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CAPITOLO XXIII Nei mici lunghi mesi di segregazione alle Isole in ore € ore di ozio che mi pesavano gravemente sull’animo preparai un manoscritto e feci in mado di farlo pervenire segreta- mente a Caienna al Governatore Juvanon. Era un lavoro fat- to con passione nel quale descrivevo minutamente le soffe- renze € i tormenti a cui erano sottoposti i condannati e rive- lavo quel che dovevano soffrire della noncuranza della co- lonia penale. Lo mandai al Governatore con un’umile sup- plica di leggerlo e con questa dedica: «A §. E. il Governatore Juvanon che con a sua indul- « genza mi salvd dalla segregazione e mi fece comparire da- « vanti alla Commissione Disciplinare invece che al T. S. M. « per il mio terzo tentativo di evasione. Con riconoscenza, « 46.635, Renato Belbenoit ». Il Governatore ricevette il manoscritto poche settimane prima di lasciare Caienna per un giro d’ispezione alle Isole e quando giunse ai quarticri degli incorreggibili sull’Isola Reale, mi fece comparire davanti a lui. Mentre ero fermo sull’attenti mi ringrazid per il manoscritto dicendomi: — Se avrete un rapporto di buona condotta per tre mesi fard in modo che siate cancellato dall’elenco degli incorreggibili. — Grato del suo interessamento verso di me, gli assicurai che avrei fatto del mio meglio. Le settimane trascorsero e furono dure e il mio cuore era sempre in tensione mentre facevo tutto il possibile per evi- tare un solo rapporto contro di me da parte delle infide guar- die. Quando infine ebbi superato i miei tre mesi di buona condotta, mandai una lettera al Governatore ricordandogli la 192 GHIGLIOTTINA SECCA promessa. E col primo battello venne immediatamente la sua risposta, con istruzione al Comandante di togliermi dagli in- correggibili e aggiungendo che dovevo essere mandato al pe- nitenziario di Caienna con il primo battello. E cosi nel novembre del 1927 ritornai al continente ¢ per la prima volta vidi Caienna. Mi trovavo nella colonia penale da quasi sei anni ¢ infine ero nel penitenziario preferito dai condannati; finalmente ero giunto alla capitale, al centro delle attivita civili e penali della Guiana Francese. Ma il Governatore Juvanon della cui preziosissima protezione avevo goduto fu richiamato in Francia e non riuscii pid a vederlo. Caienna @ un abisso di degenerazione umana. E la capi- tale che ci si deve aspettare in una colonia che dopo esser stata per pili di trecento anni possedimento francese e il solo di tutto il continente sudamericano, all’Esposizione Coloniale del 1931 di Parigi poté mandare solo ali di farfalle e scim- mie imbalsamate. Caienna! I forzati la chiamano Citta del Rum! Sebbene sia la principale di una delle pid vecchie co- lonie francesi, & capitale di una colonia senza colonizzatori. Perché chi si sentirebbe di stabilirsi dove ad ogni istante si trova davanti a forzati ¢ solo a forzati? Fondata nel 1626, la Guiana Francese fiori per due secoli finché nel 1848 fu abolita la schiavith. Allora le vaste pian- tagioni fallirono perché i negri africani liberati si’ sparsero nella giungla del Sudamerica e si rifiutarono di lavorare. Le autorita coloniali pensarono di aver trovato un espediente per rimediare alla situazione mandando quattro battelli_gremiti di indocinesi. Ma i gialli invece di lavorare nelle piantagioni piantarono botteguccie esercitando il commercio; non ci fu pit. nessuno che lavorasse nelle vaste piantagioni ¢ le cose andavano di male in peggio. Ed ecco I’idea del lavoro bianco sotto il regime di Napo- leone III nel 1852 € l’origine alla Colonia Penale. Da allora Ja Guiana Francese come colonia @ in completo decadimento. Nel 1852 vennero mandati nel possedimento trecento ¢ TENTATIVO DI FUGA PER MARE CAPITOLO XXIIT 193 cinquantaquattro forzati e da allora ne sono giunti pid di cinquantaseimila, Dapprima, per parecchi anni, appena scontata la condan- na venivano riportati in Francia. Allora ci si interessava del- la colonia e sorse l’idea che se i forzati fossero stati costretti a fermarsi si sarebbero sposati con le donne del luogo aven- done bambini, si sarebbero rifatti una vita e la colonia avreb- be avuto coloni forti ed induriti. Percid negli statuti della colonia penale si aggiunse la pena accessoria del « doubla- ge». Un forzato liberato avrebbe dovuto trascorrere come « liberato » un periodo di esilio pari alla sua pena originale. Ma nessuno voleva avere nulla a che fare con i forzati liberati e costretti a rimanere nella colonia. Nemmeno le don- ne nere volevano sposarli; chi era abituato a vederli incate- nati ¢ inquadrati li evitava e ci si cominciava a spaventare del loro numero crescente. Tutto questo fece avere alla co- lonia una cattiva nomea in Francia e chi cercava nuove terre se ne andava altrove; e cosi dal giorno in cui venne stabi- lito il sistema penale il possedimento decadde rapidamente diventando un centro di illegalitt, degenerazione, poverta e miseria senza pari al mondo. Oggi la Guiana Francese, rovinata, é il paese della futi- lita. Ha meno di ottanta chilometri di strade, compresa la tragica « Route de la Mort» che Alberto Londres battezzd « Route Zéro » perché costruita nella giungla col lavoro dei forzati, non ha né principio né fine. Non c’é un chilometro di selciato, non un’industria, non una fabbrica, non una fer- rovia. Una volta al mese un vapore mercantile arriva carico di provviste € ritorna vuoto. Solo si & sviluppato il sistema penale piantato ottantacinque anni prima. Nei villaggi si tro- va una certa quantita di negri ¢ i cinesi esercitano il magro commercio. E Je colonie adiacenti ¢ prospere della Guiana Olandese ¢ Britannica fanno sforzi disperati per contenere Londata dei miserabili forzati.dai loro confini invitanti. La Francia ha capito da molto tempo che il suo progetto é totalmente fallito. Una volta famosa per il pepe di Caienna, 13 + Ghigliotting 194 GHIGLIOTTINA SECCA per la produzione di spezie, di zucchero e di legni preziosi, la colonia esporta ora solamente oro grezzo cd é ora solo un esilio per criminali. Ogni governatore che arriva cerca di svi- luppare qualche attivita; uno la coltivazione del caffé, l’altro il bestiame, un altro ancora il cacao. Ma nessun elemento della popolazione é interessato nello sfruttamento e ogni sfor- zo fallisce totalmente. Perfino i! bestiame da carne deve es- sere importato. Brutta e repulsiva, Caienna @ la dimostrazione del com- pleto fallimento dell’esperimento francese ¢ nella stessa Fran- cia quel nome é sinonimo di prigionia, e desta nella mente di ogni Francese i] pensiero di assassini, ladri e fuori legge. La cittd si stende lungo la costa per circa un chilometro ¢ mezzo ed é soffocata a sud, all’est e all’ovest dalla grande foresta equatoriale della costa settentrionale dell’America del Sud. Cinque brutte strade, parallele al mare, si dipartono dal mercato e dal molo per finire alla stazione radiotelegra- fica, dove comincia la giungla e si trova il penitenziario. Sono le vie principali della citta e vengono tenute abba- stanza pulite, sebbene non siano selciate. Ma le viuzze tra- sversali sono qualcosa di veramente brutto. Presentano un aspetto di estrema trascuratezza e sono ingombrate di canne ed erbaccie. Ogni tanto gruppi di forzati vengono messi ad estirparle ma una settimana pit tardi V’aspetto delle strade non é certo migliore. Le fogne ed i pozzi sono pieni di fango ed altra robaccia pil sporca e milioni di mosche e di zan- zare sciamano e prosperano. Le case sono basse, di solito di non pid di un piano e sono fatte tutte di legno, senza stile e dipinte grossolanamente di verde © di rosa pallido o di qualunque colore capiti. In questa citta dove l’acqua piovana scorre in grande ab- bondanza nelle strade V’acqua nelle case & preziosissima e scorre nelle condutture solo due volte al giorno, per circa un’ora, e peggio per chi non se ne sia preso l’occorrente. Do- vra aspettare il giorno successivo! La forza elettrica @ pure insufficiente e il piccolo impianto lavora solo di notte, dalle CAPITOLO XXIII 195 sei di sera fino alle quattro del mattino. Anche qui i forzati fanno agire Je macchine ¢ quando c’é un-tentativo di fuga di notte toglieranno Ja corrente ¢ getteranno tutta la citth nell’oscuro al momento della fuga, per soli venti franchi. Ricatti e combutte per procurarsi il prezioso denaro, si tro- vano dappertutto. Anche il ritiro delle immondizie & fatto dai forzati. Di notte vanno in giro per Ja citta con carri tirati da buoi ed entrano nelle case portando via i recipienti picni di spaz- zatura che vengono sostituiti con altri vuoti. Quando questi forzati abbiano bisogno di denaro non esiteranno un mo- mento a praticare questo semplice ricatto: il regolamento specifica che i recipienti non debbano essere colmi, ma deb- bano lasciare vuoto uno spazio di almeno cinque dita in mado che possano venir sollevati senza imbrattarsi le mani; allora i forzati fanno cadere una grossa pietra nel recipiente, sve- gliano poi il titolare della casa e gli mostrano che il recipiente é troppo pieno e rifiutano di trasportarlo, E perché lo fac- ciano bisogna dar loro 40 soldi. Talvolta chi abbia dimenti- cato qualche capo di vestiario fuori di casa o in corte su qualche corda, la mattina seguente non Jo troverd pid ¢ co- loro che raccolgono la spazzatura sono i pid sospettati. Quel- lo di raccoglitore della spazzatura & un posto molto ambito perché si pud sempre fare qualche franco nel modo descritto e cé poi spesso qualche paio di calzoni dimenticati su una corda o un’altra, 0, addirittura, una camicia da notte di seta che pud essere adoperata per dormire al ritorno al peniten- ziario. Anche il servizio della spazzatura é esercitato dai for- zati, che girano nella cittd in sei con una carretta. Uno di essi ha Vincarico di mettere in disparte tutta cid che sia co- munque utilizzabile ¢ possa essere venduto o riparato: strac- ci vecchi, pezzi di metallo, piatti e vetri roti, ¢ ogni specie di rifiuti, che vengono introdotti nel penitenziario dove se ne ricava qualche oggetto o sono riparati per essere riven- duti per poco ai negri o ad altri forzati. Il solo monumento interessante della cittd é la statua di 196 GHIGLIOTTINA SECCA Schelcher, che fece abolire la schiavith nella Guiana, alla quale avvenimenti successivi dovevano dare un significato iro- nicamente simbolico. Schelcher cinge col braccio un piccolo nero e stende !’altra mano lontano. E quando un gruppo di forzati toglie le erbacce attorno alla statua, sembra dire al ragazzino nero: — Li vedi? Tu sei libero € quelli sono schiavi! Sola attrattiva di Caienna @ la Place des Palmistes, che probabilmente @ unica al mondo, essendo una specie di parco quadrato di un duecento metri di [ato nel quale si alzano duecento ¢ cinquanta palme gigantesche, rizzantisi a pit di trenta metri coronate da enormi ed estese foglie che fremono dolcemente nella brezza pomeridiana. La capitale conta circa 11.000 abitanti; pid esplicitamente 11.000 anime € ro00 corpi, i 700 forzati ¢ i 300 « liberati » di Caienna. Gli altri, i civili, possono essere divisi in quattro classi. Ci sono. gli impiegati, bianchi per lo pid, che vivono sul bilancio della colonia e di prevaricazioni; aggiuntivi i pochi commercianti che esercitano il loro mestiere si pud calcolare che nella colonia i bianchi siano in tutto circa 1.500. Gli orientali sono circa un migliaio, per lo pit piccoli mer- canti con botteguccie, che ritraggono il loro guadagno sia dai forzati che dai civili. Finalmente ci sono i neri, in gran numero nella capitale come in ogni altro punto della colonia. La maggior parte coltivano piccole piantagioni nei sobbor- ghi, sufficienti a tenerli in vita. Alcuni di essi hanno l’ener- gia di andare alle miniere aurifere per qualche mese a far denaro; ma ritornano nella capitale a consumarlo mangiando o pit di frequente bevendo nelle bettole tenute dagli orien- tali. . Nella piazza del mercato presso il mare