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James Gleick CAOS traduzione di LIBERO SOSIO Biblioteca Universale Rizzoli PROLOGO La polizia della cittadina di Los Alamos, nel New Mexico, fu messa per qualche tempo in allarme, nel 1974, dalla notizia di un uomo che qualcuno aveva visto aggirarsi furtivamente nel buio, una notte dopo l’altra, la lucina rossa della sua sigaretta oscillante nell’ombra delle strade pit: solitarie. 1 Camminava per ore, apparentemente senza meta, sotto la luce delle stelle che oc- chieggiavano attraverso l’aria sottile delle mesas. | poliziotti non furono gli unici a porsi domande. Al National Laboratory alcu- ni fisici avevano appreso che il loro nuovo collega stava facendo esperimenti su giornate di ventisei ore: cid comportava che le sue ore di veglia stavano lentamente spostandosi rispetto alle lo- ro, tornando a coincidere solo dopo vari giorni. Questo fatto aveva degli aspetti un po’ strani, persino per la Divisione Teo- rica. Nei tre decenni trascorsi da quando J. Robert Oppenheimer aveva scelto questo irreale paesaggio del New Mexico per il pro- getto della bomba atomica, il Los Alamos National Laboratory si era allargato su un’estensione di altopiano desolato, popolan- dola di acceleratori di particelle e di laser a gas e di impianti chimici, di migliaia di scienzati e di amministratori e di tecnici, oltre che di una delle massime concentrazioni di supercomputer a livello mondiale. Alcuni fra gli scienziati pi anziani ricorda- vano le costruzioni in legno sorte in gran fretta sulla roccia al- Yorlo delTaltopiano negli anni Quaranta, ma per la maggior parte del personale di Los Alamos — giovani udmini e donne che indossavano pantaloni di fustagno stile college e camicie da lavoro — i padri della bomba non erano altro che fantasmi del passato. I] centro del pensiero nella sua espressione pit pura, al Laboratory, era la Divisione Teorica, nota come divisione T, esattamente come i computer erano la divisione C e le armi la divisione X. Pit di cento fra matematici e fisici lavoravano nella divisione T, ben pagati e liberi da pressioni accademiche riguar- 7 do a didattica e pubblicazioni. Questi scienziati avevano fami- liarita con un pensiero brillante e talvolta eccentrico. Difficil- mente si sorprendevano per qualcosa. Mitchell Feigenbaum, pero, era un caso insolito. Aveva pub- blicato soltanto un articolo, e non stava lavorando su nulla che sembrasse promettere qualcosa di particolarmente interessante. I suoi capelli erano una criniera incolta, gettata all'indietro dal- la fronte spaziosa, nello stile dei busti dei compositori tedeschi. H suo sguardo era mobile e intenso. Quando parlava, sempre con rapidita, tendeva a lasciar cadere articoli e pronami in uno stile vagarmmente mitteleuropeo, anche se era nato a Brooklyn. Quando lavorava, lo faceva in modo ossessivo. Nei periodi in cui non poteva lavorare, camminava e pensava, di giorno o di notte, e la notte era per lui fa parte migliore della giornata. La giorna- ta di ventiquattr'ore sembrava gli andasse stretta. Nondimeno il suo esperimento sulla quasi-periodicita personale fini quando egli decise che non poteva pit sopportare di svegiiarsi al tramon- to, come doveva accadere ogni pochi giorni. A ventinove anni aveva gia acquisico una cultura scientifica eccezionale ed era diventato di fatto un consulente ad hoc a cui molti scienziati si rivolgevano per esaminare con lui problemi particolarmente ostici, sempre che riuscissero a rintracciarlo. Una sera Feigenbaum arrivé al lavoro proprio quando il diretto- te del laboratorio, Harold Agnew, stava andandosene. Agnew era una figura potente, uno degli storici apprendisti stregoni di Oppenheimer. Nell’agosto del 1945 si era recato in volo su Hiro- shima con un aereo carico di strumenti che aveva accompagnato l'Enola Gay, a fotografare la consegna del primo predotto del laboratorio. «Capisco che lei é molto intelligente», disse Agnew a Feigen- baum. «Ma se lei é cosi intelligente, perché non risolve il proble- ma della fusione laser?»? Persino gli amici di Feigenbaum si chiedevano se avrebbe mai prodotto qualcosa di suo. Per quanto fosse incline a realiz- zare magie estemporanee in risposta alle loro domande. non sembrava interessato a dedicare ricerche proprie a un qualche problema che ne valesse la pena. Meditava sulla turbolenza nei liquidi e nei gas. Rifletteva sul tempo: scorreva in avanti in mo- do continue oppure a salti, in modo discreto,, come la sequenza di focogrammi di un film cosmico? Ponderava sulla capacita dell’occhio di vedere colori e forme coerenti in un universo che, come ben sanno gli scienziati, € un mutevole caleidoscopio quantico. Elucubrava sulle nubi, osservandole dai finestrini del- & T'aereo (finché, ne! 1975, i suoi privilegi per viaggi scientifici fu- rono ufficialmente sospesi per averne egli abusato) o ne! corso delle sue camminate sulle colline che dominavano il laboratorio. Nelle cittadine di montagna del West le nubi assomigliano ben poco alle basse foschie scure, dai contorni indefiniti, che ad- densano l'aria nell’Est degli Stati Uniti. A Los Alamos, sottoven- to a una grande caldera vulcanica, le nubi si spandono in cielo, in configurazioni casuali si, ma a volte anche non a caso, rima- nendo immobili in formazioni a punta uniformi o arrotolandosi in disegni con solchi regolari come materia cerebrale. In un po- meriggio temporalesco, quando il cielo luccica e trema in attesa dell'esplosione delle scariche elettriche, le nubi sono sospese a quasi cinquanta chilometri di altezza, filtrando la luce € riflet- tendola, finché il cielo intero sembra assumere |’aspetto di uno spettacolo allestito come un sottile rimprovero ai fisici. Le nubi rappresentavano un aspetto della natura che i fisici avevano tra- scurato, un aspetto che era a un tempo vago e dettagliato, strut- turato e imprevedibile. Feigenbaum meditava su cose come que- ste, in mode quieto e improduttivo. Per un fisico la creazione della fusione laser era un problema legittimo; svelare l’enigma dello spin, del colore e del sapore di piccole particelle era un problema legittimo; datare l’origine dell'universo era un proble- ma legittimo. Capire le nubi era un problema di competenza dei meteorologi. Come altri fisici, Feigenbaum usava, nella valuta- zione di tali problemi, un vecabolario gergale. Dire che una cer- ta cosa era ovvia significava che poteva essere capita da ogni fisi- co di un certo livello dopo un’appropriata riflessione e i calcoli opportuni. L’espressione «non ovvia» veniva usata per indicare ricerche che imponevano rispetto e che potevano condurre al Premio Nobel. Ai problemi pid difficili, 1 problemi che non si potevano risolvere se non dopo avere scrutato per molto tempo nelle viscere dell’universo, i fisici riservavano parole come pro- fondo. Nel 1974, anche se pochi suoi colleghi lo sapevano, Fei- genbaum stava lavorando su un problema profondo: il caos. Dove comincia il caos si arresta la scienza classica. Finché il mondo ha avuto fisici che investigavano le leggi della natura ha infatti sofferto di una speciale ignoranza sul disordine presente nell’atmosfera, nel mare turbolento, nelle fluttuazioni delle po- polazioni di animali ¢ piante allo stato di natura, nelle oscilla- zioni del cuore e del cervello. L'aspetto irregolare della natura, il suo lato discontinue e incostante, per la scienza sono stati dei veri rompicapo 0 peggio mostruosita. Ma negli anni Settanta alcuni scienziati, negli Stati Uniti e in Europa, cominciarono a trovare una via per orientarsi nel disor- dine. Erano matematici, fisici, biologi, chimici, cutti alla ricer- ca di connessioni fra diversi tipi di irregolarita. I fisiologi trova- rono un ordine sorprendente nel caos che si sviluppa nel cuore umano, la causa prima della morte improwvisa, inspiegata. Gli ecologi esplorarono |’espansiane e il declino di popolazioni di fa- lene. Gli economisti andarono a recuperare vecchi dati sui prez- zi delle merci e tentarono un nuovo tipo di analisi. Le nozioni che ne emersero condussero direttamente nel mondo naturale: la forma delle nubi, la traiettoria del fulmine, lintreccio micro- scopico di vasi sanguigni, gli ammassi galattici di stelle. Quando Mitchell Feigenbaum comincié a meditare sul caos a Los Alamos, apparteneva a un gruppetto esiguo di scienziati disserninati in tutto il mondo, che neppure si conoscevano fra lo- ro. Un matematico a Berkeley, in California, aveva formato un piccolo gruppo dedito alla creazione di un nuovo studio di «siste- mi dinamici». Un biologo delle popolazioni alla Princeton Uni- versity si accingeva a pubblicare un’appassionata perorazione a tutti gli scienziati perché studiassero il comportamento sorpren- dentemente complesso che si celava in alcuni modelli semplici. Un geometra che lavorava per la IBM cercava una nuova parola per descrivere una famiglia di forme — seghettate, frastagliate, aggrovigliate, spezzate, contorte, rotte — che considerava un principio organizzatore in natura. Un fisico matematico france- se aveva appena avanzato la tesi controversa che la turbolenza nei fluidi potesse avere qualcosa a che fare con un'astrazione bizzarra, infinitamente aggrovigliata, da lui chiamata attrattore strano. Un decennio dopo la parola «caos é diventata un’espressio- ne concisa per designare un movimento in rapida crescita che sta plasmando ex novo il tessute dell’ ortodossia scientifica. Oggi congressi e riviste sul caos si moltiplicano. Negli Stati Uniti am- ministratori di programmi governativi incaricati di distribuire fondi alla ricerca scientifica per le forze armate, la Central In- telligence Agency e il ministero dell’Energia hanno assegnato somme sempre maggiori alla ricerca sul caos e hanno creato spe- ciali burocrazie per la gestione dei finanziamenti.* In tutte le universita principali e nei centri di ricerca di tutte le maggiori societa commerciali alcuni teorici si dedicano principalmente allo studio del caos, e solo secondariamente alle loro specialita nominali. A Los Alamos fu fondato un Center for Nonlinear Studies per coordinare la ricerca sul caos e su problemi affini: 10 istituzioni simili sono apparse nelle universita in tutto il paese. Il caos ha creato speciali tecniche per I'uso di computer e speciali tipi di immagini grafiche, figure le quali colgono una struttura fantastica e delicata che sta alla base delia complessi- ta. La nuova scienza ha generato un proprio vocabolario, un elegante linguaggio tecnico di frattali e biforcaziont, intermit- tenze e percadicitd, attrattori strani ¢ diffeormofism: piegati. Questi sono i nuovi elementi del moto, * esattamente come, nella fisica tradizionale, quark e gluoni sono i nuovi elementi della materia. Per alcuni fisici il caos é una scienza di processo anzi- ché di stato, ° di divenire anziché di essere. Ora che la scienza lo sta cercando, pare che il caos sia pre- sente dappertutto. Una colonna ascendente di fumo di sigaretta si rompe in spire irregolari. Un rubineteo gocciolante passa da un ritmo regelare a uno casuale. II caos fa la sua apparizione nel comportamento dei fenomeni meteorologici, in quello di un ae- reo in volo, nei raggruppamenti di automobili su un’autostra- da,* nelle modalita di flusso del petrolio in oleodotti sotterranet. In qualsiasi campo, il comportamento obbedisce sempre alle stesse leggi scoperte di recente. Questa presa di coscienza ha co- minciato a modificare il modo in cui i dirigenti d'azienda pre. dono decisioni sulle assicurazioni, quello in cui gli astronomi considerano il sistema solare, nonché il modo in cui i teorici par- lano delle tensioni politiche che conducono a un conflitto arma- to.? Il caos valica le linee di demarcazione fra le varie discipline scientifiche. Essendo una scienza concernente la natura globale dei sistemi, ha raccolto pensatori di campi in precedenza al- quanto lontani fra loro. «Quindici anni fa la scienza era avviata verso una crisi di crescente specializzazione», osservd un ufficiale della Marina degli Stati Uniti incaricato dei finanziamenti alla ricerca, rivolgendosi a un pubblico formate da matematici, bio- logi, fisici e medici. «Oggi tale specializzazione si é vistosamente rovesciata in conseguenza del caos».° [1 caos pone problemi che sfidano i modi accettati di lavorare nella scienza. Esso avanza te- si forti sul comportamento universale della complessita. I primi teorici del caos, gli scienziati che misero in moto la disciplina, avevano in comune certe forme di sensibilita. Essi avevano un occhio per le strutture, specialmente per strutture che appariva- no nello stesso tempo a scale diverse. Avevano un debole per la casualita e per la complessita, per margini frastagliati e per salti bruschi, I credenti nel caos — che a volte chiamano se stessi cre- denti, o convertiti, o evangelisti — meditano sul determinismo e ql sulla liberta del volere, sull’evoluzione, sulla natura dellintelli- genza cosciente. Essi pensano di stare voltando le spalle a una tendenza diffusa nella scienza: il riduzionismo, l’analisi di siste- mi nei termini delle loro parti componenti: quark, cromosomi o neuroni che siano. Essi credono di stare cercando la totalita. J fautori pitt appassionati della nuova scienza si spingono ad- dirittura ad affermare che la scienza del XX secolo sara ricorda- ta per tre sole cose: la relativita, la meccanica quantistica e il caos.° I] caos, essi sostengono, é diventato la terza grande rivolu- zione di questo secolo nelle scienze fisiche.!° Come le prime due tivoluzioni, il caos abolisce i dogmi della fisica newtoniana. Co- me si espresse un fisico: «La relativita eliminé Villusione newto- niana dello spazio e tempo assoluti; la teoria quantistica elimind il sogno newtoniano di un processo di misurazione controllabile, e il caos elimina la fantasia laplaciana della prevedibilita deter- ministica».!! Delle tre, la rivoluzione nel caos si applica all’uni- verso quale lo vediamo ¢ lo tocchiamo, a oggetti alla scala uma- na. L’esperienza quotidiana ¢ le immagini reali del mondo sono diventate oggetti di investigazione legittimi. Per molto tempo si & pensato — senza esprimerlo sempre apertamente — che la fisi- ca teorica si sia molto allontanata dall’intuizione umana sul mondo. Non sappiamo s¢ questa convinzione si rivelera un’ere- sia feconda o solo una semplice eresia. Ma fra chi pensa che la fisica stia avviandosi verso un vicolo cieco alcuni guardano ora al caos come a una via per uscirne. Allinterno della fisica stessa, lo studio del caos emerse da una zona di ristagno. L’ortodossia, per la maggior parte del XX secolo, é stata la fisica delle particelle, 1a quale ¢ andata espio- rando i mattoni della materia a energie sempre maggiori, a sca- le sempre pit piccole, in intervalli di tempo sempre pit brevi. Dalla fisica delle particelle sono venute teorie sulle forze fonda- mentali della natura e sull’origine dell’universo. Eppure alcuni fisici giovani sono oggi sempre pit insoddisfatti per la direzione assunta dalla pitt prestigiosa delle scienze. Si comincia a consi- derare lento il progresso, i nomi assegnati alle nuove particelle sembrano futili, il corpus della teoria disordinato. All'avvento del caos, gli scienziati pit: giovani credettero di assistere a un mutamento di direzione per tutta la fisica. [1 campo era stato dominato anche troppo a lungo, secondo loro, dalle scintillanti astrazioni delle particelle ad alta energia e della meccanica quantistica. Ti cosmologo Stephen Hawking, il quale occupa oggi la cat- tedra che fu gia di Newton all’Universita di Cambridge, parld 2 per la maggior parte della fisica quando fece linventario della sua scienza in una lezione inaugurale del 1980 intitolata Js the End in Sight for Theoretical Physics? [E in vista la fine della fisi- ca teorica?}.? Noi gia conosciamo le leggi fisiche che governano tutto cid che speri- mentiamo nella vita quotidiana (...]. E un tributo al lingo cammino che abbiamo percorso nella fisica teorica il fatto che oggi si richiedano macchine enormi e una grande quantita di denaro per eseguire un esperimento di cui non possiamo predire i risultati. Hawking riconobbe perd che la comprensione delle leggi della natura nei termini della fisica delle particelle lasciava senza so- luzione il problema di come applicare quelle leggi a qualsiasi si- stema tranne i pit semplici. La predicibilita € una cosa in una camera a nebbia in cui due particelle entrano in collisione fra loro al termine di una corsa nell’anello di un acceleratore. E una cosa totalmente diversa nella piti semplice tinezza di acqua tor- bida, o nella meteorologia umana, 0 nel cervello umano. La fisica di cui parla Hawking, che rastrella senza difficolta premi Nobel e riesce a procurarsi grandi finanziamenti per gli esperimenti, é stata spesso presentata come una rivoluzione. A volte essa parve sul punto di conquistare quel sacro Graal della scienza che é la Grande teoria unificata, 0 la «teoria di tutto». La fisica ha ricostruito lo sviluppo dell'energia ¢ della materia nel corso dell’intera storia dell’universo tranne i primissimi atti- mi. Ma la fisica delle particelle del dopoguerra fu una rivoluzio- ne? O fu solo il completamento di una struttura gia creata nelle sue linee fondamentali da Einstein, Bohr e¢ gli altri padri della relativita e della meccanica quantistica? Senza dubbio le con- quiste della fisica, dalla bomba atomica al transistor, modifica- rono il paesaggio del XX secolo. Eppure il ragyio d'azione della fisica delle particelle parve semmai essersi ristretto. Due genera- zioni erano passate da quando il campo aveva prodotto una nuova idea teorica che ha modificato i] modo in cui i non specia- listi comprendono il mondo. La fisica descritta da Hawking riusci a completare la propria missione senza rispondere ad alcune fra le domande pitt fonda- mentali sulla natura. Come ha inizio la vita? Che cos’é la turbo- lenza? Soprattutto, in un universo governato dall’entropia, Ja quale conduce inesorabilmente verso un disordine sempre mag- giore, come ha origine l’ordine? Al tempo stesso, oggetti della vi- ta quotidiana come fluidi e sistemi meccanici vennero a sembra+ Fe re cosi basilari ¢ cosi ordinari che i fisici ebbero una tendenza naturale a supporre che fossero ben compresi. Ma non era cosi. Quando la rivoluzione nel caos ha assunto il suo corso, i fisici migliori si sono trovati a tornare senza imbarazzo a fenomeni su scala umana. Essi non studiano solo galassie, ma anche nubi. Eseguono ricerche utili usando non solo computer Cray ma an- che Macintosh. Le principali riviste scientifiche stampano arti- coli sulla strana dinamica di una palla che rimbalza su un tavolo accanto ad articoli sulla fisica quantistica. Oggi vediamo che i sistemi pil semplici creano problemi di prevedibilita estrema- mente difficili. Eppure in quei sistemi si produce spontanea- mente ordine: caos e ordine assieme. Solo un nuovo tipe di scienza poteva accingersi a valicare l’abisso fra la conoscenza del comportamento di una cosa — una molecola d’acqua, una cel- lula del tessuto cardiaco, un neurone — e quello di milioni di al- tre cose simili. Osserviamo due bolle di schiuma che si muoveno una accan- to all’altra al piede di una cascata. Possiamo forse congetturare quanto erano vicine fra loro alla cima della cascata? Per quanto concerne Ia fisica tradizionale, non sarebbe cambiato nulla se Dio avesse preso tutte quelle molecole d’acqua e le avesse mesco- late personalmente. Per tradizione, quando i fisici vedevano ri- sultati complessi, cercavano cause complesse. Quando vedevano un rapporto casuale fra cid che entra in un sistema e cid che ne esce, supponevano di dover integrare il caso in una qualche teo- ria realistica, aggiungendovi artificialmente rumore o errore. Lo studio moderno del caos ebbe inizio con l’affacciarsi gradua- le della consapevolezza, negli anni Sessanta, che equazioni ma- tematiche molto semplici potevano fornire modelli di sistemi violenti come una cascata. Piccole differenze in ingresso poteva- no generare rapidamente grandissime differenze in uscita: un fenomeno a cui é stato assegnato il nome di «dipendenza sensibi- le dalle condizioni iniziali». Nella meteorologia, per esempio, questa nozione si traduce in quello che é noto, solo a meta per scherzo, come seffetto farfalla»: la nozione che una farfalla che agiti le ali oggi a Pechino pud trasformare sistemi temporaleschi il mese prossimo a New York. Quando gli esploratori del caos cominciarono a ripensare al- la genealogia della loro scienza, trovarono molte piste intellet- tuali che la legavano al passato. Una cosa, perd, emerse in modo chiaro. Per i giovani fisici e matematici che diressero a rivolu- zione, uno dei punti di partenza fu l'effetto farfalla. L'EFFETTO FARFALLA | fisici amano pensare che tutto cid che si deve fare é dire: «Queste sono le condizioni; e ora, che cosa ac- cadra subito dopo?>. RICHARD P, FEYNMAN Il sole dardeggiava in un cielo che non aveva mai visto nubi. I vento spazzava una terra liscia come vetro. La notte non scende- va mai, ¢ l’autunno non cedeva mai il passo all'inverno. Non pioveva mai. Le condizioni meteorologiche simulate nel nuovo computer di Edward Lorenz mutavano in mode lento ma sicu- ro, passando pigramente per una stagione di mezzo permanente secca, come se il mondo si fosse trasformato in Camelot, o in qualche versione particolarmente blanda della California meri- dionale.! Fuori della sua finestra Lorenz poteva osservare i] tempo rea- le, la nebbia delle prime ore del mattine che strisciava lungo i campus del Massachusetts Institute of Technology o le nubi bas- sé che sfioravano i tetti salerido dall’Atlantico. Nebbia e nubi non si formavano mai nel modello che girava nel suo computer. Questo, un Royal McBee, era una selva di circuiti e di valvole elettroniche che occupava gran parte del suo ufficio, facendo un Tumore sorprendente e irritante, e si guastava quasi ogni setti- mana. Non aveva né velocita né memoria sufficienti per fornire una simulazione realistica del comportamento dell'atmosfera ¢ degli oceani. Eppure nel 1960 Lorenz cred un modello-giocatto- lo della meteorologia che riusct ad affascinare i suoi colleghi. Ogni minuto la macchina segnava il trascorrere di un giorno stampando una serie di numeri su wna pagina. Se si sapeva come leggere i tabulati, si vedeva un vento occidentale dominante di- tigersi ora verso nord, ora verso sud, ora di nuevo verso nord. Cicloni trasformati in sequenze di numeri circolavano attorno a un globo idealizzato. Quando nel dipartimento si sparse la voce, gli altri meteorologi presero a riunirsi con gli studenti e a fare scommesse sugli sviluppi delle condizioni meteorologiche nel modello di Lorenz. Per qualche ragione, nulla accadeva mai due volte nello stesso modo. 5 Lorenz traeva piacere dall'osservazione del tempo, cosa non certo necessaria per un meteorologo ricercatore. Egli ne apprez- zava in sommo grado la variabilita. Gli piacevano Je configura- zioni che vanno e vengono nell’atmosfera, famiglie di vortici e cicloni, che obbedivano sempre a leggi matematiche e nondime- no non si ripetevano mai. Quando osservava le nubi, pensava di vedere in esse una sorta di struttura. Una volta aveva temuto che lo studio della meteorologia fosse del tutto inutile. Ora si chiese se la scienza sarebbe mai stata in grado di penetrarne la magia. Le condizioni del tempo avevano un sapore che non poteva esse- re espresso parlando di medie. J massimi di temperatura diurnt a Cambridge, nel Massachusetts, in giugno sono in media di 24 gradi. I giornt di pioggza a Riyadh, neil’Arabia Saudita, sono in media dieci all’anno. Queste sono statistiche. L’essenziale era in- vece il modo in cui Je configurazioni atmosferiche mutavano nel corso del tempo, e questo fu cid che Lorenz riusci a cogliere con Yaiuto del Royal McBee. Lorenz era il dio di quest’universo macchina, libero di sce- gliere le leggi di natura come pit gli piaceva. Dopo una certa quantita di tentativi poco confacenti a un dio, ne scelse dodici. Erano regole numeriche: equazioni che esprimevano i rapporti fra temperatura e pressione, fra pressione e velocita del vento.? Lorenz comprese che stava mettendo in pratica le leggi di New- ton, strumenti appropriati per un dio orologiaio che poteva creare un mondo ¢ mantenerlo in moto per l’eternita. Grazie al determinismo della legge fisica, ulteriori interventi sarebbero stati superflui. Coloro che costruivano modelli del genere dava- no per scontato che, dal presente al futuro, le leggi matematiche fornissero un ponte di certezza matematica. Comprendere le leggi significava comprendere I'universo. Questa era la filosofia che si celava dietro la creazione di un modello delle condizioni meteorologiche per mezzo di un computer. Di fatto, se i filosofi del Settecento avessero immaginate il lo- To creatore come un benevolo non-interventista, che si accon- tentava di restare dietro le quinte, avrebbero potuto immagina- re un dio alla Lorenz. Lorenz era uno strano tipo di meteorolo- go. Aveva un viso scavato da contadino yankee, con occhi sor- prendentemente vivaci che lo facevano sembrare sempre sorri- dente. Raramente parlava di sé 0 del suo lavoro, ma ascoltava. Spesso si perdeva in un regno di calcoli o di sogni cui i suoi colle- ghi trovavano impossibile accedere. I suoi amici pid stretti pen- savano che trascorresse buona parte del suo tempo in uno spazio esterno remoto. 16 Da ragazzo era stato un maniaco del tempo, almeno tanto da tenere precise tabelle delle temperature massime ¢ minime registrate tutti i giorni davanti alla casa dei suoi genitoti a West Hartford, nel Connecticut. Trascorreva perd pit: tempo dentro casa a giocare con libri di enigmi matematici che non fuori a os- servare il termometro. A volte suo padre collaborava con lui a risolvere gli enigmi. Una volta si imbatterono in un problema particolarmente difficile che risulté insolubile. Era una cosa ac- cettabile, gli disse suo padre: puoi sempre tentare di risolvere un problema dimostrando che esso non pud avere una soluzione. Lorenz apprezzO quel suggerimento poiché gli era sempre pia- ciuta la purezza della matematica,’ e quando si diplomé al Dartmouth College, nei 1938, pensé che la matematica fosse la sua vocazione. Le circostanze vennero perd a interferire sotto forma della seconda guerra mondiale, nella quale egli fu asse- gnato al servizio previsioni del tempo dell'Aviazione. Dopo la guerra Lorenz decise di restare nella meteorologia, investigan- done la teoria e spingendone la parte matematica un po’ pil avanti. Egli si fece un nome pubblicando un’opera su problemi ortodossi, come quello. della circolazione generale dell’atmosfe- ra. Nel frattempo continué a lavorare alle previsioni del tempo. Per i meteorologi pi seri la previsione del tempo non poteva certo considerarsi una scienza. Era un lavoro per tecnici che do- vevano avere una certa abilita intuitiva per saper leggere il tem- po det giorno dopo negli strumenti e nelle nuvole. Era un lavoro congetturale. In centri come il MIT la meteorologia preferiva problemi che avessero soluzioni. Lorenz comprendeva meglio di chiunque altro il carattere estrernamente incerto della previsio- ne del tempo, essendosi cimentato in essa di prima mano a bene- ficio dei piloti militari, ma aveva interesse per il problema: un interesse matematico. Non solo i meteorologi avevano in spregio la previsione del tempo, ma negli anni Sessanta tutti gli scienziati seri diffidavano dei computer. Quelle calcolatrici truccate sembravano tutt’altro che strumenti adatti per la scienza teorica. I modelli numerici dei fenomeni meteorologici sembravano percid un problema spurio. Eppure il tempo era maturo per questo passo avanti. La previsione del tempo aveva atteso per due secoli una macchina che fosse in grado di ripetere continuamente migliaia e migliaia di calcoli in virtd di una bruta potenza di calcolo. Soltanto un computer poteva trarre profitto dalla promessa newtoniana che il mondo procedeva lungo una via deterministica, legato a leggi come i pianeti, predicibile come le eclissi e le maree. In teoria 17 un computer avrebbe potuto condurre i meteorologi a fare cid che gli astronomi erano stati in grado di compiere con matita ¢ righello: calcolare il future del loro universo prendendo l'awio dalle sue condizioni iniziali e dalle leggi fisiche che ne guidano Tevoluzione. Le equazioni che descrivone il moto dell’aria e del- Tacqua erano altrettanto ben note di quelle che descrivono il moto dei pianeti. Gli astronomi non conseguirono la perfezione, e mai l'avrebbero conseguita, in un sistema solare sollecitato dalle forze gravitazionali di nove pianeti, decine e decine di sa- telliti e migliaia di asteroidi, ma i calcoli dei moti planetari era- no cosi esatti che ci si dimenticava che erano solo predizioni. Quando un astronomo diceva: «La cometa di Halley fara ritor- no fra settantasei anni», sembrava un fatto, non una profezia. La predizione deterministica numerica forniva traiettorie accu- rate per veicoli spaziali e missili. Perché non si poteva fare lo stesso per i venti e per le nubi? Le condizioni meteorologiche erano molto pii complicate dei moti celesti, ma erano governate dalle stesse leggi. Forse un computer abbastanza potente avrebbe potuto svolgere la funzio- ne dell'intelligenza suprema immaginata da Laplace, il filosofo- matematico settecentesco che fu colto dalla febbre newtoniana quanto nessun altro: «Un intelletto che, in un momento dato, co- noscesse tutte Je forze da cui la natura @ animata e la situazione tispettiva degli esseri che lo compongono, e che fosse abbastanza vasto per poter sottoporre tutti questi dati ad analisiv, scrisse La- place, «abbraccerebbe nella medesima formula i moti dei massi- mi corpi dell’universo e quello dell’atomo pit leggero; nulla sa- rebbe incerto per lui, e il futuro, come il passato, sarebbe pre- sente al suo sguardo».‘ Al nostro tempo, al tempo della relativita di Einstein e dell'indeterminazione di Heisenberg, Laplace sem- bra quasi buffonesco nel suo ottimismo, ma gran parte della scienza moderna ha continuato a coltivare il suo sogno. Implici- tamente, la missione di molti scienziati del XX secolo — biologi, neurologi, economisti ~- @ stata quella di scomporre il loro uni- verso negli atomi pid semplici che obbedissero alle leggi scientifi- che. In tutte queste scienze é stata fatta valere una sorta di deter- minismo newtoniano. I padri della moderna scienza dei compu- ter ebbero sempre in mente Laplace, e la storia del calcolo e quella della predizione furono sempre intrecciate da quando John von Neumann progetté i suoi primi computer all’Institute for Advanced Study di Princeton negli anni Cinquanta. Von Neumann riconobbe che la costruzione di modelli dei fenomeni meteorologici poteva essere i] compito ideale per un computer. 18 C’era sempre un piccolo compromesso, cosi piccolo che gli scienziati al lavoro di solito se ne dimenticavano, nascosto in un cantuccio delle loro filosofie come un conto da saldare. Le misu- razioni non potevano mai essere perfette. Gli scienziati che mar- ciavano sotto il vessillo di Newton sventolavano di solito un’altra bandiera, la quale diceva qualcosa del genere: data una cono- scenza approssimata delle condizioni iniziali di un sistema e una comprensione della legge naturale, é possibile calcolare il com- portamento approssimato del sistema. Questo assunto si trovava al cuore filosofico della scienza. Come un teorico amava dire ai suoi studenti: «L‘idea fondamentale della scienza occidentale @ che non si deve tener conto della caduta di una foglia su un qualche pianeta in un/altra galassia quando si cerca di spiegare il movimento di una palla da biliardo su un tavolo da biliardo sulla Terra. Le influenze piccolissime possono essere trascurate. C’é una convergenza nel modo di funzionare delle cose, e in- fluenze piccole a piacere non vengono mai ad assumere effetti grandi a piacere».> Classicamente, la fede nell’approssimazione e nella convergenza era ben giustificata. Essa funzionava. Un piccolo errore nel determinare la posizione della cometa di Hal- Jey nel 1910 poteva avere come conseguenza solo un piccolo er- rore nella predizione del suo arrivo nel 1986, ¢ l’errore sarebbe rimasto piccolo per milioni di anni a venire. I computer si fon- dano sullo stesso assunto nella guida dei veicoli spaziali: un in- put approssimativamente preciso da un output approssimativa- mente preciso. Anche colore che fanno previsioni economiche si fondano su questo assunto, benché il loro successo sia meno evi- dente. Lo stesso fecero anche i pionieri nella previsione delle condizioni meteorologiche su scala mondiale. Col suo primitivo computer, Lorenz aveva ridotto il tempo meteorologico al suo scheletro pid essenziale. Eppure, una riga dopo l'altra, negli stampati di Lorenz venti e temperature sem- bravano comportarsi in un modo riconoscibilmente terrestre. Essi corrispondevano perfettamente alla sua intuizione predilet- ta sul tempo, il convincimento che esso si ripetesse di continuo, manifestando costantemente modelli familiari, awmenti e cali di pressione, con le correnti aeree che si dirigevano alternativa- mente verso nord e verso sud. Egli scopri che quando una curva discendeva senza gobbe, seguiva poi una doppia gobba, e dice- va: «Questo é il tipo di regola che si potrebbe usare nella previ- sione del tempo». Ma le ripetizioni non erano mai del tutto esatte. C'erano modelli ricorrenti, ma con disturbi. Un disordi- ne ordinato. 19 Per facilitare l'identificazione di strutwure ricorrenti, Lorenz cred una sorta primitiva di grafica. Anziché limitarsi a stampare le solite righe di cifre, faceva stampare al computer un certo nu- mero di spazi vuoti seguiti dalla lettera a. Prendeva una variabi- le, per esempio Ia direzione dei venti. Gradualmente la a si spo- stava lungo il rotolo di carta, oscillando avanti e indietro in una linea ondulata, tracciando una lunga serie di valli ¢ colline che rappresentavano il modo in cui il vento occidentale muoveva verso nord e verso sud attraverso il continente. I} suo carattere ordinato, i cicli ordinati che ricorrevano senza peré presentarsi mai due volte nello stesso modo, esercitavano un fascino ipnoti- co. I sistema sembrava rivelare lentamente i suoi segreti all’oc- chio del meteorologo che tentava di formulare una previsione del tempo. Un giorno nell'inverno del 1961, volendo esaminare una fase di elaborazione pit lunga, Lorenz prese una scorciatoia, Anzi- ché percorrere l'intero passaggio dal principio, comincié a esa- minarlo a meta. Per dare al computer le condizioni iniziali, in- trodusse i numeri prendendoli direttamente dallo stampato pre- cedente. Poi attraversd la sala per allontanarsi dal rumore e per andare a prendersi un caffé. Quando tornd, un’ora dopo, vide qualcosa di inatteso, qualcosa che stava gettando un seme per una nuova scienza. Questa nuova fase di elaborazione avrebbe dovuto duplicare esattamenite quella precedente. Le stesso Lorenz aveva copiato i numeri da introdurre nel computer. Eppure, quando osservé il myovo stampato, Lorenz vide le condizioni meteorologiche di- vergere cosi rapidamente dall’andamento della fase precedente che, nel corso di soli pochi mesi, ogni somiglianza era scompar- sa. Guardé un insieme di numeri, poi tornd a guardare l’altro. Avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato scegliendo due condi- zioni di partenza qualsiasi. I] suo primo pensiero fu che fosse sai- tata un’altra valvola_ D’improvviso si rese conto. Non c’era stato alcun errore di funzionamento. II problema stava nei numeri che aveva intro- dotto. Nella memoria del computer erano registrati sei decima- li: 0,506127. Sullo stampato, per risparmiare spazio, ne appari- vano solo tre, 0,506. Lorenz aveva introdotto il valore piu breve, arrotondato, supponendo che la differenza — di un decimillesi- mo — non avesse alcuna incidenza.? Era un assunto ragionevole. Se un satellite meteorologico riesce a leggere la temperatura della superficie dell'oceano con 20 un margine di errore di un millesimo, i suoi operatori si conside- rano fortunati. I] Royal McBee di Lorenz stava facendo girare un programma fondato su concetti classici. Esso usava un siste- ma di equazioni puramente deterministico. Dato un particolare punto di partenza, il tempo sarebbe seguito ogni volta esatta- mente nello stesso modo. Dato un punto di partenza leggermen- te diverso, le condizioni meteorologiche dovevano evolversi in modo leggermente diverso. Un piccolo errore numerico era co- me un soffio di vento: i piccoli soffi di vento svanivano o si can- cellavano fra loro prima di poter modificare caratteri del tempo importanti, su vasta scala. Eppure, nel particolare sistema di equazioni di Lorenz piccoli errori si dimostravano catastrofici.® Lorenz decise di esaminare pid a fondo il modo in cui due sviluppi delle condizioni meteorologiche in principio quasi iden- tiche successivamente divergevano. Egli copié una delle curve in output su un lucide e la sovrappose all’altra, per vedere come di- vergevano. Inizialmente si aveva una coincidenza quasi perfetta; poi una delle due curve cominciava a restare leggermente in ri- tardo. Quando le due curve raggiunsero la gobba successiva era- no decisamente fuori fase. Alla terza 0 quarta gobba, ogni somi- glianza era svanita. Era solo un‘oscillazione fornita da un computer primitivo. Come divergano due tracciati delle condiziont meteorologiche. A partire da condizioni di partenza quasi identiche, Fdward Lorenz vide il suo modello del tempo meteorologico elaborato dal computer produrre due evoluzioni che si allontanavano sempre pitt fra loro, sino alla scomparsa di ogni somiglianza. (Da stampati di Lorenz det 1961). 21 Lorenz avrebbe potuto supporre che ci fosse qualcosa di sbaglia- to nel suo particolare computer o nel suo particolare modello: probabilmente avrebbe dovuto supporre che fosse cost. Non era come se avesse mescolato sodio € cloro ricavandone oro, ma, per ragioni di intuizione matematica che i suoi colleghi avrebbero cominciato a capire solo in seguito, Lorenz ebbe un sobbalzo: c’era qualcosa di filosoficamente sbagliato. L’importanza prati ca di quella scoperta avrebbe potuto essere enorme. Benché le sue equazioni fossero parodie grossolane della meteorologia ter- restre, egli credeva che cogliessero l'essenza dell’atmosfera reale. Quel primo giorno decise che la previsione meteorologica a lun- go termine fosse impossibile.* «Certamente non avevamo mai avuto successo in tale compi- to, e ora avevyamo una giustificazione», disse. !° «Penso che una delle ragioni per cui la gente credeva nella possibilita di una previsione del tempo a lunga scadenza era che ci sono fenomeni fisici reali che possono essere predetti in modo eccellente, come le eclissi, in cui la dinamica del Sole, della Luna e della Terra @ abbastanza complicata, e lo stesso vale per le maree. Io non ave- vo mai pensato alla previsione delle maree come a vere predizio- ni — le consideravo solo semplici asserzioni di fatto —, ma @ chiaro che si tratta di prediziont. Le maree sono in realta altret- tanto complesse quanto I’atmosfera. Nell'uno come nell’altro caso si hanno componenti periodiche: si pud predire che la pros- sima estate sara pid calda di quest’inverno. Ma nel caso della meteorologia noi assumiamo l’atteggiamento che lo sapevamo gia. Nel caso delle maree la parte a cui siamo interessati é quella prevedibile, e la parte non prevedibile é piccola, a meno che non ci sia una tempesta. La persona media, vedendo che siamo in grado di predire abbastanza bene le maree con un anticipo di mesi, sarebbe indotta a chiedersi perché non possiamo fare lo stesso con l’atmosfera; dopo tutto si tratta solo di un sistema di fluidi diverse e le leggi sono altrettanto complicate. Io mi resi conto perd che qualseas¢ sistema fisico che si comportasse in mo- do non periodico sarebbe imprevedibile.» Gli anni Cinquanta e Sessanta furono anni di ottimismo irreale per quanto attiene alla previsione del tempo. !! Quotidiani e ri- viste traboccavano di ottimismo per la scienza della meteorolo- gia, in relazione non soltanto alla previsione, ma anche alla pos- sibilita di modificare e contrallare il tempo. Due tecnologie sta- vano maturando assieme: quelle del computer digitale e del sa- tellice artificiale. Fu preparato un programma internazionale 22 per trarre vantaggio dalle opportunita offerte dalle due tecnolo- gie: il Global Atmosphere Research Program. Si pensava che la societa umana si sarebbe liberata dal disordine del tempo e ne sarebbe diventata la padrona anziché la vittima. Cupole geode- tiche avrebbero coperto i campi di granturco. Aerei avrebbero inseminato nubi. Gli scienziati avrebbero imparato come far piovere e come far cessare la pioggia. I] padre intellettuale di questa nozione popolare fu von Neu- mann, che costrui il suo primo computer col preciso intento, fra Taltro, di permettere il controllo del tempo. Egli si circondé di meteorologi e fece discorsi esaltanti sui suoi piani dinanzi alla comunita scientifica generale. Egli aveva una specifica ragione matematica per il suo cttimismo. Riconobbe che un sistema di- namico complicato poteva avere punti di instabilita: punti criti- ci in cui una piccola spinta poteva avere grandi conseguenze, co- me nel caso di una palla in equilibrio sul cocuzzolo di uma colli- na. Grazie alla disponibilita del computer, von Neumann im- maginé che negli anni seguenti gli scienziati avrebbero calcolato le equazioni del moto dei fluidi.!? Poi un comitato centrale di meteorologi avrebbe inviato in cielo aerei a calare cortine di fu- mo 0 a inseminare nubi per forzare l'evoluzione del tempo nella direzione desiderata. Ma von Neumann aveva ignorato la possi- bilita del caos, con instabilita in ognd punto, Negli anni Otcanta una vasta e costosa burocrazia si dedicd alla realizzazione del programma indicato da von Neumann, o almeno alla sua parte concernente Ja predizione.!3 I primi ad- detti alla previsione de] tempo negli Stati Uniti operarono nel cubo disadorno di un edificio nel Maryland suburbano, con una selva di antenne radar e radio sul tetto. I! loro supercomputer usava un modello che assomigliava a quello di Lorenz solo nel suo spirito fondamentale. Mentre il Royal McBee poteva esegui- re sessanta moltiplicazioni al secondo, Ja velocita di un Control Data Cyber 205 si misurava in megaflops, milioni di operazioni a virgola mobile al secondo. Mentre Lorenz si era accontentato di dodici equazioni, il moderno modello globale calcolava siste- mi di 500.000 equazioni. 1! modello comprendeva il modo in cui l'umidita, condensandosi ed evaporando, trasferiva il calore nel- Varia o lo sottraeva all’aria. I venti digitali venivano plasmati da catene di montagne digitali. 