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Il Sacro Bosco di Bomarzo

Cecilia Maria Paolucci


ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 24 Giugno 2003, n. 327
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Nella seconda met del Cinquecento, nella valle collinosa circondata dai Monti Cimini presso il
lago di Vico, che secondo la leggenda era nato dal lancio della clava di Ercole che aveva cos
voluto dimostrare la sua forza ai contadini, le grandi casate romane fecero sorgere una miriade
di palazzi e parchi, meraviglie del manierismo per testimoniare sia la loro potenza politica sia la
sapienza platonica ed ermetica trasferendo, nel tufo, le tradizioni ricevute dalle Accademie
fiorentina e romana. In questi santuari si ammisero solo di pagani.
Lo stesso ideatore del bosco di Bomarzo, Pier Francesco Orsini detto Vicino, si liber del
timore di Dio rifiutandone sia il disegno provvidenziale sia la sua istituzione terrena, il papato,
reputandolo meno del suo "puzzar selvatico" e detestandone tanto gli emblemi, la corte, la citt
e la politica, da farsi "cittadin de' boschi" applicando la norma epicurea del "Vivi Nascosto".
Seguendo i dettami di questa filosofia egli si liberava anche del timore della morte, negandola e
cercando invece la "Meraviglia", che era possibile solo illudendo i sensi. Il motivo centrale del
suo progetto proprio la "Meraviglia". All'Orsini erano anche chiari i messaggi provenienti dal
suo ambiente quotidiano: le abitazioni contadine di Bomarzo, da sempre scalpellate nel tufo e
poi prolungate a mattoni erano un segno tangibile della continuit tra creazioni naturali e
creazioni umane. Senza dubbio, egli vide quanto Kircher descriver nella sua opera Mundus
Subterraneus, a met del '600: il fumo che saliva dai campi della scomparsa Polimartium non
erano vulcani, ma i camini scolpiti nel tufo delle antiche tombe etrusche, divenute le case dei
contadini nelle quali anche gli arredi erano scolpiti nel tufo. Ugualmente nel Bosco i Mostri
furono scolpiti direttamente nel suolo modellando il colle e dandogli voce.
Il motivo per la creazione del "giardino", venne dato a Vicino da un funesto avvenimento: nel
1560 infatti moriva Giulia Farnese, la sua adorata consorte. Il duca inizi la costruzione del
parco per rendere viva e tangibile la memoria della consorte che tanto egli aveva amato. I
lavori si protrassero a lungo: dal 1550 fino alla morte dello stesso Duca avvenuta nel 1586.
Il Sacro Bosco un assemblaggio contrastante di vicende e desideri privati, un'avventura
emotiva ed intellettuale, contraddittoria ma unitaria nel suo tragico e materiale amore per la
vita. Costellato di colossali e stravaganti sculture realizzate con massi di peperino locali, dal
colore grigiastro, e non facilmente comprensibili se non alla fantasia dell'eccentrico
committente, concepito con un disegno pienamente antirinascimentale.

fig. 1
Sacro Bosco di
Bomarzo
foto cortesia Stefano
Colonna

fig. 2
Sacro Bosco di
Bomarzo
foto cortesia Stefano
Colonna

fig. 3
Sacro Bosco di
Bomarzo
foto cortesia Stefano
Colonna

Visto il lungo protrarsi dei lavori, gli studiosi non sono ancora oggi certi di attribuire ad uno
specifico artista le opere di cui Vicino sarebbe stato l'inventore. Non si avanza nemmeno una
data precisa e n tanto meno firme precise per i singoli manufatti che presentano i caratteri
difformi di rusticit ed eleganza. Ma, prendendo come base concordanze stilistiche e
cronologiche, analizzando il castello di Bomarzo, le altre fabbriche degli Orsini e le tracce negli
epistolari soprattutto in quelli intrattenuti da Vicino con Annibal Caro e Giovanni Drouet, sono
state formulate varie ipotesi che sembrano essere tutte in contrasto e tutte verosimili.
impossibile escludere qualsiasi forma di influenza da quella dei trattati, delle visite, dei consigli
verbali o dei disegni elaborati da un imprecisato numero di persone reinterpretati poi dagli
artigiani locali. Questo giardino infatti si differenzia molto da quelli prevalentemente
geometrizzati che si realizzavano allora in Italia: fu creata una vera e propria selva incantata in
cui, ancora oggi, ci si imbatte nella fantasia, nell'amore e nella morte seguendo molteplici
itinerari.
Con ogni probabilit un viaggio catartico attraverso il quale Vicino cerca di ritrovare la donna
amata; ma questo viaggio anche un continuo "inganno", al quale si introdotti da una serie di
iscrizioni sparse qua e la nel bosco. Una in particolare, posta all'entrata principale recita cos:

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TU CH'ENTRI QUA PON MENTE


PARTE A PARTE
E DIMMI POI SE TANTE
MERAVIGLIE SIAN FATTE PER INGANNO
O PUR PER ARTE.
La domanda dell'Orsini capziosa perch "arte" pu significare anche "inganno" o
"incantesimo"; e nel Bosco l'arte al servizio dei suoi inganni e dei suoi incantesimi. Questa
un'ulteriore prova del fatto che ci si muove nell'ambito cavalleresco del bosco stregato o Sacro
Bosco; in questa letteratura infatti il termine sacro usato spesso come sinonimo di magico e
stregato.
Alcuni studiosi hanno paragonato il bosco ad un labirinto, ed in effetti lo . Non dobbiamo per
pensare ad un labirinto geometrico in cui basta il filo di Arianna per riavere la soluzione unica e
banale ma un labirinto aperto che non ammette automatismi, n conclusioni n controlli
preordinati. Tanti percorsi sono possibili, ogni entrata pu essere quella principale.
Infatti un primo percorso poteva iniziare dal basso; qui si veniva accolti dalle due sfingi
appollaiate su piedistalli. Su uno di questi vi una scritta che recita:
CHI CON CIGLIA INARCATE E LABBRA STRETTE NON VA PER QUESTO LOCO
MANCO AMMIRA LE FAMOSE DEL MONDO MOLI SETTE
Ovvero: Guarda e Taci.
Ma, nel lato sinistro dell'entrata c' una fenditura, creata artificialmente nella roccia, che invita
ad attraversare il ruscello e ad iniziare un percorso senz'altro pi inquietante rispetto al
precedente dal momento che conduce al lato dell'Orco infernale sormontato dal castello degli
Orsini. Questi percorsi non escludono per l'approccio dall'alto, ovvero dal Tempietto, dedicato
a Giulia, come premessa serena ai turbamenti dello spirito.
Il parco fu progettato su tre terrazzamenti in cui gli scalpellini crearono balaustre e
modellarono, a ninfeo, l'arco inferiore. Gli scultori sbozzarono le figure nelle rupi; i muratori
eressero un tempietto e una casa pendente e i fontanieri crearono cascate e giochi d'acqua.

La Storia
P. F. Vicino Orsini (1523-1583) aveva ereditato il Ducato di Bomarzo a sette anni dalla morte
del padre a causa di un contenzioso per la successione risolto solo con l'intervento di
Alessandro Farnese, nipote dell'omonimo religioso che sal al soglio pontificio con il nome di
Paolo III (1534-1549).
La moglie di Vicino, Giulia, era una stretta parente del cardinale amico. Egli la spos nel 1545
legandosi all'altra grande famiglia in ascesa nella Roma rinascimentale. Ma, gi un anno dopo il
matrimonio, Vicino dovette affrontare molte campagne militari che lo tennero lontano dalla
moglie per molti anni e lo provarono sia fisicamente che intellettualmente. Egli infatti non fu
mai un uomo fortunato soprattutto in amore. Si era gi innamorato, precedentemente di una
giovane veneziana la cui morte prematura lo aveva segnato profondamente. Giulia, che ricolm
la sua vita affettiva, non riusc per ad evitargli una vita travagliata.
Alla fine degli anni '50, mentre era in guerra, fu fatto prigioniero e la sua carriera militare
declin sia per la fine dei grossi conflitti internazionali (1559, Trattato di Cateau-Cambresis che
pose fine alla guerra franco-ispanica), che per il suo rifiuto di continuare a combattere.
Egli ritorn cos a Bomarzo per dedicarsi alla sua sposa che, in questi lunghi anni, lo aveva
sostenuto moralmente.
Lei fece completare come ex-voto la Chiesa di Santa Maria della Valle (1546), parrocchia del
paese, iniziata dal suocero quando Vicino era in battaglia. Vicino, ormai pronto a dedicarsi alla
vita famigliare e alla moglie, perse la sua adorata consorte.
Riusc superare il lutto grazie ai suoi interessi letterari e filosofici e al suo ritiro tra le selve del
viterbese dove coltiv l'idea di dedicare proprio alla memoria di Giulia Farnese il parco sotto la
sua dimora.