si pud vedere la popolazione di Caienna incontrarsi e confondersi. In quel- l’edificio di ferro ondulato tutti convengono presto nel mat- tino. Doudous, come i creoli chiamano le donne nere, chiac- chierano e ridono fortemente a gruppi. « Liberati» squat- trinati ¢ dal passo pesante vagabondano affamati fra le riven- CAPITOLO XXIII 197 dite cercando di contrattare qualche cosa a buon prezzo e tac- cogliendo verdure cadute a terra. Vi sono anche, con i Joro grandi cappelli di paglia e con Je vesti a righe rosse, forzati che acquistano qualche cosa da aggiungere al loro rancio re- golamentare. Poche donne bianche passano di quando in quando attraverso alla folla, spesso seguite da qualche forzato ammiratore; esse fanno le compere perché sono troppo po- vere per teners} una serva. E ci sono anche i cuochi del Go- vernatore, del Procuratore Generale e del Sindaco, forzati anche loro, ma vestiti come civili se si escludono i grandi cappelli di paglia. Il costo delJa vita @ alto. Tre fagiolini costano due soidi, due minuscole carote lo stesso e un pomodoro dicci soldi. E vero, un soldo non @ un gran che ma non bisogna di- menticare che il denaro é preziosissimo alla Guiana e che un solde @ l’equivalente di un dollaro per molti di questi di- sgraziati. Fra i venditori del mercato ci sono parecchi for- zati; il capo macellaio altri non & che il vecchio capo della famosa banda Villette che venne mandato alla Guiana a vita per triplice assassinio. Si pud vedere comprare da lui Metge, di quella famosa banda Bonnot che atterri la Francia e che, condannato a vita per duplice assassinio, fu cuoco di tre go- vernatori della Guiana. Il forzato @ onnipresente nella citta. All’estremitd di que- sta, vicino al mare e con la parte posteriore volta verso la grande foresta tropicale, c’é il penitenziario. Non ci sono mura a circondarlo; che bisogno ce ne sarebbe quando i for- zati girano soli e liberamente nella cittd tutto il giorno! Vi sono solo alcune inferriate che racchiudono un giardino, in cui si trovano tre grandi baracche, una per gli orientali, una per gli arabi e una per gli europei. Molti forzati di notte dormono in citti, nelle case di coloro che li impiegano, Questo é il penitenziario ambito da tutti i forzati perché, di tutta la Guiana, é quello dove godono pit libert e hanno pit modo di far denaro, A Caienna si trovano le autorita ¢ i condannati sono meglio trattati ¢ non tormentati come al- 198 GHIGLIOTTINA SECCA trove. Alle sei del mattino squadre di prigionieri Jasciano le baracche accompagnati da un solo secondino e prima di tut- to si fermano alla bottega di un orientale per prendersi un bicchiere di tafia e tabacco, Alle dieci ritornano per il rancio. Escono poi alle due per portarsi ancora al lavoro e ritornano alle cinque del pomeriggio. Quando ci si trova a Caienna si pud avere la propria dou- dou ¢ visitarla ogni pomeriggio; basta darle soldi ¢ offrirle un bicchierino o due di tafia. Questa é la bibita della cittd ed @ parte del compenso chiesto dalle numerose prosti- tute; lo si pud aveve puro o adulterato da varie droghe che gli orientali sanno come mescere per renderlo dolce, ed anche annacquato con aggiunta di pepe, per ingannare il clicnte senza sospetti. Vendere alcoolici ai forzati & proibito ma un prigioniero si sorbira ogni giorno da due a tre bicchieri del suo amato fafia e mentre si trova in una bottega a bere con altri un collega sostera alla porta per avvertire se passi qual- che guardia: gli orientali che vendono il zafia sono tutti d’ac- cordo perché non hanno scrupoli di sorta. Senza i forzati Caienna perirebbe e percid ogni volta che in Francia si parla di sopprimere la colonia penale il Sindaco di Caienna protesta, su istigazione del popolino, perché i civili non saprebbero come vivere senza i forzati. Questi sono oggi gli schiavi della colonia; ne sono la sua necessita, oltre che il suo male, ¢ il popolino di Caienna é troppo ignorante per comprendere che questo male, questa infamia, saranno sempre il freno ¢ la rovina di Caienna come citta fino al giorno in cui sia cancellata definitivamente. Ed ecco alcuni incidenti che non avrebbero potuto aver luogo in nessun’altra cit del mondo. Si pud narrare di un forzato che fece addirittura da Go- vernatore. Si chiamava Leffay. I] Governatore della colonia a quel tempo era Thaly, un nero autentico dell’Africa settentrionale. Una volta andd alle Isole in un giro di ispezione portando con sé il segretario Leffay, e ritornando poi a Caienna sul CAPITOLO XXIII 199 Biskra, che si era fermato ad attenderlo nella rotta dalla Mar- unica alla capitale. I] capitano aveva invitato il Governatore a mangiare sulla nave e quando arrivd a Caienna il Gover- natore affidd il portafoglio con i rapporti € gli altri docu- menti raccolti sulle Isole al suo segretario dicendogli: — Portali alla Residenza e quando arriva Ja posta mettili sul mio tavolo ed aspetta che io torni. E Leffay obbed}. Poche ore dopo ecco il postino con la posta ufficiale di Parigi. Si trattava naturalmente di cose strettamente ufficiali; messaggi registrati, istruzioni sigillate dei vari ministeri ¢ altre carte del genere. — Mettili sul tavolo del Governatore — disse Leffay al postino, che esegui l’ordine di chi sedeva nella poltrona del Governatore, ma chiedendone ricevuta. E Leftay prese tran- quillamente il registro della posta ¢ sulla linea punteggiata scrisse : « Ricevuto per S. E. il Governatore della Guiana. - 11 pri- gioniero segretario: Leffay ». Solo pochi giorni dopo |'Ispettore Generale della colonia notd che la firma apposta non era del Governatore ma di un forzato. Fu necessario strappare la pagina in cui si tro- vava la firma di Leffay, perché l'Amministrazione non pot? lasciare che una tale firma giungesse in Francia, e tutto il registro dovette essere ricopiato perché le pagine erano nu- merate. L’incidente costd a Leffay il suo impiego, |’ottimo impiego di segrctario del Governatore, ma poiché era stato indotto dal desiderio di essere utile al padrone e aveva fir- mato la ricevuta ignorandone semplicemente le conseguenze, venne trasferito ad un impiego consimile sotto un impiegato minore. Un altro incidente che nella sua tragicita fu un vero dram- ma accadde pid tardi. Ebbe risonanza internazionale ma quel che pit conta é Ja corruttela ¢ la noncuranza che mise in Juce. A dodici chilometri sul mare davanti a Caienna su uno sco- glio che ha solo quarantacinque metri di circonferenza, c’é il faro dell’Enfant Perdu, che serve di guida alle navi verso 200 GHIGLIOTTINA SECCA il porto e che @ uno dei principali di quelle coste, Vi atten- dono sempre tre forzati. A meta marzo uno di essi si ammald. Si diede il segnale di soccorso ¢ il giorno seguente giungeva la lancia del porto per raccoglierlo. Secondo i] regolamento avrebbe dovuto es- sere sostituito immediatamente, ma non lo si fece e gli altri due forzati sullo scoglio solitario non insistettero, sperando che le autorita del porto avrebbero dato loro anche la paga di chi mancava, il che avrebbe significato per loro una tren- tina di franchi addizionali da dividersi in due. Passarono i giorni e venne aprile. Abitualmente le prov- viste di viveri venivano portate allo scoglio nei primi cinque giorni del mese. Arrivd il quindici di aprile e non si era ancora spedito nulla! Dato che disponevano dei viveri del loro compagno assente conclusero che non erano stati rifor- niti perché si era tenuto conto di cid. Ma nel frattempo ave- vano mangiato abbondantemente e al mattino del quindici aprile avevano viveri per soli due giorni. Alzarono il segnale di soccorso, per attirare l’attenzione di Caienna. Ma Ja lan- cia non veniva alle rocce; né lo fece il giorno seguente e nemmeno il secondo. Non avendo nulla da mangiare do- vettero ricorrere a crostacei che fortunatamente abbondavano in quello scoglio desolato ¢ battuto dal mare. Passd il venti- tré, il ventiquattro... II ventisei era trascorso ed erano ancora abbandonati. Poi mancé il petrolio per il faro e non avevano nemmeno pit fiammiferi per accendere la luce. Il ventisette non riuscirono a tenere i] fuoco acceso. Quella notte l’Exfant Perdu era avvolto dalle tenebre ed & uno dei pit importanti segnali di navigazione di quella parte della costa sudameri- cana, Passarono altri due giorni in quella situazione dispe- rata e ancora la lancia del porto non si faceva vedere. Cosa era dunque accaduto? In citta dovevano pure aver veduto che l’Enfant Perdu era stato al buio per tre notti e dovevano aver ben distinto il segnale di soccorso che era stato esposto da mattina a sera per pid di quindici giorni! Poi il trenta di aprile finalmente Ja lancia giunse allo scoglio, Vi si portd CAPITOLO XXIII 201 a breve distanza ma il marc era cos brutto che dovette ri- tornare. Passarono i primi due giorni di maggio mentre gli abbandonati barcollavano nella schiuma dei frangenti alla sicerca di crostacei e rischiavano Ja vita nelle onde rumoreg- gianti. Sapevano di esser stati lasciati a morire e poco im- portava loro oramai che il fara fosse spento. Non potevano farci nulla e pensavano solo a salvarsi: pochi giorni ancora e sarebbero morti di fame. Presero una risoluzione eroica, eroica perché nessuno di essi sapeva nuotare ¢ in quel mare infuriato ci voleva coraggio per fare quello che si propone- vano. Piuttosto che morire su quello scoglio decisero di ten- tare di giungere al continente con una zattera, che si costrui- rono dalla legna del piccolo ricovero al piede della torre nel quale vivevano. 1] mare era furibondo. I) sei maggio dopo aver aspettato tutto il giorno immobilmente nella speranza di un estremo soccorso, finalmente compresero che c’era da scegliere solo tra la fuga ¢ la morte; quando gli ultimi ba- gliori del sole scomparvero misero la zattera in acqua. I] ma- re era cosi selvaggio che la rovescié due volte e sfuggirono per poco alla morte. A meta della notte, dopo aver lottato per ore con le onde veementi € ingannevoli, raggiunsero i] continente. Erano nu- di, essendosi spogliati per diminuire Je probabilita di anne- gamento. Trascorsero la notte sulla spiaggia non sapendo dove si trovassero, mossi e tormentati in modo intollerabile dalle zanzare. Quando spuntd Valba cominciarono a farsi strada penosamente nell’intrico della giungla ¢ dopo poche ore riuscivano a raggiungere la Strada Coloniale, la futile « Route Zéro » alla quale i forzati avevano lavorato per venti anni, vicino ad un posto di guardia, Raccontarono la loro storia ai gendarmi, che, dopo averli nutriti li portarono a Caienna dove vennero mandati immediatamente all’ospedale, sotto arresto per abbandono dei loro posti. Uno dei due for- zati dal nome Job ebbe l’audacia di riferire l’incidente alla Commissione Internazionale per i Fari, provocando cos} in- dagini e complicazioni internazionali. Job venne mandato a 202 GHIGLIOTTINA SECCA Campo Kourou a trascorrere i quattro mesi di condanna che gli restavano e vi venne tenuto per punizione addizionale finché mori. L’altro forzato venne prosciolto dal resto della pena e venne fatto tornare in Francia, Fu perdonato perché non aveva denunziato la faccenda alla civilta! In una stanza dell’ospedale di Caienna ci sono l’uno ac- canto all’altro sette grandi vasi di vetro in cui, immerse in alcole, si trovano le teste di criminali ghigliottinati; ma fra di esse c’é quella di un uomo che né mort sulla ghigliottina né venne mai condannato a morte nella colonia penale! Queste sette teste hanno un aspetto orrendo. 