensa? E’ un serpente mostruoso che si morde la coda.
Cameriere: I signori sono serviti. Ho portato anche il gesso. Buona partita.
Ahmed: A chi sono utili gli esperti, i cooperanti e tutti quei volontari senza
frontiere, mentre i nostri laureati sono mal pagati come l’ex marito di Latifa, o
disoccupati o cercano la via per emigrare? Un giorno chiesi alla figlia di Latifa
cosa voleva fare da grande. Sai cosa rispose? L’emigrata. Le dissi, perché?
Perché, mi rispose, tornano con delle mercedes enormi e portano delle belle
cravatte.
Karim: Gli esperti internazionali servono soprattutto a chi li paga. Sono i
missionari e gli esploratori dei tempi moderni, la facciata pulita dell’
ineguaglianza fra le nazioni e del nostro asservimento.
Ahmed: (Al cameriere rimasto ad aspettare) Grazie e tieni pure il resto. Hai
sentito, Karim, il nome del Presidente ricevuto questa mattina dal Capo dello
Stato?
Karim: Sì. Il famoso (a bassa voce che non si sente). Un uomo straordinario,
atipico. Ne parlano in tutto il mondo. Pare lo abbia inviato il Signore. Lo hanno
votato più del 60 % degli elettori. Egli afferma che la sua popolarità sarebbe
superiore se le elezioni non fossero truccate.
Ahmed: Non arriverà mai comunque al 99,99 % dei nostri capi.
Karim: Da noi lo Stato c’è ma Stato non è. Comunque il 60 % è sempre una bella
percentuale. Dicono che detiene il primato degli incassi da libro dei Guinness. Ma
non sfoggia la sua ricchezza come certi emiri arabi.
Ahmed: Non capisco come ha fatto per diventare tanto ricco. Mi piacerebbe essere
ricco come lui.
Karim: A che serve la ricchezza? Per far colpo sul vicino di casa? Errore, amico
mio. Forse i nostri parvenu e le loro mogli la pensano in questo modo, perché
provengono da ambienti poveri e sono invidiosi gli uni degli altri. Il vero ricco
è uno che decide della vita e della morte tua e mia, qui e altrove, per esempio i
grandi banchieri, le grandi società petrolifere e, prima di loro i grandi imperi.
Ahmed: Si diceva che il sole non tramontava mai nell’impero inglese. Posso capire
come hanno fatto gli imperi e le grandi banche che tramano dietro per accumulare
tante ricchezze. Con il sangue degli altri, la fame nel mondo, il buco dell’ozono,
l’intimidazione, la corruzione, le falsificazioni, il controllo dei centri di
decisione e dell’opinione pubblica. Non capisco come ha fatto lui?
Karim: Da giovane studente, questo Presidente amava andare a cantare e a
raccontare barzellette sulle navi da crociera anche per mettersi qualche soldo in
tasca. Durante una di queste crociere, vede un grosso brillante, da non so quanti
carati, che una ricchissima turista americana di origine siciliana
inavvertitamente ha lasciato cadere; lo raccoglie e lo restituisce alla donna,
rifiutando qualsiasi ricompensa per il suo gesto. Ha mostrato tutta la vita un
totale disinteresse per il denaro. La donna insiste talmente tanto che alla fine
lo convince a prendere almeno un biglietto della lotteria nazionale.
Ahmed: Che nobiltà d’animo!
Karim: L’unico valore, diceva Kant, risiede nei gesti disinteressati. Ebbene, con
quel biglietto ha vinto il primo premio, milioni di euro in conio dell’epoca.
Oltre che per la sua onestà, Dio ha voluto premiarlo per la sua bontà e la sua
intelligenza.
Ahmed: Beato lui! La fortuna sorride agli onesti, fuorché a me; anche quando gioco
a carte con te. Guarda che carte mi hai dato, non si può giocare con delle carte
così.
Karim: Le carte sorridono agli audaci ma tu…Non ti offendere.
Ahmed: Non mi offendo. Voglio sapere come ha fatto per arrivare a diventare
miliardario.
Karim: Da uomo geniale, ha investito tutti i soldi piovutigli dal cielo. Ora è il
padrone di mezza nazione. Lo ha fatto, diceva, non per sé ma per venire in aiuto
ai bisognosi. Si è messo a costruire, a comprare e a vendere terreni, case, ville,
quartieri. Si è comprato anche dei cavalli di razza, assumendo stallieri di
professione, grandi boss del mestiere. Non dimenticare poi il calcio, caro Ahmed.
Ah, il calcio! In Europa, gli uomini e, ora, anche le donne non conoscono una
passione più grande. Lui possiede una delle squadre più prestigiose e più ricche
d’Europa.
Ahmed: Perciò non si fanno più figli in Europa. Non ne hanno il tempo né la
voglia. Hanno la testa nel pallone. Cercano il sesso come gioco per soddisfare le
loro fantasie ossessive, o quando vanno in vacanza sulle spiagge bianche e rosa
corallo circondate da acque limpide, calde e pescose, con magnifiche specie di
uccelli e di uccellini esotici.
Karim: Lui è semplice, attaccato alla famiglia ed è rimasto poverissimo. Ha dato
tutto alla gente. Ahmed: Da noi è diverso. Se sei presidente della repubblica o
monarca, sei il padrone. Non c’è bisogno di una legge. Non c’è bisogno di un
parlamento, di una giustizia. La tua parola fa giurisprudenza. Sei il padrone di
tutto e per tutta la vita, poi lo trasmetti agli eredi. All’inizio della carriera
puoi essere nullatenente, ma dopo recuperi, svendendo il paese, le sue risorse, la
sua memoria, il suo futuro e la nostra anima.
Karim: Devi vedere come questo Presidente ha trasformato il paese con i propri
soldi. Non vedi più le immondizie per strada. Il mare è limpido. D’accordo, non ci
sono aquile sulle spiagge e nemmeno uccelli, ma ci sono orchestre rock e
allucinogeni e la gente si diverte. Persino il terremoto non fa più paura, e
nemmeno i dissesti idrogeologici. C’è chi pensa addirittura che un bel terremoto
oppure una frana ogni tanto non sarebbe male. Perché interviene lui e in sei mesi
ti dà un nuovo appartamento chiavi in mano, completamente arredato con tutti i
marchingegni dell’industria moderna; ti fa persino trovare l’asciugacapelli
attaccato nel bagno e dei cioccolatini di benvenuto in salone. Nel frattempo ti
manda a fare una crociera se non ti va proprio di stare in albergo in qualche
stazione balneare o termale in attesa della consegna della tua nuova casa. Da quel
momento non sei più tenuto a rimborsare i tuoi debiti con le banche e nemmeno a
pagare le tasse. Da te, fortunato terremotato, non pretende nulla.
Ahmed: Ragione per cui è osannato e votato. O perché la gente lavora nelle sue
aziende, o perché è terremotata o perché vive in mezzo alle immondizie o perché
segue il calcio minuto per minuto dalla domenica alla domenica successiva. E’ un
Presidente - Ombrello che ti protegge dalla pioggia e dal sole.
Karim: Certo, ma non è finita. Se non ti va più di lavorare e preferisci startene
a casa, non è un problema. Il lavoro lo lascia fare a uno di noi. Ecco perché gli
immigrati arrivano in massa, provenienti da tutte le parti del mondo, dall’Africa,
dall’Asia, dall’Europa dell’Est e dall’America latina. La gente del paese, invece,
ha visto moltiplicarsi gli ammortizzatori sociali. Non sono dei materassi
matrimoniali come puoi pensare. Significa che, mentre tu stai tranquillo a casa o
al bar, continui a ricevere il tuo stipendio, per tutto il tempo che vuoi. Se non
ami gli ammortizzatori sociali, vai a trovare il Presidente a casa sua. Arrivi su
un aereo privato, passeggi nel parco delle sue ville, in mezzo a delle belle
ragazze senza veli, passi una bella serata in sua compagnia, ascoltando il suo
cantante preferito, fate due risate insieme, e alla fine ti dà pure un piccolo
omaggio o anche una busta con dei bei soldini. Se per caso non trovi posto
sull’aereo, puoi sempre andare a divertirti su qualche isola famosa. Gratis; anzi,
sei anche pagato. La gente è rimasta frustrata per decenni nelle loro aspirazioni
e nei loro desideri dalla burocrazia stalinista e dai tribunali della Chiesa; ora
è davvero felice di muoversi senza paure, di viaggiare, di intraprendere
liberamente, persino di fare il ricercatore in America. A che serve la scuola?
Ormai è piena di figli di immigrati. Non sei d’accordo? Ti vedo scuotere la testa.