1 dati arrivavano di ora in ora da ogni nazione del globo, trasmessi da aerei, satelliti e navi. Il Na- tional Meteorological Center degli Stati Uniti produceva le se- conde migliori previsioni del tempo al mondo. Le mugliori provenivano da Reading, in Inghilterra, una 23 piccola citta universitaria a un‘ora di macchina da Londra. L’European Centre for Medium Range Weather Forecasts occu- pava un modesto edificio ombreggiato dagli alberi in un generi- co stile «Nazioni Unite», un esempio di architettura moderna in mattoni e vetro, decorata con doni provenienti da vari paesi. Era stato costruito all’apogeo dello spirito del Mercato comune europeo, quando la maggior parte delle nazioni dell’Europa oc- cidentale avevano deciso di mettere in comune i loro taienti e le loro risorse a favore della causa della previsione del tempo. Gli europei attribuivano il loro successo al personale giovane, che vi lavorava a rotazione —- non si trattava di funzionari statali —, e al loro supercomputer Cray, che sembrava sempre avanti di un modello rispetto alla sua controparte americana. La previsione del tempo fu l'inizio ma non certo la fine del- luso di computer per realizzare modelli di sistemmi complessi. Le stesse tecniche furono usate da molti tipi di scienziati fisici e di scienziati sociali che speravano di fare predizioni su qualsiasi co- sa, dai flussi di fluidi su piccola scala che interessavano ai pro- gettisti di eliche ai vasti flussi finanziari che interessavano agli economisti, In effetti, negli anni Settanta e Ottanta la previsio- ne economica per mezzo di computer presentd un’autentica so- miglianza con Ja previsione del tempo su scala mondiale. I mo- delli passavano per reti complesse, un po’ arbitrarie, di equazio- ni, intese a trasformare le misurazioni di condizioni iniziali - pressione atmosferica o offerta di denaro — in una simulazione di tendenze future. I programmatori speravano che i risultati non fossero troppo grossolanamente distorti dalle molte inevita- bili assunzioni sernplificanti. Se un modello faceva qualcosa di troppo chiaramente bizzarro — se prevedeva un’inondazione nel Sahara o tassi di interesse triplicati — , i programmatori correg- gevano le equazioni per portare i risultati in linea con le attese. In pratica i modell econometrici si dimostrarono deludente- mente ciechi a cié che avrebbe apportato il futuro, ma molte persone che avrebbero dovuto saperne di pit agivano come se credessero nei risultati. Previsioni della crescita economica o della disoccupazione furono portate avanti con una precisione sottintesa di due o tre decimali. '* Istituzioni governative e finan- ziarie pagavano per tali previsioni ¢ agivano su quella base, forse per necessita o per mancanza di qualcosa di meglio. Presumibil- mente sapevano che variabili come I' Non rimase quasi nulla del modelio originario, ma Lorenz conservé la non-linearita. Al- TYocchio di un fisico, quelle equazioni apparivano semplici. Le si poteva guardare — molti scienziati lo fecero, negli anni seguen- 29 Movimenti circolari in un fluido. Quando un liquide o un gas viene riscaldato dal basso, tende a organizzarsi in celle cilindriche (a sinisera). Tl fluide caldo sa- le da un lato, perde calore e discende dall'altro lato: ¢ questo il cosiddetzo pro- cesso della converione. Quando si aumenta it calore (a destra), ha inizio un’in- stabilita e le celle sviluppana un’oscillazione che procede avanti ¢ indietro lungo la lunghezza dei cilindri. A temperature ancora maggiori, il flusso diventa irre- golare e turbolento, ti — e dire: «Potrei risolverle». «Six, disse tranquillamente Lo- renz, «c’é una tendenza a pensarlo quando le si vede. In esse ci so- no alcuni termini non lineari, ma si pensa che debba esserci un modo per aggirarli. Solo che poi non cisi riesce». Tl tipo pit semplice di convezione conosciuto dai libri di testo ha Juogo in una cella di fluido, una seatola dal fondo liscio che pud essere riscaldato e con una parte superiore liscia che pud essere raffreddata. La differenza di temperatura fra il fondo caldo e la parte superiore fredda controlla il flusso. Se la differenza é pic- cola, il sistema rimane immobile. I] calore muove verso l’alto per conduzione, nello stesso modo in cui si propaga in una sbar- ra di metallo, senza vincere la naturale tendenza del fluido a re- stare in quiete. Inoltre, il sistema é stabile. Qualsiasi moto ca- suale possa verificarsi quando, per esempio, uno studente urta Yapparecchiatura, tendera infine a estinguersi, restituendo il si- stema al suo stato stazionario. Se, perd, applichiamo un calore abbastanza intenso al fondo della scatola, si sviluppa un nuovo tipo di comportamento. II fluido nella parte bassa della scatola, riscaldandosi, si espande e quindi si rarefa. Diventando meno denso diventa pit leggero, quanto basta per superare l’attrito, e comincia a muoversi verso Yalto, facendosi largo verso la superficie. In una scatola oppor- tunamente progettata, si sviluppa un movimento cilindrico, col 30 La ruote idraulica di Lorenz. 1 primo famoso sistema caotico scoperte da Ed- ward Lorenz corrisponde esattamente a un dispositive meccanico: una ruota idraulica. Questo semplice dispositive si dimostra capace di un comportamen- to sorprendentemente complicato. La rotazione della ruota idraulica condivide alewne proprieta dei cilindri di fluido rotanti nel processo della convezione. La ruota idraulica @ una sorta di sezione del cilindro. Entrambi i sistemi sono soggetti a una spinta continua — da parte di acqua o di calore — ed entrambi dissipano energia. II fluido perde calore; i secchi perdono acqua. In entrambi i sistemi il comportamento a lun- go termine dipende dalla grandezza delVenergia di propulsione. Dall'alte, sopra la parte centrale della ruota idraulica, cade del!'acqua a un ritmo costante, Se il flusso dell'acqua che va a cadere nel secchio alla sommita della ruota é lento, il secchio non si riempie mai abbastanza per superare l’at- trito, e la ruota non comincia mai a girare. (Similmente, in un fluido, se if ca- lore @ troppo poco per superare la viscosita, non mewera mai in moto il fluido.) Se il flusso é pitt veloce, it peso det secchio in alto mette in movimento la ruota (a sénistva). La ruota idraulica pud iniziare un movimento che continua a velo- citd costante (i centro). Se perd if flusso @ ancora pid veloce (a destra), la rotazione diventa caotica, a causa degli effetgi non lineari intrinseci al sistema. Quando i secchi passano sotto la caduta d’acqua, in quale misura si riempiano dipende dalla velocita della rotazione. Se la ruota sta girando rapidamente, i secchi hanno poco tem- po per tiempirsi. (Similmente, il fluido im una cella di convezione che ruota ra- pidamente ha poco tempo per assorbire calore.) Inoltre, se !a ruota gira rapi- damente, i secchi possono salire dall'altra parte prima di avere avato il tempo di syuotarsi completamente. Di conseguenza, il peso dell’acqua contenata nei secchi che stanno risalendo fara prima rallentare ¢ poi invertire la rotazione. In effetti; come scopri Lorenz, su lunghi periadi la rotazione pud invertirst moite volte, non passando mai a una velocita costante e non ripetendosi mai in un modo prevedibile. fluido caldo che sale da un lato e quello freddo che discende dal- TYaltro. Osservato lateralmente, il moto fa un cerchio continuo. Anche fuori dal laboratorio la natura produce spesso le proprie celle di convezione. Quando il sole riscalda un deserto, per esempio, pud accadere di vedere che l'aria circolante nelle celle di convezione disegni delle forme ondulanti nelle nubi al di so- pra o nella sabbia al di sotto. Se si aumenta il riscaldamento, il comportamento si fa ancor pid complesso. I cilindri cominciano a oscillare. Le equazioni semplificate di Lorenz erano in effetti troppo semplici per poter fornire un modello di una tale sorta di complessita. Esse rappre- sentavano per astrazione soltanto un elemento della convezione del mondo reale: il moto circolare di un fluido caldissimo che sale e circola come una ruota panoramica in un Luna Park. Le equazioni tenevano conto della velocita di tale moto e del trasfe- rimento di calore. Quei processi fisici interagivano. E mentre ogni parte data del fluido caldo saliva lungo il cerchio, entrava in contatto con parti di fluido pit freddo e cominciava quindi a perdere calore. Se il cerchio si muoveva abbastanza velocemen- te, la palla di fluido, nel momento in cui perveniva alla sommita € cominciava a ridiscendere dall’altro lato, non aveva perso del tutto i} suo calore extra, cosicché cominciava in realta a spingere all'indietro, contro Pimpeto dell’altro fluido caldo che la se- guiva. Benché il sistema di Lorenz non fornisse un modello completo della convezione, risultd avere analoghi esatti in sistemi reali. Per esempio, le sue equazioni descrivono con precisione una vec- chia dinamo, ]’antenata dei generatori moderni, nella quale la corrente elettrica scorre attraverso un disco che ruota in un campo magnetico. In certe condizioni la dinamo pud invertirsi. E alcuni scienziati, quando le equazioni di Lorenz divennero meglio note, suggerirono che il comportamento di tale dinamo potesse fornire una spiegazione per un altro peculiare fenomeno di inversione: il campo magnetico della Terra. Sappiamo che la «geodinamo>» si é invertita molte volte nel corso della storia della Terra, a intervalli che sembrano irregolari e inspiegabili.** Di fronte a tale irregolarita, i teorici tipicamente cercano spiega- zioni fuori del sistema, proponendo cause come l'urto di meteo- riti. Ma forse la geodinamo contiene in se stessa il proprio caos. Un aitro sistema descritto con precisione dalle equazioni di Lo- renz é un particolare tipo di ruota idraulica, ® un analogo mec- 32 canico del cerchio di convezione. In alto dell’acqua cade costan- temente nei secchi appesi al cerchio della ruota. Ogni secchio perde costantemente un filo d’acqua da un forellino sul fondo. Se la caduta d’acqua dall’alto é lenta, il secchio che si trova in alto non si riempira mai in quantita sufficiente a superare la re- sistenza dell’attrito, mentre se il corso d'acqua é pitt veloce il pe- ‘so comincia a far girare la ruota. La rotazione potrebbe diventa- Te continua. Se peréd il corso d’acqua é cosi veloce che i secchi possono percorrere l’intero cerchio e cominciare a risalire dal- Yaltra parte, la ruota potrebbe rallentare, fermnarsi e invertire la sua Totazione, girando quindi prima in una direzione e poi nel- Yaltra. La reazione intuitiva di un fisico dimanzi a un tale semplice sistema meccanico — la sua intuizione pre-caos — consiste nel prevedere che, a lungo termine, se il corso d’acqua non variasse mai ja sua velocita, si svilupperebbe uno stato stazionario. La ruota finirebbe con I'adottare una rotazione costante o con |’o- scillare costantemente avanti e indietro, girando prima in una direzione e poi nella direzione opposta a intervalli costanti. Lo- renz pervenne invece a una conclusione diversa. Tre equazioni, con tre variabili, descrivevano completamen- te il moto di questo sistema.” Il computer di Lorenz stampé i valori mutevoli delle cre variabili: 0-10-0; 4-12-0; 9-20-0; 16-36-2; 80-66-7; 54-115-24; 93-192-74, I tre numeri aumenta- vano o diminuivano al passare di intervalli di tempo immagina- ri, cinque passi, cento passi, mille passi. Per delineare un quadro sulla base dei dati, Lorenz usd cia- scuna serie di tre numeri come coordinate per specificare la po- sizione di un punto nello spazio tridimensionale. Cost la sequen- za di numeri produsse una sequenza di punti che definivano una traiettoria continua, una registrazione del comportamento del sistema. La traiettoria poteva condurre in un luoge e poi arre- starsi, cosa che significava che i! sistema si era assestato in uno stato stazionario, in cui le variabili per la velocita e la tempera- tura non mutavano pil. Oppure la traiettoria poteva formare un anello che si ripeteva di continuo, cosa che significava che il sistema si era assestato in un modello di comportamento che si ripeteva periodicamente. Il sistema di Lorenz non faceva né |'una né !’altra cosa. I] dia- gramma rivelava invece una sorta di infinita complessita. Il mo- vimento rimaneva sempre entro certi limiti, non uscendone mai ma neppure diventando ripetitivo. Esso tracciava una strana fi- ‘ 33 Tt gura tipica, una sorta di doppia spirale in tre dimensioni, simile a una farfalla con le ali aperte. La forma segnalava un puro di- sordine, dal momento che nessun punto o sistema di punti si ri- peteva mai. Eppure segnalava anche una nuova sorta di ordine. Anni dopo, i fisici avrebbero parlato con sconfinata ammirazio- ne di quell’articolo di Lorenz sulle equazioni: «Quell’articolo meraviglioso», considerato alla stregua di un rotolo antico, che custodiva segreti eterni. Nelle migliaia di articoli che compone- vano la letteratura tecnica del caos, ben pochi furono citati pid spesso dell’articolo di Lorenz Deterministic Nonperiodic Flow. Per anni nessun singolo oggetto avrebbe ispirato pit illustrazio- ni, persino immagini in movimento, della curva misteriosa raffi- gurata in una delle sue pagine conclusive, la doppia spirale che divenne nota come I’attrattore di Lorenz, Per la prima volta, le immagini di Lorenz avevano mostrato che cosa significava dire: «E una cosa complicata». In esse cera tutta la ricchezza del caos. A quell’epoca, perd, ben pochi riuscivano a vederla, Lorenz Ja descrisse a Willem Malkus, professore di matematica applica- ta al Massachusetts Institute of Technology, uno scienziato gen- tiluomo che aveva una grande capacita di apprezzare l'opera dei colleghi. Malkus rise e disse: «Ed, noi sappiamo — lo sappiamo molto bene — che la convezione dei fluidi non fa nulla di tucto questo». *? La complessita sarebbe stata sicuramente smorzata, gli disse Malkus, e il sistema si sarebbe stabilizzato in un moto costante, regolare. Liaitrattore di Lorenz (pagina a fronte). Questa immagine magica, che asso- miglia alla maschera di un barbagianni 0 alle ali di una farfalla, divenne un emblema per i primi esploratori del caos. Essa rivelava la struttura fine celata in un corso disordinato di dati. Tradizionalmente, i valori mutevoli di una va- riabile potevano essere visualizzati nella cosiddetta serie temporale (én alto). Per mostrare graficamente i rapporti mutevoli fra we variabili si richiedeva una tecnica diversa. In ogni istante nel tempo, le tre variabili fissano la posizio- ne di un punto nello spazio tridimensionate; al mutare del sistema, il movi- mento del punto rappresenta le variabili che mutano in modo continua. Poiché i] sistema non si ripete mai in modo esatto, la traiettoria non interseca mai se stessa, Essa disegna invece di continuo nuove spire. Il moto sull'ateratto- re@ astratto, ma da il senso del moto del sistema reale. Per esempia, il passag- gio da un’ala dell'attratiore all'altra corrisponde a un‘inversione nella direzig- ne della rotazione della ruota idraulica o det fluido soggetto alla convezione. 3S «Ovviamente ci lasciammo del tutto sfuggite l’essenziale», disse Malkus una generazione dopo; nel frattempo aveva co- struito nel suo laboratorio una vera ruota idraulica lorenziana per mostrarla ai «non credenti». «Ed non stava affatto pensando nei termini della nostra fisica, Egli rifletteva nei termini di una qualche sorta di modello generalizzato o astratto che presentasse un comportamento da lui intuitivamente concepito come carat- teristico di qualche aspetto del mondo esterno. Egli non era perd del tutto in grado di dircelo. Solo a posteriori ci rendemmo con- to che doveva avere avuto idee del genere». Ben pochi profani si resero conto di quanto nettamente divi- sa fosse ormai la comunita scientifica, wrasformata in una sorta di nave da battaglia con paratie stagne per evitare qualsiasi in- filtrazione. I biologi avevano gia abbastanza da leggere senza bi- sogno di cercare di tenere il passo con la letteratura matemati- ca; anzi, gli stessi biologi molecolari avevano abbastanza da leg- gere anche senza volersi tenere aggiornati sulla biologia delle popolazioni. I fisici avevano modi migliori di spendere il loro tempo che quello di setacciare i periodici di meteorologia. Alcu- ni matematici sarebbero stati entusiasti nel vedere la scoperta di Lorenz; in capo a dieci anni, fisici, astronomi e biologi avrebbe- ro cercato qualcosa di simile, e a volte l'avrebbero riscoperta a loro volta. Ma Lorenz era un meteorologo, e nessuno pensava di cercare il caos a pagina 130 del volume 20 del «Journal of the Atmospheric Sciences». 78 RIVOLUZION Ovviamente, tutto lo sforzo consiste nel mettersi Fuori dell'ambito normale Della cosiddetta statistica. STEPHEN SPENDER Lo storico della scienza Thomas S. Kuhn descrive un esperimen- to inquietante condotte da un paio di psicologi negli anni Qua- ranta.! Ai soggetti venivano mostrate per un tempo brevissimo delle carte, una per volta, e si chiedeva loro di dire quali carte avessero visto. Ovviamente c’era un trucco: alcune di quelle car- te erano truffaldine: per esempio, un sei di picche rosso, o una regina di quadti nera. Finché si procedeva rapidamente, i soggetti tiravano via sen- za problemi. Nulla avrebbe potuto filare via pit liscio. Non si rendevano conto di alcuna anomalia. Se veniva mostrato loro un sei di picche, potevano dire o «sei di cuori» o «sei di picche. Quando peré si concedeva loro pid tempo per osservare le carte, cominciavano a esitare. Si rendevano conto che c’era un proble- ma, ma non erano del tutto sicuri di quale fosse. Un soggetto poteva dire di aver visto qualcosa di strano, come un bordo rosso attorno a un cuore nero. Infine, aumentando ancor pitt il tempo disponibile per I'os- servazione delle carte, la maggior parte dei soggetti capivano. Vedevano le carte sbagliate e compivano il salto mentale neces- sario per rispondere senza errori. Non tutti, perd. Alcuni soffri- vano di un senso di disorientamento che causava loro vere € pro- prie sofferenze. «Non riesco a decifrare il seme, qualunque sia», disse uno. «Questa volta non aveva neppure l’aspetto di una car- ta. Non so che colore ha ora € se é un picche o un cuori. Ora non sono neppure sicuro su come é fatto un picche. Dio miol»? Gli scienziati di professione, quando vengano concessi loro solo brevi e incerti sguardi sul comportamento della natura, non sono meno soggetti ad angustie e a confusione ogni volta che vengano a trovarsi faccia a faccia con incongruita. E l’incen- gruita, quando modifica il modo in cui uno scienziato guarda le cose, rende possibili i progressi pit importanti. Cosi sostiene Kuhn, ecosi conferma la storia del caos. 37 Le nozioni di Kuhn sul modo di lavorare degli scienziati e sul modo in cui si verificano le rivoluzioni scientifiche suscitarono malta ostilita e ammirazione quando egli le pubblico per la pri- ma volta nel 1962, e quella controversia non @ mai cessata. Kuhn contestd nel modo pit deciso l'opinione tradizionale che la scienza progredisca per semplice accumulo di conoscenza, ogni scoperta aggiungendo qualcosa alla precedente, e che le nuove teorie emergano quando nuovi fatti le richiedono. Mise in crisi la concezione della scienza come processo ordinato consi- stente nel formulare domande e nel trovarne le risposte. Sottoli- neé l’esistenza di un contrasto fra cid che fanno 1a maggior parte degli scienziati, lavorando su problemi legittimi e ben compresi alfincerno delle loro discipline, e il lavoro eccezionale, non orto- dosso, che crea le rivoluzioni. Non per caso, egli fece apparire gli scienziati ben diversi da quei perfetti razionalisti che sarebbe- ro agli occhi di molti. Nello schema di Kuhn, la scienza normale consiste in gran parte in un «lavoro di ripulitura».* Gli sperimentalisti eseguono versioni modificate di esperimenti che sono stati eseguiti gia molte volte prima.‘ I teorici aggiungono un mattone qui, siste- mano una cornice 14, in un muro di teoria, e difficilmente po- trebbe essere altrimenti. Se tutti gli scienziati dovessero ricomin- ciare dal principio, mettendo in discussione gli assunti fonda- mentali, avrebbero moltissima difficolta a raggiungere quel li- vello di raffinatezza tecnica che si richiede per fare del lavoro utile. Al tempo di Benjamin Franklin, quel pugno di scienziati che cercava di comprendere l’elettricita poteva scegliersi i suoi primi principi, anzi doveva farlo.> Un ricercatore poteva consi- derare Fattrazione l’effetto elettrico pid importante, pensando Pelettricita come una sorta di «effluvio» emanante da sostanze. Un altro poteva pensare Felettricita come un fluido, trasmesso da materiale conduttivo. Quegli scienziati potevano parlare ai profani quasi con la stessa naturalezza con cui comunicavano fra loro, non avendo ancora raggiunto una fase in cui potessero dare per scontato un linguaggio cornune specializzato per i feno- meni che stavano studiando. Per contrasto, uno specialista della fluidodinamica del nostro secolo non potrebbe certo attendersi di poter far progredire la conoscenza nel suo campo senza prima adottare un corpus di terminologia e di tecnica matematica. In cambio, inconsciamente egli concederebbe molto spazio alla messa in discussione dei fondamenti della sua scienza. Nelle idee di Kuhn é centrale Ja vistone della scienza norma- le come risoluzione di problemi, i tipi di problemi che gli stu- 38 denti conoscono la prima volta che aprono i loro libri di testo. Tali problemi definiscono uno stile di soluzione accettato, che guida la maggior parte durante ['universita, quando lavorano alla loro tesi di dottorato e quando scrivono gli articoli per i pe- riodici scientifici che costituiscono la sostanza della carriera ac- cademica. «In condizioni normali lo scienziato ricercatore non é un innovatore ma un risolutore di rompicapo, e i rompicapo su cui concentra la sua attenzione sono solo quelli che egli pensa possano essere sia formulati sia risolti all'interno della tradizione scientifica esistente», scrisse Kuhn.® Poi ci sono le rivoluzioni. Una nuova scienza ha origine da un’altra che é venuta a trovarsi in un vicolo cieco. Spesso una ri- voluzione ha un carattere interdisciplinare: le sue scoperte cen- trali provengono non di rado da persone che si spingono oltre i normali confini delle loro specialita. I problemi che ossessiona- no questi teorici non vengono riconosciuti come linee di ricerca legittime. Certi argomenti proposti per tesi di dottorato non so- no accettati dai professori e taluni articoli presentati per la pub- blicazione vengono rifiutati dalle riviste scientifiche. I teorici stessi non sono certi di saper riconoscere una soluzione se la ve- dessero. Essi accettano il rischio come parte integrante della loro carriera, Alcuni scienziati dal giudizio indipendente che lavora- no da soli, incapaci di spiegare in quale direzione sia indirizzata la loro ricerca, hanno timore persino di dire ai loro colleghi che cosa stanno facendo: questa immagine romantica si trova al cuore dello schema di Kuhn, ¢ si é realizzata ripetutamente nel- la vita reale nell’esplorazione del caos. Gli scienziati che si dedicarono troppo presto allo studio del caos hanno da raccontare una storia di dissuasioni o di aperta ostilita. Gli studenti universitari si sentivano spesso mettere in guardia contro il rischio di compromettere la loro carriera scien- tifica nel caso avessero dato Ja tesi in una disciplina che non ave- va avuto alcuna verifica, e nella quale i docenti che li seguivano non potevano avere alcuna competenza. Un fisico delle particel- le,? avendo sentito parlare di questa nuova matematica, poté cominciare a baloccarsi con essa, pensando che fosse una bella cosa, una cosa non meno bella che difficile, ma pensd che non avrebbe mai potuto parlarne ai suoi colleghi. I professori pit anziani pensavano di soffrire una sorta di crisi tipica della mezza eta, puntando su una linea di ricerca che molti colleghi avreb- bero probabilmente frainteso, o per la quale si sarebbero risenti- ti. Ma sentivano anche uno stimolo intellettuale quale si pud provare solo quando ci si occupa di qualcosa di veramente nuo- 39 vo. Persino fra gli ousider qualcuno se ne rese conto, e special- mente coloro che erano in sintonia con le nuove idee. Per Free- tan Dyson, all’Institute for Advanced Study, la nozione del caos arrivd negli anni Settanta «come una scossa elettrica». Altri pensarono di assistere, per la prima volta nella loro vita profes- sionale, a un vero cambiamento di paradigma, a una trasforma- zione nel modo di pensare. I primi a riconoscere il caos si travagliarono sul problema di come presentare le loro idee ¢ le loro scoperte in forma pubbli- cabile. Hl loro lavoro si trovava spesso fuori da ambiti disciplina- ri ben precisi: per esempio poteva essere troppo astratto per i fi- sici e nondimeno troppo sperimentale per i matematici. Per al- cuni la difficolta di comunicare le nuove idee, unita alla strenua resistenza da parte dei paladini della tradizione, rivelava quanto fosse rivoluzionaria la nuova scienza. Le idee banali possono es- sere assimilate, mentre quelle che richiedono una riorganizza- zione della propria immagine del mondo suscitano ostilita. Un fisico del Georgia Institute of Technology, Joseph Ford, mi citd in proposito Tolstoj: «So che la maggior parte degli uomini, compresi quelli che si trovano a loro agio nell’affrontare proble- mi estremamente complessi, possono solo di rado accettare per- sino la verita pid semplice e pit owvia se essa é tale da costringer- li ad ammettere la falsita delle conclusioni che hanno spiegato con piacere ai loro colleghi, che hanno insegnato con orgoglio ad altri e che hanno intessuto, un filo dopo l'altro, nella trama della loro vita».® Molti scienziati ortodossi rimasero solo oscuramente consa- pevoli della scienza emergente. Alcuni, fra cui in particolare gli studiosi della fluidodinamica tradizionale, le si opposero con grande impegno. In principio le prese di posizione a sostegno del Cags parvero Tozze e ascientifiche. E per di pit il caos si fondava su una matematica che sembrava non convenzionale e difficile. Al crescere del numero degli specialisti del caos, alcuni di- partimenti universitari cominciarono a disapprovare questi stu- diosi un po’ devianti; ma ci fu anche qualche dipartimento che mise inserzioni per attrarne un maggior numero. Alcuni perio- dici stabilirono regole non scritte contro l'accettazione di articoli sul cas; altri cominciarono a trattare esclusivamente argomenti connessi al caos. I caoticisti o caologi (per usare un paio di sgra- devoli neologismi)? cominciarono ad apparire con frequenza sproporzionata sugli elenchi annuali di irmportanti borse di stu- dio e di premi prestigiosi. Alla meta degli anni Ottanta un pro- cesso di diffusione accademica aveva portato gli specialisti del 40 caos in posizioni influenti all'interno delle burocrazie universita- tie. Furono fondati centri ¢ istituti per studiare specificamente la «dinamica non-lineares ei «sisterni complessi». Il caos é diventato non solo teoria ma anche metodo, non so- Jo un canone di credenze ma anche un modo di fare scienza. Il caos ha creato Ja sua propria tecnica di uso dei computer, una tecnica che non richiede la grandissima velocita dei computer Cray e Cyber, ma favorisce invece modesti terminali che per- mettono un’interazione flessibile. Per i ricercatori del caos la matematica é diventata una scienza sperimentale, con i compu- ter che sostituiscono laboratori pieni di provette e di microscopi. La chiave @ fornita da immagini grafiche. «£ masochismo per un matematico lavorare senza immagini», ha affermato uno specialista del caos.!° «Come si possono altrimenti vedere i rap- porti fra il moto e il caos? Come si pud sviluppare lintuizione?» Alcuni eseguono il loro lavoro negando esplicitamente che esso sia una rivoluzione: altri usano deliberatamente il linguaggio di Kuhn dei mutamenti di paradigma per descrivere i mutamenti cui stanno assistendo. Stilisticamente i primi articoli sul caos ricordavano epoca di Franklin nel modo in cui tornavano ai primi principi. Come nota Kuhn, le scienze tradizionali danno per scontato un corpus di conoscenza che serve da punto di partenza comune per la ri- cerca. Per evitare di tediare i colleghi gli scienziati normalmente cominciano e finiscono i loro articoli con asserzioni esoteriche. Per conérasto gli articoli sul caos a partire dai tardi anni Settan- ta avevano un tono evangelico, dal preambolo alla perorazione finale. Proclamavano un nuovo credo e spesso si concludevano con esortazioni all’azione: «Questi risultati ci appaiono a un tempo eccitanti e altamente stimolanti»; ! «Solo oggi sta comin- ciando a emergere un quadro teorico della transizione alla tur- bolenza. Il cuore del caos & matematicamente accessibile»; ® «Oggi il caos presagisce il futuro come nessuno oserebbe nega- ree; 3 «Ma per accettare il futuro si deve rimunciare a gran parte del passato». Nuove speranze, nuovi stili e, fatto pil importante, un modo nuovo di vedere. Le rivoluzioni non si fanno a pezzetti.' Una spiegazione della natura ne sostituisce un’altra. Vecchi problemi vengono visti in una luce nuova e altri problemi vengono ricono- sciuti per la prima volta. Si verifica qualcosa che assomiglia a unintera industria che rinnova i propri macchinari in vista di una nuova produzione. Per servirci delle parole di Kuhn: «E quasi come se la comunita degli specialisti fosse stata improvvi- 41 samente trasportata su un altro pianeta dove gli oggetti familia- ri fossero visti sotto una luce differente e venissero accostati ad oggetti insoliti»,'* Il topo di laboratorio della nuova scienza fu il pendolo: emble- ma della meccanica classica, esemplare di azione vincolata, compendio di una regolarita propria della tecnica pit esata, quella degli orologi.'* Un pendolo oscilla libero all’estremita di un’asta. Che cosa potrebbe essere piii lontano dal disordine del- la turbolenza? Mentre Archimede ebbe la sua vasca da bagno e Newton la sua mela, secondo la solita leggenda sospetta Galileo ebbe un lampadario da chiesa, che oscillava di continuo avanti e indie- tro, inviando monotonamente il suo messaggio nella coscienza del giovane scienziato. Christian Huygens tradusse la predicibi- lita delle oscillazioni del pendolo in un modo per misurare il tempo, immettendo la civilta occidentale su una via senza ritor- no. Foucault, nel Panthéon di Parigi, si servi di un pendolo ap- peso a una fune lunga 67 m (I'altezza di venti piani di un gratta- cielo) per dimostrare la rotazione della Terra. Ogni tipo di oro- logio, compresi quelli da polso (sino all’epoca delle vibrazioni del quarzo) si servi di un pendolo di una qualche forma o gran- dezza (del resto, loscillazione del quarzo stesso non é poi tanto diversa). Nello spazio, in assenza di attrito, troviamo un moto periodico nelle orbite dei corpi celesti, ma sulla Terra pratica- mente ogni oscillazione regolare proviene da un qualche cugino del pendolo. I circuiti elettronici fondamentali sono descritti da equazioni lé quali sono esattamente le stesse che descrivono le oscillazioni di un pendolo. Le oscillazioni elettroniche sono mi- lioni di volte pit veloci, ma la fisica é la stessa. Nel XX secolo, perd, la meccanica classica era ormai ridotta sostanzialmente a un argomento di studio che interessava solo agli studenti e agli ingegneri, che dovevano tenerne conto nella loro progettazione di routine. I pendoli decoravano i musei della scienza e ravviva- vano i negozi di articoli da regalo e di souvenir degli aeroporti sotto forma di oggettini di plastica rotanti. Nessun fisico ricerca- tore si dava pensiero dei pendoli. Ma il pendolo aveva ancora in serbo qualche sorpresa. Esso divenne una pietra di paragone, come lo era stato per Ia rivolu- zione di Galileo. Quando Aristotele guardava un pendolo, vede- va un peso che cercava di dirigersi verso il suo luogo naturale, cioé Ja terra, ma che oscillava avanti ¢ indietro di moto violento sotto la costrizione della fune che lo teneva legato.” Per Vorec- 42 chio moderno questa spiegazione sembra folle, Per chi abbia as- similato i concetti classici di moto, inerzia e gravita, é difficile rendersi conto di quanto fosse coerente la concezione del mondo di Aristotele che si accompagnava alla sua interpretazione del pendolo. Per Aristotele il moto fisico (0 moto locale) non era una quantita o una forza, bensi una sorta di mutamento, esatta- mente come la crescita di una persona. Un grave in caduta sta semplicemente cercando il suo luogo naturale, quello che rag- giungera se non ne sara impedito da ostacoli. In questo contesto Yopinione di Aristotele aveva un senso coerente. Galileo, invece, quando guardava un pendolo vedeva una regolarita che poteva essere misurata. Questo nuovo modo di vedere presupponeva un modo rivoluzionario di intendere oggetti in movimento. I] van- taggio di Galileo sugli antichi greci non consisteva nel possesso di dati migliori. Anzi, per misurare con precisione la durata del- le oscillazioni di un pendolo Galileo dovette far ricorso a un me- todo che era accessibile anche agli antichi greci: quello di riuni- re alcuni amici che contassero per lui Je oscillazioni su un perio- do di ventiquattr’ore: un esperimento che comportava un gran- de dispendio di lavoro. Galileo vide la regolanita perché aveva gia una teoria che la prediceva. Egli comprese quel che Aristote- le non poteva comprendere: che un oggetto in movimento tende a continuare a muoversi, che un mutamento nella velocita o nel- la direzione pud essere spiegato solo da una forza esterna, come Pattrito. La sua teoria, in effetti, aveva una forza tale da fargli vedere una regolarita che non esisteva. Egli sostenne che un pendole di una data lunghezza non solo conserva con precisione il tempo, ma mantiene lo stesso tempo di oscillazione comunque sia gran- de il suo angolo di oscillazione. Un pendolo che compia grandi oscillazioni deve percorrere distanze maggiori, ma le percorre a maggiore velocita. In altri termini, il periodo rimane indipen- dente dall’ampiezza di oscillazione. «Se due compagni si mette- ranno a numerare le vibrazioni, l'uno le grandissime e l’altro le piccolissime, vedranno che ne numereranno non pur le decine, ma le centinaia ancora, senza discordar d’una sola, anzi d’un sol punto». !8 Galileo formulé la sua tesi dell’isocronismo del pendo- lo in termini di sperimentazione, ma era la teoria a renderla convincente, tanto che essa @ ancora insegnata come un vangelo nella maggior parte dei corsi di fisica delle scuole superiori. Ma é una tesi erronea. La regolarita vista da Galileo era solo un’ap- prossimazione. II mutare dell’angolo di oscillazione crea una lie- ve non-linearita nelle equazioni. A piccole ampiezze lerrore & 43 quasi inesistente ma c’é, ed ¢ misurabile persino in un esperi- mento cosi rozzo come quello descritto da Galileo. Era facile non tenere nella debita considerazione piccole non-linearita. Chi compte esperimenti si rende conto molto pre- sto di vivere in un mondo imperfetto, Nei secoli trascorsi dopo Galileo e Newton, ia ricerca di regolarita nell’esperimento é sta- ta fondamentale. Qualsiasi sperimentatore ricerca quantita che rimangano invariate, o quantita nulle. Cid significa perd igno- rare quantita di disordine che interferiscono con un quadro pre- ciso. Se un chimico trova due sostanze in una proporzione co- stante di 2,002 un giorno, 2,003 il giorno seguente, e 1,998 due giorni dopo, sarebbe un folle se non cercasse una teoria che spie- gasse un perfetto rapporto di 2:1. Per ottenere i suoi risultati precisi, anche Galileo dovette tra- scurare le non-linearita di cui era a conoscenza: lattrito e la re- sistenza dell’aria. La resistenza dell'aria é un notorio elemento di disturbo negli esperimenti, una complicazione che doveva es- sere eliminata per raggiungere l’essenza della nuova scienza del- la meccanica. Una piuma cade rapidamente quanto una pietra? Tutta la nostra esperienza con Ja caduta di corpi ci dice di no. La storia leggendaria di Galileo che lasciava cadere palle di ma- teriali diversi dalla torre pendente di Pisa é una storia sul muta- re delle intuizioni attraverso l'invenzione di un mondo scientifi- co ideale in cui le regolarita passono essere separate dal disordi- ne dell’esperienza. La separazione degli effetti della gravita su una data massa dagli effetti della resistenza dell’aria fu un brillante risultato in- tellettuale. Essa permise a Galileo di avvicinarsi all’essenza del- Vinerzia e della quantita di moto. Nondimeno, nel mondo reale i pendoli finivano esattamente col fare cid che prevedeva il biz- zarro paradigma di Aristotele: si fermavano. Compiendo il lavoro di preparazione per i] successivo muta- mento di paradigma, i fisici cominciarono a fronteggiare quella che molti ritenevano una carenza nella loro istruzione su sistemi semplici come il pendolo. Nel nostro secolo furono riconosciuti processi dissipativi come I'attrito, e gli studenti impararono a in- cluderli in equazioni. Gli studenti impararono anche che i siste- mi non lineari erano di solito non risolvibili, cosa vera, e che tendevano a essere eccezioni, cosa non vera. La meccanica clas- sica descrisse il comportamento di intere classi di oggetti in mo- vimento, pendoli e bipendoli, molle a spirale e asticelle incurva- te, corde pizzicate e corde suonate con l'archetto. La matemati- ca si applicd a sisterni di fluidi e a sistemi elettrici. Quasi nessu- 4 no, perd, nell'epoca classica, sospettd i] caos che poteva anni- darsi in sistemi dinamici se si concedeva il dovuto alla non-linea- rita. Un fisico non poteva capire veramente la turbolenza o la complessita se non comprendeva i pendoli, e se non li compren- deva in un modo che era impossibile nella prima meta del XX secolo. Quando il caos comincid a unificare lo studio di diversi sistemi, la dinamica dei pendoli si estese a coprire alte tecnolo- gie, dai laser alle giunzioni di Josephson fra due materiali super- conduttori. Alcune reazioni chimiche manifestarono un com- portamento simile a quello dei pendoli, e lo stesso vale anche per il funzionamento del cuore. Quelle possibilita inattese si estese- ro, come scrisse un fisico, alla «medicina fisiologica e psichiatri- ca, alla previsione economica e forse all’evoluzione della socie- tar. ots Consideriamo un’altalena. Essa accélera nella fase discen- dente ¢ decelera nella fase ascendente, perdendo di continuo un po’ della sua velocita a causa dell’attrito. Se riceve una spinta re- golare, per esempio a opera di un qualche meccanismo, la no- stra intuizione ci dice che, non importa dove la spinta possa co- minciare, il moto finira con I’assestarsi su un modello regolare di movimento avanti ¢ indietro, e che le oscillazioni cominceranno ogni volta alla stessa altezza. E cosi pud accadere.*° Ma, per quanto strano possa sembrare, pud accadere anche che i] moto risulti irregolare, prima pit veloce e poi meno, non assestandosi mai in uno stato costante e non ripetendo mai esattamente una sequenza di oscillazioni gta verificatesi in precedenza.?! Il comportamento sorprendente, irregolare, proviene da una variazione non lineare nel flusso di energia in ingresso e in uscita di questo oscillatore semplice. L’oscillazione @ smorzata e ampli- ficata: smorzata perché lattrito tenta di condurla a un arresto, amplificata perché riceve una spinta periodica. Anche quando un sistema soggetto a smorzamenti e spinte é in equilibrio non si tratta di un vero equilibrio, e il mondo é pieno di tali sistemi, a cominciare da quello della meteorologia, in cui lo smorzamento é fornito dall’attrito dell’aria in movimento e dalla dissipazione di calore nello spazio, mentre la spinta é fornita dal costante ap- porto di energia dell’irradiazione solare. Ma la non prevedibilita non fu la ragione per cui fisici e ma- tematici ricominciarono a prendere sul serio i pendoli negli anni Sessanta e Settanta. Essa servi solo ad attrarre l'attenzione sul fe- nomeno. Gli studiosi della dinamica caotica scoprirono che il comportamento disordinato di sistemi semplici agisce come un 45 processo ereativo. Esso genera complessita: modelli riccamente organizzati, a volte stabili e a volte instabili, a volce finiti e a vol- te infiniti, ma sempre col fascino di cose viventi. Ecco perché gli scienziati cominciarono a dilettarsi con giocateoli. Uno di tali giocattoli, venduto col norne di Space Balls® o «trapezio spaziale», é costituito da una coppia di sfere alle estre- mita di un’asta, disposta come la linea orizzontale di una T al di sopra di un pendolo, con una terza sfera, pitt pesante, al termi- ne all’estremita inferiore dell’asta verticale. Tutt’e tre le sfere contengono una piccola calamita, e il dispositivo, una volta messo in moto, continua a muoversi avendo un'elettrocalamita a pila inclusa nella base. Il dispositivo percepisce l'awvicinarsi del- la sfera pid bassa e le da una piccola spinta magnetica ogni volta che passa. A volte il dispositivo si assesta in un’oscillazione ritmi- ca costante, mentre altre volte il suo moto sembra restare caoti- co, mutando sempre e non cessando mai di stupire. Un altro pendolo giocattolo comune non é altro che un co- siddetto pendolo sferico: un pendolo libero di oscillare non solo avanti e indietro bensi in qualsiasi direzione. Attorno alla sua base sono collocate alcune piccole calamite. Le calamite attrag- gono il pendolo metallico, e quando il pendolo si ferma viene catturato da una di esse. Il gioco consiste nel mettere in movi- mento il pendolo e indovinare quale delle varie calamite avra la meglio. Neppure nel caso di tre sole calamite disposte a triango- lo é possibile predire il moto del pendolo. Esso oscillera per un po’ avanti e indietro fra A e B, dopo di che passera a oscillare fra Be C dopo di che, proprio quando sembra che stia per fermarst su C, torna improvvisamente con un balzo verso A. Suppeniamo che uno scienziato esplori sistematicamente il comportamento di questo dispositivo disegnandone una rappresentazione cartogra- fica nel modo seguente: si scelga un punto di partenza; si porti il pendolo in corrispondenza di questo punto e lo si lasci libero di oscillare; si colori i] punto in rosso, in blu o in verde a seconda della calamita su cui andra a fermarsi il pendolo. Quale aspetto finira con l’avere la mappa cost disegnata? Avra, come ci si po- trebbe attendere, regioni in tinta unita colorate in rosso, in blu o in verde: ossia regioni nelle quali il pendolo oscillera prevedi- bilmente verso una particolare calamita. Ma potra anche acca- dere che in altre regioni la distribuzione dei colori tena a pre- sentare una complessita infinita. Accanto a un punto rosso, per quanto vicino si decida di guardare, per quanto si ingrandisca la mappa, ci saranno sempre punti verdi e punti blu. A ogni fine pratico, quindi, sara impossibile congetturare il destino del pen- dolo. 416 Tradizionalmente, si era sempre creduto che scrivere le equazioni di un sistema equivalesse a capirlo. Come si potrebbe- ro coglierne megiio i caratteri essenziali? Nel caso di un’altalena o di un giocattolo fondato sul principio del pendolo, le equazio- ni connettono assieme l'angolo di oscillazione, la velocita del movimento, l’attrito e la forza che gli impartisce il movimento. A causa perd dei piccoli elementi di non-linearita presenti in queste equazioni, uno studioso di dinamica si troverebbe nel- Yimpossibilita di risolvere anche 1 pid facili problemi pratici sul futuro del sistema. Un computer pud affrontare il problema ese- guendone una simulazione, calcolando rapidamente ogni ciclo. Ma la simulazione comporta un suo proprio problema: la picco- la imprecisione compresa in ciascun calcolo si ingrandisce rapi- damente a dismisura, poiché questo é un sistema con una dipen- denza sensibile dalle condizioni iniziali. Prima che passi molto tempo il segnale scompare e tutto cid che rimane é il rumore. Ma é proprio cosi? Lorenz aveva trovato l'imprevedibilita, ma anche delle strutture regolari. Anche altri avevano trovato indizi di strutture nel quadro di un comportamento apparentemente casuale, L’esempio del pendolo era abbastanza semplice da po- ter essere ignorato, ma coloro che decisero di non ignorarlo tro- varono in esso un messaggio stimolante. In un certo senso, co- messi si resero conto, la fisica comprendeva perfettamente i meccanismi fondamentati del moto del pendolo, ma non poteva estendere tale comprensione a lungo termine. Gli elementi mi- croscopici erano perfettamene chiari; i] comportamento macro- scopico restava un mistero. La tradizione di considerare i sistemi su una base locale -- isolandone i singoli meccanismi e poi som- mandoli — stava cominciando a mostrare le crepe. Per pendoli, fluidi, circuiti elettronici, laser, la conoscenza delle equazioni fondamentali non sembrava essere pid il giusto tipo di cono- scenza, Nel corso degli anni Sessanta singoli scienziati fecero scoper- te parailele a quelle di Lorenz: per esempio, un astronomo fran- cese®s studiando orbite di galassie e un ingegnere elettronico giapponese** costruendo modelli di circuiti elettronici. Ma il primo tentativo deliberato, coordinato, di captre in che modo un comportamento globale potesse differenziarsi da un compor- tamento locale venne da matematici. Fra questi ci fu Stephen Smale, dell’Universita di California a Berkeley, gia famoso per avere svelato i problemi pit esoterici della topologia multidi- mensionale. Un giovane fisico,* chiacchierando del pit e del meno con lui, gli chiese su che cosa stesse lavorando. La risposta 47 lo stupi: «Oscillatori». Era assurdo. Gli oscillatori — pendoli, molle o circuiti elettrici — erano il tipo di problema che un fisi- co esauriva nella prima parte dei suci studi universitari. Era una cosa facile. Perché mai un grande matematico avrebbe dovuto mettersi a studiare fisica elementare? Solo vari anni dopo il gio- vane fisico si rese conto che Smale stava esaminando oscillatori non lineari, oscillatori caotici, e stava vedendo cose che i fisict avevano imparato a non vedere. Smale fece una congettura sbagliata. Nei termini matematici pit rigorosi propose che praticamente tutti i sistemi dinamici tendessero ad assestarsi, per lo pit, in un comportamento non troppo strano. Come per6é avrebbe appreso ben presto, le cose non erano cosi semplici. *° Smale era un matematico che non si limitava a risolvere pro- blemi, ma costruiva anche programmi di problemi da far risol- vere ad altri. Egli fece una scommessa sulla sua comprensione della storia e sulla sua intuizione della natura permettendosi di annunciare, tranquillamente, che un‘intera area inesplorata di ricerca meritava che un matematico le dedicasse il suo tempo. Come un uomo d'affari di successo, egli valutava i rischi e pro- grammava freddamente la sua strategia, e aveva inoltre la dote del seduttore. Quando Smale imboccava una strada, molti lo se- guivano. La sua reputazione non era perd limitata all’ambito della matematica. All'inizio della guerra del Vietnam organizzd assieme a Jerry Rubin delle «Giornate internazionali di protesta» e€ patrocind manifestazioni per fermare i treni che trasportavano truppe attraverse la California. Nel 1966, mentre il comitata che investigava sulle attivita antiamericane, lo House Un-Ame- rican Activities Committee (HUAC), tentava di incriminarlo, si recé a Mosca per partecipare al Congresso internazionale dei matematici, dove ricevette la Medaglia Fields, Ja pid alta onori- ficenza della sua professione. Cié che accadde a Mosca quell’estate divenne una parte in- delebile della leggenda di Smale.