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La personalit del Duca si comprende leggendo alcune lettere dello stesso all'amico francese
Giovanni Drouet, che da anni viveva a Roma e datate dopo la morte prematura della moglie: In
queste si legge la disperazione dell'uomo che non riesce pi a provare piacere al cospetto di
una donna. Nel feudo di Bomarzo infatti, proprio in quegli anni, nacquero delle leggende in
cui spose novelle "provate" dal signore potevano anche sparire nel "Parco dei Mostri".
Nei suoi scritti Vicino ama definirsi uomo sbuffante; gli piace vedersi come un ariostesco
Atlante, un mago che edifica un castello fatato. A "dame e paladini" dice:
CHE OGNUNO VI INCONTRI CIO' CHE PIU' GLI STA A CUORE E CHE TUTTI VI SI
SMARRISCANO.
Era molto interessato a nuovi libri e ad "avvisi dall'India" che suggeriva all'amico Drouet di
procurarsi dall'ambasciatore portoghese. Voleva libri che narrassero di "cose nove", "saporite",
"stravaganti". Allo stesso Drouet, pratico di distillatori e forse di pratiche alchemiche, chiedeva
anche di procurargli colori tenaci per dipingere, alla maniera etrusca e greca, le statue del Sacro
Bosco. Negli ultimi scritti per il tono spento; Vicino parla di s come di un gelido e arido
Saturno annoiato ormai anche dal parco. In tutto questo per non troviamo mai traccia della
filosofia di cui pervaso tutto il parco.
L'Orsini fece scalpellare sulle pareti del terrazzo dei dilemmi che diventarono la tavola delle
sue antinomie etiche:
1) MANGIA BEVI E GIOCA;
2) SPREGIA LE COSE TERRENE;
3) VIVI BENE E SARAI FELICE;
1) DOPO LA MORTE NESSUNA FELICITA';
2) DOPO LA MORTE VERA VOLUTTA';
3) I BEATI TENNERO LA VIA DI MEZZO;
1) IL SAPIENTE DOMINERA' GLI ASTRI;
2) LA PRUDENZA E' DA MENO DEL FATO;
3) E DUNQUE ?
CONOSCERE. VINCERSI. VIVERE PER SE STESSI.
NON GLI UOMINI PER I LUOGHI, MA I LUOGHI PER GLI UOMINI.
Il castello , ancora oggi, tempestato dal simbolo che risponde a questi dilemmi e che anche
un'insegna di famiglia:
LA ROSA D'ORO O ROSSA A CINQUE PETALI: simbolo di Venere e dell'amore platonico
oltre che del segreto ermetico (la verit detta SUB ROSA).

Il Sacro Bosco e l'arte dei giardini nel Rinascimento


Come accennato, il Sacro Bosco noto anche come Parco dei Mostri per la presenza di figure
fantastiche e grottesche, situato sotto il paese di Bomarzo alle pendici di un anfiteatro
naturale.
uno dei pi importanti giardini del Cinquecento ma anche quello che pi di tutti rimane
avvolto nel mistero; non se ne conosce infatti n il preciso programma iconografico e neppure
il progettista.
Nel Cinquecento avere un giardino era, per i nobili, una sorta di status symbol e, nelle capitali
del Rinascimento, si gareggiava per avere i migliori architetti del momento. proprio questo
infatti il periodo in cui a Roma si realizzano i giardini pi importanti della storia del paesaggio.
Negli anni tra il 1504-1513, viene realizzato il Belvedere Vaticano di Bramante, un vero e
proprio prototipo nell'evoluzione del giardino cinquecentesco. Questo fu commissionato da
Giulio II della Rovere il quale aveva voluto uno spazio destinato sia alle incombenze solenni di
rappresentanza, che alle funzioni ludiche e di spettacolo. L'architetto ebbe a disposizione

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un'ampia superficie nella quale costru il giardino prendendo spunto dalle numerose ville e
dimore degli imperatori romani tra cui la cittadina Domus Aurea, riscoperta in questo periodo,
e la suburbana villa di Adriano nonch il santuario della Fortuna a Preneste. Lo spazio
intermedio ordinato su tre piani, collegati da scalinate che sono la chiave dell'opera: dal primo
livello che impiantato nel cortile con le gradinate per gli spettatori si passa al terrazzo di
mezzo con il ninfeo; si sale infine alla terrazza superiore in cui il giardino si chiude con
l'emiciclo terminale.
Immediatamente susseguente a questo, la creazione nel 1517 del giardino di Villa Madama,
alle pendici di Monte Mario, opera di Raffaello. Questa commissione fu data da Giulio II
de'Medici (divenuto papa nel 1523 con il nome di Clemente VII), cugino di Leone X (morto nel
1521). La villa prendeva nome da Madama Margherita d'Austria, figlia di Carlo V e moglie del
duca di Firenze Alessandro de' Medici, che la abit da giovane e poi da vedova. Il progetto di
Raffaello, rimasto incompiuto per la prematura morte dell'artista (1520), recuperava anch'esso
moduli antichi derivati soprattutto da quelli delle ville romane quali la Villa tiburtina di Adriano
e delle Ville di Plinio il Giovane al Tuscolo e a Laurento, descritte nelle sue lettere.
Del progetto originale ci restano dei disegni e la accurata descrizione fatta dall'artista: una serie
di ambienti imperniati su un cortile circolare che diviene il centro armonico del complesso. Nel
progetto si prevedevano: un cortile rettangolare come accesso monumentale dal lato verso
Roma, un teatro "all'antica", un criptoportico, e poi sale, logge, scuderie, terrazze e fontane nel
giardino che, su diversi livelli, scendeva verso il Tevere.
Raffaello ebbe come aiuto nella realizzazione dell'opera l'architetto Antonio da Sangallo il
Giovane. Di tutto il complesso fu realizzata soltanto la parte verso nord che comprende meno
di met del palazzo (destra), la loggia e la sistemazione dei giardini dietro di essa, con la
terrazza che affaccia sulla peschiera e chiamata da Raffaelo "Xystus", nome ripreso da
Vitruvio.
La loggia direttamente ripresa dalle strutture termali romane nelle quali gli spazi quadrati
venivano dilatati con l'inserimento di esedre coperte da volte a botte. La facciata posteriore
della villa fu invece concepita come uno spazio aperto verso il giardino in modo da creare un
rapporto armonico tra interno ed esterno.
La villa era adibita a soggiorno durante le stagioni calde e a luogo di riposo dagli affanni del
lavoro. Ad abbellire i giardini si era dedicato Giovanni da Udine che aveva realizzato, nella
parte "selvatica" a cui si accede attraverso un elegante portale affiancato da due giganti in
stucco di Baccio Bandinelli, una "grande testa di leone" che coronava una sorta di ninfeo
naturale, con grotte artificiali e fontane. Ma quasi tutte le sculture sono perdute.
Resta per la bellissima Fontana dell'Elefante, al centro del giardino all'Italiana, detta cos per
la grande testa di elefante che scolpita al centro dalla cui proboscide scaturisce l'acqua.
questo il ritratto dell'elefante bianco di Ceylon, Annone, regalato dal re Emanuele del
Portogallo al Papa Leone X.
La volta della fontana decorata con mosaici di pietre e conchiglie con la raffigurazione di
soggetti acquatici. Molte dovevano essere le fontane previste per decorare il giardino che
servivano anche per rinfrescare l'ambiente nelle stagioni calde. Ancora oggi la villa ornata
dalla vasca del terrazzo, davanti alla loggia, e soprattutto dalla grande Peschiera.
L'ampia e classica struttura del Giardino all'Italiana concepita come luogo di ristoro e le
nicchie servivano per riparare dal sole chi voleva pescare nella vasca.
Ancora negli anni tra il 1565- 1573, vengono progettati e costruiti gli Orti Farnesiani sul
Palatino ad opera di Jacopo Barozzi detto il Vignola. Tutti questi giardini erano distribuiti su
dislivelli pronunciati. Ma, circa dieci anni dopo, altri tre giardini tracciarono le linee costruttive
su cui si sarebbero confrontati tutti i progettisti successivi:
1) il giardino di Palazzo Farnese di Caprarola progettato da Jacopo Barozzi detto il Vignola,
realizzato tra 1559 e 1575 dove il Cardinal Farnese (amico di Vicino) costru un edificio
pentagonale intorno al cerchio del cortile con la pinacoteca delle cui simbologie si era occupato
Annibal Caro ed il parco la cui chiave , per Elmire Zolla, alchemica.
Anche qui l'archetipo quello del Belvedere Vaticano.
L'architetto realizz un giardino suddiviso in varie aree, abitate da erme e cariatidi che danno,
ancora oggi, all'ambiente un carattere alquanto teatrale. C'era un disegno preciso e significativo
soprattutto nei riguardi del clero romano: si dimostrava infatti la supremazia dello spirito del
committente sulla spontaneit della natura aderendo cos, pienamente, ai dettami della