Ahmed: Penso a certe regioni arretrate del paese, forse perché troppo nostalgiche
del passato.
Karim: Farneticazioni di secessionisti interessati al danaro, non al ragionamento.
Il Presidente dice che non ci sono quasi più poveri, non ci sono più analfabeti in
tutto il paese. Il paese cresce ad un ritmo più veloce che nel resto d’Europa, che
nella sleale Cina stessa. Se rimane ancora qualche problema sarà presto risolto
con la realizzazione prossima di grandiose infrastrutture, ponti, ferrovie ad alta
velocità. A spese sue. Egli continua a lavorare giorno e notte, instancabilmente,
per soddisfare tutte le esigenze dei suoi cittadini, senza mai pretendere un
centesimo per se né per l’erario. Trova a pena il tempo di inghiottire un brodo
vegetale o al massimo una manciata di quadrucci di pasta sempre in brodo. Sempre
affabile, sorridente, allegro, disponibile alla battuta. Dovrebbero dargli non uno
ma due o tre premi Nobel: come campione del capitalismo responsabilmente liberale
– cristiano – socialista – federalista – social-unionista; come guida della
rivoluzione dei giovani e soprattutto delle giovane dirigenti di giorno e di notte
cubiste, professionisti, acrobati, e altri mangiafuoco; come difensore della pace
tra le nazioni civili che preferiscono mangiare spaghetti e pizza, hamburger e
“steak-frittes” piuttosto che involtini di primavera, cuscus, ciurrasco e zighini.
I sushi, così, così. I giornali di tutto il mondo, eccetto una certa stampa
tendenziosa e prepotente, lo descrivono come un eroe dei tempi moderni,
corteggiato dagli zar e dalle regine. La sua fama è arrivata persino in questo
misero bar. Non ha torto chi ha cominciato a raccogliere i fondi per farlo santo.
Ahmed: Però ho sentito asserire che le sue ville sono faraoniche, che passa il
tempo in mezzo alle sue “zoccole, zoccole” (su un’aria di una nota canzone). C’è
chi dice che i fondi da raccogliere per farlo santo sono suoi in realtà.
Karim: All’inizio erano suoi, poi li ha dati ai poveri e sono diventati soldi dei
poveri. Tu non hai studiato economia, altrimenti sapresti della spirale virtuosa
dell’accumulazione delle ricchezze. Il padrone dà i soldi al lavoratore. Il
lavoratore s’arricchisce. Così può fare la spesa dal padrone. Ecco che il padrone
diventa più ricco o addirittura santo. Il lavoratore deve tirare la cinghia fino
alla fine del mese, invocando i santi in processione, poi si ricomincia. La forza
di questo uomo è che non si vedono molti altri santi in giro. C’è crisi di
proselitismo.
Ahmed: Il tuo ragionamento non appartiene, mi sembra, alla scienza economica che
si studia a Oxford. Io chiamerei questa scienza il gioco delle tre carte.
Karim: Volendo, sì. Penso piuttosto all’invidia di ciarlatani per lungo tempo
abituati a mangiare in due piatti con due forchette merende confezionate da mani
esperte miracolate. Lui li lascerebbe pure con i loro piatti e le loro forchette
se smettessero di calunniarlo, di parlare. Che parlano a fare! Come faceva ad
ospitare tanti poveri in una piccola casetta? Lui non è l’unico che possiede ville
e palazzi; al contrario di molti altri, è l’unico a tenere la sua porta aperta a
tutti, alla gente umile, umile, persino a quei ciarlatani che possono entrare e
magari mangiare qualche buona crostata. Non c’è bisogno di andare a spiare cosa
dice, cosa fa, con chi sta, dove sta, in bagno, nel salone ovale, in camera da
letto o in via delle zoccole. Io sono stato in quel paese. Non hai idea delle
ville, dei palazzi e dei castelli che ci sono, dappertutto. Nella sola Capitale ci
sono non uno o dieci ma centinaia di palazzi pubblici e privati mozzafiato, tesori
favolosi esposti e altri nascosti, giardini pensili panoramici che sembrano oasi
del paradiso.
Ahmed: Qualcuno ti ha mai invitato ad entrare in uno dei palazzi privati?
Karim: Ho avuto l’occasione di essere invitato a cena, non in un palazzo, ma a
casa di un grosso architetto che si definiva di tendenza radical – chic e che ce
l’aveva con i suoi colleghi, dicendo che non capiscono niente, che hanno distrutto
il tessuto urbano, che hanno progettato delle mostruosità, eccetera, eccetera..
Era interessato ad un progetto di villaggio turistico da realizzare nel deserto
marocchino con un finanziamento arabo oppure della Banca Mondiale. Per lui
progetti di questo tipo sono gli unici ad aiutare a frenare l’emigrazione
clandestina in Occidente.
Ahmed: Che genio! Te la sei spassata, beato te. Parlami della casa e della serata.
Karim: Era un immenso superattico panoramico sul lungofiume. Che sfarzo e che
cena! Preparata da un noto cuoco, andato personalmente la mattina a selezionare il
pesce, la frutta e la verdura, gli aromi, il formaggio parmigiano, il pane, la
pizza al taglio e tutto il resto, in certi negozi specializzati e in certe
bancarelle vicine. A cena c’erano alcune giovani e belle donne. Per farle
arrabbiare, l’architetto, rivolgendosi a me, diceva: “Caro amico, io preferisco le
vostre turche, quelle belle morone”. C’era anche un transessuale brasiliano, un
ragazzone molto raffinato. La serata è finita, tutti loro fumando hashish o
sniffando eroina. Davanti al mio rifiuto di prendere anch’io un po’ di quella
roba, l’architetto mi disse che dalle parti mie la gente preferisce farsi saltare
per aria per raggiungere prima il paradiso. A quel punto una delle ragazze
aggiunse, mezzo intontita: a condizioni di non fare saltare anche noi. Per
tranquillizzarla, l’accompagnai a casa sua.
Ahmed: Tutti hanno un harem, poi dicono, inorriditi, che noi mussulmani, arabi,
turchi, saraceni, orientali, extracomunitari, non si sa chi siamo né da dove
veniamo, che lingua parliamo, se siamo neri o bianchi, pratichiamo tutti la
poligamia e viviamo nella lussuria...
Karim: L’harem del loro Presidente è diverso. Tutte giovani ragazze che si
sarebbero trovate senza lavoro, senza futuro, senza dignità. Per la loro fortuna,
hanno trovato un padre affettuoso che le faceva assumere in televisione, in
parlamento, nei Consigli comunali, persino come Ministro della Ricerca o delle
Pari Opportunità, a seconda delle loro predisposizioni.
Ahmed: Ma se tutti stanno meglio, mi spieghi a che serve un ministro delle pari
opportunità?
Karim: Non saprei; molto probabilmente perché quel ministro non aveva doti
particolari; giusto per trovarle un lavoro, una occupazione come gli altri
cittadini e cittadine che bussano alla sua porta.
Ahmed: E la Ricerca? A che serve la Ricerca? Se gli americani preferiscono
importare le sue tecnologie e i suoi ricercatori? Se è riuscito grazie al suo
genio inventivo a digitalizzare tutto il paese, a fare progredire le modalità
informatiche e a rendere protagonista internet? Ho letto che a partire dal 2013
non ci sarà più un solo di quei milioni di processi arretrati, nessuno potrà più
evadere il fisco, si conosceranno i prossimi movimenti tellurici uno o due anni in
anticipo. Anche le ore lavoro che verrebbero a mancare troveranno collocamento in
altre attività che solo lui potrà escogitare.
Karim:Per lo stesso motivo che ho detto prima.
Ahmed: Lui mi sembra…giustizia e scienza fai da te. Avrà imparato la lezione dai
nostri capi. A proposito avevo letto sul giornale che il nostro Capo di Stato e
Guida della Nazione e della Religione è andato a passare qualche serata a casa
sua, probabilmente per copiare una delle sue invenzioni o per siglare degli
accordi di cooperazione su come si possono creare milioni di posti di lavoro in un
batter d’occhio, anche al fine di bloccare l’emigrazione clandestina.
Karim: E’ andato, ma il nostro Capo ha preferito dormire sotto una tenda allestita
nel parco della villa, per promuovere l’artigianato del tappeto, della salsa
piccante e del narghilé.
Ahmed: Allora perché c’è un coro che grida forte che il Presidente di quel paese
deve rassegnare le dimissioni?
Karim: Non è un coro, sono bande musicali, fanfare di qualche frazione di
municipio.
Ahmed: Un giornalista per primo, parlando di Repubblica delle banane, ha sollevato
la questione della prospettiva dell’elezione di suo figlio a Capo del governo alla
scadenza del proprio mandato, un figlio che non ha nemmeno terminato gli studi di
laurea. Lo stesso giornalista ha incastrato il figlio in visita da un transessuale
che deteneva della droga nel suo appartamento. Pare che il Presidente ha tentato,
senza riuscirci, di pagare il giornalista per comprare il suo silenzio. E’ vero,
sono pratiche diffuse in tutto il mondo. Per me è soprattutto un Presidente che sa
mantenere le promesse in materia ambientale.
Karim: Si tratta molto probabilmente di un complotto di gente che s’intendono di
ricatti, mettendo in giro foto e video pieni di transessuali e di polvere di
cocaina e eroina lasciata per caso sul comodino. Tu sai chi ha introdotta la droga
e la pornografia nel paese?
Ahmed: Direi che nessuno comunque ha saputo combatterle. Dopo gli articoli del
giornalista molta gente è andata a manifestare con una siringa in una mano e una
banana sulla quale è stata disegnata una bandierina nell’altra mano agitata a mo’
di telefonino magico per chiamare il Palazzo del Governo, facendo finta di
presentare la propria candidatura alla direzione degli Affari dello Stato.
Karim: Ti piace sempre fare il gioco di parole. A me risulta che erano meno di
quaranta esagitati manipolati da chi vuole fare invece altri Affari di Stato.
Ahmed: Ergo, non c’è più democrazia nel paese se nessuno reclama più niente.
Karim: Non dimenticare che il popolo l’ha votato con più del 60%. Allora c’è o non
c’è democrazia? Non stare a sentire i pochi farabutti arrabbiati: qualche
magistrato che ha in mano il libretto rosso di Mao invece di studiare e applicare
i nuovi codici, qualche giornalista evoluzionista, contorsionista, a servizio di
qualche padrone residente a Ginevra, a Sidney o a Gerusalemme, per rilanciare il
settore in crisi, qualche deputato omosessuale, uno o due Commissari europei che
non sanno cosa fare dalla mattina alla sera, qualche architetto invidioso del
prestigio dei suoi colleghi e qualche bamboccio che reclama un lavoro ma che non
gli va di lavorare. Invece è lui stesso che vuole presentare le proprie
dimissioni. La moglie riconosce che lui è un autentico fenomeno catodico ma dice
pure che comincia a dare i numeri per troppo stress, con tutte quelle cene, tutte
quelle donne da soddisfare, tutte quelle interviste, tutti quei processi montati a
suo carico, tutti quei numeri delle cose fatte da ricordare a memoria e da
snocciolare in piazza e in televisione: chilometri di autostrade realizzate,
tonnellate di immondizie rimosse, migliaia di case consegnate in tempo di record
ai terremotati, milioni di nuovi posti di lavoro creati, decine di migliaia di
evasori fiscali condonati per fare rientrare miliardi nelle casse dello Stato,
tutti i falsi in bilancio azzerati, tanti soldati, aviatori, marinai inviati a
riportare la pace nel mondo e a diffondere la civiltà presso i barbari che
minacciano la sopravvivenza della parte migliore dell’Occidente, faro e cordoni
della borsa dell’umanità.
Ahmed: Non poteva aiutare anche quei nostri poveri emigrati.
Karim: Perché secondo te non ci ha pensato? Ci ha provato e come. Solo che mentre
cercava di aiutare uno di loro, il film sul bel paese felice che ha sognato si è
interrotto proprio al momento che chiedeva ad uno di loro in difficoltà: Tu, come
ti chiami? E il nostro fratello è rimasto senza identità, senza nome.
Ahmed: Cosa potrebbe succedere dopo?
Karim: “Rien ici-bas ne dure”, niente è eterno su questa terra. Ormai il
Presidente pare invecchiato, patetico, sotto la maschera delle sue estreme
truccature. Il Re è nudo. Nudi appaiono anche tutti i baroni dell’intossicazione
culturale della televisione e della carta stampata e, presto o tardi, dovranno
essere spazzati via dalla rivoluzione numerica.
Ahmed: Che brutta parola! Siamo diventati dei numeri?
Karim: Numeri che contano. Ognuno di noi potrebbe ormai sedersi davanti ad un
computer e vedere, leggere, trasmettere, pubblicare liberamente tutto quello che
gli passa sotto gli occhi e per la testa, senza filtri e senza condizionamenti. E’
l’inizio della fine dell’ignominia e dei dinosauri. Dipende da ciascuno di noi
rallentare o accelerare questa rivoluzione in atto.
Ahmed: Perché non mi mandi al tuo ritorno un bel computer anche a me. Te lo
rimborso a rate.
Karim: E’ la casa stessa che li vende che ti offre un finanziamento rimborsabile
con comode rate a tasso zero e senza anticipo.
Ahmed: Davvero! Guarda che lo compro, uno strumento così efficace di
comunicazione, di dialogo e di pace. La guerra e dunque la miseria saranno
finalmente sconfitte. Non credi?
Karim: Ci vogliono molti sciamani e magari una Udagan per guarire l’anima malata
dei prepotenti.
Ahmed: Dopo mi darai tutte le istruzioni che serviranno. Vorrei proprio mettermi
al computer per leggere, scrivere, trasmettere e pubblicare le cose che non vanno
in questo paese e che corrodono l’anima mia. Il computer sarà almeno la spalla che
mi mancava, il mio punto di riferimento.
Karim: Sono contento. Finalmente ti è venuta voglia di fare qualche cosa di utile
a te e agli altri.
Avendo capito che i due parlavano di cinema straniero e di numeri e, visto che la
matematica non è un’opinione e che il digitale doveva essere qualcosa che somigli
ad un ditale, l’energumeno si è sentito sollevato dal compito di continuare a
tendere l’orecchio per spiarli. Si è alzato, ha sbadigliato, si è stiracchiato e
con un gesto ha salutato il cameriere.
Cameriere: A più tardi, fratello.
Sipario.
Musica di Franco Battiato, INNERES AUGE