*? Si erano riuniti cinquemila matematici agitati, che creavano un gran subbuglio. Cera una situazione di grande tensione politica. Circolavano petizioni. Mentre il congresso stava avviandosi alla chiusura, Smale aderi alla richiesta di un reporter nordvietnamita, tenendo una confe- renza stampa sulla vasta scalinata dell’Universita di Mosca. Ini- zid condannando I’intervento americano nel Vietnam, € poi, mentre i suoi ascoltatori cominciavano a sorridere, aggiunse una condanna dell’invasione sovietica dell’Ungheria e dell’assenza di 48 liberta politica nell’Unione Sovietica. Quando ebbe finito, fu fatto salire a forza su un’automobile per essere sottoposto a in- terrogatorio da parte di funzionari sovietici. Quando torné in California, la National Science Foundation annullé la sua borsa di studio. La Fields Medal attribuita a Smale onord una ricerca famo- sa in topologia, una branca della matematica che ebbe un gran- de sviluppo nel XX secolo e che conebbe un particolare successo negli anni Cinquanta, La topologia studia le proprieta che ri- mangono immutate quando si deformano delle figure sottopo- nendole a torsione, stiramento o compressione. Che una figura sia quadrata o rotonda, grande 0 piccola, é irrilevante in topolo- gia, poiché lo stiramento pud modificare tali proprieta. I topo- logi chiedono se una forma sia connessa, se abbia dei buchi, se sia aggrovigliata. Essi immaginano superfici non solo negli uni- versi unidimensionale, bidimensionale e tridimensionale di Eu- clide, ma anche in spazi di molte dimensioni, impossibili da vi- sualizzare. La topologia @ una specie di geometria su fogli di gomma. Essa concerne gli aspetti qualitativi pid che quelli quantitativi. Essa chiede, se non si conoscono le misure, che cosa si possa dire su strutture complessive. Smale aveva risolto uno dei principali problemi storici della topologia, la congettura di Poincaré, per spazi di cinque dimensioni e pid, e cosi facendo si era assicurato una posizione sicura fra i grandi del settore. Negli anni Sessanta, perd, abbandoné la topologia per dedicarsi al- linvestigazione di un territorio inesplorato. Comincid a studiare isistemi dinamici. Entrambi gli argomenti, la topologia e i sistemi dinarnici, ri- salivano a Henri Poincaré, che aveva visto in essi le due facce di una stessa medaglia. Poincaré, alla svolta del secolo, era stato Tultimo grande matematico a usare l'immaginazione geometri- ca nella comprensione delle leggi del moto nel mondo fisico. Egli fu il primo a capire la possibilita del caos; i suoi scritti la- sciano intendere una sorta di impredicibilita quasi altrettanto grave di quella scoperta da Lorenz. Dopo la morte di Poincaré, peré, mentre la topologia prosperd, i sistemi dinamici languiro- no. Persino il nome cadde in disuso; l'argomento a cui Smale ri- volse nominalmente la sua attenzione erano le equazioni diffe- renziali. Le equazioni differenziali descrivono il modo in cui dei sistemi cambiano in modo continuo col tempo. La tradizione consisteva nel considerare tali cose su un piano locale, cosa che significa che ingegneri o fisici dovevano considerare un insieme di possibilita per volta. Come Poincaré, Smale voleva capire i si- 49 stemi in una prospettiva globale, ossia voleva capire l’intero am- bito delle possibilita simultaneamente. Ogni insieme di equazioni che descrivono un sistema dina- mico — per esempio quello di Lorenz — permette di fissare certi parametri all’inizio. Nel caso della convezione termica, un para- metro concerne la viscosita del fluido. Grandi mutamenti nei parametri possono introdurre grandi differenze in un sistema: per esempio Ja differenza fra giungere a uno stato stazionario o oscillare con un periodo costante. I fisici sapponevano peré che mutamenti piccolissimi avrebbero causato solo piccolissime dif- ferenze numeriche, non mutamenti qualitativi di comporta- mento, La connessione fra topologia e sistemi dinamici offre la pos- sibilica di usare una figura come ausilio a visualizzare l'intera gamma di comportamenti di un sistema. Per un sistema sempli- ce la figura potrebbe essere una qualche sorta di superficie cur- va; per un sistema complicato una varieta di molte dimensioni. Un punto singolo su una tale superficie rappresenta lo stato di un sistema in un istante congelato nel tempo. Man mano che un sistema progredisce nel tempo il punto si muove, tracciando un'orbita attraverso tale superficie. Un leggero incurvamento della figura corrisponde a una modificazione dei parametri del sistema, rendendo un fluido pit viscoso o dando al pendolo una spinta un po’ pik forte. Le figure che sembrano grosso modo uguali danno grosso modo gli stessi tipi di comportamento. Se si riesce a visualizzare una figura, si riesce a capire il sistema. Quando Smale si volse allo studio dei sistemi dinamici, la to- pologia, come gran parte della matematica pura, veniva coltiva- ta con un disdegno esplicito per le applicazioni nel mondo reale. Le origini della topologia erano storicamente prossime alla fisi- ca, ma i matematici avevano dimenticato le origini fisiche e le figure venivano studiate per il loro interesse intrinseco. Smale credeva pienamente in quell'ethos — egli era il pid puro dei puri — eppure aveva I’idea che lo sviluppo astratto, esoterico; della topologia potesse ora dare un contributo alla fisica, come aveva pensato Poincaré alla svolta del secolo. Uno dei primi contributi di Smale fu la sua congettura erro- nea. In termini fisici, egli stava proponendo una legge di natura press’a poco del tipo seguente: un sistema pué comportarsi in un modo irregolare, ma il comportamento irregolare non pud esse- re stabele. La stabilita — «stabilita nel senso di Smale», come di- cevano talvolta i matematici — era una proprieta cruciale. Un comportamento stabile in un sistema era un comportamento 50 che non sarebbe scomparso solo perché cambiava di poco qual- che valore numerico. Qualsiasi sistema poteva avere in sé sia comportamenti stabili sia comportamentt instabili. Le equazio- ni che governano la situazione di equilibrio di una matita sulla sua punta hanno una buona soluzione matematica, col centro di gravita direttamente al di sopra della punta, ma non si pud far stare una matita in equilibrio sulla sua punta, perché la soluzio- ne ¢ instabile. La minima perturbazione allontana il sistema da tale soluzione. D’altra parte, una biglia che si trovi sul fondo di una scodella vi sta.perché, se la bighia viene leggermente pertur- bata, rotola indietro. I fisici sepponevano che qualsiasi compor- tamento potessero osservare regolarmente nella realta doveva es- sere stabile, giacché nei sistemi reali piccoli disturbi e incertezze sono inevitabili. Non si conoscono mai esattamente i parametri. Se si vuole un modello che sia fisicamente realistico e al tempo stesso in grado di resistere efficacemente a piccole perturbazio- ni, i fisici ragionavano che si doveva sicuramente desiderare un sistema stabile. Le cattive notizie arrivarono con la posta subito dopo i) Na- tale del 1959, quando Smale abitava temporaneamente in un appartamento di Rio de Janeiro con la moglie, due bambini pic- coli e una massa di pannolini. Smale aveva definito per via di congetcura una classe di equazioni differenziali, tutte struttural- mente stabili. Qualsiasi sistema caotico, egli sosteneva, poteva essere approssimato a piacere da un sistema della sua classe. Ma non era cosi. La lettera di un collega lo informava che molti si- stemi non erano cosi ben educati com’egli aveva immaginato, e gli descriveva un esempio contrario: un sistema in cui erano compresenti caos e stabilita. °° Si trattava di un sistema robusto. Se Io si sotcoponeva a lievi perturbazioni, cosi come accade a ogni sistema naturale, che viene perturbato costantemente da tumore, la stranezza non ne veniva eliminata. Era dunque un si- stema robusto e al tempo stesso strano. °° Smale si studié la lette- racon un'‘incredulita che andava lentamente dissolvendosi. Caos e instabilita, concetti che cominciavano solo allora a ri- cevere definizioni formali, non erano affatto la stessa cosa. Un sistema caotico poteva essere stabile se il suo particolare tipo di irregolarita persisteva in presenza di piccoli disturbi: il sistema di Lorenz ne era un esempio, anche se dovevane passare anni prima che Smale sentisse parlare di Lorenz. Il caos scoperto da Lorenz, nonostante tutta la sua imprevedibilita, era stabile quanto una biglia in una scodella. Si poteva aggiungere del.ru- more in questo sistema, agitarlo, scuoterlo, interferire col suo i movimento, e poi, quando tutto si assestava, mentre i fenomeni transitori si allontanavano illanguidendosi come echi in un can- yon, il sistema tornava allo stesso modello peculiare di irregola- rita che possedeva in precedenza. Era un sistema imprevedibile localmente ma stabile su scala globale. I sistemi dinamici reali osservavano un insieme di regole pitt complicato di quanto chiunque avesse mai immaginato in precedenza. L’esempio de- scritto nella lettera del collega di Smale era un altro sistema semplice, scoperto pid di una generazione prima e poi quasi di- menticato. Di fatto era un pendolo camuffato: un circuito elet- tronico oscillante. Era un sistema non lineare e veniva forzato periodicamente, proprio come un bambino su un’altalena. In realta era solo una valvola elettronica, studiata negli anni Venti da un ingegnere elettrico olandese di nome Balthasar van der Pol.?! Un moderno studente di fisica esplorerebbe il com- portamento di un tale oscillatore esaminando la linea tracciata sullo schermo di un oscilloscopio. Van der Pol non aveva un oscilloscopie, cosicché dovette controllare il suo cireuito ascol- tando il variare det segnali acustici in una cornetta telefonica. Fu lieto di scoprire regolarita nel comportamento del circuito all'introduzione di variazioni nella corrente che lo alimentava. Il segnale acustico saltava da una frequenza a un’altra come sui gradini di una scala, lasciando una frequenza e poi bloccandosi solidamente alla successiva. Eppure di tanto in tanto van der Pol notava qualcosa di strano. Il comportamento sembrava irreale, in un modo che egli non riusciva a spiegare. Egli pero non se ne diede per inteso: «Spesso, prima che la frequenza salti al valore pid basso successivo, nel ricevitore telefonico si sente un rumore irregolare», scrisse in una lettera a «Nature». «Si tratta pero di un fenomeno collaterale».* Fu uno dei molti scienziati che col- sero un barlume del caos, ma che non avevano un linguaggio per comprenderlo. Per chi voleva costruire valvole elettroniche quel che importava era il blocco della frequenza. Ma per chi tentava di capire la natura della complessita, il comportamento veramente interessante sarebbe stato in definitiva quel «rumore irregolare» creato dalle spinte conflittuali di frequenza superiore e frequenza inferiore. Per quanto sbagliata, la congettura di Smale lo mise diretta- mente sulle tracce di un modo nuovo di concepire la piena com- plessita dei sistemi dinamici. Vari matematici avevano dato un/altra occhiata alle possibilita dell’oscillatore di van der Pol, e ora Smale portd la loro ricerca in un nuovo ambito. Ricondusse tutto allo schermo del suo oscilloscopio, ma potendo contare sul- Yesperienza accumulata in lunghi anni di esplorazione dell’uni- 52 verso topologico. Smale concepi l’intera gamma delle possibilita offerte dall’oscillatore, l'intero spazio delle fasi, come dicevano i fisici. Ogni stato del sistema congelato nel tempo in un istante dato era rappresentato come un punto nello spazio delle fasi; Tintera informazione sulla sua posizione o velocita era contenuta nelle coordinate di quel punto. Quando il sistema cambiava in qualche modo, il punto passava a una nuova posizione nello spa- uo delle fasi. Poiché il sistema mutava continuamente, il punto tracciava una traiettoria. Per un sistema semplice come un pendolo, lo spazio delle fasi poteva essere solo un rettangolo: l'angolo del pendolo a un istan- te dato determinava la posizione est-ovest di un punto e la sua velocita di oscillazione determinava 1a posizione nord-sud. Per un pendolo che oscillasse regolarmente avanti e indietro, la traiettoria attraverso lo spazio delle fasi sarebbe stata una curva chiusa, che si sarebbe ripetuta mentre il sistema passava ¢ ripas- sava attraverso la stessa sequenza di posizioni. Smale, invece di considerare una qualsiasi traiettoria particola- Te, si concentrd sul comportamento dell’intero spazio al mutare del sisterna: per esempio quando si aggiungeva energia di moto. Rappresentarioni grafiche di funzioni nello spaxio delle fasi. Le serie temporali tradizionali (sopra) ¢ le traiettorie nello spazio delle fasi (sotto) sono due modi per visualizzare gli stessi dati e per conseguire una raffigurazione grafica det comportamento a Inngo termine di un sistema. Il primo sistema (a sinistra) converge verso uno stato costante: un punto nello spazio delle fasi. I secondo si ripete periodicarnente, formando un’orbita ciclica. Il terzo si ripete in un rit- mo di valzer pit complesso, un ciclo con eperiodo tre». [1 quarto é caotico. 53 La sua intuizione salt dall'essenza fisica del sistema a un nuovo tipo di essenza geometrica. I suoi strumenti erano trasformazio- ni topologiche di figure nello spazio delle fasi: trasformazioni come stiramento e compressione. A volte queste trasformazioni avevano un chiaro significato fisico. La dissipazione in un siste- ma, la perdita di energia in conseguenza dell’attrito, significava che la forma del sistema nello spazio delle fasi si contraeva come un pallone che perdesse aria, riducendosi infine in un punto nel momento in cui il sistema perveniva a un completo arresto. Per rappresentare la piena complessita dell’oscillatore di van der Pol, Smale si rese conto che lo spazio delle fasi avrebbe dovuto subire un nuovo tipo complesso di cormmbinazione di trasforma- zioni. Egli converti prontamente la sua idea sulla visualizzazione di un comportamento globale in un nuovo tipo di modello. La sua innovazione — che rimase come un’immagine duratura del caos negli anni che seguirono — era una struttura che divenne nota come il ferro di cavallo. Per realizzare una versione semplice del ferro di cavallo di Sma- le, si prenda un rettangolo e lo si comprima in due lati opposti sino a trasformario in una barra.* Si prenda poi un estremo della barra e lo si pieghi e distenda attorno all’altro formando una sorta di C, nella forma di un ferro di cavallo. Poi si immagi- ni il ferro di cavallo incluso in un nuovo rettangolo e si ripeta la stessa trasformazione, sottoponendo il rettangolo a compressio- ne, piegamento e stiramento. Nl processo imita i] lavoro di una macchina per la produzione di zucchero caramellato, con braccia ruotanti che distendono la pasta, la ripiegano su se stessa, la ridistendono e via dicendo, finché Ja superficie dell'impasto é diventata molto lunga, molto sottile e avvolta € riavvolta su se stessa in modo molto comples- so. *4 Smale fece passare il suo ferro di cavallo per un assortimen- to di passi topologici e, a prescindere dalla matematica, il ferro di cavallo forni un bell’analogo visuale della dipendenza sensibi- le dalle condizioni iniziali, che Lorenz avrebbe scoperto nell’at- mosfera alcuni anni dopo. Se si scelgono due punti vicini nello spazio originario, non si pud congetturare dove si troveranno qualche tempo dopo. Essi potranno essere spinti dal complicato processo di piegamenti e distensioni a una distanza fra loro arbi- trariamente grande. Quanto a due punti che, in qualsiasi mo- mento, vengano a trovarsi vicini, potrebbero essere separati in principio da una distanza arbitrariamente grande. In origine Smale aveva sperato di poter spiegare tutti i siste- 54 H ferro di cavaito di Smale, Questa trasformazione topologica forni una base per la comprensione delle proprieta caotiche di sistem dinamici. Gli elementi basilari sono semplici: uno spazio viene stirato in una direzione, compresso in un‘altra e poi piegato. Quando si ripete il processo, si produce una soria di mi- scuglio strutturato che € familiare a chiunque abbia mai lavorato impasti per dolci in pid strati. Un paio di punti che alla fine si ritrovano vicini possono es- sere stati all'inizio molto lontani fra loro. mi dinamici nei termini di stiramento e compressione, senza al- cun piegamento, o almeno senza alcun piegamento che minasse drasticamente la stabilita di un sistema. Ma il piegamento risul- to necessario, e consenti bruschi mutamenti nel comportamento dinamico.* Il ferro di cavallo di Smale fu la prima di molte nuove figure geometriche che diedero ai matematici e ai fisici una nuova intuizione sulle possibilita di movimento. Sotto qual- che aspetto era una forma troppo artificiale per poter essere uti- le, era ancora troppo una creatura della topologia matematica, per poter piacere ai fisici. Essa fornt perd un punto di partenza. Alla fine degli anni Sessanta Smale riuni attorno a sé a Berkeley un gruppo di giovani matematici che condividevano il suo gran- de interesse per questa nuova ricerca sui sistemi dinamici. Un al- tro decennio sarebbe trascorso prima che il loro lavoro richia- masse apertamente su di sé ]’attenzione di cultori di scienze me- no pure, ma, quando cid avvenne, i fisici si resero conto che Smale aveva riportato wn'intera branca della matematica verso il mondo reale. Era un’eta aurea, dissero, * «& il mutamento di paradigma dei mutamenti di paradig- ma», disse Ralph Abraham, un collega di Smale che divenne professore di matematica all’Universita di California a Santa Cruz.7 t 55 «Quando iniziai il mio lavoro professionale in matematica nel 1960, che non é poi molto tempo fa, la matematica moderna era rifiutata nella sua interezza — nella sua interezza — dai fisi- ci, compresi i fisici matematici pid all’avanguardia. Cosi la di- namica differenziabile, Yanalisi globale, la geometria differen- ziale ecc. — tutto cié che era venuto un anno o due dopo cid che aveva usato Einstein — veniva rifiutato. L’idillio fra matematici ¢ fisici si era concluso col divorzio negli anni Trenta. Essi non si. parlavano pit, ma semplicemente si disprezzavano. I fisici ma- tematici rifiutavano ai loro allievi il permesso di seguire corsi di matematica tenuti da matematici: Imparate la matematica da noi. Not vt insegneremo quel che vi serve. I matematici sono im- pegnati in una sorta dé terribile viaggio egotistico e distrugge- tanno la vostra mente. Queste cose avvenivano nel 1960. Nel 1968 la situazione si era capovolta». Infine fisici, astronomi e biologi seppero di doversi aprire alle novita dei matematici. Un modesto mistero cosmico: la Grande Macchia Rossa di Gio- ve, un vasto ovale vorticoso, una tempesta gigantesca che non si muove né si esaurisce mai.** Chiunque abbia visto le immagi- ni trasmesse attraverso lo spazio interplanetario dal Voyager 2 nel 1978 ha avuto occasione di osservare I'aspetto familiare della .turbolenza su una scala non familiare nella sua enormita, Era uno dei punti di rifetimento «paesaggistici> pid venerabili del si- stema solare: «La macchia rossa tempestosa come un occhio an- gosciato / in mezzo a una turbolenza di sopracciglia ribollen- ti», °° come la descrisse John Updike. Ma che cosa era? Venti an- ni dopo che Lorenz, Smale ¢ altri scienziati avevano avviato un modo nuovo di intendere i flussi della natura, la meteorologia extraterrestre di Giove si rivelé uno dei molti problemi che at- tendevano la nuova percezione delle possibilita della natura che venne con la scienza del caos. Per tre secoli la Grande Macchia Rossa era stata un’esempli- ficazione del motto: quanto pid si sa tanto meno si sa. Era stata scoperta da Gian Domenico Cassini nel 1665, quasi mezzo secolo dopo che Galileo aveva puntato per la prima volta il suo cannoc- chiale su Giove. Donato Creti Ja dipinse nella Pinacoteca Vati- cana. Finché fu una semplice macchia di colore, non sollecité molti tentativi di spiegazione. Al migliorare dei telescopi, perd, la conoscenza generé ignoranza. I] secolo scorso produsse una sequenza costante di teorie. Per esempio: La teoria del flusso di lava, Verso la fine dell’Ottocento gli scienziati immaginarono un immenso lago di lava fusa che usci- 56 va da un vulcano. O forse la lava era uscita da una spaccatura prodotta dall’impatto di un planetoide caduto su una sottile cro- sta solida. La teorta del nuovo satellite. Uno scienziato tedesco suggeri, per contrasto, che la macchia fosse un nuovo satellite sul punto di emergere dalla superficie del pianeta. La teoria dedl’uovo. Un nuovo fatto, difficile da spiegare: la macchia sembrava scivolare lentamente contro lo sfondo del pianeta. Cosi, secondo una nozione proposta nel 1939, la mac- chia sarebbe stata un corpo pid o meno solido galleggiante nel- Yatmosfera nel modo in cui un uovo galleggia nell’acqua. Varia- dioni di questa teoria — compresa la nozione di una bolla mobi- le di idrogeno o di elio — rimasero correnti per decenni. La teoria della colonna di gas. Un altro fatto nuevo: anche se la macchia si spostava, in qualche modo non si spostava mai di molto. Negli anni Sessanta gli scienziati proposero percid che la macchia fosse la parte superiore di una colonna ascendente di gas, che usciva forse attraverso un cratere. Poi venne il Voyager. La maggior parte degli astronomi pen- savano che il mistero sarebbe stato dissolto non appena fosse sta- to possibile osservare il fenomeno un po’ pid da vicino, e in effet- till /ly-by del Voyager forni uno splendido album di nuove im- magini, ma i nuovi dati raccolti non furono in definitiva suffi- cienti. Le immagini riprese nel 1978 dal veicolo spaziale rivela- rono venti molto fort? e vortici colorati. In una spettacolare ab- bondanza di particolari, gli astronomi videro la macchia stessa come un sistema turbinoso simile a un uragano, il quale spazza- va di lato le nubi, racchiuse in zone di vento spirante in direzio- ne est-ovest che disegnavano strisce orizzontali attorno al piane- ta. Quella dell’uvagano fu la descrizione migliore che si potesse concepire, ma per varie ragioni era insufficiente. Gli uragani terrestri traggono la loro energia di movimento dal calore che si libera quando I’umidita si condensa in pioggia; su Giove non c’é alcun processo fondato sull’umidita a poter mantenere in movi- mento la Macchia Rossa. Gli uragani ruotano in una direzione ciclonica, ossia in senso antiorario al di sopra dell’Equatore ¢ in senso orario al di sotto, come tutte le tempeste terrestri; la rota- zione della Macchia Rossa é anticiclonica. Fatto pit importan- te, gli uragani si estinguono in un periodo misurabile in giorni. Studiando le immagini fornite dal Voyager gli astronomi si resero inoltre conto che il pianeta é virtualmente tutto una mas- sa fluida in movimento. Erano stati condizionati a considerare un pianeta solido circondato da un’atmosfera sottilissima, come 5? quella della Terra ma, se Giove aveva un nucleo solido, questo era ben-lontano dalla superficie. Il pianeta appariva d’improvwvi- so come una sorta di grande esperimento di fluidodinamica, ein esso campeggiava la Macchia Rossa, che continuava a ruotare maestosa, non perturbata dal caos che la circondava. La macchia divenne una sorta di test gestaltico, Gli scienzia- ti vedevano in essa cid che le loro intuizioni permettevano loro di vedere. Uno specialista di fluidodinamica che vedeva nella tur- bolenza un fenomeno casuale e privo di informazione (semplice «rumore», per cosi dire) non aveva alcun contesto per compren- dere un’isola di stabilita al suo interno. Il Voyager aveva reso il mistero doppiamente esasperante rivelande particolari del flus- so su piccola scala, troppo piccoli per poter essere osservati con i telescopi pid potenti installati sulla superficie terrestre. #9 Le os- servazioni su piccola scala manifestavano una rapida disorganiz- zazione, vortici che apparivano e sparivano in un giorno o me- no. Eppure la macchia non risentiva di quei fenomeni. Che cosa la manteneva in movimento? Che cosa la manteneva legata a una posizione ben precisa? La National Aeronautics and Space Administration (NASA) custodisce le sue immagini in archivi, una mezza dozzina circa, sparsi negli Stati Uniti. Un archivio si trova alla Cornell Univer- sity. Li vicino, all’inizio degli anni Ottanta, aveva un ufficio Philip Marcus, un giovane astronomo e specialista di matemati- ca applicata. Dopo Vimpresa del Voyager, Marcus fece parte della mezza dozzina di scienziati degli Stati Uniti e della Gran Bretagna che cercarono di realizzare modelli della Macchia Rossa. Liberati dalla teoria dell’uragano, trovarono pit appro- priati altri analoghi. La Corrente del Golfo, per esempio, si av- volge e ramifica in modi che ricordano sottilmente la Macchia Rossa. Essa sviluppa piccole onde che si trasformano in anelli, i quali si staccano dalla corrente principale, formando vortici an- ticiclonici lenti e duraturi. Un altro parallelo venne da un feno- meno peculiare nella meteorologia noto come «blocco». A volte al largo delle coste si instaura un sistema di alta pressione, ruo- tando lentamente, per settimane o mesi, in contrasto col flusso usuale est-ovest. II blocco metteva in crisi i modelli di previsione del tempo su scala globale, ma dava anche qualche speranza ai meteorologi, producendo strutture ordinate dotate di una lon- gevita insolita. Marcus studid per ore e ore quelle immagini della NASA, le splendide foto Hasselblad di uomini sulla Luna e le immagini della turbolenza di Giove. Poiché le leggi di Newton si applicano 58 dappertutte, Marcus scrisse un programma per computer con un sistema di equazioni per fluidi. Comprendere la meteorolo- gia di Giove voleva dire scrivere regole per una massa di idroge- no ed elio densi, che davano a Giove l'aspetto di una stella non accesa. Il pianeta gigante ha una rotazione rapida, col periodo di dieci ore terrestri. La grande velocita di rotazione produce una grande forza di Coriolis, la forza laterale che spinge una persona che cammini attraverso una giostra, e la forza di Corio- lis mantiene in movimento la macchia. Mentre Lorenz usd il suo minuscolo modello della meteoro- logia terrestre per stampare rozze curve su rotoli di carta, Mar- cus usd la potenza molto maggiore di un computer per mettere assieme sorprendenti immagini a colori. Innanzitutto traccid i contorni. Riusciva a malapena a vedere cid che stava accaden- do. Poi fece delle diapositive, e infine riuni le immagini in un film animato. Fu una rivelazione. Un disegno a scacchiera di vortici rotanti colorati in blu, rosso ¢ gialio brillanti si fonde in un ovale che ha una strana somiglianza con la Grande Macchia Rossa nella sequenza animata del fenomeno reale ripresa dal Voyager. «Ecco la macchia su vasta scala, felice come un’ostrica in mezzo al flusso caotico su piccola scala, e il flusso caotico as- sorbe energia come una spugna», disse. «Ecco queste piccole strutture filamentose in un mare di caos come sfondo». ** La macchia é un sistema auto-organizzantesi, creato ¢ rego- lato dalle stesse variazioni non lineari che creano la turbolenza imprevedibile attorno ad essa. E un caos stabile. Da studente Marcus aveva imparato la fisica tradizionale, solvendo equazioni lineari ed eseguendo esperimenti destinati a corrispondere a un’analisi lineare. Era un’esistenza protetta, se si vuole, ma dopo tutto le equazioni non lineari sone una sfida alla soluzione, e allora perché uno studente doveva sprecare il suo tempo? La gratificazione era programmata nel suo piano di studi-Finché manteneva gli esperimenti entro certi limiti, le ap- prossimazioni lineari erano sufficienti ed egli aveva in premio la risposta attesa. Di tanto in tanto, inevitabilmente, il mondo rea- le faceva la sua intrusione e Marcus vedeva cose nelle quali solo anni dopo avrebbe riconosciuto i segni del caos. Allora si ferma- va e diceva: «Toh, che cosa ci fa qui questo sgorbio?»® E ag- giungeva: «E solo un errore sperimentale, non diamocene pen- sero». A differenza della maggior parte dei fisici, perd, Marcus alla fine imparé la lezione di Lorenz, che un sistema deterministico pud produrre assai pid di un semplice comportamento periodi- 59 co, Sapeva cercare un disordine senza regola ¢ sapeva che all'in- terno del disordine potevano apparire isole di struttura. Appor- t0 cosi al problema della Grande Macchia Rossa la comprensio- ne del fatto che un sistema complesso pud dare origine nello stesso tempo a turbolenza e coerenza. Seppe lavorare all’interno di una disciplina emergente che stava creando una propria tra- dizione di uso del computer come strumento sperimentale. Mar- cus era disposto a concepire se stesso come un nuovo tipo di scienziato: non primariamente un astronomo, né uno specialista di fluidodinamica o di matematica applicata, benst uno specia- lista del caos. - ALTIE BASSI DELLA VITA H risultato di une sviluppo matematico dovrebbe es- sere confrontato di continue con la propria intuizio- ne di cid che costituisce un comportamento biologi- co ragionevole. Quando tale confronto rivela un di- saccordo, si devono considerare le seguenti possibi- Tita: a) E stato compiuto un errore nello sviluppo mate- matico formale; b) Gli assunti di partenza sono sbagliati e/o costi- tuiscono unipersemplificazione troppo drastica; c) La propria intuizione sul campo biologico é svi- luppata in misura inadeguata; d)} E stato scoperto un penetrante nuovo principio. Haavey J. Goin, Mathematical Modeling of Biological Systems Pesci voraci e piancton prelibato.! Foreste pluviali brulicanti di rettili senza nome, uccelli che scivalano sotto baldacchini di fo- glie, insecti che ronzano come elettroni in un acceleratore. Aree ghiacciate in cui le popolazioni di arvicole e di lemming esplo- dono e declinano con una periodicita scrupolosa di quattro anni in presenza delle lotte cruente della natura. Il mondo costituisce un laboratorio disordinato per gli ecologi, un calderone di cin- que milioni di specie interagenti. O forse cinquanta milioni?? Gli ecologi, in realta, non lo sanno. In questo secolo biologi inclini alla matematica hanno co- struito una disciplina, l'ecologia, che spogliava la vita reale del rumore e del colore e trattava le popolazioni come sistemi dina- mici. Gli ecologi usavano gli strumenti elementari della fisica matematica per descrivere i flussi e riflussi della vita. Singole specie che si moltiplicavano in un’area con una disponibilita di cibo limitata, varie specie in competizione fra loro per l'esisten- za, epidemie che si diffondevano in intere popolazioni ospiti: tutto poteva essere isolato, se non in laboratorio certamente nel- la mente di biologi teorici. NeH’emergere del caos come nuova scienza, negli anni Set- tanta, gli ecologi erano destinati a svolgere un ruolo speciale. Essi usavano modelli matematici, ma con la costante consapevo- lezza che i modelli erano approssimazioni di scarsa sostanza al tibollente mondo reale. In qualche modo, la consapevolezza dei 61 limiti permise loro di rendersi conto dell'importanza di alcune idee che i matematici avevano considerato stranezze interessan- ti. Se equazioni regolari potevano produrre un comportamento irregolare, per un ecologo cid faceva suonare certi campanelli. Le equazioni che venivano applicate alla biologia delle popela- zioni erano corrispettivi elementari dei modelli usati dai fisici per i loro pezzi di universo. Ma la complessita det fenomeni reali studiati nelle scienze della vita andava ben oltre tutto cid che pud trevarsi nel laboratorio di un fisico. I modelli matematici dei biologi tendevano a essere caricature della realta,* cost come i modelli di economisti, demografi, psicologi e urbanisti, quan- do queste soft sciences tentavano di apportare rigore al loro stu- dio di sistemi che mutavano nel corso del tempo. I criteri erano diversi. Per un fisico, un sistema di equazioni come quelle di Lo- renz era cosi semplice da sernbrare virtualmente trasparente. A un biologo persino le equazioni di Lorenz sembravano scostante- mente complesse: tridimensionali, continuamente variabili e non trattabili analiticamente. La necessita cred un diverso stile di lavoro per i biologi. L'ac- coppiamento di descrizioni matematiche a sistemi reali dovette procedere in una direzione diversa. Un fisico, esaminando un particolare sistema (per esempio, due pendoli connessi per mez- zo di una molla), comincia con Io scegliere le equazioni appro- priate. Preferibilmente va a prenderle in un trattato: in man- canza di questa possibilita, trova le giuste equazioni prendendo l'awio dai primi principi. $a come si comporta il pendolo e sa tutto delle molie. Poi risolve le equazioni, se ci riesce. Un biolo- go, invece, non potrebbe mai dedurre semplicemente le equa- zioni appropriate limitandosi a riflettere su una particolare po- polazione animale. Dovrebbe raccogliere dati e cercare di trova- re equazioni che producano risultati simili. Che cosa accade se mettiamo mille pesci in uno stagno con una disponibilita di cibo limitata? Che cosa aceade se aggiungiamo cinquanta squali, cia- scuno dei quali mangia due pesci al giorno? Che cosa accade a un virus che uccide a un certo ritmo e che si diffonde con una certa rapidita secondo la densita della popolazione? Gli scienzia- ti idealizzavano questi interrogativi, in modo da poter applicare loro formule ben precise. Spesso funzionava. La biologia delle popolazioni apprese pa- recchio sulla storia della vita, sul modo in cut i predatori intera- giscono con le loro prede, sul modo in cui un mutamento nella densita di popolazione di un luogo influisce sulla diffusione di una malattia. Se un certo modello matematico presentava un 62 aumento, o raggiungeva un equilibrio, o tendeva a zero, gli eco- logi potevano congetturare qualcosa sulle circostanze in cui una popolazione o un‘epidemia avrebbero fatto lo stesso nella realta. Una semplificazione utile fu quella consistente nel costruire modelli del mondo in termini di intervalli di tempo discreti, co- me una lancetta di orologio che avanza a scatti un secondo dopo laltro anziché scivolare in modo continuo. Le equazioni diffe- renziali descrivono processi che mutano in modo continuo nel corso del tempo, ma le equazioni differenziali sono difficili da calcolare. Equazioni pid semplici — «equazioni alle differenze finite» — possono essere usate per processi che passano in modo discontinuo da uno stato a un altro. Per fortuna molte popola- zioni animali hanno un comportamento scandito in intervalli precisi di un anno. I mutamenti che si verificano da un anno al- laltro sono spesso pit importanti dei mutamenti che si verifica~ no in modo continuo. A differenza delle persone, molti insetti, per esempio, si limitano a una sola stagione riproduttiva, cosi ché Je loro generazioni non presentano sovrapposizioni parziali. Per congetturare quanto sara grande la popolazione della falena limantria dispari la prossima primavera o quale diffusione avra Tepidemia di morbillo il prossimo inverno, un ecologo potrebbe aver bisogno di conoscere solo il valore corrispondente per que- st'anno. Un facsimile anno per anno fornisce sole una vaga per- cezione delle complessita di un sistema, ma in molte applicazio- ni reali quell’'approssimazione, per quanto vaga, fornisce tutta Tinformazione di cui uno scienziato ha bisogno. La matematica dellecologia sta alla matematica di Steve Smale come i dieci comandamenti stanno al Talmud: un buon insieme di regole funzionanti, ma niente di troppo complicato. Per descrivere una popolazione che muta ogni anno, un biologo usa formule che uno studente di liceo é in grado di seguire facil- mente. Supponiamo che la popolazione di limantria dispari del prossimo anno dipenda per intero dalla popolazione di quest’an- no. Possiamo immaginare una tabella che elenchi tutte le distin- te possibilita: 31.000 esemplari di limantria dispari quest’anno significa 35.060 l’anno prossimo, ¢ via dicendo. Oppure si pud determinare i] rapperto esistente fra tutti i numeri per quest’an- no ¢ tutti i numeri per il prossime anno sotto forma di una rego- la: una funzione. La popolazione (x) del prossimo anno @ una funzione (F) della popolazione di quest'anno: Xp,simo = F(x). Qualsiasi particolare funzione puéd essere disegnata su un grafi- co, dando immediatamente un’immagine visiva della sua forma complessiva. 63 In un modello sernplice come questo seguire una popolazio- ne nel tempo significa prendere un valore di partenza e applica- re Tipetutamente la stessa funzione. Per ottenere la popolazione per un terzo anno si tratta solo di applicare la funzione al risul- tato per il secondo anno, e via dicendo. L'intera storia della po- polazione diventa disponibile attraverso questo processo di itera- zione funzionale: abbiamo qui un anello di retroazione, in cui Tuscita di ogni anno serve come ingresso per I’'anno seguente. La retroazione pud sfuggire al controllo, come accade quando il suono emesso da un altoparlante rientra nel microfono e viene rapidamente amplificato sino a raggiungere un volume intolle- rabile. Oppure la retroazione pud produrre stabilita, come av- viene nel caso di un termostato che regola la temperatura di una casa: quando la temperatura supera un certo livello il termosta- to determina sottrazione di calore, mentre quando scende al di sotto di un altro punto fissato, determina un nuovo apporto di calore. Sono possibili molti tipi diversi di funzioni. Un modo inge- nuo di accostarsi alla biologia delle popolazioni potrebbe sugge- rire una funzione che esprimesse la crescita della popolazione di una certa percentuale ogni anno. Questa sarebbe una funzione lineare, x prossimo = 7X, € sarebbe il classico schema malthusiano della crescita di popolazione, non limitato da scarsita di cibo o da freni morali. Il parametro r rappresenta il tasso di incremen- to della popolazione. Supponiamo che esso sia di 1,1; allora, se quest’anno la popolazione é 10, l’anno prossimo sara 11. Se il va- lore in ingresso é 20.000, il valore in uscita sara 22.000. La po- polazione aumenta sempre pitt, come denaro lasciato indefinita- mente in un libretto di risparmio a interesse composto. Qualche generazione fa gli ecologi si resero conto che avreb- bero dovuto fare di meglio. Un ecologo che immaginasse ]'evol- versi di una popolazione di pesci in uno stagno reale dovrebbe trovare una funzione all’altezza delle crudeli realta della vita: per esempio della realta della fame, o della competizione. Quando i pesci proliferano, comincia a farsi sentire la limitata disponibilita di cibo. Una piccola popolazione di pesci crescera rapidamente. Una popolazione di pesci eccessivamente grande comincera invece a declinare. Oppure consideriamo il piccolo coleottero giapponese, Popillia japonica. Ogni anno, il 1° ago- sto, andiamo in giardino e contiamo gli esemplari.* Per sempli- * Anche il lettore cosi fortunato da possedere un giardino vi cerchera in- vane qualche esemplare di questo vorace colesttero scintillante, di colore ver- 6¢ cita ignoriamo gli uccelli e le malattie dei coleotteri e conside- tiamo solo la disponibilita fissa di cibo. Quando i coleotteri sono pochi si moltiplicheranno; quando sono molti mangeranno tut- to cid che c’é da mangiare in giardino, dopo di che saranno con- dannati a morire di fame. Nel quadro malthusiano di una crescita illimitata, la funzio- ne della crescita lineare é destinata a salire sempre. Per avere una situazione pid realistica, un ecologo ha bisogno di un’equa- dione con un qualche termine extra che limiti la crescita quando la popolazione diventa grande. La funzione piii naturale da sce- gliere dovrebbe salire con una pendenza molto forte quando la popolazione é piccola, ridurre la crescita quasi a zero in corri- spondenza di valori intermedi e calare precipitosamente quando la popolazione é molto grande. Ripetendo il processo, pud capi- tare che un ecologo osservi una popolazione assestarsi nel suo comportamento a lungo termine, raggiungendo presumibil- mente un qualche stato stazionario. Un’incursione nella mate- matica coronata da successo condurrebbe un ecologo a fare pid o meno queste affermazioni: ecco un’equazione; ecco una varia- bile che rappresenta un quoziente di ripreduzione; ecco una va- riabile che rappresenta il quoziente naturale di mortalita; ecco una variabile che rappresenta il quoziente di mortalita aggiunti- vo dovuto alla scarsita di cibo o ai predatori; ed ecco che la po- polazione crescera a questa velocita sino a raggiungere il livello di equilibrio. Come st trova questa funzione? Molte equazioni diverse pos- sono assolvere questo compito, e forse la pit semplice é una mo- dificazione della versione lineare, malthusiana: Xpyosimo = F® (1- x). Di nuovo, il parametro 7 rappresenta un tasso di incremento che pué essere fissato a valori pitt alti o pit bassi. Il nuovo termine, 1- x, mantiene la crescita entro certi limiti, poiché, al crescere di x, 1- x diminuisce.