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Controriforma.
2) il giardino di Villa Gambara, poi Lante a Bagnaia, costruita, forse su progetto del Vignola
intorno al 1568, dal Cardinal Gambara, divenuto Vescovo di Viterbo nel 1566.
Nel programma iconografico, probabilmente, il cardinale si serv di Fulvio Orsini, bibliotecario
del Cardinale Alessandro Farnese nonch studioso di letteratura sia greca che latina, erudito di
numismatica ed esperto di epigrafia.
Il principio sotteso all'iconografia del giardino quello dell'ut pictura poesis.
In origine il giardino era costellato di fontane decorate ugualmente da animali fantastici come
draghi, unicorni, (simboli dell'et dell'oro, l'aetas felicior, descritta da Virgilio e Ovidio !) che
reali come le anitre nonch dalla statua di Bacco.
All'inizio dell'itinerario fantastico c' la Fontana di Pegaso e i Busti delle Muse, che
presiedono all'ispirazione artistica: la descrizione del volo del cavallo Pgaso, del furore
poetico e del culto delle muse, quasi ad indicarci che la collina sulla quale stiamo salendo , in
realt, il monte Parnaso.
All'estremit superiore del giardino c' invece la Fontana del Diluvio Universale, cos come
viene rappresentato nelle Metamorfosi di Ovidio.
Anche nella Fontana dei Delfini sono ricordati i versi dell'autore il quale descrive questi
animali guizzanti fra i rami delle querce dopo l'alluvione. Altre statue e fontane, con citazioni
prese in prestito dalla letteratura e dall'araldica come il Gambero -emblema del cardinale-,
concludono la decorazione della villa insieme al parterre, squadrato e regolare, simbolo del
dominio dell'estetica dell'arte sulla natura la quale, allo stesso tempo, viene soggiogata in
maniera serena e graduale regalandoci una sensazione di atemporalit.
3) il giardino di Villa D'Este a Tivoli, progettata dall'architetto Galvani insieme all'esperto di
iconografia Pirro Logorio, su commissione del Cardinale Ippolito II, con l'intento preciso di
eclissare lo splendore del giardino dei Farnese.
Anche qui posti su tre livelli, che si svolgono in salita, furono create fontane, giochi d'acqua,
sculture e labirinti, sentieri e scalinate. Nella parte inferiore c' la Fontana dell'Organo
(sculture simili in Porta nuova a Palermo); la zona centrale occupata dalla Fontana dei
Draghi, vicino al cosiddetto viale delle Cento Cannelle o Fontane. L'iconografia del giardino
si fonda sull'iconografia del cardinale e di Ercole, eroe simbolo del coraggio e della forza, le
virt che erano richieste ad un signore del tardo Rinascimento e nondimeno capostipite della
famiglia D'Este. Di nuovo l'aspetto legato alla moralit che riporta, indiscutibilmente, al rispetto
per i nuovi programmi del Concilio di Trento.
Tutti questi progetti avevano dunque in comune sia il rigido tracciato geometrizzato che
l'utilizzo di essenze arboree sempreverdi e aiuole ornamentali (parterres) e, infine, un preciso
programma narrativo-iconografico.
Queste caratteristiche, spesso mediate dalla mitologia greca e latina, connotarono quella
tipologia chiamata: "Giardino all'Italiana".
In realt, alla base di tutta questa nuova arte era un'opera letteraria pubblicata un secolo prima,
nel 1499, la: Hypnerotomachia Poliphili (Il Combattimento Erotico in Sogno di Polifilo) scritta
dal signore di Palestrina Francesco Colonna (e non dal frate domenicano Veneziano !) in cui il
personaggio principale si ricongiungeva all'amata dopo svariate peripezie condotte attraverso
una serie di giardini, descritti nei dettagli e minuziosamente rappresentati da 170 illustrazioni.
In questo testo, elaborato cinquanta anni prima della sua pubblicazione, si dichiaravano i nuovi
dettami dell'estetica e della concezione paesaggistica: il giardino diventava un microcosmo in
cui la ragione dominava la natura per il raggiungimento della perfezione, mentre la geometria
rigorosa dei percorsi svelava l'ordine cosmico presente in tutte le cose.
Siamo, come abbiamo gi ricordato, nella piena crisi dei valori che avevano caratterizzato il
Rinascimento. Gli artisti della cosiddetta "maniera" vivono una sorta di "rifiuto" delle regole
rinascimentali che li conduce a non conoscere pi il reale e quindi a non poterlo rappresentare
nelle forme artistiche tradizionali.
Nasce, in questo modo, l'uso del "natural artificio" che crea i giardini, appendici delle ville,
gareggiando in "Meraviglia" con la Natura creatrice irrazionale.
Tipica di quest'epoca anche la sperimentazione in ambito teatrale di nuovi effetti
scenografici; allo stesso modo questi "effetti" vennero impiegati nella realizzazione degli
scenari presenti nei giardini con la creazione di labirinti, trabocchetti, congegni semoventi e

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quant'altro servisse a sorprendere l'ospite durante la passeggiata.


Anche le continue allusioni cosmologiche, quelle moraleggianti e quelle semplicemente ludiche
creavano susseguenti rimandi tra la realt e l'apparenza, indice chiaro della perdita delle
certezze razionali dell'umanesimo rinascimentale. La natura non pi quindi rappresentata
nella sua forma logica ma nel suo continuo divenire.
Il gioco teatrale poi, che si realizza in tutte le stagioni, riprodotto in questi luoghi attraverso
l'uso di piante sempreverdi, di giochi d'acqua che creano l'habitat naturale per le ninfe e i satiri,
creature del mito eterne ed in contrasto con la caducit umana.
Questo effetto di selva aumentato dalla presenza delle grotte che, create dalla unione di vari
materiali come il tufo, la vegetazione, le conchiglie e i muschi, rappresentano un ritorno allo
stato primitivo e al grembo di madre Terra da cui tutto ha origine. Questo concetto verr
ripreso appieno nel Sacro Bosco.
Anche Ovidio, nelle Metamorfosi, aveva descritto la grotta sacra a Diana dove simulaverat
artem ingenio natura suo ovvero la natura con il suo ingegno aveva simulato un'opera d'arte !