1 vasi che le contengono sono riempiti di alcole trasparente ¢ si possono esaminare minutamente a breve distanza. I capelli, la barba e i mustacchi sono enormemente cresciuti, perché, come generalmente si sa, i peli continuano a crescere lungo tempo dopo che la testa @ stata separata dal corpo. Fra le sei teste tagliate nette dalla ghigliottina ci sono quelle di uomini che fecero rumore nella colonia; c’é quella’ di Pstate € quella del suo complice che sgozzarono un’intera famiglia di indiani della Guiana Olandese solo per derubarli di un poco d’oro, ma lasciando disgraziatamente vivo un bambino che pit tardi li riconobbe e li fece finire sulla ghigliottina; c’é poi quella di un forzato che uccise un dottore al campo Kourou e che, avendo commesso questo delitto durante un’ispezione medi- ca, fece st che i forzati da allora in poi dovessero venir nudi davanti al dottore per impedire che nascondessero qualche arma. Le altre teste, tutte pallide, macabre e dall’espressione diabolica, appartenncro a forzati che uccisero qualche impie- gato o civile. Ma il settimo di questa fila orrenda, il capo di un uomo che non sali sul patibilo, @ il pid orrendo di tutti. Ha una storia, atroce, e fu di un condannato per un orribile delitto del quale era innocente. Si chiamava Britre e fu accusato di aver assassinato i suoi cinque figlioli, che aveva adunato per una festa familiare. Aveva anche un sesto figlio, una ragaz- zina che aveva pure invitato; ma non era arrivata a tempo CAPITOLO XXIII 203 ¢ il Pubblico Ministero aveva potuto dire che cosi era sfug- gita miracolosamente all’assassinio perché suo padre non V’a- vrebbe risparmiata. Briére si difese meglio che pote, pro- testando la sua innocenza. Ma venne tuttavia condannato a vita. Quindici anni dopo un vagabondo semipazzo confes- sava sul suo letto di morte ad un prete di essere stato Vau- tore di questo assassinio in massa e diede una descrizione cosi particolareggiata che la giustizia non ebbe alcun dubbio sulla verita della sua confessione. Britre venne riconosciuto innocente ma la legge francese prima di riabilitarlo aspettd Ja sua morte e per due lunghi anni, con la sua innocenza gia riconosciuta, egli restd in vita nella colonia penale aspet- tanda un nuovo giudizio che gli avrebbe restituito la liberta. E fini col morire. I! poverctto fini nell’ospedale della Caienna, forzato matchiato delle ignobili striscie, due anni dopo aver conosciuto il nome dell’assassino dei suoi cinque bambini e dopo che tutti riconoscevano la sua innocenza e la giustizia francese era stata posta di fronte al suo errore. Essa che non vuol mai ammettere un errore, trascind il verdetto sulla revi- sione di questo caso disgraziato di mese in mese ¢ tenne quel- Vinfelice nella colonia penale fino alla sua morte. Ma non é tutto: qualcuno degli impiegati della corrotta € tronfia Amministrazione della colonia penale decise che il capo di quell’innocente dovesse essere tagliato ¢ messo in un vaso di alcole fra quelli dei delinquenti giustiziati. Come si poteva essere tanto bassi da permettere una tal cosa? Perché venne fatta? Nessuno lo sa né mai lo sapra. Nemmeno io, sebbene abbia tentato di saperlo con tutti i mezzi; ma non trovai mai un dottore o un infermiere o una guardia che sa- pesse dirmelo. Nemmeno negli archivi dell’Amministrazione potei trovare il minimo indizio del motivo per cui le auto- rita di Caienna esposero cosi i] capo di un innocente. E una cosa di cui ci si vergogna, anche alla Guiana! CAPITOLO XXIV Pit di tre quarti’ dei condannati alla Guiana hanno un solo pensiero: scappare appena possibile! Quattro sono i modi di fuggire dalla colonia penale: per la giungla; per la Guiana Olandese; con contrabbandieri bra- siliani; e finalmente per mare. C’é poi un quinto modo che é raramente praticato sebbene dia probabilita quasi assolute di sucesso, E cioé un’evasione preparata da un individuo qualsiasi, parente o amico, che raggiunga il forzato, gli fissi un appuntamento in un luogo designato ¢ poi lo porti via con sé con documenti falsi. Questo é accaduto, cosa abbastanza strana, rarissimamente, ma ogni volta che lo si sia tentato & riuscito. Conobbi due cittadini degli Stati Uniti d’America, gli unici due di quel paese che siano stati nella colonia penale negli ultimi venti anni, che fuggirono in questo modo. Erano fratelli, soldati in Francia durante la guerra, ed erano stati condannati a vita per l’uccisione di un’artista di caffé con- certo a Montmartre. Appena giunti alla Guiana, il pid an- ziano fuggi per mare con una piroga e riusci a raggiungere gli Stati Uniti. Pensd poi a liberare il fratello che era stato lasciato indie- tro. Andé a Baltimora e conferi con i marinai di una nave mercantile che ogni due mesi andava a caricare bauxite nelle miniere di Moengo nella Guiana Olandese a quarantacinque chilometri da San Lorenzo. Un giorno un indiano compari a San Lorenzo ¢ chiese a un forzato se conosceva C*. Questi venne trovato c domandé all’indiano cosa desiderasse.. Gli venne consegnato un biglietto che gli diceva di seguire |’in- diano. Egli lo fece e non venne pid rivisto nella Guiana. CAPITOLO XXIV 205 Questi due fratelli, americani, condannati a vita, rimasero nella colonia penale francese meno di un anno. E, come ho detto, un’evasione raramente tentata forse perch® i parenti e gli amici non sanno con precisione come regolarsi. L’evasione attraverso alla giungla @ pressoché impossibile. Nessuno @ mai riuscito a raggiungere il Brasile dalla Guiana Francese attraverso ad essa: si devono superare fiumi che penetrano chilometri e chilometri nella foresta tropicale; & impossibile procedere a piedie i bianchi non sanno spingere le piroghe contro corrente. Ci vorrebbe una spedizione lunga € faticosa con equipaggiamento adatto che i condannati del- Ja Guiana non possono assolutamente procurarsi. Solo scim- mie che saltino di albero in albero potrebbero tentare simile impresa senza preparazione. 1 forzati, sebbene cambiati in bestie dalla vita ¢ dal regime a cui sono sottoposti, non aven- do probabilita alcuna di riuscire a superare le privazioni € Je barriere natusali della giungla, ne divengono Ja preda quando vi si affidano e periscono. Evasione per la Guiana Olandese? Prima del 1923 gli evasi venivano bene accolti dagli Olandesi. Erano tollerati nella colonia, potevano trovare facilmente da lavorare ¢ nella capitale ce n’erano almeno un centinaio. Ma un giorno uno di essi — Coutancot — commise un delitto atroce. Venne condannato a morte ed impiccato a Paramaribo e da allora tutti gli evasi sono stati costantemente cacciati ¢ arrestati nel- la colonia olandese ¢ rimandati indietro immediatamente a San Lorenzo. Solo i forzati germanici vi hanno passaggio. Il console germanico a Paramaribo dispone di fondi speciali per aiutare i suoi compatrioti e¢ per agevolarli nel passaggio per ja colonia olandese. Devono solo attraversare il Maroni e il Commissario di polizia di Albina, dopo essersi accertato che siano veramente germanici, da loro il lasciapassare fino a Paramaribo dove il loro console li ricovera ¢ li imbarca nel primo battello diretto ad Amburgo. E una tacita convenzione internazionale significativa sotto molti aspetti. Hitler non di- mentica di salvare i suoi connazionali condannati all’inferno 206 GHIGLIOTTINA SECCA e alla morte da un altro governo. Tuttavia |’Amministra- zione @ venuta a saperlo e mette i forzati germanici alle Isole 0 nel penitenziario di Caienna, a centottanta chilometri dal fiume. Ma questo non impedisce ad alcuni di loro di superare la giungla fra Caienna ¢ San Lorenzo e di attraver sare i] fiume. E quando hanno fatto non si sa pid nulla di loro. Sono liberi! C poi levasione come passeggero clandestino, Accade spesso che un forzato fuggito da un campo si nasconda nel carico di un battello nel fume a San Lorenzo, confonden- dosi con 1a squadra di forzati che lavora allo scarico, e ce- landosi a bordo. Quando la squadra ha terminato, ja guar- dia conta gli uomini ¢ poiché l’evaso non é fra essi, la nave se ne parte ¢ non viene scoperto, Taluni riescono, ma rara- mente, e la maggior parte viene colta alla Martinica alla ri- cerca di cibo e di acqua. I forzati che si affidano ai contrab- bandieri 0 « pirati», come vengono chiamati alla Guiana, brasiliani si espongono a un grande rischio. Questi « pirati » chiedono 1.000 franchi per uomo, ma nove volte su dieci finiscono col gettare il loro passeggiero in mare... dopo averlo squartato per cercare il suppositorio del denaro, E questo é ancora pit probabile attualmente poiché il governo brasilia- no, che una yolta chiudeva gli occhi su questo traffico, ora prende le navi dei contrabbandieri e fa pagar loro forti multe se vi viene trovato qualche forzato che tenti di evadere dalla Guiana Francese. Poi c’é finalmente Ja grande ed avventurosa evasione: quel- Ja per mare. E la pid pericolosa ma quella che offre la maggiore probabilita di riuscita. Ogni anno vengono fatti al minimo sei o sette di tali tentativi, dei quali ne riescono uno o due: il che significa 1a libert& per otto o sedici uo- mini. Quattro dei tentativi terminano con la cattura e con il ritorno dalle colonie vicine o dal Venezuela e dalla Co- lombia; gli altri si concludono per sempre nel silenzio del mare. Non @ cosa da nulla fare centinaia e centinaia di chilo- CAPITOLO XXIV 207 metri in acque traditrici o su una sottile piroga indiana di sette metri di lunghezza ed uno di larghezza. Per raggiun- gere le repubbliche dell’America centrale o anche il Vene- zuela ci vuole un viaggio di migliaia di chilometri, a cen- tinaia di chilometri dalla costa. Si & costretti a restare seduti curvi nella piccola imbarcazione per una quindicina di gior- ni — anche tre settimane talvolta — senza muoversi, sof- frendo la sete e spcsso anche la fame, sempre bagnati dalle onde e dall’abbondante rugiada della notte e scorti- cati dal solleone nel giorno. E si devono superare violenti acquazzoni e sempre i pescicani stanno in guardia, Tutta- via da questa rischiosa avventura sono tentati ogni anno da quaranta a sessanta forzati! Otto volte su nove saranno ri- portati, se non riescono ad andare oltre al Venezuela, o naufragheranno; tutti lo sanno ma questo non |i trattiene. Perché Ja vita nella colonia penale non offre loro che due alternative: la fuga o la morte. A meta febbraio del 1928 ricevetti una risposta alla let- tera che avevo scritto alla signora Niles, Essa mi consigliava di non tentare di scappare ancora e di terminare ]a mia con- danna, cui mancavano solo diciotto mesi. Ma, dato che dopo aver finiti i mici otto anni, sarei stato costretto a vivere in esilio tutta la vita alla Guiana ed avrei dovuto ad ogni modo evadere pid tardi, mi decisi a fare un altro tentativo appena possibile. Cominciai a pensare a scappare in canoa per mare. Ma a Caienna, in cui gli uomini disposti a correre i rischio di un’evasione sono pochi, non potei trovare un marinaio per guidare l’imbarcazione. Oramai ero fermamente determinato, come Jo ero stato nelle precedenti occasioni, di andarmene, tanto pit che ave- vo molto denaro ed era meglio che mi decidessi subito pri- ma che questo denaro che per me significava la salvezza, diminuisse. E allora feci un piano. Era buono: decisi cioé di imbarcarmi come passeggero su una nave francese che stava per andarsene Jungo la costa ai confini del Brasile dove 208 GHIGLIOTTINA SECCA sarei salito su un postale brasiliano ¢ avrei proseguito lungo Ja costa sudamericana. Per far cid tuttavia mi occorrevano carte, che erano assolutamente indispensabili. Dopo essermi informato trovai che non sarebbe stato difficile procurarmele. I] pit importante era di ottenere un passaporto brasiliano e vi riuscii senza difficolt’. L’impiegato che faceva da segretario per il console in quel paese a Caienna era un forzato e seppe trovarmi un passaporto a cui appose tutti i sigilli e le stampe necessarie... per cento franchi. Mi occorrevano anche Je car- te di « liberato » per salire sulla piccola nave. I « liberati » sono ridotti ad una tale miseria nella Guiana che quando se ne presenta l’occasione vendono le loro carte anche peracinque franchi e potei cosi procurarmele da uno che aveva terminato il suo periodo di esilio ¢ poteva prendere qualunque nave per Jasciare la colonia. Se ne sarebbe tornato in Francia da lungo tempo, poveretto, ma non aveva mai potuto raccogliere il danaro necessario per il biglietto. Io