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David Leavitt

La lingua perduta delle gru


The Lost Language of Cranes, 1986

"Philip allung una mano e gli accarezz la guancia, un gesto che persino
adesso gli sembrava grandioso e terrificante, bench Eliot se ne accorgesse
a malapena. Per lui, simili manifestazioni d'affetto non erano niente; la sua
vita ne era stata piena, buffetti e carezze e baci casuali, mentre per Philip
appoggiare una mano su una guancia era un gesto di tale portata che doveva
essere contato, tesaurizzato, conservato.
Irradiava potere; esigeva coraggio.
Philip capiva che al mondo c'era gente come Eliot alla quale amore e
sesso venivano facili, senza una sollecitazione attiva, come un forte vento a
cui bastava porgessero il viso perch soffiasse su di loro. Capiva anche di
non essere una di queste persone"
In La lingua perduta delle gru, il suo primo romanzo, David Leavitt coglie
meravigliosamente la passione e la paura di un nuovo amore. Storia di una
famiglia in crisi, di segreti dei genitori e segreti dei figli, La lingua perduta
delle gru un romanzo in cui ogni personaggio - padre, madre, figlio compie un percorso di scoperta e accettazione.
Con Ballo di famiglia Leavitt diventato, fra gli scrittori giovani, il pi
acclamato dalla critica e il pi amato dal pubblico. Per tenerezza e ironia,
visione romantica e precoce esperienza del dolore, questo romanzo fa
definitivamente di Leavitt l'interprete pi intenso e raffinato del nuovo
sentimento contemporaneo.
Nato a Palo Alto in California, David Leavitt si laureato a Yale nel
1983. I suoi racconti sono stati pubblicati nel "New Yorker" e in "Harper's"
Il suo primo libro, Ballo di famiglia (pubblicato da Mondadori) stato
l'avvenimento letterario del 1986, e ha avuto otto edizioni.
Leavitt vive a East Hampton, New York.

Per Gary e in memoria di mia madre.


Vorrei esprimere la mia gratitudine al National Endowment for the Arts e
alla Macdowell Colony, per il loro appoggio che mi ha aiutato enormemente
a portare a termine quest'opera.
Vorrei inoltre ringraziare Lynn Hart che, per prima, mi ha segnalato il
caso del bambino-gru, e il dottor Franois Peraldi, sulla cui lucida
trattazione del caso apparsa in Psychoanalysis, Creativity and Literature: A
French-American Inquiry (Columbia University Press, New York, 1978)
basata la mia versione immaginaria.
Verso Barbara Bristol e Andrew Wylie ho un debito di riconoscenza
troppo grande per essere espresso a parole. A loro tutto il mio affetto e la
mia sconfinata ammirazione. Perdonami se leggi questo...
Vivevo da tanto senza amore, Che non sapevo pi cosa pensavo.
James Merrill, "Days of 1964"

Viaggi.
Nel primo pomeriggio di una piovosa domenica di novembre un uomo
scendeva frettoloso lungo la Terza Avenue, superando fioristi ed edicole
chiusi e sbarrati, le mani sprofondate in tasca e la testa china contro il vento.
La strada era deserta ad eccezione di qualche taxi, che tagliando l'acqua
grigia delle pozzanghere la schizzava via in zampilli. Dietro le finestre
illuminate delle case d'appartamento la gente si stiracchiava, separava le
pagine dell'edizione domenicale del "Times", versava il caff in tazze di
ceramica smaltata, ma in strada la scena era completamente diversa: un
vagabondo coperto da sacchetti di plastica fradici era raggomitolato
nell'androne di un negozio; una donna con un cappotto marrone si riparava
la testa con un giornale e correva; un paio di piedipiatti i cui walkie-talkie
blateravano voci distorte ascoltavano il pianto di una vecchia di fronte a un
edificio smaltato di rosa. Cosa, si chiese l'uomo, cosa ci faceva lui,
individuo degno e rispettabile, con un appartamento ben riscaldato, buoni
libri da leggere, una macchinetta del caff, qui fuori tra questa gente, in
mezzo alla strada in una fredda mattina domenicale? Rise di s per essersi
fatto ancora una volta quella domanda e prosegu. Qualunque cosa si
inventasse, egli sapeva, stava andando dove stava andando.
Solo qualche isolato pi a nord di l, al dodicesimo piano di un edificio di
mattoni un tempo discretamente bianchi e ultimamente dipinti di un vistoso
azzurro cielo, una donna sedeva a una scrivania, muovendo pazientemente
una matita rossa su un manoscritto. Percepiva appena il ritmo martellante
della pioggia contro la grondaia mentre l'acqua si riversava a fiotti sulla sua
finestra. Le sue labbra si muovevano senza un suono, ripetendo le parole
che aveva davanti.
Alla televisione, che era accesa ma senza audio, un attempato dinosauro
di un cartone animato zoppicava in un paesaggio grigio gesso, i capelli uno
spazzettone bianco, tra i denti un bastone cui era legata una cartella.
Ignara del dinosauro, la donna respirava al ritmo della sveglia di cucina, e
la sua matita passava sul manoscritto come una bacchetta magica, risanando
tutto ci che toccava. Non pensava a suo marito, che camminava da solo,
lottando con gli scrosci di pioggia.
Rose chiamava spesso il suo quartiere, con i suoi grattacieli rosa, azzurri e
rosso vivo, il Middle East. Era in effetti pieno di uomini dalla pelle scura
che portavano occhiali da sole a mezzanotte, di sceicchi biancovestiti in
limousine, di donne nerovelate che mercanteggiavano con la vecchia e
stanca proprietaria della drogheria coreana. Dove viveva lei, le piaceva
spiegare, era troppo a ovest per essere Sutton Place, troppo a est per essere

midtown, troppo a nord per essere Murray Hill, troppo a sud per l'Upper
East Side. Stando alle piante della citt era Turtle Bay, ma Rose, che aveva
il senso dell'esattezza di un revisore di manoscritti, sapeva che Turtle Bay
delimitava soltanto alcune strade laterali illuminate da vecchi lampioni, con
alberi rigogliosi e villette monofamiliari.
Rose e Owen abitavano nella Seconda Avenue vera e propria. La camera
matrimoniale si affacciava su macchine e taxi e sul traffico stradale. Le
sirene ululavano per tutta la notte, cosicch ultimamente Owen aveva preso
l'abitudine di ficcarsi dei tappi di cera nelle orecchie quando andavano a
letto.
Ventun anni prima, quando si erano trasferiti nell'appartamento, il
quartiere era stato il dominio umile e pervicacemente medio borghese di
gente che avrebbe potuto identificarsi con Lucy e Ricky Ricardo, salvo che
non faceva niente di cos eclatante come lavorare in un nightclub. Col
passare degli anni il quartiere era divenuto sempre pi ricco. Grazie alla
stabilizzazione degli affitti, Rose e Owen continuavano a pagare l'affitto di
un'era perduta mentre il futuro sdruciolava via davanti a loro, uptown e
downtown, sulla Seconda Avenue.
Nelle loro immediate vicinanze, poco cambi visibilmente, ma Rose
sapeva che erano i cambiamenti invisibili che alla fine sarebbero stati i pi
implacabili.
Da vent'anni Rose faceva il redattore, dotata della rara capacit di sedere
tutto il giorno in un cubicolo, come un monaco in una cella, a leggere con
un rigore quasi penitenziale. In momenti di tensione si calmava trovando
sinonimi: sentire, comprendere, condividere; infuriarsi, imprecare, perdere
la tramontana; addolcire, placare, calmare. A muoverla era l'istinto di
mettere in ordine il mondo, come, seduta alla sua scrivania, metteva in
ordine le frasi, correggendo anacoluti e sfrondando participi inconseguenti,
sciogliendo nodi e grumi finch la prosa sotto i suoi occhi acquistava
splendore, come una glassa perfetta. La cucina era un altro dei suoi piaceri.
Andava fiera dei cibi che non assomigliavano in nessun modo ai loro
ingredienti: frutti in miniatura fatti di marzapane; glasse seriche e perfette
(grazie alle quali la torta sembrava un ripensamento, una banalit, una scusa
per l'idea) Owen sedeva di fronte alle torte che Rose faceva e le fissava, con
la faccia piena di una specie di timore reverenziale, perch era cresciuto in
una casa senza glasse, nutrito con asciutte e pesanti torte di noci e
plumcake. Uomo tranquillo, mangiava le torte di Rose con una ferocia di
cui la maggior parte della gente non l'avrebbe sospettato capace.
Avevano un figlio, Philip; aveva venticinque anni, e viveva nel West
Side. C'era una particolare immagine dei suoi genitori che aveva per lui una

specie di carattere primario: Owen e Rose sono seduti in soggiorno uno di


fronte all'altro su sedie a dondolo gemelle di velluto a coste per comprare le
quali una volta avevano affittato una macchina e si erano spinti fino nel
New Jersey. notte fonda. Attraverso la fessura sotto la porta della sua
camera da letto, splende la luce di quattro lampadine da cento watt. Non c'
alcun rumore eccetto il fruscio di pagine girate, di corpi che cambiano
posizione, e di occasionali stiracchiamenti. "Ancora duecento pagine" dice
Owen. Sta leggendo una biografia di Lytton Strachey fittamente glossata.
Poi entra in cucina e apre lo sportello del frigorifero. La torta l, la glassa
luccica sotto la lucina che si accende quando si apre lo sportello, mancano
gi un paio di fette e il coltello - spalmato di bianca seta e briciole gialle -
appoggiato sul piatto, accanto al dolce. Rose lo raggiunge. Toglie il piatto
dal frigorifero, lo appoggia sul bancone di cucina, e affonda il coltello nella
sua morbidezza. Lui resta l in attesa, inerte, ad osservarla mentre appoggia
due fette di torta nei piattini per il dolce e li porta in tavola. Tutto senza una
parola. Poi si siedono, piazzano davanti a s i loro libri aperti, e mangiano.
Un pomeriggio d'autunno, sull'ascensore, Mrs. Lubin - una vedova che
viveva nel palazzo da ancor pi tempo dei Benjamin - si confid con Rose.
Il padrone di casa, lei sospettava, era capace di oscure perfidie.
Qualche giorno dopo una lettera le conferm le sue peggiori paure.
L'edificio sarebbe stato trasformato in una cooperativa condominiale.
Poich non beneficiavano del blocco degli affitti e avevano meno di
sessantacinque anni, avevano un'opzione per comprare a prezzo ridotto ma
non potevano continuare ad essere dei semplici affittuari.
Naturalmente c'erano state delle voci, dei segni premonitori, e infine delle
lettere; ma sembrava che la cosa fosse stata rimandata all'infinito, al punto
che avevano smesso di credere che potesse succedere davvero. Adesso era
successa. "Possiamo permettercelo?" chiese Rose a Owen.
Lui si tolse gli occhiali, pos la lettera, e si strofin gli occhi. "Non lo so"
disse. "Immagino che abbiamo abbastanza denaro, ma bisogner che ne
parli con un commercialista. Non ho mai pensato di spendere tanti soldi in
vita mia, almeno non da quando Philip andato al college."
"Se non altro, abbiamo qualche mese" disse Rose, "prima che scada
l'opzione." Si guard intorno. Tolto qualche pezzo di mobilia nuova, e
qualche lavoro di tappezzeria, era lo stesso soggiorno in cui si erano
trasferiti ventun anni prima. Sulla moquette, una macchia di urina vecchia
di diciassette anni dimostrava l'esistenza di Doodles, il cucciolo di un
barboncino investito da una macchina quando aveva soltanto otto mesi.
Vivevano l da tanto tempo che non le sembrava pi neanche un posto.

"Solo le spese condominiali ci costeranno il doppio dell'affitto" disse


Owen. "Eppure, da quel che ho sentito dire, sono piuttosto basse."
Guard fuori dalla finestra, "Sai, Arnold Selensky mi ha detto che ormai
una casa su due in questo isolato diventata una cooperativa."
"Non voglio andarmene" disse Rose.
Come la vecchia Mrs. Lubin, veniva colta dal panico alla prospettiva di
un cambiamento, aveva sentito storie sui padroni di casa che assoldavano
malviventi e buttavano animali domestici dalle finestre, e temeva di
rimanere senza tetto. Naturalmente non tutti la pensavano cos. Il vivace
amico di Owen su nell'attico, Arnold Selensky, ricco e in via di diventarlo
sempre di pi grazie all'impresa di noleggio dei video, una sera li invit a
cena, e agitando il suo bicchiere di cognac attraverso il tavolo di plexiglass,
plaud al cambiamento.
"Per quanto mi riguarda, io credo nello stare al passo coi tempi" spieg.
"Quella musica sullo stereo, per esempio. Eurythmics. Non gli Eurythmics,
solo Eurythmics. Bella, no? All'ultimo grido. Anche quel lettore di compact
disk l'ultimo ritrovato. Il fatto che uno sta invecchiando non un buon
motivo per perdere i contatti. Ci sono tante di quelle vecchie in questa casa
che si stanno proprio uccidendo, almeno cos mi pare; ascoltano ancora
Lawrence Welk."
Rose pens, vivere nel passato.
Anacronistico. Da vecchie carampane.
"Non c' futuro negli affitti" disse Selensky. "Invece c' un bel futuro
nelle cooperative. Pensateci su. Ci capita una buona occasione, compriamo,
vendiamo a tre volte tanto sul mercato libero, ed ecco che ci possiamo
trovare sulla Quinta Avenue. Be, forse non la Quinta Avenue, ma con ogni
probabilit a Park Avenue verso la Trentesima. O, nel mio caso, Tribeca.
Bisogna prendersi un loft, Owen, ecco cosa bisogna fare. C' pi spazio di
quanto tu possa immaginare.
Come vivere in un ranch in citt.
Incredibile."
Quella notte Owen si svegli in un bagno di sudore. "Che ti succede?" gli
chiese Rose. Lui croll la testa e non volle raccontarle di aver sognato che
tutto gli era scivolato via da sotto i piedi, ed era stato sbattuto in mezzo a
una strada. Nel sogno, non aveva gambe. Andava su gi per le carrozze
della metropolitana su una pedana a rotelle, agitando una lattina per
l'elemosina. A differenza di Arnold Selensky, non aveva un lavoro con un
futuro. Da dieci anni si guadagnava uno stipendio decente accertando i
sistemi di valore, il carattere morale e i punteggi dei test di ragazzini i cui
genitori volevano iscriverli alla Harte School, una scuola privata maschile

nella Novantesima Est. Passava le mattinate leggendo lettere di


raccomandazione dei presidi di varie scuole e intervistando ragazzi dai sette
ai dodici anni, e nel pomeriggio teneva una lezione, un seminario di
letteratura rinascimentale con tre studenti brillanti. Aveva folti capelli
brizzolati che portava molto corti, e bench facesse poco esercizio fisico,
aveva un corpo teso come la corda di un violino. Era come se la sua stessa
tensione avesse assunto una forma fisica.
Rose aveva sempre fatto la spesa nella piccola drogheria italiana
sull'angolo, ed anche ora che era diventata una piccola drogheria coreana
continuava a far compere l.
Ventun anni fa in quel negozio aveva comperato gli ingredienti per la
prima cena cucinata nell'appartamento - un pollo mal cotto che lei e Owen
avevano mangiato su piatti di carta - e lei si era meravigliata che le verdure
potessero essere cos fresche, persino a New York City. Lei e la signora
dietro il banco, di cui non aveva mai saputo il nome, si conoscevano bene; il
pomeriggio parlavano di asparagi; e arrivarono insieme alla mezza et. Un
bel girono la signora cambi razza; almeno cos la vide Rose. Tutto
continu come prima con la proprietaria coreana. Apparentemente, il loro
piccolo isolato non era affatto diverso da come era sempre stato. Tuttavia,
Arnold Selensky le aveva detto che una casa su due era diventata una
cooperativa. Sembrava un tradimento.
Incominciarono le telefonate. Agenti immobiliari, mediatori, gente che
aveva sentito dire da altra gente che aveva sentito dire da altra gente. "Mi
scusi" diceva la voce. " vero che c' un appartamento di cinque stanze
disponibile in questo edificio?"
"No, non vero."
"Signora, se c' un appartamento disponibile di cinque stanze in questo
edificio, potremmo esserle utili."
"No, grazie. Arrivederci."
Le telefonate presero ad arrivare sempre pi frequenti e sempre pi tardi
la sera. Se Owen era a casa, rispondeva bruscamente. Nelle sere dei giorni
feriali, quando Rose tornava dall'ufficio, la segreteria telefonica era piena di
piccole perorazioni.
Una domenica chiamarono diciassette persone. Rose era furiosa. "Questo
appartamento non disponibile" disse all'ottava chiamata. "Ci abitiamo noi.
Perch non ci lasciate in pace?"
"Senta, mi ascolti per un attimo" disse la voce. Era esile e nasale.
"Tutto quelle che vorrei farvi sapere che c' un cliente che sta cercando
un appartamento nel vostro quartiere, ed disposto a pagare una buona
cifra. Ma non mi interessa. Sono stufa di essere strapazzata. Sembra che non

sappiate fare altro che gridare e gridare. Benone. Ne ho abbastanza. Lo


pianto questo stupido lavoro. Potrei guadagnare molto di pi facendo
qualsiasi altra cosa invece che queste stupide telefonate. Ho tre bambini e
non ho un marito e siamo accampati con mia madre a Queens. Chiamo la
gente come voi perch devo farlo, per dar da mangiare ai bambini. Non mi
diverto mica. Il minimo che potreste fare mostrare un po di
comprensione, un po di simpatia prima di cominciare a strillare."
"Be, mi spiace." Rose scivol nel senso di colpa. "Per deve capire anche
lei. Ci disturbano in continuazione. Siamo gente tranquilla e..."
"Sono certa che state belli comodi lass nell'East Side. Per potrebbe
anche non durare molto. Conosco il ritornello. Nati e cresciuti a New York,
e guarda il risultato. Una sberla in faccia."
Rose riattacc, sbattendo gi il ricevitore. Guard il telefono. Tra le molte
cose che dava per scontate nell'appartamento, all'improvviso il telefono le
parve molto speciale. Era di una sfumatura di grigio che non si vedeva pi
tanto spesso. C'erano degli avvoltoi l fuori, decise, tornando alla sua
poltrona e alla sua lettura; erano aggrappati ai cavi del telefono, pronti a
strappare l'impianto dalla parete, ad abbattere i muri, a spogliare
l'appartamento della sua mobilia e dei suoi ricordi, a ridipingerlo e a
ristrutturarlo per se stessi, senza pensare neanche un attimo alla vita che era
stata interrotta, la vita che era stata gettata in mezzo alla strada.
Adesso potevano comprare l'appartamento; non avrebbero avuto pi
nessun risparmio da parte, ma avrebbero avuto l'appartamento. A Rose non
sembrava in grande affare, perch, tutto sommato le sembrava di averlo gi
l'appartamento, ci avevano vissuto ventun anni della loro vita, e
continuavano a viverci. Cerc di immaginare di legarsi al letto, come
avevano fatto di recente alcuni vecchi affittuari di Central Park West, ma lo
trov impossibile. C'era gente, e lo sapeva, che il mercoled si svegliava alle
cinque del mattino per leggere gli annunci appena usciti sul "Voice", che si
incontrava coi mediatori e che passava in rassegna gli annunci mortuari per
vedere dove la morte avrebbe potuto sgomberare dei posti.
Rose non ce la faceva. Rimand il compito di cercare un nuovo posto in
cui vivere come aveva rimandato settimana dopo settimana, per sei mesi,
una lettera di cui era debitrice alla sorella di Chicago. Sapevano di avere "da
sei mesi a un anno", mentre venivano stabiliti i termini del passaggio
dell'edificio dalla locazione alla cooperativa. Suonava come la risposta alla
domanda: "quanto tempo mi resta, dottore?" Giorno dopo giorno Rose
controllava la posta ed era sollevata nel non trovare alcun avviso
minaccioso con date stabilite, tanto che cominci a sperare che questo vago

periodo di grazia continuasse per sempre. Ma arrivava sempre qualche


lettera dura a ricordarle che aveva i giorni contati.
C'erano pomeriggi in cui, tornando a casa a piedi dal lavoro, alzava gli
occhi sugli edifici a pi piani che la circondavano e li vedeva trasformati, in
un batter d'occhio, in cataste di corpi, con arti vivi che si agitavano tra quelli
morti. Il pensiero di tanta vita, inscatolata, ammassata per diciassette piani,
le faceva venire la nausea.
Philip talvolta veniva a sostenere i suoi genitori col loro trauma da
granata. Di questi tempi il suo cuore era altrove, dall'altra parte della citt,
innamorato per la prima volta, e aveva ben poco spazio per il dolore.
Eppure, seduto nel soggiorno coi genitori, provava un'improvvisa
nostalgia per l'infanzia e immaginava di poter dire, "Buona notte", e girarsi,
scoprendo la sua vecchia stanza cos com'era, con i compiti pronti sulla
scrivania. Per la maggior parte della sua vita, qui aveva consumato la cena,
eseguito i compiti, si era lavato le mani, aveva guardato la televisione e letto
libri, ed era andato a dormire. Pensando a queste cose, gli venivano le
lacrime agli occhi e sentiva un piacevole groppo salirgli in gola.
Ma quello che provavano Rose e Owen, quando andavano a letto, era
dolore, puro e semplice. Partiva dal loro stomaco, un gorgoglio rauco, e
saliva verso le loro teste minacciando di scoppiargli in petto. Non c'era
niente di piacevole in questo dolore.
Non se la godevano affatto. Volevano vederlo sparire. La vendita
dell'appartamento era l'inizio della fine per loro. Per Philip era l'inizio
dell'inizio perch lui moriva dalla voglia di qualcosa che segnalasse l'inizio
irrevocabile della sua vera vita. Non c'era nessuna parte della sua vita reale
che volesse rivivere, e ne era contento. Non aveva rimpianti lui, se non
fastosi. Guardava solo davanti a s, assetato di futuro, mentre i suoi genitori,
improvvisamente indifesi di fronte a un cambiamento, si guardavano alle
spalle contemplando tutto ci che avevano dato per scontato. Qualunque
cosa potesse succedere, gli anni neutrali, gli anni che ricordavano come
indolori, erano finiti. Di notte restavano svegli, distanti, ciascuno aggrappati
alla sponda esterna del letto, e davano per scontato che l'altro dormisse.
Fuori passavano le macchine, proiettando le loro ombre dodici piani pi su,
e le ombre planavano come uccelli veloci sulla moquette.
Per lo pi la domenica Rose e Owen la passavano separati. Non era una
regola, solo che andava cos.
Nell'anno successivo al suo ritorno dal college, c'era stata un'altra
tradizione domenicale, e cio che Philip veniva a cena, ma recentemente le
sue visite si erano fatte irregolari. Telefonava per dire: "Non ce la faccio
proprio questa settimana. Ma che ne dici di trovarci a pranzo, mamma?"