Descrizione del Sacro Bosco


Il giardino voluto da Vicino Orsini, invece, era lontanissimo da questa logica progettuale.
Abbiamo gi ricordato che gli anni in cui visse l'Orsini erano quelli del declino del
Rinascimento. Era questa l'epoca in cui si iniziarono ad amare i giganti, i mostri e le invenzioni
sceniche, preludio dell'epoca immediatamente successiva che si espresse nel ridondante e
"meraviglioso" Barocco.
Pier Francesco era, in effetti, figlio di quell'epoca e di quel "gusto". Tutto nel giardino fu fatto
per stupire: giganteschi animali fantastici, colossi grotteschi, figure mitologiche. Inoltre, nei
poemi cavallereschi del Rinascimento, uno degli accenti pi vivi dato dal ricorrere spesso nel
"bosco incantato" in cui l'Eroe si imbatte in fiere, giganti nonch in seducenti i ingannevoli
fanciulle. Questa volont del principe, di sorprendere i suoi ospiti e di rievocare, chiaramente
espressa dall'invito che egli fece incidere sulla cosiddetta Panca Etrusca:
VOI CHE PEL MONDO GITE ERRANDO, VAGHI
DI VEDER MERAVIGLIE ALTE E STUPENDE,
VENITE QUA DOVE SON FACCE HORRENDE,
ELEFANTI, LEONI, ORSI, ORCHI E DRAGHI
Nelle lettere scritte da Annibal Caro a Vicino egli descrive gi nel 1564 il teatro, ovvero il
ninfeo; il mausoleo ovvero il tempietto ed anche le sfingi, i mostri e le meraviglie
soprannaturali ovvero le statue gigantesche create e da crearsi nel Parco di Bomarzo.
Ed in effetti fin dall'entrata della Porta Monumentale, sovrastata dallo stemma degli Orsini, si
incontra la prima meraviglia lo:
Orco Araldico: con il globo terrestre, avvolto da bande un tempo verdi (nel 1574 Vicino
scrivendo a Drouet, gli annuncia di aver colorato variamente parecchie statue per renderle
pi belle dando al boschetto un'altra forma), che sembra ruotare. Il globo sorregge il
modello, in miniatura, del castello tetragono stemma degli Orsini.
Stando a Macrobio, la Sfera dovrebbe essere identificata con la mente.
La bocca dell'Orco spalancata e mostra dei denti giganteschi. Ma non , nel bosco, un unico
caso; tutte le sculture hanno infatti misure spropositate.
In apparenza sembra che l'ideatore si sia divertito a spargere sul terreno in declivio un'orda
scomposta di creature mitiche e infernali e che ogni episodio scultoreo sia stato ideato senza
alcun legame preciso in un percorso casuale e incoerente, vicino alle ricerche pittoriche e
scultoree dell'epoca, il Manierismo con i suoi continui scambi da un'arte all'altra: la dilatazione
della scultura post-michelangiolesca; lo straniamento dai canoni dell' architettura e l'impiego
spregiudicato della scala metrica; il sentimento stregato della natura e la poetica dell'avventura,
della sfida e dell'incantesimo propri dei poemi cavallereschi, mescolati con gli accenti
dell'orrido, del meraviglioso e del grottesco; la teatralit come invadente parametro discendente
dalla nuova forma dello spettacolo che si fonda sulla sorpresa delle apparizioni e del
coinvolgimento dello spettatore; il gigantismo, desunto anche dagli apparati festivi e il ricorso
scenografico al falso rudere e al frammento simulato ed infine l'inganno e l'artificio come

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momento d'incontro tra natura e arte (Calvesi).


La visione disordinata, che si presto accompagnata agli studi del Parco, in realt si deve ad
una lettura delle generazioni successive fatta su di un unico piano mentre si sono sovrapposte
almeno un paio di fasi precise.
Nel secolo scorso, i critici e gli storici dell'arte hanno cercato di dare una chiave di lettura
definitiva e il nome del progettista (Pirro Ligorio, Vignola etc.) di questo "sogno" immerso tra
rocce e alberi, interpretandone le iscrizioni in pietra che quivi abbondano e studiando anche il
carteggio di Vicino Orsini. Ma tutte le teorie non sono state mai scientificamente avallate.
Tra queste, una forse quella pi calzante. quella che vede impegnato lo scultore
Bartolomeo Ammannati, il quale proveniva dall'accademia michelangiolesca di Baccio
Bandinelli che aveva collaborato, a Venezia, con Jacopo Sansovino.
Lo scultore del parco sembra infatti conoscere il Veneto come si vede dal confronto dei due
Orchi, a fauci aperte, con i precedenti di Bartolomeo Ridolfi tra Vicenza e Verona. Inoltre,
come vedremo, Vicino stesso era stato nel Veneto dove aveva conosciuto anche l'opera di
Giulio Romano.
Ma, quello che in realt ha fatto maggiormente discutere gli studiosi era soprattutto la
mancanza o meno di un "programma" iconografico coerente ossia di un tema che coordinasse
le varie invenzioni del bosco. In una recente lettura, Maurizio Calvesi ha visto tre fasi ben
precise nella realizzazione di questo giardino. I due obelischi o cippi e la casa pendente,
presenti all'interno del Parco, furono invece realizzati prima delle 3 fasi.
Su uno dei cippi scolpita la data 1552 e la dimora inclinata fu realizzata, forse come voto, da
Giulia Farnese negli anni della prigionia di Vicino (1555).
Le 2 scritte alla base dei cippi sono state fondamentali per le interpretazioni degli oscuri
significati del giardino. La prima recita:
VICINO ORSINO / NEL / MDLII
La seconda:
SOL PER / SFOGAR / IL / CORE
Arnaldo Bruschi vide nella seconda scritta la chiave di interpretazione delle ragioni e dello
stato d'animo del committente nel concepire il singolare complesso, quasi a giustificare
preliminarmente tante "follie" e meraviglie ovvero un divertimento, uno sfogo de core.
Ma in realt fu certamente ispirata dalle poesie di Vittoria Colonna Scrivo sol per sfogar
l'interna doglia/di che si pasce il cor (1538), i cui versi dilettavano Michelangelo nelle loro
passeggiate.
C' chi ha visto anche un collegamento col Canzoniere di Petrarca e precisamente il sonetto
CCXCIII E certo ogni mio studio in quel tempo era / pur d'isfogare il doloroso core / in
qualche modo, non d'acquistar fama /. La Casa Pendente, forse costruita nel decennio
1551-1562 quasi all'estremit nord del bosco presenta, oltre allo stemma araldico degli Orsini,
la dedica al cardinal Madruzzo, per intercessione del quale Vicino fu liberato dalla prigionia, e
un cartiglio in cui scritto:
ANIMUS QUIESCENDO FIT PRUDENTIOR
Ovvero prova ad acquietarti in questa dimora sbilenca, entra e vedi se ci trovi pace.
Entrandoci infatti, sia il pavimento in salita che le pareti storte creano un capogiro, come
quando si giri su se stessi e sembra che tutto ci crolli addosso, come dice anche Lucrezio nel
canto delle illusioni ottiche. La casa fu realizzata per iniziativa di Giulia come augurio per
evitare la caduta e la rovina della casata dopo il fallimento della missione militare del marito.
La casa costituita da un unico masso su due livelli e ripropone il modello della casa patrizia
semplice con uno zoccolo bugnato che sale angolarmente al primo livello, mentre al secondo
sostituito da paraste di ordine tuscanico.
Siamo nella zona in cui viene edificato l'elemento primordiale della Terra, dove non c' riposo.
Siamo nel secondo livello, alle spalle abbiamo il regno infero delle acque di cui parleremo.
I percorso (1561-1563): l'Hynerotomachia Poliphili (Sogno di Polifilo) filo conduttore del
sogno di Vicino Orsini.