mandai lui stesso con le sue carte € in suo nome a comprarmi un biglietto fino a Saint Georges, sui confini del Brasile; io sarei salito poi sulla nave appena venuto il momento di partire. La nave doveva partire alle cinque del pomeriggio del giorno seguente, sabato, ¢ venerdi tutto era pronto: i miei abiti borghesi erano nascosti nella capanna di un amico « li- berato» ed avevo il mio passaporto regolarmente timbrato per reimbarcarmi al confine sul postale brasiliano. Mi sarei pre- parato all’evasione alle tre del pomeriggio di sabato. Ma alle due, uscendo con la mia squadra dal penitenziario col cuore pieno di speranza, udii \araldo della cittd che bat- tendo sul tamburo annunziava che la nave Oyapoc aveva ritardato la partenza fino alle otto della mattina di dome- nica. Era Ja nave francese, Ja mia nave, sulla quale avevo riposto ogni speranza di salvezza e: questo ritardo mi tur- bava grandemente. Se avessi lasciato la mia squadra alle due del pomeriggio, come avevo progettato, e mi avessero arrestato prima della partenza non avrei avuto pit di tre o quattro ore di assenza e non sarei stato considerato evaso. CAPITOLO XXIV 209 Ma se Ia nave partiva la domenica mattina, sarebbe stato necessario che io cominciassi a prepararmi all’evasione lo stesso sabato pomeriggio perché la domenica non sarei usci- to al lavoro; avrei dovuto percid trascorrere la notte fuori nascondendomi, € se fosse accaduto qualche cosa mentre ten- tavo di salire sulla nave ¢ mi avessero catturatg, avrei avuto pid di dodici ore di assenza e sarei stato considerato in atto di evadere. Ma in me c’era sempre il pensiero rassicurante che tutto sarebbe andato bene. Con una certa confidenza mi dissi nel- la mia condizione precaria che se non fossi stato arrestato nel momento in cui la nave lasciava Caienna avrei potuto considerare la mia Jiberta come raggiunta; perché a Saint Georges, villaggetto arretrato, di ottocento abitanti, sul con- fine brasiliano, c’era solo un gendarme nero che non avrebbe potuto obiettarmi nulla essendo io pienamente in regola co- me « liberato » che aveva terminato il suo esilio e poteva an- dare dove gli piaceva. Oh, avevo calcolato tutto nella mia ec- citazione! Una volta che fossi giunto a Saint Georges avrei dato, caduta la notte, 25 franchi a qualche nero perché mi portasse sul fiume al villaggio di frontiera brasiliano di De- monti, avrei buttato in acqua le mie carte di « liberato », ¢ in quel villaggio avrei mostrato alle autoriti, se me lo avessero chiesto, il mio passaporto in regola e vistato per la mia entrata al Para, Tutto sarebbe riuscito come avevo predispo- sto, mi ripetevo continuamente. Bisognerebbe essere stati stupidi per fallire con cose cost ben chiare in mente. Solo inciampo era i} ritardo della nave. Ma tuttavia non era ra- gione sufficiente per farmi mutare i piani e per temere di tentare Ja fortuna: c’era una probabilita su mille di non riu- scire, avendo io tutte le carte necessarie nel mio portafoglio e in ordine. Pochi crano stati.i forzati che in tutta Ja storia della colonia penale avessero avuto la grande fortuna ¢ le ssibilita che erano schiuse a me ora. Decisi di tentare la fortuna € procedetti gradatamente. ‘Alle tre del pomeriggio di quel famoso sabato, Iasciai la X4 + Ghighottina 2I0 GHIGLIOTTINA SECCA mia squadra mentre si lavorava a strappare le erbacce sul- Vorlo di una strada dicendo alla guardia che mi recavo in una bottega a comprarmi qualche cosa da mangiare. Con- segnai il mio strumento a chi lavorava al mio fianco dan- dogli 19 soldi per riportarlo al campo quella notte per evi- tare sospetti. Andai subito alla capanna del mio amico « li- berato » al quale avevo affidato i miei abiti civili e mi nascosi presso di lui. Trascorsi la notte passeggiando avanti e indie- tro perché ero troppo eccitato per poter dormire. Sarei riu- scito questa volta a raggiungere la libertd? Ci sarei riuscito} ‘Appena I’alba scese sul villaggio l’amico andé al molo per vedere Yora precisa di partenza della nave. Mi sembré che fosse stato fuori ore intere. Poi tornd avvisandomi di pre- pararmi subito perché |’ora di partenza non era stata mu- tata e dicendomi di andarmene sulla nave in gran fretta fincht per le strade c’erano poche guardie. Mi vestii rapidamente ¢ in pochi minuti ero pronto, Con un bell’abito bianco e un elmetto di fibra messo elegante- mente sulla testa e con un paio di occhiali da sole verdi, jasciai la capanna accompagnato dall’amico ed attraversam- mo insieme la citta scegliendo le vie meno frequentate. Dopo un certo tempo arrivammo al molo, e fin qui tutto cra andato bene. Di fronte alla porta, oltre alla quale si stendeva il molo lungo e stretto, all’estremita del quale era attraccata la nave, presi la mano del camerata e la strinsi caldamente, tanto da farlo torcere. Poi mi voltai ¢ senza muover ciglio superai il gendarme di servizio alla porta del molo. E poi mi sentii immersa in un sudor freddo. Mi trovavo sul molo oramai! Era come una lunga pista verso la liberta con méta la nave, che riposava languidamente sotto il sole mattinale. Lentamente, con una calma di morte, procedevo; il molo sembrava non aver termine. Contavo ogni passo, me li ri- cordo ancora oggi: erano cinquecento e¢ sessanta che io feci con calma e¢ lentezza, col cuore in gola. Salii su per la pas- CAPITOLO XXIV 211 serella della nave, presentai il mio biglietto e un cameriere mi portd alla mia cabina. — Uf! — respirai dopo che egli ebbe preso la mancia ed ebbe chiuso la porta. Ora ero solo e potevo pensare, con- trollare tutto quello che avevo fatto per vedere se avessi com- messo qualche errore. Tutto era perfetto: oramai avevo rag- giunto la liberta! In piedi nel centro della mia cabina, dietro alla porta ri- chiusa, il mio cuore era colmo di gioia. « E riuscita », mi ripetevo continuamente, con le lagrime agli occhi. « E riu- scita». Tuttavia presto la mia inquietudine mi riassali. A- vrei voluto che la nave cominciasse a muoversi, che partisse. Guardai fuori dal finestrino: il fiume scintillava sotto i miei occhi e piccoli gorghi luccicavano nell’acqua alla luce del sole, La riva olandese si trovava proprio di fronte a me. Men- tre la fissavo, come avevo fatto per ore intere, mi. sembrava un miraggio diabolico. « Addio » dicevo al suo profilo oscu- ro nel primo sole mattinale. « Addio. Mai pit, lo voglia Dio, ti vedré ». Poi mi volsi nella cabina con un profondo sospiro di sollievo e cominciai a passeggiare avanti e indietro. Non avevo orologio e agognavo a che la nave partisse, che si muo- vesse portandomi via, via da quell'inferno in terra, Comin- ciavo ad essere molto inquieto: — L’ora doveva esser giun- ta. Che cosa aspettano? — continuavo a domandarmi. Poi la sirena fischid. Il primo segnale! Presto si sarebbero tolti gli ormeggi. Pazzo di gioia salii furtivamente sul ponte € trovai un posticino dal quale guardavo gli ultimi passeg- geri che salivano a bordo: ero al sicuro sul ponte, poiché nella regione dell’Oyapoc ai confini del Brasile, a cui la nave era destinata, forzati non ce ne sono e sulla nave non sa- rebbero venute né guardie né prigionieri. Ii fischio risuond ancora. Era il secondo segnale. Pochi minuti ancora e ci saremmo distaccati dal molo ¢ sarei stato liberato dalla colonia della Guiana per tutto il resto della mia vita, E allora, proprio in questo momento di liberazione, vidi 212 GHIGLIOTTINA SECCA un gendarme che correva a gran velocitd gid per il molo, accennando’ alla nave con la destra. I miei occhi si fissaro- no su di lui mentre cercavo di moderare il mio senso di terrore. Perch® avrebbe dovuto venire proprio per me? Ma veniva per me; lo sapevo come per divinazione ¢ il cuore mi batteva violentemente dall’emozione. Rimasi immobile, nascosto nel posto nel quale mi trova- vo mentre la guardia rapidamente si avvicinava alla nave. Salutd lufficiale di turno e sali sulla nave a grandi passi. Lo sentii chiedere se sulla nave si trovasse un tale dal nome Ormiéres. — In ogni caso questo nome si trova sulla li- sta dei passeggeri a bordo — disse il gendarme mostrando un modulo di navigazione che aveva portato seco. Ormiéres! Mi attaccai alla ringhiera come fulminato, Or- miéres era i] nome del « liberato » dal quale avevo comprato le mie carte. Ma perché proprio Ormitres? Era libero ¢ ave- va pieno diritto di trovarsi sulla nave. Pensavo affannosa- mente e tutti i miei sensi erano tesi verso la conversazione che si svolgeva vicino a me. L’ufficiale aveva frattanto chiamato i] cameriere ¢ questi disse al gendarme che a bordo c’era un Ormiéres e che pro- babilmente si troyava nella sua cabina. Intuii in un baleno che non c’era tempo da perdere € mentre essi discendevano le scale che portavano al ponte nel quale si trovava la mia cabina io mi portavo alla pas- serella. Una volta sul molo cominciai a percorrerlo a rapidi passi. Nuovamente quel molo mi sembrd un’eternita, ma questa volta ero pieno di terrore mentre meno di un’ora pri- ma la speranza era in me fortissima. Rapidamente cammi- navo ¢ meta era ora la porticina all’estremitd dei quattro- cento metri del molo. — Ei, ei, ei! — dun tratto il gendarme si mise a chia- marmi dalla nave. Avevo percorso 100 metri circa € avrei voluto mettermi a correre per raggiungere la porta il pid presto possibile. Ma non osai. Se J'avessi fatto sarebbe fini- CAPITOLO XXIV 213 ta; avrebbe potuto anche sparare su di me. E allora prose- guii senza nemmeno girare a testa, allo stesso passo veloce. — Ei, ei. — Era pid vicino ora ¢ potevo sentire il ru- more dei suoi passi. Erano come colpi che mi rimbombas- sero in testa. Non c’era anima viva in tutto il Jungo mo- lo; ¢ Tunica cosa che distinguevo era la porta lontano da- vanti a me. Unico suono quello dei passi sempre pit vicini. Potevo solo frenare la mia voglia di correre. La guardia rin- correva me Certamente. Non ci poteva essere il minimo dub- bio. Ma forse mi avrebbe lasciato andare; cercava Ormiéres e io non ero Ormiéres. Non mi restava altra speranza. Continuavo a camminare ¢ i passi si facevano pid fort sempre pid forti. Sapevo, nonostante tutti i mici sforzi, do- minarmi; dovevo avere un aspetto terreo. — Ei, ci. — Questa volta mi aveva quasi raggiunto ed io dovetti fermarmi. Gli fui faccia a faccia. — Dove andate? — mi chiese. — Alla citta — risposi calmo. Quando mi vide in faccia sembré sorpreso. Chi si trova- va sulla nave mi additava. Allora giocai la mia ultima carta, tentando di approfit- tare della sua apparente perplessita. — Ho dimenticato qual- che cosa in citta e devo andarmenc in fretta e furia, — dissi semplicemente. —- La nave sta per partire. — Finsi di es- sere impaziente sperando che mi lasciasse andare e guarda- vo alla nave e alla porta all’estremita del molo. Sembrava essere incerto sul da fare. Io mi limitavo ad aspettare mentre i secondi si protraevano. Se avesse solo am- messo di essersi sbagliato gli avrei lanciato un rapido « Fa nulla » ¢ mi sarei precipitato a velocit pazza per il molo..... Ma dalla nave si continuava ad insistere a cenni verso di me. Il gendarme guardé alla nave € poi a me. Mi agitavo impaziente guardando nervosamente alla porta. Si tird 1 mu- stacchi incerto sul da fare. Poi, dato che dalla nave si insi- steva tanto, mi chiese di mostrargli le carte. Cosi gli porsi con calma le sole che avessi e che erano quelle del ricercato! 