Come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando


o uno sciame di api accanite divoratrici di petali odoranti
precipitano roteando come massi da altissimi monti in rovina.
Uno dice che male c'è a organizzare feste private
con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato?

Non ci siamo capiti


e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?
Che cosa possono le Leggi dove regna soltanto il denaro?
La Giustizia non è altro che una pubblica merce...
di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori
se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente.

La linea orizzontale ci spinge verso la materia,


quella verticale verso lo spirito.
Con le palpebre chiuse s'intravede un chiarore
che con il tempo e ci vuole pazienza,
si apre allo sguardo interiore: Inneres Auge, Das Innere Auge

La linea orizzontale ci spinge verso la materia,


quella verticale verso lo spirito.
Ma quando ritorno in me, sulla mia via,
a leggere e studiare, ascoltando i grandi del passato...
mi basta una sonata di Corelli, perchè mi meravigli del Creato!

Scena 3. La piazza del villaggio è ora gremita di bambini, di giovani e di


anziani, uomini e donne del paese, qualcuno in piedi, qualcuno su una sedia di
plastica, pochi seduti su tappeti di lana e stuoie vegetali, radunatisi per
assistere allo spettacolo teatrale. Il bar ha abbassato la serranda. Karim e Ahmed
hanno preso le due sedie del bar e si sono messi in mezzo al pubblico. Un sipario
è allestito con dei capi d’abbigliamento variopinti appesi a delle aste.
Spazio organizzato come sala colloqui di un carcere italiano: un vecchio tavolo,
due vecchie sedie e una piccola libreria. In un angolo un piccolo televisore. Una
donna e un uomo sono seduti una di fronte all’altro. Lei è una giornalista
italiana dal volto segnato ma ancora piacente, capelli corti, lo sguardo
intelligente sotto un paio di occhiali eleganti da vista, vestita in modo sobrio
con giacchetta leggera senza maniche, color bianco e blu scuro a quadretti,
maglietta blu e gonna lunga plissettata, un fascicolo di documenti sulle
ginocchia, sul tavolo un foglio con su scritta la scaletta delle domande, venuta
nel carcere per intervistare Mohamed, un condannato arabo maghrebino di bel
aspetto, con baffi, di età intorno ai cinquantacinque anni. Dei bambini formano un
cerchio intorno al regista. Il pubblico segue silenziosamente l’intervista. Si
sente ogni tanto il ragliare di un asino. Ad un certo momento si vede una donna
allattare suo bambino di pochi mesi.
Giornalista: Come è arrivato in Italia? (silenzio) E’ vero che è entrato come
clandestino?
Mohamed: Sì. E’ vero. Dovevo cambiare aria. Mi sono detto: lo vedi cosa sei
diventato; vivi come un fantasma; nessuno ti tutela, nessuno ti presta attenzione.
Allora ho pensato che chi non si muove non si vede. Ho atteso non so quanti giorni
e quante notti davanti al Consolato per ottenere un visto regolare. Tutto è stato
inutile. Mi hanno spiegato che potevo ottenerlo pagando qualche funzionario del
Consolato perché, pare, si usa oliare i meccanismi burocratici. Era ingiusto. Ho
preferito rischiare che subire due volte l’ingiustizia e ho deciso di emigrare
come clandestino.
Giornalista: Ci può raccontare la sua vita da clandestino?
Mohamed: Sono rimasto clandestino per due anni. Mi arrangiavo alla meglio. Dormivo
sotto i ponti. Ero spogliato di tutto, sfinito dal viaggio, dalla fame e dal
freddo, disperato, ma dovevo sopravvivere. Chi non ha la forza di andare avanti è
perso. In un secondo momento ho trovato rifugio in una casa abbandonata nelle
campagne vicine, occupata da altri clandestini chiusi come me all’interno
vorticoso di cerchi senza fine. Si preparava un fuoco e si parlava del passato e
del presente. Qualcuno ha viaggiato di notte. Mi bastava chiudere gli occhi per
rivedere il paese lasciato alle spalle, i figli, i parenti e gli amici, i cortei
ufficiali delle limousine, le bandiere, il servizio d’ordine, il popolo che ha
lottato e che aspetta il passaggio dei suoi carcerieri. Mi sembrava una marcia
funebre accompagnata dai rintocchi comandati delle campane che udivo in
lontananza. Non serve la forza per portarci nei campi di concentramento; in quei
campi già ci troviamo. Nella mente dei forti, è una giusta punizione. Durante il
giorno, cercavo continuamente un lavoro per poter mangiare. Ho sofferto
moltissimo.
Giornalista: Cosa faceva nel suo paese prima di decidersi ad emigrare, malgrado i
gravi rischi che correva e che conosceva, immagino?
Mohamed: Lavoravo come fabbro. Nel mio paese guadagnavo poco; i soldi non
bastavano mai. Io volevo un futuro migliore per i miei figli. Nel mio paese non
c’era futuro per loro.
Giornalista: Quanti figli ha?
Mohamed: Quattro figli: tre maschi e una femmina; l’ultimo maschio è italiano.
Sì… cioè è nato in Italia.
Giornalista: Da quanti anni è in Italia?
Mohamed: Sono venuto in Italia nel 1988
Giornalista: E’ da venti anni circa che lei si trova qui, in Italia. Dopo la
clandestinità, che lavoro ha fatto in Italia?
Mohamed: Come le ho detto, ho sempre fatto il fabbro, anche alla fine del periodo
di clandestinità. Anche qui in carcere faccio il fabbro (immagini registrate dalla
giornalista scorrono sullo schermo del piccolo televisore, mostrando dei detenuti
al lavoro in un carcere di recupero e di redenzione del Nord Italia; si vedono dei
falegnami, dei sarti, dei meccanici). Ho trovato un lavoro a Genova dove mi sono
sistemato per un periodo (riflette), per due anni. Dopo ho trovato un lavoro
meglio pagato sempre come fabbro, in un paesino vicino a Verona, dove vive tuttora
la mia famiglia.
Giornalista: I suoi datori di lavoro l’hanno descritta come un gran bravo
lavoratore. Apprezzano la sua serietà, la sua gentilezza e la sua puntualità
Mohamed: E’ vero, ho sempre lavorato duro, per i miei figli, per assicurare loro
un futuro. Ho fatto anche studiare i miei figli a scuola. I miei figli sono gli
anni che ho sofferto nel passato e miei anni a venire. Sono il mio futuro.
Giornalista: Pare che i suoi figli abbiano un forte accento veneto, un accento di
Verona addirittura.
Mohamed: (sorride. L’unica volta che sorride durante tutta l’intervista) Sì. Sì è
vero. Perché loro sono andati alla scuola degli italiani. I loro amici sono sempre
degli italiani. I miei figli non frequentano gli altri maghrebini.
Giornalista: Perché no?
Mohamed: Perché non va bene.
Giornalista:Non sarà mica razzista? E’ grave quello che dice. Casa sua si trova in
un quartiere di immigrati marocchini, tunisini, albanesi, senegalesi. Come fa a
non frequentarli?
Mohamed: Io non sono razzista; sono diffidente. I maghrebini hanno dei problemi e
creano sempre dei casini. Il mio paese è in serie difficoltà: c’è la crisi e tanta
ignoranza. I miei figli debbono fare la loro vita in Italia, una vita onesta e
tranquilla. Lavorare, mettere su famiglia, comprare una casa, essere buoni
mussulmani, insomma acquisire una stabilità e una dignità nuova.
Giornalista: Cosa intende dire per dignità nuova?
Mohamed: Una dignità moderna. Perché non c’è dignità nel conservare la nostra
dignità di oggi. Occorre una nuova identità, meno fragile della nostra. Si parla
della nostra nobile identità ma a volte è tragica, come la nostra vita stessa. Chi
non ha conosciuto le ingiustizie, i soprusi, il carcere, le torture nei nostri
paesi non può capire. Non manca solo il cibo, l’acqua, il lavoro. Ho fatto il
clandestino non solo per dare da mangiare alla mia famiglia ma anche per
assicurare un futuro ai miei figli. Per questo li ho mandati a scuola degli
italiani per studiare e soprattutto per imparare a vivere come si vive in un paese
moderno. Nel mio paese non vogliono che si faccia ciò che uno non sa fare; non
vogliono che uno impari, in nome della nostra identità, delle nostre tradizioni,
della nostra religione che si vuole opprimente e nello stesso tempo oppressa.
Anch’io sono rimasto ignorante. Pare che gli alberi del sud portino frutti strani.
Giornalista: E’ interessante quello che dice. Potrebbe precisare meglio.
Mohamed: Un mio amico egiziano che avevo conosciuto a Genova e che ha trovato una
bella sistemazione nel Nord Europa mi ha scritto una lettera dal “Centro di
Attesa” che l’aveva accolto; lo chiamano “Centro di Attesa” in attesa di trovare
un lavoro stabile. L’immigrato rimane ospite del Centro e riceve un piccolo
sussidio. Il mio amico ha scritto che questo Centro non è una galera dove sei
rinchiuso per anni; è un vero paradiso, in cui trovi un vero letto, una mensa, un
ambulatorio, delle assistenti sociali, un posto di polizia, dei luoghi per pregare
e anche un parco giochi per i bambini. La direzione ti spiega ciò che è
tollerabile fare e ciò che non lo è; ti obbliga ad indossare degli abiti puliti e
a fare i servizi di pulizia, ad imparare ad apparecchiare e sparecchiare la tavola
come si deve; dei volontari ti insegnano la loro lingua. Durante il giorno esci
per cercare un lavoro, magari provvisorio per arrotondare il tuo sussidio, per
fare delle compere. Quando lasci il Centro tu sai davvero cos’è il valore del