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L'influenza del Sogno doveva assolutamente esercitarsi su questo giardino soprattutto perch
l'autore era un antenato della sua sposa.
Mentre nei giardini rinascimentali il suo influsso fu di carattere ideologico-compositivo qui, nel
Sacro Bosco diventava il sostrato letterario che reggeva un preciso programma iconografico:
sia il racconto di F. Colonna che il Giardino di Bomarzo erano dedicati alle rispettive donne
amate e morte prematuramente.
All'inizio del primo percorso troviamo infatti il: Tempietto: costruito nel 1552. dedicato a
Giulia, decorato con Decorazioni Zodiacali (scomparse) simili a quelle del tempio che nel
"Sogno" era dedicato a Venere Physizoa (che genera Vita) nel quale Polia, la donna di Polifilo,
si manifestava e dal quale il protagonista iniziava il viaggio.
uno dei manufatti pi importanti realizzati nel giardino; composto da un ampio pronao
tetrastilo di ordine tuscanico, istoriato dalla rosa e innestato su un corpo a pianta ottagonale
con Cupola e Lanternino.
questa una costruzione intrisa di simbolismo: ottagonali sono i Battisteri perch il numero
otto equivale alla Resurrezione; l'ottava sfera corona le sette orbite dei pianeti; dopo il settimo
giorno si riemerge dalla febbre; dopo il settimo mese il feto pronto alla nuova vita e in ambito
astrologico l'ottava casa quella della morte e della rinascita.
Architettonicamente, la costruzione della Cupola del Lanternino accentua la verticalit
dell'intero volume e conclude in modo ascensionale il promontorio naturale legando cos,
inscindibilmente, Architettura e Natura (di nuovo il prolungamento tra opera della natura e
opera dell'Uomo !).
Vicino, nelle sue lettere paragonava la cupola del tempietto nel suo apparire da lontano a quella
fiorentina di Santa Maria del Fiore.
Non lontano, c'era un obelisco, perduto, simbolo dell'emanazione della luce da un punto
inesteso, dall'Uno che al di sopra delle forme in gi fino alla quadrata materia. Nella fontana
dei Quattro fiumi, a Piazza Navona, Bernini consigliato da Athanasius Kircher far costruire
l'obelisco come simbolo della illuminazione interiore che dall'Uno penetra nella caverna (che
la mente), la quale attraverso i quattro sensi maggiori comunica con il Fiume del divenire.
Tra il 1561 e il 1564 furono realizzate le sculture dei:
- FALSI RUDERI;
- TRE GRAZIE;
- NINFEO;
- VENERE;
- MONCONE DI COLONNA;
- FONTANA DI PEGASO;
- FONTANA DELLA NAVICELLA;
- INTERO TEATRO;
- LAGHETTO ( ora scomparso).
Questi elementi servivano per mostrare al visitatore che il viaggio interiore di Vicino era simile
a quello di Polifilo che, nell'immaginazione, faceva rivivere l'amata e catapultava il visitatore
nell'Isola di Citera.
Tra i "reperti archeologici" il:
Sepolcro Pseudo-Etrusco, fu un ulteriore elemento d'ispirazione polifilesca. Esso fu
posizionato in basso rispetto al tempietto dedicato a Giulia, riproponendo la medesima
sequenza che nel percorso del romanzo vedeva il tempio cimiteriale dopo quello di Venere.
Esso composto da un timpano che sormontava un ingresso mutilo, in cui una serie di loculi si
aprono all'interno di una stanza ovale. Nel timpano vi sono dei bassorilievi: al centro c' la
Sirena Bifida, forse il simbolo del "FESTINA TARDE" che ritroveremo espresso
simbolicamente nel gruppo della tartaruga e che era anche in Polifilo; a destra un delfino e un
ariete dal corpo di pesce e, a sinistra, un tritone che suona una conchiglia mentre con la sinistra
sorregge un timone; di nuovo forse ci troviamo di fronte alla simbologia del "FESTINA
TARDE".
Da questo complesso prende vita la "componente etrusca" del boschetto, supposta dall'Oleson
e da altri, a cui risalirebbe la qualit formale delle "statue", la cui determinazione espressiva,
gi segnalata dal Benevolo, ne farebbe opera non gi di scalpellini ingenui ma di artefici

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smaliziati, forse attivi in quelle regioni.


Questa componente testimoniata anche nei dettagli e negli insiemi scultorei della Villa di
Soriano del Cardinal Madruzzo, delle Ville di Bagnaia e Caprarola e dei domini di altri Orsini, a
Bracciano e a Pitigliano (vicino Bomarzo), dove esiste una sorta di "parco dei mostri" distrutto,
evidentemente etrusco.
Questa concezione si pu inquadrare in un progetto pi generale riassunto nell'opus rusticum a
cui aderirono anche Vignola, Giulio Romano, Zuccari e Serlio.
Ma il frammento viciniano, come sottile memoria di arcaiche reliquie visibili ancora oggi
nell'area della Polimartium etrusca (Bomarzo), potrebbe alludere ad un altro tema primordiale:
il confronto tra l'integrit iniziale di un monumento, espressione di un momento storico ben
preciso, e l'azione devastatrice del tempo.
In quel momento l'interesse per l'antichit portava a scavare in siti dove affioravano tracce di
resti, ricordo della sontuosit del passato, nascosti dalla terra come se fossero stati inghiottiti.
Anche qui c' un riscontro nel Sogno di Polifilo e precisamente nel Tempio "destructo". Nel
testo del Colonna si evince la natura cimiteriale del luogo dal fatto che dedicato a Plutone,
dio degli Inferi, e che contiene un grande vaso con iscrizioni. Anche nel Bosco troveremo dei
vasi con iscrizioni dedicate a Plutone.
Lungo il percorso, parallelo al ruscello, si concretizzarono altre forme derivate direttamente
dalle iscrizioni di F. Colonna nel Sogno: un Ninfeo, forse costruito nel 1564, come si ricava da
allusioni contenute nello scritto di Annibal Caro, ispirato probabilmente ad un edificio termale
illustrato nell'edizione francese dell'Hypnerotomachia (1546) in cui il protagonista
s'intratteneva a parlare con 5 ninfe che personificavano i sensi, presenti in altrettante nicchie;
di seguito l'autore descriveva una fontana con il gruppo delle Tre Grazie (Eurydomene;
Eurymone ed Eurymedusa) ispirata al celebre modello classico che apparteneva alla famiglia
Colonna. Il bassorilievo che le rappresentava fu posto, qui a Bomarzo, su una parete
precedente lo spazio del ninfeo, attrezzato a sua volta con sedili per la sosta degli ospiti.
Di fronte ad esso una: Fontana a forma di barca (o dei Delfini), disposta come se fluttuasse
sopra il pendio (Bredekamp) che materializzava la leggera imbarcazione guidata da Cupido su
cui Polifilo era trasportato sull'isola di Citera, l'isola dell'amore.
Non casualmente, subito dopo, Vicino pose un: Sacrario di Venere. La divinit, nuda dalla
cintola in su, venne posta su una conchiglia simulante anche le ali di un essere mostruoso; nel
suo ombelico un foro permetteva la fuoriuscita di uno zampillo d'acqua, mentre altri getti
sgorgavano dalla parte superiore della nicchia, facendo scorrere l'acqua su tutto il corpo della
statua.
Nel Sogno, il Sacrario e la Sacra Fonte erano immersi in uno scenografico "teatro"(struttura
gradinata) ad arcate sovrapposte e, per analogia nel bosco si costru una struttura a esedra,
anche se in forme pi semplici e povere.
L'Orsini, che non era molto ricco anche se era membro di una influente famiglia forse, se
avesse avuto pi denaro, avrebbe realizzato qualcosa di pi simile a Caprarola e Bagnaia.
Il Teatro, sul cui zoccolo fu scolpita un'altra epigrafe, fu progettato con uno spazio antistante
delimitato da una serie di erme sorreggenti canestri di frutta (ora situate sulla strada che porta
all'Orco con lo stemma degli Orsini), ricollegabili nel testo letterario a una processione rituale
guidata da Cupido con satiri e ninfe danzanti innalzanti rami fioriti e avvolti da un'aria
profumata da frutti.
Tutti questi episodi architettonici nacquero, molto probabilmente, in un medesimo periodo
poich hanno in comune le dimensioni ridotte (rispetto ai colossi successivi), la realizzazione
uniforme ma grossolana, la disposizione topografica lungo il corso del ruscello (eccetto il
Tempietto e il Sepolcro) e i costanti rinvii al Sogno di Polifilo.
Per questi lavori bisogna ipotizzare una squadra di pi persone ma guidata da un unico
scultore-architetto. da tener presente anche l'ipotesi del Bredekamp che pensa agli scultori
Fabio Toti e Ippolito Scalza che lavorarono insieme nella vicina Orvieto. In particolare, lo
studioso ha in mente la statua nel Duomo di Orvieto di Eva, opera del Toti, messa a confronto
con la Venere bomarziana che il tedesco descrive come Iside.
II percorso, creato dopo il 1565 e suggerito dall'Orlando Furioso di L. Ariosto.
La donna alata sulla tartaruga e il Gigante Assassino , realizzata dopo il 1565.