Dato che loro due lavoravano nella stessa zona, il pranzo per loro era una
possibilit concreta.
Rose lavorava da vent'anni alla T.S. Motherwell, una piccola casa editrice
letteraria. Aveva sistemato con ordine il suo cubicolo. La mattina beveva il
caff con la sua amica Carole Schneebaum, poi spariva dietro la porta per
dedicarsi alle sue letture metodiche. Ogni ora o dieci pagine (a seconda di
quale delle due cose veniva prima) si alzava, si stiracchiava, e beveva un
po di caff. Altrove nell'ufficio c'era gente che si allarmava per la scarsit
delle vendite e per le cattive recensioni, ma per lei tutto questo non
significava granch. A pranzo con Philip lo ascoltava parlare di veste
editoriale e di marketing del prodotto, ma neanche questo la interessava
granch. Philip lavorava per una Societ che sfornava romanzi d'amore
tascabili al ritmo di cinque o dieci al mese. Si meravigliava un po per il suo
entusiasmo per il lavoro, ma la vita di Philip aveva parametri diversi dalla
sua. "Imparare a usare il computer una cosa impagabile" le spiegava. "In
ufficio tutto viene fatto sul monitor di un computer, mamma. Non si vede
neanche una macchina da scrivere in giro."
Rose aveva una macchina da scrivere Royal vecchia di trentacinque anni.
Non avrebbe dovuto sorprenderla che il mondo l'avesse sorpassata,
eppure la sorprendeva. Philip viveva in una strada sporca in una parte della
citt in cui Rose aveva sempre pensato che i bianchi non potessero neanche
passeggiare. Ma no, l'assicurava lui, il suo quartiere un tempo devastato
aveva ripreso quota; era quasi chic.
Il piccolo appartamento in cui viveva era un gemma, un gioiello, anche se
aveva soltanto una stanza, e la vasca da bagno era nella zona cucina.
Durante un fine settimana in cui Owen era via per una conferenza, Philip
l'aveva invitata a cena per mostrarle l'appartamento. A Rose non piacque
l'aria che tirava in quella strada, gli adolescenti portoricani con le radio sulle
spalle, i gatti randagi che miagolavano sul marciapiede.
C'erano graffiti sull'edificio, bottiglie vuote di rum sulle scalette
d'ingresso. Dentro, comunque, c'erano mattoni a vista e pareti color malva
disseminate di poster incorniciati.
Philip aveva dipinto la vasca da bagno di un rosso brillante.
Una volta finita la cena, Philip si infil il cappotto per accompagnare sua
madre a Broadway, dove poteva prendere un taxi. "Questa una zona molto
africana" le disse mentre si facevano strada tra una congrega di bambini
minacciosi radunati nei corridoi. "I corridoi di questo caseggiato odorano di
spezie africane." Uscendo dalla porta dovettero scavalcare un uomo
addormentato nel vestibolo. "Il nostro portiere" disse Philip, e rise.
"Philip" disse Rose, sta bene quell'uomo?"

"Non preoccuparti" disse Philip.


"Abita qui. Solo che a volte non ce la fa a salire le scale."
"Capisco."
S'incamminarono sulla Centoseiesima Strada. "Quanto tempo pensi di
restare in questo posto?" chiese Rose.
"Il pi a lungo possibile"
L'affitto schifosamente basso, e il padrone di casa sarebbe disposto a
uccidere pur di liberarsi di me e alzarlo. Ma non possono trasformarlo in
una cooperativa. Ho controllato.
Per via di qualche clausola oscura che riguarda l'edificio, e che ha a che
fare con le tubature o qualche cosa del genere."
"Cooperativa, questo posto?" Rose era incredula. "Che tu lo creda o no,
sta succedendo in tutto il vicinato."
"Santo cielo."
Continuarono a camminare. In Amsterdam Avenue, un uomo stava
orinando contro il marciapiede. " qui che te ne vai in giro?" chiese Rose,
distogliendo lo sguardo dall'uomo.
"Cosa intendi dire?"
"Ma s" disse Rose. "Quello che fai tu. Coi tuoi amici."
Philip tossicchi. "No, no" disse.
"Non da queste parti. In realt, ultimamente ho passato un sacco di tempo
nell'East Village. un quartiere strampalato - pino di punk e vagabondi e
pessimi artisti tutti agghindati in tenute stravaganti."
"Tu non sei niente di tutto questo" disse Rose.
A Philip cadde la mascella di fronte a tale affermazione, ma non rispose.
Invece storn gli occhi e si strinse la sciarpa intorno alla gola.
Rose ebbe l'impressione di aver fatto la domanda sbagliata. O di averla
fatto nel modo sbagliato. Quel che voleva dire era: ti spiacerebbe spiegarmi
che cosa successo, perch la tua vita tanto diversa dalla mia?
Ma Philip disse: "Avete deciso se comprerete l'appartamento o no?"
Lei sorrise e scosse la testa.
"Aspettiamo di sentire che cosa ci dir il commercialista. E poi il parere
dell'avvocato. Ma non si mette bene. Dovremmo spendere fino all'ultimo
centesimo dei nostri risparmi solo per l'acconto. triste. Tuo padre ed io
siamo cos radicati alle nostre abitudini."
"Francamente non riesco a immaginarvi a vivere da nessun'altra parte"
disse Philip, guardando altrove. "Spero che ce la facciate.
Ecco, arriva un taxi. Lo fermo."

Lascia perdere il taxi, avrebbe voluto dire Rose. Dimmi qualcosa,


qualsiasi cosa. Sono stanca di vivere nel passato. Ma il taxi giallo si era
fermato, e non ebbe altra scelta che quella di salirci.
La mano di Philip era fredda mentre prendeva le sue, le sue labbra fredde
mentre la baciava sulla guancia. "Ci vediamo presto" le disse. "Magari a
pranzo la prossima settimana?"
"Notte fredda, vero signora?" disse il conducente.
"Non si pu negare" disse Rose.
"Mi piace lavorare di notte. Un sacco di tizi preferiscono il giorno, ma di
notte si trovano clienti pi interessanti. Pi tardi, pi sono interessanti.
L'altra notte ho portato a casa una signora nella Quinta Strada. Mi ha chiesto
di cambiare, giusto? E poi saltato fuori che era un ometto."
"Ma davvero?" disse Rose.
"Ci pu scommettere" disse il conducente. "Ma io dico "vivi e lascia
vivere""
Il conducente era giovane. Da sopra il cruscotto, la fotografia di una
faccia butterata con un paio di baffi arruffati formava uno strano contrasto
con il collo lungo e accuratamente rasato che Rose stava guardando. Un
trittico di bambine era incollato sul parasole: facce slave, due con grandi
sorrisi, quella al centro magra e dall'aspetto pericoloso.
"Be, il mondo sta cambiando, questo certo" disse il conducente. "Ormai
un sacco di cose che non avresti visto vent'anni fa oggi non ti sorprendono
neanche."
" proprio vero" disse Rose.
Quando Rose si svegli, tardi, la domenica, Owen era gi uscito. Come
sempre, sarebbe tornato in serata. Lei non gli chiedeva dove era andato.
Non sarebbe stato educato.
Tuttavia, era curiosa di saperlo.
Lui lo sapeva benissimo cosa ne faceva lei delle sue domeniche. Beveva il
caff e leggeva il giornale, poi prendeva uno dei suoi manoscritti e lavorava
finch non andava in onda "Sessanta minuti" Si godeva la quiete
dell'appartamento, il lusso di avere tutto il posto per s in un pomeriggio
piovoso. Owen era sempre fuori. Era a scuola? Forse c'era una donna. Ma
solo la domenica.
Oggi sedette alla scrivania e lesse il manoscritto di un manuale
sull'assistenza ai genitori anziani. I capitoli avevano titoli come "Malattia
del cervello" e "Incontinenza: fatti e mito" Il libro le piaceva; le sembrava
stranamente confortante leggere descrizioni cos accurate del crollo e del
declino.

A pagina 165, attacc al manoscritto un foglietto di carta gialla su cui


scrisse "Se uno resta in piedi, il grembo non ce l'ha" Rilesse la frase con una
certa soddisfazione e continu. Poi, nel mezzo del capitolo "Come dire
"no!", ma con dolcezza", Rose ebbe l'improvviso sospetto di aver saltato
qualcosa nelle pagine precedenti. Torn indietro, ed effettivamente, a
pagina 172, trov un aggettivo al posto sbagliato, e non corretto. Cos'era
successo? Rilesse il paragrafo e non lo riconobbe. Il paragrafo descriveva i
sintomi della demenza senile: dimenticanza, paranoia, coazione a
nascondersi. Era certa di non averlo letto prima. "La vaghezza della mente",
lesse. Mise da parte il manoscritto.
Decise che per quel giorno non avrebbe fatto altro lavoro. Aveva la mente
invasa da pensieri angosciosi sull'appartamento e su Philip, e piuttosto che
permettere che interferissero col suo lavoro, decise, tanto valeva che desse
loro la piena libert di chiarirsi o di annullarsi.
Quindi si infil il cappotto e i guanti e usc a passeggiare per prendere un
po d'aria fresca e schiarirsi le idee. Aveva smesso di piovere. Si avvolse
bene la sciarpa intorno al collo e si diresse a nord.
Poich era domenica, e pomeriggio avanzato, la maggior parte dei
ristoranti del centro era chiusa. Gli uffici dei grattacieli annunciavano il loro
vuoto con una geometria di finestre illuminate e atri fluorescenti e senza
vita. Oggi il mondo era chiuso negli appartamenti, dietro tende illuminate
da una luce calda. Erano a spasso solo i vagabondi e gente dall'aria persa.
Ombrelli sbrindellati si aggrovigliavano intorno ai suoi piedi, e sulla strada
le macchina passavano sfrecciando, schizzandole addosso l'acqua delle
pozzanghere, Tuttavia lei continu a camminare. Arriv all'incrocio dove la
Fdr Drive passa cos vicino a Sutton Place che le macchine sfrecciano via a
pochi centimetri dai pedoni, e indietreggi, terrorizzata dal labirinto di
grattacieli che si levavano verso il cielo in angolazioni sbilenche. Qui una
casa di appartamento di mattoni bianchi si protendeva sopra l'autostrada, e
Rose si chiese che effetto facevano le macchine dalle finestre degli
appartamenti mentre venivano risucchiate di sotto. Al di l dell'autostrada
col suo traffico e la sua velocit c'era il fiume turbolento dalle acque
increspate, e oltre ancora Roosevelt Island, e la sferragliante linea
tranviaria, e il cartellone della Pepsi Cola. Queens. L'enormit di tutto
questo fece sentire Rose straordinariamente piccola, quindi gir su se stessa
e torn verso la Prima Avenue, e si diresse downtown. I rumori
dell'autostrada e del fiume si attutirono immediatamente come se la citt
stesse trattenendo il respiro.
Le venne in mento un episodio di Ai confini della realt in cui un
astronauta attraversava in corsa disperata una citt vuota e cercava di

risvegliarne la vita urlando fino alla raucedine. Non c'era niente l. Poi si
capiva che la citt era solo un sogno, mentre lui era in una vasca
d'isolamento, sottoposto a una serie di controlli in vista di un eventuale
lancio nello spazio. Buona fortuna, John Glen. Siamo tutti con te.
Altra gente, pens Rose, era mimetizzata. Se qualcuno l'avesse assalita
proprio ora, trascinandola in un vicolo, chi avrebbe sentito? Il rumore non
sarebbe certo arrivato fin su negli appartamenti. Non era forse successo che
una donna era stata violentata sotto la sua finestra mentre lei dormiva o
leggeva o semplicemente se ne stava l seduta, senza mai curarsi di guardar
fuori?
Si tuff nello Horn e Hardart Automat della Quarantaduesima Strada.
Una musica natalizia scampanava nella cavernosa caffetteria, rimbalzando
da colonne Art Deco e creando un coro balbuziente, in cui tutte le voci
erano mal sincronizzate tra loro.
Oltre questo suono c'era un basso ronzio di vita, di chiacchiere. Rose
guard le piccole vaschette di metallo, ciascuna delle quali conteneva una
cosa distinta: un tramezzino al tonno con la sua guarnizione di patatine
fritte; una coppa di lisci cubetti di gelatina rossa. La maggior parte per
erano vuote. Venticinque anni fa questo posto l'aveva incantata, quando
ancora sembrava una cosa venuta dal futuro.
Quell'ambiente figurava in una commedia dei tempi della Grande Crisi a
cui l'avevano portata da bambina a Chicago. Adesso ormai sapeva
abbastanza del futuro per capire che l'Automat era un pezzo di antiquariato,
un anacronismo, una cosa del passato. Prese una tazza di caff da un'anziana
donna nera con una calza tirata sui capelli e si sedette a berlo. Tutta la gente
dentro l'Automat era vecchia, e stavano mangiando cose come tacchino
arrosto con fagiolini e bistecche di manzo. Mangiavano lentamente, e
masticavano ogni boccone metodicamente, come le diceva di fare sua
madre, per farlo durare di pi. La maggior parte della gente era da sola,
alcuni a coppie, e molti avevano l'aria di vivere per strada. Quello che
voleva lei era una cheeseburger, un super burger di Burger King,
gocciolante maionese e senape e pieno di sottaceti. Indulgeva in questo
vizio segreto soltanto di quanto in quando, e sempre con grande senso di
colpa, azzannando l'hamburger assassino in un angolo in modo da uscire il
pi presto possibile. Aveva sempre paura di essere vista mentre mangiava
delle porcherie, anche se si rendeva conto che chiunque la vedesse
probabilmente stava mangiando le stesse cose. Ora, dentro l'Automat, Rose
vide se stessa, una donna di mezza et, alta, con un cappotto abbottonato fin
sotto il mento, che beveva un caff tutta da sola, e prov tanta piet per

quella donna che trattenne il fiato e dovette appoggiarsi al tavolo per


riprendersi.
Cinquantadue anni, occhi pensosi, capelli scuri; gli uomini la definivano
"attraente" Trangugi quello che restava del caff e usc precipitosamente
dalla porta.
Stava di nuovo piovigginando, ma Rose continu lo stesso a camminare.
Nella zona tra la Trentesima e la Ventesima Strada c'era un improvviso
scoppio di vita - rosticcerie aperte giorno e notte e caldi e rumorosi
ristoranti cinesi e grandi case di appartamenti piene di movimento con
coppie ferme davanti al portone che chiamavano i taxi. Poi una regione
morta intorno alla Quattordicesima Strada, che le fece venire in mente
Philip. Una gang di ragazzi portoricani era ammassata al riparo di un teatro
abbandonato, e la osservava.
Lei continu a camminare. Non c'era verso di fermarsi adesso, anche se si
stava facendo buio e il vento era feroce. Ormai era in balia del viaggio.
S'incammin per la Terza Avenue fino a St. Mark's Place, e s'immerse in
quello che sapeva essere l'East Village. C'erano segni di fine settimana
dappertutto: bottiglie rotte; schizzi d'urina sui muri; ragazze dai capelli
violetti sedute sui gradini delle case, a strofinarsi braccia lentigginose alla
ricerca di calore. Una tranquillit da dopo disastro. Continu a camminare,
attraverso il quartiere ucraino, oltre il Kiev e altri ristoranti aperti
ventiquattro ore, poi gir nella Sesta Strada, dove sbocciavano luminosi
mazzi di ristoranti indiani, come fiori esotici: Ganges, Romna, Anar Bagh.
Ma che succedeva? Stava girando in tondo adesso.
All'angolo di St. Mark's Place e la Seconda Avenue, mentre teneva la
testa china contro la pioggia, s'imbatt in Owen. Fu come imbattersi in un
collega d'ufficio. Il vento gli sollevava le code dell'impermeabile, e le
estremit della sciarpa rossa che gli aveva fatto lei gli frustavano le guance.
Stava camminando molto in fretta verso la Nona Strada, col viso pallido e
agitato, e poi eccolo di fronte a lei.
"Ciao" disse lui.
"Ciao" disse lei. "Ho fatto una passeggiata, e... successo che diventata
sempre pi lunga"
"Ah" fece lui. Affond le mani nelle tasche e si guard al di sopra della
spalla, sollev un piede da terra e poi l'altro.
"Avevo deciso che avevo voglia di fare una passeggiata" disse Rose.
"S" disse Owen. "Ne avevo voglia anch'io."
"Certo che non proprio la giornata, lascia che te lo dica" disse Rose.
Rimasero fermi per un momento nella pioggia e nel freddo sollevando
alternativamente i piedi. Rose aveva le punte dei piedi intorpidite.

"Stavo pensando di andare in quella libreria di St. Mark's Place" disse


Owen. "Vuoi venire anche tu?"
Rose sorrise, scosse la testa. "Va pure" disse. "Io dovrei tornare. Devo
finire quel manoscritto sul morbo di Alzheimer per la settimana prossima."
Esit un attimo. "Torni a casa presto?"
Owen storn gli occhi. "No, non proprio subito" disse. "Ho delle cose da
fare."
"D'accordo. Allora ci vediamo tra poco."
Owen sorrise. "S" disse. "Tra poco."
"Bene. Ciao allora."
"Ciao."
Rimasero a guardarsi ancora per qualche imbarazzante secondo. Poi
Owen alz la mano in un mezzo saluto e si allontan da lei.
Lei dovette rimanere l sull'angolo ancora un minuto prima di potersi
muovere. Era sorpresa al di l del pensabile. Tutto sommato si scontravano
tutti i giorni in salotto.
Ventisette anni di matrimonio, pens, e questa la prima volta che ho
visto com' quando pensa che io non ci sia, la prima volta che mi sono
imbattuta nella vita che lui conduce da solo. E cosa stava facendo cos
lontano downtown? E lei cosa stava facendo?
Perch non erano andati insieme a prendere un caff e non erano tornati a
casa insieme? Si gir e si incammin uptown. Le facevano male le gambe
per il lungo tragitto, quindi ferm un taxi, ci sal, e fu grata che fosse ben
riscaldato. Dentro gli stivali, le punte dei suoi piedi bagnati si stavano
sgelando. Ventisette anni di matrimonio, pens, e lo conosco appena.
Mentre percorreva le strade nel taxi si sent sciocca e ignorante, racchiusa
nel bozzolo della sua vita.
Si era imbattuta in suo marito a uno strano angolo di strada, mentre lui
stava facendo misteriosi commissioni di cui lei non sapeva nulla, e si erano
parlati brevemente come degli estranei, si erano separati come degli
estranei. Quello che era sorprendente era che non si sentiva per niente
sorpresa.
Owen la domenica camminava. Era tutto quel che lei sapeva. Forse aveva
un posto dove andare. Forse no.
Era come se questo piccolo fatto del passeggiare fosse tutto quel che
sapeva di lui. La scheda della sua vita di colpo era vuota, pulita. Con chi
aveva vissuto tutto quel tempo?
Stava nevicando. La neve cadeva in grumi bagnati fuori dai finestrini del
taxi. La citt si illuminava man mano che cadeva la notte, finch, vista dal
finestrino annebbiato del taxi di Rose, sembr illuminata dalle candele.