* Chiunque, con una dee marrone, che divora di tutto, dai fruzti alle foghe e alle erbe. Proveniente dal Giappone, come dice il nome, @ oggi diffuso negli Stati Uniti ma non (an- cora) in Italia, a differenza di un altro coleottero, la dorifora della patata, che, diffuso nel Nordamerica, nel corso della seconda guerra mondiale @ pervenuto anche nel nostro paese. (N.d.T.) * Per comodita, in questo modello alramente astratto la . Nel Nordest degli Stati Uniti, il luogo migliore per studiare i ter- remoti é l’Osservatorio geofisico Lamont-Doherty, un gruppo di edifici dall'aspetto molto modesto occultati nei boschi della par- te meridionale dello Stato di New York, subito a ovest del fiume Hudson.” IL Lamont-Doherty @ il luogo in cui Christopher Scholz, un professore della Columbia University spécializzato nello studio della forma e struttura della Terra solida, comincid per la prima volta a riflettere sui frattali. Mentre matematici e fisici teorici disdegnavano l’opera di Mandelbrot, Scholz fu precisamente il tipo di ricercatore prag- matico pitt pronto a raccogliere gli strumenti offerti dalla geo- metria frattale. Egli si era gia imbattuto nel nome di Mandel- brot negli anni Sessanta, quando Mandelbrot lavorava sull’eco- nomia e Scholz era studente al MIT e stava rompendosi il capo su un difficile problema concernente i terremoti. Da venti anni si sapeva bene che la distribuzione di terremoti grandi e piccoli seguiva un particolare modello matematico, e precisamente lo stesso modello di invarianza di scala che sembrava governare la distribuzione dei redditi personali in un’economia di libero mer- cato. Questa distribuzione si osservava dappertutto sulla Terra, dovunque i terremoti venissero contati e misurati. Considerando quanto fossero altrimenti irregolari e imprevedibili i terremoti, valeva la pena di chiedersi quale tipo di processi fisici potesse spiegare questa regolarita. O cosi sembrava a Scholz. La mag- 106 gior parte dei sismologi si erano accontentati di notare questo fatto e di procedere oltre. Scholz ricordava il nome di Mandelbrot, ¢ nel 1978 comprd un libro corredato da numerose illustrazioni e bizzarramente erudito intitolato Fractals: Form, Chance and Dimension, l'edi- zione americana di Les objets fractals. Era come se Mandelbrot avesse raccolto in un volume ricco di divagazioni, e costellato di equazioni matematiche, tutto cid che sapeva o sospettava sull'u- niverso. In capo a pochi anni questo libro, e opera maggiore che lo sviluppava e migliorava, The Fractal Geometry of Natu- re, avevano avuto un successo di vendite maggiore di quello di qualsiasi altro libro di matematica superiore. Il suo stile era astruso ed esasperante, con movenze argute, letterarie e oscure. Lo stesso Mandelbrot lo defini «un manifesto e un repertorio di casi». #1 Come alcuni scienziati interessati attivi in altri campi, in particolare scienziati che lavoravano sulle parti materiali della natura, Scholz spese vari anni tentando di capire quale partito poter trarre da questo libro. La cosa era tutt’altro che chiara. L'opera di Mandelbrot, come si espresse Scholz, non era un li- bro facilmente definibile ma era certamente un libro importan- te.” Scholz, perd, era molto interessato alle superfici, e le super- fici erano presenti dappertutto in questo libro. Egli non riusciva a smettere di meditare sulle promesse delle idee di Mandelbrot. Comincié a sviluppare un modo di usare i frattali per descrivere, classificare e misurare i vari elementi del suo mondo scientifico. Ben presto si rese conto di non essere solo, anche se sarebbe- To passati ancora molti anni prima che conferenze e seminari sui frattali cominciassero a moltiplicarsi. Le idee unificanti della geometria frattale aiutarono a promuovere contatti fra scienzia- ti convinti di possedere osservazioni peculiari e di non avere al- cun modo sistematico per capirle. Le intuizioni della geometria frattale furono d’aiuto agli scienziati che studiavano i modi in cui le cose si fondono assieme, in cui si ramificano, o in cui si spezzano. E un metodo di guardare ai materiali: le superfici mi- croscopicamente frastagliate dei metalli, i minuscoli pori e ca- nali delle porose rocce petrolifere, i paesaggi frammentati di una zona sismica. Secondo Scholz, il compito dei geofisici era quello di descri- vere la superficie della Terra, la superficie la cui intersezione con la superficie piana degli oceani forma le linee di costa. Nella parte superiore della Terra solida ci sono superfici di un altro ti- po, superfici di spaccature. Faglie e fratture dominano a tal 107 punco la struttura della superficie terrestre da diventare la chia- ve per qualsiasi buona descrizione, e da risultare tutto sommato piti importanti del materiale attraverso cui corrono. Le fratture solcano la superficie della Terra in tre dimensioni, creando quella cle Scholz chiamd bizzarramente Ja «schizosfera», Esse controllano il flusso dei fluidi nel suolo: il flasso dell’acqua, il flusso del petrolio e il flusso del gas naturale. Controllano inoltre il comportamento dei terremoti. La comprensione delle superfi- ci era fondamentale; eppure Scholz pensava che la sua professio- ne fosse in uno stato di incertezza. In verita non esisteva alcun si- stema di riferimento. I geofisici consideravano le superfici nello stesso modo in cui le avrebbe considerate chiunque altro, ossia come forme. Una superficie poteva essere piana. Oppure poteva aveva una confi- gurazione particolare. Si potrebbe guardare il profilo di un Maggiolino Volkswagen, per esempio, e disegnarne la superficie come una curva. Tale curva sarebbe misurabile in modi euclidei familiari. Si potrebbe trovare un’equazione ad essa corrispon- - dente. Ma, secondo la descrizione di Scholz, sarebbe come se ci trovassimo a guardare tale superficie attraverso una speciale banda ristretta. Sarebbe come guardare l'universo attraverso un filtro rosso: si vede che cosa sta accadendo a quella particolare lunghezza d’onda della luce, ma si perde tutto cid che accade al- le lunghezze d’onda di altri colori, per non menzionare quella vasta garoma di attivita che si situa in parti dello spettro corri- spondenti alla radiazione infrarossa 0 alle onde radio. Lo spet- tro, in quest’analogia, corrisponde alla scala. Pensare alla su- perficie di una Volkswagen nei termini della sua forma euclidea equivale a vederia solo alla scala di un osservatore che si trovi a una distanza di dieci metri, o di cento metri. Che dire di un os- servatore che si trovi alla distanza di un millimetro, o di un mi- crometro? Immaginiamo di tracciare la superficie della Terra come ap- parirebbe da una distanza di cento chilometri nello spazio. La linea sale e scende passando per alberi e colline, edifici e — in qualche parcheggio — per una Volkswagen. In tale scala, la su- perficie @ solo una protuberanza su altre protuberanze, un sali- scendi del tutto casuale. Ma immaginiamo di guardare la Volkswagen sempre pit da vicino, passando a usare infine la lente di ingrandimento e addi- rittura il microscopio. Dapprima la superficie sembra diventare sempre pit liscia, e la rotondita dei paraurti e del cofano scom- pare. Ma la superficie microscopica dell'acciaio risulta essere 108 conformata essa stessa a bozzi e protuberanze, in un modo appa- rentemente casuale. Essa sembra caotica. Scholz trovd che la geometria dei frattali forniva un modo efficace per descrivere la particolare irregolarita della superficie terrestre ei metallurgi trovarono lo stesso per le superfici di di- versi tipi di acciaio. La dimensione frattale della superficie di un metallo, per esempio, fornisce indizi anche su sue qualita im- portanti. Scholz pensava a una formazione geologica classica, una falda di detrito sul fianco di una montagna. Osservata da una certa distanza é una forma euclidea, di dimensione due. Man mano che ci si avvicina, perd, ci si trova a camminare non su di essa ma in essa, la falda si é risolta in massi grandi quanto automobili. La sua dimensione efficace é diventata di circa 2,7, poiché le superfici di reccia si combinano e sovrappongono e quasi riempiono lo spazio tridimensionale, come la superficie di una spugna. Le descrizioni frattali trovarono un’applicazione immediata in una serie di problemi connessi alle proprieta di superfici in contatto fra loro. Un tale problema é quello del contatto fra il battistrada dei pneumatici ¢€ ]’asfalto. Lo stesso vale per il con- tatto in giunti meccanici o per il contatto elettrico. I contatti fra superfici hanno proprieta del tutto indipendenti dai materiali implicati. Sono proprieta che risultano dipendere dalla qualita frattale delle protuberanze su protuberanze su protuberanze. Una conseguenza semplice ma potente della geometria frattale delle superfici é che le superfici in contatto fra loro non si tocca- no dappertutto. I] contatto totale é impedito dall'irregolarita a tutte le scale. Persino in rocce soggette a una pressione enorme, a una qualche scala abbastanza piccola diventa chiaro che ri- mangono dei vuoti, i quali consentono il flusso di fluidi. Secon- do Scholz, questo é il cosiddetto effetto Humpty-Dumpty. Si de- ve a questo effetto se i due pezzi di una tazzina rotta non possono mai essere saldati perfettamente, anche se a una scala macrosco- pica i due pezzi sembrano unirsi perfettamente. A una scala pit piccola le protuberanze irregolari impediscono una coincidenza perfetta, Scholz divenne note nel suo campo come uno dei pochi che avevano adattato le tecniche frattali. Sapeva che qualche suo collega considerava stravaganti gli appartenenti a questo picco- lo gruppo. Se avesse usato la parola frattale nel titolo di un arti- colo, pensava che sarebbe parso mirabilmente al corrente oppu- te sarebbe stato giudicato non altrettanto mirabilmente nelle vesti di un opportunista che si aggregava a un movimento di mo- da, Ma persino il problema di come scrivere un articolo richie- 109 deva decisioni difficili, dovendosi scegliere fra scrivere per un piccolo pubblico di aficionados dei frattali o per un pubblico pit vasto di persone interessate alla geofisica, le quali avrebbero avuto bisogno di spiegazioni sui concetti fondamentali della geo- metria frattale. Nonostante tutto questo, Scholz considerava in- dispensabili gli struamenti della geometria frattale. «E un singolo modello che ci permette di far fronte alla va- rieta di dimensioni mutevoli della Terra», disse. «Esso ci fornisce strumenti matematici e geometrici per descrivere e fare predi- zioni. Una volta che si sia entrati nel meccanismo e si sia capito il paradigma, si pud verarnente cominciare a misurare cose ¢ a pensare sulle cose in un modo nuovo. Si vedono le cose in modo diverso. Si ha una nuova visione. Non é affatto uguale alla vec- chia visione, ma é molto piu ampia». Quanto é grande? Quanto tempo dura? Queste sono le domande pia fondamentali che uno scienziato pud porsi su una cosa. Esse sono cosi basilari per il modo in cui la gente concettualizza il mondo che non é facile rendersi conto che in esse é implicita una certa tendenzialita. Esse suggeriscono infatti che grandezza e durata, qualita che dipendono dalla scala, siano qualita dotate di un significato, qualita capaci di aiutare a descrivere un ogget- to o a classificarlo. Quando un biologo descrive un essere uma- no, o quando un fisico descrive un quark, quanto é grande e quanto tempo dura sono in effetti domande appropriate. Nella loro struttura fisica macroscopica, gli animali sono molto legati auna scala particolare. Se immaginiamo un essere umano rad- doppiato in tutte le sue dimensioni lineari, mantenendo le stesse proporzioni, ci troveremo di fronte a una struttura le cui ossa ce- deranno sotto il loro stesso peso. La scala é importante. La fisica del comportamento dei terremoti é per lo pit indi- pendente dalla scala. Un grande terremoto é esattamente una versione in scala maggiore di un terremoto pid piccolo. Questo fatto distingue i terremoti per esempio dagli animali: un anima- le lungo venti centimetri deve avere una struttura del tutto di- versa da quella di un animale lungo due centimetri, e un anima- le lungo due metri ha bisogno di un’architettura ancora diversa, perché le sue ossa non si spezzino sotto 1a massa accresciuta. Le nubi, d’altra parte, sono fenomeni che presentano l’invarianza di scala come i terremoti. La loro irregolarita caratteristica — descrivibile nei termini della dimensione frattale — non muta cioé quando vengano osservate a scale diverse. Ecco perché chi viaggia in aereo perde ogni senso della distanza di una nuvola. ne Senza aiuto di indizi come la nebbiosita, una nuvola a sei metri di distanza potrebbe essere indistinguibile da una nuvola a 600 metri. In effetti l’analisi delle fotografie scattata da satelliti ha mostrato una dimensione frattale invariante in nubi osservate da centinaia di chilometri di distanza. E difficile perdere l’abitudine di pemsare alle cose senza pen- sare nello stesso tempo a quanto siano grandi e quanto tempo durino. Ma la tesi della geometria frattale é che, per taluni ele- menti della natura, la ricerca di una scala caratteristica diventa soltanto una distrazione. L’uragano, per esempio, é per defini- zione una tempesta di una certa grandezza. Questa definizione & perd imposta alla natura da persone. In realta gli sctenziati del- Vatmosfera stanno rendendosi conto che il tumulto nell’aria for- ma un continuo, dai mulinelli a raffiche che trasportano le car- tacce all’angolo di una via urbana ai vasti sistem ciclonici osser- vabili dallo spazio. Le categorie ci traggono in inganno. Gli estremi del continuo sono tutt’uno col mezzo. Si da il caso che le equazioni del flusso dei fluidi siano in moiti contesti adimensionate, nel senso che si applicano indi- pendentemente dalla scala. Ali di aerei ed eliche di navi in scala ridotta possono essere sperimentate in gallerie del vento e in ba- cini in laboratorio. E, con qualche limitazione, le piccole tem- peste presentano lo stesso comportamento delle grandi tem- peste, I vasi sanguigni, dall'aorta ai capillari, formano un altro ti- po di continuo. Essi si ramificano e suddividono e ramificano ancora fino a diventare cosi stretti che i globuli del sangue, per passare, sono costretti a disporsi in fila indiana. La natura della loro ramificazione é frattale. La loro struttura assomiglia a uno di quei mostruosi oggetti immaginari concepiti dai matematici della svolta del secolo cosi cari a Mandelbrot. Per una necessita fisiologica, i vasi sanguigni devono eseguire un po’ di magia di- mensionale. Esattamente come Ia curva di Koch, per esempio, comprime una linea di lunghezza infinita in una piccola area, cosi |’apparato circolatorio deve comprimere una superficie im- mensa in un volume limitato. In rapporto alle risorse del corpo, il sangue @ molto costoso e lo spazio dev'essere sfruttato con la massima oculatezza ed economia. La struttura frattale ha con- sentito alla natura di risolvere i] problema in modo cosi efficien- te che, nella maggior parte dei tessuti, nessuna cellula dista da ‘un vaso sanguigno pitt di tre o quattro cellule. Eppure i vasi san- guigni e il sangue occupano ben poco spazio, non pitt del cinque per cento circa del corpo. E, come si espresse Mandelbrot, la reat «sindrome del Mercante di Venezia»; non solo non si pud toglie- re un chilo di carne senza cavare sangue, ma neppure un milli- grammo, Questa struttura minuta — consistente in realta in due albe- ri intrecciati di vene e arterie — é tutt’altro che eccezionale. Il corpo é ricco di soluzioni altrettanto complesse. Nell'apparato digerente il tessuto rivela ondulazioni all'interno di ondulazioni. Anche i polmoni hanno bisogno di racchiudere la massima su- perficie possibile nello spazio pid piccolo. La capacita di un ani- male di assorbire ossigeno é grosso modo propozzionale alla su- perficie dei suoi polmoni. I polmoni umani tipici racchiudono una superficie pit grande di quella di un campo da tennis. Co- me ulteriore complicazione, il labirinto delle vie aeree deve fon- dersi in modo efficiente can le arterie e con le vene. Ogni studente di medicina sa che i polmoni sono fatti in mo- do da comprendere in sé una superficie immensa. Gli anatomisti sono perd abituati a considerare una scala per volta: per esern- pio i milioni di alveoli, sacchi microscopici che concludono la se- quenza delle ramificazioni delle vie aeree. I linguaggio dell’a- natomia tende a oscurare l'unita fra una scala e V'altra. L’ap- proccio frattale, di contro, abbraccia |’intera struttura nei ter- mini della ramificazione che la produce, ramificazione che si comporta in modo coerente dalle scale grandi a quelle piccole. Gli anatomisti studiano l’apparato vascolare classificando i vasi sanguigni in categorie fondate sulle dimensioni: arterie e arte- tiole, vene e venule. Queste categorie si dimostrano utili a certi fini, mentre sono svianti a certi altri. A volte l’approccio dei libri di testo sembra avvicinarsi alla verita, senza per riuscire a co- glierla appieno: «Nella graduale transizione da un tipo di arterie a un altro é a volte difficile classificare la regione intermedia. Alcune arterie di calibro intermedio hanno pareti che fanno pensare ad arterie pii grandi, mentre alcune grandi arterie hanno pareti simili a quelle di arterie di dimensioni medie. Le regioni di transizione [...] sono spesso designate come arterie di tipo misto».24 Non immediatamente, ma un decennio dopo che Mandel- brot ebbe pubblicato le sue speculazioni fisiologiche, aleuni bio- logi teorici cominciarono a trovare unorganizzazione frattale che controllava strutture in tutto il corpo. La descrizione «esponenziale» ortodossa della ramificazione dei bronchi si di- mostré del tutto erronea, mentre si rivelé conforme ai dati una descrizione frattale. L’apparato di raccolta dell'urina si riveld frattale. Lo stesso vale per il dotto biliare nel fegato, e per la rete 12 di fibre speciali nel cuore che trasportano impulsi di corrente elettrica ai muscoli in contrazione. *° Quest’ultima struttura, no- ta agli specialisti del cuore come rete di His-Purkyne, ispird una linea di ricerca particolarmente importante. Ricerche conside- tevoli su cuori sani e anormali risultarono dipendere dai parti- colari del modo in cui le cellule muscolari del ventricolo destro € del ventricolo sinistro riescono a coordinare il loro movimento. Vari cardiologi interessati al caos trovarono che lo spettro di fre- quenza del ritmo délie pulsazioni, come quello dei terremoti ¢ dei fenomeni economici, seguiva leggi frattali, e sostennero che una legge per capire il ritmo del battito cardiaco era l'organizza- zione frattale della ricerca di His-Purkyne, un labirinto di vie ramificantisi organizzate in modo da essere autosomighianti a scale sempre pit piccole. ”” In che modo Ia natura riusci a sviluppare un’architettura tanto complicata? La tesi di Mandelbrot @ che le complicazioni esistono solo nel contesto della geometria euclidea tradizionale. Come i frattali, le strutture ramificantisi possone essere descritte con trasparente semplicita, con appena pochi bit di informazio- ne. Forse le trasformazioni semplict che diedero origine alle for- me escogitate da Kach, Peano e Sierpiriski hanno il loro analogo nelle istruzioni codificate dei geni di un organismo. Senza dub- bio il DNA non riesce a specificare il gran numero di bronchi, bronchioli e alveoli 0 la particolare struttura spaziale dell'albero che ne risulta, ma pud specificare un processo ripetitivo di bifor- cazione e di sviluppo. Processi come questi si adattano ai fini della natura. Quando la E. I. Dupont de Nemours & Company el’Esercito degli Stati Uniti cominciarono finalmente a produr- re un corrispondenie sintetico del piumino d’oca, fu grazie al fatto che ci si era finalmente resi conto che la fenomenale capa- cita di intrappolare aria del prodotto naturale derivava dai nodi e dalle ramificazioni frattali della proteina chiave del piumino, la cheratina.** Mandelbrot passava con grande senso pratico da- gli alberi polmonari ¢ vascolari ai veri alberi botanici, alberi che hanno bisogno di catturare il sole e di resistere al vento, compiti che assolvono grazie ai loro rami frattali ¢ alle loro foglie fratta- li. Ei biologi teorici cominciarono a speculare sul fatto che V'in- varianza di scala frattale non era solo comune ma universale nella morfogenesi. Essi sostennero che la comprensione del mo- do in cui tali modelli erano codificati ed elaborati era diventata una sfida importante per la biologia. 113 «Cominciai a cercare nei cestini della carta straccia della scienza alla ricerca di fenomeni del genere: sospettavo infatti che cid che stavo osservando non fosse un’eccezione, bensi qualcosa di molto diffuso. Andavo ad ascoltare conferenze ¢ cercavo in pe- riodici poco noti, per lo pit senza alcun profitto o con un profit- to assai scarso, ma trovando ogni tanto qualcosa di interessante. In un certo senso era l’approccio di un naturalista, non di un teorico. Ma il mio gioco d’azzardo diede infine i suoi frutti». Dopo aver riunito in un libro una raccolta, durata per tutta la vita, di idee sulla natura e sulla storia della matematica, Mandelbrot incontré in misura inusitata il successo accademico. Divenne un ospite fisso nel circuito delle conferenze scientifiche, con i suoi indispensabili contenitori di diapositive a colori e con i suoi capelli bianchi a ciocche. Comincid a vincere premi e a ve- dersi assegnare altri onori professionali, ¢ i] suo nome divenne noto al pubblico dei non scienziati quanto a qualsiasi matemati- co. Cid si dovette in parte al fascino estetico delle sue immagini frattali, e in parte al fatto che molte migliaia di appassionati, muniti di microcomputer, poterono cominciare a esplorare di- rettamente il suo mondo. In parte fu anche perché egli non mancé di fare tutta la pubblicita possibile alla sua opera. I] suo nome compare in un piccolo elenco compilato dallo storico della scienza di Harvard I. Bernard Cohen. Cohen aveva perlustrato per anni gli annali della scoperta scientifica, alla ricerca di scienziati che avessero presentato la propria opera come una «ri- voluzione». Egli ne trové in tutto solo sedici: Robert Symmer, uno scozzese contemporaneo di Benjamin Franklin le cui idee sull'elettricita erano in effetti radicali ma sbagliate; Jean-Paul Marat, noto oggi solo per il suo sanguinoso contributo alla Rivo- luzione francese; Lavoisier; Justus von Liebig; Hamilton; Char- les Darwin, ovviamente; Virchow; Cantor; Einstein; Minkowski; Max von Laue; Alfred Wegener (la deriva dei continent); Compton; James D. Watson (la scoperta della struttura del DNA); e Benoit Mandelbrot. ° Per i matematici puri, perd, Mandelbrot rimaneva un estra- neo, che continuava a battersi come sempre con la politica della scienza. Al culmine dei suo successo veniva disprezzato da alcuni colleghi, i quali pensavano che si preoccupasse in modo ossessivo del suo posto nella storia. Dissero che li assillava per avere da lo- ro il credito che gli era dovuto. E incontestabile che, negli anni in cui fu un eretico professionale, Mandelbrot si struggesse per ogni espressione di apprezzamento per la sua tattica oltre che per la sostanza dei suoi risultati scientifici. A volte, quando usci- yano articoli che usavano idee tratte dalla geometria dei frattali, il4 telefonava agli autori o scriveva loro per lagnarsi che non avesse- ro fatto alcun riferimento a lui o al suo libro. Per i suoi ammiratori era facile perdonare le sue forme di egotismo, considerando le difficolta che aveva dovuto superare per conseguire infine il meritato riconoscimento. «Owviamente, éun po’ megalomane, ha un egotismo incredibile, ma le cose che fa sono molto belle, cosicché i pit gli perdonano questo aspetto», disse uno di loro.*! E, nelle parole di un altro: «Le dif- ficolta che ebbe con i suoi colleghi matematici furono cosi gran- di che, per poter sopravvivere, dovette sviluppare questa strate- gia di esaltazione del proprio io. Se non Jo avesse fatto, se non fosse stato cosi convinto di essere nel vero, non avrebbe mai avu- to successo.»*? Il fateo di dare e ricevere credito pud diventare ossessivo nel- la scienza. Mandelbrot curd moltissimo entrambi gli aspetti. Il suo libro pullula di affermazioni in prima persona: Sostengo. Concepii e sviluppas... e realizzai... Ho confermato... Mostro... Coniat... Net mtet viaggi attraverso un territorio nuovo o solo dt recente colonizzato, sono spesso stato indotto a esercitare il dirit- to dello scopritore di dave un nome at punti salienti del pae- saggio. Molti scienziati non apprezzarono questo stile nel suo giusto valore. Né si addolcirono quando Mandelbrot si rivelé altrettan- to generose nei riconoscimenti ai suoi predecessori, alcuni dei quali del tutto oscuri. (E tutti, come notarono i suoi detrattori, opportunamente deceduti.) Essi pensavano che questo fosse pro- prio il suo modo di cercare di piazzarsi al centro, innalzandosi come il papa per prodigare poi da quella posizione elevata le sue benedizioni a destra e a manca. Gli awersari di Mandelbrot op- posero percidé una tenace resistenza. Era difficile non usare la parola frattale, ma se volevano evitare di citare il nome di Man- delbrot potevano sempre parlare della dimensione frattale come della dimensione di Hausdorff-Besicovitch.® Essi — e partico- larmente i matematici — erano irritati dalla disinvoleura con cui Mandelbrot entrava in varie discipline, esprimendo le sue af- fermazioni e congetture ¢ lasciando ad altri il vero lavoro di pro- varle. Era una questione legittima. Se uno scienziato annuncia che una cosa é probabilmente vera ¢ un altro la dimostra in modo ri- goroso, chi ha contribuito di pit al progresso della scienza? La formulazione di una congettura é un atto di scoperta? O @ solo una scommessa a sangue freddo su una tesi? I matematici si sono sempre trovati a dover affrontare problemi del genere, ma la Hs controversia divenne pid intensa quando i computer comincia- rono a svolgere il loro nuovo ruolo. Coloro che usavano i compu- ter per compiere esperimenti divennero pid simili a scienziati di laboratorio, e giocavano con regole che permettevano di com- piere scoperte senza la consueta dimostrazione di teoremi, tipica degli articoli matematici tradizionali. Ti libro di Mandelbrot era un’esplorazione a largo raggio ed era colmo di minuzie di storia della matematica. Dovunque con- ducesse il caos, Mandelbrot aveva qualche base per sostenere di esserci stato per primo. Poco importava che la maggior parte dei suoi lettori trovassero i suoi riferimenti oscuri o addirittura inu- tili. Essi dovevano riconoscere la sua straordinaria intuizione nell’avere percepito la direzione del progresso in campi che non aveva mai realmente studiato, dalla sismologia alla fisiologia. A volte era portentoso, altre volte irritante. Persino un ammirato- re si lagnd, esasperato: «Mandelbrot non pud avere avuto le idee di tutt? prima di loro».4 Ma tutto questo poco importa. La faccia del genio non deve sempre essere coperta da una maschera improntata alla santita di un Einstein. Eppure Mandelbrot pensa di aver dovuto per de- cenni presentare le sue idee rivestite in termini tali da non urtare la suscettibilita altrui. Per far pubblicare i suoi articoli dovette rinunciare alle sue prefazioni dal suono visionatio. Quando scrisse la prima versione del suo libro, che fu pubblicata in Fran- cia nel 1975, si senti costretto ad affermare che non conteneva niente di sensazionale. Ecco perché in seguito ne scrisse la versio- ne ampliata espressamente come «un manifesto e un repertotio di casi». Stava facendo fronte alla politica della scienza. «La politica influisce sullo stile in un senso che in seguito avrei deplorato. Dicevo: “E naturale che... E un’osservazione in- teressante che...”, In realta, era tutt’altro che naturale, e l'osser- vazione interessante era di fatto il risultato di investigazioni e ri- cerche molto lunghe di dimostrazione e di autocritica. Era un atteggiamento filosofice e distaccato che pensavo fosse necessa- rio accettare. La politica consisteva nel fatto che, se avessi detto che stavo proponendo qualcosa di radicalmente nuovo, I’interes- se dei lettori sarebbe subito venuto a mancare», ® Considerando le cose retrospettivamente, Mandelbrot vide che scienziati di varie discipline rispondevano al suo approccio in modo purtroppo prevedibile. La prima fase era sempre la stessa; «Chi é lei, e perché si interessa al nostro campo?». La se- conda: «Quale attinenza ha cid con quanto abbiamo fatto noi, e perché lei non lo spiega sulla base di cid che sappiamo noi?». La 116 terza: «E sicuro che questa sia matematica ortodossa?». (Si, ne sono sicuro). «E allora, perché non la conosciama?» (Perché & ortodossa ma molto oscura). La matematica differisce dalla fisica e da altre scienze appli- cate sotto l'aspetto seguente. Una branca della fisica, uma volta divenuta superata o improduttiva, tende ad appartenere per sempre al passato. La fisica defunta pud essere una curiosita sto- rica, forse la fonte di qualche ispiraztone per uno scienziato mo- derno, ma di solito é defunta per buone ragioni. La matemati- ca, di contro, é piena di canali e di vie traverse che in un periodo sermbrano non condurre da nessuna parte mentre in un altro pe- riodo possono diventare aree di studio principali. L’applicazione potenziale di un elemento di pensiero puro non pud mai essere predetta in antictpo. Ecco perché i matematici apprezzano I'a- spetto estetico del loro lavoro, ricercando eleganza e bellezza co- me gli artisti. Ecco anche perché Mandelbrot, nel suo tipico in- teresse per [a storia della matematica, si imbatté in tanti lavori di buona matematica prondi a essere rispolverati. La quarta fase era dunque questa: «Che cosa pensano del suo lavoro coloro che laverano in queste branche della matema- tica?». (Non se ne danno per intesi, in quanto non apporta alcun contributo alla matematica. In effetti, essi sono sorpresi che le loro idee rappresentino la natura.) In ultima analisi la parola frattale venne a rappresentare un modo di descrizione, calcolo e riflessione su forme che sono irre- golari ¢ frammentate, frastagliate e spezzate, dalle curve cristal- line dei fiocchi di neve alle polveri discontinue di galassie. Una curva frattale implica una struttura organizzativa che si cela dietro la spaventosa complicazione di tali forme. Gli studenti delle scuole superiori sarebbero in grado di capire i frattali e di baloccarsi con essi; i frattali sono fondamentali quanto gli ele- menti di Euclide. Semplici programmi per disegnare immagini frattali hanno avuto una buona diffusione fra gli appassionati dei personal computer. Mandelbrot fu accettato nel modo pitt entusiastico fra gli specialisci di scienze applicate concernenti petrolio, rocce o me- talli, in particolare nei centri di ricerca delle grandi societa. Al- la meta degli anni Ottanta un gran numero di scienziati, per esempio nel grande centro di ricerca della Exxon, lavoravano su problemi frattali.5° Alla General Electric i frattali divennero un principio di organizzazione nello studio di polimeri e anche, benché questa ricerca fosse condotta segretamente, in problemi di sicurezza dei reattori nucleari. A Hollywood i frattali trovaro- 7 no la loro applicazione pid bizzarra nella creazione di paesaggi, terrestri ed extraterrestri, straordinariamente realistici, negli ef- fetti speciali cinematografici. J modeili scoperti all'inizio degli anni Settanta da scienziati come Robert May e James Yorke, con i loro complessi confini fra comportamento ordinato e comportamento caotico, avevano re- golarita insospettate che potevano essere descritte solo nei termi- ni dell'invarianza di scala. Le strutture che fornivano la chiave di una dinamica non lineare si rivelarono come strutture fratta- li. E, al livello pratico pit immediato, la geometria frattale forni anche una serie di strumenti adottati da fisici, chimici, sismolo- gi, metallurgi, teorici delle probabilita e fisiclogi. Questi ricer- catori erano convinti, e tentarono di convincere altri, che la nuova geometria di Mandelbrot era la geometria propria della natura. Essi esercitarono un impatto incontestabile sulla matematica ortodossa e anche sulla fisica, ma lo stesso Mandelbrot non riu- sci mai a ottenere il pieno rispetto delle comunita dei matemati- cie dei fisici. Cid nonostante, essi dovettero riconoscere l’impor- tanza del suo contributo. Un matematico raccontd agli amici di essersi sveghiato una notte ancora tremante per un incubo. Nel sogno era morto, e d’improvwviso aveva udito la voce inconfondi- bile di Dio. «Sapete», disse, «aveva davvero qualcosa di Mandel- brote.5? La nozione di autosomiglianza a scale diverse fa vibrare vec- chie corde della nostra cultura. Un antico filone del pensiero oc- cidentale aveva gia coltivato quest’idea. Leibniz immagind che una goccia d’acqua contenesse un intero universo brulicante di vita, contenente al suo interno, a sua volta, gocce d’acqua con- tenenti nuovi universi. «Vedere il mondo in un granello di sab- bia», scrisse Blake, ¢ spesso gli scienziati furone predisposti a ve- derlo. Quando fu scoperto lo spermatozoo, ci fu chi pensd che fosse un homunculus, un essere umano minuscolo ma piena- mente formato. Ma Yautosomiglianza declind come principio scientifico, e per una buona ragione. Non si conciliava con i fatti. Gli sper- matozoi non sono solo esseri umani in miniatura — sono qualco- sa di molto pit interessante — e il processo dello sviluppo onto- genetico é molto pitt interessante di un semplice ingrandimento. L'antica nozione dell'autosomiglianza come principio organiz- zatore fu un prodotto delle limitazioni dell’esperienza umana della scala. Come immaginare l'infinitamente grande e l'infini- tamente piccolo, l’infinitamente veloce e l’infinitamente lento, altrimenti che come estensioni di cid che conosciamo? 118 Tl mito ricevette un duro colpo quando la visione umana fu estesa da telescopi e microscopi. Le prime scoperte apportarono una presa di coscienza che ogni mutamento di scala apportava nuovi fenomeni e nuovi tipi di comportamento. Per i moderni fisici delle particelle, questo processo non é mai terminato. Ogni nuovo acceleratore, col suo aumento di energia e di velocita, estende il campo visuale della scienza a particelle pid piccole e a scale temporali piti brevi, e ogni estensione sembra apportare nuova informazione. A tutta prima, Videa di coerenza a nuove scalé sembra forni- re meno informazione. Cid si deve in parte al fatto che una ten- denza parallela nella scienza é stata quella verso il riduzionismo. Gli scienziati scompongono gli oggetti e ne osservano successiva- mente le varie parti, una dopo !'altra. Se vogliono esaminare Vinterazione di particelle subatomiche, ne riuniscono due o tre. Ci sono infatti abbastanza complicazioni. II potere dell’autoso- miglianza comincia peré a livelli di complessita molto maggiori. Si tratta di considerare la totalita. Benché Mandelbrot ne abbia fatto uso geometrico pid ge- nerale, il ritorno a idee di invarianza di scala nella scienza negli anni Sessanta e Settanta divenne una corrente intellettuale che si fece sentire simultaneamente in molti luoghi. L’autosomi- glianza era implicita nell’opera di Edward Lorenz. Essa faceva parte della sua comprensione intuitiva della struttura fine delle mappe prodotte dal suo sistema di equazioni, una struttura che egli poteva percepire ma non visualizzare con i computer dispo- nibili nel 1963. L'invarianza di scala divenne parte anche di un movimento in fisica che condusse, piii direttamente dell'opera di Mandelbrot, alla disciplina nota come studio del caos. Persi- no in campi remoti, gli scienziati stavano cominciando a pensa- re nei termini di teorie che usavano gerarchie di scale, come nel- la biologia evolutiva, quando divenne chiaro che una teoria compiuta doveva riconoscere modelli di sviluppo simultanea- mente in geni, in singoli organismi, in specie e in famiglie di specie. Paradossalmente, forse, ’apprezzamento di fenomeni di in- varianza di scala dev'essere venuto dallo stesso tipo di allarga- mento della visione umana che aveva condotte in principio al decline delle precedenti ingenue idee di autosomiglianza. Verso la fine del XX secolo, in modi mai prima concepibili, immagini dell'incomprensibilmente piccolo e dell'inimmaginabilmente grande divennero parte dell’esperienza di chiunque. La cultura vide fotografie di galassie e di atomi. Nessuno dovette pitt im- 119 maginare, con Leibniz, quale potesse essere l’immagine dell'uni- verso a scale microscopiche o telescopiche: microscopi ¢ telesco- pi fecero di tali immagini una parte dell’esperienza quotidiana. Data I'ansia della mente di trovare analogie nell'esperienza, nuovi tipi di comparazione fra grande e piccolo erano inevitabi- li, e alcuni di essi erano produttivi. Spesso gl scienziati attratti verso la geometria dei frattali av- vertirono paralleli emotivi fra la loro nuova estetica matematica ei mutamenti nelle arti nella seconda meta del secolo. Essi senti- vano di attingere un certo entusiasmo interiore dalla cultura in generale. Per Mandelbrot l’epitome della sensibilita euclidea al di fuori della matematica era l’architettura del Bauhaus. Oppu- Te poteva essere lo stile pittorico esemplificato nel modo migliore dai quadrati di colore di Josef Albers: essenziali, ordinati, linea- ti, riduzionistici, geometrici. Geomeérici: la parola significa cid che ha significato per migliaia di anni. Gli edifici che sono defi- niti geometrici sono composti da forme semplici, linee rette e cerchi, descrivibili con soli pochi numeri. La moda dell’architet- tura e della pittura geometriche conobbe alti e bassi. Oggi gli architetti non pensano pit a costruire grattacieli a blocchi geo- metrici come il Seagram Building a New York, un tempo larga- mente esaltato e copiato. Per Mandelbrot e per i suoi seguaci la ragione é chiara. Le forme semplici sono disumane. Non sono in risonanza col modo in cui la natura organizza se stessa o col mo- do in cui la percezione umana vede il mondo. Nelle parole di Gert Eilenberger, un fisico tedesco che, dopo essersi specializza- to nella superconduttivita, optd per la scienza non lineare: «Per- ché il profilo di un albero spoglio piegato dal vento impetuoso contro un cielo serale viene percepito come bello, mentre il pro- filo di un edificio universitario funzionale non viene percepito come tale, nonostante tutti gli sforzi dell’architetto? La risposta, anche se é un po’ speculativa, mi sembra venire dalla nuova comprensione dei sistemi dinamici. Il nostro senso della bellezza é ispirato dalla combinazione armonica di ordine e disordine quale si presenta in oggetti naturali: in nuvole, alberi, catene di montagne o cristalli di neve. Le forme di tutti questi oggetti so- no processi dinamici consolidati in forme fisiche, e particolari combinazioni di ordine e disordine sono tipiche di tali forme». *8 Una forma geometrica ha una scala, una grandezza caratte- ristica. Per Mandelbrot, l’arte che soddisfa il fruitore non ha scala, nel senso che contiene elementi importanti a ogni scala. Al Seagram Building egli contrappone Il’architettura stile Beaux-Arts con le sue sculture ¢ i suci doccioni, i suoi conci ¢ i 120 suoi pilastri, i suoi cartigli a volute, i suoi cornicioni a dentelli sovrastati da gronde. Un paradigma dello stile Beaux-Arts come POpéra non ha alcuna scala perché ha tutte le scale. Un osserva- tore che veda l’edificio a qualche distanza trova sempre un par- ticolare che attrae ’occhio. La composizione muta a mano a mano che ci si avvicina e che entrano in gioco nuovi elementi della strutcura. L'apprezzamento dell’armoniosa struttura di un‘architettura éuna cosa, e l'ammirazione della selvaggia bellezza della natura un’altra. In termini di valori estetici, la nuova matematica della geometria dei frattali ha portato le scienze fisiche in sintonia col sentimento peculiarmente moderno di una natura libera, non civilizzata, non addomesticata. Ci fu un tempo in cui la pioggia, le foreste, i deserti, la boscaglia e le terre desolate rappresenta- rono cid che la societa stava cercando di soggiogare. Chi voleva trarre un piacere estetico dalla vegetazione, lo cercava nei giar- dini. Come si espresse John Fowles, scrivendo dell'Inghilterra del Settecento: «Quest’epoca non aveva simpatia per la natura sre- golata o primordiale. Era, questa, una realta selvaggia aggressi- va, un ricordo sgradevole e invadente del Peccato, dell’eterno esilio dell’uomo dal giardino dell’Eden [...] Persino le sue scien- ze naturali [,..] rimanevano essenzialmente ostili alla natura sel- vaggia, vedendo in essa solo qualcosa che doveva essere domato, classificato, utilizzato, sfruttato».*9 Alla fine del XX secolo la cultura era mutata, e la scienza stava mutando con essa. Cosi la scienza trovd dopo tutto un uso per i cugini oscuri e fantastici dell'insieme di Cantor e della curva di Koch. Dappri- ma queste forme avrebbero potuto essere addotte come prove nel procedimento di divorzio fra la matematica e le scienze fisi- che alla svolta del secolo, la fine di un matrimonio che era stato iltema dominante della scienza dopo Newton. Matematici come Cantor e Koch furono deliziati dalla loro originalita. Essi pensa- vano di essere riusciti a superare in intelligenza 1a natura, men- tre in realta non erano ancora riusciti a eguagliarne la creativi- ta. Anche il corso prestigioso della fisica ortodossa si allontand dal mondo dell’esperienza quotidiana. Soltanto in seguito, dopo che Steve Smale ebbe ricondotto i matematici ai sistemi dinami- ci, un fisico poté dire: «Dobbiamo ringraziare gli astronomi e€ i matematici per avere passato il campo a noi fisici in una forma moito migliore di quella in cui noi lo avevamo lasciata loro set- tant’anni fa». ” Eppure, nonostante Smale e nonostante Mandelbrot, sareb- bere stati dope tutto i fisici a creare una nuova scienza del caos. 121 Mandelbrot forni un linguaggio indispensabile e un catalogo di sorprendenti immagini della natura. Come riconobbe egli stes- so, il suo programma descriveva meglio di quanto non spregasse. Egli poté elencare elementi di natura assieme alle loro dimensio- ni frattali — coste marine, reti fluviali, corteccia di alberi, ga- lassie — e gli scienziati poterono usare quei numeri per fare pre- dizioni. Ma i fisici volevano sapere di pid.*! Volevano sapere perché. In natura c’erano forme — non forme visibili, ma forme integrate nel tessuto del moto — che attendevano di essere rive- late. ATTRATTORI STRANI I grandi vortici hanno vortici piccoli che attingono alla loro velocita, e questi ancora vortici pi piccoli, e cosi via sino a viscosita. Lewis F. RICHARDSON La turbolenza era un problema con un pedigree. I grandi fisici avevano riflettuto su di essa, in modo formale o informale.’ Un flusso regolare si scompone in vortici e mulinelli. Strutture irre- golari interrompono la continuita del confine fra fluido e solido. Lenergia trapassa rapidamente da moti su grande scala a moti su piccola scala. Perché? Le idee migliori vennero da matemati- ci; per la maggior parte dei fisici era troppo pericoloso sprecare tempo sulla turbolenza. Secondo un aneddoto, il fisico quanti- stico Werner Heisenberg, sul suo letto di morte, avrebbe dichia- rato di avere due domande da porre a Dio: perché la relativita e perché la turbotenza. Heisenberg disse: «In realta penso che Egli possa avere una risposta solo alla prima domanda».? Sul problema della turbolenza la fisica teorica aveva rag- giunto una sorta di compromesso. Era come se si fosse tracciata sul terreno una linea di demarcazione e si fosse detto: oltre que- sta linea non possiamo andare. Al di qua della linea, dove i flui- di si comportavano in modo ordinato, c’era molto da lavorare. Per fortuna un fluido che scorra in modo regolare non agisce co- me se avesse un numero quasi infinito di molecole indipendenti, ciascuna delle quali capace di moto indipendente. Le parti di fluido vicine rimangono invece vicine, come cavalli attaccati as- sieme a una carrozza. Gli ingegneri posseggono tecniche efficaci per calcolare il flusso, finché questo rimane regolare. Essi si ser- vono a tal fine di un corpus di conoscenza risalente all’Ottocen- to, quando la comprensione dei moti dei liquidi e dei gas era un problema in primo piano nella fisica. Nell’epoca contemporanea, perd, esso non era pit al centro degli interessi dei fisici. Per i teorici pit: profondi la fluidodina- mica non sembrava pid contenere alcun mistero, tranne quello che non poteva essere risolto neppure dal Padrecerno. L’aspetto pratico era compreso cosi bene da poter essere lasciato addirit- tura ai tecnict. La fluidodinamica non faceva in realta pid parte 123 della fisica, dicevano i fisici. Era mera ingegneria. I giovani fisi- ci brillanti avevano cose migliori da fare. Nelle universita gli specialisti di fluidodinamica si trovavano in generale nei diparti- menti di ingegneria. La turbolenza & sempre stata oggetto di un grande interesse pratico, ¢ l'interesse pratico é di solito unilate- rale: mira a eliminare la turbolenza. In qualche applicazione la turbolenza é desiderabile: per esempio all’interno di un motore a getto, dove una combustione efficace dipende dalla rapidita della mescolanza. Nella maggior parte dei casi, pero, turbolen- za significa disastro. Un flusso d’aria turbolento attorno a un’ala distrugge la portanza. Un flusso turbolento in un oleodotto de- termina una grandissima resistenza d’attrito. Grandi somme vengono investite da governi ¢ societa private nella progettazio- ne di aerei, motori a turbina, eliche, scafi di sottomarini e altre forme che si muovono in mezzi fluidi. I ricercatori devono occu- parsi di determinare le modalita del flusso nei vasi sanguigni e attraverso le valvole cardiache. Si interessano a vortici, fiamme e onde d’urto. In teoria il progetto della bomba atomica, nella seconda guerra mondiale, fu un progetto di fisica nucleare. In realta i problemi di fisica erano gia stati per la maggior parte ri- soltt prima che si desse il via al progetto, e l'argomento che as- sorbi gli scienziati riuniti a Los Alamos fu un problema di flui- dodinamica. . Che cos’é, dunque, la turbolenza? E un grande disordine a tutte le scale, piccoli vortici allinterno di grandi vortici. B insta- bilita. Comporta una grande dissipazione di energia, in quanto la turbolenza attinge energia e crea resistenza d’attrito. E movi- mento diventato casuale, Ma in che modo il flusso si trasforma da regolare in turbelento? Supponiano di avere un tubo perfet- tamento liscio, con un afflusso d’acqua perfettamente regolare, perfettamente protetto contro ogni sorta di vibrazioni: in che modo un flusso del genere potrebbe creare qualcosa di casuale? Tutte le regole sembrano venir meno. Quando un flusso é re- golare, o laminare, i piccoli disturbi si estinguono. Una volta iniziata la turbolenza, invece, i disturbi aumentano in modo ca- tastrofico. Quest’inizio — questa transizione — divenne un mi- stero critico nella scienza. Il corso d’acqua a valle di una roccia in un fiume diventa un vortice che cresce, si separa e procede ruotando lungo il corso d'acqua. I] fume di una sigaretta sale in mode lento e regolare dal portacenere, accelerando sino a supe- rare una velocita critica, dopo di che si frantuma in spire irrégo- lari. Linizio della turbolenza pud essere osservato e misurato in esperimenti di laboratorio; esso pué essere controllato sperimen- i24 talmente per ogni nuova ala o per ogni nuova elica in una galle- tia del vento; ma la sua natura rimane elusiva. Tradizionalmen- te, le conoscenze acquisite sono sempre state specifiche, non uni- versali. Le ricerche empiriche sull’ala di un Boeing 707 non danno alcun contributo a quelle sull'ala di un caccia F-16. Per- sino i supercomputer sone inermi di fronte al moto irregolare dei fluidi. Qualcosa scuote un fluido, lo eccita. I fluidi sono viscosi, co- sicché le vibrazioni sottraggono loro energia e, se si smette di scuoterlo, il fluido tornerebbe naturalmente alla quiete. Quan- do lo si scuote, si aggiunge energia a basse frequenze, o a grandi lunghezze d’onda, e la prima cosa che si osserva é che le lunghez- ze d’onda grandi si decompongono in altre pid piccole. Si for- mano vortici, con altri vortici pia piccoli al loro interno, e ognu- no dissipa parte dell’energia del fluido e ognuno produce un suo ritmo caratteristico. Negli anni Trenta A. N. Kolmogorov pro- pose una descrizione matematica che dava una idea del compor- tamento di questi vortici. Kolmogorov immaginé V’intera casca- ta di energia, attraverso scale sempre pid piccole, sino a perveni- te a un limite, quando i vortici diventano cosi piccoli che gli ef- fetti di viscosita relativamente pit grandi vengono ad assumete il sopravvento. Per chiarezza, Kolmogorov immagind che questi vortici riempissero l'intero spazio del fluido, rendendo quest’ultimo dappertutto uniforme. Questo assunto — I’assunto dell’omoge- neita — risulta non essere vero, come aveva capito gia quaran- t’anni prima Poincaré, avendo notato sulla superficie increspata di un fiume che i vortici si mescolano sempre con regioni di flus- so uniforme.