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In alcune epistole di Vicino Orsini si riscontra un particolare interesse per il mondo dei Giganti.
Egli avrebbe voluto far decorare il suo palazzo di Bomarzo con la Gigantomachia (1564),
conoscendo bene gli affreschi realizzati da Giulio Romano (1498-1546) nel Palazzo del Te a
Mantova, dove forse si rec durante il viaggio in Veneto (1542 - 43). Ma, pi probabilmente, il
suo interesse per il pittore e i suoi temi gli venne dalla conoscenza del Cardinale Madruzzo il
quale si era, da poco, trasferito da Trento a Soriano (feudo acquistato nel 1560 proprio dagli
Orsini e che confinava con quello di Bomarzo). Quest'ultimo aveva incrementato il suo
interesse per i Giganti collezionando anche ossa di giganti (probabilmente animali
preistorici).
Il cardinale d'altronde aveva commissionato proprio nel suo palazzo di Soriano una fontana,
scolpita direttamente nella roccia, che raffigura un'enorme figura femminile, una Fauna che
stringe un putto; dietro di Lei ci sono un piccolo fauno eccitato, una capra che bruca dei rami e
un pastore che suona lo zufolo di canne.
Alla sua sinistra emerge, immenso, dal suolo e con lo sguardo acceso e scherzevole, Fauno, Pan
latino che suscita il panico e accende i sensi (nel 1564 il Cardinale Madruzzo invita il Cardinale
Farnese per mostrargli il nuovo disegno della fonte. La data coincide anche con il progetto
della Gigantomachia di Vicino).
Pan stringe e fa volteggiare per aria delle cinghie di cuoio caprino, le stesse alle cui sferzate,
come recita Ovidio nei Fasti, offrivano la schiena nei riti di eccitazione lupercale le ragazze
romane che si volevano bene immedesimare con le ninfe rabbrividenti di metus e voluptas a
cospetto di Faunus Incubus Ficarius. Fauna la sua compagna e complice, detta anche Iuno
Caprotina. Si diceva che, come ogni uomo aveva il suo Genius, ogni donna aveva la sua Iuno.
Genialit e Generare sono, in effetti, due parole affini; il genius anche visibile nel furore
erotico dell'uomo mentre nella donna c' la Iuno, alleata e complice del panico.
Il Cardinale Madruzzo inoltre introdusse Vicino all'arte di quel Bartolomeo Ammannati
(1511-1592) il quale aveva eseguito un colosso destinato alla fontana di Nettuno, a Piazza della
Signoria in Firenze, prendendo spunto dalle macchine costruite in occasione dei festeggiamenti
nel 1565 per il matrimonio di Francesco de' Medici, figlio di Cosimo I.
Gli apparati di questa festa emozionarono molto la fantasia di Vicino, come vediamo qui di
seguito.
Nel piano inferiore del Parco troviamo La tartaruga, colossale ed ispirata da una simile
macchina scenografica realizzata sempre in quell'occasione, forse volendo ricordare un
testuggine presente nello zoo della famiglia fiorentina. Ma la figura si incontra anche nei versi
del Morgante di Luigi Pulci, dove Margotte, dopo aver ucciso un "fer gigante" avvista una
testuggine ch'un monte parea.
La nostra figura ha, sopra la corazza, un vaso capovolto con sopra un globo dove una figurina
femminile mutila poggia appena con il calcagno. Quest'ultima possedeva, in origine, un paio di
ali e due trombe nelle mani; questi attributi erano tipici della Fama, come ci testimonia un
disegno del Guerra: le ali ricordavano sia la sua fugacit sia la capacit di valicare i confini pi
lontani (Fama volat) le trombe la buona e cattiva sorte.
La Fama rappresentata anche nel Palazzo Farnese a Caprarola e, pi tardi, nel soffitto di
Palazzo Mattei a Roma (Faustina Orsini, figlia di Vicino, spos Fabio Mattei). Qui la Fama
suona solo una tromba, quella della Buona Sorte mentre, a Bomarzo, entrambe. Vicino voleva
rappresentare la Fama come pura immagine allegorica; la statua poggia su un globo ed quindi
in bilico: La Fama accomunata infatti alla Fortuna.
Questa rappresentazione ripresa da alcuni apparati scenici, visti a Venezia (1542-43), ideati
dal Vasari per la Talenta, opera di Pietro Aretino. Legata alla tartaruga riconduce, nuovamente,
al significato del "FESTINA TARDE" o "FESTINA LENTE".
Sotto la tartaruga, sulla riva opposta del ruscello, spalanca le fauci: Un'orca (o una Balena)
che usciva dalle acque e che ripeteva l'illustrazione di un altro testo letterario, nell'edizione del
1563, de L'Orlando Furioso di L. Ariosto. La redazione di questo testo fu curata da Giovan
Andrea d'Anguillara, il quale era nativo di Sutri, cittadina vicina a Bomarzo.
L'Orsini stesso ide che le acque le schiumassero attorno. Veniva sottolineata probabilmente
una situazione di pericolo, da cui salvaguardarsi attraverso una condotta prudente e tempestiva:
forse il simbolo della morte che per vinta dalla Fama.
A fianco della tartaruga c' la Fontana Di Pegaso dove il cavallo alato, simbolo della poesia,

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svetta su una roccia.