Owen camminava. Non era un'attivit; era una condizione. Per miglia e
miglia, con stivali spessi, per tutta la lunghezza di un'isola, camminava.
Non aveva una destinazione. La sua destinazione era un cerchio.
Camminava in modo che quando fosse arrivato a casa, nella calda luce del
soggiorno e nel profumo della cena, queste cose gli sembrassero reali, la
casa gli sembrasse reale. Camminava per scacciare il panico invadente di un
umido pomeriggio domenicale, di un appartamento sul punto di esser perso,
di una vita che si avvicinava all'inizio della sua fine. Quando camminava, si
fermava soltanto alle edicole. Osservava le copertine delle riviste
pornografiche, scrutandole con minuzia ma non con sentimento. Era una
giornata schifosa per essere all'aperto. Giovani con ancora indosso il
pigiama sotto il cappotto sfrecciavano da sotto le tettoie per afferrare le
copie del giornale della domenica. Altri bighellonavano agli angoli di strada
o si appoggiavano ai muri - prostitute e accattoni, spacciatori di droga, hare
krishna, tutti in vendita o con qualcosa da vendere - mentre i compratori
girellavano, girando intorno ai loro bersagli, alla ricerca delle facce giuste
per un cenno del capo, una strizzata d'occhio, un sorriso. Un segnale.
Owen era un esperto di domeniche.
Riconosceva le trappole.
Per anni si era sentito sicuro soltanto nel suo appartamento, soltanto con
Rose. Ma adesso tutto si era capovolto. L'appartamento era il posto in cui
aveva paura. Pericoli non identificabili erano in agguato negli angoli, pronti
a scattare. Dalle pareti, dal copriletto, dal sof emanava elettricit statica.
Non poteva avvicinare le dita a nessuna nessuna superficie senza rischiare
una piccola scossa. E, peggio ancora, la minaccia era oscura. Si nascondeva
come un codardo, si rifiutava di mostrare la faccia. Non riusciva a darle un
nome. La sua angoscia cresceva al punto da costringerlo a fuggire negli
spazi aperti della citt, dove, se non la sicurezza, trovava per lo meno la
compagnia di altri estranei spaventati. C'era una fratellanza di uomini di
mezza et che vagavano nei pomeriggi della domenica, guardandosi l'un
l'altro gravemente al di l della strada, senza mai fare un cenno col capo.
Sgattaiolavano accanto a Owen sul marciapiede, mentre le spalle dei loro
impermeabili si sfioravano. Emergevano al crepuscolo da uffici vuoti e
fermavano i taxi.
Tutti quanti portavano cappelli inclinati sul viso, gli occhi bassi
suggerivano segreti. Tutti quanti avevano segreti. E tuttavia almeno Owen
incominciava a essere stanco del suo. S, se qualcuno glielo avesse chiesto
adesso, chiunque, avrebbe raccontato tutto, anche se ormai non gli avrebbe
fatto alcun bene; lo avrebbe fatto per disprezzo. Ma nessuno glielo
chiedeva. Persino Rose non sembrava sospettare niente di lui; se l'era

trovata di fronte proprio questo pomeriggio sulla Nona Strada, a guardarla


in faccia, e lei non lo aveva visto. Aveva pensato che forse avrebbe dovuto
scappare dalla stupida confusione della faccia di lei, e poi dal suo sguardo
vuoto e dalle smorfie della sua bocca. Lottava alla ricerca di parole. Tanto
sforzo, e tutto per niente! Perch preoccuparsi? Perch non gridarlo ad alta
voce proprio l adesso, in mezzo alla strada?
Dopotutto, era convinto che appena fossero stati sfrattati dal loro
appartamento sarebbero comunque diventati gente di strada. Ormai gi
battevano la citt separatamente, come per prepararsi alla loro futura
solitaria povert. Immagin la prossima volta in cui si fossero imbattuti
l'uno nell'altra: lui con la barba lunga, i vestiti sbrindellati, a dormire in
ricoveri per uomini, mangiando zuppa fatta di bucce di patate, Rose coi
capelli arruffati e sporchi, le gambe coperte di piaghe, sarebbero stati in
coda davanti alla clinica dei pidocchi, in attesa di ricevere uno shampoo e di
essere rasati, e Owen, pensando di riconoscerla, avrebbe detto, "Scusa...
Rose? Sei tu, Rose?" E lentamente lei sarebbe emersa dal suo stupore, si
sarebbe girata a guardarlo, la pelle terrea e tutta macchiata di sporco, le
labbra screpolate, come le sue del resto, e grassi i capelli di entrambi;
doveva continuare? Avrebbe potuto continuare, lo sapeva, colorando i
dettagli della loro rovina.
Trasformarsi in creature del genere - questo s sarebbe stato un trionfo!
Sarebbe stato uno sputo in faccia a questa vita.
Rose lo guard; apr la bocca. Stava facendo dei rumori con la gola,
preparandosi a dirgli qualcosa; cosa?
Si ferm e prese a calci la neve fangosa che si era ammassata in un
angolo. Se oggi fosse entrato nel Waldorf-Astoria, nessuno gli avrebbe fatto
caso, col suo cappotto di tweed.
Che peccato. Lui avrebbe desiderato essere buttato fuori sul marciapiedi.
Lui e Rose non avevano neanche incominciato a pensare all'arduo
compito di trovare un nuovo appartamento; forse sarebbe stato troppo per
loro. Pens a questo: se avesse lasciato il lavoro e si fosse dato al bere
vivendo in un albergo costoso per un mese, i soldi sarebbero finiti. Se ne
sarebbe liberato. Si poteva fare.
"Divagazioni lunatiche di un vecchio" disse Owen e si stup accorgendosi
di aver parlato ad alta voce. Una donna di mezza et con lucidi capelli
biondi, girandosi a guardarlo, spinse la mano del suo bambino ancora pi a
fondo nella tasca in cui la teneva e si allontan in fretta da lui. Oh, faceva
freddo. Owen si strinse la cintura in vita e procedette.
And al Bijou, un cinema sulla Terza Avenue. La donna dietro al
tramezzo di vetro prese i suoi soldi, lo fece passare attraverso il torchietto

come aveva fatto praticamente ogni domenica per quindici anni. Per molto
tempo questo posto lo aveva terrorizzato, ma ora lo stancava soltanto. Si
sedette nell'ultima fila con gli altri vecchi che volevano spararsi una sega ed
esser lasciati in pace. Stranamente, proprio mentre il suo appartamento, quel
paradiso di pace e sicurezza, si era riempito ultimamente di pericolo, questo
posto aveva perso la sua minacciosit. Era come se riuscisse a vederlo con
le luci accese, cosa che non succedeva mai, e non era altro che una stanza
con un sacco di poltrone macchiate al punto che non si poteva dare pi un
nome al loro colore originale. Niente stava in agguato qui. Non c'era
mistero. Solo l'arrapamento crescente e collettivo di migliaia di uomini,
iniziati e veterani, che deglutivano e annaspavano e stringevano la presa in
tandem con le presenze sullo schermo gigante.
Owen sedeva nell'ultima fila. Sullo schermo c'era un primo piano della
faccia contratta dal piacere di un ragazzo mentre il liquido bianco gli
scivolava gi per le guance, indugiando sulla punta delle sue ciglia come
neve, cadendogli sulla lingua dardeggiante. A Owen parve che stesse
trasformandosi nell'albero di una foresta invernale. Owen si concentr.
Doveva faticare per essere eccitato da queste immagini. In realt, era cos
assorto che si accorse a malapena quando qualcuno si sedette accanto a lui.
Si gir una volta, poi torn a guardare lo schermo. L'uomo sembrava sulla
trentina, con capelli castani, baffi, piccoli occhiali di tartaruga che
incorniciavano occhi chiari. Indossava un gilet marrone. Stava fissando
Owen intensamente. Owen ricambi lo sguardo, poi fiss risolutamente lo
schermo. Sullo schermo il ragazzo veniva incatenato a una staccionata di
metallo da un piedipiatti mentre un altro gli tirava gi i pantaloni e si
toglieva, accarezzava e massaggiava una grossa cintura. Owen tuttavia
continu a sentire lo sguardo fisso dell'uomo accanto a lui, caldo come il
fiato.
Chiuse gli occhi. Gli faceva rabbia che questa occasione si presentasse
adesso, proprio quando pi di ogni altra cosa desiderava restare solo a
crogiolarsi nella sua disgrazia. C'era tempo? Non era troppo esausto? Ce
l'avrebbe fatta a farsi venire un'erezione? Vecchie domande si risvegliavano
in lui. Erano mesi che non faceva niente del genere. Ed era cos stanco.
Sospir forte. Come per caso, appoggi la mano sulla coscia dell'uomo.
Con gli occhi fissi sullo schermo, si fece strada a tentoni lungo i jeans fino
al caldo rigonfiamento dell'inguine e si fermo l ad armeggiare.
Il respiro dell'uomo era profondo e irregolare. La sua mano era sulla
gamba di Owen. E adesso Owen tir gi lentamente la cerniera, sent la
cosa scattare come un'ondata di calore, pulsare contro il cotone sottile e
caldo della biancheria intima dell'uomo. Continu a guardare lo schermo

mentre il ragazzo, bench protestasse, veniva preso ancora una volta dal
piedipiatti, e ancora una volta ne godeva. L'uomo stava soffiando fuoco
sulla spalla di Owen.
Cautamente Owen si pieg verso di lui, e un braccio gli imped di piegarsi
sul bracciolo.
Owen guard verso l'uomo, o verso la sua faccia, era una faccia gentile,
pura, preoccupata. "Per favore" sussurr l'uomo. "Non posso farlo qui.
Per favore non possiamo andare da qualche altra parte?"
La mano di Owen si sollev spasmodicamente. Guard lo schermo come
alla ricerca di una guida. Sullo schermo il piedipiatti disse: "S, merda, s"
L'uomo voleva andare da qualche altra parte. Sedeva ripiegato sulla
poltrona, con la patta aperta, con un'erezione che faceva tenda sotto le
mutande. Guard Owen. "Ho una casa qui vicino; potremmo andare l"
disse, e Owen apr la bocca e guard dall'altra parte. Immagin di dire di s,
immagin che avrebbero dovuto parlare fuori dal cinema, scambiarsi i
nomi, forse stringersi la mano; avrebbero dovuto parlare dei loro lavori e
delle loro vite mentre si incamminavano ovunque stessero andando (cosa
avrebbero potuto dire?); peggio ancora, avrebbero dovuto ammettere a
vicenda alla chiara luce del giorno che erano venuti, ciascuno da solo, in
quel locale scuro della Terza Avenue, quel ricettacolo di vergogna e di
piacere solitario, e pertanto riconoscersi vicendevolmente come esseri
umani e non pi come semplici ombre che fluttuano e scimmiottano,
momento per momento, i movimenti guizzanti di giganti su uno schermo.
Owen sapeva come toccare; con le mani poteva essere dolce, focoso,
seducente. Ma nei quindici anni di frequentazione di questo locale non
aveva mai detto una parola a nessuno dei suoi partner; non aveva idea da
dove cominciare.
Scosse la testa. L'uomo si agit nervosamente; Owen non lo guard.
"Grazie" disse l'uomo. "Sar per un'altra volta." In un attimo era sparito.
Owen tutt'a un tratto pens di alzarsi e di seguirlo, ma sembrava fosse
congelato nella poltrona. Si lasci andare all'indietro, sgonfiato.
Nel giro di poche ore il suo desiderio di fare all'amore con quell'uomo, di
stringere quell'uomo, sarebbe divenuto cos acuto da essere praticamente
insopportabile. Sdraiato a letto avrebbe ricordato ogni piccolo tocco, e alla
fine avrebbe dovuto alzarsi, aprire la doccia, appoggiarsi contro la parete e
sentire l'acqua calda inumidirgli la pelle. Il giorno dopo in lui sarebbe
rimasta solo la speranza sufficiente a provare rimpianto. La sera, tutto
sarebbe stato morto; morto di fame.
Si tir su la cerniera, si strinse forte il cappotto in vita e si alz. A casa, lo
sapeva, c'era il dolce; c'era sempre il dolce. C'erano i libri, anche. Faceva

freddo fuori, quindi dentro sarebbe stato caldo. La casa lo avrebbe sostenuto
per una singola notte, e quando il panico fosse comparso la mattina dopo,
lui sarebbe stato in cammino verso il lavoro. La sopravvivenza era
possibile.
Not una piccola macchia bianca sul sedile accanto al suo. Era un pezzo
di carta. Lo guard per qualche secondo prima di prenderlo e aprirlo. Sul
pezzo di carta c'era scritto in una calligrafia minuta: "Alex Melchor"
Poi due numeri di telefono, seguiti da una "U" e l'altro da una "A" e sotto,
sottolineato due volte, "per favore telefonami"
Owen rilesse il bigliettino. Gir lo sguardo intorno a s, verso le ombre
nel locale. Guard le proprie mani, il sedile vuoto, lo schermo.
Poi ripieg il pezzo di carta e se lo ficc in tasca dirigendosi verso
l'uscita.
Fuori, il vento era forte e la neve cadeva nell'oscurit. Owen cammin
rapidamente, con le mani in tasca, le punte dei piedi intorpidite, osservando
il suo fiato formare nuvole sempre pi grandi e pi frequenti.
Pens ai suoi libri, alla torta nel frigorifero, e sorrise. Quell'uomo nel
cinema, coi capelli castani e gli occhi chiari, Alex Melchor, aveva lasciato il
suo numero di telefono.
Voleva rivedere Owen. Voleva Owen. E pensando all'uomo, Owen
cammin pi in fretta, mentre le pulsazioni nelle sue vene acceleravano. Poi
giur di aver sentito il proprio cuore scoppiargli in petto. E fu come se un
dolce liquido d'ambrosia si riversasse da quel vaso rotto, per scorrergli nelle
vene, riempiendolo e riscaldandolo, dal centro del suo petto fino alle fredde,
lontane estremit.
Philip era innamorato. Giaceva inchiodato sotto il corpo di Eliot, il suo
amante da quasi un mese, e non poteva muoversi. Si sentiva il braccio
sinistro come fosse una parte di Eliot - estranea e pesante - ma non osava
trovargli un'altra posizione.
Durante la notte doveva aver svegliato Eliot una decina di volte coi suoi
sobbalzi (l'amore lo faceva sobbalzare) e non aveva intenzione di rischiare
di farlo di nuovo. Rimase invece immobile, cercando di flettere le dita per
far circolare il sangue, e guard una scheggia di nube grigia passare tra la
riloga incurvata delle tende e l'intelaiatura dell'unica finestra. Il respiro di
Eliot gli faceva solletico ai peli sotto il braccio. Il radiatore sibilava, i
Dobermann del portiere abbaiavano, la pioggia ticchettava sul tetto. Cerc
di identificare gli odori complessivamente sgradevoli della stanza - piatti
sporchi, sudore, calze vecchie, e si chiese che ore fossero.
Pi o meno mezzogiorno, immagin, ma non poteva girarsi a guardare la
sveglia.

Poi Eliot sbuff e si rigir, liberando Philip, che si distric da sotto di lui
silenzioso e rapido come un animale che sfugge a una trappola.
Si strofin il braccio, aspettando che riacquistasse sensibilit. Da dietro,
Eliot gett un braccio su Philip - un braccio gradevole, pallido e vigoroso,
ombreggiato da scuri peli bruni. Con gli occhi chiusi, Eliot si stir
languidamente, poi si tir Philip pi vicino, avvolgendogli le braccia pi
strette intorno alla vita, le gambe intorno ai fianchi. Rimase immobile, poi
la sua mano cominci a muoversi su Philip, in un cerchio che si allargava,
per spostarsi poi gradualmente in basso. Gli occhi di Eliot non si aprirono.
Stava facendo un gioco, fingeva di essere ancora addormentato, e mentre si
rizzava sugli avambracci, Philip si gir inevitabilmente sulla schiena. Il
corpo di Eliot si assest su quello di Philip. La testa gli cadde dietro la
spalla di Philip, poi si sollev di nuovo. Apr gli occhi, sorrise, e lo baci.
"Buon giorno" disse.
Il braccio di Philip prese a pulsare e a ronzare di vita. "Eliot, aspetta."
"Perch?"
"Devo andare in bagno."
Eliot smise di fare quello che stava facendo. "Oh, tutto qui" disse.
Ridendo, rotol dall'altra parte del materasso.
"Mi spiace" disse Philip. "Torno subito." Si distric dalle lenzuola e dalle
coperte e si alz in piedi.
All'improvviso gli girava la testa.
Trem mentre urinava, e cerc di calmare la sua erezione, che dava
all'urina l'angolazione sbagliata, indirizzandola sul bordo del water e
facendola schizzare sul pavimento. Una volta finito, tir l'acqua, asciug
quel che aveva versato, e usc dalla porta. Durante la sua breve assenza
sembrava che la puzza fosse diventata pi intesa. "Cristo" disse, "cos'
questo odore?" Veniva dal lavandino, dove erano accatastati i piatti di tre
giorni, tutti incrostati di pezzi di cibo marcio e brulicanti di scarafaggi.
Poi not la sveglia. "Oddio" disse, e si port le mani alla fronte per
trovare l'equilibrio. "Sono le quattro. Abbiamo dormito tutto il giorno?
Devo lavare i piatti." In piedi davanti al lavandino, fece scorrere l'acqua,
spruzz del detersivo rosa su una spugnetta, e incominci a strofinare.
"Torna a letto" disse Eliot.
"Ma devo lavare questi piatti."
"Philip, torna a letto."
Philip si gir, sorpreso nel sentire il proprio nome, e guard Eliot.
Questi era ritto a sedere sul materasso, gli scuri capelli arruffati, una
barba di qualche giorno che gli scuriva le guance. Anche mezzo
addormentati, i suoi occhi sconvolgevano Philip e lo indebolivano.