lavoro, quali sono i tuoi diritti e doveri e cos’è la convivenza. Io volevo
iniziare i miei figli alla vita moderna perché potessero trovare una nuova
identità, una nuova dignità. Capisce?
Giornalista: …Torniamo a lei. Mi parli dei suoi rapporti con i familiari (Con un
gesto facendo muovere la mano come per fargli capire che lei sa che lui è un tipo
manesco). Fuori casa, al lavoro, nel quartiere, lei ha un comportamento
ineccepibile, ma in casa…(Rifà lo stesso gesto minaccioso)
Mohamed: No. Non è vero.
Giornalista: Invece sì che è vero. Ho le carte del processo; qui ho le
testimonianze, rese a verbale, dai suoi familiari, dai suoi figli e da sua moglie.
Mohamed: Non è vero. Non ho mai picchiato i miei figli. Solo una volta, il più
grande, Mehdi.
Giornalista: Perché l’ha picchiato?
Mohamed: Il suo capo mi chiamò un giorno per dirmi che Mehdi mancava da giorni al
suo lavoro. Io avevo fatto di tutto per trovargli quel lavoro. Lei sa quanto è
difficile trovare un lavoro in Italia? Allora mi sono messo a cercarlo. L’ho
trovato al bar. Gli ho detto: Mehdi cosa fai al bar? Perché non sei al lavoro. Ha
cominciato a raccontare delle storie. Non ci ho più visto e gli ho dato solo due
schiaffi, malgrado la rabbia che tenevo dentro.
Giornalista: Sì, ma non è l’unica volta. Ho qui la testimonianza degli altri
figli. Tutti dicono che lei è violento, che lei si comporta come un padre padrone.
Mohamed: Non sono un padre padrone. Mi dica cosa dovevo fare? Sgridarli non
bastava. Io penso al loro futuro. Ho picchiato soltanto Mehdi, quella volta.
Giornalista: Anche il secondo figlio… aspetta come si chiama? Driss.
Mohamed: Sì, Driss. Era solo per educarlo.
Giornalista: E lei pensa che si possa educare i figli con la violenza?
Mohamed: Per correggere il figlio che sbaglia, per riportarlo sulla strada giusta.
Io cerco soltanto di assicurare un futuro ai miei figli, un futuro migliore della
vita che ho passato, dormendo sotto i ponti, vivendo come un ladro, da
clandestino. Io l’ho spesso ripreso a parole. Un giorno è venuto un carabiniere e
mi ha detto: stai attento, Mohamed, tuo figlio Driss non si comporta bene. La
prossima volta vi sbattiamo tutti in galera. Ma lui ha continuato ad avere delle
cattive frequentazioni, con gente che spaccia droga.
Giornalista: Veniamo al caso per cui è stato condannato con rito abbreviato a
quattordici anni e sei mesi di prigione. Parliamo prima di sua figlia Kauthar. E’
un bel nome che significa fiume del paradiso, mi dicono.
Mohamed: Sì paradiso, fiume del paradiso. E’ un bel nome. (si commuove)
Giornalista: Mi vuole descrivere sua figlia?
Mohamed: Era una ragazza buona, lavoratrice.
Giornalista: Non aveva compiuto vent’anni. Dicono che era bella, dolce, sempre
disponibile ad aiutare gli altri.
Mohamed: Sì. E’ così.
Giornalista: Quella sera, eravate tutti a casa. Stavate tranquilli, cenando
insieme. A tavola c’erano anche suo figlio e sua nuora Caterina.
Mohamed: Stavamo cenando quando squillò il telefonino di mia figlia. Era lui,
Mustafa. L’avevo capito dallo sguardo complice che si erano scambiate Caterina e
mia figlia.
Giornalista: E cosa ha fatto lei in quel momento?
Mohamed: Dissi a mia figlia di alzarsi e di andare in camera sua. Poi presi un
bastone e la raggiunsi per picchiarla. Stava sdraiata sul letto. La picchiai sui
piedi e sulle gambe. Lei cercò di scappare, scivolò e picchiò la testa contro il
pavimento. La chiamai ma non mi rispose. Le sollevai la testa e vidi che perdeva
sangue. Aveva vomitato pure… tutto quello che aveva mangiato. Poi sono arrivati i
carabinieri e mi hanno arrestato.
Giornalista: Senta, Mohamed, le ripeto, ho qui tutte le carte processuali; dicono
che i fatti si sono svolti diversamente. Lei si è alzato prima; è andato a
prendere un bastone nel ripostiglio poi ha invitato sua figlia a seguirla in
camera e lì ha cominciato a picchiarla. Caterina ha chiamato allora il 112. Ci
sono le registrazioni delle chiamate. L’appuntato di turno in quel momento ha
chiesto a Caterina le sue generalità e l’indirizzo di casa sua: Mohamed… via
Togliatti, numero civico 40.
Mohamed: Sì, via Togliatti, 40
Giornalista: e ha detto che avrebbero cercato di mettersi in contatto via radio
con una volante in servizio nella zona più vicina. I carabinieri purtroppo sono
arrivati in ritardo. Nel frattempo, lei continuava a picchiare sua figlia. Ho qui
le foto scattate dalla scientifica. Ha picchiato sua figlia su tutto il corpo,
sulle gambe, sulla schiena; si vede qui (mostrando una foto) la schiena
flagellata, segnata da solchi profondi. Le altre foto mostrano dei lividi sulle
ginocchia, le braccia, una ferita al cranio, i capelli macchiati di sangue. Per
sua fortuna… se possiamo parlare di fortuna, il medico legale ha scritto nel suo
rapporto che sua figlia non è morta a causa delle bastonate, ma perché aveva
rigurgitato tutto quello che aveva consumato a cena e che quasi certamente è morta
soffocata. Per questo il suo avvocato ha chiesto di patteggiare la pena con rito
abbreviato e ottenuto il minimo della condanna.
Mohamed: Io ho sempre amato mia figlia. Giuro che non volevo ammazzarla. Amo molto
mia figlia e tutti i miei figli. Chiedo a loro tutti perdono. Ho sbagliato.
Giornalista: Ma lei chiede perdono perché sua figlia è morta o perché lei si è
comportato in modo violento?
Mohamed: Ho sempre sognato di garantire loro un futuro migliore.
Giornalista: Imponendo le sue idee con la forza brutale?
Mohamed: Chiedo scusa a tutti. Ho sbagliato.
Giornalista: Lei ha capito dallo sguardo scambiato tra sua figlia e Caterina che
dall’altra parte del telefonino c’era Mustafa e lei non voleva che sua figlia
frequentasse questo giovane?
Mohamed: Non è vero.
Giornalista: Non dica bugie, Mohamed. Lei aveva già picchiato sua figlia un’altra
volta perché l’aveva sorpresa in macchina con lui.
Mohamed: Perché non mi piaceva quel ragazzo. Frequentava brutta gente. Una volta
un suo amico aveva violentato una ragazzina e lui era presente in quel momento.
Giornalista: Guardi che questa è una sua invenzione perché non risulta agli atti.
Quello che sta dicendo è grave: quel ragazzo rischia ora la galera oppure lei si
accolla un’altra condanna per diffamazione. Lei, comunque, si assume la
responsabilità di quello che sta dicendo. Io non c’entro con quello che lei
afferma. Se ne assume da solo tutta la responsabilità.
Mohamed: Sì, mi assumo la responsabilità di tutto quello che ho detto. Mia figlia
voleva quel ragazzo. All’inizio, le ho detto: se quel ragazzo ti piace, se lo ami
e lui ti ama per me va bene. Tu lo fai venire a casa, me lo presenti e io accetto.
Ma lui non si è mai presentato a casa; non è mai venuto a parlare con me.
Giornalista: Al processo lei ha detto che sua figlia era stata già sposata?
Mohamed: E’ vero, era sposata.
Giornalista: O era soltanto promessa?
Mohamed: Non era promessa, no. Era sposata. (Tira fuori dalla tasca due
certificati) Qui ho due carte che possono certificarlo… Questo è il certificato
del Ministero degli Interni per far venire suo marito in Italia. Guardi cosa è
scritto: sposata.
Giornalista: E’ lei che l’aveva promessa. Il giorno dopo che l’aveva picchiata in
macchina perché stava con Mustafa, aveva obbligato sua figlia a rientrare con lei
nel vostro paese…
Mohamed: Sì, perché lui non si era presentato a me, non mi aveva chiesto la sua
mano come l’aveva promesso a mia figlia.
Giornalista: Dove è andato ad abitare quando è rientrato nel suo paese?
Mohamed: A casa di mia sorella.
Giornalista: E sua figlia a chi era stata promessa?
Mohamed: Sposata, le ripeto… con il figlio di mia sorella.
Giornalista: Lo vede. Era un atto combinato in famiglia e imposto a sua figlia.
Mohamed: Non è vero. Guardi il certificato. Sopra c’è la propria firma.
Giornalista: La vedo la firma, ma tutto era stato combinato fra lei, sua sorella e
suo nipote per farli venire in Italia.
Mohamed: Non è assolutamente vero. E’ mia figlia che aveva chiesto di sposare suo
cugino. Mi aveva detto che la sua storia con Mustafa era finita, che si era
sentita presa in giro da lui perché non si era presentato a suo padre come le
aveva promesso.
Giornalista: Di ritorno in Italia…
Mohamed: Mia figlia ha ripreso a frequentare Mustafa e ha cominciato a dirmi delle
bugie. Ho scoperto pure che lei aveva una relazione particolare con una giovane
donna italiana. La sera che è morta, le avevo chiesto più volte se fosse andata a
letto con quel ragazzo, ma lei continuava a urlare: lasciami in pace, decido io
della mia vita.
Giornalista: Lei dovrebbe sapere che in Italia non si reprime con la violenza un
rapporto sessuale extraconiugale perché un altro non è d’accordo.
Mohamed: Lo so. Ho sbagliato. Perciò voglio chiedere scusa a tutti.
Giornalista: Guardiamo in televisione questa registrazione e sentiamo cosa dice la
sua famiglia.
(Si vedono seduti sul divano del salone il figlio Mehdi, magro, capelli lunghi, in
jeans, la moglie, un fazzoletto sulla testa con un lungo vestito maghrebino e il
figlio più piccolo nato in Italia; seduto su una sedia accanto, il figlio Driss.)