Qui il gruppo scultoreo concepito con la particolarit di due assi compositivi:
1)quello dell'animale ben dritto
2)quello della fontana molto inclinato.
La pendenza della vasca voleva forse alludere agli effetti dei terremoti che, secondo la
leggenda, Pegaso arrestava battendo lo zoccolo sul suolo dal quale poi faceva subito zampillare
fonti d'acqua.
L'iconografia dell'animale mitologico era molto diffusa all'epoca ma l'ispirazione venne da una
xilografia compresa tra le tante immagini del Sogno che rappresentava un modello di fontana
con Pegaso quasi identico a questa, su un simile piano inclinato. Una vasca inclinata che ha al
centro una caverna che regge un Pegaso, cavallo alato del furore poetico che sta per spiccare il
volo.
In questo percorso si pu leggere un'altra simbologia.
Nel periodo in cui il Cardinale Chigi faceva dipingere alla Farnesina il suo oroscopo, il
linguaggio degli astri era comune e in quest'angolo di parco si riconosce un pezzo di cielo.
Sotto il ruscello, che rappresenta la divisione tra il nostro emisfero e quello meridionale, appare
la costellazione della Balena e, a suo riscontro, nel nostro emisfero, fra essa e i pesci, appare
una piccola costellazione cui fu dato il nome di Tartaruga.
Manilio dice nella sua opera: Quando, sorti i Pesci, il loro ventunesimo grado sull'orizzonte
illumina la terra, Pgaso s'inclina, volando al cielo (vedi la vasca inclinata). Il cielo
configurato quello dell'inizio della Primavera quando le tartarughe escono dal letargo. Ma la
Tartaruga ricorda anche quella dello stemma di Cosimo de'Medici, che sormontata da una
vela: "Festina Tarde" ovvero ponderazione e celerit si devono unire. Il Wind ci dice che gli
ermetici del cinquecento interpretavano il detto in questo modo: rifletti lentamente e a lungo e
agisci di furia e di scatto senza che l'una cosa intralci l'altra.
Ancora, in alchimia, la Tartaruga la materia dell'opera, coperta da un involucro che non si
scalfisce e il vaso capovolto quello delle cotture mentre la creatura liberata identifica gli olii
volatili.
Anche se Vicino non la conobbe, questa statua identica ad un'icona ind identificata con
Vishnu ovvero la Base dell'essere.
Da questa raffigurazione si giunge alla Fontana dei Delfini, di cui abbiamo gi parlato, dove si
svolge ancora la carta del cielo.
Infatti, dopo Pegaso, brilla la piccola costellazione dei Delfini (o Nettuno) alla fine dei Pesci:
chi ne riceve gli influssi il beniamino delle Grazie (nicchia delle Grazie).
Dopo i Pesci c' l'Ariete, Zeus Ammone con testa arietina.
Alla fine dell'Ariete c' una contemplazione del mistero dell'acqua, il principio ondulatorio che
tutto plasma e discioglie.
Non dimentichiamoci che al tempo di Vicino il Polifilo era tutto un invito a contemplare l'acqua
exsurgente. Nei poemi di Bruno, Oceano il principio orfico di tutto e dalle fonti d'Oceano
sorge Pegaso. Dopo molti secoli Goethe ricontempler il mistero dell'acqua e nel secondo
Faust emergeranno le stesse creature che sono scorse nel parco: ninfe, sirene, delfini, arpie e
anche la tartaruga.
Accanto a queste composizioni Vicino fece realizzare i: Falsi Ruderi composti da una colonna
spezzata e un tronco d'albero, per dare l'idea di come la natura e il tempo modificassero l'opera
dell'uomo e di come poi il prodigio del cavallo alato (o della poesia) riportasse vita nel
paesaggio devastato dagli elementi naturali (il terremoto).
Nell'enorme bocca dell'Orco (alterazione di Orcus re degli Inferi), entro cui furono scolpiti un
tavolo e un sedile perimetrale, continu la tematica dell'orrido e dell'incantato. Tutte queste
sculture erano state colorate per aumentare gli effetti di verosimiglianza nel loro aspetto irreale
(molte tracce sono state osservate dallo storico dell'architettura Arnaldo Bruschi, che le ha
dettagliatamente descritte).
Vicino si rif qui ad altre due opere, il De Raptu Proserpinae di Claudiano e la Teogonia di
Esiodo.
Il primo descrive la Spelunca Aevi con il serpente verde della sempiterna vita.
Tranne quest'ultimo ci sono tutti gli elementi: la caverna che manda fuori e si riprende i
tempi un mascherone sulle cui labbra un verso, oggi mutilo, di Dante annunciava l'ingresso
in un mondo occulto e misterioso:

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LASCIATE OGNI PENSIERO VOI CH'ENTRATE


Nel realizzare uno dei gruppi mastodontici presenti nel parco, Vicino si ispir, nuovamente,
all'opera di Ariosto creando la cosiddetta Lotta tra Giganti. Questa , probabilmente,la
raffigurazione di Orlando impazzito per amore che, spogliatosi di tutte le armature scolpite
dietro la scultura, squartava un innocente che gli contendeva il passo (nel 1578 scrivendo al
Drouet Vicino dir di voler far deventar l'Orlando mezz'uomo dabbene forse eliminandone
qualche aspetto scabroso in attesa di una probabile visita del papa).
Accanto alla figura c' una terzina rimasta mutila in cui si legge:
... TIER GIGANTE
... O SCEMPIO
... ANGLANTE
Da queste tracce si comprende che l' altier gigante incontra malauguratamente il signor
d'Anglante come spesso viene chiamato Orlando nel poema ariostesco.
Alcuni studiosi nel passato sostennero che queste sculture rappresentavano la violenza
perpetrata ai danni di una fanciulla (un'amazzone per l'assenza di seno), a causa di una
contraffatta fenditura scavata successivamente sul pube ma, la postura dei colossi non pu far
pensare ad una siffatta azione, per quanto violenta potesse essere.
L'effetto drammatico anche se le proporzioni delle figure sembrano allontanare la tragicit
della rappresentazione, come se appartenesse ad un mondo lontano da quello degli uomini
reali.
La pazzia di Orlando, che dunque non ha pi la ragione, diventa il simbolo della disposizione
delle figure del bosco che non segue pi i canoni compositivi del giardino rinascimentale.
Accanto al gruppo scultoreo c' anche un'epigrafe che recita:
SE RODI GIA FU DEL SUO COLOSSO
PUR DI QUEST IL MIO BOSCO ANCHO SI GLORIA
E PER PIU NON POTER RO QUANT IO POSSO,
ovvero questo colosso supera l'Apollo di Rodi, l'isola della Rosa.
III Percorso del Bosco Sacro creato dopo il 1573, alimentato dalle opere di B. T. Tasso: La
selva stregata e i temi infernali.
Con gli anni, Vicino si appassion ai poemi cavallereschi dai quali trasse l'ispirazione per
realizzare un boschetto incantato; probabilmente da questi fu tratto anche l'attributo "Sacro",
che in essi veniva utilizzato con un'accezione simile ad incantato.
In verit, anche il Sogno di Polifilo si apriva con la descrizione della selva incantata di Circe.
Anche l'idea delle gigantesche sculture, corredate da iscrizioni, risaliva alla tradizione del bosco
magico descritto nell'Orlando Innamorato di Matteo Mattia Boiardo. Ma, l'ispirazione gli venne
probabilmente dal poema di Bernardo Tasso, L'Amadigi, in cui il bosco ha un ruolo dominante
e dove si descrive la selva di Oronte (nel 1575, Vicino ebbe una figlia naturale che chiam
"Oronthea"), un luogo magico popolato di creature e personaggi fantastici. In quest'opera, pi
che nell'Orlando Furioso, la prova della selva stregata o bosco incantato uno dei momenti
cruciali dell'iniziazione del cavaliere al coraggio e alla gloria.
La revisione di quest'opera era stata fatta da Bernardo Capello, uno dei poeti della cerchia di
Vicino, che era conosciuto personalmente dall'autore il quale lo cit nell'ultimo capitolo
dell'opera. Ma, quando stavano per iniziare i lavori, la foresta di Saron descritta nella
Gerusalemme Liberata, opera del figlio di Bernardo, Torquato, colp maggiormente la fantasia
dell'Orsini: la selva stregata da un Plutone analogo a Oronte, con tutti i suoi richiami agli Inferi,
divenne la linea guida del nuovo ampliamento.
In Torquato Tasso l'orrendo non pi manipolazione demoniaca della natura ma diviene
categoria del naturale che suscita il sentimento "tragico" del tema e sollecita il pathos della
poesia.
Il Sacro Bosco riproduce quindi la prova della selva incantata con evidenti margini di