* La vorticosita é localizzata. L’energia si dissipa in realta solo in una parte dello spazio. A ogni scala, quando si os- servi attentamente un vortice turbolento, si scorgono nuove re- gioni di flusso calmo. L’assunto dell’omogeneita cede cosi il pas- so all’assunto dell’intermittenza. Il quadro dell'intermittenza, quando venga in qualche misura idealizzato, ha un aspetto alta- mente frattale, con regioni frammiste di irregolarita e regolarita a scale che vanno dal grande al piccolo. Anche questo quadro risulta essere non del tutto fedele alla realta. Strettamente affine, ma del tutto distinta, era la questione di che cosa accada quando ha inizie Ja turbolenza. In che modo il movimento di un fluido varca il confine da regolare a turbo- lento? Prima che la turbolenza si sviluppi pienamente, quali fasi intermedie possono esistere? In risposta a queste domande esiste- va una teoria leggermente pit forte. Questo paradigma ortodos- 125 so venne da Lev D. Landau, il grande scienziato russo il cui te- sto sulla fluidodinamica rimane un classico.? L'immagine di Landau é@ un accumulo di ritmi in competizione fra loro. Quan- do in un sistema entra altra energia, egli congetturd, subito co- minciano una per volta nuove frequenze, clascuna incompatibi- le con l'ultima, come se un violino rispondesse a wno sfregamen- to pitt energico con larchetto vibrando con un secondo tono, dissonante, ¢ poi con un terzo, un quarto, finché il suono diven- ta una cacofonia incomprensibile. Ogni liquido o gas é una collezione di parti singole, in nume- ro cosi grande da potere ben essere infinite. Se ogni parte si muovesse indipendentemente, il fluido avrebbe un numero di possibilita infinitamente grande, in gergo un numero infinita- mente grande di «gradi di liberta», e le equazioni che descrivono il moto dovrebbero occuparsi di un numero infinitamente gran- de di variabili. Non @ perd vero che ogni particella si muova in- dipendentemente: il suo movimento dipende moltissimo da quello delle particelle vicine, e in un flusso regolare i gradi di li- berta possono'essere pochi. Movimenti potenzialmente comples- si possono restare accoppiati. Parti vicine del fluido rimangone vicine fra loro o si allontanano con un movimento regolare, li- neare, che produce linee nette nelle immagini della galleria del vento. Le particelle in una colonna di fumo di sigaretta salgono tutte assieme, per un po’ di tempo. Poi compare la confusione, un caravanserraglio di moti irre- golari misteriosi. A volte questi moti ricevettero dei nomi: moto oscillatorio, varicoso sghembo, rotolamento incrociato, nodo, zigzag.* Secondo Landau, questi nuovi moti instabili semplice- mente si accumulerebbero, l’uno sull’alero, creando ritmi con velocita e grandezze sovrapponentisi. Concettualmente quest'i- dea ortodossa di turbolenza sembrava adattarsi ai fatti, e se la teoria era matematicamente inutile — com’era in realta —, pa- zienza. Il paradigma di Landau era un modo per conservare la propria dignita mentre si alzavano le mani in segno di resa. Immaginiamo dell’acqua che corre dentro un tubo, o attor- no aun cilindro, con un lieve fruscio. Mentalmente, aumentia- mo la pressione. Ha inizio un’oscillazione. Come un’onda, essa percuote leggermence il tubo. Apriamo un po’ di pid il rubinet- to. Da qualche parte, entra una seconda frequenza, non sincro- nizzata con Ja prima. I ritmi si sovrappongono, si completano, Tottano uno contro l’altro. Essi creano gia un moto cosi compli- cato — onde che percuotono contro la parete, interferendo l'u- na con l'altra che quasi non possiamo seguirlo. Ora apriamo 126 ancor pia i] rubinetto: entra una terza frequenza, poi una quar- ta, una quinta, una sesta: tutte incommensurabili fra loro: il flusso é diventate estremamente complesso. Forse questa @ tur- bolenza. I fisici accettarono questo quadro, ma nessuno aveva alcuna idea per predire quando un aumento di energia avrebbe creato una nuova frequenza, o quale sarebbe stata la nuova fre- quenza. Nessuno aveva visto queste frequenze arrivare misterio- samente in un esperimento perché, di fatto, nessuno aveva mai sottoposto a controllo sperimentale la teoria di Landau per lini- zio della turbolenza. J teorici conducono esperimenti col loro cervello. Gli sperimen- tatori, invece, devono usare anche le mani. | teorici sono pensa- tori, gli sperimentatori sono artigiani. II teorico non ha bisogno di lavorare in associazione con altri. Lo sperimentatore deve in- vece fare ricorso a studenti, deve tenersi buoni meccanici di la- boratorio e coccolare degli assistenti. I] teorico opera in un luo- go incontaminato, libero da rumori, vibrazioni, sporcizia. Lo sperimentatore sviluppa intimita con la materia, come uno scul- tore con l’argilla, lottando con essa, plasmandola, instaurando con essa un rapporto. I] teorico si inventa i suoi compagni, come un ingenuo Romeo immaginava la sua ideale Giulietta. Gli amant dello sperimentatore sudano, piagnucolano e fanno ru- mori osceni. Teorico e sperimentatore hanno bisogno I'uno delfaltro, ma hanno permesso che nel loro rapporto entrassero certe disegua- glianze fin dai tempi antichi, in cui uno scienziato era J'una e Faltra cosa. Anche se i migliori sperimentatori hanno in sé qual- cosa del teorico, non vale l'inverso. Negli ultimi tempi il presti- gio é andato accumulandosi dalla parte del teorico. Specialmen- te nella fisica delle alte energie; la gloria va ai teorici, mentre gli sperimentatori sono diventati tecnici altamente specializzati, che controllano apparecchiature costose e complesse. Nei de- cenni trascorsi dopo la seconda guerra mondiale, quando la fisi- ca venne definendosi come lo studio delle particelle fondamen- tali, gli esperimenti pit pubblicizzati furono quelli eseguiti con gli acceleratori di particelle. Spin, simmetria, colore, sapore: queste erano le astrazioni pit seducenti. Per la maggior parte dei profani che seguivano la scienza, e per molti scienziati, lo studio delle particelle subatomiche era fisica. Ma studiare parti- celle pia piccole, a scale di tempo minori, significava lavorare a livelli di energia superiori. Cosi le macchine richieste per com- piere buoni esperimenti divennero sempre pid grandi con il pas- 127 sare degli anni, e nella fisica delle particelle la natura della spe- rimentazione mutd in meglio. Il campo era molto affollato, ei grandi esperimenti incoraggiavano la formazione di grandi gruppi di ricercatori. Gli articoli di fisica delle particelle usciva- no spesso in posizione di rilievo nelle «Physical Review Letters»: un elenco di autori tipico poteva occupare quasi un quarto della Junghezza di un articolo. Alcuni sperimentatori, in altri settori della fisica, preferiva- no lavorare da soli o in coppia. Lavoravano con sostanze facil- mente manipolabili. Mentre campi come l'idrodinamica aveva- no perso status, la fisica dello stato solido ne aveva guadagnato, espandendo infine il suo territorio quanto bastava per richiedere un nome pid generale: «fisica della materia condensata», ovvero fisica della materia éout court. Nella fisica della materia con- densata le apparecchiature erano pid semplici. Il divario fra teorico e sperimentatore rimaneva piu ristretto. I teorici espri- mevano un po’ meno snobismo, gli sperimentatori un po’ meno spirito difensivo. Le prospettive, nondimeno, differivano. Era del tutto in ca- rattere per um teorico interrompere la conferenza di uno speri- mentatore e chiedergli: «Un maggior numero di dati non rende- rebbe il grafico pid convincente? Non é un grafico un po’ disor dinato? Quei numeri non dovrebbero estendersi su e git per la scala per qualche altro ordine di grandezzai». E, di contro, era del tutto in carattere per Harry Swinney al- zarsi in piedi per quanto era alto, qualcosa come 168 cm, e dire: «E vero», con un misto di charme della Louisiana e di irascibilita newyorkese acquisita: ), 3” pensd di avere avuto un’idea. Ancora una volta, Hénon decise di ignorare tutti i riferimen- ti alle origini fisiche del sistema e di concentrarsi solo sull’essen- za geometrica che desiderava esplorare. Mentre Lorenz e altri si erano serviti di equazioni differenziali — flussi con mutamenti continui nello spazio e nel tempo — egli si volse a equazioni alle differenze finite, con variazioni discrete, finite, nel tempo. La chiave doveva risiedere, secondo lui, nel ripetuto stiramento e piegamento dello spazio delle fasi alla maniera di un pasticciere che stira l'impasto, lo piega, lo ridistende, torna a piegarlo e via dicendo, creando una struttura che sara infine formata da un gran numero di fogli sottili. Hénon disegnd un ovale piano su un foglio di carta. Per stirarlo, prese una breve funzione numerica che spostasse ogni punto dell’ovale in un nuovo punto apparte- nente a una forma stirata verso J'alto al centro: un arco. Si trat- tava di una «rappresentazione topografica», una «mappa»: l’in- tero ovale era infatti rappresentato punto per punto sull’arco. Poi Hénon scelse una seconda rappresentazione, questa volta una contrazione che comprimesse l'arco verso ]’interno per ren- derlo pit stretto. E poi una terza mappa che ruotasse l'arco cosi reso pit stretto sul fianco, in modo da allinearlo con precisione con l'ovale originario. Le tre rappresentazioni potevano essere combinate in una singola funzione ai fini del calcolo. Egli stava seguendo in spirito l'idea del ferro di cavallo di Smale. Numericamente I'intero processo era cosi semplice che poteva essere determinato facilmente con una calcolatrice. Ogni 152 punto ha una coordinata x e una coordinata y che stabiliscono la sua posizione orizzontale e verticale. Per trovare la nuova x, la regola era quella di prendere la vecchia y, aggiungere 1 e sot- trarre 1,4 moltiplicato per il quadrato di x. Per trovare la nuova ¥y, moltiplicare 0,3 per la vecchia x. In altri termini: St 1-14x? © Yio = 0,38. * nuova Hénon scelse un punto di partenza pid o meno a caso, prese la sua calcolatrice e comincié a calcolare nuovi punti e a segnar- li sul diagramma, uno dopo T’altro, finché non ne ebbe inclusi migliaia. Poi usd un vero computer, un IBM 7040, e pervenne a segnare rapidamente cinque milioni di punti. Chiunque, dispo- nendo di un personal computer con uno schermo grafico, po- trebbe fare facilmente la stessa cosa. Dapprima i punti sembrano saltare a caso da un luogo all’al- tro dello schermo. L’effetto é quello della sezione di Poincaré di un attrattore tridimensionale, che vaghi irrego]armente avanti e indietro attraverso lo schermo. Ben presto, perd, comincia a emergere una forma, un profilo incurvato simile a una banana. Quanto pid a lungo gira il programma, tanti pit particolari ap- paiono. Alcune parti del profilo sembrano avere dapprima un certo spessore, ma poi lo spessore si risolve in due linee distinte, ¢ successivamente le due in quattro, due accostate l'una all’altra e le altre due piti lontane fra loro. A un ingrandimento maggiore, ognuna delle quattro linee risulta essere composta da altre due linee, ¢ cosi via, all'infinito. Come l'aterattore di Lorenz, anche quello di Hénon manifesta un regresso infinito, simile a una se- quenza senza fine di bambole russe contenute luna dentro Yaltra. I particolari annidati, una linea dentro l’altra, possono esse re osservati nella loro forma finale in una serie di immagini di ingrandimento progressivamente crescente. Ma l'effetto miste- rioso dell’attrattore strano pud essere apprezzato in un altro mo- do quando la sua forma emerge in modo graduale nel tempo, un punte dopo I'altro. Appare come un fantasma dalla nebbia. I nuovi punti vengono disseminati in modo apparentemente ca- suale sullo schermo, tanto che sembra incredibile ci sia una quaisiasi structura, tanto pid una struttura cosi complessa e cost fine. Due punti consecutivi sono separati fra loro da una distan- za arbitrariamente grande, esattamente come due punti qual- siasi inizialmente vicini in un flusso turbolento. Dato un numero qualsiasi di punti, @ impossibile congetturare dove apparira il prossimo: a parte il fatto che, ovviamente, esso si trovera da qualche parte sull’attrattore. 153 Gli attrattori di Hénon. Una semplice combinazione di piegamento e stira- mento produceva un attrattore che é facile da calcolare e cid nondimeno non & molto ben compreso dai matematici. Mentre appaiono migliaia, e poi milioni, di punti, emergono particolari in sempre maggior numero. Quella che in prin- cipio appariva come una singola linea, vista a un maggiore ingrandimento, di- venta una coppia di linee, ¢ poi quattro coppie. E perd impossibile predire se due punti successivi appariranno vicini o molto fontani. I punti vagano in modo cosi casuale, la struttura si manifesta in modo cosi etereo, che é difficile ricordare che la forma é un attrattore. Essa non é solo una qualsiasi traiettoria di un sistema dinamico. E la traiettoria verso cui convergono tutte le altre traiettorie. Ecco perché la scelta delle condizioni di partenza non ha importanza. Finché il punto di partenza si trova da qual- che parte nei pressi dell’attrattore, i punti seguenti convergeran- no verso l'attrattore con grande rapidita. Anni prima, nel 1974, quando David Ruelle era arrivato al la- boratorio del City College di New York, dove stavano lavorando Gollub e Swinney, i tre fisici si erano trovati ad avere un’esigua connessione fra teoria ed esperimento. Un’elaborazione mate- matica, filosoficamente audace ma tecnicamente incerta. Un ci- lindro di liquido turbolento: non molto su cui compiere osserva- zioni, ma chiaramente in contrasto con la vecchia teoria. | tre uomini trascorsero i] pomeriggio a parlare, dopo di che Swinney e Gollub partirono con le loro mogli per andare a trascorrere una vacanza in una casetta di Gollub sui monti Adirondack. Non avevano visto un attrattore strana, e non ayevano misurato molto di cié che potrebbe accadere realmente all’inizio della turbolenza. Ma sapevano che Landau sbagliava, ¢ sospettavano che avesse ragione Ruelle. In quanto elemento del mondo rivelato da un’esplorazione per mezzo del computer, l'attrattore strano comincid la sua esi- stenza come mera possibilita, segnando un luogo in cui molte grandi menti immaginative del XX secolo non erano riuscite ad arrivare. Ben presto, quando gli scienziati videro le immagini elaborate dai computer, parve loro di riconoscere un volto che avevano visto dappertutto, nella musica dei flussi turbolenti o in nubi disseminate come cortine di velo attraverso il cielo. La na- tura era soggetta a vincoli. Il disordine era incanalato in struttu- re che avevano evidentemente alla base un tema comune. In seguite l'identificazione di attrattori strani alimentd la ri- voluzione nel caos dando agli esploratori numerici un chiaro programma da portare avanti. Si cercarono attrattori strani ~ dappertutto, dovunque la natura sembrasse comportarsi in un modo casuale. Molti sostenevano che la meteorologia terrestre potesse fondarsi su un attrattore strano. Altri raccoglievano mi- lioni di dati sulla Borsa e cominciavano a cercare anche la un at- trattore strano, spiando il caso attraverso la lente adattabile di un computer, ** Alla meta degli anni Settanta queste scoperte appartenevano 155 ancora al futuro. Nessuno aveva visto realmente un attrattore strano in un esperimento, ed era cutt’aliro che chiaro dove cer- came uno. In teoria lattrattore strano poteva dare sostanza ma- tematica a nuove proprieta fondamentali del caos. Una di que- ste era la dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali. La «ne- scolanza» era un‘altra, in un senso che sarebbe stato significati- vo, per esempio, per un progettista di motori per aerei a reazio- ne, interessato a una combinazione efficiente di combustibile e ossigeno, Nessuno sapeva perd come misurare queste proprieta, come associare ad esse dei numeri. Gli attrattori strani sembra- vano frattali, cosa che implicava che la loro vera dimensione fos- se frazionaria, ma nessuno sapeva come misurarla o come appli- care tale misurazione nel contesto dei problemi di ingegneria. Ma il fatte pit importante era che nessuno sapeva se gli at- trattori strani avrebbero o no dette qualcosa sul profondo pro- blema dei sistemi non lineari. A differenza dei sistemi lineari, facilmente calcolabili e facilmente classificabili, i sistem: non li- neari sembravano ancora, nella loro essenza, non classificabili: ognuno diverso dall’altro. Gli scienziati potevano cominciare a sospettare che condividessero proprieta comuni, ma quando venne il momento di prendere misure e di eseguire calcoli, ogni sistema non lineare si rivelé un mondo a sé. La comprensione di uno di tali sistemi sembrava non offrire alcun aiuto alla com- prensione del successivo. Un attrattore come quello di Lorenz il- lustrava la stabilita e la struttura nascosta di un sistema che sem- brava altrimenti privo di una struttura; ma in che modo quella peculiare doppia spirale poteva aiutare i ricercatori a esplorare sistemi affinie Nessuno lo sapeva. Per il momento |’eccitazione andava oltre Ja pura scienza. Gi scienziati che vedevano quelle forme permettevano a se stessi di dimenticare temporaneamente le regole del discorso scientifi- co. Ruelle, per esempio, scrisse: «Io non ho parlato dell’attratti- va estetica degli attrattori strani. Questi sistemi di curve, queste nubi di punti fanno pensare talvolta a fuochi d’artificio o a ga- lassie, altre volte a strane e inquietanti proliferazioni vegetali. C’é qui un regno di forme da esplorare, e di armonie da scopri- re», 39 UNIVERSALITA La ripetizione di queste linee porta oro; Il disegno di questo cerchio sui terreno Porta turbini, tempeste, tuono e fulmine. CrusrorHer MarLowe, The Tragical History of Doctat Faustus Alcune decine di metri a monte di una cascata, un corso d'ac- qua che scorre con moto eguale sembra intuire l'imminente ca- duta. L’aequa comincia ad accelerare e a tremare. Singoli rivo- letti si evidenziano nell’acqua come vene increspate, vibranti. Mitchell Feigenbaum, leggermente sudato, sta in piedi accanto al fiume. Indossa una giacca sportiva e pantaloni di velluto ed espira sbuffi di fumo di una sigaretta. E giunto fin qui cammi- nando con alcuni amici, i quali peré si sono spinti pia avanti, verso anse di acqua tranquilla pii a monte. D'improvviso, in quella che potrebbe sembrare una parodia ad alta velocita di uno spettatore di tennis, egli comincia a voltare rapidamente la testa da un lato all’altro. «Ci si pud concentrare su qualcosa, un pezzetto di schiuma 0 qualcos’altro. Se si riesce a girare la testa abbastanza rapidamente, d'un tratto si discerne ’intera struttu- ra della superficie e la si pud sentire, per cosi dire, in modo vi- scerales. Aspira altro fumo dalla sigaretta. «Ma chiunque abbia una formazione matematica, se osserva una cosa del genere, 0 se vede nuvole con tutti i loro sbuffi sopra altri sbuffi, o se si trova su una diga foranea durante una tempesta, si rende conto che in realta non si conosce nulla». ! Ordine nel caos. Era il pit antico stereotipo della scienza. L’idea di un’unit& nascosta e comune alla base delle forme di natura era intrinsecamente affascinante, ed ebbe una storia sfortunata, dato che ispiré numerosi pseudoscienziati e persona- lita eccentriche. Quando Feigenbaum, quasi trentenne, giunse al Los Alamos Laboratory nel 1974, sapeva che, per cavare qualcosa di utile da quell’idea, i fisici avevano bisogno di un si- stema di riferimento pratico, di un modo per trasformare le idee in calcoli.? Era perd tutt’altro che chiaro quale potesse essere il primo approccio al problema. Feigenbaum era stato assunto dal fisico Peter Carruthers — la cui genialita era occultata dall’'aspetto ingannevolmente di- 157 messo € tranquillo — che era arrivato a Los Alamos nel 1973 dalla Cornell University per assumervi la direzione della Divisio- ne Teorica. Il suo primo atto fu quello di licenziare una mezza dozzina di scienziati anziani — Los Alamos non forniva al suo personale cariche equivalenti a quelle dell’universita — e di so- stituirli con alcuni giovani ricercatori brillanti di sua scelta. Co- me amministratore scientifico aveva grandi ambizioni ma sape- va per esperienza che la buona scienza non sempre pud essere pianificata. «Se si costituisse un comitato in laboratorio o a Washington e si dicesse: "La turbolenza é verammente un grave ostacolo, e dob- biamo fare ogni sforzo per capirla poiché la mancanza di una tale comprensione pregiudica le nostre possibilita di compiere progressi in un gran numero di campi”, allora, ovviamente, do- vremmo assumere un gruppo di ricercatori. Ci procureremmo un grande computer e cominceremmo a far girare grandi pro- grammi. E non si otterrebbe mai alcun risultato. Invece noi ab- biamo qui questo tipo intelligente, che se ne sta seduto tranquil lo, che ovviamente parla con gli altri ma che per lo pit lavora da solo». Avevano parlato della turbolenza, ma il tempo passava € neppure Carruthers era pid sicuro della direzione verso cui stava miuovendosi la ricerca di Feigenbaum. «Pensavo che avesse ab- -bandonato questa ricerca e che avesse trovato un problema di- verso. Non mi rendevo ben conto che quest’altro problema era lo stesso problema. Pare che fosse il problema su cui si erano in- cagliati molti campi diversi della scienza: il problema del com- portamento non lineare di certi sistemi. Ora, nessuno pensereb- be che lo sfondo giusto per questo problema fosse la conoscenza della fisica delle particelle, Ia conoscenza di qualcosa della teo- ria quantistica dei campi, e del fatto che nella teoria quantistica dei campi si hanno le strutture note come gruppo di rinormaliz- zazione. Nessuno sapeva che si doveva capire la teoria generale dei processi stocastici, ¢ anche delle strutture frattali. Mitchell aveva proprio la preparazione giusta. Egli faceva la cosa giusta al momento giusto, e la faceva molto bene. Niente di parziale. Egli affrontava nel modo giusto l’intero problema». Feigenbaum portd con sé a Los Alarnos la convinzione che la sua scienza non era riuscita a capire i problemi fondamentali: i problemi nen lineari. Pur non avendo prodotto quasi niente co- me fisico, aveva accumulato una formazione intellettuale insoli- ta. Aveva una chiara conoscenza di lavoro dell’analisi matemati- ca pit difficile, di nuovi tipi di tecnica di calcolo che spingevano la maggior parte degli scienziati ai loro limiti. Era riuscito a non 158 liberarsi di alcune idee apparenternente ascientifiche derivanti dal Romanticismo della fine def Settecento. Egli voleva fare scienza in un senso nuove. Comincid mettendo da parte l’idea di poter comprendere la complessita ¢ si volse invece alle equazioni non lineari pid semplici che poté trovare. Il mistero dell’universo si annuncid per la prima volta al piccolo Mitchell Feigenbaum, che aveva allora quattro anni, attraverso una radio Silvertone nel soggiorno di casa, a Brooklyn, subito dopo Ja guerra.‘ Egli era confuso al pensiero di quella musica che non arrivava da alcuna sorgente tangibile. D'altra parte pensava di capire come funzionasse il fonografo. La nonna gli aveva dato uno speciale permesso di mettere su i 78 giri. Il padre di Mitchell era un chimico, ¢ lavord prima per la Capitaneria di porto di New York e in seguito per la Clairol. La madre insegnava in una scuola pubblica statale di New York. Mitchell decise in principio di diventare ingegnere elettrotecni- co, un tipo di professionista che, agli occhi della gente di Brooklyn, era una persona che poteva permettersi di fare la bel- la vita. In seguito Mitchell si rese conto che, per saperne di pit sulla radio, era meglio studiare fisica, Fu uno dei rappresentanti della generazione di scienziati cresciuti nella cintura pil esterna di New York che riuscirono a fare una brillante carriera passan- do per le grandi scuole superiori pubbliche — nel suo case la Sa- muel J. Tilden — e poi per il City College. Crescere sviluppando la propria intelligenza a Brooklyn era un problema che si poteva risolvere in qualche misura seguendo una rotta perigliosa fra il mondo della mente e quello della so- cieta. Da piccolo Mitchell aveva un atteggiamento nettamente gregario, cosa che considerd fondamentale per non esporsi a percosse e angherie. Qualcosa scatté perd in lui quando si rese conto della possibilita di imparare delle cose. Si staccd sempre pit dai suoi amici. Le chiacchiere non gli interessavano. Una volta, nell’ultimo anno di college, pensd di aver perso qualcosa evitando i rapporti con gli altri e decise deliberatamente di ri- guadagnare il contatto con l’umanita. Se ne stava seduto in si- lenzio al self-service, ascoltando gli studenti che chiacchierava- no su come portare la barba o sui cibi, e gradualmente riapprese gran parte della scienza di parlare con gli altri. Si diploméd nel 1964, dopo di che passé al Massachusetts In- stitute of Technology, dove nel 1970 si laured in fisica delle par- ticelle elementari. Poi trascorse quattro anni infruttuosi alla Cornell ¢ al Virginia Polytechnic Institute: infruttuosi dal punto 159 di vista della pubblicazione di ricerche su problemi risolubili, che @ essenziale per un giovane scienziato universitario. I liberi docenti dovevano produrre articoli. Di tanto in tanto un advisor chiedeva a Feigenbaum che cosa ne fosse stato di un certo pro- blema, ed egli diceva: «Ah, l'ho capito>.* Appena sistemato a Los Alamos, Carruthers, che era un grandissimo scienziato in proprio, si vantava della propria abili- ta di scopritore di talenti. Cercava non tanto lintelligenza quan- to una sorta di creativita che sembrava il prodotto di una qual- che ghiandola magica. Ricordava sempre il caso di Kenneth Wilson, un altro fisico della Cornell che apparentemente non produceva assolutamente nulla. Chiunque avesse Topportunita di parlare a lungo con Wilson si rendeva conto della sua straor- dinaria capacita di capire a fondo la fisica. Percid il problema del posto di Wilson divenne argomento di una grave controver- sia. ! fisici disposti a scommettere sulle sue possibilita non anco- ra provate ebbero la meglio, e fu come se fosse saltata una diga. Dai cassetti di Wilson usci non un articolo bens un’alluvione di articoli, compreso quello che gli fruttd il Premio Nobel nel 1982. Tl grande contributo di Wilson alla fisica, assieme alle Ticer- che di altri due fisici, Leo Kadanoff e Michael Fisher, fu un im- portante antecedente della teoria del caos, Questi uomini, lavo- rando indipendentemente, stavano tutti meditando in modi di- yersi su cid che accadeva nelle transizioni di fase. Essi studiavano il comportamento della materia in prossimita del punto in cui passa da uno stato a un altro: dallo stato liquido a quello gasso- so, o da quello non magnetizzato a quello magnetizzato. In quanto singolari confini fra due ambiti di esistenza, le transizio- ni di fase tendono a essere profondamente non lineari nella loro formulazione matematica. Il comportamento regolare e preve- dibile della materia in qualsiasi fase tende a essere di ben poco aiuto nella comprensione delle transizioni. Un bricco d’acqua sulla stufa si scalda in modo regolare finché non raggiunge il punto di ebollizione. A quel punto la variazione di temperatura fa una pausa, mentre accade qualcosa di molto interessante al- Vinterfaccia molecolare fra liquide e gas. , Nel’ottica in cui considerava il problema Kadanoff negli an- ni Sessanta, le transizioni di fase pongono un rompicapo intel- lettuale. ° Si pensi a un pezzo di metallo che venga magnetizzato. Quando passa in uno stato ordinato, esso deve prendere una de- cisione. Il magnete pud essere orientato in uno di due modi pos- sibili. Esso @ libero di scegliere. Ma ogni minima parte del me- talio deve compiere la stessa scelta. Come? 160 In qualche modo, nel processo della scelta gli atomi del me- tallo devono comunicarsi informazioni I'un l'altro. L’intuizione di Kadanoff fu che la comunicazione possa essere descritta nel modo pid semplice nei termini di un‘invarianza di scala (scal- ing). Egli immagind in effetti di dividere il metallo in celle di grandezze arbitrarie. Ogni cella comunica con le parti contigue. Tl modo per descrivere questa comunicazione é Io stesso per de- scrivere la comunicazione di ogni atomo con gli atomi contigui. Di qui l’utilita dell’invarianza di scala: il modo migliore per pen- sare il metallo é nei termini di un modello di tipo frattale, con parti di cutte le diverse grandezze. Per stabilire l'efficacia dell’idea di invarianza di scala si ri- chiedevano molta analisi matematica e molta esperienza con si- stemi reali. Kadanoff pensava di essersi dedicato allo studio di un argomento scomodo e confuso e cred invece un mondo di estrema bellezza e compiutezza. Parte della bellezza consisteva nella sua universalita. Le idee di Kadanoff fornirono una solida base al fatto pid sorprendente sui fenomeni critici, ossia il fatto che le varie transizioni, in apparenza senza alcun legame fra lo- ro — l'ebollizione di liquidi, la magnetizzazione di metalli —, seguano in realta le stesse regole. Fu Wilson a fare il lavoro che permise di portare J'intera teo- tia sotto la rubrica della teoria del gruppo di rinormalizzazione, fornendo un modo efficace per eseguire calcoli reali su sistemi reali, La rinormalizzazione era entrata in fisica negli anni Qua- ranta come la parte della teoria quantistica che aveva reso possi- bile il calcolo delle interazioni fra elettroni e fotoni. Uno dei problemi di questi calcoli, come di quelli di cui si occupavano Kadanoff e Wilson, era che alcuni elementi sembrano richiede- re di essére trattati come quantita infinite, una sgradevole com- plicazione. La rinormalizzazione del sistema, in modi escogitati da Richard Feynman, Julian Schwinger, Freeman Dyson e altri fisici, condusse all'eliminazione degli infiniti. Solo molto tempo dopo, negli anni Sessanta, Wilson scavo si- no a mettere in luce la base del processo di rinormalizzazione. Come Kadanoff, egli pensd a principi di comportamento di sca- la. Certe quantita, come la massa di una particella, erano sem- pre state considerate fisse, cosi come é fissa la massa di ogni og- getto nellesperienza quotidiana. La scorciatoia della rinorma- lizzazione aveva avuto successo operando come se una quantita come la massa non fosse affatto fissa. Tali quantita sembravano variare in pid o in meno a seconda della scala alla quale erano 161 considerate. Questa cosa sembrava assurda, Eppureé era un esat- to analogo di cid di cui stava rendendosi conto Benoit Mandel- prot nel suo studio delle forme geometriche e della linea di costa della Gran Bretagna. La loro lunghezza non poteva essere misu- rata indipendentemente dalla scala. C’era una sorta di relativita in cui la posizione dell’osservatore, vicino o lontano, sulla spiag- gia osu un satellite, jnfluiva sulla misurazione. Come aveva visto anche Mandelbrot, la variazione da una scala all’altra non era arbitraria ma seguiva delle regole. La variabilita nelle misure ortodosse della massa o della lunghezza significava che cera un tipo diverso di quantita che restava fisso. Nel caso dei frattali questa era la dimensione frazionaria: una costante che poteva essere calcolata e usata come strumento per ulteriori calcoli. Permettere alla massa di variare a seconda della scala significa~ va che i matematici erano in grado di riconoscere la somiglianza fra scale diverse. Risolto in tal modo il difficile problema del calcolo, la teoria del gruppo di Tinormalizzazione di Wilson forni una via diversa per affrontare problemi di densita infinita. Fino allora l'unico modo per affrontare problemi altamente non lineari consisteva nel far ricorso a un espediente chiamato teoria della perturba- zione. Ai fini del caleolo si suppone che il problema non lineare sia ragionevolmente vicino a un qualche problema risolubile, li- neare: salvo una piccola perturbazione. Si risolve il problema li- neare e si passa poi a mettere in atto un trucco complicato con la parte che rimane, espandendola nei cosiddetti diagrammi di Feynman. Quanto mag} iore é la precisione che si richiede, tan- to pitt grande é il numero di questi tormentosi diagrammi che si devono costruire. Se si ha fortuna, i calcoli convergono verso una soluzione. La fortuna ha perd la sgradevole proprieta di svanire ogni volta che un problema é particolarmente interes- sante. Feigenbaum, come ogni altro giovane fisico delle parti- celle degli anni Sessanta, si trovd a disegnare un numero infinito di diagrammi di Feynman. Egii rimase con la convinzione che la teoria della perturbazione fosse tediosa, non illuminante e stupi- da. Percid apprezzd moltissimo la nuova teoria del gruppo di ri- normalizzazione di Wilson. Riconoscendo Yautosomiglianza, es- sa offriva un modo di far venir meno la complessita, uno strato per volta. In pratica il gruppo di rinormalizzazione era tutt'altro che a prova di errore. Si richiedeva una buona dose di perspicacia per scegliere proprio i calcoli giusti per cogliere lautosomiglianza. Esso perd funzionava abbastanza bene € abbastanza spesso da 162 ispirare alcuni fisici, fra cui Feigenbaum, a cimentarsi sul pro- blema della turbolenza. Dopo tutto, I'autosomiglianza sembra- va il marchio della turbolenza, fluttuazioni su fluttuazioni, vor- tici su vortici. Ma che cosa si poteva dire sulF inizio della turbo- lenza: sul momento misterioso in cui un sistema ordinato diven- tava caotico? Non c’era alcuna prova del fatto che il gruppo di tinormalizzazione avesse qualcosa da dire su questa transizione. Non c’era alcuna prova, per esempio, che la transizione obbe- disse alle leggi di scala. Quando era studente al MIT, prima di conseguire il dottorato, Feigenbaum fece un’esperienza che lo accompagné per molti anni. Camminava con amici attorno al Lincoln Reservoir, un lago artificiale di Boston. Aveva preso l'abitudine di fare passeg- giate di quattro o cinque ore al giorno, per sintonizzarsi con la varieta di impressioni e di idee che gli passavano per la mente. Quel giorno, staccatosi dal gruppo, stava camminando da solo. Passé accanto ad alcune persone che stavano facendo un picnic e, mentre si allontanava, si voltava ogni tanto per dare un’oc- chiata, ascoltando il suono delle voci e guardando i movimenti delle mani che gesticolavano o che si protendevano per prendere dei cibi. D'improvwviso si rese conto che il quadro aveva varcato una soglia, trapassando nell’incomprensibilita. Le figure erano diventate ormai troppo piccole per poter essere distinte singolar- mente. I gesti sembravano sconnessi, arbitrari, casuali. I deboli suoni che pervenivano fino a lui avevano perso ogni significato. Il moto incessante e lincomprensibile trambusto della vita.? Feigenbaum ricordé le parole ysate da Gustav Mahler in un ten- tativo di descrivere la sensazione che aveva tentato di cogliere nel terzo movimento della seconda sinfonia. Come i mati di fi- gure danzanti in una sala da ballo Uluminata da una luce inten- sain cut st guarda dal buio della notte all'esterno e da una di- stanza tale che non si sente la musica [...] la vita pud apparire senza senso. Feigenbaum stava ascoltando Mahler e leggendo Goethe, ed era immerso nella loro profonda sensibilita romanti- ca. Inevitabilmente, era soprattutto nel Faust di Goethe che tro- vava il massimo diletto, assorbendone la combinazione delle idee pitt appassionate sul mondo con gli atteggiamenti pia intel- lettuali. Se non avesse avuto un’inclinazione romantica, sicura- mente non avrebbe prestato alcuna attenzione a sensazioni come il senso di confusione da cui fu colto al lago Lincoln. Dopo tutto perché i fenomeni non dovrebbero perdere significato quando sono visti da distanze maggiori? Le leggi fisiche fornivano una 163 spiegazione banale per la contrazione degli oggetti all’aamenta- re della distanza. Riflettendoci meglio, perd, la connessione fra contrazione delle dimensioni e perdita di significato non era cosl owia. Perché le cose, diventando piccole, dovrebbero diventare anche incomprensibili? Feigenbaum tentd con impegno di analizzare quest’espe- rienza nei termini degli strumenti della fisica teorica, chieden- dosi che cosa si potesse dire sul meccanismo cerebrale della per- cezione. Si osservano alcune azieni umane e si compiono dedu- zioni su di esse. Data la grande quantita di informazione dispo- nibile ai nostri sensi, in che modo il nostro apparato di decodifi- cazione procede alla cernita? E chiaro — o quasi chiaro — che il cervello non possiede alcuna copia diretta dei contenuti del mondo. Non esiste alcun archivio di forme e diidee con cui con- frontare le immagini della percezione. Liinformazione é memo- rizzata in modo plastico, permettendo giustapposizioni sorpren- denti e salti di immaginazione fantastici. Laggitl, da qualche parte, esistono fenomeni caotici, € il cervello sembra avere pit flessibilita della fisica classica nel trovare in essi un ordine. Al tempo stesso Feigenbaum stava meditando sul colore. Una fra le schermaglie scientifiche minori all’inizio dell’ Otto- cento era stato il dissenso sulla natura del colore fra i seguaci di Newton in Inghilterra e quelli di Goethe in Germania. Per la fi- sica newtoniana le idee di Goethe erano solo divagazioni pseudo- scientifiche. Goethe si rifiutava di vedere nel colore una quanti- ta statica, che potesse essere misurata con uno spettrometro € appunsata a un cartoncino come una farfalla. Egli sosteneva che il colore & un fatto di percezione. «Con un delicato giaco di pesi e contrappesi, la natura oscilla in questo o quel senso», scrisse, «e sorge cosi un di qua e un di 1a, un sopra € un sotto, un primae un dopo, dai quali sono condizionate tutte le manifestazioni che si presentano nello spazio € nel tempo». 8 La pietra di paragone della teoria di Newton fu il suo famo- so esperimento col prisma, Un prisma scompone un fascio di lu- ce bianca in un arcobaleno di colori, dispersi sull'intero spettro visibile, e Newton si rese conto che quei colori puri dovevano es- sere i componenti elementari che, sommati, danno la luce visibi le. Inoltre, con un lampo di genio, propose che i colori corri- spondessero a frequenze. Egli immagind che dei corpi vibranti — corpuscoli @ la parola classica — dovessero produrre colori in proporzione alla velocita delle vibrazioni. Se si considera quanto pochi dati di fatto ci fossero a sostegno di questa nozione, essa era altrettanto ingiustificata quanto brillante. Che cos’é il rosso? 