214 GHIGLIOTTINA SECCA Le spiegd in fretta esaminandole con un rapido sguardo. — Ma voi — esclamd — voi non sicte Ormiéres! — Si, queste sono le mie carte, — dissi vivamente come se fossi sorpreso che ne potesse dubitare. — Ma se ho arrestato Ormieres ieri, ubriaco fradicio in mezzo alla strada! — disse la guardia. Afferrai in un lampo cid che era accaduto; Ormiéres si era ubriacato con i denari che gli avevo dato e aveva avuto una disputa con il gendarme. — Ma anch’io sono Ormiéres — dissi al gendarme. — Lo stesso nome evidentemente; ma lo vedete bene, io non sono chi avete arrestato voi. — Era l’ultima scappatoia che mi restava, Avrebbe potuto riuscire; avrebbe potuto restituirmi le car- te ¢ il passaporto che erano perfettamente in ordine e lasciar- mi andare non fosse stato per il maledetto nome di Ormit- res - Gabriele - che era scritto su entrambi i documenti. Per- ché quando egli aveva arrestato Ormiéres ne aveva preso il nome per intero; e Gabriel Ormiéres si leggeva sui miei pre- ziosi documenti di liberazione. Perdetti ogni speranza. Egli volle che lo accompagnassi alla gendarmeria dove si sarcbbero fatte le indagini del ca- so. E io venni subito identificato e portato al penitenziario da dove venni cacciato nel fortino. Che coincidenze fatali devono mai succedere! Ormitres aveya insultato proprio questo gendarme in una delle strade della cit’ ubriaco fradicio del rum che s’era comprato con il denaro che gli avevo dato per le sue carte e il gendarme l’aveva _messo nelle prigioni comuni (perché Ormitres era un civile, avendo terminato la sua condanna); al gendarme era poi capitato di vedere il suo nome sulla lista dei passeg- geri e ne aveva concluso che Ormiéres voleva fuggire. La fa- talita sembrava perseguitarmi in ogni mia azione. Se la na- ve fosse partita sabato come avrebbe dovuto fare, tutto sa- rebbe proceduto per il meglio ¢ avrei navigato verso la li- berta. CAPITOLO XXV Mi restava ancora quasi tutto il denaro ricevuto dalla signora Blair Niles ed ero determinato a tentare il possibile per non essere condannato ad altri anni di lavori forzati per questo mio quarto tentativo di fuga. Solo undici mesi mi separavano dal termine della mia condanna. Se fossi stato condannato ad altri due o tre anni tutto il mio denaro se ne sarebbe andato nel circolo vizioso della mia miseria prolun- gata e non avrei pid trovato denari per un altro tentativo. La mia condizione era molto precaria, tuttavia, e tutto sembrava essere a mio sfavore. Alla gendarmeria avevano trovato il mio falso passaporto e l’averlo trovato munito di tutti i bolli regolamentari aggravava ancora la mia colpa; c’erano anche le mie false carte da « liberato » e mi avevano colto nel loro flagrante uso. Ma ormai ero pratico di come si svolgevano le cose nella colonia penale e sapevo che c’era un mezzo di salvezza che aveva parecchie probabilita di evitar- mi la rovina. Questa probabiliti era nelle mani dell’ex deputato della Guiana Francese, Monsieur Jean Galmot, col quale avevo trattato parecchie settimane prima. Jean Galmot era ancora candidato ¢ le elezioni avrebbero dovuto svolgersi fra poco nella capitale. Essendo certo di essere eletto mi aveva chie- sto di documentare per lui i sistemi dell’Amministrazione, il.che gli sarebbe servito nella sua domanda di abolizione della colonia penale. Avevo scritto per lui un esposto com- pleto € particolareggiato di pit di duecento cinquanta pagi- ne ¢ quando mi chiese quanto volevo gli avevo detto: « Nul- la! Sono felice di poter contribuire per il poco che posso a 216 GHIGLIOTTINA SECCA far cessare questo inferno ». Egli insistette tuttavia e mi die- de 100 franchi promettendomi che si sarebbe sempre interes- sato di me e assicurandomi che sarebbe stato felice di poter- mi aiutare al bisogno. Ora era il momento propizio, e cost gli scrissi una lettera nella quale gli spiegavo la mia difficile situazione. Pochi giorni dopo ricevetti la sua risposta. « Vi do la mia parola — mi scrisse — che, appena saran- no terminate queste elezioni, vi fard prosciogliere per il vo- stro tentativo di fuga, qualunque risultato abbiano le elezio- ni, Abbiate percid pazienza per qualche settimana ». E, nel suo biglietto, accluse 25 franchi attaccati ad una striscia di carta sulla quale aveva scritto: « Per fumare! ». Un mese pit tardi Jean Galmot moriva misteriosamente avvelenato, si disse, e tutta la popolazione negra della capi- tale fu in subbuglio, sospettando il tradimento contro il lo- ro « Papa », perché Galmot era considerato da loro come un semidio. I] giorno dopo la sua morte i neri di Caienna si sollevarono. Ferirono mortalmente i sci consiglieri della citta; il Governatore venne costretto a fuggirsene in fretta e furia alle Isole per salvarsi mentre i] Direttore della Ban- ca della Guiana si chiuse nel fortino vestito da forzato per evitare di essere massacrato. E in tal modo fini la mia prima e, cos} mi sembrava, sola speranza di sfuggire alla punizione. Ma poi pensai ad un altro modo di salvarmi: Leonce si trovava allora a Caienna. Seppi da lui stesso ¢ da altri for- zati che l’avevano conosciuto a San Lorenzo quando era cuoco del Direttore dell’Ammimistrazione, che aveva gran- de influenza sui pit alti impiegati dell’Amministrazione. I forzati mi avevano confidato che cid dipendeva da una re- lazione omosessuale fra Jui e il Direttore. Non parlai mai della cosa con Leonce ma egli mi aveva detto che il Diret- tore l’aveva ripetutamente pregato di tornare a fare il cuoco per lui a San Lorenzo e che egli aveva sempre rifiutato. Al- lora scrissi una lunga lettera a Leonce, pensando che egli CAPITOLO XXv 217 poteva influire sul Direttore a mio favore. Gliela mandai per mezzo di un secondino e pochi giorni dopo mi rispondeva: « Scriverd al Direttore chiedendogli di reimpiegarmi pres- so di lui — scriveva. —— Ti prometio che fard ogni cosa per farti liberare e credo che ci riuscird ». Prima che fosse trascorso un mese Leonce parti per San Lorenzo per ridiventare cuoco del Direttore. Poche setti- mane dopo ricevetti la seguente: « Renato; non posso far nulla. Hai troppe evasioni a tuo carico e poi il Direttore si ricorda troppo bene del mano- scritto che hai scritto per Juvanon. Ma c’é per te un'altra possibilita inaspettata di salvezza: un ufficiale dell’Esercito della Salvezza che ha visitato la colonia penale indagando- ne le condizioni, visse per una settimana con il Direttore e io preparai da mangiare per lui e gli raccontai tutto il tuo caso, facendo st che se ne interessasse. Egli ha parlato al Presidente del T.S.M. ¢ al Pubblico Ministero, difenden- doti molto energicamente. Essi gli promisero di trattare il tuo caso con la dovuta considerazione e son sicuro che lo fa- ranno, essendo in relazione con lui e desiderando di esser- gli graditi perche @ un personaggio importante, mandato dal Ministero per vedere che cosa si possa fare per migliorare le condizioni dei « liberati » della colonia. Credo che cid che ha detto loro sul tuo conto ti sara di molto aiuto, avendogli Spiegato che il tuo tentativa duréd solo sei ore ¢ che tu non rubasti per fuggire. Gli dissi che tu avevi denaro tuo proprio che ti eri guadagnato da solo, - Leonce ». Questa lettera mi rassicurd. Dopo una lunga detenzione di sette mesi nel fortino di Cajenna venni portato a San Lorenzo per comparire di fron- te al T.S.M. II Pubblico Ministero di Caienna mi aveva pre- detto che non me Ja sarei cavata con meno di tre anni di se- gregazione. Non aveva per me la minima simpatia. Comparii davanti al T.S.M. nel terzo giorno delle sue se- 218 GHIGLIOTTINA SECCA dute nel novembre del 1928. Dalle punizioni inflitte nei gior- ni precedenti conclusi che il Presidente non era poi tanto cattivo, perché alla maggioranza dei forzati comparsi prima di me aveva dato la punizione minima. A me vennero comminati solo sei mesi di prigione! Quan- do mi si sarebbero potuti dare cinque anni di segregazione. Me I’ero cavata meglio di quanto non avessi mai sperato. Dopo qualche settimana fui mandato a San Giuseppe per scontarvi la mia condanna. Un giorno venni chiamato alla Reale. Mi si voleva nell’uf- ficio del Comandante. — Ho appena ricevuto una lettera dal nuovo Governa- tore — mi disse il Comandante mentre ero sull’attenti da- vanti a lui. — Vuole sapere se avete una copia del mano- scritto di cid che scriveste per il Governatore Juvanon. —— No, signore, — risposi. — Ma in poche settimane gliene potrei preparare una, signore. — Bene — disse ancora il Comandante. — Vi fard dare carta e penna. E comincerete immediatamente, poiché il Go- vernatore sembrava averne bisogno prestissimo; dovete sbri- garvi poiché il Governatore insiste molto su quello che do- manda. Il nuovo amministratore della colonia era il Governatore Siadous. Mi misi a lavorare per il manoscritto immediata- mente, sperando molto che mi avrebbe aiutato ad ottenere quella liberazione condizionale che era il mio massimo de- siderio. Mentre lavoravo febbrilmente nelle baracche di San Giu- seppe, ricercando nella memoria ¢ ne] pensiero qualsiasi par- ticolare che potesse interessare o essere utile al nuovo Go- vernatore, il capo guardia, sapendo quello che stavo facendo, si fece una cattiva opinione sul mio lavoro. Si cra messo in testa che avrei approfittato dell’occasione per esporre i pro- cedimenti dell’Amministrazione delle Isole al nuovo Gover- natore; ¢, se l’avessi fatto, ui, come tutte Je altre guardie, sarebbero apparse nel loro aspetto di aguzzini al nuovo ca- CAPITOLO XXV 219 po della colonia. E proprio questo volevo e stavo facendo; e questo proprio il Governatore Siadous si aspettava da me perché, seppi poi, aveva letto parte dei manoscritti che ave- vo mandato al Governatore Juvanon e voleva essere infor- mato a fondo per combattere i procedimenti di un’Ammini- strazione penale corrotta dal Direttore fino ai secondini. A quell’epoca la trascuranza e la dissolutezza regnavano pid che mai alle Isole. I] dottore era un pervertito insazia- bile e dormiva con i forzati suoi pazienti; tratteneva i suoi favoriti per settimane all’ospedale quando non c’era posto per altri che. stavano morendo e abbisognavano di cure. Quando faceva le sue ispezioni nelle celle della segregazio- ne a San Giuseppe, sceglieva i prigionieri giovani che gli pia- cevano mandandoli all’ospedale. Le cose procedevano alle Isole in uno scandaloso disordine; le guardie, che disprezza- vano il dottore per la sua parzialita verso i suoi favoriti, era- no in guerra costante con lui; ¢d erano pure unite in una profonda inimicizia verso il Comandante, che cercava di compiacersi e di guadagnarsi il favore del nuovo Governa- tore € trattava con pugno di ferro la loro pigrizia e Je loro gherminelle. Infine riuscirono a vincere e furono causa del suo richiamo in Francia. Jo lavoravo disperatamente al manoscritto. Il capo guardia persisteva nella sua attitudine di disapprovazione e si mise a fare il possibile per spuntarla con me, dando ordine che alla mattina non mi venisse dato il caffé, col pretesto che, dato che non andavo a lavorare, non ne avevo diritto. Pro- testai col Comandante immediatamente ¢ pochi giorni do- po riavevo il mio caffé alla mattina. Dopo di che il capo- guardia insistette per vedere cosa stessi scrivendo. Ma mi ci rifiutai; era un lavoro privato, dissi, richiesto dal Governa- tore. Allora non permise che i miei scritti uscissero dali’Iso- la sigillati sotto i] pretesto che nella busta avrebbero potuto esserci lettere dei prigionieri al Governatore, che sembrava prendere sul serio le sue funzioni e voler sopprimere gli abusi delle guardie dell’Amministrazione. Infine un giorno 220 GHIGLIOTTINA SECCA riuscii a spedire il mio manoscritto all’insaputa del capo guar- dia; arrivd al Governatore e gli effetti ne furono sentiti pre- stissimo, immantinente. Senza preavviso diede ordine che il capo guardia fosse rimosso dal suo posto a San Giuseppe € mandato all'Isola del Diavolo. Le altre guardie di San Giu- seppe si unirono contro di me e scrisscro al Governatore, dicendo che la sua azione era stata ingiusta. Ma egli non ri- spose nemmeno. Si limitd a spedire un dispaccio al Direttore dell’Amministrazione per farmi toglicre immediatamente dalle Isole ¢ mandarmi a Caienna. Nel frattempo mi fece liberare sotto condizionc, come ringraziamento per le mie rivelazioni, e venni trasferito alla Reale dove aspettai con sollievo il battello di San Lorenzo che mi avrebbe liberato dalle Isole ¢ riportato a Caienna. CAPITOLO XXVI Avevo un sacco ben fornito di abiti puliti e nuovi, il sup- positorio pieno di danaro, la salute mi era stata migliorata dall’aria di mare ¢ la dissenteria e la febbre non potevano pit attaccarmi. Guardavo dal ponte del Mana le isole sva- nire dietro a me, pieno di coraggio e di energia. Arrivai al continente al cader della notte. Andai al peni- tenziario e venni messo nelle baracche riservate ai forzati della terza classe, trovandovi gran parte di coloro coi quali ero stato confinato l’anno precedente. Furono estremamente sorpresi di rivedermi al continente cosi presto e avevo un gran numero dij biglietti per loro dei camerati della Reale e di San Giuseppe che distribuii appena venni rinchiuso. Gran parte della notte giocai a belotte, uno dei giochi favoriti dai con- dannati, bevendo abbondantemente rum, offertomi dal cu- stode della baracca per festeggiare il mio ritorno. Mi trova- vo a Caienna, dove la maggior parte dei condannati riesco- no ad ottenere quello di cui hanno bisogno ed hanno soldi per il rum ed il tabacco. Il mattino dopo risposi all’appello con gli altri. Il capo guardia mi disse che avrei dovuto andare dal Comandante. Cosi rimasi nella baracca ¢ alle otto lasciai solo il campo di- rigendomi all’ufficio del Comandante dall’altra parte della citta. Passando per la Place des Palmistes mi fermai dalle Sorelle della Carita, dove la madre superiora aveva per me una lettera dello scrittore francese Francis Carco che aveva accluso 300 franchi per alcuni miei articoli pubblicati sul Gringoire. 