Mehdi: (accento fortemente veneto) Mio padre ha sbagliato. Ha avuto una vita
difficile. Ha lavorato per noi, per darci un futuro.
Moglie: (in dialetto arabo maghrebino) Misericordia, O Rabbi! Misericordia! Mia
figlia era sposata. Non poteva frequentare un altro uomo. E’ proibito nella nostra
religione.
Voce Giornalista: Cosa dice la mamma?
Mehdi: La mamma dice che lui ha sbagliato. Anche sua figlia ha sbagliato.
Giornalista: Perché per voi altri è una vergogna, una cosa insopportabile se una
donna sposata va a letto con un altro uomo o un’altra donna; una cosa che grida
vendetta, non è vero, Mohamed?
Mohamed: No, sì. Sono cose che non si fanno da noi. La gente poi parla male di
noi. Perché lui non si è presentato da me come aveva promesso a mia figlia e come
si usa fare da noi.
Giornalista: Se è venuto in Italia è proprio perché tante cose si fanno da voi e
che non si dovrebbero fare.
Mohamed: Ci sono strane usanze anche da voi.
Giornalista: Forse non è informato, ma da noi esiste una grande libertà.
Mohamed: Fino a poco tempo fa…
Giornalista: Che ne sa lei?
Mohamed: Lo so, come lo sanno tutti. Credete che non sappiamo niente e siete
sempre pronti a darci delle lezioni. Vi sentite sempre superiori. Le chiedo scusa;
non parlo di lei, ma di quelli che mi dicono da noi à così, da noi è cola.
Giornalista: E’ lei che ha appena detto che vuole costruirsi una identità moderna,
era una bugia?
Mohamed: Non significa che è sempre esistita una vera libertà da voi.
Giornalista: Se si riferisce al medioevo, ha ragione. Se si riferisce alle leggi
naziste e fasciste ha ancora ragione. Ma tutto questo è passato.
Mohamed: Da voi tutto ha un prezzo. Il corpo è vendibile come qualsiasi oggetto di
scambio. E’ libertà questa o è mercificazione? L’amore libero è una
mistificazione, una infelicità generalizzata. Il matrimonio, il rapporto fra uomo
e donna è un godimento effimero, è un affare. Da noi, purtroppo la realtà si è
imbarbarita. Io mi vergogno di quello che ho fatto, di me stesso, dell’identità
che mi è stata cucita addosso.
Giornalista: Forse c’è qualcosa di vero in questo suo sfogo. Sentiamo cosa dice
Driss.
Driss: Non lo so. Ha sbagliato mio padre.
Giornalista: Lei sa, Mohamed, che quando avrà finito di scontare la pena fra
quattordici anni, dovrà fare la sua valigia e rientrare definitivamente nel suo
paese. Così lo stabilisce la legge italiana.
Mohamed: (molto teso) Questo non è giusto. E’ una farsa. E’ uno scandalo. I miei
giudici sono gente razzista di estrema destra. Me lo aveva detto il mio avvocato.
Ho sbagliato. Chiedo scusa a tutti: a mia moglie, ai miei figli. Ho sempre amato
mia figlia. Chiedo scusa a tutti gli italiani, al presidente dell’Italia Giorgio
Napoletano, a tutti gli italiani.
Giornalista: Tutti ormai in Italia si difendono attaccando i giudici. Lei dice che
i suoi giudici sono di destra; per altri sarebbero di sinistra. I giudici sono
esseri umani come gli altri e l’umanità, si sa, è imperfetta, ma in Italia esiste
l’autonomia della magistratura e la legge si suppone uguale per tutti. E’ un
assioma che non ammette deroghe. Si può cambiare, ma dipende dalle circostanze e
dai rapporti sociali in campo e all’interno di regole precise.
(Scorrono di nuovo sullo schermo televisivo le immagini registrate a casa di
Mohamed)
Mehdi: Mio padre ha sbagliato ed è stato condannato. Infliggergli una seconda pena
non sarebbe giusto. Chi penserà alla casa, a noi? Cosa dovrà fare la mamma? Perché
punire anche lei? Poi c’è mio fratello più piccolo nato in Italia.
Driss: Mio padre ha bisogno della sua famiglia e la famiglia ha bisogno di lui.
Mohamed: Ho sbagliato. Chiedo scusa a tutti. Vivo in Italia da vent’anni. La mia
casa è in Italia. La mia famiglia è in Italia. Preferisco altri anni di carcere
che tornare nel mio paese di merda.
Moglie (in dialetto maghrebino, tradotto simultaneamente da Mohamed): Noi viviamo
in Italia, amiamo l’Italia ma amiamo anche il nostro paese. Il nostro paese ha
realizzato molte cose, ma rifiutiamo di vederlo in questa situazione di
arretratezza, di violenza, di sopraffazione dei più forti, di difficile
sopravvivenza.
Mohamed: Ho sempre amato mia figlia. Anche lei ha amato me. La vita le è sfuggita
per aver troppo amato. A mia moglie e ai figli vorrei dire di aver agito da idiota
ignorante. Per la nostra salvezza e per onorare la morte della nostra figlia,
dobbiamo imparare a cantare l’amore. E’ la nostra crudeltà la causa dei nostri
mali. Quando due fratelli si combattono con le armi, gli avvoltoi fanno festa.