"D'accordo" disse. Rimase l in piedi, nudo, e Eliot lo fiss. Poi - con una
voce che non aveva mai udito prima, una voce che apparteneva a Greta
Garbo - disse a Eliot: "Sono tuo"
Da tre settimane ormai non avevano passato una sola notte separati.
Eliot non aveva voluto. Viveva una vita non limitata da orari, senza
futuro, completamente aperta. Philip aveva letto su "Mademoiselle" nello
studio del dentista che era pericoloso per le coppie appena formate passare
troppo tempo insieme all'inizio, ma quando ne aveva parlato a Eliot, Eliot
non era parso affatto preoccupato. "Perch dovremmo star lontani l'uno
dall'altro se vogliamo stare insieme?" disse. "L'unico motivo per smettere,
mi pare, se non ci piace pi." Philip ne convenne. Non aveva un
particolare desiderio di passare una notte lontano da Eliot.
Aveva dormito da solo per tutta la vita. Tuttavia, si preoccupava che Eliot
potesse stancarsi di lui se passavano insieme ogni minuto, potesse annoiarsi,
frequentare un gruppo diverso, e incontrare qualcun altro.
Sembrava che potesse farlo facilmente.
Bench Eliot avesse centinaia di amici che gli telefonavano e gli
mandavano inviti a vernissage e a feste downtown, non aveva un'agenda
densa di impegni, o cene importanti per cui dovesse cambiarsi o impegnarsi.
Le sue giornate gli appartenevano, dedicate a una variet di misteriosi
progetti "freelance" Philip, per contro, era oberato dagli impegni, costretto
per cinque giorni alla settimana a stare dietro alla scrivania in un palazzo di
uffici in midtown, dove redigeva e talvolta riscriveva totalmente dei
romanzetti d'amore. Anche i suoi amici lavoravano tutti. Formavano una
rete complicata di meschini tradimenti e alleanze nei quali veniva spesso
richiesta la sua partecipazione.
Durante le ore di lavoro si incontravano a colazione da Amy's, e durante il
fine settimana per lunghe cene sonnolente in ristoranti etiopici, dopo le
quali dividevano il conto fino all'ultimo centesimo. Non era una vita che
apprezzava, ed era convinto che avrebbe fatto molto per Eliot, che lo aveva
salvato da questo tran tran; aveva fatto di pi per amanti che meritavano di
meno, organizzando la sua vita intorno alle loro vite, molto pi importanti,
dando la priorit a uomini per i quali lui era al massimo quarto o quinto.
Quegli altri ragazzi non avevano avanzato pretese di fedelt o di amore ed
erano sempre alla ricerca di qualcuno pi bello, o pi ricco o pi famoso. Se
non altro Eliot sembrava soddisfattissimo di Philip, gli piaceva arruffargli i
capelli come si fa con un ragazzino, e dire, "sei proprio carino, lo sai?" Ma
sembrava non pensasse mai neanche a cinque minuti dopo, e questo
preoccupava Philip. Insisteva nel dire che "viveva per l'attimo presente" una

tendenza di cui Philip non si fidava. Cosa sarebbe successo nell'attimo in


cui lui fosse finito?
In questo freddo pomeriggio bevvero il caff mentre il sole tramontava.
Avrebbero passato la notte a casa di Eliot nell'East Village. "Fa troppo
freddo per la metropolitana" disse Eliot, mentre si infilavano i cappotti.
"Prendiamo un taxi." Un soprassalto di preoccupazione. "Pago io, non
preoccuparti" disse Eliot.
Generalmente pagava lui. Uscirono nell'isolato scuro di Philip, che era
bagnato di pioggia, di vino versato e di grasso di macchina, e fermarono un
taxi giallo. Se fosse continuato lo schema delle ultime tre settimane, Philip
lo sapeva, avrebbero passato quattro notti downtown prima di sfrecciare
quass per altre tre.
Preparato a questo, si port parecchi cambi d'abito, lo spazzolino da denti
e lo spray nasale, e le pasticche per le gengive. Eliot non aveva niente; non
si portava mai niente quando veniva da Philip. Usava lo spazzolino da denti
di Philip; indossava gli abiti di Philip. Dopo, talvolta Philip si infilava le
camicie che si era fatto prestare Eliot e respirava il suo odore, caldo e
vagamente impregnato di miele.
Percorsero Broadway, gli isolati fiancheggiati da bancarelle di frutta
coreane e lavanderie automatiche ed edicole. C'erano uomini che si
affaccendavano per coprire le pile di giornali della domenica con delle
cerate. Con sorpresa di Philip, incominci a cadere qualche fiocco di neve,
poi sempre di pi. Si ricord di una volta che era uscito da un cinema
nell'East Village quando era ancora adolescente e aveva scoperto che
mentre era all'interno si era scatenata ed esaurita una tempesta di neve.
L'illuminazione stradale si rifletteva sul bianco tappeto che sembrava aver
coperto cos all'improvviso tutta la citt, creando una luce altrettanto
brillante di quella di un campo di pattinaggio. Non poteva transitare nessuna
macchina.
Philip aveva dovuto strizzare gli occhi mentre usciva nel mezzo della
Terza Avenue, dove prostitute con gonne di lustrini e giacche guarnite di
pelliccia si tiravano palle di neve. "Vieni a giocare con noi, tesoro" gli
avevano gridato - una presa in giro, o un invito sincero, dato che avevano
visto da che razza di cinema era uscito. "No grazie" aveva detto. Poi aveva
alzato gli occhi, e il pallido cielo notturno sembrava essersi sollevato dal
bagliore della neve come fumo da un fuoco incandescente.
Adesso, nel taxi, si gir, pensando che avrebbe potuto condividere questo
ricordo con Eliot, ed ecco che il conducente piant il piede sul freno e
furono sbalzati in avanti. "Che succede?" chiese Eliot.
"Ay Dios" disse piano il tassista.

Allora Philip guard fuori dal finestrino e vide che l'incrocio era pieno di
topi bianchi. A migliaia.
Brulicavano per la strada a frotte, in preda al panico, come piccoli
penitenti indistinguibili in una visione dell'inferno da quattordicesimo
secolo. Scendevano a cascata dal marciapiede e si tuffavano uno dopo l'altro
dentro ai canali di scolo. Contro la neve fresca erano pressoch invisibili,
impercettibili tremiti di movimento.
"Dio mio" disse Philip. Il tassista apr la portiera dal suo lato e usc dal
taxi, e Philip e Eliot lo seguirono. Nessuna delle macchine all'incrocio stava
suonando il clackson n stava facendo alcuno sforzo per muoversi. Persino i
passanti - perlopi donne vecchie che avrebbero strillato se avessero visto
una sola di queste creature sfrecciare da sotto un bidone della spazzatura - si
erano ritratti, e restavano l ammutoliti senza muoversi, mentre i topi
traboccavano da un camioncino bianco fermo su un angolo, con le ruote
anteriori sul marciapiede, e il cofano accartocciato contro un lampione.
"Povere creaturine" Philip sent dire da qualcuno - una voce che emergeva
dal basso ronzio della folla e che sembrava cos incorporea, cos irreale, che
dopo un attimo Philip si chiese se non l'avesse soltanto immaginata. I topi
correvano in cerchio o si ammassavano in mucchi di tre o quattro mentre i
clackson delle macchine incominciavano a suonare e i conducenti troppo
lontani per vedere quello che stava succedendo gridavano: "Ehi, vi volete
muovere?" Ma nessuno si muoveva.
Il tassista scosse la testa. Poco pi in l, altri tassisti stavano parlottando
in spagnolo. Poi tornarono tutti nei loro taxi. Philip ed Eliot seguirono
l'esempio. "Spero che nessuno si sia fatto male" disse Philip.
"Ci sarebbe un'ambulanza se qualcuno fosse rimasto gravemente ferito."
In lontananza, le sirene della polizia ululavano. Il tassista bestemmi,
sput per terra, suon il clackson, e incominci a guidare lentamente, ma
senza fermarsi. Il taxi apr il mare di topi, e gir nella Novantaseiesima
Strada. Philip chiuse gli occhi, temendo di provare l'impulso di guardarsi
alle spalle alla ricerca di piccoli grumi di sangue nella neve.
"Penso che li stessero portando su alla Columbia, nei laboratori
dell'universit" disse Philip qualche minuto dopo, quando erano ormai al
sicuro sulla West Side Highway. "In un certo senso, sono stati fortunati.
Probabilmente sono riusciti a scamparla, e a non patire pene orribili."
Stava pensando a un libro che aveva letto da bambino su certi topi che erano
fuggiti da una specie di istituzione governativa.
"Mrs. Frisby and the Rats of Nimh" disse Eliot. "Era uno dei miei libri
favoriti da bambino. Me lo leggeva sempre Derek. S, penso che quei topi li
stessero trasportando su alla Columbia per qualche esperimento orribile per

controllare la loro soglia del dolore. Probabilmente gli avrebbero iniettato


delle quantit variabili di morfina e li avrebbero sistemati su dei bruciatori a
gas, e i ricercatori avrebbero controllato quanto ci metteva ogni topo prima
di gridare. O di saltare. O di fare quello che di solito fanno i topi quando
provano dolore. Succedeva davvero, sai. Alcuni scienziati lo fecero per far
flippare un gruppo di antivivisezionisti che marciava per protesta tutti i
giorni davanti al loro edificio."
"Ges" disse Philip.
Adesso il tassista si gir e forn loro, in spagnolo, la sua spiegazione
privata dell'evento. Loro ascoltarono, cercando di estrapolare quel che
potevano. "La merda del mondo" fu tutto quello che Philip riusc a capire.
"Be, comunque possiamo sapere tutto dal "Post", domani" disse Eliot, a
mo di conclusione. "Il "Post" lo metter in prima pagina. Topi attaccano
Upper Manhattan."
Alz il braccio e lo allung dietro la testa di Philip. Il fascio di luce di un
camion proveniente dall'altra direzione pass sul viso di Eliot, illuminando
per una frazione di secondo la sua pelle chiara, gli occhi, i peluzzi che gli
coprivano le guance come un'erba. Philip allung una mano e gli carezz la
guancia, un gesto che persino adesso gli sembrava grandioso e terrificante,
bench Eliot se ne accorgesse a malapena. Per lui, simili manifestazioni
d'affetto non erano niente; la sua vita ne era stata piena, buffetti e carezze e
baci casuali, mentre per Philip appoggiare una mano su una guancia era un
gesto di tale portata che doveva essere contato, tesaurizzato, conservato.
Irradiava potere; esigeva coraggio.
Philip capiva che al mondo c'era gente come Eliot alla quale amore e
sesso venivano facili, senza una sollecitazione attiva, come un forte vento a
cui bastava porgessero il viso perch soffiasse su di loro. Capiva anche di
non essere una di queste persone. A lui sembrava sempre di dover supplire
all'insufficienza dei segnali, gli sembrava sempre di dovere interpretare le
occhiate, di doversi sforzare per estrapolare una qualche conoscenza dei
sentimenti di un'altra persona anche dalle conversazioni pi banali. Niente
gli veniva facile, e molto spesso, non riusciva a cavar niente da tutti i suoi
sforzi.
Solo tre settimane prima, a una cena dalla loro amica Sally, con un gesto
di ebbra sicurezza che ancora stentava a credere, si era sfilato il piede dalla
scarpa e l'aveva strofinato contro la caviglia di Eliot. Eliot - senza neanche
guardarlo, senza neanche interrompere il flusso della sua conversazione con
la donna accanto - gli aveva bloccato il piede tra le gambe e lo aveva tenuto
cos, intrappolandolo, e rifiutando di lasciarlo andare per il resto della cena.
Questo, semplicemente, aveva cambiato la sua vita.

"La tua faccia sembra di peluche" disse Philip adesso, ricordando


improvvisamente un topolino che aveva accarezzato da bambino - come gli
era parso stranamente morbido, quasi sintetico il suo manto.
Eliot rise. "S" disse. "Appena torno a casa mi faccio la barba." Era
ansioso di controllare se aveva ricevuto della posta, e di farsi vivo con la
sua compagna d'appartamento, una donna nera alta e sparuta di nome
Jerene, che intimoriva Philip. Non avevano parlato di passare la notte
separati, e Philip temette di poter sembrare troppo pieno di aspettative.
"Dimmi la verit" disse ora. "Vuoi che venga con te questa notte? Voglio
dire, potremmo mangiare, poi potrei tornare uptown. Non ci sarebbe nessun
problema."
Eliot lo guard. "Philip" disse. "Su pu sapere di cosa stai parlando?"
Philip rimase zitto per un momento.
"Non voglio che tu ti stufi di me" disse alla fine.
"Se mi stufo di te, te lo dico" disse Eliot. Gli prese la mano e si gir a
guardar fuori dal finestrino.
Philip fiss il profilo di Eliot. Si sentiva come uno di quei pazzi
vivisezionisti di cui aveva parlato Eliot, decisi a conoscere gli esatti confini
del dolore. Quanto posso resistere, prima di sentirlo? Quanto ci vorr prima
che mi succeda qualcosa che mi fa male?
Adesso il taxi stava attraversando midtown, superando magazzini e
garage torreggianti, e i marciapiedi erano punteggiati di prostitute in
calzoncini corti dall'aria stanca, che per alleviare il freddo si strofinavano la
gambe inguainate nelle calze. Un camion della spazzatura si ferm accanto
al marciapiede, e tre o quattro donne si avvicinarono al suo portello. C'era
vento, ma i loro capelli rimanevano perfettamente a posto.
"Mi piacerebbe stare con te stanotte" disse Philip.
"S" disse Eliot. Accarezz la mano di Philip, guardando le prostitute.
"Va benissimo."
Philip era alto e dinoccolato come suo padre. Ricordava, pi di ogni altra
cosa, uno di quei cani goffi che si muovono a grandi balzi e sembra riescano
sempre a infilarsi tra le gambe della gente. La sua faccia ispirava fiducia
alle vecchiette sugli ascensori: contorni regolari, coi lineamenti tutti
esattamente proporzionati tra di loro e niente di particolarmente notevole
salvo gli occhi che erano di un luminoso azzurro chiaro. Era una faccia cos
armonica, dall'aspetto cos familiare, che gente che non aveva mai visto
prima Philip insisteva nel dire di averlo gi conosciuto, bench non riuscisse
mai a ricordare dove e in seguito non riusciva a ricordare un singolo
dettaglio della sua fisionomia. Aveva i capelli castani lisci che sbiondivano

d'estate, un sorriso gradevole, e la tendenza a ridere troppo nei momenti


meno opportuni.
C'era qualcosa in questo suo aspetto cos comune, forse il fatto che niente
tradisse la sua omosessualit, che lo rendeva attraente per altri giovani; era
il bambino della porta accanto di quando erano piccoli, quello col quale
avevano sognato di masturbarsi sulle brande del campeggio, infatti di solito
non volevano altro che questo da lui. Philip era assetato di passione e di
gesti romantici, e non di giochetti, ma in modo o nell'altro gli uomini con
cui andava a letto trovavano ridicola l'idea di essere amati da lui. Ingenuo
nelle sue infatuazioni, al college si rendeva ridicolo palesando troppo i suoi
sentimenti e di conseguenza spaventando tutti quelli per cui si prendeva una
cotta. Il rifiuto sembrava il suo destino nella vita.
Per lo pi il venerd sera finiva al bar gay locale, dove studenti diplomati
che puzzavano di idrogeno solforato lo attiravano con discorsi sporchi nelle
loro stanze.
Al college era emerso tardi, ma con un vero e proprio botto. Era
ardentemente politicizzato, e si sentiva colpevole per i suoi anni di
copertura, come se in qualche modo fosse stato personalmente responsabile
dell'oppressione e di un numero imprecisato di uomini e donne gay. Per
compensare l'enormit della sua codardia, lo diceva a tutti quelli che
conosceva, e talvolta arrivava persino ad abbordare sulle strade del campus
gente pressoch estranea per dire "Salve - volevo solo farvi sapere che sono
gay!" Al che lo sconcertato interlocutore, di solito una seria studentessa
diplomata che stava ancora cercando di ricordare il suo nome, dopo aver
balbettato qualcosa del tipo "Oh - sono contenta per te!" sorrideva, e si
allontanava.
Da bambino, Philip era stato solitario e tranquillo, e spesso - soprattutto in
pomeriggi ventosi quando i negozi e le strade si riempivano delle luce calda
e giallastra di midtown - New York stessa gli era parso il suo miglior
compagno. Ma ora, quando lui e i suoi amici si ritrovavano, in bui
appartamenti del West Side illuminati dalle candele, o in ristoranti indiani
con le pareti ornate da arazzi, o in enormi e affollate discoteche, raramente
provava quel senso di familiarit che un tempo la citt gli aveva offerto, lui
e i suoi amici si riunivano per essere da soli insieme, per fumare sigarette e
lamentarsi della loro mancanza di ragazzi o ragazze, per alleggerire
l'angoscia delle loro vite solitarie con chiacchiere e vodka. Le sue serate con
gli amici seguivano un corso prevedibile, poi si auguravano la buona notte e
andavano tutti a casa da soli in piccoli appartamenti con una sola finestra, o
in grandi appartamenti pieni di porte chiuse, o forse (in notti
particolarmente sfortunate) nei bar, dove calore umano o carezze costano

meno. Si muovevano in brachi formati a caso, compagni di lavoro coi loro


amici e gli amici degli amici, e i compagni di stanza trascinati nell'intimit
da annunci sul "Voice", due in una camera da letto o tre in due camere da
letto o quattro in tre camere da letto. Erano tutti a caccia, sul mercato, in
vedetta, e avevano tutti quella sottile aria di questua della gente che muore
dalla voglia di trovare degli amanti. Spesso Philip si chiedeva se questo
bisogno disperato non fosse il loro peggior nemico, non fosse proprio la
cosa che spaventava gli amanti e li faceva scappare. Gli pareva una grave
ingiustizia che a New York, per ottenere quello di cui avevi bisogno,
innanzitutto non dovevi mai sembrare affamato. Tutti erano disperatamente
affamati; ma tutti gli altri erano pi bravi a nasconderlo.
Oppure no? Ben presto, pensava Philip, anche lui avrebbe potuto
sembrare inavvicinabile, e a quel punto immaginava che il passo per essere
davvero cos fosse breve.
La sua amica Sally era diversa.
Era la prima persona con cui Philip si fosse mai aperto, e lei lo aveva
preso per mano, sedendosi con lui nella sala da pranzo del college e
individuando chi, tra gli uomini che passavano, era gay (erano in numero
sconcertante), mentre le gambe di lui tremavano violentemente sotto il
tavolo.
Adesso Sally faceva l'esperta fiscale. Faceva soldi e viveva da sola in un
appartamento di cooperativa che si era comprata coi suoi soldi, cosa che per
Philip era strabiliante. Una sera verso la fine di settembre aveva telefonato a
Philip e lo aveva invitato a cena a casa sua. "Sto cercando di rimettere
insieme un bel po di gente della scuola" gli spieg.
"La vecchia banda. Li conosci. Ma ci sar anche una persona nuova, uno
che ho appena incontrato. Penso che ti piacer davvero."
Philip incominci a inventarsi una scusa, ma Sally lo interruppe. "Dico
sul serio" disse. "Si chiama Eliot Abrams, ed proprio il tuo tipo - alto e
sottile, coi capelli ricci. Ha avuto una vita molto interessante. A quanto pare
i suoi genitori morirono in un orrendo incidente d'auto quando era ancora
piccolo, e lui stato cresciuto in una villetta del Village da - sei pronto? Derek Moulthorp - sai, quel tipo che ha scritto tutti quei libri per bambini - e
il suo amante."
Philip lo conosceva. "Wow" fece. "Li ho letti tutti quei libri. Me li portava
a casa mia madre. Per un po ha redatto i suoi manoscritti."
"Poche palle, parti con un buon vantaggio iniziale. A quanto pare i suoi
genitori - i suoi genitori naturali intendo - erano importanti intellettuali ebrei
o qualcosa del genere. E ricchi anche, perch lui ha una rendita. Derek
Moulthorp e il suo amante erano i loro migliori amici.

Comunque lui un tipo veramente fantastico, e appena l'ho conosciuto,


be, ho pensato a te. Quindi - puoi venire?"
"Be" fece Philip, e cambi idea.
"Certo" disse. Poi, con una certa cautela: "Non sapevo che Derek
Moulthorp fosse gay"
"Ma Philip!" esclam Sally. "Lo sanno tutti."
Philip rimase in silenzio, poi disse: "Lo sai, naturalmente, cosa mi sto
chiedendo"
"S, e non credo sia molto importante. Quello che importante, credo,
che Eliot un tipo fantastico, e, a quanto pare, ha ricevuto una fantastica
educazione. E porta delle calze stupende - colori incredibili, disegni
strambi. La settimana scorsa a questa festa ne aveva addosso un paio che
mostrava a tutti - con dei disegni come dei gelati."
"Ma davvero!"
"Non so dove le trova. Comunque - puoi venire?"
"Come potrei mancare?" disse Philip.
Ma qualche sera dopo, quando entr nell'appartamento di Sally, fu quasi
sul punto di girare sui tacchi e uscirsene. La stanza era piena di facce
vagamente familiari che non vedeva da anni. C'era Joshua Treadwell, e
Comnie Moss, e Chris Flechter, e una moltitudine di altra gente che al
college aveva cercato in tutti i modi di evitare. Invero, l'unica persona che
vide che conosceva bene e che gli piaceva era Brad Robinson, che era stato
suo amico nella Coalizione dei Gay e delle Lesbiche del Campus. Si erano
rivolti un cenno di saluto attraverso la stanza, poi Sally gli era corsa
incontro, sorridendo. "Philip" gli disse, "sono contenta che tu sia venuto.
Vieni a conoscere Eliot."
Poi, da dietro alcune piante vicino al sof, dove stava ad ammirare la vista
dell'appartamento sullo Hudson, Sally sfoder un giovane alto con capelli
scuri e ricci, e una sigaretta in mano. Philip spalanc gli occhi, ed Eliot gli
lanci un sorriso cos intenso e deciso che Philip dovette distogliere gli
occhi.
Era in piedi accanto a Eliot, abbastanza vicino perch i peletti dei loro
pullover si sfiorassero (una sensazione deliziosa e appena percettibile) Si
guardarono negli occhi. Quelli di Eliot erano incorniciati da occhiali d'oro
rotondi. La bocca di Philip era aperta e ne uscivano delle parole, bench lui
non sapesse neanche quali e dovesse faticare per giungere alla fine di ogni
frase. Aveva l'impressione che qualcosa stesse sbocciando in lui - un fiore,
un fuoco, una possibilit che diveniva di momento in momento,
incredibilmente pi reale, man mano che continuavano a sorridersi, mentre

Eliot non smetteva di fissare Philip dritto negli occhi. Per la prima volta in
vita sua sembrava non ci fossero dubbi. La risposta era s.
"Sally mi ha detto che lavori nell'editoria" disse Eliot. Lieve spostamento
delle ginocchia. Occhi fissi. Philip si stava affidando completamente alla
visione periferica per individuare un ciuffo di peli che emergevano dal
colletto di Eliot, le sue unghie pulite e tagliate corte, tutti i piccoli dettagli
erotici.
"Be, in realt lavoro per quel che si dice una societ di packaging" disse
Philip. "Siamo nel ramo romanzi d'amore e d'avventura. Quello che faccia
redigere e riscrivere questi romanzi terribili - il cui tema ricorrente sono
isole deserte, navi pirata, navi da crociera; la collana si chiama Sulla Cresta
dell'Onda.
Adesso, per esempio, sto lavorando a Onde di fuoco, che racconta
l'innamoramento della coraggiosa e tempestosa Sylvia per il perfido Capitan
Dick Tolliver."
Eliot sorrise, e Philip ne fu sollevato.
"Vivi anche tu uptown?"
"Pi su di qui - nella Centocinque, all'angolo con Amsterdam. E tu?"
"Io abito nell'East Village."
"Com' l'affitto laggi?"
"Il mio non tanto male. Sono stato fortunato."
"Hai un affitto a nome tuo o un subaffitto?"
"No, il contratto intestato a me."
" fantastico."
"Uh - uh."
Poi non ci fu altro da dire.
Rimasero l in piedi senza staccarsi gli occhi di dosso. Philip stava
studiando gli occhi di Eliot. Erano scuri, quasi neri, ma quando li guard pi
da vicino riusc a vedere degli anelli pulsanti di grigio e di giallo intorno
alla pupilla.
Pass un minuto senza una parola, e continuarono a fissarsi. Di quando in
quando Philip si lasciava sfuggire uno sbuffo, quasi uno scoppio di riso, e il
suo sorriso si allargava un po, ed Eliot sorrideva a sua volta e liberava esili
fili di fumo.
"E tu, cosa fai?" chiese alla fine Philip, pi che altro perch niente li stava
interrompendo, n Sally n la campanella per la cena.
"Sono per cos dire, un dipendente di me stesso" disse Eliot.
"Per che cosa?"
"Oh, scrivo testi per agenzie ed editori. E disegno. Adesso sto lavorando
alla copertina di un libro.