222 GHIGLIOTTINA SECCA — Buon giorno, Belbenoit —- mi salutd affabilmente il Comandante. — Cosi sicte di nuovo a Caienna! — Si, signor Comandante, — risposi. -— Bene, spero che questa volta yi comporterete come si deve. Non pit evasione, capito? I] Governatore Siadous si é interessato a voi e vuole parlarvi. — I] Comandante mi guardd in modo strano. Poi prese il ricevitore del telefono e chiese di esser messo in comunicazione col Governo. Do- po un breve scambio di parole si rivolse a me dicendomi: — Il Governatore vi vuole vedere ora. Andate subito da lui. Io provvederd a trovarvi un buon posto qui a Caienna, — aggiunse sorridendo benevolmente. — Grazie, signor Comandante, — dissi con calma. Poi lasciai il suo ufficio. I] tempo incalzava ed arrivai alla Re- sidenza del Governo tutto sudato. Pud essere stato il caldo di quel mattino ma credo che fosse dovuto proprio alla mia eccitazione. ll fattorino del Governatore sali per annunziar- mi ¢ ridiscese dicendomi che il Governatore mi aspettava. Salii per le scale asciugandomi il volto sulla manica della camicia per avere un aspetto migliore. La porta dell’uf- ficio del Governatore era aperta e mi ci misi fermo sul- Vattenti. — Entrate, Belbenoit, — disse una voce severa. Lasciai il cappcllo nell’anticamera ed entrai. Il Governatore era alle prese con alcune carte e mi guar- dd un istante di sfuggita. — Sedetevi, — disse. Era un uomo di mezza etd con capelli grigi attorno alle tempie. Gli si poteva leggere in volto l’energia ¢ la serictd e si capiva che doveva essere dotato di una volontd formidabile. Pochi minuti dopo mise da parte sul tavolino Je carte ¢ si rivolse a me. Prima di parlare i suoi occhi penetranti mi avevano esplorato da capo a piedi. — Vi devo ringraziare per il manoscritto che mi avete mandato dalle Isole, — disse. — Cid che avete scritto mi interessa grandemente perché sembra sincero e imparziale. Quanto dovete ancora fare della vostra condanna, Belbenoit?. CAPITOLO XXVI 223, — Solo dieci mesi, Eccellenza, — risposi. — Non tentercte di evadere pit? — mi chicse guardan- domi penetrantemente. — No, Eccellenza, — risposi. Due minuti prima quella sarebbe stata l’ultima cosa che avrei detto. Perché, quando misi piede sul continente e andai al penitenziario a Caienna, avevo in mente solo Ja fuga. — Cosa sapete fare, Belbenoit? — Qualunque lavoro sarA buono purché le guardie mi lascino in pace. — & inteso — rispose subito il Governatore Siadous. Chiaméd il Comandante al telefono. Ascoltd un poco e poi sentii che diceva: « Ottimamente! Cid va benissimo », E appese il ricevitore. — Bene, Belbenoit, va bene per. voi, — disse. — An- drete a Javorare con |’Antares, la cannonicra che si trova qui per rilevare la costa. Dormirete sul molo. Tt lavoro & legge- rissimo. D’accordo? — Cos} partecipai al lavoro idrografico che la cannoniera Antares stava facendo lungo la costa. {1 mio compito era molto semplice; dovevo misurare l’altezza della marea ogni quarto dora nel porto di Caienna. Nel- T'acqua era stato posto un misuratore ¢ al momento fissato leggevo la profondita e la segnavo sul registro. Lavoravo con Bayard, un vecchio forzato, e un altro prigioniero e ci divi- devamo il lavoro netle ventiquattro ore a turni di otto ore ciascuno, Una notte una barca di marinai della cannoniera, che !a- voravano in un punto distante della costa, non tornd fino a tardi, Essi erano alloggiati nella caserma dei soldati posta a qualche distanza dal molo ¢ quella notte erano cosi stanchi che quando approdarono misero la vela e i remi nella no- stra capannuccia presso ’acqua € se ne andarono a dormire. Generalmente portavano seco ogni cosa ma allora abbando- narono ogni precauzione; si erano abituati a vederci ogni giorno sul molo e a parlarci frequentemente e cid, credo, aveva ispirato loro una certa fiducia in noi, 224 GHIGLIOTTINA SECCA Verso le dieci della notte Bayard mi disse improvvisa- mente: — Questa ¢ una fortuna che non ci capitera mai pid, camerata. — E guardandomi: — Renato, vieni? — Vieni.... dove? — Ma si capisce, sulla barca dell’ Antares! Abbiamo tut- to nella nostra capanna. — Gli occhi infossati di Bayard scintillarono dall’eccitazione. — Ci occorrono solo i viveri! — No, — risposi. Non c’era esitazione nella mia voce. — Sard liberato presto e ho promesso al Governatore Sia- dous che non avrei tentato di scappare. ~— Eh bien, camerata, noi ce ne andremo per conto no- stro — rispose il vecchio forzato accennando all’altro con la testa. La sua voce tremava, tanto era la sua emozione. E sog- giunse: — Tu devi solo dare ’allarme domani mattina alla sve- glia. Dirai che dormivi e che non hai sentito nulla ¢ quan- do ti sei svegliato non c’eravamo né noi né la barca. In pochi minuti avevano riempito cinque latte di acqua dolce ¢ in breve avevano messo a posto i remi ¢ la vela. Sci- volarono nell’acqua tranquilla senza un rumore, se ne anda- rono, li vidi sparire nelle tenebre. Solo al limite dell’acqua, consideravo questa partenza im- provvisa fumando una sigaretta dopo l’altra. L’oscuritd era di una calma yellutata e mi ci sentii desolatamente solo. Quanto avrei voluto trovarmi su quella barca! Era cosi adat- ta a scappare! Ma il mio buon senso mi aveva detto « Nol ». Ma forse non era il buon senso; forse era un barlume di ono- re che ancora mi restava. Non avevo certo pensato ad una si- mile occasione quando avevo promesso al Governatore Sia- dous che non avrei mai pit tentato di fuggire. L’avessi detto al Comandante, che non agiva sinceramente, non avrei man- cato di salire in quella barca, e una dozzina di giorni dopo Ja mia libert§ sarebbe stata assicurata; ma col Governa- tore Siadous era diverso, Per la prima volta in anni e anni - le mut As. ces Powe yy : ! a = aoe LA MORTE DE «LA POMME >» CAPITOLO XXVI 245 si era fatto appello alla mia volonta ¢ si era fatto sentire che si accettava la mia risposta con fiducia. Venne l’alba. Nervosamente camminavo avanti ¢ indietro aspettando che le guardie uscissero dalle loro case e che la vita della prigione si ridestasse. Andai al campo ¢ dissi alle guardie che svegliandomi non avevo pit trovato i miei due compagni e la barca. Ci fu una grande agitazione. I marinai vennero immedia- tamente convocati per render conto della loro trascuratezza. Dopo meno di un’ora una delle lancie veloci della cannonie- ra si lancid all’inseguimento ma ritornd di notte senza aver avvistato i fuggiaschi. Come mi aspettavo venni chiamato alla Residenza del Governo. Il Governatore Siadous mi fissd con il suo sguar- do penetrante. — E ora ditemi quello che realmente é acca- duto, Belbenoit, —- disse tamburellando le dita sul tavolo. Gli dissi la veritd in ogni particolare. — Sono contento che non ve ne siate andato anche voi — disse. — Siete in liberta. Fu tutto. Lasciai l’ufficio del Governatore senza aver ca- pito quale fosse la mia posizione rispetto a lui, se la sua sti- ma in me fosse aumentata o diminuita. Ma continuai nel mio incarico come se nulla fosse succes- so, solo che ora dovevo fare il lavoro di tre. Ma non me ne importava; ero pill occupato ¢ una sveglia mi destava ogni ora nella notte, ma questo non Jo consideravo una punizione per esser stato complice di un’evasione, ma come una prova di fiducia. E difficile comprendere che cosa potesse significare per me un tal sentimento. Perché nella degenerazione della colonia penale avevo infine trovato un uomo nella cui since- rita potevo aver fede. Ii lavoro tuttavia a lungo andare si dimostrd troppo pe- sante. Avrei avuto bisogno di dormire almeno qualche ora di seguito ma non lo potevo perché le registrazioni erano troppo érequenti. Facevo del mio meglio per riuscirci perché oltre alla fiducia del Governatore ricevevo anche la paga de- 15 + Ghigliottina 226 GHIGLIOTTINA SECCA gli altri due uomini, piccola fortuna che avrebbe aumentato il mio gruzzoletto di « liberato ». Una settimana dopo la can- noniera termind il suo lavoro, tolse l’ancora e si diresse a San Lorenzo. Avevo resistito fino alla fine, lottando disperata- mente contro l’esaurimento ma il mio debole corpo era stato cosi duramente provato dalla fatica che mi vennero forun- coli e dovetti andare all’ospedale dove il dottore me li taglid. Il mattino dopo loperazione venni messo sulla lista dei dimessi. Le bende erano ancora fresche e insanguinate e quando lasciai il letto ero stanchissimo e sofferente. Ma il Governatore, non sapendo che ero all’ospedale per essere ope- rato, aveva telefonato al campo ordinando che fossi man- dato immediatamente a lavorare negli uffici del Governo. E lo stolido capo guardia aveva telefonato all’ospedale di di- mettermi appena potevo reggermi, aggiungendo che l’ordi- ne veniva dal Governatore. Questi mi voleva per un lavoro specialissimo e pieno d’in- teresse. Gli archivi della’ colonia si trovavano in grande di- sordine e abbandonati, occorreva far ordine perché le carte ei registri erano stati accumulati in pile per anni e macera- yano sul posto. Molti documenti erano senza numero e do- vevano essere classificati ¢ riordinati. Era impossibile trova- re qualche cosa negli archivi della colonia senza ore di ri- cerche € questa mancanza di metodo e di ordine irritava il Governatore. E cosi con l’impazienza e l’energia che gli era- no caratteristiche aveva ordinato al capoguardia di metter- mi immediatamente al lavoro. Lo stesso giorno cominciai senza far sapere al Governatore che soffrivo ancora dell’ope- razione. Non mi sarei mai sognato di esser posto ad un sim: le lavoro. E questo fin dal primo giorno si dimostré il pid interessante che mai avessi fatto da forzato; avevo a mia di- sposizione gli archivi completi dell’Amministrazione e po- tevo leggerli a piacere. Talvolta il Governatore veniva a vedere come progredis- se il mio lavoro e aveva generalmente qualche cosa da dirmi ¢ mi parlava per qualche minuto. Pid spesso ero io che avevo CAPITOLO XXVI 227 domande da fargli sulla classificazione 0 la disposizione dei documenti; egli capiva che m’interessavo al mio compito ed era sempre pronto a darmi utili schiarimenti. Ammiravo moltissimo il Governatore Siadous. II suo vol- to era duro, ma onesto ¢ gentile. Era forte, la vera incarna- zione dell’energia, ed era coscienzioso, penetrava a fondo nelle cose e le vedeva come erano. Prima di prendere una de- cisione esaminava accuratamente i problemi, ed era un uo- mo d’azione, |’ammontare del cui lavoro avrebbe spezzato in quel clima la fibra di un uomo normale. Ricordo che tal- volta si sottopose al lavoro