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avventuroso divertimento. Ecco perch c' anche un alternarsi continuo di visioni spaventevoli
e allettanti (ninfe e sirene) fatto che era invece sembrato ai critici un'insanabile contraddizione.
Una delle sculture pi enigmatiche, presente nel parco, proprio quella di Plutone, identificata
spesso con Nettuno, rappresentato maestosamente seduto e affiancato da attributi iconografici
consueti:
1)la cornucopia (Plutone in greco significa: donatore di ricchezze);
2)il mostro marino a fauci spalancate (rappresentante i fiumi infernali e il suo dominio su di
esse). Alla sua destra c' un delfino, che egli accarezza.
comunque un'iconografia che ricalca anche quella dei fiumi. Nell'Amadigi, Oronte il nome
di un grande fiume della Siria, che ricordato anche nell'Orlando Furioso.
Inoltre l'Oronte dell'Amadigi ha molte affinit con le acque e con Oceano. Un particolare
ancora pi importante che la sua donna teneva i prigionieri "immersi in un profondo lago",
proprio come avviene nella scultura presente subito dopo questa: una figura femminile
mastodontica che tiene un'altra figura a testa in gi.
Davanti al gigante maschio c'erano, inoltre, una serie di vasi in doppia fila che introducevano
alla sua fonte e che visibilmente richiamavano le urne funerarie del tempio distrutto di
polifilesca memoria (modello per il Sepolcro) e dedicato a Plutone. Ma in questi vasi ci sono
delle scritte che riportano al motivo delle fiere che nell'Amadigi vigilano su Oronte. Si legge
infatti in alcune scritte mutile:
FONTE NON FU ...
CHINGUARDIA SIA DELLE PIU' STRANE BELVE
NOTTE E GIORNO NOI SIAM VIGILI E PRONTE A GUARDAR D'OGNI INGIURIA
QUESTA FONTE ...
Le belve sono "strane" ovvero sono creature dell'inganno o di un incantesimo.
Come si vede chiaramente c' il continuo riamando alle varie opere a cui si fa riferimento che
vengono cos inglobate in un'unica grande rappresentazione.
Un po' prima, nello spazio confinante con il sottostante Sacrario di Venere, fu posta un'enorme
figura femminile addormentata, da tutti considerata una ninfa, ma che nel quadro della
Gerusalemme assume l'identit della bella maga Armida che, come Plutone, fu incaricata di
ostacolare gli eserciti cristiani; o forse la divinit orfica del Sonno e della Notte cui
Michelangelo dedic un sonetto:
"O notte, o dolce tempo, bench nero,
con pace ogn'opera sempr'al fin assalta.
Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero
Che l'umid'ombra ogni quiet'appalta
E dall'infima parte alla pi alta
In sogno speso porti ov'io ire spero".
Il Drago: dalle ali di farfalla, azzannato da un leone doveva dare corpo agli echi delle creature
che si muovevano dentro la selva di Saron, mentre:
L'elefante, in assetto di guerra, munito di torre sul dorso e stritolante un legionario incarnava
l'Africa, nemico e "mostro" da sopprimere per i militi di religione cristiana. Il pachiderma
poteva essere pure un tributo al figlio dello stesso Vicino, Orazio, morto nella battaglia di
Lepanto (1571) contro i Turchi. Forse al primo percorso dedicato alla memoria di Giulia si
aggiungeva quello in memoria del figlio.
La figura seduta ai margini delle urne, quella di migliore fattura dell'intero Bosco Sacro, fu
spesso identificata con Cerere, ma con ogni probabilit all'interno del comprensorio infernale si
volle rappresentare Proserpina (ninfa dello Stige), la compagna di Plutone e figlia di Cerere
stessa che, della madre, possedeva gli attributi.
Il mondo dei morti continu ad animare il boschetto con il:
Cantaro (o Vaso Gigante), sulla cui base compare Medusa, creatura sotterranea. Nel Timeo
viene detto che in un cratere furono gettati i semi di tutte le cose e ogni anima li contiene tutti
quanti; e, come in quel cratere in cui c' la mescolanza di tutto, essa pu riconoscere ogni cosa
grazie ad un'intima affinit.
Nel bosco c' anche la presenza di Cerbero, custode tricipite dell'accesso agli Inferi, a cui

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salgono i pnici. Triplice perch, come insegna Pico, anche nel regno dell'oscurit vale la regola
della Triade: il regno infero quello delle Tre Parche:
- la prima porge lo stame
- la seconda lo avvolge
- la terza lo annoda;
il regno del gelido Saturno, dove:
- Giove d inizio;
- Nettuno svolge;
- Plutone chiude.
Le tre fauci di Cerbero sono aperte: perch, come cane, latra ad ogni ombra: in questo modo
che Cerbero annuncia le ombre e i misteri.
Salendo per un declivio si giunge al terzo livello del parco.
Qui si viene accolti da due figure femminili:
1) la Sirena Bifida con il volto aggraziato che finisce con un corpo di pesce che si divarica in
due code scagliose. La si incontra spesso nelle pagine di Polifilo. una figura del panico sottile
che pu suscitare il potere del grembo femminile, delle acque che nelle viscere della terra
sollecitano la febbre delle geminazioni
2) la figura senza braccia n gambe che alza le vaste ali di pipistrello, animale notturno e
fecondo e simbolo di paurose irruzioni della notte.
Ancora leoni, tombe, uno spazio evocativo delimitato da grosse pigne e ghiande in peperino cui
presiedono due orsi che reggono, tra le zampe, la rosa. Gli orsi si nutrono di ghiande e di pinoli
e in loro si concentra la forza riproduttrice.
Nel 1583, prossimo alla fine, Vicino si persuase di essere ancor bono per li diletti de Venere ...
perch alle volte giova considerare e intendere una cosa come se fusse vera in ci coerente a
quanto aveva fatto dire alla sfinge: e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o
pur per arte.
Come per Aristotele, anche per Vicino la Meraviglia divenne il motivo della conoscenza: Chi
ammira e dubita sa di ignorare.
Nei secoli successivi il Parco, opera di certo singolare, fu sempre considerato il curioso
esperimento di un sognatore.
Il Sacro Bosco fu trascurato fino a quando, nella prima met del XX secolo, ad artisti e uomini
di cultura sembr geniale l'idea di trasformare le rocce insignificanti del luogo in creature e
architetture immaginifiche.
Fu Salvador Dal, esponente del movimento surrealista, tra i primi che cercarono di recuperare
la memoria storica del Bosco Sacro e il suo recupero architettonico.
Egli vide negli ignoti artisti di questo capolavoro a cielo aperto alcuni dei precursori del
surreale, come gi erano considerati sia Bosch sia l'Arcimboldo.
A tutt'oggi per non c' una pubblicazione che abbia dato una risposta definitiva e ancora pi
misteriosi risultano gli artefici, come se magicamente il Bosco stesso si fosse impossessato delle
loro identit storiche per acquistare un'anima autoctona.

Bibliografia
Zolla Elmire, Nicoletti Manfredi e Lainez Manuel Mujica, Il Bosco Sacro, in "FMR",
mensile di Franco Ricci, aprile 1983, pp. 39-70.
Calvesi M., Il Sacro Bosco di Bomarzo, La prova della selva stregata, in "Art e
Dossier", N. 40, pp. 15-23, 1989.
A.A. V.V., Ville e Giardini, pag. 24, Villa Lante. Il cielo pu attendere; pag. 46,
Giardino di Bomarzo. Oh, le belle statuine, in "Bell'Italia", n. 8, Ottobre 1996.

9/2/2012 12:58 AM

BTA - Bollettino Telematico dell'Arte / Testi / bta00327.html

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http://www.bta.it/txt/a0/03/bta00327.html

Zuccari A., Raffaello e le dimore del Rinascimento, in "Art Dossier", n. 7.


AA.VV. , Il Cinquecento, Natura e Artificio, in Enciyclomedia, CD-ROM de
"L'Espresso".
Calvesi M. , Gli incantesimi di Bomarzo, Il Sacro Bosco tra arte e letteratura,
Milano, Bompiani, 2000.
Brio William Davide, Il Sacro Bosco di Bomarzo (Viterbo) tra incantesimi d'amore e
creature fantastiche, in "Italy Vision", n. 1, pp. 2-15, Gennaio - Febbraio, 2003.

9/2/2012 12:58 AM

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