164 Per un fisico é luce irradiata in onde di lunghézza compresa fra 620 e 800 miliardesimi di metro. L’ottica di Newton diede buo- na prova di sé migliaia di volte, mentre il trattato di Goethe sui colori si stinse fino all’oblio pik completo. Quando Feigenbaum andé a cercarlo, scopri che l'unica copia presente nelle bibliote- che di Harvard era stata rimossa. Riuscito finalmente a procurarsene una copia, trovd che Goethe, nelle sue ricerche sui colori, aveva eseguito realmente una serie straordinaria di esperimenti. Come Newton, Goethe aveva cominciato i suoi esperimenti con un prisma. Newton ave- va messo un prisma dinanzi a una sorgente di luce, proiettando poi il fascio diviso su una superficie bianca. Goethe invece usé il prisma come un mezzo rifrangente attraverso cui guardare. Egli non percepi alcun colore, né un arcobaleno né singole sfumatu- re. Osservando, attraverso un prisma, una superficie bianca uniforme o un cielo perfettamente sereno si otteneva lo stesso ef- fetto: quello dell'uniformita. Se perd una lieve macchia interrompeva Ja superficie bian- ca, o se in cielo appariva una nube, si vedeva un’esplosione di colore. E «fo scambio di luce e ombra», concluse Goethe, a causare il colore. Egli continué esplorando il modo in cui le per- sone percepiscono ombre proiettate da varie sorgenti di luce co- lorata. Usé candele e matite, specchi e vetro colorato, luce della luna e luce del sole, cristalli, liquidi e ruote di colori in una gamma completa di esperimenti. Per esempio accese una cande- la dinanzi a un pezzo di carta bianca al crepuscolo e solleva una matita. L’ombra alla luce di candela era di un blu brillante. Perché? Soltanto la carta bianca viene percepita come bianca tanto nella luce del giorno declinante quanto nella luce aggiun- ta della candela, pit calda. Come mai un’ombra divide il bian- co in una regione di colore blu e in una regione di giallo rossa- stro? Il colore é «un valore d’ombra», sostenne Goethe, «esso é affine all’ombra». Soprattutto, in un linguaggio pit moderna, il colore proviene da condizioni di confine e da singolarita. Mentre Newton era un riduzionista, Goethe era un olista. Newton scompose la luce e trové la spiegazione fisica pit basila- Te per il colore. Goethe passeggid in giardini fioriti e studid di- pinti, alla ricerca di una spiegazione generale. Newton costrui la sua teoria del colore in riferimento a uno schema matematico valido per tutta la fisica. Goethe, per fortuna o per sfortuna, aborriva la matematica. Feigenbaum si convinse che Goethe aveva avuto ragione sul colore. Le idee di Goethe assomigliano a una nozione facile, po- 165 polare fra gli psicologi, che distingue fra la realta fisica oggetti- va e la percezione soggettiva variabile che ne hanno i singoli in- dividui. I colori che noi percepiamo variano da un tempo all’al- tro e da una persona all’altra: fin qui non c’é nessuna difficolta. Ma le idee di Goethe, nel modo in cui le intese Feigenbaum, avevano in sé un contenuto scientifico pid profondo. Esse erano concrete ed empiriche. Goethe sottolined spesso Ja ripetibilita dei suoi esperimenti. Per Goethe, era la percezione del colore a essere universale ¢ oggettiva. Quali prove scientifiche c’erano a sostegno di una qualita del mondo reale definibile come rosso, indipendente dalla nostra percezione? Feigenbaum si trovd a chiedersi quale sorta di formalismo matematico potesse corrispondere alla percezione umana, in particolare a una percezione che vagliava la molteplicita disor- dinata dell'esperienza, trovando in essa delle qualita universali. Tl rosso non @ necessariamente una particolare banda di fre- quenza della luce, come volevano i newtoniani. Esso é un terri- torio di un universo caotico, ei confini di quel territorio non so- no facilmente descrivibili: eppure la nostra mente si imbatte nel rosso con una costanza regolare e verificabile. Questi erano i pensieri di un fisico giovane, ben lontano, a quanto sembrava, da problemi come la turbolenza dei fluidi. Cid nonostante, per capire in che modo la mente umana compia le sue scelte nel caos della percezione, senza dubbio si doveva capire in che modo il disordine possa produrre universalita. Quando Feigenbaum, a Los Alamos, comincid a meditare sulla non-linearita, si rese conto che la sua formazione non gli aveva dato niente di utile. Risolvere un sistema di equazioni dif- ferenziali non lineari era impossibile, nonostante gli esempi spe- cjali costruiti nei libri di testo. La tecnica perturbativa, consi- stente nell’apportare successive correzioni a un problema risolu- bile che si sperava si trovasse in prossimita del problema reale, sembrava folle. Egli lesse da cima a fondo testi su flussi e oscilla- zioni non lineari e decise che c’era ben poco di utile per un fisico ragionevole. Poiché Ja sua attrezzatura per il calcolo consisteva solo in carta e matita, Feigenbaum decise di cominciare con un analogo della semplice equazione studiata da Robert May nel contesto della biologia delle popelazioni. Si da il caso che essa fosse Pequazione che gli studenti delle scuole superiori usano in geometria per costruire il grafico di una parabola, Essa pud essere scritta come y = 1(x ~ x?). Ogni valore di x produce un valore di y, ¢ la curva risultante esprime il rapporto dei due numeri per la totalita dei valori. Se x (la po- 166 polazione di quest'anno) é piccolo, allora anche ¥ (la popolazio- ne dell’anno prossimo) é piccolo, ma pit grande di x; Ja curva sta salendo in modo ripido, Se x @ alla meta del campo di varia- zione, y é grande. Ma a un certe punto la parabola comincia la sua discesa, cosicché, se x & grande, y ridiventera piccolo. Que- sto @ cid che produce l'equivalente dei crolli di popolazione nei modelli ecologici, impedendo un incremento illimitato irreali- stico. Per May, e poi per Feigenbaum, si trattava di usare questo semplice calcolo non una volta, ma un numero infinito di volte, come anello di retroazione. Il risultato di un calcolo veniva reimmesso, come nuovo dato in entrata, nel calcolo successivo. Per vedere graficamente quel che stava accadendo la parabola era di grandissimo aiuto. Prendiamo un valore iniziale lungo Yasse x. Tracciamo da quel punto una linea verticale fino dove essa interseca la parabola. Leggiamo il valore risultante sull’asse y. E ricominciamo cot nuovo valore. La sequenza salta da un punto all’altro, dapprima sulla parabola, fermandosi poi maga- ri in un equilibrio stabile, dove la x e la y sono uguali e quindi il valore non cambia. In spirito, nulla avrebbe potuto essere pit lontano dai calcoli complessi della fisica ortodossa. In luogo di un calcolo labirinti- co da eseguire una volta per tutte, questo era un calcolo sempli- ce da ripetersi di continuo. Lo sperimentatore con i numeri do- veva solo osservare, come un chimico che osserva le bollicine prodotte da una reazione dentro un bicchiere. Quel che si otte- neva qui era solo una sequenza di numeri che non sempre con- vergevano verso uno stato finale stazionario. Oppure, come ave- va spiegato May ai biologi delle popolazioni, la sequenza poteva continuare a mutare caoticamente finché nessuno si curasse pit di osservarla. La scelta fra questi comportamenti diversi possibi- li dipendeva dal valore del parametro adottato. Feigenbaum esegui ricerche numeriche di questo tipo vaga- mente sperimentale e, al tempo stesso, provd metodi teorici pit tradizionali per analizzare funzioni non lineari. Cid nonostante non riusci a vedere l'intero quadro di cié che si potesse ottenere con quest’equazione. Riusci perd a rendersi conto che le possibi- lita erano gia cosi complicate da essere estremamente difficili da analizzare. Sapeva anche che tre matematici di Los Alamos — Nicholas Metropolis, Paul Stein e Myron Stein — avevano stu- diato tali «mappe> nel 1971, e Paul Stein lo mise sull'avviso che le difficolta erano veramente spaventose. Se gid quest’equazio- ne, la pit semplice di tutte, si rivelava insolubile, che dire delle 167 equazioni di gran lunga pid complicate che uno scienziato avrebbe scritto per sistemi real? Feigenbaum mise da parte Vin- tero problema. Nella breve storia del caos, quest’equazione dall'aspetto in- notente fornisce !'esempio pitt conciso della varieta dei modi in cui scienziati diversi potevano guardare allo stesso problema. ° Per i biologi era un’equazione con un messaggio: sistemi sempli- ci possono fare cose complicate. Per Metropolis, P. Stein e M: Stein, if problema era quello di catalogare una collezione di tipi topologici senza riferimento ad alcun valore numerico. 10 Essi co- minciavano il processo di retroazione a un punto particolare e osservavano poi i valori successivi rimbalzare da un punto all’al- tro della parabola. Quando i valori muovevano verso destra o verso sinistra, essi scrivevano sequenze di R (right, destra) e di L (left, sinistra). Tipo numero uno: R. Tipo numero due: RLR. Modello numero 193: RLLLLLRRLL. Queste sequenze aveva- no qualche carattere interessante per un matematico: sembra- vano ripetersi sempre nello stesso ordine speciale. Ma a un fisico apparivano oscure e tediose. Negsuno se ne rese conto allora, ma gid nel 1964 Lorenz ave- va considerato la medesima equazione come la metafora di un profondo interrogativo sul clima. La domanda era cosi profon- da che quasi nessuno aveva pensato di porsela prima: Esiste un clima?"! In altri termini, la meteorologia della Terra ha una media a lungo termine? La maggior parte dei meteorologi, allo- ra come oggi, davano la risposta per scontata. Senza dubbioe un qualsiasi comportamento misurabile, per quanto fluttui, deve avere una media. Eppure, se ci si riflette un po’, Ja cosa € tutt’al- tro che ovvia. Come sottolined Lorenz, le condizioni meteorolo- giche medie per gli ultimi 12.000 anni sono state notevolmente diverse da quelle dei 12.000 anni precedenti, quando la maggior parte dell’ America settentrionale era ricoperta dai ghiacci. C’e- Ta stato un clima che aveva ceduto il posto a un altro per una qualche ragione fisica? Oppure c’era un clima uniforme a pit lungo termine, all'interno del quale quei periodi erano semplici fluttuazioni? Oppure ancora, un sistema come quello dei feno- meni meteorologici non pud mai convergere verso una media? Lorenz si pose una seconda domanda. Supponiamo che si potesse scrivere la serie completa di equazioni che governano il tempo. In altri termini, supponiamo di possedere il codice usato da Dio. Potremmo in tal caso usare quelle equazioni per calcola- re le statistiche medie per la temperatura o per le precipitazioni? Se le equazioni fossero lineari, la risposta sarebbe un facile si. 168 Ma esse sono non lineari. Poiché Dio non ha messo a nostra di- sposizione le equazioni reali, Lorenz esamind invece le equazioni quadratiche alle differenze finite. Come May, Lorenz esaminé dapprima che cosa accadeva quando si iterava 'equazione, dato un parametro, Quando i pa- rametri erano bassi, egli vide che I'equazione raggiungeva un punto stabile fisso. In quel caso, certamente, il sistema produce- va un «clima> nel senso pid banale possibile: il «tempo» non cambiava mai. Con parametri superiori osservé la possibilita di oscillazione fra due punti, e anche in quel caso il sistema conver- geva verso una media semplice. Oltre un certo punto limite, pe- ra, Lorenz vide il caos. Poiché stava riflettendo sul clima, si chiese non solo se una retroazione continua avrebbe prodotto un comportamento periodico, ma anche quale sarebbe stato l’out- put medio. E riconobbe che la risposta era che anche la media fluttuava in modo instabile. Quando il valore del parametro ve- niva mutato anche di poco, la media poteva mutare in mado vi- stosissimo. Per analogia, i] clima della Terra non avrebbe mai potuto assestarsi attendibilmente in una posizione di equilibrio con un comportamento medio a lungo termine. Come articolo di matematica, il lavoro di Lorenz sul clima sarebbe stato un insuccesso: non dimostrava nulla in senso assio- matico. Anche come articolo di fisica aveva gravi manchevolez- ze, non potendo giustificare I’uso di un’equazione tanto semplice per trarre conclusioni sul clima della Terra. Lorenz, peré, sape- va quel che stava dicendo. «L’autore pensa che questa somi- glianza non sia puramente accidentale, ma che l’equazione alle differenze finite colga gran parte della matematica, anche se non della fisica, delle transizioni da un regime di flusso a un al- tro e, in effetti, dell'intero fenomeno dell'instabilita», Ancora vent’anni dopo nessuno riusciva a rendersi conto di quale intui- zione giustificasse una pretesa tanto audace, pubblicata in «Tel- lus», una rivista svedese di meteorologia. («"Tellus”! Nessuno legge Tellus”, esclamé acidamente un fisico.) Lorenz stava pervenendo a comprendere ancor pit profondamente le possibi- lita peculiari dei sistemni caotici, pit profondamente di quanto potesse esprimere nel linguaggio della meteorologia. Mentre continuava a‘esplorare le maschere mutevoli dei si- stemi dinamici, Lorenz st rese conto che sistemi leggermente pit complicati della mappa quadratica potevano produrre altri tipi di comportamenti inattesi. In un particolare sistema poteva ce- larsi pit: di una soluzione stabile. Un osservatore poteva vedere un tipo di comportamento per un tempo molto lungo; eppure 169 un tipo di comportamento del tutto diverso poteva essere altret- tanto naturale per il sistema. Un tale sistema viene detto intran- sitivo. Esso pud stare in una posizione di equilibrio o nell’altra, ma non in entrambe. Soltanto un'influenza esterna pud costrin- gerlo a cambiare stato. In un modo banale, l'orologic a pendolo Classico @ un sistema intransitivo. Un flusso costante di energia gli viene fornito dall’esterno, da una molla o da una pila attra- verso un meccanismo di scappamento. Un flusso costante di energia viene estratto dal sistema per attrito. Lo stato di equili- brio ovvio é un moto regolare di oscillazione. Se una persona, passando, urta inavvertitamente Yorologio, il pendolo potra ac- celerare o rallentare il suo mote in conseguenza del sobbalzo momentaneo, ma tornera rapidamente al suo equilibrio. Ma T'o- rologio ha anche un secondo equilibrio — una seconda soluzio- ne valida alle sue equazioni del moto — ¢ questo é lo stato in cui il pendolo é fermo nella posizione verticale. Un sistema intransi- tivo meno banale — forse con varie regioni distinte di comporta- mento estremamente diverso — potrebbe essere il clima stesso. 1 climatologi che usano modelli meteorologici per computer per simulare il comportamento dell’aemosfera e degli oceani su scala globale sanno da vari anni che i loro modelli ammettono almeno un equilibrio radicalmente diverso. Durante lintero passato geologico, questo clima alternative non @ mai esistito, ma potrebbe essere una soluzione altrettanto valida al sistema di equazioni che governano la Terra. Esso @ quello che alcuni cli- matologi chiamano il clima della Terra Bianca: '"* una Terra i cui continenti sono armmantati di neve e i cui oceani sono coper- tidi ghiaccio. Una Terra nella morsa del gelo rifletterebbe il set- tanta per cento della radiazione solare incidente e rimarrebbe quindi estremamente fredda. Lo strate pid basso dell’atmosfera, Ja troposfera, sarebbe molto pit sottile di quanto non sia oggi. Le tempeste che spazzerebbero in tal caso la superficie ghiaccia- ta sarebbero molto pia deboli e meno estese di quelle che cono- sciamo oggi. II clima sarebbe, in generale, meno favorevole alla vita di quanto non sia nella nostra realta attuale. I modelli su computer hanno manifestato una tendenza cosi forte a cadere nell’equilibrio della Terra Bianca che i climatologi si chiedono perché non si sia verificato quest'equilibrio. Potrebbe essere semplicemente una questione di caso. Per spingere il clima della Terra nello stato glaciale si richie- derebbe un forte impulso da parte di una qualche sorgente esterna. Ma Lorenz descrisse ancora un altro tipo plausibile di comportamento chiamato «quasi-intransitivita». Un_ sistema 170 quasi intransitive manifesta una sorta di comportamento medio per un tempo molto lungo, fluttuando entro certi limiti. Poi, senza nessuna ragione plausibile, passa a un tipo diverso di com- portamento, ancora fluttuante ma attorno a una media diversa. Coloro che costruiscono modelli per computer sono al corrente della scoperta di Lorenz, ma cercano a tutti i costi di evitare la quasi-intransitivita, che @ troppo imprevedibile. Essi sono natu- ralmente inclini a costruire modelli con una forte tendenza a tornare a quell’equilibrio che noi misuriamo ogni giorno sul pia- neta reale: Poi, per spiegare grandi mutamenti di clima, cerca- no Cause esterne: per esempio variazioni nell’orbita della Terra attorno al Sole. Non occorre perd grande immaginazione a un climatologo per vedere che la quasi-intransitivita potrebbe ben spiegare perché il clima della Terra abbia conosciuto a intervalli misteriosi, irregolari, lunghe epoche glaciali. Se questa é la spie- gazione giusta, non occorre alcuna causa fisica per spiegare J'i- nizio, ola fine, delle varie epoche glaciali. Queste possono essere semplicemente un prodotto secondario del caos. Come un collezionista di armi da fuoco che ricordi con rimpian- to il revolver Colt calibro 45 nell’epoca delle armi automatiche, lo scienziato moderno culla una certa nostalgia per la calcolatri- ce tascabile HP-65. Nei pochi anni della sua supremazia, questa macchina modificd per sempre le abitudini di lavoro di moiti scienziati. Per Feigenbaum essa fu il ponte fra il modo di lavora- Te con carta € matita ¢ Jo stile di lavoro con i computer, che non era ancora stato concepito. Feigenbaum non sapeva nulla di Lorenz, ma nell’estate del 1975, a un convegno ad Aspen, nel Colorado, ascoltd una confe- renza di Steve Smale su alcune delle qualita matematiche della stessa equazione quadratica alle differenze finite.!5 Smale sern- brava pensare che ci fossero alcune interessanti questioni aperte sul punto esatto in cui il comportamento muta da periodico a caotico. Come sempre, Smale aveva un forte istinto per i proble- mi che valeva la pena di esplorare. Feigenbaum decise di esami- nare questo problema ancora una volta. Con la sua calcolatrice comincid a usare una combinazione di algebra analitica e di esplorazione numerica per conseguire una comprensione della mappa quadratica, concentrandosi sulla regione di confine fra ordine e caos. Metaforicamente — ma solo metaforicamente — sapeva che questa regione era simile al misterioso confine fra il flusso rego- lare e la turbolenza in un fluido. Era la regione su cui Robert 171 May aveva richiamato I'attenzione dei biologi delle popolazioni, i quali non si erano mai resi conto della possibilita di qualsiasi ciclo non ordinato nel mutare delle popolazioni animalt. Nella via verso il caos, in questa regione c’era una cascata di raddop- piamenti di periodo, la scissione di cicli di due anni in cicli di quattro, di cicli di quattro anni in cicli di otto e via dicendo. Queste scissioni formavano un modello affascinante. Erano i punti in cui una lieve modificazione, per esempio, nella fecond:- td poteva condurre una popolazione della falena limantria di- spari a passare da un ciclo di quattro anni a un ciclo di otto. Fei- genbaum decise di cominciare a calcolare gli esatti valori para- metrici che producevano le scissioni. Infine, fu la lentezza della calcolatrice che quell’agosto lo condusse a una scoperta. Occorrevano secoli — in realta minuti — per calcolare l'esatto valore parametrico in corrispondenza del quale si aveva un raddoppiamento di periodo. Quanto pit in alto si saliva nella catena, tanto pit tempo ci voleva. Con un computer veloce e una stampante Feigenbaum non avrebbe pro- babilmente osservato alcuna struttura. Ma doveva scrivere i nu- meri a mano, e poi doveva meditare su di essi mentre stava aspettando e, per risparmiare tempo, doveva congetturare qua- le sarebbe stato il risultato successivo. D'un tratto si accorse che non aveva alcun bisogno di fare congetture. Nel sistema si celava una regolarita inattesa: i nu- meri presentavano una convergenza geometrica, nello stesso modo in cui in un disegno in prospettiva una linea di pali telefo- nici identici converge verso l'orizzonte. Se si sa di quale altezza si devono disegnare due pali telefonici qualunque, si sa anche tut- to il resto: i] rapporto del secondo al primo sara infatti uguale al rapporto del terzo al secondo e cosi via. I raddoppiamenti di pe- riodo non solo si producevano sempre pil rapidamente, ma si producevano pil rapidamente a un ritmo costante. Qual era la ragione di questo stato di cose? Di solito, la pre- senza della convergenza geometrica suggerisce che qualcosa, da qualche parte, si ripete a scale diverse. Ma se all'interna'di que- st’equazione cera un modello di invarianza di scala, nessuno lo aveva mai visto. Feigenbaum calcolé il rapporto di convergenza con la massima precisione possibile con la sua calcolatrice — tre decimali — e trovd un numero: 4,669. Questo particolare rap- porto significava qualcosa? Feigenbaum fece quel che avrebbe fatto chiunque si preoccupasse dei numeri. Trascorse il resto della giornata a cercare di mettere il numero in rapporto a tutte le costanti tradizionali: 7, e, ¢ cost via. Non risultd essere una variante di nessuna di esse. W72 Curiosamente anche Robert May si rese conto, in seguito, di avere constatato questa convergenza geometrica.'* Egli l'aveva perd dimenticato subito dopo. Dal punto di vista di May in eco- logia, essa era solo una peculiarita numerica e niente di pid. Nei sistemi del mondo reale che stava considerando — sistemi di po- polazioni animali o persino modelli economici —, limevitabile rumore avrebbe cancellato qualsiasi particolare tanto preciso. La stessa confusione che lo aveva condotto fino a questo punto lo fermé nel momento cruciale. May aveva un grandissimo inte- resse per i! comportamento macroscopico dell’equazione. Non immagino peré mai che i particolari numerici si rivelassero im- portanti. Feigenbaum si rese conto dell'importanza di cid che aveva fra le mani, poiché la convergenza geometrica significava che qualcosa in quest’equazione presentava un'invarianza di scala, ed egli sapeva che l'invarianza di scala era importante. Da essa dipendeva l’intera teoria della rinormalizzazione. In un sistema apparentemente disordinato, l'invarianza di scala significava che c’era qualche qualita che si conservava mentre tutto il resto mutava. Una qualche regolarita si celava dietro la superficie turbolenta dell’equazione. Ma dove? Era difficile vedere che co- sa si dovesse fare subito dopo. Nell’atmosfera rarefatta di Los Alamos, l’estate si trasforma rapidamente in autunno, e ottobre era quasi terminato quando Feigenbaum fu colpito da una strana idea. Sapeva che Metropo- lis, Myron Stein e Paul Stein avevano considerato anche altre equazioni e avevano trovato che certe strutture si ritrovavano in vari tipi di funzioni. Comparivano le stesse combinazioni di R e L, e comparivano nello stesso ordine.'® Una funzione aveva im- plicato il seno di un numero, cosa che aveva reso non pertinente Papproccio elaborato con cura di Feigenbaum all’equazione del- Ja parabola. Doveva quindi ricominciare da capo. Riprese allo- ra la sua calcolatrice HP-65 e comincié a calcolare i raddoppia- menti di periodo per x,,, = rsenzx,. Il catcolo di una funzione trigonometrica rese il processo molto pid lento, e Feigenbaum si chiese se, come nel caso della versione pit semplice dell’equazio- ne, non fosse possibile usare una scorciatoia. Certo, esaminando i numeri, si rese conto che stavano di nuovo convergendo geo- metricamente. Si trattava semplicemente di calcolare la conver- genza per questa nuova equazione. Di nuovo, c’era un limite al- la precisione dei suoi calcoli, ma egli ottenne un risultato con tre decimali: 4,669. 173 Era lo stesso numero. Incredibilmente, questa funzione tri- gonometrica non esibiva solo una regolarita coerente, geometri- ca, bensi una regolarita che era numericamente identica a quel- Ja di una funzione molto pit: semplice. Non esisteva nessuna teo- ria matematica 0 fisica che potesse spiegare perché due equazio- ni di forma e significato cost diversi dovessero condurre allo stes- so risultato. Feigenbaum chiamé Paul Stein. Stein non era preparato a credere a coincidenze sulla base di prove cosi scarse. Dopo tutto, tre decimali non erano molti. Feigenbaum aveva peré telefonato anche ai suoi genitori nel New Jersey per dire loro di aver trovato qualcosa di profondo. Disse a sua madre che stava per diventare famoso. Poi comincid a esaminare altre funzioni, qualsiasi cosa potesse concepire che passasse per una sequenza di biforcazioni sulla via verso il disordine. Ognuna produceva sempre Io stesso numero. Feigenbaum aveva giocato con i numeri per tutta la vita. Nella sua adolescenza sapeva gia calcolare logaritmi e seni che la maggor parte delle persone cercavano nelle tavole. Non aveva perd mai imparato a usare uno strumento per il calcolo pid grande della sua calcolatrice tascabile, ¢ sotto questo aspetto non si differenziava dalla maggior parte dei fisici e dei matema- tici, che tendevano a disprezzare il pensiero meccanicistico im- plicato dal lavoro con i computer. Ora, peré, era venuto il mo- mento. Chiese a un collega di insegnargli il Fortran e, alla fine della giornata, aveva gia calcolato, per una varieta di funzioni, la sua costante fino a cinque decimali: 4,66920. Quella notte lesse sul manuale cid che si diceva sulla doppia precisione, e il giorno seguente poté ottenere il nuovo valore 4,6692016090: una precisione sufficiente a convincere Stein. Feigenbaum non era perd del tutto sicuro di essere riuscito a convincere se stesso. Egli aveva cominciato a cercare la regolarita — era quello il si- gnificato della comprensione degli aspetti matematici —, ma aveva anche cominciato a sapere che particolari tipi di equazio- ni, esattamente come particolari sistemi fisici, si comportano in modi speciali, caratteristici. Quelle equazioni erano semplici, dopo tutto. Feigenbaum capiva l’equazione quadratica, capiva FYequazione dei seni: la parte matematica era banale. Eppure qualcosa all’interno di quelle equazioni del tutto diverse, ripe- tendosi di continuo, creava un singolo numero. Egli si era im- battuto in qualcosa: forse solo una curiosita; forse una nuova legge di natura. Immaginiamo che uno zoologo preistorico faccia Lipotesi 174 che alcuni animali siano pit pesanti di altri — che abbiano una qualche qualita astratta da lui chiamata peso — e che voglia in- vestigare quest’idea scientificamente. Non ha mai misurato il peso, ma pensa di avere una qualche intuizione del concetto. Osserva serpenti grandi e piccoli, orsi grandi e piccoli e conget- tura che il peso di questi animali possa avere un qualche rappor- to alle loro dimensioni. Costruisce una scala e comincia a pesare serpenti. Con suo stupore, tutti i serpenti hanno lo stesso peso. La sua costernazione aumenta nell’accertare che lo stesso peso hanno anche tutti gli orsi. Tutti questi animali pesano 4,6692016090. E chiaro che il peso non é cid che egli aveva sup- posto. L'intero concetto dev'essere rimeditato. Fiumi che scorrono, pendoli che oscillano, oscillatori elettro- nici: molti sistemi fisici sono passati per una transizione sulla via verso il caos, e quelle transizioni sono rimaste troppo complicate per poter essere sottoposte ad analisi. Esse erano altrettanti siste- mi la cui meccanica sembrava intesa perfettamente. I fisici co- noscevano tutte le equazioni giuste; eppure il passaggio dalle equazioni a una comprensione di un comportamento globale a jungo termine sembrava impossibile. Purtroppo le equazioni per i fluidi, e persino per i pendoli, erano molto pid difficili della semplice mappa logistica unidimensionale. Ma la scoperta di Feigenbaum implicava che quelle equazioni fossero fuori luogo. Non erano pertinenti. Quando emergeva un ordine, esso sem- brava avere improvvisamente dimenticato quale fosse ’equazio- ne originaria. Quadratica o trigonometrica che fosse, il risultato era lo stesso. «L'intera tradizione della fisica dice che l’'impor- tante é isolare il meccanismo, e poi tutto il resto viene da sé», disse. «Qui questo concetto viene meno completamente. Qui sappiamo le equazioni giuste, ma esse non possono esserci di al- cun aiuto. Sommiamo tutti i pezzi microscopici e troviamo che non possiamo estenderli a lungo termine. Essi non sono cid che @ importante nel problema. Questa situazione modifica completa- mente il significato di conoscere qualcosa».** Benché la connessione fra calcolo numerico e fisica fosse de- bole, Feigenbaum aveva trovato prove della necessita di svilup- pare un nuovo modo per calcolare problemi complessi non li- neari. Finora, tutte le tecniche disponibili erano dipese dai par- ticolari delle funzioni. Se 1a funzione era una funzione seno, i calcoli sviluppati con cura da Feigenbaum erano caicoli di se- ni. La sua scoperta dell'universalita significava che tutte quelle tecniche dovevano essere buttate a mare. La regolarita non ave- va nulla a che faze con i seni, Non aveva nulla a che fare con pa- 175 Xnet Kwa as08 aot ¥ Xn aed Ka 038 X yet Aterazione verso tl caas. Un'equazione semplice, ripetuta molte volte: Mitchell Feigenbaum si concentra su funzioni semplici, che prendono un numero come ingresso (input) e ne producono un altro come uscita (ouput). Per popolazioni animali, una funzione potrebbe esprimere il rapporto fra la popolazione di quest’anno e quella del prossimo. Un modo per visualizzare tali funzioni ¢ quello di fare un grafico, rappresen- tando su di esso i dati in ingresso sull'asse orizzontale, e quelli in uscita su quel- lo verticale. Per ogni ingresso possibile, x, c’é solo un'uscita, y, questi due va- lori formano una figura che @ rappresentata dalla linea in grassetto. Poi, per rappresentare il comportamento a lungo termine del sistema, Feigen- baum traccié una craiettoria che cominciava con una x arbitraria. Poiché ogni nuova y veniva reimmessa nella stessa funzione come nuovo ingresso, Feigen- baum poté usare una sorta di scorciatoia schematica: Ja traiettoria rimbalzava sulla linea inclinata di 45 gradi, la linea in cui la x ¢ uguale alla y. Per un ecologo, if tipo di funzione pit ovvia per La crescita di popolazione é li- neare: la sceneggiatura malthusiana di una crescita costante, illimitata, di una percentuale fissa ogni anno (a sinistra). Funzioni pit realistiche formavano un arco: la popolazione, una volta raggiunto un punto troppo alto, deciinava. Viene qui illustrata la «mappa logisticas, una parabola perfetta, definita dalla funzione y= rx(1-x), dove il valore di r, comprese fra 0 e 4, determina la ripi- dita o meno della parabola. Feigenbaum scopri perd che non importava quale tipo di arco esattamente egli usasse; i particolari dell’equazione non interessa- vano. Quel che contava era che la funzione doveva avere una «gobbar. Il comportamento dipendeva peré sensibilmente dalla ripidita: il grado di non-linearita, 0 quello che Robert May chiamd «boom-and-bustiness», gli alti e bassi, Una funzione dalla curva troppo bassa avrebbe condotto all'estinzione. Qualunque fosse stata la popolazione di partenza si sarebbe infine giunti a ze- ro. Aumentando la ripidiea si sarebbe prodotto quell'equilibrio costante che era nelle previsioni di un ecologo tradizionale: quel punto, che attraeva verso di sé tutte le traiettorie, era um «attrattore» unidimensionale. Al di la di un certo livello, una biforcazione produceva una popolazione oscil- Jante con periodo due. Poi si sarebbero avuti altri raddoppiamenti di periodo, ¢ infine (@ destra in basso) la traiettoria si sarebbe rifiutata di stabilizzarsi. Immagini come queste furono un punto di partenza per Feigenbaum quando tentd di costruire una teoria. Egli comincid a pensare in termini ricorsivi: fun- zioni di funzioni ¢ funzioni di funzioni di funzioni, e via dicendo: mappe con due gobbe, ¢ poi con quattro, .. rabole. Non aveva nulla a che fare con nessuna particolare fun- zione. Ma perché? Era una cosa frustrante. La natura aveva sco- stato per un istante un lembo di una cortina e aveva permesso di gettare un rapido sguardo su un ordine inatteso. Che cos'altro Cera dietro quella cortina? Quando gli venne l'ispirazione, fu in forma di una figura, un'immagine mentale di due piccole forme ondulate e di una forma pid grande. Questo era tutto: un’immagine chiara, netta, scolpita nella sua mente: non pit, forse, della parte superiore vi- sibile di un immenso iceberg di elaborazione mentale che si estendeva in profondita al di sotto della linea di galleggiamento della coscienza, Quell'immagine aveva a che fare con Yinvarian- za di scala e diede a Feigenbaum I’'indicazione di cui aveva biso- gno sulla via da seguire. Fgli stava studiando gli attrattori. L'equilibrio stazionario raggiunto dalle sue funzioni ¢ un punto fisso che attrae tutti gli altri: quale che sia la «popolazione> di partenza, essa rimbalzera costantemente verso l’attrattore. Poi, col primo raddoppiamen- to di periodo, Vattrattore si scinde in due, come una cellula im- pegnata nella divisione. Dapprima questi due punti sono prati- camente uniti; poi, alY’aumentare dei parametri, si allontanano. Successivamente si ha un altro raddoppiamento di periodo: ogni punto dell’attrattore si divide di nuovo, nello stesso istante. Il humero di Feigenbaum gli permetteva di predire quando si sa- rebbero verificati i raddoppiamenti di periodo. Ora egli scopri di poter predire anche i precisi valori di ciascun punto su questo attrattore sempre pil complicato: due punti, quattro punti, ot- to punti... Era in grado di predire le reali popolazioni raggiunte nelle oscillazioni da un anno all’altro. C’era anche un’altra con- vergenza geometrica. Anche questi numeri obbedivano a una legge di invarianza di scala. Feigenbaum stava esplorando un terreno intermedio dimen- ticato fra matematica e fisica. II suo lavoro era difficile da classi- ficare. Non era matematica, giacché egli non stava dimostrando nulla, Stava studiando numeri, si, ma i numeri sono per un ma- tematico quel che sacchetti di monete sono per il funzionario di una banca specializzata nel collocamento di emissioni di titoli: nominalmente Ja materia prima della sua professione, ma in realta oggetti troppo grossolani e particolari perché valga la pe- na di sprecarci del tempo. Le idee sono la vera moneta dei mate- matici. Feigenbaum stava eseguendo un programma di fisica e, per quanto strano potesse sembrare, era quasi una sorta di fisica sperimentale. 178 Tl suo oggetto di studio, anziché mesoni e quark, erano nu- meri e funzioni. Essi avevano traiettorie e orbite. Feigenbaum aveva bisogno di investigarne il comportamento. Gli occorreva — per usare un’espressione che sarebbe diventata uno stereotipo della nuova scienza — creare un ‘intuizione. 1] suo acceleratore e la sua camera a nebbia erano if computer. Assieme alla sua teo- ria stava costruendo una metodologia. Di solito l’utente di un computer formulava un problema, lo introduceva nella macchi- na e attendeva che questa gli calcolasse la soluzione: un proble- ma, una soluzione. Feigenbaum e i ricercatori sul caos avevano bisogno di molto di pit. Essi avevano bisogno di fare quel che aveva fatto Lorenz, di creare universi in miniatura e osservarne Yevoluzione. Poi potevano modificare questo o quell’elemento e osservare le traiettorie mutate che ne risultavano. Erano armati della nuova convinzione che minuscoli mutamenti in certi carat- teri potevano condurre a mutamenti considerevoli nel compor- tamento complessivo. Feigenbaum scopri ben presto quanto poco i computer di Los Alamos fossero adatti allo stile di calcolo che egli voleva svi- luppare. Nonostante la disponibilita di risorse enormi, molto su- periori a quelle della maggior parte delle universita, Los Alamos aveva pochi terminali capaci di rappresentare grafici e figure, ¢ quei pochi erano alla Divisione Armamenti. Feigenbaum voleva prendere dei numeri e registrarli sotto forma di punti in un dia- gramma. Dovette far ricorso al metodo piii primitive concepibi- le: lunghi rotoli di carta che usciva dalla stampante con linee fatte stampando righe di spazi bianchi seguiti da un asterisco 0 da un segno pitt. Secondo la politica ufficiale di Los Alamos un grande computer era preferibile a molti piccoli computer: una politica ch¢ si accordava con l'indirizzo tradizionale un proble- ma una soluzione. L’uso dei piccoli computer veniva scoraggia- to. Inolere, l"acquisto di un computer da parte di una divisione doveva uniformarsi a rigorosi orientamenti della pubblica am- Ministrazione e sottostare a un controllo formale. Soltanto in se- guito, con la complicit finanziaria della Divisione Teorica, Fei- genbaum riusci a farsi assegnare una «calcolatrice da tavolo» da 20.000 dollari. Allora riusci a modificare le sue equazioni e le sue figure nel corso del programma, usando il computer nello stesso modo in cui si usa uno strumento musicale, intervenendo su tasti e corde per modificare i suoni. A quel tempo gli unici terminali capaci di serie visualizzazioni grafiche si trevavano nelle aree di alta sicurezza: dietro il recinto, nel gergo locale. Feigenbaum dovette usare un terminale collegato per mezzo di 179 linee telefoniche a un computer centrale. La realta del lavoro in tali condizioni rendeva difficile apprezzare la vera potenza del computer all’altro capo del filo, Persino i compiti pi semplici richiedevano minuti. Per correggere una riga di un programma si doveva premere il tasto Return e attendere mentre il termina- le continuava a ronzare e il computer centrale giocava il suo gi- rone all'italiana con tutti gli altri utenti in laboratorio. Mentre faceva i suoi calcoli, Feigenbaum pensava. Quale nuova matematica poteva produrre i modelli multipli con inva- rianza di scala che egli stava osservando? Feigenbaum si rese conto che in queste funzioni doveva esserci qualcosa di ricorsivo, di autoreferenziale, e che il comportamento di una poteva essere guidato dai comportamento di un’altra naseosta al suo interno. L'immagine ondulata che gli era venuta in un momento di ispi- razione esprimeva qualcosa sul modo in cui una funzione poteva essere modificata conformemente a una legge di invarianza di scala per corrispondere a un'altra. Egli applicd la matematica della teoria del gruppo di rinormalizzazione, col suo uso della legge di invarianza di scala, per ridurre gli infiniti a quantita trattabili. Nella primavera del 1976 inizid un ritmo di vita pit intenso rispetto a quello che aveva condotto precedentemente. Si concentré come se si fosse trovato in uno stato di trance, pro- grammando furiosamente, scarabocchiando con la matita e tor- nando a programmare. Non poteva chiamare la Divisione C per chiedere aiuto perché cid avrebbe significato scollegare il com- puter per poter usare i] telefono, e il ripristino del collegamento era soggetto al caso. Non poteva fermarsi a pensare per pit di cinque minuti, perché in tal caso il computer sconnetteva auto- maticamente la sua linea. Ogni tanto, comunque, il computer doveva scollegarsi, lasciandolo tremante per V'immissione in cir- colo di scariche di adrenalina. Lavord per due mesi senza pause. La sua giornata di lavoro durava ventidue ore. Cercava di anda- re a dormire in una sorta di stordimento e si risvegliava due ore dopo con i pensieri esattamente dove li aveva lasciati. La sua dieta era composta esclusivamente da caffé. (Anche quando era in buona salute e tranquillo, Feigenbaum viveva solo di carne, Ja pitt rossa possibile, caffé e vino rosso. J suoi amici pensavano che doveva prendere le vitamine dalle sigarette.)!” Infine fu allontanato dal lavoro da un medico, che gli pre- serisse un moderato regime di Valium e una vacanza obbligata. Ma a quel punto Feigenbaum aveva creato una teoria univer- sale. 180 L'universalita faceva la differenza fra bello e utile. 1 matemati- ci, oltre un certo punto, non si preoccupano se stanno o no for- nendo una tecnica per il calcolo, | fisici, oltre un certo punto, hanno bisogno di numeri. L’universalita offriva la speranza che, tisolvendo un problema facile, i fisici potessero poi pervenire con la stessa tecnica a risolvere problemi molto pit difficili. Le soluzioni sarebbero le stesse. Inoltre, collocando la sua teoria nella cornice del gruppo di rinormalizzazione, Feigenbaum le diede una veste tale che i fisici potessero riconoscerla come uno strumento per il calcolo, qualcosa di quasi standard. Ma cid che rese utile l'universalita 1a rese anche difficile da credere per i fisici. Universalica significava che i diversi sistemi si comportano in modo uguale. Ovviamente Feigenbaum stava so- lo studiando semplici funzioni numeriche. Egli credeva perd che la sua teoria esprimesse una legge naturale su sisterni al punto di transizione fra l'ordinato e il turbolento. Tutti sapevano che la turbolenza significa uno spettro continuo di frequenze diverse, e tutti si erano chiesti da dove venissero tali frequenze. D’improv- viso si potevano vedere le frequenze originarsi in sequenza.'* L’implicazione fisica era che i sistemi del mondo reale si com- portassero nello stesso modo ricenoscibile, e inoltre che questo modo risulterebbe lo stesso anche se si procedesse a misurazioni esatte. L’universalita di Feigenbaum non era solo qualitativa, ma quantitativa; non solo strutturale ma metrica. Essa non si estendeva solo a strutture ma a numeri precisi. Per un fisico, tutte questo sottoponeva a dura prova la credulita. Vari anni dopo Feigenbaum conservava ancora in un casset- to, da dove poteva estrarle prontamente, le lettere di rifiuto del suo articolo. Ma a quest’epoca aveva avuto tutto il riconosci- mento di cui aveva bisogno. Le sue ricerche a Los Alamos gli erano valse premi e riconoscimenti che gli avevano apportato prestigio e denaro. !° Gli bruciava peré ancora il ricordo che i di- rettori delle principali riviste accademiche avessero giudicato il suo articolo indegno di pubblicazione per due anni. La tesi che ja sua ricerca rappresentasse un progresso scientifico cosi origi- nale e inatteso da renderla improponibile per la pubblicazione ha tutta l'aria di un mito un po’ appannato. La scienza moder- na, col suo vasto flusso di informazione e il suo sistema imparzia- le delle letture-consulenze da parte di colleghi, non dovrebbe es- seTe una questione di gusto. Un direttore di rivista che restitui a Feigenbaum un suo manoscritto con parole di circostanza rico- nobbe anni dopo di avere rifiutato un articolo che era un punto di svolta per il settore; e nondimeno sosteneva ancora che l’arti- colo di Feigenbaum non era adatto al pubblico della sua rivi- 1§l sta, che era formato da specialisti di matematica applicata. Nel frattempo, anche senza pubblicazione, il progresso fatto segnare da Feigenbaum suscitd un grandissimo interesse in taluni am- bienti di matematica e di fisica. Il nocciolo della teoria si era propagato nello stesso modo in cui si propaga oggi la maggior parte della scienza, ossia attraverso conferenze e «preprint». Fei- genbaum descrisse la sua ricerca in alcune conferenze, e le ri- chieste di fotocopie dei suoi articoli gli arrivarono a decine e poi a centinaia. L’economia moderna si fonda in gran parte sulla teoria del mer- cato efficiente. Si suppone che la conoscenza fluisca liberamente da un luogo all’altro. Si suppone inoltre che Je persone che pren- dono decisioni importanti abbiano accesso pil o meno allo stes- so corpus di informazione. Ovviamente qua e 1a rimangono sac- che di ignoranza o di informazione esclusiva, ma nel complesso, una volta che la conoscenza sia pubblica, gli economisti suppon- gono che essa sia nota dappertutto. Spesso gii storici della scien- za danno per scontata una sorta di teoria del mercato efficiente tutta loro. Quando si fa una scoperta, quando si esprime un’i- dea, si suppone che essa diventi proprieta comune del mondo scientifico. Ogni scoperta e ogni nuova intuizione viene costruita sulla precedente. La scienza cresce come un edificio, mattone su mattone. Le cronache intellettuali possono essere, a ogni fine pratico, lineari. Una tale concezione della scienza funziona'nel modo miglio- re quando una disciplina ben definita attende la soluzione di un problema ben definito. Nessuno, per esempio, fraintese la sco- perta della struttura molecolare del DNA. Ma la storia delle idee non @ sempre cosi semplice. Quando alla periferia di varie discipline sorse una scienza non lineare, il flusso di idee non riu- sci a seguire la logica ortodossa degli storici. L’emergere del caos come entita a sé fu una storia non solo di nuove teorie e di nuove scoperte, ma anche della tardiva comprensione di vecchie idee. Molti pezzi del rompicapo erano gia stati percepiti da tempo — da Poincaré, da Maxwell e persino da Einstein — ¢ poi dimenti- cati. Molti nuovi pezzi furono compresi dapprima solo da spe- cialisti. Una scoperta in matematica veniva compresa solo da matematici, una scoperta in fisica da fisici, una scoperta in me- teorologia da nessuno. Il modo in cui si diffondono le idee di- venne altrettanto importante del modo in cui avevano origine. Ogni scienziato aveva una costellazione privata di genitori intellettuali. Ognuno aveva la sua propria immagine del paesag- 182 gio di idee, e ciascuna immagine era a modo proprio limitata. La conoscenza era imperfetta. Gli scienziati risentivano delle tradizioni della propria disciplina o dell'itinerario accidentale della propria formazione. Il mondo scientifico pud essere sor- prendentemente finito, Non fu un comitato di scienziati a spin- gere la storia in un nuovo canale: fu un pugno di individui, con le proprie percezioni individuali e i propri obiettivi individuali. In seguito comincid a prendere forma un consenso su quali innovazioni € quali contributi fossero stati pid influenti. Ma il consenso implicé un certo elemento di revisionismo. Nel calore della scoperta, particolarmente verso la fine degli anni Settanta, non ci furono due fisici, e neppure due matematici, che com- prendessero il caos esattamente nello stesso modo. Uno scienzia- to abituato a sistemi classici senza attrito o senza dissipazione si collocava in una linea genealogica che discendeva da scienziati Tussi come A. N. Kolmogorov e V. I. Arnold. Un matematico abituato a sistemi dinamici classici considerava con maggior fa- vore una linea che andava da Poincaré a Birkhoff a Levinson a Smale. In seguito la costellazione delle figure che un matemati- co considerava suoi capostipiti avrebbe potuto incentrarsi su Smale, Guckenheimer, May e Yorke. Oppure egli avrebbe potu- to attribuire maggiore importanza a una serie di antecedenti as- sociati a Los Alamos: Ulam, Metropolis, Stein. Un fisico teorico poteva pensare a Ruelle, Lorenz, Gossler e Yorke. Un biologo pensava piuttosto a Smale, Guckenheimer, May e Yorke. Le combinazioni possibili erano infinite. Uno scienziato che lavo- rasse sui materiali — un geologo o un sismologo — avrebbe rico- nosciuto l'influenza diretta di Mandelbrot; un fisico teorico avrebbe a stento ammesso di conoscerne il nome. Hruolo di Feigenbaum divenne una fonte speciale di contro- versie. Molto tempo dopo, quando egli era ormai quasi celebre, alcuni fisici si prodigarono col massimo impegno per poter cita- re altre persone che avevano lavorato sullo stesso problema nello stesso periodo, anno pitt anno meno. Alcuni lo accusarono di es- sersi concentrato in modo troppo ristretto su una piccola parte dell'ampio spettro del comportamento caotico. La «. Aveva avuto inizio un movimento, e la scoperta dell’univer- salita stimolava a proseguire gli sforzi. Nell’estate del 1977 due fisici, Joseph Ford e Giulio Casati, organizzarono il primo conve- gno su una scienza chiamata caos.