per diciotto ore consecutive, ope- rando incessantemente nell’interesse della colonia, quando avrebbe potuto accettarne filosoficamente le condizioni co- me erano, come avevano fatto altri prima di lui, e avrebbe potuto tralasciare di preoccuparsi dei rimedi. Ma non aveva aiuto e per tutto il tempo in cui rimase in carica non trovd cooperatori né nell’Amministrazione n& nella popolazione civile della colonia. Era particolarmente impressionato dalla _turba miseranda dei « liberati » e tentd di migliorarne le con- dizioni. Comprese che una delle ragioni principali della loro miseria era l’impiego da parte dei civili, per le faccende do- mestiche, dei forzati, che venivano ottenuti dall’Amministra- zione per quasi nulla, e allora, decretd che potevano venir impiegati solo in lavori agricoli, per il miglior sfruttamen- to della colonia. Scopo del Governatore era di far si che i ci- vili impiegassero i « liberati » come cuochi e domestici, dan- do loro il necessario a vivere invece della piccolezza che veni- va data ai forzati, nutriti ¢ alloggiati dall’Amministrazione. La prima cosa che accadde fu che i civili vennero a chieder- gli il permesso di impiegare qua un forzato, 14 un altro in lavori riservati ai « liberati ». Aveva messo in atto il suo di- segno per riabilitare i « liberati » ma doveva presto compren- dere che a Caienna senso sociale o desiderio di progresso e di ordine non hanno significato; i civili esposero le loro la- mentele al Consiglio Generale della Colonia e giunsero al 228 GHIGLIOTTINA SECCA punto di tempestare il Ministero di petizioni chiedendo la revoca del Governatore. Nei suoi due anni di carica tentd il possibile per miglio- rare le condizioni della Colonia, interessandosi yivamente non solo dell’elemento civile, ma anche dei forzati. Ma la corrotta Amministrazione penale, invece di attuare i miglio- ramenti da lui proposti, contrappose alla sua energia costrut- tiva la forza dell’inerzia. Gli impiegati dell’Amministrazione non solo Jo odiavano ma lo temevano perché era felice quan- do riusciva a scoprire i loro abusi ¢ la loro pigrizia e quando poteva dimostrare la loro inefficienza. Uno dei suoi scherzi favoriti era di ordinare ad un forzato impiegato presso di lui di tagliare il filo telefonico principale a tarda notte: il mat- tino seguente si portava ai campi dei forzati e non cera mez- zo di passar la voce che si trovava in ispezione € poteva ve- dere le cose nella loro realt quotidiana. La prima volta che lo fece, quando meno se lo aspettavano, gli impiegati furo- no presi da panico. I] capo guardia di un campo era assente; in un altro trovd una guardia ubriaca ancora nell’amaca di casa sua dopo un’orgia di rum cominciata la notte prima ¢ durata fino al pomeriggio; trovd forzati che lavoravano nudi sotto il sole ardente, con la lingua fuori dalla bocca per la sete, privati di acqua perché avevano fatto qualche cosa che non era andata a genio a qualche guardia, Sapeva come co- gliere gli impiegati nelle loro raffinatezze di crudeltd ¢ non ci impiegd molto per familiarizzarsi con le molte forme di ruberie e di ricatto continuamente praticati a danno dello Stato e dei prigionieri indifesi affidati a loro. E proprio dai forzati che il Governatore sceglieva e che impiegava presso di st ottenne la maggior parte delle sue informazioni e la com- pleta conoscenza dei procedimenti della colonia penale. Ri- mosse parecchi impiegati dalla loro carica rimandandoli in Francia e fra questi il Comandante delle Isole. Parecchie guardie erano colpevoli di gravi vessazioni, ed egli le puni della loro barbaric. L’Amministrazione si uni alla popola- zione civile perché si designasse un altro Governatore,. Ma CAPITOLO XXVI 229 rimase fino al termine prefisso ¢ rimovendo tanta porcheria che, tornato in Francia, tutti erano rimasti col terrore che il Governatore suscitasse qualche tremendo scandalo a mag- gior pregiudizio della pessima reputazione della colonia. Un giorno, mentre sfogliava qualche documento negli at- chivi, mi chiese: — Dove andrete quando sarete liberato, Belbenoit? Gli dissi la verita; la sola cosa che avrei potuto: — Ten- terd di scappare — dissi — perché & unico modo di rifar- mi un’esistenza. Qui sarebbe impossibile. Restd in silenzio un momento e poi mi disse: — Non ne avrete bisogno. Io vi dard un passaporto per lasciare Sa colonia. Una cosa simile non era mai avvenuta in tutta la storia della colonia penale. I miei occhi si riempirono di lagrime e potei solo dire raucamente e con voce soffocata: — Gra- zie, signore, grazic. Il Governatore Siadous non riparld pid della cosa nei me- si successivi, ma cro certo della sua parola come della luce del sole e sapevo che, giunto il giorno della mia liberazione, avrei potuto andarmene. Lavoravo quanto mi piateva e c’e- rano giorni nei quali trascorrevo negli archivi l’intera mat- tina € il pomeriggio, interrompendomi solo per mangiare; di sera ritornavo alle baracche quando volevo, talvolta ritar- dando fino alle dieci, sempre con la buona giustificazione che il Governatore mi aveva tenuto al lavoro fino a tardi. Molto facevo per riordinare cid che mi era stato affidato, ma almeno meta del tempo trascorso negli archivi era dedicato alle mie indagini particolari. In quelle stanze muffite ed umide dove sedevo a tavolino tutto il giorno, frugavo gli scaffali le pile di carte; i rapporti ¢ le carte dell’Ammini- strazione dalla fondazione della colonia penale erano davan- tia mee trovai anche tutti i libri e gli articoli che su di essa erano stati scritti in parecchie lingue, tutti spediti — spes- so con biglietti o lettere — dai diplomatici ¢ dai consoli francesi di molte parti del mondo. Vi lessi il primo libro 230 GHIGLIOTTINA SECCA che fu scritto sugli orrori della colonia penale, quello del ge- nerale Pichegru, che dopo aver vinto la battaglia di Jemma- pes tradi la Rivoluzione e venne mandato alla Guiana da dove fini collo scappare agli Stati Uniti. Leggevo ed esaminavo tutto: libri, articoli, rapporti sui forzati, rendiconti dell’Am- ministrazione, liste di cibo, rifornimenti, vestiti, materiali. Prendevo note e cifre. E nei molti, lunghi mesi trascorsi se- duto in quelle stanze sporche mi procurai Ja conoscenza, la documentazione, i fatti e le cifre che mi hanno permesso da allora di combattcre per l’abolizione di quell’inferno e di esporre irrefutabilmente la corruzione della sua Ammini- strazione. Molti di questi capitoli furono scritti su quel ta- volino nel cuore della colonia penale ¢ mentre ancort in- dossavo le infamanti striscie bianche e rosse. Finalmente dopo aver vegetato tanti anni avevo trovato qualche cosa che mi assorbiva completamente, qualche cosa_da fare. Ma, un giorno, il Governatore mi fece chiamare nel suo ufficio dicendomi: — Ritornerete alle baracche, Belbenoit. Bisogna che economizzi tutto il possibile sul bilancio, ma procureré che abbiate un buon lavoro per gli ultimi mesi che vi restano ancora da scontare. Rimasi di stucco. Tuttavia non potevo dire nulla. — C’é qualcosa d’altro sotto — pensai. — Non é certo per econo- mizzare sul bilancio che i] Governatore mi rimanda alle ba- racche. Quando comparii nell’ufficio del Comandante, questi escla- mo scherzosamente: — Cosi, avete lasciato il Governo, Bel- benoit! — Il Governatore Siadous mi ha rimandato al campo, — risposi pianamente, — e ho il sospetto, signore, che |’Am- ministrazione sia immischiata in questa faccenda. — Come? Andiamo; voi credete sempre che |’Ammini- strazione ce l’abbia con voi, Belbenoit! — I] Comandante faceva le viste di essere innocentemente divertito. — Ma credo che questa volta potrd provarlo, signore, — replicai. La collera che covava in me mi era montata alla CAPITOLO XXVI 231 testa e perdetti presto ogni cautela ¢ il buon senso. — Sono a Caienna da sei mesi, — dissi al Comandante — sei mesi di buona condotta perché non ho avuto una sola punizione. Ma tuttavia in questi sei mesi, ho avuto le classificazioni peg- giori di tutto il penitenziario: sono I’unico forzato che abbia avuto zero per sei mesi consecutivi. — I forzati sono classi- ficati dal capo guardia di ogni baracca con voti che vanno da 0 a 10 secondo i rapporti delle guardie ¢ i miei ultimi diciotto erano tutti zero. Ero Yunico forzato della colonia con una tal serie di voti. Il Comandante non seppe come rispondere e disse, lascian- do da parte Ja faccenda: — Ora andrete alle baracche per tencre i registri del penitenziario, dato che chi attende a que- sto lavoro attualmente fa molti errori e i suoi registri sono in gran confusione. Ci sara parecchio da lavorare ma avrete anche molta liberta. Vi lasceré andare in citta quando vor- rete; potrete anche dormire nell’ufficio accanto alla porta del campo. Vi farete qualche soldo ¢ non credo che la vostra salute dovra patirci. « Sia quel che si sia!» mi dissi andando alla Residenza del Governo per raccogliere le mie poche cose ¢ portarle al- la baracca. I) Governatore mi vide passare accanto alla porta del suo ufficio e mi chiamd a lui, per dirmi che aveva mandato un biglietto alla baracca per informare il capo guardia che ero stato promosso da lui prigioniero di seconda classe. Lo ringraziai. Ero ancora amareggiato ¢ deluso della pie- ga che avevano preso gli eventi e per essere stato allontanato dal mio interessantissimo lavoro negli archivi e dissi: — In tutti gli anni che sono stato qui non son mai riuscito a pas- sare alla seconda classe ¢ credevo che avrei terminato la mia condanna ancora nella terza. Il Governatore comprese quello che volevo dire; sapeva che egli era Yunica cosa che fosse interposta fra me ¢ !’Am- ministrazione. — Ma so che cid vi sara utile, — disse. — 232 GHIGLIOTTINA SECCA Ora andate e state sempre bene attento'a quello che fate! — esclamd a mo’ di ammonimento. Seppi poi che ero stato allontanato dagli archivi perché il Comandante aveva dichiarato che era rischioso lasciarmi ivi a lavorare, avendo prove che conoscevo gente negli Stati Uniti ¢ che avrei potuto spedire informazioni che, rese pub- bliche, avrebbero potuto essere di pregiudizio per il prestigio della Francia all’estero. Il Governatore non sapeva di queste mie conoscenze ¢ il Comandante, insistendo, aveva potuto far leva sul suo senso del dovere ¢ sulla sua coscienza di leale servitore del suo paese. Ma quello che realmente interessava all’Amministrazione era che io non potessi esaminare i do- cumenti; tuttavia, avevo lavorato a tutta forza ed ero rimasto negli archivi quanto bastava per trovare molto pit di quello che l’Amministrazione avrebbe sospettato. Poco tempo dopo aver assunto le mie mansioni di conta- bile ottenni la mia rivincita sul Comandante. Per i lavori idrografici dell’Antares una squadra di sei forzati era stata mandata ad un’isola vicina a Caienna pet qualche indagine ed erano accompagnati da una guardia con cui rimasero due settimane. La guardia, avendo la sorveglianza assoluta del gruppo, compild la lista dei viveri che occorrevano ma, una volta partiti, ne diede agli uomini solo un terzo, riportan- dosene il resto per venderlo ai neri di Caienna. Quando presi i libri del penitcnziario, quei forzati, sapendo che ero in buoni rapporti col Governatore, vennero da me a espormi la loro lamentela ¢ io feci saper la faccenda al Comandante che a sua volta chiaméd la guardia, sgridandola per la sua azione. I] Comandante stabili che il danno recato dalla guar- dia all’Amministrazione era di soli 15 franchi. Mentre fa- ceva Ja sua indagine e sgridava il colpevole, io, come conta- bile, mi trovavo nel suo ufficio. Ora, il Comandante mi do- veva 15 franchi per un lavoretto che gli avevo fatto e allora egli disse tranquillamente alla guardia di dare i 15 franchi a me. E cosi chi realmente ci rimetteva era il bilancio del- PAmministrazione, CAPITOLO XKVI 233 Questa per me era un’occasione straordinaria e non era trascorsa un’ora che mi trovavo alla Residenza del Governo. Sapevo che il Governatore non avrebbe mancato di