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I dannati e gli eroi

Dice il nostro Premier che quello di categorie sociali concetto otto-novecentesco inadeguato
ad una lettura efficace della realt sociale dei nostri tempi. E probabilmente ha pure ragione!
Intanto ci si esercita e ci si affanna ad investigare ed applicare nuovi paradigmi, fra rivisitazione del
weberiano concetto di idealtipo e individuazione di figure antropologicamente adatte alla societ
complessa, liquida e globalizzata dei giorni nostri. Chi si affanna ? Certamente la classe dirigente,
nazionale e locale; gli analisti sociali e politici; i media; i facitori di opinioni. Insomma chi ha in
mano le leve per definire le chiavi di lettura del reale e divulgarle. E i cittadini? Un po pure loro,
ma molto di sfuggita, rispetto allimpegno, molto meno raffinato, di vedersela con il vissuto
quotidiano. E dico subito che non credo neppure si tratti di un esercizio improprio o privo di
ragion dessere. Ma non per questo riesce ad eludere il rischio di essere fuorviante. Cos i media
sono carichi di articoli e servizi, che investigano sul concetto di autorit e di potere; e si
domandano come in questi idealtipi sia collocabile il renzismo; quanto di populismo ci sia nella
predicazione e nella azione cultural-pastorale di Papa Francesco; quanto sia nel DNA della/e
burocrazia/e il compito e la propensione ad essere paladina della conservazione e
dellimmobilismo. Ma queste analisi, per loro natura sofisticate, richiedono tempi ed anche
riscontri nellevolversi del quadro sociale, politico, culturale di un paese. Dunque si muovono
ineludibilmente in una dimensione diacronica. Lattualit frenetica postula invece risposte a breve
termine, di impatto immediato e suggestioni sincroniche. E dunque ecco la caccia ai modelli,
spendibili hic et nunc. Anche questo esercizio in cui si impegnano le categorie (ahi, proprio non
mi viene unaltra parola) sopra elencate. E cos dilaga la ricerca .. del modello ? non basta:
delleroe, da contrapporre allantieroe, al cattivo, coprotagonista di ogni fiaba che si rispetti !
Solo che nelle fiabe spesso di cattivo ne basta uno solo. Nella realt dei nostri giorni la figura del
cattivo inflazionata, e si moltiplica quotidianamente come in un effetto di clonazione
permanente. E cos la ricerca degli eroi diventa affannosa, spesso forzata, a volte persino surreale.
Se la realt ci regala il comandante che scende per primo dalla sua nave che affonda, gioco forza
cercare al pi presto il comandante eroe che, come nei film americani, resta impavido a bordo
finch lacqua non gli arrivi almeno alla cintola. Non dico che in questa ricerca spasmodica quasi
auspichiamo un nuovo disastro marittimo, ma quanto meno appena ce ne capita a tiro uno, la
attenzione converge subito sul comandante e sui suoi comportamenti, piuttosto che sui
passeggeri che ci rimettono la vita. Hai visto mai trovassimo leroe! Se limprenditore delocalizza,
subito si apre la caccia allimprenditore che si rimbocca le maniche e investe oppure sul giovane
che si lancia start up alla mano. Se il lavoratore dei pubblici servizi si fionda su un facile certificato
medico per abbandonare al suo destino il proprio concittadino utente, subito appare sui media il
ringraziamento e la celebrazione del lavoratore di quello stesso pubblico servizio che rimasto al
suo posto, tetragono e impavido. Insomma si va a caccia di eroi e si pratica lesercizio della loro
individuazione e celebrazione. E con procedimento doppiamente manipolatorio troviamo celebrati
come eroi individui, che per giunta diventano anche rappresentativi di unintera categoria (ci
risiamo, con questo termine!!). Cos abbiamo visto celebrare come eroi dei nostri tempi
imprenditori, vigili urbani, medici, pompieri, anche docenti; prima o poi tocca a tutte le categorie
(secondo i momenti, i contesti e le prospettive elettorali). Ma il paradosso qual ? Si finisce col
celebrare leroismo dellimprenditore, perch fa ci che deve fare un imprenditore; leroismo del
pubblico dipendente perch fa quello che deve fare un pubblico dipendente; di un insegnante
perch fa quello che deve fare un insegnante . e cos via. Siamo davvero messi male, se siamo
ridotti a mitizzare lesercizio dovuto di una funzione. Il fatto che essendo a corto di modelli,
siamo costretti alla ricerca di riferimenti positivi, e difficilmente troviamo pi di questo.

E cos anche nel messaggio augurale dal pi alto seggio istituzionale il tentativo di dare speranza
per il nuovo anno ad un paese smarrito naviga fra il richiamo ad una grande scienziata, la
suggestione di una donna astronauta e lesperienza estrema di un medico di frontiera. Riferimenti
positivi, appunto, non modelli, perch altro dallordinario, faticoso, anonimo vissuto quotidiano.
Non mi piace la retorica; o meglio, non mi piace proprio leroe. Mi diverte leggerne nei romanzi o
vederlo in qualche film, ma il vissuto altra cosa. Mi infastidisce questa ricerca continua di eroi.
Come diceva la buonanima di Bertolt Brecht: beato quel popolo che non ha bisogno di eroi.
E non mi piace la lettura del reale imbrigliata in schemi. Non questione di ideologia (che poi, in
s, non mi sembra una brutta cosa, se serve a dare organicit e coerenza culturale, politica,
valoriale); questione di iperbole: francamente la pi indisponente delle figure retoriche.
E a forza di ricercare riferimenti iperbolici, siamo sicuri di non perder di vista paradigmi di lettura
della realt pi semplici, ma anche pi adeguati e corretti? Siamo sicuri che non troviamo i modelli
giusti, perch in effetti sbagliamo percorso di ricerca?
Pochi giorni prima delle vacanze scolastiche natalizie sono stato nella scuola materna frequentata
dal mio nipotino. In programma, la tradizionale recita. Un edificio scolastico prefabbricato, sia pur
carino; privo di teatro o saloni; un androne trasformato in un teatrino credibile. Bambine e
bambini impegnati a rappresentare storie di boschi ed animali; dal riccio al lupacchiotto; costumi
fatti in proprio, dalle maestre, allusivi ma non realistici; un testo appena accennato adatto a
bambini di quattro/cinque anni; musiche e canzoncine; piccole danze. Ma soprattutto un collettivo
organizzato, una chiara ripartizione di compiti e ruoli, nessun protagonismo o spirito competitivo,
bens un buon spirito solidale con il compagnuccio che si blocca per emozione e timidezza di
fronte ad una sala piena zeppa di adulti. Il tutto preparato dalle maestre Rosa e Luciana (n.d.r. :
come si dice, i nomi sono di fantasia .. oppure no?), entrambe fra i 50 ed i 60 anni, danzanti
quando necessario insieme ai loro bambini, consapevoli di impegnarli in un esercizio serio di
comunicazione, di espressione di se stessi e di gioco di squadra. Senza strafare, con senso della
misura. Un atto di formazione, insomma. Professionalit ed umanit. Un binomio vincente; anzi, il
binomio vincente; ma quanto poco diffuso! Lo so: state per dirmi che ci sto cadendo anchio, nella
ricerca affannosa di modelli e di retorica. Le maestre Rosa e Luciana, eroine del nostro tempo e del
nostro sfilacciato tessuto sociale; anonime ma efficaci lavoratrici della formazione. No, no.
Tranquilli. Nessun giochetto. Nessun eroe. Nessuna iperbole. Volevo solo dire. Care maestre Rosa
e Luciana grazie. E buon lavoro.

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