Talvolta faccio anche un po di editing. Sono una specie di jolly."


" fantastico" disse Philip. ricco, pens con invidia, ma poi, dato che
stava cercando di innamorarsi di Eliot, cambi idea. Libert, pens.
Integrit.
"Deve piacerti essere cos libero" disse Philip. "Deve essere fantastico
non essere incastrati nella macina dell'orario di ufficio."
"Lo adoro" disse Eliot. "Comunque, dubito che riuscirei a vivere in
qualsiasi altra maniera. Non mi piace programmare le cose pi di tre o
quattro giorni prima se posso farne a meno. Non un modo di vivere nel
quale mi sento a mio agio."
"Sai" disse Philip, ricordando d'improvviso il piano d'azione di Sally,
"mia madre era il redattore dei manoscritti di tuo padre. O meglio del tuo
padre putativo, dovrei dire.
Oddio, mi spiace, non so bene come chiamarlo."
"Veramente!" fece Eliot. "Rivedeva i testi di Derek? Quali?"
Un panico nuovo rimpiazz quello vecchio. Philip non lo sapeva. "Non lo
so con esattezza..." disse. "Quelli che pubblicava Motherwell."
" fantastico" disse Eliot.
"Credi?" disse Philip. Fece una risatina incerta. "Anch'io ho pensato che
fosse una bella coincidenza.
Naturalmente, non si sono mai conosciuti. Anche se la mamma avrebbe
sempre desiderato conoscerlo. Adorava i suoi libri. E anch'io."
"S, erano bellissimi. Derek una persona notevole, un gran personaggio.
Ti piacerebbe."
Qualcosa nel modo in cui Eliot aveva detto "ti piacerebbe", allarm
Philip.
Si chiese se per caso non si fosse sbagliato completamente, se Eliot non
avrebbe finito con lo stringergli la mano dicendo: "Dovremmo far colazione
insieme un giorno o l'altro"
Poi Sally fu tra di loro, con un sorriso tirato. Per la prima volta
osservarono il gruppo degli invitati.
La gente era riunita in piccoli gruppi nervosi. "Voi due sedetevi di fronte"
disse Sally, spingendoli verso il tavolo, poi sistem gli altri ospiti secondo
un piano elaborato di sua invenzione.
La cena fu lunga. Philip non riusc pi a parlare con Eliot, che fu
intrappolato in una conversazione sulla legittimit o fraudolenza di certi
artisti dell'East Village.
Philip si appoggi allo schienale della seggiola, annoiato. Di quando in
quando qualcuno a tavola faceva un tiepido sforzo per rievocare i vecchi

tempi ma la conversazione finiva sempre nell'inevitabile ritornello: "Me ne


vado se non mi danno un aumento il prossimo mese"; " un subaffitto
illegale, quindi fintantoch il padrone di casa non lo scopre, sono a posto"
Tutti bevvero eccessivamente. A un certo punto del pasto,
nell'annebbiamento indotto dalla noia e dalla vodka, Philip fece il suo
grandioso gesto col piede, solo per essere superato dal gesto ancor pi
grandioso di Eliot. Lo sconcert - per la reazione pronta, quella presa sicura
delle caviglie di Eliot intorno al suo piede. Eliot non lo guard, non
interruppe il flusso della sua conversazione. Fu come se alle cene gli
succedessero sempre cose del genere.
Il dolce era costituito da torte preconfezionate. E ancora loro due non si
parlavano. Philip si chiese se la sua posizione lo tradisse. Cautamente il suo
piede part in esplorazione, si agit quanto pot, e finalmente sent la pelle
calda sotto le gambe dei pantaloni. Philip era elettrizzato.
Qualcuno poteva accorgersene?
Poi Sally si alz, e tutti la seguirono per prendere il caff in soggiorno.
Eliot lasci andare il piede di Philip e per la prima volta durante il pasto lo
guard. Entrarono in soggiorno separatamente. "So di un'altra festa a cui
potremmo andare" disse Eliot.
"S" disse Philip.
L'altra festa era in un club di Chelsea. Ci andarono in taxi. Nel taxi non si
toccarono, bench le loro gambe si sfiorassero. Fuori dalla porta del club si
stava formando una lunga coda, ma Eliot aveva un invito speciale. Il
buttafuori li fece passare cerimoniosamente al di l di un cordone di velluto,
e una donna l accanto grid con voce rauca. "Ehi!
Che succede? Noi siamo qui da un'ora, e tu fai passare subito quei due
froci?" Poi si trovarono all'interno.
Misero i cappotti in guardaroba, e Eliot guid Philip in una grande stanza
dove nell'oscurit pulsava musica forte. Si ritrovarono attorniati da
impiegati della Chemical Bank, completi di targhette con nome, che li
fissavano con aria ottusa. "Ti andrebbe di ballare?" chiese Eliot, e ballarono
- l'unica coppia dello stesso sesso sulla pista, per quanto riusc a vedere
Philip.
Nel mezzo di Like a Virgin Eliot disse: "Non ho una gran voglia di
rimanere qui. Andiamo da qualche altra parte"
Philip esit un attimo poi disse: "S, certo"
Cos se la filarono via e andarono da Uncle Charlies, dove, in mezzo a
una folla massiccia e indifferenziata di uomini, si imbatterono in qualcuno
che conoscevano entrambi, Desmond, e il suo amico Brian, e un ballerino di
nome Martin. Il posto era troppo rumoroso e affollato per parlare, quindi

Martin propose di andare al River Club a vedere il concorso dello slip pi


bello dell'anno, ma quando ci arrivarono, scoprirono che il concorso di
bellezza in mutande era il marted sera. Ballarono ancora un po, e nel bel
mezzo di un ballo Eliot si avvicin a Philip per proporgli di andarsene,
pens Philip, o per sussurrargli una confidenza all'orecchio, ma quando
pieg l'orecchio verso la bocca di Eliot, il naso di Eliot and a sbattergli
contro la bocca. "Oh Cristo, mi dispiace!" disse Philip a Eliot, che stava
barcollando contro il muro con la mano sul naso. Ma Eliot disse: "No, no,
sto bene. Stavo solo cercando di baciarti" "Cosa?" disse Philip. "Pi forte!"
Eliot form le parole con la bocca, come un sordomuto: sto cercando di
baciarti. Poi lo baci. Philip rimase cos sorpreso che quasi scoppi a ridere,
ma si trattenne, e ricambi il bacio di Eliot, mettendogli le braccia intorno al
collo.
Rimasero ancora un po nel Club, finch persero Brian e Desmond, e
Martin decise di andarsene a casa, che si trovava uptown. Philip, cosa che
non pass inosservata, non gli propose di dividere un taxi. "Be" fece Eliot,
mentre erano in piedi fuori sul marciapiedi. "Ti andrebbe di andare al Boy
Bar?"
Philip sorrise. "Certo" disse.
Al Boy Bar, i buttafuori, due giovani alti ed emaciati con i capelli
ingommati sotto la bombetta, erano in piedi appena dentro la porta per
sfuggire al freddo. "Benvenuto, Eliot" disse uno di loro. Stava leggendo un
grosso libro rosso di sociologia.
Philip raccont a Eliot una storia su un bar gay nella cittadina in cui era
andato al college. Il proprietario aveva assunto la madre per lavare i piatti.
Alle tre, quando in bar chiudeva, e uno era in coda ad aspettare il cappotto,
la vedeva nel retro - una vecchietta scialba con un grembiule arrotolato in
vita, che metteva centinaia di boccali di birra in una lavapiatti industriale.
Eliot rise. Erano in piedi in una stanza dipinta di tonalit verdi e rosa, e su
uno schermo video proiettavano l'Esorcista. Una dozzina circa di uomini era
allineata contro la parete, gli occhi grandi e lucidi come quelli di animali
notturni, di quando in quando si lanciavano sguardi bisognosi. Philip sapeva
per esperienza che non si aspettavano veramente di abbordare qualcuno cos
tardi ma rimanevano semplicemente per la paura di tornare a casa da soli. Si
mise a guardare il film. Durante la scena in cui Linda Blair si masturba con
un crocifisso, Eliot incominci a sfiorare il dorso e le spalle di Philip senza
mai staccare gli occhi dallo schermo. Le sue mani serravano muscoli tesi, e
Philip chiuse gli occhi.
"Andiamocene" disse Eliot.

Quindi si incamminarono insieme silenziosamente dal Boy Bar verso la


Sesta Strada Est, dove viveva Eliot. In quell'isolato c'erano venti o trenta
piccoli ristoranti, e le loro insegne lampeggiavano da ogni dove.
Gli abiti di Philip erano impregnati del fumo di sigaretta di tutti i bar e i
club. Starnut, e il muco sul suo fazzoletto era nero di fuliggine.
Percorsero la Sesta Est, ed Eliot gir la chiave nella porta del suo palazzo.
I corridoi profumavano di cumino.
Salirono tre rampe di scale fino all'appartamento, ed Eliot si port un dito
alle labbra. Dietro la porta una figura sobbalzava e respirava su una
brandina in cucina. Jerene, articol Eliot. Dividiamo l'appartamento. In
punta di piedi passarono oltre Jerene, nella seconda stanza. In mezzo al
pavimento c'era un piumone azzurro, abiti sparpagliati tutt'intorno. Si
sedettero e le braccia di ciascuno circondarono l'altro, le loro labbra si
toccarono. Il fiato di Eliot era caldo e lievemente dolce.
La mano di Philip scese fino in fondo alla gamba di Eliot, finch sollev
l'orlo dei jeans. Le sue calze erano vivaci, come aveva promesso Sally: blu
elettrico, con un anello di fiocchi di neve intorno al bordo.
Fecero all'amore, quella notte, con passione e impegno, e dopo giacquero
sul piumone azzurro, Eliot addormentato, Philip completamente sveglio, col
cuore che gli batteva troppo forte. Il mattino si rese conto di aver dormito
per un po, ma la sua mente era stata cos piena di Eliot che aveva sognato
di essere ancora sveglio a guardarlo; stava vivendo, in quel momento, la pi
grande fantasia di realizzazione di un desiderio che gli fosse mai capitata; i
suoi sogni correvano paralleli alla sua realt.
Il radiatore nella stanza di Eliot faceva dei sibili. Dentro il suo mondo di
tubature l'acqua sguazzava e produceva sibili altissimi, come il vento in
campagna d'inverno. A un certo punto Eliot si svegli e scopr Philip che lo
fissava a occhi spalancati. "Non riesci a dormire?" disse Eliot.
"Lascia che ti faccia un massaggio alla schiena." Philip si gir e le dita di
Eliot incominciarono il loro impasto. "Immagina che dentro al radiatore ci
sia un'isola tropicale" sussurr Eliot, "e un uragano, e una piccola zattera, e
su quella zattera c' un lettino - il nostro. Ma noi siamo al sicuro sulla nostra
zattera. sballottata dalle onde e si ribalta ma non affonder mai." Dal
radiatore usc un rumore simile ad acqua scrosciante proprio al momento
giusto. La mente di Philip era piena di isole colpite da tuoni e fulmini, di
barche, di braccia che lottavano per la sopravvivenza.
Immagini del romanzo che stava redigendo. Oppure gli venivano da
quella poesia che soleva leggergli sua madre prima di mandarlo a letto?
Quali erano le parole? "E lontano lontano... scoppi l'uragano..."

E lontano lontano scoppi l'uragano mentre un guscio di noce li portava


alla foce...
La voce era quella di Eliot. Philip apr gli occhi e si rigir.
"Stavo proprio pensando a quella poesia" disse Philip.
"Davvero?" disse Eliot. "Allora continua a pensarci."
Philip alz gli occhi su di lui, stupito, poi li chiuse. La zattera oscillava,
ma lui era al sicuro.
Tre domeniche dopo incominci l'inverno. Il vento era cos scatenato che
in alcuni isolati di Madison Avenue, dove enormi edifici che torreggiavano
al di sopra di case in mattoni e condomini e la strada si piegava all'ins ad
angolo acuto, due macchine parcheggiate furono sbattute dal vento al di l
della strada. Quasi nessuno fu testimone di questo spettacolo eccetto le
straccione che avevano circoscritto i loro territori per la notte nelle scure
rientranze chiuse da inferriate degli androni dei negozi. Coi giornali
appiccicati al petto, si rizzarono a sedere e guardarono i rifiuti del mondo
volar via - ombrelli mutilati, guanti persi, il triciclo di un bambino.
All'incrocio di Broadway con la Novantaseiesima Strada, la maggior parte
dei topi erano morti di freddo o di paura o per essere stati investiti dalle
macchine. Catturate da una polvere di neve, le loro carcasse furono soffiate
gi per il viale, isolato dopo isolato, come in volo.
Philip, nel taxi con Eliot, per un attimo solo, si sorprese a girarsi a
osservare il mosaico di luminosi quadrati gialli che incastonavano
l'orizzonte di guglie dei grattacieli, e oltre questi, il bagliore risonante delle
luci del pi distante East Side, tremolanti e frantumate, come viste
attraverso l'acqua. La neve cadeva sul panorama della citt, e Philip
immagin di trovarsi dentro a uno di quei mondi rinchiusi in piccoli globi
dove l'aria acqua viscosa, e i luminosi fiocchi di neve sono pezzettini di
plastica che volano verso l'alto quando si scuote il globo, e poi ricadono
lentamente a terra. Alz gli occhi verso il cielo e cerc di individuare il
grande involucro trasparente, con il suo lieve accenno di un riflesso. Stava
pensando, io vivo in quella cosa.
Rose raccont una storia a Philip.
Una donna del suo ufficio era partita con suo marito per una crociera
intorno al mondo, realizzando il sogno di una seconda luna di miele, ed
erano scesi dalla nave per passare un giorno sull'isola di Creta. Da qualche
parte nel corso di quel caldo pomeriggio passato a contrattare per l'acquisto
di ninnoli e a visitare rovine sotto il sole, un fattorino su un Solex
arrugginito sbuc da dietro un angolo cieco e invest il marito della donna,
sbattendolo a terra e uccidendolo. In una frazione di secondo, il marito, che
solo qualche minuto prima le aveva confessato la sua preoccupazione per i

gabinetti alla turca, era morto, sparito, uscito dal mondo con vent'anni
d'anticipo, durante una gita di un giorno che avevano discusso se fare o no,
su un'isola con cui non avevano legami e che non avrebbero mai pi visitato
in vita loro. E allora quella donna divenne una vedova, e venne scortata da
due poliziotti in un ufficio buio e fresco, sedette faccia a faccia di fronte
all'assassino dal viso foruncoloso, un ragazzo di quattordici anni che
tremava e piangeva e gridava in greco: "Non uccidetemi! Non uccidetemi!"
Era strano, disse la donna a Rose, ma seduta l, il suo primo istinto era stato
di alzarsi ad abbracciare il ragazzo e dirgli che andava tutto bene. Ma non lo
fece. Un uomo coi baffi che andavano da un orecchio all'altro le fece
domande in un inglese incerto che lei riusc a capire a malapena. Cosa
poteva dirgli?
Suo marito avrebbe voluto rimanere sulla nave perch gli faceva male lo
stomaco; quel pesce della notte prima, lei lo aveva avvertito. Lei invece era
curiosa di far compere. Aveva deciso di accompagnarla all'ultimo minuto,
cambiando idea l per l.
Naturalmente, da qualche parte dentro di s, lei continuava a credere che
non fosse affatto successo, perch non avrebbe dovuto; era stato tutto troppo
rapido, non era colpa di nessuno. I vestiti di lui erano ancora nell'armadio
della loro cabina, il sapone ancora bagnato dall'ultima volta in cui si era
lavato le mani.
Solo quando si avvicin alla nave quel pomeriggio, scortata dal capitano e
dal direttore della crociera, e la sirena lanci un gemito alto e penetrante
contro il quale dovette proteggersi le orecchie, solo allora la membrana
protettiva scoppi, facendola urlare altrettanto forte (le parve) della sirena
della nave che gridava per annunciare che la partenza era imminente, e lei
doveva lasciarlo l per sempre.
Rose raccont questa storia a Philip un pomeriggio in cui era seduto nella
sua cucina, a mangiare la torta con aria distratta. Gli disse che la donna
l'aveva raccontata ripetutamente a tutti in ufficio, come se raccontandola
perpetuamente potesse trovarci una logica che dimostrasse una volta per
tutte che questa morte non poteva essere evitata. Ed era questo a renderla
orribile. Era bastata una mossa sbagliata, un passo sbagliato. Se avessero
indugiato un altro po nel negozietto, se avessero attraversato la strada un
po pi in fretta, non sarebbe successo. Il ragazzo non poteva saperlo; non
era colpa sua. Se era colpa di qualcuno, era colpa della citt, per non avere
installato un semaforo in quel punto, ma le citt - particolarmente le citt
straniere - erano generalmente indifferenti alla disperazione e al dolore.
Rose fin. Philip la guard con rispetto. "Non so proprio cosa dire" disse,
e torn al pezzo di torta che gli aveva messo davanti. Cosa c'era da dire? In

effetti, la storia a Philip non sembrava altrettanto orribile che a sua madre. Il
caso per lui aveva un senso, pi che la causa. Egli era convinto che tutte le
svolte della vita, inclusa la sua svolta nella morte, fossero puramente
arbitrarie; e si sentiva pi saggio di Rose, che era altrettanto sconcertata dai
meandri che l'avevano condotta l dove sedeva ora, viva, quanto lo era dai
passi oziosi che avevano portato uno straniero a sbattere contro le antiche
pietre di quella lontana strada.
Naturalmente, questi sentimenti erano un fenomeno nuovo per lui, ed
erano dovuti in tutto e per tutto a Eliot.
Prima di Eliot, Philip aveva vissuto cos a lungo senza amore fisico da
credere che fosse l'unica cosa al mondo di cui aveva bisogno. Aveva
fluttuato da un estremo all'altro, e questo, ne era convinto, lo poneva in una
posizione molto diversa da quella di sua madre, che per quanto ne sapeva
Philip albergava da anni in quel terreno mediano tra il vuoto e la
realizzazione, un regno dove la serenit e la disperazione coesistono come
sensazioni duplici cos simili, cos deboli, da divenire indistinguibili, come
il sibilo del radiatore e il ronzio della lavastoviglie.
Questa domenica, Rose arriv a casa dal suo viaggio downtown bagnata e
disorientata, si tolse l'impermeabile e gli abiti, incespic verso la doccia, e
rimase l sotto lo scroscio di vapore e acqua finch non si riscald. Si
cosparse di borotalco alla lavanda e indoss una vestaglia lunga e ampia,
poi si mise a sedere nella sua poltrona favorita per leggere.
Dopo esser rimasta assorta per qualche minuto nel suo libro, guard la
sveglia. Erano le 8,23, e Owen non era ancora rientrato, Non riusciva a
credere di essersi imbattuta in lui quel pomeriggio, come in un vago
conoscente che passava di l. Era come se qualcun altro avesse vissuto con
lei per tutti quegli anni, avesse consumato i pasti con lei, avesse dormito nel
suo letto e allevato suo figlio. Owen era stato rimpiazzato; aveva
rimpiazzato se stesso, era andato da qualche altra parte. O forse era Rose
che se n'era andata, Rose che aveva camminato ipnotizzata o addormentata
per vent'anni e si stava svegliando solo ora per scoprire, come un invalido
che emerga da un coma, quanto tempo era passato in realt.
Ventisette anni.
Mise via il libro, si sistem sul sof, e accese la televisione.
Un'infermiera, che era gentile e dolce l'ultima volta che Rose aveva
guardato lo sceneggiato, nel giro di un mese era divenuta una psicopatica
assassina. Rose era confusa. Cerc di seguire il filo della storia, di capire
che cosa era successo all'infermiera; ma dov'era Owen? Con sua sorpresa, si
scopr a desiderare pi di ogni altra cosa che non fosse successo, a sperare
di poter rivivere quella giornata per prendere un'altra strada, senza vedere