* Esso si tenne a Como. Vi parteciparono un centinaio di persone: per lo pid fisici, ma an- che scienziati curiosi appartenenti ad altri campi. «Mitch aveva visto luniversalita e aveva trovato come operasse nel passaggio da una scala all’altra, e aveva elaborato un modo per ottenere il caos che era intuitivamente attraente», disse Ford. «Era la prima volta che avevamo un modello chiaro che chiunque potesse capi- re, Ed era una di quelle cose di cui era venuto il tempo. In varie discipline, dall’astronomia alla zoologia, c’erano persone che stavano facendo te stesse cose, pubblicando nei loro periodici di- sciplinari ristretti, senza rendersi assolutamente conto che in al- tri campi c’erano persone che stavano occupandosi delle stesse cose. Essi pensavano di essere soli, ed erano considerati un po’ eccentrici nella propria disciplina. Avevano esaurito le doman- de semplici che ci si poteva porre e cominciavano a preoccuparsi di fenomeni che erano un po’ pit complicati. E queste persone erano commuosse fino alle lacrime nelle scoprire di essere in com- pagnia di tutti quegli altri». ** In seguito Feigenbaum visse in una casa disadorna, un letto in una stanza, un computer in un’altra e, nella terza, tre nere torri di apparecchi hi-fi per ascoltarsi Ja sua collezione di musica soli- damente germanica. II suo unico esperimento di arredamento domestico, l’acquisto di un costeso tavolino da caffé durante il soggiormno in Italia, si era concluso in un insuccesso. Quando il tavolo gli era arrivato, infatti, aveva ricevuto una scatola piena di frammenti di marmo. Pile di articoli e di libri ricoprivano le pareti. Parlava rapidamente, i lunghi capelli, in cui ora il grigio si mescolava al castano, tirati indietro sulla fronte. «Qualcosa di vistoso accadde negli anni Venti.?” Senza che ci fosse una buona ragione, i fisici si imbatterono in una descrizione essenzialmente corretta del mondo che li circondava, poiché la teoria quantisti- caé in un certo senso essenzialmente corretta. Essa ti dice come puoi prendere della spazzatura e costruirci dei computer. E cosi che abbiamo imparato a manipolare i] nostro universo. Nello 185 stesso modo si fanno le sostanze chimiche ¢ la plastica ¢ tutto il Testo. Sappiamo come calcolare con essa. E una teoria straordi- nariamente buona, se si prescinde dal fatto che a qualche livello ci mette di fronte a situazioni strane. Una parte del quadro é mancante. Se ci si chiede che cosa si- gnifichino realmente le equazioni e quale sia la descrizione del mondo secondo questa teoria, essa non é una descrizione che im- plichi la nostra intuizione del mondo. Possiamo pensare una particella in movimento come se avesse una traiettoria, ma non ci permesso di visualizzarla in questo modo, Se cominciamo a formulare domande sempre pit sottili — che cosa ci dice questa teoria sull’aspetto del mondo? —, in definitiva la risposta che ot- teniamo é cosi lontana dal nostro modo normale di raffigurarci le cose che si incorre in ogni sorta di conflitti. Ora, pud darsi che cosi sia veramente il mondo. Ma non sappiamo con certezza che non esista un altro modo di riunire tutta questa informazione il quale non richieda un allontanamento cosi radicale dal medo in cui conosciamo intuitivamente le cose. In fisica c’é una supposizione fondamentale, ed é che il mo- do per comprendere il mondo dev’essere quello di tenerne isolati gli ingredienti finché non si siano comprese le cose che si ritiene siano veramente fondamentali. $i sappone quindi che le altre cose che non si comprendono siano solo dettagli. L’assunto é che ci sia un piccolo numero di principi, che si possono discernere guardando le cose nel loro stato puro — questa é la vera nozione analitica —, e che poi in qualche modo si compongano questi principi in modi pit complicati quando si vogliono risolvere problemi meno puri. Sempre che c7 si riesca. In definitiva, per capire occorre cambiare rapporto. Si deve ricostruire in che modo si concepiscono le cose importanti che stanno accadendo. Si sarebbe potuto tentare di simulare un mo- dello di un sistema fluido con un computer. Una cosa del genere comincia solo ora a essere possibile. Ma sarebbe stato uno spreco di energie, poiché cid che accade realmente non ha niente a che fare con un fluido o con una particolare equazione. Si tratta di fornire una descrizione generale di cié che accade in una grande varieta di sistemi quando delle cose operano ripetutamente su se stesse. Si richiede un modo diverso di riflettere sul problema. Quando lei guarda che cosa c’é in questa stanza — della ro- baccia la, una persona seduta qui, e delle porte —, lei dovrebbe prendere i principi elementari della materia e scrivere le funzio- ni d’onda per descriverli. Beh, questa non é una cosa realizzabi- le. Forse Dio potrebbe farlo, ma non esiste alcun pensiero anali- tico in grado di comprendere un tale problema. 186 Non é una questione accademica neppure chiedersi che cosa accadra a una nuvola. La gente é avida di sapere, ¢ in conse- guenza di cid c’é del denaro disponibile a questo scopo. Tale problema rientra completamente nell'ambito della fisica ed un problema in gran parte dello stesso calibro. Si cerca di capire qualcosa di complicato, e il modo attuale di risolverlo é quello di cercare di osservare il maggior numero di punti possibile, un numero di punti sufficiente per poter dire dov'é la nuvola, dové Varia calda, qual é la sua velocita e via dicendo., Poi si introdu- cono questi dati nel computer pia grande che ci si pud permette- re e si tenta di ottenere una stima di quel che accadra poi. Ma tutto questo non é molto realistico». Spense una sigaretta e ne accese un'altra. «Si devono cercare vari modi. Si devono cercare strutture che presentino un’inva- vianza di scala, vedere come grandi particolari si riferiscano a piccoli particolari. Si osservano perturbazioni nei fluidi, struttu- re complicate in cui la complessita si é instaurata in conseguenza di un processo persistente. A un qualche livello non ci si preoc- cupa molto di quale sia la grandezza del processo: potrebbe esse- re indifferentemente della grandezza di un pisello come di una palla da basket. Il processo non si preoccupa di sapere dove si trova, e neppure da quanto tempo é in corso. Le uniche cose che possano essere universali, in un certo senso, sono le cose che pre- sentano un'invarianza di scala. In un certo senso, l’'arte @ una teoria sul modo in cui il mon- do appare agli esseri umani. E ovvio che non conosciamo nei particolari il mondo che ci circonda. Il merito degli artisti @ quello di essersi resi conto che ci sono solo poche cose importan- ti, e poi di vedere quali siano. Quindi possono fare un po’ della mia ricerca per me. Se si considerano le opere giovanili di Van Gogh, in esse ci sono triliardi di particolari, nei suoi quadri c’é sempre una quantita immensa di informazione. E chiaro che egli si rese conto di quale quantita irriducibile di contenuto ci si dovesse mettere. Oppure si possono studiare gli orizzonti nei di- segni a inchiostro olandesi del Seicento, con minuscoli alberi mucche che sembrano molto reali. Se si guarda attentamente, gli alberi hanno una sorta di confine del fogliame, ma la cosa non funzionerebbe se fosse tutto qui: in realta ci sono anche, at- taccati, pezzettini di materia simili a ramoscelli, C’@ un gioco ben preciso fra le testure pid tenui e le forme con linee pitt mar- cate. In qualche modo Ja combinazione ci da una percezione corretta. Ruysdael e Turner, se si guarda in che modo costrui- scono complesse superfici d’acqua, lo fanno chiaramente in un 187 modo iterativo. C’é un qualche livello di materia, e poi materia dipinta su quella, e poi correzioni apportate a quest’ultima. Per quei pittori i liquidi turbolenti sono sempre qualcosa che ha in sé un'idea di invarianza di scala. Io vorrei davvero sapere come descrivere le nuvole. Penso pe- r6 che dire che qui c’é una parte con tanta densita ¢ poi una par- te con tanta altra densita — accumulare un’informazione cosi dettagliata — sia sbagliato. Questo non é certamente il mado in cui un essere umano percepisce le cose, e non é il modo in cui le percepisce un artista. E neppure il fatto di scvivere equazioni differenziali parziali ci avvicina di pid alla verita sul problema. In qualche modo, la mirabile promessa de!la Terra é che in essa ci sono belle cose, cose meravigliose e seducenti, e che in vir- ta del nostro lavoro noi vogliamo conoscerle», Pos la sigaretta. I} fumo sali dal portacenere, dapprima in una sottile colonna e poi (con una sorta di assenso all’universali- ta) awolgendosi in volute spezzate che salirono a spirale verso il soffitco. LO SPERIMENTATORE E un’esperienza diversa da qualsiasi altra esperienza io sia in grado di descrivere, la cosa migliore che possa succedere a uno scienziato, rendersi conto che qualcosa che é accaduto nella sua mente corrispon- de esattamente a qualcosa che accade in natura. E una cosa sorprendente ogni volta che capita. Si ri- mane sorpresi che una costruzione della propria mente possa realmente realizzarsi nel genuino mon- do esterno. Un grande sbalordimento, ¢ una gran- de, grande gioia. Leo KaDANOFF «Albert sta invecchiando». Cosi si diceva all’ Ecole Normale Su- périeure, Vistituto che, assieme all’ Ecole Polytechnique, é al ver- tice della gerarchia dell'istruzione in Francia.! Ci si chiedeva se Peta non stesse esigendo prematuramente i] suo tributo da Al- bert Libchaber, che gia giovanissimo si era fatto un nome come fisico delle basse temperature, studiando il comportamento quantistico dell’elio superfluido a temperature vicinissime allo zero assoluto. Egli aveva prestigio e un posto sicuro nel personale docente. E ora, nel 1977, stava sprecando il suo tempo e le risor- se dell'universita in un esperimento che sembrava banale. Lo stesso Libchaber, preoccupato di mettere in pericolo la carriera di ogni studente che avesse cooperato con lui in tale progetto, si procuré l’assistenza di un ingegnere di professione. Libchaber era nato a Parigi cinque anni prima che essa fosse invasa dai tedeschi. I suoi genitori erano ebrei polacchi, suo nonno era rabbino. Sopravvisse alla guerra nello stesso modo di Mandelbrot, nascondendosi in campagna, separato dei genitori il cui accento era troppo pericoloso.? I genitori riuscirono a so- prawivere; il resto della famiglia cadde in mano ai nazisti. Per un curioso ghiribizzo del destino politico, Libchaber riusci a sal- varsi la vita grazie alla protezione di un capo locale della polizia segreta di Pétain, un uomo le cui ferventi convinzioni di destra erano uguagliate solo dall'altrettanto fervente antirazzismo. Do- po la guerra il ragazzo di dieci anni restitui il favore. Testimo- nid, comprendendo solo a meta la portata della sua testimo- nianza, dinanzi a una commissione per i crimini di guerra, e la testimonianza salvé il suo salvatore. Entrato nel mondo della scienza accademica francese, Lib chaber fece carriera, e la sua intelligenza brillante non fu mai 189 messa in discussione. A volte i colleghi pensavano che fosse un po’ strambo: un mistico ebreo in mezzo ai razionalisti, un golli- sta mentre molti scienziati erano comunisti. Scherzavano sulla sua teoria dei grandi uomini che facevano la storia, sulla sua fis- sazione per Goethe, sulla sua ossessione per i vecchi libri. Posse- deva centinaia di edizioni originali di opere scientifiche, alcune delle quali risalenti al Seicento. Le leggeva non come curiosita storiche, ma come fonte di idee nuove sulla natura della realta, quella stessa realta che stava sondando con i sui laser e con le spire di refrigerazione messe a sua disposizione dall’alta tecnolo- gia. Nell'ingegnere che coliaborava con lui, Jean Maurer, trovd uno spirito affine, un francese che lavorava solo quando ne ave- va voglia. Libchaber pensava che Maurer avrebbe trovato il suo nuovo progetto divertente — amusant —, il suo eufemismo atte- nuativo per interessante o eccitante o profondo. Nel 1977 i due cominciarono a costruire un esperimento per rivelare l'inizio della turbolenza. ' Come sperimentatore, Libchaber era noto per avere uno sti- le ottocentesco: mente acuta, mani abili, preferiva sempre l'in- ventiva alla forza bruta. Non aveva simpatia per la tecnologia gigantesca e per i grandi calcoli. La sua idea di un buon esperi- mento era simile all'idea che un matematico ha di una buona dimostrazione. L’eleganza contava non meno dei risultati. Cid nonostante alcuni calleghi pensavano che, col suo esperimento sull'inizio della turbolenza, egli stesse portando le cose troppo avanti, Era un apparato tanto piccolo da poter essere portato in giro in una scatola di fiammiferi: e a volte Libchaber lo portd effettivamente con sé, come una specie di opera di arte concet- tuale. Lo chiamava «Elio in scatola».} II cuore dell’esperimento era ancora pitt piccolo, una cella grande press'a poco quanto un seme di limone, intagliata in acciaio inossidabile con gli spigoli ¢ le pareti pit fini possibili. Nella cella veniva introdotto elio li- quido raffreddato a circa quattro gradi al di‘sopra dello zero as- soluto, una temperatura relativamente alta rispetto ai vecchi esperimenti di Libchaber sui superfluidi. Il laboratorio occupava il secondo piano nell’edificio di fisica dell’Ecole a Parigi, a poche centinaia di metri dal vecchio labo- ratorio di Louis Pasteur. Come ogni buon laboratorio di fisica generale, quello di Libchaber era immerso in uno stato di co- stante disordine: barattoli di metallo e strumenti disseminati sul pavimento e sui tavoli, pezzi di metallo e di plastica di varia grandezza sparsi dappertutto. In mezzo alla confusione, l’appa- recchiatura che conteneva Ja minuscola cella di fluido di Lib- 190 ‘bagno di elo. tubo di alimentazione dell’elio contatte termico. sarbatoio dell” alia bolometro dl regolazione sonda tocale — conduttor dl corrente—” conduttori di corrente guarnizioni di Teflon -.parete di acciaio inossidabile wuoto: Ry bolometro a lastra interlore iscaldamento: ‘Sonda locale di Allen Sradiey «Elio in scatolas, Il delicato esperimento di Albert Libchaber: il nocciolo del- Vesperimento era una cella rettangolare costruita con cura contenente elio Ii quido; piccolissimi «bolometri» di zaffiro misuravano la temperatura del flui- do. La minuscola cella era racchiusa in un involucro appositamente progettato per isolarla dal rumore e da vibrazioni e per consentire un preciso contrallo della temperatura. chaber era un minuscolo sorprendente elemento di funzionalita. Sotto la cella d’acciaio inessidabile c’era una lamina di rame pu- rissimo. Sopra, c’era una lamina di cristallo di zaffiro. I mate- riali erano stati scelti in relazione alla loro conducibilita termi- ca. C’esano minuscole spire per il riscaldamento elettrico € guarnizioni di Teflon. L’elio liquido scendeva da un serbatoio del volume di 8 centimetri cubi. L’intero sistema era contenuto all’interno di un recipiente in cui veniva mantenuto un vuoto spinto. Il recipiente, a sua volta, era situato in un bagno di azoto liquido, come ausilio a stabilizzarne la temperatura. Libchaber era sempre preoccupato per la possibilita di vi- brazioni. Gli esperimenti, come i sistemi non jjneari reali, esiste- vano contro uno sfondo costante di rumore. I] rumore ostacola- va le misurazioni e inquinava i dati. In flussi sensibili — e Lib- chaber si proponeva di rendere il flusso nel suo apparato speri- 191 mentale il pitt sensibile possibile — il rmmore poteva perturbare in misura considerevole un flusso non lineare, facendolo passare da un tipo di comportamento a un altro. Ma la non-linearita pud non solo destabilizzare un sistema, bensi anche stabilizzarlo. Una retroazione non lineare regola il moto, rendendole pit resi- stente a perturbazioni esterne. In un sistema lineare una pertur- bazione ha un effetto costante. In presenza di non-linearita, una perturbazione pud retroagire su se stessa fino a estinguersi e il si- stema ritorna automaticamente a une stato stabile. Libchaber credeva che i sistemi biologici usassero la loro non-linearita co- me una difesa contro il rumore. Il trasferimento di energia per mezzo di proteine, il moto ondulatorio dell'elettricita cardiaca, il funzionamento del sistema nervoso: tutte queste attivita con- servavano la loro versatilita in un mondo pieno di rumore. Lib- chaber sperava che, qualsiasi struttura fosse stata alla sua base, il flusso del fluido si dimostrasse abbastanza persistente da poter essere scoperto dal suo esperimento. Il suo piano era quello di creare una convezione nell’elio li- quido rendendo la piastra inferiore pit calda di quella superio- re, Era esattamente il modello di convezione descritto da Ed- ward Lorenz, il classico sistema noto come convezione di Ray- leigh-Benard. Libchaber non era ancora al corrente delle ricer- che di Lorenz. E neppure aveva idea della teoria di Mitchell Fei- genbaum. Nel 1977 Feigenbaum stava cominciando a percorre- re il circuito delle conferenze scientifiche, e le sue scoperte stava- no lasciande la loro impronta 1a dove gli scienziati sapevano in- terpretarle. Ma, a quanto la maggior parte dei fisici poteva dire, i modelli ¢ le regolarita della feigenbaumologia non avevano al- cuna connessione manifesta con i sistemi reali. Quei modelli uscivano da una calcolatrice. I sistemi fisici erano infinitamente pig complicati. In assenza di altre prove, il massimo che chiun- que potesse dire era che Feigenbaum aveva scoperto un‘analogia matematica che sembrava simile allinizio della turbolenza. Libchaber sapeva che esperimenti americani e francesi ave- vano indebolito la posizione di Landau sull’inizio della turbolen- za, mostrando che questa si manifestava con una transizione im- provvisa, anziché sotto forma di un continuo accumulo di fre- quenze diverse. Sperimentatori come Jerry Gollub e Harry Swin- ney, col loro flusso in un cilindro rotante, avevano dimostrato che occorreva una nuova teoria, ma non erano stati in grado di vedere in modo abbastanza chiaro e dettagliato la transizione al caos. Libchaber sapeva che nessuna immagine chiara dell'inizio delia turbolenza era emersa in alcun laboratorio, e si propose di 192 dare con Ja sua minuscola cella di fluido un quadro il pit possi- bile nitide. Circoscrivendo la propria visione si contribuisce a volte a soste- nere il cammino della scienza. Allo stato della loro conoscenza, gli specialisti di fluidodinamica avevano ragione a dubitare de]- Palto livello di precisione che Swinney e Gollub si gloriavano di avere raggiunto nel flusso di Couette. Allo stato della loro cono- scenza, i matematici avevano ragione di nutrire del risentimento verso Ruelle. Egli aveva violato le regole. Aveva proposto un’ambiziosa teoria fisica presentandola come una rigorosa pro- posizione matematica, Aveva reso difficile distinguere fra cid che supponeva e cid che dimostrava. I] matematico che si rifiuta di accettare un’idea finché essa non soddisfa i criteri della se- quenza teorema, dimostrazione, teorema, dimostrazione, svolge il ruolo che la sua disciplina gli ha prescritto: ne abbia o no co- scienza, egli sta vigilando costantemente contro le frodi e il mi- sticismo. ] direttore di un periodico che rifiuta nuove idee per- ché sono espresse in uno stile non familiare pud suscitare, spe- cialmente in chi viene colpito dal suo rifiuto, l’impressione che egli stia esercitando il controllo su un’area esclusiva per conto dei suoi colleghi affermati; in realta, peré, ha anche lui ha un ruolo da svolgere in una comunita, e ha ragione di stare in guar- dia contro persone che non hanno ancora dato buona prova di sé. «La scienza fu costruita in antagonismo a una quantita di as- surdita», come ha detto lo stesso Libchaber.* Quando i suoi col- leghi definirono Libchaber un mistico, non intesero sempre l’e- piteto in senso positivo. Libchaber era uno sperimentatore accurato e disciplinato, noto per la precisione con cui portava avanti le cose. Aveva perd un debole per quella cosa astratta, mal definita, elusiva chiama- ta flusso. Il flusso era forma pid mutamento, movimento pid forma. Un fisico, concependo sistemi di equazioni differenziali, chiamava flusso il loro movimento matematico. II flusso era un’idea platonica, supponendosi che il mutamento, in sistemi diversi, riflettesse una qualche realta comune indipendente dal particolare istante. Libchaber abbraccid I’idea platonica che luniverso fosse pieno di forme occulte. «Ma si sa bene che é cost! Lei ha visto delle foglie. Se lei guarda tutte le foglie, non é colpi- to dal fatto che il numero di forme generiche é limitato? Si po- trebbe disegnare facilmente la forma principale. Sarebbe di qualche interesse cercare di capirla. O di capire altre forme. In un esperimento, lei ha avuto modo di vedere del liquido pene- 193 trare in un altro liquido».° La sua scrivania era cosparsa di im- magini di tali esperimenti, larghe dita frattali fatte di liquido. «Ora, nella sua cucina, se accende il gas, vede che anche la fiamma ha questa stessa forma. E una forma molto generale. Universale, Non mi interessa se @ una fiamma che brucia, o un liquido in un liquido, o un cristallo solido in accrescimento: quel che mi interessa é la sua forma. A partire dal Settecento qualcuno ha cominciato a pensare che la scienza si lasciasse sfuggire l'evoluzione di forme nello spa- zio e nel tempo. Se si pensa a un flusso, lo si pud pensare in molti modi, un flusso in economia o un flusso in storia. Prima pué es- sere laminare, poi pud biforcarsi pervenendo a uno stato pi complicato, forse con oscillazioni. Poi puéd essere caoticos. L’universalita delle forme, le somiglianze alle varie scale, il potere ricorsivo di flussi entro flussi, tutto questo si situava fuori della portata dell'approccio normale del calcolo differenziale al- Je equazioni del mutamento. Ma non era facile rendersene con- to. I problemi scientifici si esprimono nel linguaggio scientifico disponibile. Finora l'espressione migliore dell'intuizione di Lib- chaber sul flusso ha avuto bisogno del linguaggio della poesia. ‘Wallace Stevens, per esempio, affermé un sentimento sul mon- do pia avanzato della conoscenza disponibile ai fisici. Egli ebbe una misteriosa intuizione sul flusso, su come esso ripete se stesso nel mutamento: . i] fiume screziato, che scorre di continuo, e mai due volte nello stesso modo, fluendo per molti hioghi, come se stesse immobile in uno. ? La poesia di Stevens comunica spesso una visione di tumulto nel- Vatmosfera € nell'acqua. Essa trasmette anche una fede sulle forme invisibili che lordine assume in natura, una convinzione che, nell’atrmnosfera senz’ombra, Ja conoscenza delle cose é dappertutto ma non percepita. Quando, negli anni Settanta, Libchaber e qualche altro speri- mentatore cominciarono a esaminare il moto dei fluidi, lo fece- ro in uno spirito simile a questo intento poetico sowersivo. Essi sospettavano l'esistenza di una connessione fra movimento € for- ma universale. Accumularono dati nell’unico modo possibile, registrando numeri o introducendoli in un computer. Poi, perd, cercarono modi di organizzazione dei dati che rivelassero le for- 194 me. Speravano di riuscire a esprimere forme in termini di movi- mento. Si convinsero che strutture dinamiche come fiamme e strutture organiche come foglie attingessero 1a loro forma a una qualche tessitura di forze non ancora compresa. Questi speri- mentatori, cui si deve 'esplorazione pit costante e determinata del caos, conseguirono il successo rifiutandosi di accettare qual- siasi realta che potesse essere congelata nell’immobilita. Neppu- re Libchaber si sarebbe spinto sino a esprimersi in termini simi- li, ma la loro concezione si avvicind molto a quello che Stevens percepi come un «evanescente gonfiarsi del solido».* Il vigore della gloria, un luccicare nelle vene quando cose emersero e si mossero e dissolsero, oin lontananza, mutamento o nulla, le trasformazioni visibili della notte d'estate, un’argentea astrazione che si approssima alla forma ed'improwviso si nega e scompare. Fu Goethe, non Stevens, a fornire l'ispirazione mistica a Libcha- ber. Mentre Feigenbaum stava cercando la Teoria det colori di Goethe nella biblioteca di Harvard, Libchaber era gia riuscito ad aggiungere alla sua collezione un’edizione originale della mo- nografia ancora meno nota sulla metamorfosi delle piante: Ver- such die Metamorphose der Pflanzen zu erkidren. Quest’opera era stata l’attacco indiretto di Goethe ai fisici, i quali, secondo lui, si interessavano soprattutto a fenomeni statici piuttosto che alle forze vitali e ai flussi che producono le forme che vediamo da un istante all'altro. Una parte del retaggio di Goethe — una parte trascurabile a quanto dicono gli storici letterari — fu un seguito pseudoscientifico in Germania e€ in Svizzera, mantenuto in vita da filosofi come Rudolf Steiner e Theodor Schwenk. Lib- chaber ammirava anche questi uomini, nella misura in cui pud ammirarli un fisico. «Caos sensibiles — Das sensible Chaos — fu lespressione usata da Schwenk per designare il rapporto fra forza e forma. Egli la usd come titolo per un curioso libriccino pubblicato per la prima volta nel 1965, che conobbe alterna fortuna ed ebbe qualche sporadica riedizione in seguito. Era un libro che si occu- pava prima di tutto dell’acqua. L’edizione inglese aveva il viati- co di una prefazione colma di ammirazione de] comandante Jac- ques- Yves Cousteau, e recava in copertina gli apprezzamenti del «Water Resources Bulletin» e del «Journal of the Institute of 195 Water Engineers». L’esposizione di Schwenk non si fregiava di alcuna pretesa di scienza, e neppure di matematica. Eppure conteneva osservazioni accuratissime. L’autore presentava una moltitudie di forme di flusso naturali guardate con occhio artista. Egii raccolse fotografie ed esegui decine di disegni pre- cisi come gli schizzi di un biologo cellulare mentre compie osser- yazioni col suo primo microscopio. Aveva un'apertura mentale e una naturalezza che avrebbero reso orgoglioso Goethe. Il flusso riempie le pagine di questo libro. Grandi fiumi co- me il Mississippi e il Leyre nel Bacino di Arcachon in Francia compiono ampi meandri nel loro cammino verso il mare. Nel mare stesso, anche la Corrente del Golfo compie meandzi, de- scrivendo anse che oscillano verso est e€ verso ovest. E un fiume gigantesco di acqua calda in mezzo ad acqua fredda, come scris- se Schwenk, un fiume che «costruisce Je sue sponde con la stessa acqua fredda».° Quando il flusso stesso é passato 0 invisibile, ri- mangono tracce del flusso. I fiumi d’aria lasciano il loro mar- chio sulla sabbia del deserto, sotto forma di onde. Il flusso del- Yalta e bassa marea iscrive una rete di vene su una spiaggia. Schwenk non credeva nella coincidenza. Credeva in principi universali e, pid che nell’universalita, credeva in un certo spirito in natura che rese Ja sua prosa sgradevolmente antropomorfica. Il suo «principio archetipo» era questo: che il flusso «desidera realizzare se stesso, senza Tiguardo al materiale circostante». w All'interno delle correnti, Schwenk sapeva che c’erano cor- renti secondarie. L’acqua che scorre in un fiume a meandri st muove, secondariamente, attorno all’asse del fiume, dirigendosi prima in profondita verso una riva per poi riattraversare il fiu- me, questa volta perd in prossimita della superficie, in direzione contraria, verso l'altra riva, come una particella che si muova a spirale attorno a una ciambella. La traiettoria di ogni particella d@’acqua forma una corda che si attorce attorno ad altre corde. Schwenk aveva limmaginazione di un topologo per tali modelli. «Questa immagine di trefoli attorti assieme in una spirale é esat- ta solo in relazione alle modalita del movimente. Si parla spesso di "trefoli” d’acqua; in realta, essi non sono singoli trefoli bensi intere superfici, le quali si intrecciano spazialmente € fluiscono Puna accanto all’altra».!! Schwenk vide ritmi in competizione in onde, onde che si sopraffacevane fra loro, superfici di divisione e strati di confine. Vide mulinelli e vortici e sequenze di vortici, interpretandoli come il «rotolamento» di una superficie su ual: tra. Qui si avvicind, per quanto era possibile a un filosofo, alla concezione della dinamica dell’approssimarsi della turbolenza 196 propria del fisico. La sua convinzione artistica assunse universa- lita. Per Schwenk i vortici significavano instabilita, e l'instabilita significava che un flusso stava lottando con una diseguaglianza in se stesso, e la diseguaglianza era «archetipa». I] rotolamento dei mulinelli, lo sviluppo finemente articolato delle felci, il cor- rugamento delle catene di montagne, l’invaginamento di organi di animali: nella sua visione tutte queste cose seguivano un'uni- ca via. Questa non aveva nulla a che fare con qualsiasi mezzo particolare, o con un particolare tipo di differenza. Le disegua- glianze potevano essere lente e rapide, calde e fredde, dense ¢ te- nui, salate e dolci, viscose e fluide, acide e alcaline. Al loro con- fine, fiorisce la vita. * La vita fu perd il territorio di D'Arcy Wentworth Thompson. Questo straordinario naturalista scrisse nel 1917: «Pud darsi Flussi a meandri e a spirali, Theodor Schwenk ritrasse te correnti di flussi natu- rali con complicati moti secondari. «Non sono perd in realta singoli filaments, scrisse, «bensl intere superfici che si intrecciano spazialmente...» 197 che tutte le leggi dell'energia, tutte le proprieta della materia, tutta la chimica di tutte le soluzioni colloidali siano altrettanto impotenti a spiegare i corpi quanto lo sono a descrivere l'anima. Ma ic non lo credo».'5 D'Arcy Thompson apportd allo studio della vita proprio cid che sarebbe mancato fatalmente a Sch- wenk: la matematica. Schwenk ragionava per analogia. La sua argomentazione — spirituale, fiorita, enciclopedica — si ridu- ceva in ultima analisi a uno sfoggio di somiglianze. Il capolavoro di D'Arcy Thompson, On Growth and Form, aveva qualcosa dell'umore di Schwenk e anche qualcosa del suo metodo. II let- tore moderno si chiede quanto credito si debba dare ai disegni meticolosi di goccioline multiple di liquidi, sospese in sinuosi vi- ticci, presentate accanto a meduse dalle forme sorprendente- Discesa di gocce. D'Arcy Wentworth Thompson illustr® i fili e calonne sospesi formati da gocce d'inchiostro lasciate cadere nell’acqua (a sinistra) e da medu- se (a destra). «Un risuitato estremamente curioso... consiste nel mostrare come queste gocce... siano sensibili a condizioni fisiche, Usando infatii sempre la stessa gelatina. e semplicemente variando la densita del fluido nel terzo deci- male, otteniamo una grande varietd di configurazioni, dalla comune goccia che pende alla stessa con una struttura costolata...= 198 mente simili. E questo solo un caso di improbabile coincidenza? Se due forme hanno un aspetto simile, dobbiamo cercare cause simili? D'Arcy Thompson @ senza dubbio i] biologo pit influente che abbia operato ai margini della scienza legittima. La rivoluzione del XX secolo in biologia, che era ben avanzata al suo tempo, lo sfiord senza toccarlo. Egli ignord la chimica, fraintese la cellula enon avrebbe certo potuto prevedere l’esplosivo sviluppo della genetica. I] suo stile, persino al suo tempo, sembrava troppo classico e letterario — troppo bello — per essere attendibilmen- te scientifico. Nessun biologo moderno ha bisogno di leggere D’Arcy Thompson. Eppure in qualche modo i massimi biologi si sentono attratti verso il suo libro. Sir Peter Medawar lo defini «senza confronto [opera letteraria pit bella in tutti gli annali della scienza che sia mai stata scritta in lingua inglese».'* Ste- phen Jay Gould non trové un antecedente intellettuale migliore cui far risalire la sua crescente convinzione che la natura eserciti una costrizione sulla forma delle cose. «Pochi... si erano chiesti se tutti i modelli potessero essere ridotti a un singolo sistema di forze generatrici», come si espresse Gould. Quanto pit ci pensava, perd, tanto meno sapeva su che cosa fosse una conget- 213 tura intelligente, o che cosa facesse realmente il metodo di New- ton. La congettura geometrica owvia sarebbe stata quella di di- videre if piano in tre spicchi, con una radice all'interno di cia- scuno spicchio, ma Hubbard scopri che questo metodo non avrebbe funzionato. In prossimita dei confini accadevano cose strane. Inoltre, Hubbard scopri di non essere il primo matema- tico a imbattersi in questa questione sorprendentemente diffici- le. Nel 1879 lord Arthur Cayley aveva tentato di passare dal caso risolubile delle equazioni di secondo grado al caso spaventosa- mente intrattabile di terzo grado. Ma Hubbard, un secolo dopo, disponeva di uno strumento che mancava a Cayley. Hubbard era il tipo di matematico rigoroso che disprezzava le congetture, le approssimazioni, le mezze verita fondate sul- Vintuizione piuteosto che sulla dimostrazione. Era il tipo di ma- tematico che continuava a insistere, vent’anni dopo che ['attrat- tore di Edward Lorenz era entrato nella letteratura, che nessuno sapeva realmente se quelle equazioni dessero origine a un attrat- tore strano. Era una congettura indimostrata. La doppia spirale familiare, disse, non era una dimostrazione bensi un semplice fatto, qualcosa che veniva disegnato dai computer. Ora, nonostante le sue convinzioni pit profonde, Hubbard comincié a usare un computer per fare quel che non si era riu- sciti a fare con le tecniche ortodosse. [I] computer non dimostra- va nulla. Ma almeno poteva svelare la verita, cosi che un mate- matico potesse sapere che cosa si dovesse dimostrare. Hubbard comincié allora a sperimentare. Egli trattd il metodo di Newton non come un modo per risolvere problemi, bensi come un pro- blema in sé. Hubbard considerd l'esempio pii semplice di un polinomio di terzo grado, I'equazione x$ - 1 = 0, In altri termi- ni, si tratta di trovare la radice cubica di 1. Nei numeri reali, ov- viamente, c’é solo la soluzione banale: 1. Ma il polinomio ha an- che due soluzioni complesse: 1.43 1 v3 --4+i—,e---j 2 2 2 2 Registrate graficamente per mezzo di punti nel piano com- plesso, queste tre radici definiscono un triangolo equilatero, con un vertice in corrispondenza delle ore tre, uno in corrispondenza delle sette ¢ uno in corrispondenza delle undici. Dato un qual- siasi numero complesso come punto di partenza, la questione consisteva nel vedere a quale delle tre soluzioni conducesse il metodo di Newton. Era come se il metodo di Newton fosse un si- stema dinamico ¢ le tre soluzioni fossero tre attrattori. Oppure 214, era come se il piano complesso fosse una superficie liscia che de- clinava verso tre valli profonde. Una biglia che cominciasse a muoversi da un punto qualsiasi del piano rotolerebbe in una delle valli, ma in quale? Hubbard si accinse a fare un campionamento dell'infinita dei punti che compongone il piano. Egli fece analizzare al com- puter punto dopo punto, calcolando il flusso di Newton per cia- scuno di essi e contrassegnando con codici di colori i risultati. I punti di partenza che conducevano a una soluzione venivano co- lorati tutti in blu. I punti che conducevano alla seconda soluzio- ne erano rossi, ¢ i punti che conducevano alla terza erano verdi. Hubbard trové che, nel approssimazione pit rozza, la dinamica del metodo di Newton divideva effettivamente ik piano in tre spicchi. In generale i punti prossimd a una particolare soluzione conducevano prontamente a quella soluzione. L’esplorazione si- stematica col computer mostrd perd una complicata organizza- zione sottostante che non avrebbe mai potuto essere scoperta da un matematico precedente, in grado di calcolare solo un punto qua e uno 1a. Benché alcune congetture di partenza converges- sero rapidamente verso una radice, altre si distribuivano appa- Tentemente a caso prima di convergere finalmente verso una so- luzione. A volte sembrava che un punto potesse ricadere in un ciclo capace di ripetersi per sempre — un ciclo periodico — sen- za mai raggiungere una delle tre soluzioni. Mentre Hubbard spingeva il suo computer a un’esplorazione dello spazio fino a particolari sempre pit fini, egli e i suoi stu- denti rimasero confusi dinanzi all'immagine che comincid a emergere. Anziché veder delinearsi una cresta netta, per esem- pio, fra la valle blu e quella rossa, egli vide macchie di verde connesse in una filza come le perle di una collana. Era come se una biglia, rimasta in bilico fra le attrazioni contrastanti di due valli vicine, finisse poi col cadere nella terza valle, pia lontana. Fra due colori non si forma mai un confine ben definito.6 A un'osservazione ancora pii precisa, la linea compresa fra una macchia verde e la valle blu risulté avere chiazze di rosso. Il con- fine riveld infine una proprieta peculiare che sembrerebbe un tompicapo anche per chi avesse familiarita con i frattali mo- struosi di Mandelbrot: nessun punto serve da confine fra due soli colori. Ogni volta che due colori tentano di venire in contatto, si inserisce sempre il terzo, con’ una serie di intrusioni nuove, auto- somiglianti. Ogni punto di frontiera, per quanto possa sembrare strano, confina con una regione di ciascuno dei tre colori. Hubbard si imbarcd in uno studio di queste forme complica- 215 Confini di com plessita infinita. Quando una torta é tagliata in tre fette, queste si incontrano in un singolo punto, e i confini fra due fette qualunque sono sem- plici. Risuka perd che molti processi della matematica astratta e della fisica del mondo reale creano confini che sone quasi inimmaginabilmente complessi. Soprattutto, i] metodo di Newton applicato a trovare la radice cubica di -1 di- vide il piano in tre regioni identiche, una delle quali é rappresentata in bianco. Tutti i punti bianchi sono «attratti» verso la radice, che si trova nell’area bian- ca pid grande. Tutti i punti neri sono attratti verso una delle altre due radici. Tl confine ha Ja proprieta peculiare che ogni punto su di esso confina con tutt’e tre le regioni, E. come mostrano gli ingrandimenti. a scale via via minori si evi- denzia una struttura frattale, che ripete indefinitamente il disegno fondamen- tale, te e delle loro implicazioni per la matematica. Le sue ricerche, e le ricerche dei suoi colleghi, divennero ben presto una nuova li- nea di ateacco sul problema dei sistemi dinamici. Hubbard si re- se conto che la mappa del metodo di Newton era solo una di un’intera famiglia inesplorata di immagini che riflettevano il comportamento di forze nel mondo reale. Michael Barnsley sta- va cercande altri mempbri della famiglia. Benoit Mandelbrot, 216 come entrambi gli uomini avrebbero appreso ben presto, stava scoprendo l’avo di tutte queste forme. Liinsieme di Mandelbrot’ é J'oggetto pid complesso esistente in matematica, amano dire i suoi ammiratori.® Un'eternita non sa- rebbe sufficiente per vederlo tutto: i suoi dischi tempestati di spine aguzze, le sue spirali ¢ filamenti avvolti verso l’esterno e al- Y'intorno, che portano molecole bulbose infinitamente variegate sospese come acini alla vigna personale di Dio. Esaminato a co- lori attraverso la finestra regolabile dello schermo di un compu- ter, l'insieme di Mandelbrot sembra pit frattale dei frattali, cosi ricca é la sua complicazione da una scala all’altra. Una catalo- gazione delle diverse immagini al suo interno o una descrizione numerica del contorno dell'insieme richiederebbe un’infinita di informazione. Ma c’é un paradosso: la trasmissione di una de- scrizione completa dell insieme attraverso una linea di comuni- cazione richiede solo alcune decine di caratteri di codice. Un programma per computer di lunghezza modesta contiene abba- stanza informazione per riprodurre l'intero insieme. I primi a capire in che modo l'insieme mescoli complessita e semplicita furono colti impreparati da questa scoperta: persino Mandel- brot. L'insieme di Mandelbrot divenne una soria di emblema pubblico del caos, apparendo sulla copertina patinata di pub- blicazioni di atti di convegni e di riviste di ingegneria e forman- do l'oggetto centrale di un’esposizione di computer art che viag- gid su scala internazionale nel 1985 € nel 1986. La sua bellezza era facilmente percepibile dalle immagini; pid difficile era af- ferrare quale fosse il suo significato per i matematici che perve- nivano lentamente a comprenderlo. Molte forme frattali possono essere formate da processi itera- ti nel piano complesso, ma c’é un solo insieme di Mandelbrot. Esso comincié ad apparire, vago e spettrale, quando Mandel- brot tentd di trovare un modo per generalizzare su una classe di forme note come insiemi di Julia. Queste forme furono inventate e studiate durante Ja prima guerra mondiale dai matematici francesi Gaston Julia e Pierre Fatou, i quali lavorarono senza le immagini che un computer é in grado di fornire. Mandelbrot aveva visto i lore modesti disegni e aveva lette la loro opera — ia dimenticata — a vent’anni. Gli insiemi di Julia, sotto una va- rieta di aspetti, erano precisamente gli oggetti che interessavano a Barnsley. Alcuni insiemi di Julia sono simili a cerchi che devo- no essere compressi e deformati in molti punti per ricevere una struttura frattale. Altri sono spezzati in talune regioni; altri an- 217 So Un assortimento di insiemi di Julia. cora sono polveri sconnesse. Ma né le parole né i concetti della geometria euclidea servono a descriverli. I] matematico francese Adrien Douady diceva: «E possibile ottenere una varieta incredi- bile di insiemi di Julia; alcuni sono una sorta di nube grassoccia, altri un cespuglio di rovi spoglio; alcuni assomigliano alle scin- tille che indugiano nell’aria dopo che un fuoco d’artificio si é spento. Una ha la forma di un coniglio, e molti di loro hanno una coda che ricorda quella del cavalluccio di mare».® Nel 1979 Mandelbrot scopri di essere capace di creare un'immagine nel piano complesso che servisse da catalogo degli insiemi di Julia, una guida a ciascuno di essi.!