La scena viene interrotta dall’arrivo improvviso delle forse dell’ordine: avanzano


due carabinieri in moto Kawasaki di grossa cilindrata; un autocarro Ducati con
poliziotti a bordo, che non si vede, si ferma all’ingresso della piazza;
dall’autocarro scendono un sottoufficiale di polizia in tenuta borghese, armato di
pistola e un poliziotto con il mitra in pugno. L’allestimento viene distrutto; i
due attori, il regista e due tecnici arrestati e portati via.
Regista: (urlando sotto i colpi) Corsari, giù le mani dal teatro!
Sottoufficiale di polizia: (urlando all’attrice) Attrice del c…str…Ti farò fare io
l’intervista.

La folla scappa in tutte le direzioni.


Sipario
Si sente Jacques Brel cantare “La Chanson des vieux amants”
“Bien sûr nous eûmes des orages
Vingt ans d’amour c’est l’amour folle
Mille fois tu pris ton bagage
Mille fois je pris mon envol.
Et chaque meuble se souvient
Dans cette chambre sans berceau
Des éclats des vieilles tempêtes.
Plus rien ne ressemble à rien
T’avais perdu le goût de l’eau
Et moi je suis de la conquête.

Ô mon amour, mon doux, mon tendre,


Mon merveilleux amour
De l’aube claire jusqu’à la fin du jour
Je t’aime encore, tu sais, je t’aime.

Moi je sais tous tes sortilèges


Tu sais tous mes envoûtements.
Tu m’as gardé de piège en piège
Je t’ai perdu de temps en temps.
Bien sûr tu pris quelques amants
Il fallait bien passer le temps
Il faut bien que le corps exulte.
Et finalement, finalement
Il me fallut bien du talent
Pour être vieux sans être adulte.

Ô mon amour, mon doux, mon tendre,


Mon merveilleux amour
De l’aube claire jusqu’à la fin du jour
Je t’aime encore, tu sais, je t’aime.

Et plus le temps fait cortège


Et plus le temps fait tourment.
Mais n’est-ce pas le pire piège
Que vivre en paix pour des amants.
Bien sûr tu pleures un peu moins tôt
Je me déchire un peu plus tard
Nous protégeons moins nos mystères
On laisse moins faire le hasard
On se méfie du fil de l’eau
Mais c’est toujours la tendre guerre.

Ô mon amour, mon doux, mon tendre,


Mon merveilleux amour
De l’aube claire jusqu’à la fin du jour
Je t’aime encore, tu sais, je t’aime. ”

Scena 4. Karim e Ahmed si ritrovano dopo cena al bar della piazza del villaggio
per riprendere la partita di carte interrotta all’inizio dello spettacolo
teatrale.
Ahmed: Lo spettacolo teatrale mi è piaciuto molto. L’atmosfera che si è respirata
era emozionante, davvero inebriante. Malgrado la repressione, il popolo finirà per
risvegliarsi e ribellarsi. Prima però, ognuno di noi dovrà masticare la propria
coscienza come ha fatto Mohamed, perché nessuno ha le mani abbastanza pulite per
denunciare le ingiustizie.
Karim: La gente passeggia il giorno del mercato. Tutti parlano con tutti, nessuno
in particolare parla a tutti, non del peccato, dei miracoli che guariscono gli
ammalati e resuscitano i morti, ma della miseria, della rivolta, delle riforme
necessarie. Si affida la cura collettiva ai ministri dell’impossibile, una cura
tanto più scioccante quanto è più grande la miseria. Miseria e smarrimento in
tutta devozione. Tutti accorrono, piangono, offrono, pregano. Sono convinti che
altrimenti ci sarebbe il caos. La demagogia chiede dei sacrifici e Dio la decima,
con la promessa di ritorni decuplicati. Ritorni difficili da raccogliere. Invece
il loro intervento è richiesto ora. Ora o mai più. Cosa aspettano per agire? La
parola utile è soffocata. Ecco perché il teatro in piazza è importante. Il teatro
è una scuola e anche un luogo di lotta contro il silenzio in cui la memoria non va
in prescrizione.
Ahmed: Povero Mohamed e poveri noi vittime della demagogia politica e spirituale,
dello sfruttamento e del nuovo antisemitismo.
Karim:L’Europa ti sfrutta ma non usa calci e pistole. I nostri fratelli del teatro
saranno ora in arresto in qualche commissariato di polizia. Questo tu lo chiami
nuovo antisemitismo? Noi siamo vittime della nostra ignoranza e della nostra
violenza. Il vero razzismo esiste soltanto là dove viene praticata
sistematicamente la politica coloniale dell’apartheid; è una politica premeditata,
è odio puro, atavico, pulizia etnica. L’Europa emargina i poveri e gli sconfitti;
è nello stesso tempo egocentrica e campanilistica, ma ti lascia fare se vuoi re-
inventare e auto-organizzare una convivenza. Non è violenta in se, non ha amore,
ecco; c’è competizione.. …
Ahmed: Mi fai venire in mente un gioco televisivo molto seguito dal pubblico
americano. Vuoi sentire? Si chiama il gioco della sincerità. Il concorrente deve
rispondere ad un certo numero di domande davanti ai familiari presenti fra il
pubblico dello studio televisivo. Una macchina della verità appunto controlla se
il concorrente è stato sincero oppure no. Alla prima bugia rilevata dalla macchina
viene eliminato. Se risponde correttamente a tutte le domande, vince un botto di
soldi, credo un milione di dollari. Uno di questi bravi concorrenti doveva
rispondere ancora a due domande soltanto:
Intervistatore: Lei ama la famiglia di sua moglie?
Risposta: Sì.
Intervistatore: Sentiamo la macchina…Corretto! Andiamo avanti, ma dopo i “Consigli
per gli acquisti”…
Passano due minuti poi arriva l’ultima domanda: Lei è mai andato a letto con la
sorella di sua moglie?
Silenzio pesante nella sala. Il concorrente esita, si attarda a rispondere poi,
quasi allo scadere del tempo regolamentare dice: Sì.
Intervistatore: Un attimo solo. Ecco: la macchina ha finito di controllare la
risposta…Il concorrente è stato…sincerooo!
Tripudio nella sala. Il pubblico si alza in piedi, urlando di gioia. La moglie del
concorrente grida: Bravo! Bravo, amore mio!
Karim: Si vive in una società consumistica dove ogni giorno s’inventano nuove
esigenze e si moltiplicano i desideri. L’occhio diventa ciclopico ed il braccio
rimane corto. Siamo tutti presi in giro dai commercianti, multinazionali di denaro
pulito o riciclato, di armi, di jeans, di hamburger, di droga, di pornografia, di
pubblicità commerciale o politica, commercianti annidati ovunque e che parlano la
stessa lingua. Hanno cancellato i vecchi comandamenti e inventato altri. E’ un
vero racket della civiltà. La vita è dirette dal denaro e pure l’arte. C’è il
vuoto ma si vende e qualcuno compra. Per fortuna, si assiste al tentativo di un
ripensamento generale perché il divario fra ricchi e poveri è cresciuto a
dismisura, l’equilibrio ecologico è a rischio. I ricchi e i poveri hanno perso
fiducia nel domani. Il sistema non regge più da solo.
Ahmed: Tu non credi nel razzismo ma allora perché quando un maghrebino, un arabo o
un africano commette un reato, si parla di difficoltà di integrazione e se un
italiano commette lo stesso reato, il reato è considerato solo un problema
sociale?
Karim: Penso si tratti anche di errori che commettono dei legislatori
disinformatiti, impreparati o mal consigliati; i governi, i partiti sono senza
idee, incapaci di affrontare serenamente dei problemi tutto sommato nuovi. Non
hanno una politica di integrazione, non sanno nemmeno cos’è. I loro programmi sono
incoerenti, improvvisati. Spesso quando un politico non sa cosa dire, ne parla a
lungo. Non capiscono le messe in latino ma c’è chi vuole insegnarlo nelle
moschee. E’ facile poi generalizzare, soprattutto quando qualcuno ti aiuta a
pescare nelle acque torbide, a diffondere falsità, a ripetere i luoghi comuni
invece di sollevare delle questioni concrete. L’Africa si riassume con due
immagini: le mosche agglutinati sul viso dei bambini in mezzo ai denutriti e i
safari turistici; a Cuba esistono solo i sigari cubani e le ragazzine pronte a
vendersi per un mezzo pugno di dollari al primo turista bianco; il Brasile
significa calcio, carnevale carioca e favelas; i mussulmani, narghilé e
terrorismo. Il pubblico televisivo o il lettore dei giornali lo sa, non è
completamente stupido, rielabora i concetti diffusi per conto suo, liberamente, al
meno fin quando esisterà la libertà di pensiero in Occidente.
Ahmed: A forza di miracoli e di boom l’Occidente è scoppiato. All’Oriente toccava
fare boum, boum per campare.
Karim: E’ una canzone di un vecchio film che conosco. Il mondo intero è ammalato.
Più che mai, vivere vuol dire tramare, come il ragno che tesse la sua tela o come
l’insetto che lotta per uscirne, come i feti che riproducono nuove forme di
esistenza senza fine, che vogliono operare nella vita e nell’arte. Che paradossale
utopia non distinguere la vita dall’arte! (Pausa per segnare il punteggio con il
gesso)
Ahmed: Non sapevo che sei stato all’estero. Lo sai che mi hanno ritirato il
passaporto da mesi e mesi pur non avendo commesso alcun reato.
Karim: E tu non mi hai mai parlato del passaporto. Cosa ti hanno detto?
Ahmed: Solo perché mio cugino l’avvocato si era permesso di firmare una petizione
contro l’inerzia del governo, a favore degli abitanti di Gaza e di Gerusalemme che
stanno vivendo l’inferno, una shoa senza carburante. Queste cose non si possono
leggere da anni sulla stampa né vedere in televisione.
Karim: Anche in Europa. Sono immagini e racconti proibiti dalle stesse persone che
manifestano in piazza per la libertà di stampa. Perciò scivoliamo se non vogliamo
rischiare. Qui ci sono occhi e orecchie dappertutto… Ora tocca a te dare le carte…