Owen. Ma naturalmente era successo, lo aveva visto. La stranezza


dell'incontro alterava le cose; non riusciva a concentrarsi, e ricordava gli
anni di domeniche sere passate e guardar la televisione, date cos per
scontate, come preziose e rare. Rose stava perdendo il filo dello spettacolo
televisivo, quindi spense la televisione, si alz e si diresse verso la finestra.
Fuori, il vento fece volar via il cappello dalla testa di una donna, che lo
rincorse oltre un autobus, un taxi, e poi sul marciapiede. Rose pens:
veramente, stai esagerando. Non cos tanto tempo. Per i primi quattordici
anni circa, comunque, Philip stava crescendo, e avevano avuto un bambino
di cui occuparsi. Erano al massimo cinque anni che Owen se n'era andato.
E, sicuramente c'erano stati momenti in cui un gran desiderio di
cambiamento aveva invaso l'animo di Rose, momenti in cui, come aveva
letto tanto tempo fa in Proust (e lo ricordava sempre, sempre), le corde del
cuore desideravano esser toccate a ogni costo, l'anima si stancava della
serenit, il corpo moriva dalla voglia di qualsiasi tipo di cambiamento, fosse
anche lo sterminio, fosse anche la morte. Durante quei rari episodi di
insoddisfazione, Rose si era sempre rivolta a qualcun altro, non a Owen.
Poteva esser stato questo? Si chiedeva adesso. Era successo tutto tanti
anni fa, e inoltre, Owen non poteva saperlo; lei aveva nascosto le sue tracce.
Ma se lui l'avesse saputo? Se lui lo avesse saputo, e avesse deciso, invece di
lasciarla apertamente, di scomparire, semplicemente, e vedere se lei se ne
accorgeva? E lei se n'era accorta? Non fino a oggi. Ci fu un tintinnio
familiare alla porta adesso.
La chiave di Owen era la copia di una copia di una copia e non si adattava
perfettamente alla serratura; doveva sempre cincischiare qualche secondo
prima di riuscir ad aprire la porta.
Per anni aveva brontolato sulla necessit di far fare una nuova chiave, e
per anni Rose aveva scherzato con lui dicendo quanto fosse conveniente il
segnale di quel tintinnio quando lei era a letto con il portiere e doveva farlo
uscire in fretta e furia dalla porta di servizio. Owen non si era mai fatto
rifare la chiave, apprezzando un po, cos sospettava Rose, la segreta
conoscenza che aveva acquisito dei suoi capricci e delle sue sfumature.
La porta si apr. L'impermeabile di Owen sgocciol sulla moquette. Si
tolse il cappello e lo tenne cautamente sopra la stuoino, e pezzettini di neve
caddero a terra.
Solo allora alz gli occhi e si accorse di Rose, che si era alzata dalla sua
poltrona e si era riseduta immediatamente.
"Ciao" disse lei.
"Ciao" disse lui.

"Dio mio, come sei bagnato" disse Rose. "Sei venuto a piedi fino a casa?"
Poi trattenne il respiro. Senza averne nessuna intenzione, aveva accennato al
loro incontro, quello strano momento ottuso in strada che era sembrato
verificarsi sulla soglia di un'altra vita.
"S" disse Owen. "Non so perch...
Ne avevo voglia, senza un motivo particolare."
"Dammi il tuo impermeabile" disse Rose. Incominci a sbottonarglielo, e
la mano di Owen si infil con uno scatto nella tasca dell'impermeabile, si
chiuse intorno al piccolo cuneo di carta dai bordi ben ripiegati, e lo tir
fuori mentre l'impermeabile gli veniva tirato via per passare nelle mani di
Rose. Di nascosto gli cambi posto e lo mise nella tasca dei pantaloni. La
sua mano rimase l, ad accarezzarlo, a ripiegarne i bordi.
Rose stava appendendo l'impermeabile. Lui prov un'improvvisa fitta di
colpa osservandola, ricordando la fantasia che aveva avuto quel pomeriggio
su di lei, riconoscendo, quasi per la prima volta dopo anni tutto il bene che
lei gli aveva fatto, la loro comoda vita insieme, questa casa costruita a
precisa misura della loro compatibilit.
"Grazie" le disse. Non riusc a dire, "mi spiace", bench lo desiderasse.
Cerc di pensare a quante domeniche aveva fatto esattamente la stessa cosa
- tornare da questo o quel cinema a luci rosse, purgato (per il momento)
dalla tensione di una settimana, dal bisogno di una settimana e immaginare
che in un singolo pomeriggio l'inferno era stato spazzato via dalla sua vita.
Sicuro a casa, provava quel genere di sollievo che prova un bambino
quando compie un furtarello senza essere sorpreso.
Pensava al rischio che aveva corso, contemplava il pericolo della
situazione, e si annidava nella sicurezza assoluta della sua poltrona, col suo
libro e il suo dolce. Eppure, di settimana in settimana l'inferno incominciava
a insinuarsi nella sua vita con un pochino pi d'anticipo, dopo solo un
giorno, una sera, un'ora.
Con esso arrivava un desiderio di una sorta che non aveva mai
immaginato possibile, e l'unica cosa che lo tratteneva dal tornare nel cinema
durante la settimana era la sua paura immensa di essere visto. Cos
aspettava fino alla domenica, un giorno che considerava in qualche modo
santificato e pertanto sicuro. Si concedeva le domeniche. Eppure ogni
domenica sera, tornando a casa, si chiedeva quanto avrebbe potuto andare
avanti cos. All'inizio si era accontentato dei film soltanto, poi di una rapida
sega nell'ultima fila, poi, col passare degli anni, di succhiare e di farsi
succhiare, con le dita su per l'ano; una volta, un blando tentativo di scopata.
Talvolta la repulsione per le proprie azioni era cos forte che si ritrovava a

sputare sul marciapiede, ripetutamente con un bisogno disperato di liberarsi


la bocca di quel gusto. Ogni settimana voleva sempre di pi.
Rimase in piedi in corridoio mentre Rose appendeva il suo impermeabile
sopra la vasca da bagno. Si circond il corpo con le braccia e pens: Alex
Melchor. Lo sconcert scoprire, dopo tutto questo tempo, di avere ancora la
capacit di provare gioia, e il suo piacere nel provar piacere era di per s
una sensazione cos piacevole che alla fine il bigliettino vero e proprio non
contava poi cos tanto.
Comunque, ricord a se stesso, le cose andavano male come sempre. Lui
e Rose dovevano ancora prendere una decisione sull'appartamento. Non era
cambiato niente. No, tutto era come era sempre stato. E mentre si ripeteva
tra s queste parole, la sua mano tastava la tasca e accarezzava il bigliettino.
Sulle prime lo aveva spaventato. Sulla via del ritorno aveva dovuto infilarsi
in un caff e aspettare finch non era stato sicuro che nessuno lo guardasse
prima di azzardarsi ad aprire il bigliettino e rileggerlo. Diceva veramente
quel che aveva pensato che dicesse. C'era davvero un numero di telefono lo aveva gi memorizzato caso mai gli fosse capitato di perdere il bigliettino
anche se l'idea di comporre effettivamente quel numero era ancora
inconcepibile. Se la stava godendo, mentre era l in piedi, a creare schemi
matematici con le sette cifre del numero, immaginando delle chiavi per
memorizzarlo, sommando e sottraendo e moltiplicando.
Entr in bagno e disse: "Rose" Lei si gir, sconcertata, e lo guard. Lui le
stava sorridendo.
"La mia Rose" disse lui, e l'abbracci. All'improvviso gli venne voglia di
raccontarle tutto di quest'uomo, questo Alex Melchor, questo numero le cui
prime tre cifre sommate davano lo stesso risultato delle ultime quattro.
Avrebbe voluto che loro due fossero amici, che lei fosse la sua confidente.
Questi impulsi assurdi a confessare lo avevano assalito prima, comunque, e
aveva imparato a controllarli. Rose era sua moglie. E al pensiero di Alex
Melchor, della sua mano, dei suoi occhiali, Owen fu colto da un desiderio
improvviso; si pieg a baciarla. Poi si allontan. " stato bello incontrarti
oggi" disse.
"S" fece lei. "Strano, vero?" Torn ad appendere il suo impermeabile
sulla rastrelliera per gli asciugamani.
"Vado in soggiorno" disse lui, e si allontan da Rose. Bene, forse sono
andato in quel cinema per l'ultima volta. Sorrise a quel pensiero
ricordandosi la prima volta - l'orrore che aveva provato, la fitta improvvisa
nel rendersi conto che era, come aveva sempre temuto, un omosessuale. E
che cosa aveva fatto? Era schizzato fuori dal locale e immediatamente dopo
aveva praticamente violentato la povera Rose sul divano del soggiorno,

cercando di vedere lei, soltanto lei, di allontanare a forza dalla sua mente le
immagini di quello schermo. Ma quando era venuto, era ai maschi che stava
pensando, anche se aveva detto: "Rose, Rose", e lei gli aveva risposto: "S,
sono qui, sono qui. Non ti lascer andare. Non ti lascer mai andar via"
Averle mentito - aver costruito un matrimonio con lei sulla base di una
bugia sessuale, era un rimorso di tale grandezza che non riusciva ad
affrontarlo; era pertanto un rimorso che, in questo momento, decise di
ignorare. Per anni, dopotutto, si era detto che se qualcuno glielo avesse
chiesto, avesse insistito, se qualcuno gliene avesse dato la possibilit, lui ne
avrebbe approfittato. Non aveva mai immaginato che sarebbe davvero
successo; dopotutto, lui era un uomo sposato, completamente eterosessuale
agli occhi del mondo. E adesso era successo.
Aveva l'occasione in tasca. Qualcuno chiamato Alex Melchor lo
desiderava.
Sarebbe stato semplice. Gli avrebbe telefonato. Gli avrebbe telefonato e
avrebbe detto - oh, lasciamo perdere cosa avrebbe detto. Attravers il
soggiorno, si sedette sulla sua poltrona, prese il suo libro. Sapeva di poter
vivere questa possibilit semplicemente come una possibilit per un bel po
di tempo; sapeva di poterla far durare per giorni adesso, perch un uomo
affamato ha una nozione diversa di abbondanza.
Rose sedette sul water, in bagno, guardando l'impermeabile di Owen.
Dall'altra parte della stanza, la sua faccia nello specchio, era annebbiata
dal vapore. Si port la mano nel punto della faccia che Owen aveva appena
baciato.
Jerene, la coinquilina di Eliot, stava battendo a macchina sul tavolo di
cucina quando tornarono a casa Philip ed Eliot. Le sue dita volavano sulla
tastiera in un turbinio di movimento, pi veloce di quanto Philip avesse mai
visto. Alla sua sinistra c'era una pila di taccuini con un codice in colore; alla
sua destra un'ordinata pila di fogli, fitti di scrittura. Questo era il testo della
misteriosa dissertazione di Jerene, al quale aveva lavorato per sette anni.
Il titolo attuale era "Il fenomeno delle lingue inventate", ma Eliot aveva
detto a Philip che cambiava titolo ogni mese.
Jerene era in piedi dalle otto. Nel corso della giornata aveva fatto i piatti,
lavorato cinque ore in una biblioteca, letto tre articoli, e battuto a macchina
ventisette pagine.
Ma anche se il sole stava tramontando, per Philip ed Eliot era ancora
mattina; sgattaiolarono dentro come viaggiatori colpiti dalla sindrome da
jet, gente fuori sincrono col tempo.
"Ah, la decadenza della giovinezza" disse lei, strappando un foglio dalla
sua macchina da scrivere con un drammatico svolazzo. Si alz in piedi,

raddrizzandosi dalla sua posizione seduta come una gru che si estenda per
demolire un edificio. Superava il metro e ottante, e la sua altezza era
accentuata dalla sua sinuosit. Aveva gambe lunghe, i muscoli intrecciati
come corda, la pelle del colore del nocciolo di un avocado. Un caschetto di
capelli corti, scuri e folti come alghe, era attaccato al cuoio capelluto.
Dormiva su una brandina in un angolo della cucina. Il lettino aveva un
aspetto monacale, gli angoli tesi e precisi, le coperte lisce, ma quando Eliot
vi si sedette sopra si ammorbid, come se si arrendesse.
"Vedo che oggi sei stata produttiva come il tuo solito" le disse.
Jerene annu. Si era sempre alzata presto. Una sveglia mentale le scattava
attraverso i nervi tutte le mattine alle sette, percorrendola di spasmi
d'angoscia che solo il lavoro poteva alleviare. Lavorava in continuazione.
Quando non c'era lavoro ne inventava uno, o aiutava gli altri a fare il loro.
"Su cosa stavi scrivendo oggi?" chiese Eliot. Aveva preso dal frigo un
cartone di spremuta d'arancia da due litri e stava bevendo direttamente da
quello.
"Oggi?" fece Jerene. "Oggi ho scritto il mio capitolo su quelle famose
gemelle che hanno inventato la loro lingua. Due bambine. Non so se avete
sentito parlare del caso, ma dopo che le hanno scoperte c' stato un grosso
dibattito per decidere se bisognava separarle e costringerle a imparare
l'inglese, o tenerle unite, in modo che la lingua potesse essere studiata.
Come probabilmente potete immaginare, l'hanno vinta gli assistenti sociali
sociali, per il bene delle bambine. Immagino sia stata la cosa giusta da fare.
Tuttavia, quando penso a quel che si sarebbe potuto imparare... Ci sono dei
nastri delle loro conversazioni, sapete. Non assomigliano a niente di quanto
si pu aver udito prima, niente che si potrebbe imitare. Mi rattrista. Mi
sembra che il mondo abbia abbastanza lingue perdute."
"Parla di questo la tua dissertazione?" chiese Philip. "Di lingue perdute?"
Jerene si strinse nelle spalle e gli sorrise. "Pi o meno" disse. "Pi o
meno" Non aveva una gran voglia di spiegare il lavoro di sette anni proprio
adesso, una dozzina di argomenti e i cambiamenti di titolo.
Aveva degli amici che lo incoraggiavano a non finire, insistendo che il
processo pi importante del prodotto finito - una specie di lavoro
accademico marxista-femminista, anti capitalista, e non orientato verso un
fine, dicevano. Lei sapeva solo che finch il Dipartimento di Filosofia le
dava dei soldi per riempire la sua vita di lavoro, lei avrebbe continuato a
fare proprio quello. Il lavoro in biblioteca era il genere di lavoro che le
piaceva di pi, quello che la calmava di pi, che la teneva coi piedi per
terra, Poteva passare ore a esaminare compendi di sociologia, o a sfogliare
numeri arretrati di periodici misteriosi, o seduta in un cubicolo ben

illuminato a prendere appunti da monografie illeggibili del diciottesimo


secolo. Aveva bisogno di un lavoro che la occupasse interamente, che non
lasciasse spazio per la ruminazione sulla propria vita o sulla propria
condizione.
"Comunque" disse a Philip e Eliot nel buio pomeriggio, "in questo
capitolo ho deciso di concentrarmi non tanto sulla lingua ma sulla reazione,
che in un certo senso per la mia tesi pi centrale: cosa significa che una
lingua privata, inventata deve essere sacrificata "per il bene del bambino""
"Presumiamo quindi che alle bambine sia stato insegnato l'inglese con
successo" disse Eliot. Stava rompendo delle uova in un tegame, per
preparare la colazione.
"Oh, s. Sono state separate, e tenute lontane l'una dall'altra dagli
assistenti sociali. Naturalmente, per giorni e giorni, dopo, molto probabile
che abbiano pianto, molto probabile che abbiano parlato nella loro lingua
a se stesse chiedendosi come mai nessuno rispondeva. Dopo un po sono
piombate nel silenzio. Poi hanno cominciato ad adattarsi. A poco a poco
hanno cominciato a imparare la nuova lingua. Adesso hanno quasi
vent'anni; probabilmente vanno al college. Mi chiedo se si ricordano la
lingua segreta, se ancora la parlano in privato, o la sognano.
Probabilmente no. Probabilmente la prima infanzia per loro come un
sogno, come si immagina che succeda ai bambini che vengono rapiti e
allevati da genitori diversi. successo qualcosa che non sono neanche certe
sia successo, qualcosa che stentano a credere sia vero quando la gente
gliene parla."
"Tutto questo deve avere a che fare con qualcosa che hanno sentito" disse
Philip. "La lingua, intendo dire. Non pu essere sbucata cos dal nulla."
"Nessuno ne sa niente" disse Jerene.
"Ma la lingua pu iniziare come una cosa molto arbitraria. Una donna
venne rinchiusa in un manicomio per qualcosa come quarantotto anni
perch i dottori dicevano che "farfugliava" Poi scoprirono che era
un'immigrata ucraina. Nessuno all'ospedale si accorse che stava parlando
ucraino."
"Sembra un vero peccato che la lingua delle gemelle non abbia potuto
essere registrata o conservata in qualche modo."
"S" disse Jerene, " un peccato."
L'odore delle uova fritte le stava facendo venire la nausea. Fiss lo
sguardo sulla finestra. "Mi piacerebbe molto comparare la lingua delle
gemelle con qualche altra lingua" disse. "Con il basco, forse, o coi dialetti
degli Hunza, per vedere se la gente inventa le lingue nello stesso modo, se
in un tipo diverso di mondo la lingua delle gemelle avrebbe potuto

sbocciare, avrebbe potuto divenire la lingua di una cultura. Ma mi sono resa


conto che una cosa che non posso assolutamente fare. Quel che davvero
rilevante che l'unica scelta possibile, nel caso di queste due gemelle, era la
scelta che stata fatta. La lingua doveva morire. La cosa pertinente
l'integrazione di quelle bambine - quella, e quanto con essa andato
perduto."
Sospir, ed Eliot fece scivolare le uova dal tegame dentro a un piatto.
Philip la stava guardando con dipinte in viso confusione e curiosit, e lei
si chiese come mai le toccava sempre questa parte, di spiegare a se stessa e
agli amanti di Eliot. Come doveva sembrare strana e sciocca a Philip, pens,
la perpetua laureanda persa nella nebbia di oscuri interessi, senza
prospettive su materie pi ampie o sul "mondo reale"
Eliot lei lo adorava. Quando la sua scrittura procedeva malamente, lui le
veniva in soccorso, con la voce come quella di una madre che rassicura il
suo brutto anatroccolo di figlia che l'amore sboccer presto sul suo sentiero.
"Verr" le diceva lui, strofinandole le spalle mentre lei piangeva alla
macchina da scrivere.
"Verr."
Quanto a lei non aveva amanti.
Considerava il suo lavoro sufficiente come amante - talvolta gentile e
cameratesco, talvolta volubile, elusivo, frustrante, qualcosa che talvolta la
portava ad apici insospettati di gratificazione, o la riduceva alla rabbia e alla
disperazione inarticolata. Talvolta, nei giorni di rabbia e di disperazione
inarticolata, si metteva la giacca di pelle e si avventurava uptown in
un'elegante discoteca per donne chiamata Shescape, e l rimaneva in piedi
contro una parete, con una sigaretta accesa in mano, e aspettava.
Di solito le donne guardavano prima di tutto lei, Poich era molto alta e
molto nera, si aspettavano quasi sempre che fosse lei a prendere il controllo
della situazione, che facesse con loro quel che lei voleva, e questo la
rattristava; una volta tanto le sarebbe piaciuto cedere quel controllo a
qualcun altro. Tuttavia realizzava i loro desideri, persino legando dei nastri
al polso esile di una ragazza quando lei glielo chiedeva. La mattina tornava
a casa in metropolitana, coi vestiti ancora impregnati del profumo di
patchouli, entrava in punta di piedi nell'appartamento dove Eliot giaceva
completamente immobile nella sua stanza chiusa e fetida. Niente lo
svegliava. Lei faceva una doccia, si cambiava d'abito, e si dirigeva verso la
biblioteca, dove il lavoro - oggetto della sua vera passione - l'aspettava, e
dopo qualche ora tornava a casa dove trovava l'appartamento pieno di
vapore proveniente dalla doccia, ed Eliot, avvolto in un asciugamano, che si
faceva la barba.