interes- sarsi della faccenda, perché era proprio una di quelle che gli stavano sempre fitte come un chiodo in testa. E come se ne interessd! Il Comandante fu multato fortemente. Non doveva passare molto € io avevo con l’Amministra- zione un’altra disputa che, sotto certi aspetti, fu umoristica. Avevo allora un gattino cui ero molto affezionato. Un giorno il capo distaccamento delle guardie lo vide che inse- guiva un suo pollo € mi avverti che se ancora |’avesse colto lo avrebbe ucciso. Gli risposi che se l’avesse fatto cid gli sa- rebbe costato parecchie migliaia di franchi. Ma alle mie pa- role si limitd a ridere, Ebbene, una settimana dopo il mio gatto spariva. Non avevo alcun dubbio sulla sua fine e allora andai dal capo dicendogli: — Vi avevo detto che se voi aveste ucciso i} mio gatto, questo vi sarebbe costato parecchie migliaia di fran- chi. Vedrete fra due o tre giorni se non é vero. Ritornai al mio ufficio al campo ¢ feci due rapporti, uno al Governatore ¢ Yaltro al Procuratore Generale della colo- nia. Ed eccone il contenuto: « Per pid di tre anni il cuoco della mensa delle guardie ha figurato nei rendiconti del pe- nitenziario di Caienna come fattorino. Sul bilancio le guar- die non hanno nessun diritto a cuochi ¢ se usano un forzato in questa mansione devono pagare all’Amministrazione 4 franchi al giorno. Il cuoco della mensa di Caienna, essen- do stato registrato come fattorino, non é stato pagato; in tre anni Je guardie hanno frodato !’erario di una somma di cir- ca quattromila franchi. Si deve indagare in proposito ». Ul giorno dopo il Governatore mandava il suo segretario al penitenziario per controllare la verita del mio asserto. Il capo guardia si trovava al campo solo da tre mesi ¢ la cosa lo mise in serio imbarazzo, sebbene non vi entrassse per nulla. Venne da me e mi chiese per quale motivo mi fossi comportato in quel modo. 234 GHIGLIOITINA SECCA — Voi non c’entrate per niente — gli dissi — perch? siete qui solo da poco tempo. Non ho agito contro di voi, ma per punire i] Capo dell’uccisione del mio gattino, — Ma ci vorrd un’enorme quantita di lavoro! — rispo- se il capo guardia. E mi disse che a causa del mio inter- vento il Governatore aveva ordinato che si registrassero no- me € presenza di tutte le guardie che avevano partecipato alla mensa negli ultimi tre anni, facendo un conto partico- lare per ognuna di esse. Esultavo ad ogni parola che sentivo. — Ci penso io que- sta notte stessa — risposi. — Lasciate fare tutto a me. E ogni volta che vedevo i] Capo ribattevo alle irose parole _ che mi diceva: — Quando vi dicevo che i] mio gatto vi sa- rebbe costato caro, sapevo bene quel che volevo dire. Dopo di cid mi lascid in pace e non si occupd pit di quel- lo che facevo. In quella spietata colonia penale si deve im- piegare tutta la propria astuzia per essere trattati come un ¢s- sere umano e ottenere una parvenza di rispetto. Come contabile del penitenziario di Caienna godevo mol- tissimi privilegi, Le guardie avevano paura delle mie dela- zioni. In ogni penitenziario e campo della giungla quella & una posizione molto vantaggiosa, perché @ il contabile che realmente dirige il campo e si occupa di tutto. Se conosce il suo mestiere, pud farsi moltissimi soldi con le innumerevoli forme di scambi ¢ commerci che cadono nella sua sfera di azione. Conta molto di pid per un condannato il favore del con- tabile che quello di dieci capi guardia. II contabile registra i nomi, riempie i vuoti, manda gli uomini in un campo piut- tosto che in un altro anche quando i nomi sono stati fissati dal Comandante, e di sua spettanza sono infinite altre fac- cende di importanza vitale per l’esistenza quotidiana dei con- dannati. La principale fonte di guadagno per il contabile la ven- dita delle varie mansioni del campo. Quando un forzato de- sidera un’assegnazione o un favore particolare, vale a dire CAPITOLO XXVI 235 che gli serva a far soldi, va dal contabile ¢ gli fa un’offerta, € il _maggior offerente ottiene le cariche ambite, 1] contabile del penitenziario di Caienna deve lavorare una media di sedici ore al giorno, ma |’Amministrazione gli da una gratificazione di parecchi quarti di caffé in pit ogni settimana, Il capo guardia non esamina la correttezza dei libri e dei rendiconti, che sono complicati e richiedereb- bero una quantita enorme del suo tempo che preferisce tra- scorrere nell’amaca o bevendo rum con i suoi colleghi; ma comunque, il responsabile di quanto si fa & solo lui. Egli deve firmare tutti i rapporti ¢ i conti, e ogni genere di do- cumento che venga redatto dal contabile, e se qualche cosa non va bene ne deve rispondere, Cost ¢ importantissimo per la sua tranquillité impiegare a quel lavoro un forzato espe- rimentato. Ma se il contabile non guadagnasse nulla dal suo duro lavoro, preferirebbe passare otto ore al giorno in qual- che altro impiego, e se ha Vintelligenza bastante per il pe- sante lavoro di registrazione ¢ di conto, non gli sara difficile trovarsene qualche altro pit rimunerativo. Dato che il capo guardia non ha nessuna voglia di compensarlo di propria tasca, come compenso gli concede liberta massima, e percid if contabile puéd rifarsi delle sue fatiche in una quantita di modi. Se un forzato, per esempio, vuol essere assegnato al Tavoro con qualche squadra, dara 1o franchi al contabile ¢ appena ci sara un posto disponibile egli verra prescelto... se ne] frattempo un altro non avra offerto 15 franchi! Nei penitenziari pid grandi, come quello di Caienna ¢ San Lorenzo, queste risorse procurano al contabile conside- revoli somme di danaro e i! capo guardia ne prende una par- te per sé come compenso della liberta d’azione concessa al suo « impiegato ». 1} pid fortunato sfruttatore di « risorse » che conobbi ne- gli anni che trascorsi alla Guiana fu un certo Bébert Abavent, che tenne i libri delle baracche di San Lorenzo per parecchi anni. Quando ci trovammo insieme a San Giuseppe mi disse che guadagnava una media di 50 franchi al giorno e in certi 236 GHIGLIOTTINA SECCA Periodi anche pid, come quando al campo c’era per capo di- staccamento Vilsouet. Questi era un tipo unico, Bébert, cos mi disse, gli dava ogni giorno la sua bottiglia di rum per ave- re la piena disponibilita dei libri. Se un forzato desiderava andare in qualche campo o venire a San Lorenzo da un campo della giungla, Bébert tassava dieci franchi; se si vole- va cambiare baracca accorrevano due franchi; diventare spaz~ zino della cit’ costava cinque franchi ¢ il posto di custode delle baracche 50 franchi. Ogni volta che abbisognava di qualche centinaio di franchi il Capo ricorreva ad uno dei suoi varii ricatti. Un bel giorno ands all’ufficio di Bébert con una lista di una trentina di nomi e gli disse di cambiare quei forzati in altre baracche la sera stessa. Appcna il Capo ebbe lasciato Pufficio, Bébert che conosceva ogni uomo del campo, vide che tutti quelli che si trovavano sulla lista erano giovani. Dapprima pensd che doveva essere stato disposto qualche nuovo regolamento per reprimere l’omosessualismo sfrenato che regnava in ogni baracca; ma dopo poco comprese che non si trattava che di un nuovo ricatto escogitato dal Capo. Esegui gli ordini impartitigli ¢ nel pomeriggio informava coloro che si trovavano sulla lista che avrebbero dovuto cam- biare baracca senza indugio. Il mattino dopo c’era una vera € propria coda di gente fuori della porta dell’ufficio di Bé- bert. I forzati pi anziani erano venuti a chiedergli perch i loro mémes erano stati tolti dalla baracca e tutti gli offri- vano qualche cosa perché il trasferimento fosse cancellato. Bébert non poteva far nulla di fronte agli ordini del Capo e allora andé da lui esponendogli come stavano le cose, € sperando che gli avrebbe permesso di aggiustarle per beni- no. — Ottimamente — disse il Capo — rimandatel: pure alla baracca, a quale tariffa gia lo sapete. E — aggiunse — ricordatevi di quello che mi & dovuto. — Questo piccolo ricatto gli procurd 300 franchi. Bébert mi raccontd un aitro piccolo scherzo dello stesso Capo. Costui a ogni fine di mese aveva speso senza fallo CAPITOLO XXVI 237 tutta la sua paga e allora veniva all’ufficio di Bébert e gli diceva: — Domani i] forzato X andra al Campo dei Mal- gasci. Mettetelo in lista, — E il forzato X aveva invariabil- mente un impicgo buono ¢ lucrative come quello di custo de di baracche o di tenitore del banco alla « marseillaise ». Bébert comunicava allora all’interessato la sua destinazione a quelorribile campo, e quegli, attonito, voleva saperne it perché. — Ordine del Capo, — soleva rispondere Bébert, — Andate a vederlo se vi pare! — E il forzato si recava da Vil- souet ¢ si accordava con lui, vale a dire gli dava da 50 a franchi. E' il mattino seguente Vilsouet andava da Bébert, gli faceva cancellare quel nome e mandava al Campo dei Malgasci un Arabo. In tutti i campi e le baracche avvenivano continuamente cose dello stesso genere. Un pomeriggio il capo guardia mi disse di andare all’ospe- dale a registrare una morte. II morto, Boppé, era stato una delle celebrita della colonia penale ed era annegato i! pome- riggio precedente prendendo un bagno. Si trovava alla Guia- na solo da pochi mesi e vi era giunto sulla Martiniére, con- dannato a cinque anni di lavori forzati per aver tentato di avvelenare sua moglie nel suo bel castello nelle vicinanze di Nancy, dove viveva signorilmente come Ispettore Generale delle Foreste e delle Acque per la Francia Orientale; un con- siglio di famiglia si era adunato in una lussuosa sala de! ca- stello per decidere sulle misure da prendere, Avrebbe dovu- to essere consegnato alle autorit4? Ma allora si sarebbe com- promesso !’onore di uno dei pid grandi scrittori del paese, rovinando probabilmente la sua carriera. La famiglia deci- se che non si sarebbe dovuto propalare nulla ma ad una sola condizione: che Boppé avesse passato una congrua rendita alla moglie che non voleva pit convivere assieme a lui. Gli venne detto che se non avesse adempiuto a quella condizio- ne sarebbe stato consegnato alla giustizia, ed egli acconsenti prontamente. Ma non mantenne la promessa, nella certezza che la famiglia non avrebbe osato suscitare uno scandalo che 238 GHIGLIOTTINA SECCA avrebbe gettato una cattiva luce sul nome di tutti. Ma venne denunziato lo stesso ¢ il tribunale lo condannd a cinque an- ni alla Guiana. Quando vi giunse, Boppé si rese la vita. comoda quanto gli era possibile col denaro. Era affascinato dalla giungla ¢ aveva deciso di dedicarsi allo studio della flora tropicale. Pos- sedendo un patrimonio considerevole, non gli era difficile ottenere ogni specie di favori dall’Amministrazione. Giun- sero fino all’assurdita di farlo « forzato botanico » della co- lonia! Fece yenire dalla Francia tutto i! suo materiale scien- tifico ¢ una dozzina di fini cani da caccia. Ma la morte lo strappd dagli agi che si era comperato. E meno di due settimane dopo gli arrivava un pieno condono dalla Francia. Era stato firmato dal Presidente, indubbia- mente per le pressioni di influenti amici di Parigi, otto gior- ni prima che si annegasse. La mia condanna si avviava tranquillamente alla fine. La vigilia del giorno della mia liberazione era ormai giunta: il ventun settembre del 1930. Avevo dovuto scontare due pu- nizioni di sei mesi che avevano prolungato di un anno Ja mia condanna. Tuttavia ero stato fortunato: la buona sorte e Ja mia presenza di spirito mi avevano tenuto in vita per nove interminabili anni di sofferenze ¢ di tormento. A parecchi erano stati dati due o tre anni per la loro prima evasione e cinque per la seguente, ma per i miei quattro disperati tentativi di fuga avevo dovuto fare solo sei mesi in pit. Sa- pevo bene che con il mio temperamento nervoso € con la mia debole salute non sarei mai riuscito a vivere fino al ven- tun settembre del 1930 se avessi dovuto stare tre anni di fila nelle orribili celle di San Giuseppe!

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