° Stava esplorando Viterazione di processi complicati, equazioni con radici quadra- te e seni e coseni. Anche dopo aver costruito Ja sua vita intellet- tuale attorno alla proposizione che Ia semplicita genera com- plessita, egli non comprese immediatamente quanto fosse straordinario l’oggetto che si intravedeva sugli schermi dei suoi computer alla IBM e a Harvard. Pungold i suoi programmatori per avere altri particolari, ed essi si affaticarono nell’allocazione di una memoria gia sottoposta a un grave carico, nella nuova in- terpolazione di punti su un computer mainframe della IBM con un rozzo display in bianco e nero. A rendere pit difficile la si- tuazione, i programmatori dovevano sempre stare in guardia 218 contro un trabocchetto comune nell’esplorazione col computer, ossia la produzione di «artefattiv: forme che derivavano esclusi- vamente da un capriccio della macchina e che sparivano quan- do un programma veniva scritto in modo diverso. Mandelbrot rivolse poi la sua attenzione a una funzione sem- plice che era particolarmente facile da programmare. Su una rozza griglia, con un programma che ripeteva l’anello di retroa- zione solo poche volte, apparvero i primi profili di dischi. Aleu- ne righe di calcolo con carta e matita mostrarono che i dischi erano matematicamente reali, e non solo il prodotto di qualche stranezza di calcolo. A destra e a sinistra dei dischi principali apparvero accenni di altre forme. Nella sua mente, disse in se- guito Mandelbrot, ne vide altri: una gerarchia di forme, atomi da cui germogliavano atomi pit: piccoli ¢ cos} via all’infimito. E la dove I'insieme intersecava la linea reale, i suoi dischi successi- vamente pit piccoli passavano di scala in scala con una regolati- ta geometrica che ora gli specialisti erano in grado di riconosce- re: la sequenza di biforeazioni di Feigenbaum. Questo fatto lo incoraggid a spingere ancor oltre i] calcolo, affinando quelle prime rozze immagini, e presto scopri dei «de- triti» ammassati attorno al bordo dei dischi e galleggianti nello spazio vicino. Quando tentd di calcolare particolari sempre pitt fini, senti d’improwviso che i] suo momento di buona sorte si era interrotto.!! Anziché diventare pit nitide, le figure diventavano pitt confuse. Torné al centro ricerche della IBM nella West- chester County per sperimentare con una potenza di elaborazio- ne a una scala alla quale Harvard non poteva competere. Con sua sorpresa, il crescente disordine risulté essere il segno di qual- cosa di reale. Germogli e viticci si dipartivano languidamente dall'isola principale. Mendelbrot vide un confine apparente- mente liscio risolversi in una catena di spirali simili a code di ca- vallucci di mare. L’irrazionale fecondava il razionale. Liinsieme di Mandelbrot @ una collezione di punti. Ogni punto nel piano complesso — ossia ogni numero complesso — si trova o nell'insieme o fuori di esso. Un modo per definire l’insie- me é quello di procedere a un esame per ogni punto, esame im- plicante I'iterazione di un certo procedimento aritmetico sem- plice. Per sottoporre a esame un punto, si prende il numero complesso; lo si eleva al quadrato; si aggiunge i! numero origi- nale; si eleva la somma al quadrato; si aggiunge il numero origi- nale; si eleva la somma al quadrato, e cosi via ripetutamente. Se il numero totale tende all'infinito, il punto non si trova nell‘in- sieme di Mandelbrot. Se il totale rimane finito (potrebbe essere 219 eee ee Emerge Uinsieme di Mandetbrot. Nei primi rozai stampati di computer di Be- noit Mandelbrot appariva una struttura grossolana, che and6 acquistando un pumero sempre maggiore di particolari man mano che migliorava la qualica del calcolo. Le «tholecole» galleggianti simili a insetti erano isole separate, op- pure crano attaccate al corpo principale da filamenti troppo fini per poter es- sere osservati? Era impossibile dirlo. a a res we ee eee intrappolato in qualche ciclo che si ripete, o potrebbe vagare caoticamente), il punto é nell’insieme di Mandelbrot. Questo procedimento, consistente nel ripetere indefinitamente un proceso e nel chiedersi se il risultato sia infinito, assomiglia ai processi di retroazione ne! mondo quotidiano. Immaginiamo di montare un microfono, un amplificatore e delle casse acusti- che in un auditorium, Siamo preoccupati per l'amplificazione che potrebbe derivare dalla retroazione acustica. Se il microfo- no raccoglie un livello di rumore abbastanza intenso, il suono amplificato proveniente dalle casse rientrera nel microfono in un anello di retroazione senza fine, che produrra un suono sem- pre pid intenso. Se invece il suono non é abbastanza forte, si estinguera immediatamente. Per costruire per mezzo di numeri un modello di questo processo di retroazione, si pué prendere un numero di partenza, moltiplicarlo per se stesso, moltiplicare it risultato per se stesso € cosi via. Si scoprirebbe allora che i grandi numeri conducono rapidamente all'infinito: 10, 100, 1.000, 10.000... I numeri piccoli conducono invece a zero: 1/2, 1/4, 1/16... Per costruire una rappresentazione geometrica, si defi- nisce una collezione di tutti i punti che, introdotti in quest’equa- zione, non procedono verso l’infinito. Consideriamo i punti su una linea che va da zero verso I'alto. Se un punto produce un’in- tensificazione dovuta alla retroazione, coloriamolo di bianco; altrimenti coloriamolo di nero. Ben presto avremo una forma consistente in una linea nera da 0 a 1. Per un processo unidimensionale, nessuno in realta ha biso- gno di far ricorso a una prova sperimentale. E abbastanza facile stabilire che i numeri maggiori di uno conducono all'infinito e gli aloi no. Ma nelle due dimensioni del piano complesso, per dedurre una forma definita da un processo iterativo non é in ge- nerale sufficiente conoscere l'equazione. A differenza delle for- me tradizionali della geometria -- cerchi ed ellissi e parabole — l'insieme di Mandelbrot non consente scorciatoie. L’unico modo per vedere che tipo di forma si accompagni a una particolare equazione é il procedimento per tentativi, e questo stile portd gli esploratori di questo nuovo campo pid vicini allo spirito di Ma- gellano che non a quello di Euclide. Questo modo di connettere il mondo delle forme col mondo dei numeri rappresentd una rottura col passato. Le nuove geo- metrie cominciano sempre quando qualcuno muta una regola fondamentale. Supponiamo che lo spazio possa essere curve an- ziché piano, dice un geometra, e ne risulta una strana parodia 222 curva di Euclide che fornisce precisamente la giusta cornice per la teoria generale della relativita. Supponiarno che lo spazio pos- sa avere quattro dimensioni, o cinque, o sei. Supponiamo che il numero che esprime la dimensione possa essere una frazione. Supponiamo che le forme possano essere contorte, stirate, anno- date. Oppure, supponiamo che le forme siano definite non risol- vendo un'equazione una sola volta ma iterandola in un anello di retroazione. Julia, Fatou, Hubbard, Barnsley, Mandelbrot: questi mate- matici mutarono le regole su come generare forme geometriche. I metodi euclideo e cartesiano di trasformare equazioni in curve sono familiari a chiunque abbia studiato geometria alle scuole superiori o abbia mai trovato un punto su una carta geografica o topografica usando due coordinate. La geometria ortodossa prende un’equazione e chiede quale sia l'insieme di numeri che la soddisfa. Le soluzioni di un’equazione come x* + y* = 1 for- mano una figura geometrica, in questo caso un cerchio. Altre equazioni semplici producono altre immagini: le ellissi, parabo- lee iperboli delle sezioni coniche o addirittura le forme pitt com- plicate prodotte da equazioni differenziali nello spazio delle fasi. Ma quando un geometra itera un’equazione invece di risolverla, Tequazione diventa un processo invece di una descrizione, di- venta dinamica invece che statica. Quando un numero entra nell'equazione, il risultato € un nuovo numero; questo viene reintrodotto, e cosi via, e i punti saltano da un luogo all'altro. Un punto viene segnato non quando soddisfa l'equazione ma quando produce un certo tipo di comportamento. Un compor- tamento potrebbe essere uno stato stazionario. Un altro potreb- be essere una convergenza verso una ripetizione periodica di sta- ti. Un altro ancora potrebbe essere una corsa incontrollata verso Tinfinito. Prima dei computer persino Julia e Fatou, che compresero le possibilita di questo nuovo tipo di produzione di spazio, manca- vano dei mezzi per trasformarlo in una scienza. Con l'avvento dei computer divenne possibile la geometria del provare e ripro- vare, Hubbard esplord il metodo di Newton calcolando il com- portamento di un punto dopo I’altro, e Mandelbrot fu il primoa considerare il suo insieme nello stesso modo, usando un compu- ter per passare successivamente per tutti i punti di un piano. Non tutti i punti, ovviamente. I] tempo disponibile e i computer essendo finiti, tali calcoli si servono di una griglia di punti. Una griglia pit fine da un quadro pi: netto, al costo di un calcolo pitt lungo. Per l'insieme di Mandelbrot il calcolo era semplice, 223 essendo molto semplice il processo stesso: l'iterazione nel piano complesso della funzione zz? + c. Prendere un numero, mol- tiplicarlo per se stesso e aggiungere al risultato il numero origi- nale. Man mano che Hubbard veniva sentendosi sempre pit a suo agio con questo nuovo stile di esplorazione di forme per mezzo del computer, vi fece valere anche uno stile matematico innova- tivo, applicando i metodi dell’analisi complessa, un’area della matematica che non era mai stata applicata prima ai sistemi di- namici. Egli sentiva che molte cose stavano per unirsi. Discipline matematiche separate all'interno della matematica stavano con- vergendo a un crocevia, Egli sapeva che non bastava vedere I’in- sieme di Mandelbrot; prima di vederlo voleva capirlo, e infine poté sostenere di essere riuscito a capirlo. Se il confine fosse stato semplicemente frattale nel senso dei mostri della svolta del secolo di Mandelbrot, allora un’immagi- ne sarebbe stata pit) o meno simile all’altra. Il principio dell’au- tosomiglianza a scale diverse avrebbe reso possibile predire quel che il microscopio elettronico avrebbe visto al livello seguente di ingrandimento. Invece ogni incursione pid in profondita nell'in- sieme di Mandelbrot apportava nuove sorprese. Mandelbrot co- mincié a chiedersi con preoccupazione se non avesse offerto una definizione troppo restrittiva di_frattale: senza dubbio egli vole- va che la paroia si applicasse anche a questo nuovo oggetto. !? Linsieme risuit6 contenere, se ingrandito abbastanza, copie ap: prossimative di se stesso, minuscoli oggetti simili a insetti che si alzavano in volo dal corpo principale, ma un ingrandimento su- Pperiore mostrd che nessuna di queste molecole era esattamente simile ad alcun’altra. C’erano sempre nuovi tipi di cavallucei di mare, nuove specie di piante di serra a volute. In effetti nessuna parte dell'insieme assomiglia esattamente ad alcun’altra parte, a nessun ingrandimento. La scoperta di molecole fluttuanti sollevé perd subito un problema. L’insieme di Mandelbrot era connesso, un continente con penisole molto allungate? Oppure era una polvere, un corpo principale circondato da minuscole isole? La cosa era tutt'altro che ovvia. Dall’esperienza con gli insiemi di Julia non proveniva alcun orientamento perché gli insiemi di Julia si presentavano in entrambe le forme, alcuni sotto forma di figure intere e altri sot- to forma di una polvere. Le polveri, essendo frattali, hanno la proprieta peculiare che non ci sono due pezzi «uniti» — poiché ogni pezzo é separato da ogni altro da una regione di spazio vuo- to —, eppure nessun pezzo é «separato» poiché, ogni volta che se ne trova uno, si trova sempre nelle sue vicinanze un gruppo di 224 pezzi arbitrariamente vicino.!> Quando Mandelbrot osservd queste immagini, si rese conto che la sperimentazione col com- puter non risolveva il suo problema fondamentale. Egli si con- centr con maggiore attenzione sulle piccole forme che aleggia- vano attorno al corpo principale. Alcune scomparvero, ma altre si svilupparono fino a diventare chiaramente quasi copie. Esse sembravano indipendenti. Ma forse erane connesse da linee cosi sottilida continuare a sfuggire alla griglia dei punti computati. Douady e Hubbard usarono una brillante catena di nuova matematica per dimostrare che ogni molecola fluttuante era in Tealta sospesa a una filigrana che la legava a tutto il resto, una rete delicata che scaturiva da minuscoli affioramenti sull’insie- me principale, un «polimero del diavolo», per usare l’espressione di Mandelbrot. I matematici dimostrarono che ogni segmento — non importa dove, e non importa quanto piccolo —, una vol- ta ingrandito dal microscopio del computer, avrebbe rivelato nuove molecole, ognuna simile all'insieme principale eppure non del tutto la stessa. Ogni nuova molecola era circondata dal- le sue proprie spirali e proiezioni simili a fiamme e quelle, inevi- tabilmente, rivelavano molecole ancora pid piccole, sempre si- mili, ma identiche a se stesse, che assolvevano un qualche man- dato di infinita varieta, un miracolo di miniaturizzazione in cui ogni nuovo particolare era sicuramente un universo a sé, diversa eintero. «Ogni cosa tendeva molto geometricamente alla rettilinearita», disse Heinz-Otto Peitgen.'* Stava parlando dell’arte moderna. «L'opera di Josef Albers, per esempio, nel suo tentative di sco- prire il rapporto fra i colori, era costituita essenzialmente solo da quadrati di colori diversi sovrapposti l'uno all'altre, Erano cose molto note. Se le osserviamo oggi sembra che appartengano al passato. Non piacciono pit. In Germania si costruivano gran- di palazzi di appartamenti nello stile del Bauhaus e la gente se ne andava, non amava viverci. Nella nostra societa attuale ci so- no, mi pare, ragioni molto profonde per non amare taluni aspetti della nostra concezione della natura». Peitgen aveva aiu- tato un visitatore a scegliere ingrandimenti di regioni dell'insie- me di Mandelbrot, di insiemi di Julia e di altri processi iterativi complessi, tutti in squisiti colori. Nel suo piccolo ufficio in Cali- fornia mostrava diapositive, grandi lastre trasparenti e persino un calendario con illustrazioni dell’insieme di Mandelbrot. «ll profondo entusiasmo che ci pervade ha attinenza con questo modo nuovo di guardare la natura. Qual é il vero aspetto del- 225 Toggetto naturale? Nell’albero, per esempio, che cos'é impor- tante? La linea retta o l’oggetto frattale?» Alla Cornell, nel frat- tempo, John Hubbard stava lottando con le richieste del com- mercio.'® Nel dipartimento arrivavano centinaia di lettere per chiedere immagini dell'insieme di Mandelbrot, ed egli si rese conto di dover compilare campionari ed elenchi di prezzi. Deci- ne di immagini erano gia calcolate e memorizzate nei suoi com- puter, pronte per essere visualizzate istantaneamente, con l’aiu- to di studenti che ricordavano i particolari tecnici. Ma le imma- gini pitt spettacolari, con la risoluzione pit fine e i colori pit vi- vidi, venivano da due tedeschi, Peitgen e Peter H. Richter, e dal loro gruppo di scienziati dell’Universita di Brema, col patrocinio entusiastico di una banca locale. Peitgen e‘Richter — un matematico e un fisico — si dedica- rono allo studio dell’insieme di Mandelbrot. Esso conteneva per joro un universo di idee: una moderna filosofia dell’arte, una giustificazione del nuovo ruolo della sperimentazione in mate- matica, un modo di portare sistemi complessi all'attenzione di un vasto pubblico. Pubblicarono cataloghi e libri su carta pati- nata e viaggiarono in tutto il mondo con un’esposizione delle im- magini prodotte dai loro computer. Richter era giunto ai sistemi complessi dalla fisica attraverso la chimica e poi la biochimica, studiando oscillazioni nei cammini biologici.'® In una serie di articoli su fenomeni come il sistema immunitario e la conversio- ne dello zucchero in energia nel lievito, egli trovd che la dinami- ca di processi considerati abitualmente statici, per la buona ra gione che i sistemi viventi non possono essere aperti per essere esaminati in tempo reale, era spesso governata da oscillazioni. Richter teneva fissato al suo davanzale un bipendolo ben oleate. il suo «sistema dinamico preferito», costruito appositamente per lui su ordinazione dall'officina della sua universita. Di tanto in tanto lo faceva ruotare in non-ritmi caotici che si potessero emu- lare anche col computer. La dipendenza da condizioni iniziali era cosi sensibile che l’attrazione gravitazionale di una singola goccia di pioggia a un chilometro e mezzo di distanza confonde- va il movimento entro cinquanta o sessata rivoluzioni, circa due minuti. Le sue immagini grafiche multicolori dello spazio delle fasi di questo bipendolo mostravano le regioni miste di periodi- cita e caos, ed egli usd le stesse tecniche grafiche per visualizza- re, per esempio, regioni idealizzate di magnetizzazione in un metalio e anche per esplorare l’insieme di Mandelbrot. Al suo collega Peitgen lo studio della complessita forni una possibilita di creare nuove tradizioni nella scienza anziché solo 226 di risolvere problemi. «In un’area nuova di zecca come questa, si pud cominciare a pensare oggi e un bravo scienziato pud essere in grado di trovare soluzioni interessanti in pochi giorni 9 in una settimana o in un mese», disse Peitgen.!’ Il campo é ancora da strutturare. «In un campo gia strutturato si sa quel che si conosce, quel che non si conosce, quel che é@ gia stato tentato da qualcuno e che non conduce da nessuna parte, Visi deve lavorare su proble- mi che sono noti come problemi, altrimenti si sprecano inutil- mente delle risorse. Ma un problema che é noto come tale de- vessere difficile, altrimenti sarebbe gia stato risolto». Peitgen non condivideva il disagio dei matematici verso I’uso dei computer per condurre esperimenti. Era ovvio che ogni ni- sultato dovesse essere reso infine rigoroso per mezzo dei metodi di dimostrazione ortodossi, altrimenti non sarebbe stata mate- matica. Il fatto di vedere un’immagine sullo schermo grafico di un computer non ne garantisce l'esistenza nel linguaggio del teo- rema e della dimostrazione. Ma la disponibilita stessa di tale im- magine era sufficiente a modificare l'evoluzione della matemati- ca. Peitgen era convinto che |’esplorazione col computer stava dando ai matematici la liberta di imboccare una via pid natura- le. Per qualche tempo un matematico poteva sospendere la ri- chiesta di una dimostrazione rigorosa. Poteva andare dovunque Tesperirnento lo conducesse, esattamente come i fisici. La po- tenza numerica di calcolo e gli indizi visivi per Pintuizione sug- gerivano vie promettenti ed evitavano al matematico il rischio di imboccare vicoli ciechi. Poi, una volta trovate nuove vie e isolati nuovi oggetti, il matematico poteva tornare alle dimostrazioni tradizionali. «Il rigore @ la forza della matematica», dice Peit- gen.’ «Che si possa proseguire una linea di pensiero che é asso- lutamente garantita é un’esigenza a cui i matematici non sono mai disposti a rinunciare, Ma si possono prendere in considera- zione situazioni che possono essere intese parzialmente oggi per essere trattate forse in modo rigoroso in future generazioni. Ri- gore, si, ma non tanto da lasciar cadere qualcosa solo perché non siamo in grado di occuparcene in modo rigoroso ogg. Negli anni Ottanta un home computer raggiunse la capacita di trattare calcoli aritmetici in modo abbastanza preciso da po- ter creare immagini colorate dell'insieme, e gli appassionati tro- varono ben presto che l’esplorazione di queste immagini a un in- grandimento sempre maggiore dava un senso vivido dell’espan- sione della scala. Se si concepiva un insieme come un oggetto delle dimensioni di un pianeta, un personal computer poteva 227 mostrare l'intero oggetto, o forme della grandezza di citta, o di edifici, o di stanze, o di libri, o di caratteri, o di batteri, o di ato- mai, Le persone che guardavano tali immagini vedevano che tut- te le scale presentavano immagini simili, eppure ogni scala era diversa. E tutti questi paesaggi microscopici erano generati dalle stesse poche linee di un codice per computer .* * Per scrivere un programma per I’insieme di Mandelbrot occorrono solo alcuni elementi essenziali. L’elemento principale é un ciclo di istruzioni che prende il suo numero di partenza complesso e applica ad esso la regola aritme- tica. Per Vinsieme di Mandelbrot, la regola ¢ questa: z + 2? + ¢, dove z comin- cia a zero ec é il numero complesso corrispondente al punto che viene sottopo- sto a sperimentazione. Prendiamo dunque 0, moltiplichiamolo fer se stesso e aggiungiamo il numero dé partenza; prendiamo il risultato — il numero di partenza —, moltiplichiamolo per se stesso ¢ aggiungiamo il numero di par- tenza; prendiamo il nuovo risuitato, moltiplichiamolo per se stesso, ¢ aggiun- giamo il numero di partenza. L'ariemetica con i numeri complessi @ semplice. Un numero complesso si scrive con due parti: per esempio, 2 + 8/ (Vindirizzo per il punto 2 a2 a est e a 3 a nord sul piano complesso). Per sommare un paio di numeri complessi, si sommano le parti reali per ottenere una nuova parte reale e le parti immaginarie per ottenere una nuova parte immaginaria: 244 + 9 -2F 11+2% Per moltiplicare due numeri complessi, si moltiplica ogni parte di ogni nume- ro per ogni parte dell'altro e si sommano i quattro risultati, Poiché ¢, moltipli cato pet se stesso, ¢ uguale a -1, per la definizione originaria dei numeri imma ginari, un termine del risultato si annulla in un altro. 2+ x 2 +38 6 + OF 4+ 6 4+ 128+ OF +12) -9 =-5 + 12 Per rompere questo circolo, il programma ha bisogno di sorvegliare di conti nuo jl totale momentaneo. Se if totale tende al! infizito, allontanandosi sempre pitt dal centro del piano, il punto originale non appartiene all'insieme, e se il totale momentaneo diventa maggiore di 2 o minore di -2 nella sua parte reale o immaginaria, tende sicuramente all'infinito, ¢ il programma pud continua re. Se invece il programma ripete il calcolo molte volte senza mai dare un risul tato maggiore di 2, allora il punto fa parte dell’insieme, Quante volte dipende dall'ingrandimento prescelto. Per le scale accessibili a un personal computer, 100 0 200 volte @ spesso un numero abbondante, e 1.000 volte é sicuro. 228 il confine si pone la dove un programma per la produzione del- Yinsieme di Mandelbrot spende la maggior parte del suo tempo e fa tutti i suoi compromessi. La, quando 100 o 1.000 0 10.000 iterazioni non riescono a produrre una separazione, un pro- gramma non pud ancora essere assolutamente certo che un pun- to cada all’interno dell'insieme. Chi sa che cosa apportera la mi- lionesima iterazione? Cosi i programmi che generarono le im- magini pii sorprendenti, pit ingrandite dell’insieme, furono quelli fatti girare su giganteschi computer mainframe, o su computer dotati dell’elaborazione parallela, con migliaia di sin- goli cervelli (processori) che eseguono le stesse operazioni arit- metiche a passi bloccati. Il confine é 14 dove i punti sono piii len- ti a sfuggire all’attrazione dell'insieme. E come se fossero in equilibrio fra attrattori in competizione fra loro, uno allo zero e Valtro che accerchia l’insieme a una distanza infinita. Quando taluni scienziati passarono dall'insieme di Mandel- brot a nuovi problemi di rappresentazione di fenomeni fisici reali, vennero in primo piano le qualita del confine dell’insieme. Il confine fra due o pit attrattori in un sistema dinamico svolge- va la funzione di una soglia di un tipo che sembra governare moltissimi processi ordinari, dalla rottura di materiali al proces- so decisionale. Ogni attrattore, in un tale sistema, ha il suo baci- no, come un fiume ha un bacino idrico che raccoglie le acque della regione circostante. Ogni bacine ha un confine. Per un gruppo influente all’inizio degli anni Ottanta, un nuove campo promettente della matematica ¢ della fisica fy lo studio dei con- fini di bacini frattali.!° Questa branca della dinamica si occupava non della descri- zione del comportamento finale, stabile, di un sistema, bensi del modo in cui un sistema opta fra scelte in competizione fra loro. Un sistema come il modello oggi classico di Lorenz possiede un solo attrattore, ossia ha un solo comportamento che prevale quando il sistema si stabilizza, ed é un attrattore caotico. Altri Il programma deve ripetere questo processo per ciascuno delle migliaia di punti su una griglia, con uma scala che pud essere regolata per avere un mag- giore ingrandimento, E il programma deve visualizzare il suo risultato. I punti contenuti nell'insieme possono essere colorati in nero, gli altri in bianco. O, per avere un'immagine pitt attraente, i punti bianchi possono essere sosticuiti da gradazioni di colore. Se 'interazione ai interrompe, per esempio, dopo dieci ripetizioni, un programma potrebbe segnare un punto rosso; per venti ripeti- zioni, un punto arancione; per quaranta ripetizioni, un punto giallo e cost via. La scelta dei colori e dei punti di interruzione pud essere adattata in modo da corrispondere al gusto del programmatore, I colori rivelano i contorni del ter- reno subite fuori dell'insieme vero e proprio. 229 sistemi possono finire con l’'avere un comportamento stabile non caotico, ma con pit di uno stato stazionario possibile. Lo studio di confini di bacini frattali fu lo studio di sistemi che potevano raggiungere uno di vari stati finali non caotici, studio che pone- va il problema di come predire quale stato avrebbe infine rag: giunto il sistema. James Yorke, che fu fra i pionieri dell’investi- gazione dei confini di bacini frattali, um decennio dopo aver da- to al caos il suo nome propose una macchina immaginaria: una specie di flipper.*° Come ogni flipper anche la sua macchina ha un pistone a molla. Si carica la molla tirando indietro il pistone, che viene poi liberato per mandare la biglia nelle varie aree del gioco. La macchina ha il tradizionale paesaggio inclinato con bordi in gomma e respingenti elettrici che danno ogni tanto alla biglia impuisi di energia extra. Questi nuovi impulsi sono im- portanti in quanto hanno come conseguenza che I'energia non decade solo in modo uniforme. Per semplicita, questa macchina non ha in basso le levette con cui rinviare la biglia verso lalto, ma solo due vie di uscita. La biglia deve uscire passando per l'u- nao per !'altra delle due vie. E un flipper deterministico: non é lecito scuotere la macchi- na. Un solo parametro controlla la destinazione della biglia, e questo parametro é la posizione iniziale del pistone a molla. Im- maginiamo che la macchina sia progettata in modo tale che una corsa breve del pistone abbia sempre come conseguenza che la biglia finira col rotolare nell’uscita di destra mentre una corsa lunga la fara finire sernpre nell’uscita di sinistra. In corrispon- denza delle posizioni intermedie del pistone il comportamento diventa invece complesso, con la biglia che continua per un pe- riodo di tempo variabile a rimbalzare da un respingente all'altro nel solito modo energico e ramoroso, prima di imboccare infine Tuna o l'alira uscita. Ora immaginiamo di fare un grafico del risultato di ogni po- sizione di partenza possibile del pistone a molla. II grafico é solo una linea. Se una posizione del pistone conduce la biglia a im- boccare l’uscita di destra segniamo un punto rosso, e segniamo invece un punto verde se la biglia va a cadere nell’uscita di sini- stra. Che cosa possiamo attenderci di accertare su questi attrat- tori come funzione della posizione iniziale? Tl confine si rivela un insieme frattale, non necessariamente autosomigliante ma infinitamente dettagliato. Qualche regione della riga sara di un colore rosso o verde puri, mentre altre, una volta ingrandite, risulteranno essere regioni di rosso nel verde, 0 regioni di verde nel rosso. Per talune posizioni del pistone, cioé, 236 un piccolo mutamente nella posizione iniziale non fa differenza. Per altre, invece, persino un mutamento piccolo a piacere fara la differenza fra rosso e verde. Aggiungere una seconda dimensione significherebbe ag- giungere un secondo parametro, un secondo grado di liberta. Nel caso del nostro flipper, per esempio, si potrebbe considerare Veffetto della modifica dell’inclinazione del tavoliere. Si scopri- rebbe in tal caso una sorta di complessita fra ingresso e uscita ta- le da creare incubi agli ingegneri incaricati del controllo della stabilita di sistemi reali sensibili, ricchi di energia, con piu di un parametro: per esempio reti di distribuzione dell’energia elettri- cae centrali nucleari, che divennero entrambe obiettivi di ricer- che ispirate dal caos negli anni Ottanta. Per un valore del para- metro A, il parametro B poteva produrre un tipo di comporta- mento rassicurante, ordinato, con regioni di stabilica coerenti. Gli ingegneri potevano fare studi e grafici di un tipo del tutto in accordo con la loro formazione, orientata in modo lineare. Da qualche parte, fi vicino, poteva celarsi pero un altro valo- re del parametro A, capace di trasformare l’importanza del pa- rametro B. Yorke prendeva la parota in conferenze per mostrare imma- gini di confini di bacini frattali. Alcune immagini rappresenta- vano il comportamento di pendoli forzati che potevano termina- re in uno di due stati finali (i1 pendolo forzato era, come il suo pubblico sapeva bene, un oscillatore fondamentale che si pre- senta sotto molte forme nella vita quotidiana). «Nessuno pué di- re che io abbia manipolato il sistema scegliendo un pendolo», diceva giovialmente Yorke. «E il tipo di cose che si vedono dap- pertutto in natura. Ma il comportamento é diverso da tutto cid che si pud vedere nella letteratura. E un comportamento fratta- le di un tipo non regolato».** Le immagini erano turbini fanta- stici in bianco e nero, come se un frullatore si fosse inceppato nel mescolare gli ingredienti di un budino. Per generare tali imma- gini, il suo computer aveva analizzato una griglia di 1.000 per 1.000 punti, ciascuno dei quali rappresentava una diversa posi- zione di partenza per il pendolo, e aveva registrato ogni volta il tisultato: bianco o nero. Erano bacini di attrazione, mescolati e piegati in conformita alle familiari equazioni del moto newto- niane, e il risultato era pitt confine che qualsiasi altra cosa. Ti- picamente, pik di tre quarti dei punti segnati si trovano sul confine.” Per ricercatori e ingegneri, in queste immagini c’era una lezio- ne: una lezione e un avwvertimento. Troppo spesso la gamma 231 KS ces As 4 f Hy error AER ors SD Refit 2 ne I confini di bacini frattali, Persino quando il comportamento a lungo termine di un sistema dinamico non é caotico, il caos pué apparire al confine fra un ti- pe di comportamento stabile e un altro. Spesso un sistema dinamico ha pitt di uno stato di equilibrio, come un pendolo che pud fermarsi infine in prossimita dell'uno 0 dell'altro di due magneti situati alla sua base. Ogni stato di equili- brio é un attrattore, e il confine fra due attrattori pud essere complicato ma re- golare (a sinistra). Oppure pud essere complicato ma non regalare, La commi- stione altamente frattale di bianco e nero (a destra) @ un diagramma di uno spazio delle fasi di un pendolo. Il sistema raggiungera sicuramente uno di due possibili stati stazionari. Per alcune condizioni di partenza, l'esito é del tutto prevedibile: il bianco é bianco e il nero é nero. In prossimita del confine, perd, la predizione diventa impossibile. potenziale del comportamento di sistemi complessi doveva essere congetturata a partire da un piccolo insieme di dati. Quando un sistema funzionava normalmente, rimanendo all’interno di una gamma ristretta di parametri, gli ingegneri facevano le loro os- servazioni e speravano di potere estrapolare in modo pitt o meno lineare un comportamento meno usuale. Ma gli scienziati che studiavano i confini dei bacini frattali mostrarono che il confine fra calma e catastrofe poteva essere molto pit complesso di quanto chiunque avesse immaginato.™ «L'intera rete di distri- buzione dell’energia elettrica della East Coast é un sistema oscil- latorio, per la maggior parte del tempo stabile, e si vorrebbe sa- pere che cosa accade quando lo si perturba», disse Yorke. «Oc- corre sapere quale sia il confine. In realta, perd, non si ha alcu- na idea di come sia tale confine». J confini di bacini frattali rimandavano a problemi profondi di fisica teorica. Le transizioni di fase erano questioni di soglia, e Peitgen e Richter presero in esame uno dei tipi di transizioni di fase meglio studiati, la magnetizzazione e non-magnetizzazione in materiali. Le loro immagini di tali confini manifestarono la complessita particolarmente bella che stava cominciando a sem- 232 brare cosi naturale, forme come di cavolfiori, con protuberanze e solchi sempre pit aggrovigliati. Mentre essi variavano i para- metri e accrescevano !'ingrandimento dei particolari, un’imma- gine sembrava diventare sempre pid casuale, finché d’improvwvi- so, inaspettatamente, nel cuore di una regione apparentemente disordinata, appariva una forma allungata familiare, cosparsa di gemme: I’insieme di Mandelbrot, con ogni viticcio e ogni ato- mo al suo posto. Era questo un altro indicatore di universalita. «Forse dovremmo credere nella magia», scrissero. "4 Michael Barnsley prese una via diversa. Egli rifletté sulle imma- gint proprie della natura, in particolare sulle strutture generate da organismi viventi. Egli sperimenté con insiemi di Julia e pro- vo altri processi, sempre cercando modi per generare una varia- bilita ancora maggiore. Infine si volse alla casualita come base per una nuova tecnica di generazione di forme naturali. Quan- do scrisse sulla sua tecnica la defini «costruzione globale di frat- tali per mezzo di sistemi di funzioni iterate». > Parlandone a vo- ce, perd, la chiamé «il gioco del caos». Per poter giocare rapidamente il gioco del caos occorre un computer con uno schermo grafico e un generatore di numeri casuali, ma in linea di principio potrebbero funzionare altret- tanto bene un foglio di carta e una moneta. Si sceglie un punto di partenza in una parte qualsiasi sul foglio di carta. Si inventa- no due regole: una per ciascuna faccia della moneta. Ogni rego- la ci dice come passare da un punto all’altro: «Muovi di cinque centimetri verso nordest», oppure «Avvicinati del 25 per cento al centro». Ora cominciamo a gettare la moneta e a segnare i pun- ti, usando la prima quando viene testa e la seconda quando vie- ne croce. Se eliminiamo i primi cinquanta punti, troveremo che il gioco del caos non produce un campo casuale di punti bensi una forma, che si rivela in modo sempre pid netto man mano che il gioco procede. Liintuizione centrale di Barnsley era questa: gli insiemi di Julia e altre forme frattali, anche se considerati appropriata- mente come l'esito di un processo deterministico, avevano una seconda esistenza, egualmente valida, come il Amite di un pro- cesso frattale. Per analogia, suggeri Barnsley, si potrebbe imma- ginare una carta della Gran Bretagna disegnata col gesso sul pa- vimento di una stanza. Un topografo, dotato degli strumenti tradizionali, troverebbe complicato misurare larea di queste forme irregolari, con linee di costa frattali. Supponiamo peré di gettare in aria uno per uno dei chicchi di riso, lasciandoli cadere 233 a caso sul pavimento e contando poi i chicchi caduti all’interno della carta topografica da noi disegnata. Al passare del tempo, il risultato comincia ad. approssimarsi all'area delle figure, come al limite di un processo casuale. In termini dinamici, le figure di Barnsley si sono rivelate degli attrattori. Ii gioco del caos faceva uso di una qualita frattale di certe immagini: la qualita di essere composte da copie minori della fi- gura principale. L’atto di scrivere una serie di regole da iterarsi a caso catturava una certa informazione globale su una forma, ¢ Viterazione delle regole tornava a restituire quell’informazione senza riguardo alla scala, Quanto pit una forma era frattale, in questo senso, tanto pitt semplici erano le regole appropriate. Barnsley si rese conto rapidamente di essere in grado di generare tutti i frattali oggi classici del libro di Mandelbrot. La tecnica di Mandelbrot era stata un’infinita successione di costruzione e af- finamento. Nel caso del fiocco di neve di Koch o del tappeto di Sierpiriski, si toglievano dei segmenti e li si sostituiva con figure specificate. Usando invece il gioco del caos, Barnsley costrui del- le figure che cominciavano come parodie sfocate ¢ diventavano progressivamente pit nitide. Non era necessario alcun processo di affinamento, ma solo un singolo insieme di regole che in qualche modo gia comprendevano la forma finale. Ora Barnsley e i suoi collaboratori si impegnarono in un pro- grammia inconcrollato di produzione di immagini, cavolftori, muffe e fango. I! problema chiave era come invertire i] proceso: data una forma particolare, come scegliere un insieme di regole. La soluzione, che egli chiaméd il «teorema del collage», risulté cosi semplice da descrivere che a volte gli ascoltatori sospettaro- no dovesse esserci qualche trucco. Si comincia col disegnare la forma che si vuole riprodurre. Barnsley, essendo da molto tem- po un appassionato delle felci, scelse per uno dei suci primi esperimenti una felce: l'asplenio o erba rugginina. Poi, usando un terminale di computer e un mouse come dispositivo di punta- mento, si disegnano, passando sopra la forma originale, piccole copie, senza preoccuparsi eccessivamente se vengono a sovrap- porsi parzialmente luna all’altra. Una forma altamente frattale poteva facilmente essere ricoperta da copie di se stessa, mentre la cosa era meno facile per una forma meno frattale, anche se, a un qualche livello di approssimazione, ogni forma poteva essere ricoperta con sue copie. «Se !'immagine é complicata, Je regole saranno complicate», disse Barnsley.” «D’altra parte, se l'oggetto ha in sé un ordine frattale nascosto — ed @ una delle osservazioni centrali di Benoit 234 Il gioco det caos. Ogni nuavo punto cade a caso, ma gradualmente emerge Vimmagine di una felce. Tutta linformazione necessaria é codificata in poche regole semplici. che gran parte della natura abbia un tale ordine nascosto —, al- lora sara possibile decodificarlo con poche regole. Il modello, quindi, é pid interessante di un modello eseguito con la geome- tria euclidea perché noi sappiamo che, quando guardiamo il margine di una foglia, non vediamo linee rette». La sua prima felce, prodotta con un piccolo computer da tavolo, corrisponde- va perfettamente all'immagine contenuta nel libro di felci che aveva posseduto sin da quando era bambino. «Era un'immagine sconcertante, corretta sotto ogni punto di vista. Nessun. biologo avrebbe avuto difficolta a identificarla>. Tn un certo senso, sostenne Barnsley, la natura doveva gioca- re la sua propria versione del gioco del caos. «Questa é tutta ’in- formazione in codice per la costruzione di una felce che é conte- nuta nella spora», disse Barnsley. «C’é quindi un limite alla complessita con cui potrebbe creseere una felce. Non sorprende che noi possiamo trovare uninformazione concisa equivalente per descrivere le felci. Al contrario, sarebbe sorprendente se non fosse cosi». Ma la casualita era un ingrediente necessario? Anche Hub- 235 bard rifletté sui paralleli fra !insieme di Mandelbrot e la codifi- cazione biologica dell'informazione, irritandosi perd a ogni sug- gerimento che tali processi potessero dipendere dalla probabilt- ta. «Non c’é casualita nell'insieme di Mandelbrot», disse Hub- bard. «Non c’é casualita in nulla di cid che faccio io. E neppure penso che la casualita possa avere una qualche pertinenza diret- ta per la biologia. In biologia la casualita é morte, il caos é mor- te. Tutto é altamente strutturato. Quando si clonano piante, l'ordine in cui i rami crescono é esattamente lo stesso. L’insieme di Mandelbrot obbedisce a uno schema straordinariamente pre- ciso che non lascia nulla al caso. lo sospetto fortemente che il giorno in cui qualcuno scoprira com’é organizzato il cervello, scoprira anche, con meraviglia, che esiste uno schema di codifi- cazione per la costruzione del cervello che é di straordinaria pre- cisione. L’idea della casualita in biologia é solo riflessa».”” Nella tecnica di Barnsley, pero, il caso serve solo come stru- mento. I risultati sono determmistici e prevedibili. Quando dei punti si accendono sullo schermo del computer, nessuno pud congetturare dove apparira il prossimo; cid dipende dal Jancio della monetina interna. Eppure, in qualche modo, il flusso di luce rimane sempre entro i limiti necessari a definire una forma nei fosfori. In tale misura il ruolo del caso @ un’illusione. «La ca- sualita é una falsa pista», disse Barnsley. «Essa é centrale al fine della produzione di immagini di una certa misura invariante che vivono sull’oggetto frattale. Ma l’oggetto stesso non dipende dalla casualita. Con una probabilita di cento su cento, si dise- gnerebhbe sempre la stessa immagine. Sondando oggetti frattali con un algoritmo casuale, si ottie- ne un’informazione approfondita. FE esattamente come quando entriamo in una stanza che vediamo per la prima volta: 1 nostri occhi vagano attorno in un qualche ordine, che potremmo an- che considerare casuale, e noi ci facciamo una buona idea della stanza. La stanza é solo cid che &. L’oggetto esiste indipendente- mente da quel che faccio io». * L'insieme di Mandelbrot esiste nello stesso modo. Esso esiste- va prima che Peitgen e Richter cominciassero a trasformarlo in una forma d'arte, prima che Hubbard e Douady ne compren- dessero l'essenza matematica, persino prima che lo scoprisse Mandelbrot. Esso esisteva Ua quando la scienza cred un conte- sto: una cornice di riferimento di numeri complessi e una nozio- ne di funzioni iterate. Poi attese di essere svelato. O forse esiste- va ancor prima, da quando la natura comincid a organizzare se stessa per mezzo di leggi fisiche semplici, ripetute con infinita pazienza e dovunque le stesse. IL COLLETTIVO DEI SISTEMI DINAMICI La comunicazione attraverso la divisione rivoluzionatia @ inevitabilmente parziale. Tuomas S. Kuun Santa Cruz era il campus pit recente nel sistema dell’Universita di California, scolpito in uno scenario da romanzo un'ora di macchina a sud di San Francisco, e a volte si diceva che assomi- gliasse pit’ a un parco nazionale che a un centro universitario.! Gli edifici erano annidati fra le sequoie e, nello spirito del tem- po, i progettisti si erano sforzati di lasciare in piedi ogni albero. Piccoli sentieri conducevano da un luogo all'altro. L'mtero cen- tro universitario sorgeva sulla cima di una collina, cosicché spes- so capitava di imbattersi nella grande vista aperta verso sud, at- traverso le onde scintillanti della Baia di Monterey. I] complesso di Santa Cruz fu aperto nel 1966, diventando in capo a pochi anni il pit selettivo fra i campus della California. Gli studenti lo associavano a molti fra i personaggi pid emblematici dell’avan- guardia intellettuale: vi insegnarono Norman O. Brown, Gre- gory Bateson e Herbert Marcuse, e vi canté Tom Lehrer. I di- partimenti, costituiti ex novo, ebbero in principio un atteggia- mento ambivalente, e quello di fisica non fece eccezione. 1 cor- po insegnante — composto da una quindicina di fisici — era di- namico e composto in larga parte di giovani in sintonia con il gruppo di brillanti anticonformisti attratti da Santa Cruz. Que- sti fisici erano influenzati dall'ideologia antitradizionalista di quegli anni; eppure anch’essi guardavano a sud, al California Institute of Technology, il Caltech, e si rendevano conto che avevano bisogno di stabilire dei criteri e di dimostrare la propria serieta. Uno studente della cui serieta nessuno dubitava era Robert Stetson Shaw, un barbuto native di Boston e diplomato a Har- vard, primo di sei figli di un medico e di un’infermiera, che nel 1977 exa sulla soglia dei trentun anni. Era un po’ pit anziano della maggior parte degli studenti che stavano preparando la te- si per il dottorato di ricerca, dato che i suoi studi a Harvard era- no stati interrotti varie volte: per il servizio militare, per un’espe- 237 rienza di vita in una comune e per altre esperienze estemporanee che si situavano fra quei due estremi, Non sapeva perché fosse venuto a Santa Cruz.* Non aveva mai visto prima il campus, an- che se gli era capitate sotto gli occhi un opuscolo di presentazio- ne, con fotografie delle sequoie e con un testo che parlava del tentativo di fondare nuove impostazioni didattiche. Shaw era ri- servato, schivo, come se facesse forza a se stesso. Era un buono studente, e gli mancavano ormai solo pochi mesi per completare la sua tesi sulla superconduttivita. Nessuno era particolarmente preoccupato per il fatto che stesse sprecando del tempo nel se- minterrato dell'edificio di fisica a trastullarsi con un computer analogico. La formazione di un fisico dipende da un sistema di rapporti personali con i docenti. Ai professori vengono assegnati assisten- i di ricerca, incaricati di alleviare le loro fatiche in ricerche di laboratorio o in tediosi calcoli. In cambio gli studenti e i liberi docenti che prestano in questo modo aiuto ai professori attengo- no una quota dei loro fondi di ricerca e citazioni nelle pubblica- zioni dei docenti. Un buon maestro aiuta il suo allievo a sceglie- re un argomento di studio che non presenti difficolta spropor- zionate alle forze dello studente e che offra prospettive concrete di risultati utili. Se il rapporto é fruttuoso, ]'influenza del profes- sore aiuta il suo protetto a trovare un’occupazione. Spesso acca- de che i loro nomi finiscano con l’essere associati per sempre. Quando una scienza non esiste ancora, perd, ci sono poche per- sone pronte a insegnarla. Nel 1977 il caos non offriva alcun maestro. Non c’erano corsi sul caos, né centri per studi non Ii- neari e per ricerche sui sistemi complessi, né testi sul caos, e nep- pure una rivista specializzata. William Burke, cosmologo e relativista di Santa Cruz, si imbatté wna volta all’una di notte, nella hai! di un albergo di Boston do- ve si stava tenendo un convegno sulla relativita generale, nel suo amico Edward A. Spiegel, astrofisico. . Shaw e colleghi dovevano trasformare il loro naturale entusia- smo in un programma scientifico. Dovevano porsi domande alle quali si potesse dare una risposta e alle quali valesse 1a pena di rispondere. Essi cercavano modi per connettere teoria ed esperi- mento: proprio qui, alla saldatura fra l’istanza teorica e quella sperimentale, vedevano un divario che doveva essere colmato. Prima peré di poter muovere anche i primi passi, dovevano im- parare che cosa fosse noto e che cosa no, e gid questo era un compite molto gravoso. Furono ostacolati dalla tendenza dell’informazione a ta smettersi solo in modo parziale nella scienza, tanto pit. quando un nuovo oggetto di studio travalica i confini di sottodiscipline costituite. Spesso non avevano idea se si trovassero su un territo- Tio hueve o vecchio. Un antidote prezioso alla loro ignoranza fu 246

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