"Come andata la notte?"


"Bene" rispondeva lei. "E la tua?"
"Lo stesso. Sono andato a una stupida festa a Soho, poi al Palladium. Ho
ballato un sacco."
In quei pomeriggi le piaceva rimanere l in piedi guardandolo farsi la
barba. Dopo che lui aveva finito, talvolta scendevano dabbasso al ristorante
indiano gestito dai loro vicini e intingevano strani pani in curry piccanti. Lui
era spesso e distrattamente innamorato, e ne parlava durante queste cene.
"Si chiama Philip."
"Com'?"
"Oh - occhi chiari, ansioso di piacere. Molto dolce, molto insicuro.
L'ho conosciuto tramite Sally - sai, quella ragazza che lavora da Goldman,
Sachs?"
"Lo ami?" chiese Jerene.
Eliot sorrise. "No, ahim."
"Ma lui ama te."
"S."
"S."
Nell'oscurit crescente passeggiava con lui per le strade dell'East Village.
Invariabilmente lui aveva degli impegni mondani a cui doveva andare. Lei
lo baciava sulla guancia e tornava a casa. La sera Jerene leggeva romanzi
del diciottesimo secolo di cui nessuno aveva mai sentito parlare, eccetto il
sabato, quando, infallibilmente, guardava "I Fatti della Vita", sul piccolo
televisore di Eliot. Quando lui tornava a casa lei dormiva gi. Talvolta, la
mattina, le capitava di trovare strane calze in bagno, o lenti a contatto che
bollivano sul fornelli di cucina, e capiva che lui aveva portato a casa
qualcuno.
Una volta sorprese un giovane nudo in bagno, e lui praticamente si mise a
strillare.
"Mi dispiace" disse lei, indietreggiano e chiudendo la porta.
Qualche minuto dopo, lui usc imbarazzato, avvolto in un asciugamano.
"Sono Philip" disse.
"Piacere, Philip. Io sono Jerene, coinquilina di Eliot."
"Me ne ha parlato. Dorme ancora."
"Torna a letto" disse Jerene. "Hai un'aria esausta."
"Siamo stati fuori fino a tardi" disse, e sorrise, compiaciuto e sorpreso di
essere parte di un "noi"
"Be, mi ha fatto piacere conoscerti."
"Anche a me ha fatto piacere conoscerti."
"Buona notte allora... o, meglio, buon giorno."

"Ciao."
Fece scorrere la porta giapponese che separava il soggiorno dalla cucina e
spar dalla sua vista.
In cucina, adesso, davanti alle uova, questo stesso Philip la stava fissando.
"Mi sembra meraviglioso, davvero affascinante" le disse, e lei sorrise.
"Cosa?" gli chiese.
"La tua dissertazione. Mi piacerebbe proprio leggerla."
Lei guard verso la finestra, consumando in sorrisi la sua vita.
"Sono solo le noiose pontificazioni di una laureanda" disse. "Niente di
strabiliante. Se fossi in te non ci perderei il mio tempo."
"Oh, io non lo direi" disse Philip.
Prese un'altra forchettata di uova e si gir verso Eliot.
Jerene era stata adottata. Era convinta che i suoi primi ricordi - di un
fascio di luce che divideva a met una copertina con disegni di coniglietti
rosa - erano precedenti alla sua adozione, provenivano da un momento dei
suoi primi tre mesi di vita, se non altro perch non era mai riuscita a trovare
una coperta del genere tra i relitti della sua infanzia, conservati per anni da
sua madre in un baule profumato di cedro tenuto in soffitta. I suoi genitori
adottivi erano un ricco avvocato e la moglie che nel 1957 si distinguevano
per essere l'unica coppia nera a possedere una casa a Westport, nel
Connecticut. Jerene aveva una sua fotografia che era stata scattata subito
dopo l'adozione, i capelli acconciati con nastrini di velluto rosa, in posa tra
suo padre e sua madre di fronte a un albero di Natale assurdamente
stracarico di decorazioni, e coperto di neve finta.
Nella fotografia, Sam fissa la macchina fotografica senza sorridere,
vestito come sempre con abito gessato e cravatta, mentre Margaret, coi
capelli alti sulla testa in spire cotonate, regge la sua bimba sul tavolo,
aggrappandosi alle sue esili ginocchia quasi alla ricerca di vita.
Jerene non aveva ancora imparato a stare in piedi, ma nella fotografia sta
in piedi. Ha la bocca aperta, le gambe arcuate, come se stesse per
incespicare da un momento all'altro.
Tutti e tre sono rigidi per il disagio, come gente che posa in costumi di un
altro secolo per un effetto comico. Ora, quando Jerene guardava la
fotografia provava compassione per tutti loro.
Se mai sapeva qualcosa sul passato dei suoi genitori, era che avevano
faticato duramente per arrivare dove erano arrivati. Non facevano che
ripeterglielo, sperando, immaginava lei, di instillarle quel tipo di rispetto per
il lavoro sodo che le avrebbe assicurato di non scivolare mai pi nella
povert da cui l'avevano strappata. Quanto alle loro vere origini erano molto

evasivi, come se temessero che un'eccessiva esposizione a un mondo meno


privilegiato avrebbe fatto s che questo la sopraffacesse.
Solo di rado la portavano a far visita ai suoi nonni e alle zie e agli zii in
citt, e soltanto il pomeriggio.
Quando Jerene aveva sette anni, la madre di Margaret, Irene, venne a
trovarli a Westport e Sam e Margaret la portarono a prendere il t in un
ristorante elegante, dove anziane donne nere coi grembiuli bianchi
servivano pasticcini e petit four su vassoi d'argento. Tutti e quattro sedettero
l senza parlare, e Irene, con un cappello fuori moda di velluto ornato di
fiori, guardava con sospetto i pasticcini rifiutandosi di toccarli.
Tutti quanti - comprese le cameriere e i proprietari - lanciavano occhiate
curiose e condiscendenti alla famiglia, come a mettere in dubbio che
avessero qualcosa a che fare con quel posto. Comunque per due ore tennero
duro, seduti rigidi nelle loro seggiole, sorridendo, fingendo di divertirsi,
come se le loro vite dipendessero da questo, e in un certo senso le loro vite
dipendevano davvero da questo. E bench fosse solo una bambina, Jerene
sent quanto fosse ingiusto che, dopo tutto quel che avevano passato, i suoi
genitori dovessero essere ancora considerati degli estranei in un ristorante e
in tutta la citt. Talvolta, durante il fine settimana, Sam e Margaret
socializzavano con altre ricche coppie nere che avevano cercato con cura o
conosciuto per ragioni di lavoro.
Andavano in macchina fino a Larchmont o Moroton Heights, oppure le
altre coppie venivano nella loro casa stile Tudor e davano in escandescenze
per i mobili finto Luigi XIV, e i tappeti che andavano da una parete all'altra,
la nuova lavatrice e cos via. Queste elaborate cene formali, presiedute da
una cameriera assunta per la serata, e piene del tintinnio dei bicchieri e dello
scroscio di timide risate femminili per le rozze battute dei maschi,
confermarono l'impressione di Jerene, all'et di sette anni, che il mondo
consisteva di due gruppi di persone paralleli e pi o meno identici - uno
scuro, e uno chiaro - proprio come succedeva con le bambole sugli scaffali
del negozio di giocattoli, che erano sempre in due versioni, una scura e una
chiara. Solo le bambole nere erano sue, e lei lo sapeva. Tuttavia ce n'erano
di pi di quelle bianche, ed erano pi carine.
Furono le bambole nere, come raccont anni dopo a Eliot, a iniziarla alla
politica antirazzista.
Jerene sapeva di essere stata adottata, ma fin dalla pi tenera et era stata
istruita a mantenere questo segreto nei confini della famiglia.
"Ringrazia il cielo di avere tutte le cose che hai" le diceva sua madre,
quando Jerene le chiedeva delle sue origini. "Saresti cresciuta in un modo
decisamente diverso se non fossimo arrivati noi." Sconfitta, Jerene tornava

nella sua stanza, soffocata dalla sua buona sorte di profuga. Non riusciva a
superare la natura accidentale della sua vita beata: rendeva sbagliato tutto il
resto. Con esuberanza frenetica Margaret vestiva Jerene di camicette di
pizzo rosa, le arricciava i capelli e glieli legava con dei fiocchetti, talvolta le
smaltava le unghie piccole ma perfette di rosso brillante, fino a farla
somigliare alle bambole nere che sedevano sullo scaffale della sua camera
da letto - Barbie Nera, Bambino Chiacchierino Nero, Poppante Nera - tutte
identiche agli originali, ma scure, annerite, sbagliate, proprio come era
sbagliata lei, proprio come erano sbagliati i suoi genitori e i loro amici, che
facevano tintinnare i bicchieri nel soggiorno dei Parks.
Perch il mondo non era diviso in gruppi uguali. A Westport erano da
soli. Al di l della strada c'era una casa col cartello In vendita che nessuno
compr per un anno, e Jerene cap, da una conversazione tra i suoi genitori
che le capit di udire, che in un modo o nell'altro erano responsabili non
solo del trasloco di una famiglia ma anche del fatto che un'altra famiglia
all'ultimo momento aveva deciso di non comprare. Tornando a casa dopo le
compere con sua madre, Jerene vedeva dei biglietti infilati sotto la porta,
bigliettini che sua madre accartocciava nel palmo della mano, senza aprirli.
Il razzismo a Westport conosceva il galateo, avrebbe detto in seguito Eliot;
arrivava sempre dentro a una busta.
Una volta la svegliarono il mattino presto, la misero in macchina, la
condussero attraverso strade familiari con case e praticelli, poi su una lunga
autostrada fiancheggiata dall'erba in una regione di piccoli edifici sbilenchi
dove dei bambini della sua et giocavano tutti seri tra bidoni della
spazzatura e macchine.
Parcheggiarono vicino a una porta a vetri bombardata di crepe, sopra la
quale una scritta annunciava Lavanderia Bella Vista ed entrarono in quella
stanza bollente piena di vapore e dell'odore dolce di ammorbidente per
tessuti che Jerene non avrebbe pi dimenticato. Suo nonno indossava una
maglietta scurita dal sudore e dalle macchie di tabacco; Jerene non voleva
toccarlo. Ma sua nonna, con una fusciacca legata intorno alla testa, era tutta
lustra come una cosa appena tirata a lucido mentre sollevava enormi
lenzuola sgocciolanti dalle lavatrici. Si gir, sorrise, si guard bene
dall'abbracciare Sam e Margaret visto che avevano indosso i loro vestiti
migliori. Poi, mentre se ne andavano tutti insieme, il nonno di Jerene
abbass la saracinesca sulle vetrine appannate della lavanderia, e i nonni si
sedettero sul sedile posteriore della grande macchina insieme a Jerene. "
una vera festa fare un giro in macchina" disse Nellie, la nonna di Jerene.
Tenne Jerene sulle ginocchia, sussurrandole all'orecchio delle frasi senza
senso mentre Sam li conduceva verso il piccolo appartamento della sua

infanzia, coi corridoi scrostati e impossibilmente stretti, e l rimasero per


un'ora su seggiole dallo schienale rigido nel piccolo salottino, a mangiare
biscotti e a bere limonata. Jerene ricordava ancora la macchia a forma di
mano sulla parete della cucina, che pens facesse parte dell'ombra di
qualcuno; durante il tragitto verso casa si chiedeva chi fosse quel
poveraccio alla cui ombra mancava una mano.
Sam era sempre infuriato quando tornava a casa dall'appartamento dei
suoi genitori. "Ma perch non fanno qualcosa?" diceva Margaret.
"Potrebbero ritirarsi in Florida.
Glieli darei io i soldi." Ma loro non volevano accettare i soldi di Sam per
orgoglio. Jerene aveva una certa difficolt a capire cosa fosse l'orgoglio. Nei
suoi libri scolastici, il ragazzo orgoglioso era altezzoso e guardava i suoi
amici dall'alto in basso, ma questa descrizione ricordava pi i suoi genitori
che non i suoi nonni. Per Margaret, essere orgogliosi significava non
prendere cose che venivano offerte, essere orgogliosi significava soffrire
stupidamente. Lei non si vergognava di ammettere le molte volte in cui
aveva ingoiato il proprio orgoglio, traendone beneficio.
Jerene si appoggi allo schienale, perplessa. L'infanzia di suo padre la
conosceva come mitologia - terreni dissestati per giocare, il riscaldamento
insufficiente. Non aveva avuto giocattoli. Le strade erano piene di
malviventi. "Puoi essere contenta di avere tutto questo, stellina mia" le
diceva quando era piccola, spingendola sull'altalena del giardino, e lei si
guardava intorno osservando gli alberi verdi illuminati dalla luce del
crepuscolo, le foglie sul terreno, il piccolo gazebo vicino al capanno del
giardiniere. Niente di tutto questo era suo se non per la buona sorte toccata a
una profuga. E poi successe una cosa straordinaria: suo padre, spingendola
sull'altalena, all'improvviso afferr le catene di metallo, la tir indietro, la
tenne sospesa a mezz'aria, per cui lei pens di poter vedere la rotondit del
mondo sotto di s, e le affond la testa nella schiena piangendo.
Certi fatti li conosceva. Suo padre, all'et di diciassette anni, era stato il
primo ragazzo nero a essere nominato "Ragazzo dell'Anno" dal Bensonhurst
Brooklyn Otpimists' Club.
Era stato il primo redattore nero del giornale del suo college, e della Law
Review alla facolt di legge; il primo avvocato nero di uno studio legale, e
il primo socio nero di un altro. Per tutta la giovinezza si era ritrovato su
podii, a ricevere strette di mano e pacche sulla schiena. Jerene era arrivata
insieme a tutto questo. In seguito molti uomini grandi e grossi e che
avevano l'odore di biscotti allo zenzero la sollevarono in alto nell'aria. Stava
al fianco di sua madre nelle toilette per le signore, e le mogli consigliavano

educatamente dei trucchi a Margaret, poi all'improvviso si imbarazzavano e


dicevano: "Oh - immagino che voialtri abbiate le vostre marche, vero?"
Margaret sorrideva sempre.
Talvolta si ritrovavano da soli in macchina con statuette e premi, ad
attraversare buie strade periferiche che diventavano sempre meno familiari.
Dal sedile posteriore Jerene fissava la nuca dei suoi genitori - quella di
suo padre accuratamente rasata, quella di sua madre lucide e nuda sotto la
luce della luna, accarezzata dal gancio di una collana e alcune perle.
Si perdevano. Sam girava la macchina, e il suo collo era imperlato di
sudore. "Sta a sentire, Sam, siamo a Noroton Heights" diceva Margaret. "So
esattamente dove ci troviamo. C' quel viale dove sono andata l'altro giorno
con Jerene." E lentamente, con precisione, lo guidava verso casa.
Nel 1968, lui era un delegato di Nixon. Jerene aveva undici anni e vot in
favore di Humphrey. Preg che la sua migliore amica, sostenitrice di
Humphrey, Jessica Hudson, e i genitori di Jessica, a loro volta sostenitori di
Humphrey, non dicessero niente.
Eppure, quando la convenzione venne ripresa in televisione, lei la guard
con sua madre e fu elettrizzata nel vedere la faccia di Sam riempire
all'improvviso lo schermo. "Stiamo parlando con Mr. Samuel J. Parks" disse
il telecronista, "un avvocato del Connecticut, e uno dei pochi delegati neri
qui alla convenzione.
Mr. Parks, come negro, che cosa prova a sostenere Mr. Nixon, soprattutto
considerato il sostegno schiacciante della sua razza per i democratici?"
"Sono pienamente convinto che Richard Nixon sia quello di cui ha
bisogno il nostro paese e la nostra economia" disse Sam. Sudava e sembrava
piuttosto a disagio ma la sua voce era decisa.
"Mamma" disse Jerene.
"Sta zitta!" disse Margaret. "Quante volte nella vita credi che vedrai tuo
padre in televisione?"
E di fatto, Jerene non pot fare a meno di provare un orgoglio segreto,
perch Sam sembrava cos attraente con il microfono davanti alla bocca.
Non ne parl mai con Jessica.
Crebbe, divenendo sempre pi alta, e continu a crescere. Alla fine delle
scuole medie era gi alta un metro e settantacinque ed era la star della
squadra di pallacanestro. Quell'anno la sua scuola vinse tutte le partite, e
Jerene fu nominata "Miglior Giocatrice"
Port a casa il trofeo e lo mostr a sua madre. Margaret stava pulendo la
grande casa, che col passar degli anni, aveva acquisito una coltre di polvere
apparentemente insormontabile.

"Ma chi te lo fa fare di giocare a pallacanestro?" le chiese quando Jerene


le mostr il suo trofeo. " cos... poco femminile." Non approvava che
Jerene giocasse a pallacanestro; lo aveva detto fin dall'inizio.
Dietro di lei, Margaret si tirava appresso l'aspirapolvere come una
svogliata bestia da soma. "Perch ci giocano i neri a pallacanestro? Hai
paura che qualcuno mi confonda con uno di loro?"
Sua madre si strinse nelle spalle.
"Quell'uniforme" disse. "Ma veramente, Jerene, non potrebbero darvi
qualcosa di un po pi... femminile? E perch porti sempre quei brutti
pantaloni, quando ti ho comprato tanti vestiti carini?"
"I vestiti carini sembrano idioti su di me" disse lei.
"Non ci provi neanche" disse Margaret. "Non ci provi neanche a essere
carina. Ah, eccoti qua. Adesso s che ti pesco." Stava parlando
all'aspirapolvere. Piant il tubo speciale dell'aspirapolvere dietro a un'antica
petineuse, e Jerene ascolt il risucchio particolare e gradevole che faceva la
macchina.
Adesso dormiva sempre a casa di Jessica. La madre di Jessica, che era
redattrice di una rivista, era mite e distratta e non ci faceva caso. Quanto a
Jessica, era la migliore amica di Jerene, robusta, dai grossi seni, lanciatrice
di disco, e aveva insegnato a Jerene a far l'amore con la lingua, le dita e i
fianchi. Ormai lo facevano quasi tutte le notti quando Jerene rimaneva da
lei, ma stavano appena incominciando ad acquisire la consapevolezza di
quel che significava - che erano lesbiche - una rivelazione di fronte alla
quale la prima reazione di Jerene fu: "Naturalmente. Ecco cos'. L'ho
sempre saputo" Naturalmente la cosa non finiva l; Jerene si rese conto,
vagamente, che questo tipo di amore non sarebbe stato facile, che avrebbe
sofferto pi di quanto non avesse sofferto finora. La parola "sacrilegio"
incominci a insinuarlesi nella testa - da un sermone in Chiesa, immagin, o
forse dalle parole sussurrate da sua madre quando avevano saputo di Billie
Jean King e della sua segretaria alla radio. Erano amanti, amiche,
innamorate? Comunque non avevano mai parlato della loro tranquilla
passione che occupava la maggior parte delle loro notti insieme. E Jessica
era troppo impegnata a pensare a Harvard in autunno per preoccuparsi di
cose del genere.
Jerene, meno ambiziosa e pi assetata di citt, and alla Nyu.
Separata, infine, dai suoi genitori, incominci a frequentare le riunione
del Comitato delle Donne Afro-Americane, del Comitato delle Lesbiche,
del Comitato delle Donne Radicali di Colore. Per imitare Cornelia
Patterson, una leader lesbica la cui presenza scenica e il cranio quasi
completamente calvo l'avevano enormemente colpita, un giorno si ras