Ahmed: Cosa sei andato a fare all’estero?


Karim: Sono stato invitato a dare una conferenza sui villaggi berberi e ho
accettato con la speranza di riuscire a convincere il pubblico che la differenza
che esiste tra un villaggio berbero e una metropoli europea non è come pensano ma
che dipende dalle stelle, essendo di natura cosmica. Queste cose loro non le
sanno.
Ahmed: Non sanno che il divario è cosmico?
Karim: E’ come il giorno e la notte. Il giorno è il quotidiano che cattura
l’attenzione, l’interesse; la notte è il cielo, le stelle, è degli amanti
dell’infinito. Loro razionalizzano, inquadrano il campo del possibile e calcolano
tutto, con il metro, il cronometro, il prezzo di riferimento, i costi e i
benefici, il Pil, i parametri di Maastrischt, fino al ridicolo, come quando
ballano. Si vestono in modo elegante quando vanno a ballare, quando vanno a
cavallo, quando corrono in bicicletta, quando vanno a sciare, anche quando vanno
in guerra. Nudi, sembrerebbero delle stecche da biliardo. Ballano al tempo, il
passo è corretto, un, due, tre, quattro, cantano in coro, ma sono così goffi, così
rigidi da sembrare le statuine di un museo delle cere. I dervisci turchi rotanti
sono fuori dal loro angolo d’incidenza.
Ahmed: Non conoscono l’improvvisazione, la spontaneità del movimento.
Karim: Per loro il tempo, cioè la storia, scorre lungo una linea orizzontale:
c’era ieri, c’è oggi e ci sarà domani. Non possono neanche immaginare che ci possa
essere una linea verticale, una linea di elevazione, di ascensione, che la linea
stessa non vuol dire per forza una linea dritta, ma che potrebbe essere curva,
sinusoidale, sferica, infiniti meandri dove il tempo non è compresso.
Ahmed: Cosa ti hanno chiesto di raccontare?
Karim: Io volevo parlare della lotta della gente per fermare le dune del deserto
che avanzano, dei palmeti, delle spezie, delle stelle e dei giochi di divinazione,
dei disegni geometrici sulla sabbia, tracciati per l’invocazione e
l’interpretazione dei messaggi degli spiriti. Anche da loro ci sono delle palme
rigogliose ma il cielo è meno stellato e le palme non fanno il frutto perché
soffrono di solitudine. Le nostre palme producono datteri e linfa zuccherina ma,
da anni, soffrono di un male misterioso e incurabile. E’ Dio che l’ha voluto o è
l’opera dell’uomo? Quale uomo? Quello delle tribù in guerra fra loro o l’arabo
devastatore o l’occupante sfruttatore o gli attuali satrapi nostrani con qualche
brevetto d’arte marziale per tutta formazione?
Ahmed: Cosa hai detto ancora?
Karim: Ho detto che, dopo due settimane passate da loro, sento crescere in me la
nostalgia di ritrovare l’aria secca e fresca del deserto, l’odore dei cammelli e
la loro andatura pesante sulle dune o in mezzo ai sassi e ai pochi alberi che
guidano la loro marcia, il pane, la grossa piadina delle nostre vecchie beduine.
Ah! La migliore piadina del mondo; non puoi dimenticarne il profumo! Mi piace
respirare l’aria che sprigiona il sangue caldo dell’uomo del deserto, guardare i
suoi gesti mentre ascolto le sue esperienze. C’è un’emozione immediata nei suoi
racconti, un’apertura istintiva a tutte le questioni dell’esistenza, una ragione
del cuore, se si può dire.
La loro anima è diversa. È un’anima bramosa, scissa e dolorosa, colma di paure dei
fantasmi, di esorcizzazione. La loro città, con le sue vie eleganti, l’aria
irrespirabile e i rumori sembra un bazar, di alta moda certo, ma che ti costringe
ad affrettare il passo; ci si va per disperazione, come i tifosi del calcio che
vanno allo stadio per fare casino o i giovani che il sabato sera cercano lo sballo
fino all’alba.
Ahmed: Cosa volevano sentirti dire invece?
Karim: Un discorso descrittivo di cose che accendono il desiderio, la cupidigia
dei turisti e dei fabbricanti di poèsie che non vedono la natura come qualcosa di
sublime con sentimenti meditativi, magari che non prevalgano sulla ragione e con
l’immaginazione che nutre l’analisi critica, ma che la vedono con l’occhio
soddisfatto come se fosse un tappeto di buona tessitura oppure un vestito su
misura. E’ una visione marginale, mediocre, carnale. Una visione di chi sfrutta e
prende in giro i deboli, gli ingenui e gli oppressi. Come se tutto fosse
definitivo senza pulsazioni vitali, a disposizione di chi compra. (vedi hai fatto
un altro sbaglio. Non dovevi tenerti in mano quel sette)
Per tornare a Mohamed, penso che le barriere, gli ostacoli alla libera
circolazione di persone e di idee, non proteggono l’Occidente ma gli impediscono
di crescere e di sfruttare la vitalità, le grandi riserve di entusiasmo, la
creatività e l’energia che ci sono anche da noi.
Ahmed: Allora perché Mohamed ha tanta paura di essere rinviato nel suo paese, dopo
aver scontato la pena, se il suo paese è così entusiasmante, così cosmico come
dici, oggetto di tanti desideri e cupidigia?
Karim: A volte non vedi come stanno le cose. Sbagli come quando giochi a carte.
Perciò perdi sempre con me.
Ahmed: Solo quando mi distraggo. Da loro, è vero, c’è il paradiso artificiale, ma
è qui che si producono, diciamo… i papaveri.
Karim: Non si spiega niente con le battute facili. A parte il fatto che Mohamed
vive in Italia da vent’anni, egli trova che questa legge italiana non va nel senso
dell’integrazione. Come fidarsi dei discorsi che si fanno in Europa sui diritti e
doveri, sull’uguaglianza, la fratellanza, la giustizia, le pari opportunità, la
democrazia?
Ahmed: Perché tu ti fidi?
Karim: Ogni altra scelta oggi è impossibile. L’alternativa la dobbiamo costruire
noi. E’ l’imperfezione umana che porta alla violenza dei forti e alla resistenza
sacrosanta dei deboli. L’imperfezione umana caratterizza anche i deboli e diventa
violenza contro i forti, terrorismo e autodistruzione. Come funziona oggi, la
democrazia non basta a ridurre le imperfezioni; è una democrazia di blocchi, di
lobbies, di partiti che continuano a perdere la loro credibilità. Dobbiamo fare
crescere la democrazia di base, trovare il modo di rendere la democrazia
partecipativa più efficiente, meno manipolata dai forti e dai furbi.
Ahmed: Ha parlato Zarathustra. Sai sempre tutto, vuoi spiegare sempre tutto. Ti
manca un po’ di conoscenza di psicologia. Se tutto fosse razionalizzabile come
fai, non ci sarebbero tutti i casini che ci sono nel mondo.
Karim: Io non affermo, non dico ciò che è vero. Nessuno lo può dire. La ragione ci
permette di dire soltanto ciò che è sbagliato, ciò che è falso, ciò che non
funziona e che bisogna eliminare per poter andare avanti.
Ahmed: Parlavi prima di meditazione, di natura, di elevazione e, adesso, parli di
ragione.
Karim: L’una non esclude l’altra. Anzi, la ragione e l’ascensione vanno insieme.
Usate separatamente diventano pericolose. Nel caso di Mohamed, la legge sul suo
rimpatrio non solo manca di elevazione, in quanto dimentica l’uomo e i suoi
diritti, ma non è nemmeno razionale. Perché i suoi figli diventeranno cattivi. Il
canto delle stagioni non racconterà più soltanto il desiderio.
Ahmed: Forse è per queste ragioni se i giovani maghrebini si orientano sempre più
verso le moschee. Assistiamo oggi ad un riflusso tanto impetuoso quanto strano dei
giovani verso la religione. Nel periodo della lotta contro il colonialismo, si è
cercato di copiare l’Europa. Sono nati i partiti, i sindacati, i movimenti
femministi; le moschee erano quasi deserte; sono state fatte delle riforme nel
campo sociale, agrario, dello statuto personale, eccetera. Oggi invece cosa c’è?
Da una parte ci sono i movimenti religiosi che hanno occupato quasi tutto lo
spazio reale e virtuale. Dall’altra parte i nostri governi che governano senza
alcuna legittimità popolare, tentano con vario esito di contrastarli ma nello
stesso tempo costruiscono moschee dappertutto, in gran parte con i soldi degli
emiri arabi. Distruggono interi quartiere e cacciano i loro abitanti per
edificare moschea sempre più grandi, progettate da architetti ebrei e cristiani.
Ma i giovani, credimi, non stanno né con gli uni, non con gli altri. Non trovano
lavoro, né giustizia. Nessuno che li incoraggia. Non hanno interlocutori. Non
possono espatriare. Sono senza bussola. Nella religione cercano confusamente un
motivo di ristrutturazione della propria identità e di coesione della società.
Karim: Le Crociate hanno avvelenato l’Occidente al punto di dimenticare che quello
che abbiamo in comune sono le nostre differenze. Quanto ai nostri giovani dobbiamo
insegnare a loro ad ascoltare gli anziani. Debbono sapere che l’Islam è
incompatibile con il terrorismo. L’Islam è tolleranza e comprensione. I martiri
dell’Islam si lasciavano insultare e lapidare, pregavano invece di ammazzare. La
Jihad non voleva dire guerra e stragi, quando c’erano Mecca e Medina. Il Corano
non obbliga le donne a portare il velo. L’autorità che Dio dà agli uomini sulla
donna è un invito agli uomini a controllarsi, a sostenere la donna economicamente
e a proteggerla da ogni forma di violenza. E’ la stessa condotta che si chiede nei
riguardi dei deboli, degli orfani. di ogni essere umano, della natura, delle arti
e della scienza. Autorità vuole dire capacità e tutte quelle virtù universali che
hanno permesso all’Islam di espandersi da Marrakech al Bangladesh, di conquistare
il cuore degli uomini e delle donne, non certo grazie al terrore, al contrabbando
delle armi e della droga e alle sartorie del velo. L’Islam in guerra contro i non
mussulmani è una idea assurda. L’Islam è spiritualità, quella stessa che respiri
nell’immensità del deserto e che ti fa sentire di essere granello di sabbia e, nel
medesimo tempo, dune, cielo e stelle.
I giovani debbono sforzarsi a rileggere i principi dell’Islam e a catturare gli
impulsi positivi che vengono da fuori; sapere che l’Islam può ritrovare la sua
vitalità senza dover ricorrere a modelli importati. L’Islam non ha bisogno di
modernizzatori, né di riformatori, né di integratori. Non è l’Islam che ha
esaurito la propria propulsione, sono i mussulmani che non vedono il vuoto che
riempie il loro cuore. I mussulmani debbono seguire la via di Dio, cercare nel
Corano una vita spirituale e, con un approccio nuovo, seguire ciò che vale nel
mondo di oggi. E’ il Corano stesso che raccomanda di essere vigili e di adattarsi
alle trasformazioni e ai cambiamenti insiti nella vita degli uomini e delle
nazioni. Ciò dovrebbe essere più facile per un buon mussulmano perché nell’Islam
ci sono meno vincoli, meno lacci e laccioli e certamente più democrazia che in
altre religioni.
Purtroppo i tempi sono cambiati. I fondamentalisti islamici usano il Corano come
manuale del terrore contro i “nuovi crociati”, contro la maggioranza dei
mussulmani, contro le donne, contro la propria fede e contro se stessi.
Gli islamisti “moderati” sostengono di essere gli unici detentori della verità
coranica. Tutti gli altri hanno torto. La critica non è ammessa. L’uomo che non ha
dubbi, non ha idee. Il dubbio è l’humus che nutre la scienza, il progresso, la
speranza del sofferente. Vogliono avere quattro mogli ma sono contrari
all’educazione sessuale nelle scuole. Se continuano a pensare in questo modo, di
credere di essere i migliori, non andranno da nessuna parte. Non meritano la
religione che proclamano. C’è da diffidare da loro.
Ahmed: E’ anche colpa di chi ha voluto creare lo Stato d’Israele.
Karim: Più che di Israele è lo Stato delle potenze che l’hanno creato per rimanere
padroni del mondo. I sionisti che hanno combattuto per averlo e continuano a
combattere per mantenerlo e magari ampliarlo lo reclamano come Terra Promessa al
proprio popolo. Cos’è questo popolo scelto? Un popolo di preti? Cosa voleva fare
Dio degli altri miliardi di uomini? E’ giustizia divina separare dall’odio
reciproco ebrei e mussulmani che hanno vissuto più di mille anni insieme in pace?
Commettere una grave ingiustizia ai danni del popolo di Palestina? Venire
dall’Occidente per dire all’altro questa non è la tua terra, questa è la terra che
vogliamo colonizzare? Vedere i bambini di genitori slavi o sassoni aprire gli
occhi sul sorriso della madre, una ricca colazione, strade pulite e ordinate, una
scuola accogliente, piena di libri e di giochi, mentre i bambini palestinesi
aprono gli occhi sul fosforo che, come una nube bianca si sparge sul lembo di
terra rimasto e sui loro crani? Alzare, in barba alle leggi internazionali, un
muro alto otto metri e lungo settecento chilometri, con porte e trincee, perché
l’altro non abbia il diritto di muoversi, di spostarsi? Terra Santa la chiamano.
Città eterna ma più volte rasata al suolo.
Con l’arroganza del potere incontrastato finanziario e militare, scherzano dicendo
che il muro è fotogenico e comunque non inquina l’aria; che l’era dell’Hi-Tec ha
confinato i cammelli nel luna-park. Con cinismo senza pari, giustificato
dall’arrendevolezza degli Stati arabi, hanno deciso di sbarazzarsi dal pericolo
demografico e di re-inventare la Storia, chiamando ingenui gli uomini di buona
volontà ed i tribunali internazionali perché non possono cambiare il corso della
Storia con le belle parole, così come in Germania, non avevano potuto cambiarlo
milioni di tedeschi per bene.
Ahmed: Siamo tutti Mohamed, con una valigia e un foglio di via in mano; ma per
dove, buon Dio? Si è fatto tardi. Domani mi alzo presto. Devo bruciare quattro
palme che non stanno più in piedi. Perché non vieni pure tu a darmi una mano,
l’altra che ti è rimasta libera?
Karim: Andiamo via. Paga prima il conto. Hai perso anche stasera. Mi vieni a
svegliare domattina se vuoi una mano. L’unico agronomo che conosco e che poteva
aiutarci è stato condannato anche lui a sette anni di carcere perché l’hanno
sentito dire che all’attuale Ministro dell’Agricoltura piacciono il mango e le
mandorle d’Israele. La notte porta giudizio. Ma quando verrà l’alba? Continuiamo
nel frattempo ad interrogare le stelle sopra questo villaggio. Buona notte
fratello.
(I due vanno via in direzioni opposte. Karim canticchiando una vecchia canzone
maghrebina)
Benvenuta ostetrica
Dolce e piacevole donna
Annunciatrice di buona novella e di buona fortuna
Liberami da questo fardello
Dio ti colmerà di ogni bene
Mi alzerò il settimo giorno
E ti coprirò di ricchezze dalla testa ai piedi.

Sipario

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