quasi del tutto i capelli. "Cosa ti sei fatta?" grid sua madre quando la vide
durante le vacanze di Natale.
"Mio Dio, ti sei rovinata." Lei e Sam rimasero cos sconvolti che
minacciarono di non pagare le tasse universitarie per il prossimo trimestre, e
lei riusc a dissuaderli soltanto promettendo di farsi ricrescere i capelli.
Sulle prime questo non li soddisf, finch non si resero conto che non
avevano scelta.
Si arresero.
A cena raccont loro delle sue nuove idee politiche, e del suo impegno
nel Movimento delle Donne Nere. Margaret, trafiggendo delle crocchette di
patate con la forchetta, guard stancamente Jerene. "E tu credi davvero" le
chiese suo padre, fissandola dall'altra parte del tavolo, "che un separatismo
del genere far bene a qualcuno?" Era una vecchia discussione, che avevano
gi fatto molte volte prima. "Prima c'era il Movimento Nero" borbott Sam,
fissando sconsolato il suo piatto.
"Adesso il Movimento delle Donne Nere. Lo so che non un'opinione
popolare, Jerene, ma non riesco proprio a vedere l'utilit di tutto questo
separatismo."
Poi le disse di nuovo che bisognava lavorare nel sistema per cambiarlo
dall'interno, e cos via. "Siamo tutti esseri umani" concluse trionfante.
Margaret lo guard con approvazione, Jerene riconobbe quella tattica ammantare lo snobismo e la sconfitta delle vesti di una cristiana buona
volont - e la consider indegna di una risposta. Torn alla sua cena, e la
mattina dopo trov un misterioso assegno di cinquanta dollari sul suo
comodino. "Per una bella parrucca" era scritto sul promemoria dell'assegno.
Sei mesi dopo and appositamente a casa per dire loro che era lesbica. In
seguito, per anni, si chiese perch l'avesse fatto - se si trattava, come aveva
detto allora a se stessa, di un atto di integrit politica, motivato da un vero
bisogno di essere onesta coi suoi genitori; o se invece non si trattava di
vendetta vera e propria - vendetta e liberazione. A quel punto si era ormai
convinta da parecchio tempo che il suo lesbismo fosse una cosa neutra, n
buona n cattiva di per s. Ma sapeva anche che questo fatto neutro della
sua vita, una volta presentato ai genitori, sarebbe stato altrettanto potente di
un machete brandito davanti alle loro facce, e avrebbe causato ferite
altrettanto profonde. Aveva fatto molti preparativi, consultato molti libri.
"Il pomeriggio il momento migliore" l'aveva consigliata Cornelia
Patterson, e dunque Jerene, il pomeriggio, condusse cerimoniosamente i
suoi genitori in soggiorno per dar loro la notizia. Mentre lei parlava suo
padre guard fuori dalla finestra verso gli oleandri in giardino; sua madre

sedette sul sof e pianse. "Hai finito?" le chiese Sam dopo che era stata in
silenzio per qualche secondo.
"S, ho finito."
"Allora ti dir una cosa. Ti dir che avrei preferito che mi dicessi che
avevi un cancro." Non distolse mai lo sguardo dagli oleandri.
"Pap" disse lei. "Come fai a dire una cosa del genere; come fai a startene
l e dirmi una cosa del genere?"
"Dico sul serio" disse lui, girandosi. "Sei sempre stata una delusione per
noi, ci hai sempre dato dei problemi. E adesso tornare a casa con questo...
Questa porcheria, questo sacrilegio. Cosa ti aspettavi che facessi, che mi
rilassassi sulla poltrona e sorridessi?"
" come un lutto" mormor Margaret piano piano dal sof, tra i
singhiozzi. " come se fosse morta."
"Mamma!" disse Jerene. "Pap! Non dite queste cose. Io sono ancora la
stessa. Sono sempre vostra figlia, la vostra Jerene. Vi prego! Sto solo
cercando di essere onesta con voi, di dirvi la verit per una volta."
Suo padre allontan gli occhi da lei, guard ancora una volta fuori dalla
finestra. "Tu non sei mia figlia" disse. "Ringrazio Dio almeno per questo.
Tu non si mia figlia."
E cos strapp il machete che gli era stato piantato nel cuore, lo gir e
tagli via di netto Jerene.
Senza aggiungere neanche una parola, Jerene se ne and. Percorse a piedi
le due miglia fino alla stazione ferroviaria, aspett un'ora sulla piattaforma
vuota, seduta su una panchina, le ginocchia piegate contro il petto,
dondolando. Una volta tornata in citt, mand loro un assegno per la somma
totale di tutti i soldi che le avevano dato. Era qualcosa come trecentomila
dollari.
Loro non cercarono mai di depositare l'assegno, naturalmente, ma lei
bruci comunque il libretto degli assegni.
Anni dopo, le faceva piacere pensare che il denaro che aveva avuto su
quel conto - un po pi di cinquemila dollari, probabilmente era ancora l,
ad accumulare interessi, ad aumentare di valore, intoccabile.
Una volta, circa un anno dopo, per insistenza di Eliot, li chiam il giorno
del compleanno di sua madre.
Rispose Margaret. "Mamma?" disse lei.
"Mamma, sono io, Jerene."
Margaret non disse niente.
"Sono felice di sentire la tua voce" disse Jerene. " passato tanto tempo.
Mi sei mancata..."

Ancora silenzio. "Jerene?" disse Margaret. "Non conosco nessuno che si


chiama Jerene. Non conosco nessuna Jerene. Deve aver sbagliato numero."
Poi riattacc.
Qualche anno dopo, camminando lungo la Quinta Avenue, Jerene la vide.
I capelli di Margaret adesso erano tutti grigi, e aveva messo su peso. Stava
guardando delle camicie nella vetrina di Bendel's. Per un attimo, fu come se
gli anni di silenzio non fossero affatto passati. E come avrebbero potuto,
dopotutto? Era ridicolo, imbarazzante - tre persone intelligenti, e tutte
troppo ostinate per fare un gesto. Sua madre rimase l in piedi,
completamente ignara della presenza di Jerene, a fissare le camicie, e poi
tir fuori un fazzolettino di carta dalla borsa e si soffi il naso. Era la stessa
borsetta di pelle rossa che aveva sempre avuto, e vedendola, Jerene si
commosse fino alle lacrime. Avrebbe voluto correre verso sua madre,
abbracciarla e rifiutarsi di lasciarla andare finch non avesse pianto, finch
non si fosse arresa, finch non avesse ammesso che Jerene era l, finch non
avesse ammesso di avere una figlia. In realt, l in piedi nel bel mezzo
dell'incrocio, non era trattenuta da nient'altro che dalla paura. Poi il
semaforo scatt, e la folla attravers la strada salendo sul marciapiede.
Quando fu passata, Margaret ormai era andata oltre.
Quanti anni avevi quando Derek e Geoffrey scoprirono che eri gay?"
chiese Philip a Eliot. Erano le quattro del mattino, ed erano sdraiati sul
piumone azzurro, ancora lontanissimi dal sonno.
"Be, vediamo" fece Eliot, allungando le braccia dietro la testa.
"Deve essere stato... ma no" sorrise.
"Il fatto che con Derek e Geoffrey avrei dovuto confidarmi solo se fossi
stato normale. A pensarci bene, non mi pare di essermi mai confidato
apertamente con loro. Ricordo soltanto che quando avevo dodici anni o
qualcosa del genere, Derek entr nella mia stanza e mi trov a pomiciare
con Timmy Musseo. E lui si limit a scusarsi e a chiudere la porta."
A Philip casc la mascella. "Vuoi dire che pomiciavi gi coi ragazzi
quando avevi dodici anni?"
"Undici" disse Eliot. "Geoffrey e Derek lo scoprirono solo quando avevo
dodici anni."
"Allora quanti anni avevi quando hai scopato per la prima volta?"
Eliot si strinse nelle spalle. "Non ne sono sicuro" disse. "Che definizione
daresti di scopare? Se l'orgasmo il criterio, avevo dodici anni. Se
necessaria la penetrazione anale od orale, quindici."
"Ed stato con Timmy Musseo?"
"No, no" disse Eliot. "A quel tempo Timmy Musseo aveva gi una
ragazza. La mia prima esperienza fu con un uomo molto pi grande di me,

un amico di Derek. Lui e Geoffrey non lo scoprirono mai. Probabilmente


non lo sanno neanche adesso."
"Che cosa intendi per pi vecchio?"
"Be, vediamo" fece Eliot. "Quando io avevo quindici anni, lui doveva
averne ventinove, trenta. La mia et adesso. Veniva a stare a casa nostra
tutte le volte che Derek e Geoffrey andavano via."
"Ti ha sedotto?"
"L'ho sedotto io" disse Eliot e rise. "Oh, lui lo voleva purch lo volessi
anch'io. Ma penso che avesse paura che Derek lo denunciasse per violenza a
minore o qualcosa del genere. Io ero irresistibile a quindici anni. Continuai
a chiedergli di farmi dei massaggi, recitando la parte dell'innocentino. E alla
fine - be, non ce la fece pi." Sospir. "Fu una notte scatenata. Facemmo di
tutto."
Philip aveva la bocca secca. "Quando io avevo quell'et" disse, "be, non
me lo sarei neanche sognato, anche se potevo averne una voglia matta..."
Ma ormai sapeva abbastanza dell'infanzia di Eliot in quella eccentrica
villetta di mattoni sulla Tredicesima Ovest per capire che era stata
completamente diversa dalla sua. Eliot non era stato allevato da genitori
normali, dopotutto, ma da due uomini, da Derek Moulthorp, il famoso
scrittore, e dal suo amante, Geoffrey Bacon. Quando Philip se lo
immaginava da bambino, lo vedeva sdraiato su un letto di broccato, mentre
Coleen Dewhurst gli leggeva dei racconti, ma ora la fantasia mut, ed era
un giovane con lunghi capelli castani, con indosso una camicia da smoking
sbottonata, che sedeva chino su Eliot nel suo letto, passandogli
languidamente la mano tra i capelli.
"Non riesco neanche a immaginarlo" disse Philip, "Avere quel tipo di
conoscenza di s, tutti quei... quei mezzi, a quindici anni stavo giusto
scoprendo la pornografia. Non ho scopato fino al college."
"Ciascuno diverso" disse Eliot, "a seconda dell'ambiente da cui
proviene." Stava fissando il soffitto, sul quale aveva incollato delle
luminose costellazioni prese da un kit. Di notte, talvolta, gli piaceva dar loro
un nome: il cane, l'orsa, il sagittario.
"Ancora una domanda" disse Philip.
"Se non ti spiace."
"Affatto" disse Eliot.
"Quanti anni avevi quando hai avuto il tuo primo vero amante?"
"Diciassette" disse Eliot. "Fu a Jasper Ridge. Il mio compagno di stanza,
Ben Hartley, e io fummo amanti segreti per un anno intero. Era
meraviglioso. Un giocatore di hochey.
Doveva essere alto un metro e novanta.

Passammo insieme un semestre a Firenze, e quando andavamo a vedere il


David, tutti guardavano Ben invece. stato l'amante pi sconvolgente che io
abbia mai avuto. Ma era una di quelle storie segrete, per cui non sembrava
reale."
" stata sempre segreta?"
"Sfortunatamente no" disse Eliot.
"Uno dei sorveglianti ci sorprese un pomeriggio nella doccia. Ora, devi
ricordare che si trattava di Jasper Ridge, la scuola pi hippie che ci fosse,
ma non si pu dire che l'omosessualit ancora ci prosperasse.
Dovemmo parlare ai Jasper stessi, e Mr. Jasper, che era questo vecchio
ex-- Beat con un sacco di soldi, be, continuava a dire: "Wow, fantastico,
veramente. Questa s che mi piace, veramente" Voleva che Ben e io ci
dichiarassimo di fronte all'intera scuola perch pensava che sarebbe stata
una grande crescita per l'autocoscienza degli altri ragazzi."
Eliot rise. "Grazie a Dio riuscimmo a convincerlo che non era il caso. La
maggior parte degli altri ragazzi erano dei picchiatori. Ci avrebbero fatto a
pezzi."
"Che fine ha fatto Ben Hartley?" chiese Philip.
"Se n' andato a Colgate. Ci siamo persi di vista. L'ultima cosa che so di
lui che era in California, e lavorava come falegname o qualcosa del
genere."
Philip rimase in silenzio per un attimo. "La mia prima storia d'amore - se
cos si pu chiamarla - non stata altrettanto divertente" disse.
"Alludi a Dmitri?"
"Ti ho gi parlato di Dmitri?"
"Me ne hai accennato."
"Dmitri era laurendo in fisica" disse Philip. "Era molto bruno, e aveva
questi occhi da scienziato pazzo che ti si piantavano addosso e non ti
mollavano pi. Era difficile resistergli. Il mio primo amante."
Rise. "Sai" disse, "odiava la parola "amanti" Preferiva dire che eravamo
"amici che scopano", e naturalmente solo tra noi, perch insisteva molto che
nessuno dei suoi amici o, Dio non voglia, dei suoi professori scoprisse che
lui era gay. Me lo disse chiaro e tondo fin dal primo giorno che se avessi
accennato al nostro rapporto con qualcuno, persino con Sally, non mi
avrebbe pi parlato. Ma nonostante fosse cos riservato, era molto
promiscuo. Si vantava di esser capace di stabilire quanti peli aveva un uomo
sul culo da quanti ne aveva sui polsi.
Questo genere di cose era molto importante per lui."
"Quanto siete stati insieme?" chiese Eliot.

"Sei mesi, mi pare, settimana pi, settimana meno. L'ultimo semestre del
college. Ma non mi ha mai amato. Aveva un fratello pi vecchio, Alex,
anche lui gay, anche lui fisico, e penso che se mai amasse qualcuno, amava
lui. Non sessualmente, certo, ma con una specie di adorazione." Sorrise.
"Ricordo che alla laurea finalmente conobbi Alex.
Era assolutamente identico a Dmitri, salvo che lavorava all'aperto, per cui
aveva dei muscoli, e il suo ragazzo faceva il modello.
Erano con i loro genitori - il padre era una specie di industriale, e la
madre una donna esilissima e svagata del Texas - e c'era anche la loro
nonna. Lei era un bel tipo. Alta forse un metro e cinquanta, e con la
corporatura di un carro armato. Aveva una piccola macchina fotografica, ed
era cos orgogliosa che insistette per fotografare Dmitri - prima da solo, poi
con Alex, e poi con tutti e due noi. E stando l in piedi, mi sembr cos
strano pensare che questa vecchia li adorava tanto, e non aveva neanche il
pi vago sospetto, la bench minima idea sul loro conto. Naturalmente,
doveva essere un brutto colpo, tutti e due gay, gli unici figli. Penso che
fossero davvero convinti che sarebbero stati diseredati se l'avessero detto ai
loro genitori, e probabilmente avevano ragione. Ma quello che mi
sorprendeva, era che si comportavano come se non gliene potesse fregare di
meno. Dicevano una battuta dopo l'altra sull'argomento. In effetti, pensavo
che mi sarei sentito molto nervoso l tra loro, pensavo che avrei avuto paura
che da un momento all'altro i genitori capissero qualcosa. E invece mi sentii
sicuro, pi sicuro di quanto non mi fossi sentito per tutto l'anno. Penso che
Dmitri e Alex si proteggessero a vicenda, ed era come se la loro protezione
si estendesse anche a me - ha senso?"
"Assolutamente" disse Eliot. Aveva gi gli occhi chiusi.
"Dopo" disse Philip, andarono verso la nonna e la sollevarono.
Letteralmente. Le misero le mani sotto il di dietro, e la fecero sfilare
intorno al campus mentre tutti guardavano, e lei rideva e gridava e li
pregava di metterla gi. Io rimasi indietro accanto ai loro genitori
sorridente, finch i miei genitori non vennero a prendermi."
"E quella fu la fine con Dmitri?"
"Be, pi o meno" disse Philip. "In seguito andai a trovarlo ancora una
volta, d'estate, a casa dei suoi genitori a Southampton. Aveva un intero
schedario peno di pornografia che nessuno aveva mai trovato. E ricordo di
avergli detto che la mia pi grande fantasia di felicit domestica era di
mettere tutta la nostra biancheria nello stesso cassetto e mescolarla in modo
che non si capisse pi qual era la mia e quale la sua."
"E lui cosa disse?"

"Be, quello che c'era da aspettarsi. Disse: " buffo, perch mio fratello
Alex ed io lo facevamo quando avevamo una stanza insieme, ma io sapevo
sempre qual era la mia" A quanto pare Dmitri si eccitava segretamente
indossando la biancheria intima di suo fratello. strano, non aveva alcuna
reticenza ad ammettere cose di questo genere, e pensare che sarebbe stato
disposto a uccidere perch nel suo dipartimento qualcuno non scoprisse
come stavano le cose.
Comunque, dopo questo episodio il fine settimana procedette a fatica.
Passavamo un sacco di tempo seduti sulla veranda, mentre Dmitri e suo
padre parlavano di ingegneria, e la madre di Dmitri mi diceva cose del tipo,
"be, Philip, so quello che provi - quando gli uomini di questa famiglia
incominciano a parlare di scienza, io sono in alto mare. La prossima volta,
andremo in cucina, a parlare di letteratura" Ma non lo facemmo mai. Poi
tornai a casa."
La coperta venne tirata con uno strattone, ed Eliot si gir dalla sua parte,
di fronte alla finestra. Philip guard le stelle sul soffitto che stavano
svanendo velocemente. Adesso lividi fasci di luce stavano incominciando a
penetrare dalla finestra, rendendo le stelline fisse e sbiadite. Irritava Philip il
fatto che dopo una notte di felice insonnia, lo sfinimento ancora lo
aggredisse come un pugno allo stomaco allo scattare della sveglia: si faceva
la barba, si vestiva, usciva diretto al lavoro, mentre Eliot cambiava
posizione nel letto, si rigirava, emetteva un piccolo sospiro di soddisfazione.
Non lo salutava mai. Una volta addormentato, Eliot era morto al mondo.
Non c'era modo di svegliarlo.
"Eliot?" disse Philip.
"S?"
"Sto pensando di dirlo ai miei genitori. Di noi due. Il che, evidentemente,
implica che gli racconti di me."
Eliot non disse niente.
"Sto pensando di dirglielo questa domenica" disse Philip. "Pensi che sia
una buona idea?"
"Non conosco i tuoi genitori" disse Eliot.
"Ma io s. E posso dirlo fin da adesso, non credo che per loro sar un
grosso trauma. Penseranno, "Ma certo".
E finalmente capiranno come mai non ho avuto una ragazza e tutto il
resto.
Insomma, i miei genitori sono gente aperta. Non resteranno annientati
dalla notizia."
"Probabilmente no" disse Eliot.

Philip annu tra s. "No" disse, "il problema non sar tanto il fatto che io
sia gay, ma tutto il resto. Perch non basta, capisci, dirglielo una volta per
tutte e poi non parlarne mai pi. Sento che dovrei fargli sapere che cosa ha
significato per me - cosa significa, crescere, tenendosi questo segreto. Sento
che dovrei fargli capire che cosa significa, fare la vita che faccio io, avere
te. In fondo meritano di saperlo."
" quello che pensava anche Jerene" disse Eliot, "e guarda cosa le
successo."
I miei genitori non sono come i genitori di Jerene" disse Philip; nella sua
voce c'era una punta di rabbia.
"Oh, probabilmente non di rinnegheranno. Ma non credere che saranno
rose e fiori, Philip. Per te difficile capire quanto risulter loro nuova
questa cosa, perch tu ci convivi da tutta la vita. Ma loro no.
Loro probabilmente non ci hanno neanche pensato."
"Oh, sono sicuro che ci hanno pensato. Non sono stupidi."
"Anche in questo caso, resta il fatto che quand'anche tu riuscissi a
spiegare benissimo a tuo madre come mai ti piace prenderlo nel culo da un
altro uomo, non detto che lei ne sia molto felice."
Philip fece tanto d'occhi a Eliot.
"Senti" disse Eliot, "rilassati. Non sto dicendo che non dovresti
informarli. Sto solo dicendo che dovresti pensarci molto attentamente prima
di fare qualcosa di affrettato, e dovresti essere certo che lo fai per loro e non
per te. Questa una faccenda seria. Stai attento. So che quello di Jerene un
caso limite, ma pensaci. La tragedia nel suo caso che lei vuole ancora bene
ai suoi genitori. E loro ne vogliono a lei. E se non gliel'avesse detto... Be,
questo bene lo avrebbe ancora."
Sbadigli e chiuse gli occhi.
Philip, ancora completamente sveglio, fiss il soffitto. Che ragione aveva
per dirlo ai suoi genitori, si chiese, quando per anni aveva evitato con tanto
successo questo confronto? Era per loro che voleva fare questa rivelazione,
perch si meritavano di sapere la verit? O era per se stesso, come aveva
insinuato Eliot, per liberarsi alla fine del peso di quel segreto? Anche in
questo caso non gli sembrava ci fosse niente di sbagliato.
Comunque, adesso aveva Eliot. Poteva mostrare Eliot ai suoi genitori,
Eliot, il figlioccio di Derek Moulthorp, e allora come avrebbero potuto
dirgli che stava buttando via la sua vita? Come potevano obiettare che stava
facendo un errore, condannandosi a una vita di eterna solitudine?
Voleva piantare Eliot di fronte alle loro facce disfatte come un tempo gli
piantava davanti i suoi disegni fatti a ditate e i pasticcini a forma di babbo
Natale - solo che adesso non avrebbero potuto allontanarsi da lui, non

avrebbero potuto dire distrattamente, "Che carino": Avrebbero dovuto


prestargli attenzione.
"Eliot?" disse. "Se glielo dico, tu verrai con me a conoscerli? Verrai a
cena una volta o l'altra?"
"Certo" disse Eliot. Si stava addormentando. "Certo." Si rigir un paio di
volte prima di trovare una sistemazione. Mezz'ora dopo il suo respiro
arrivava a onde ritmiche e regolari. Pochi minuti ancora e la sveglia avrebbe
suonato. Philip rimase sdraiato a letto, con le spalle rigide, aspettando
l'allarme.
Quando Philip ricordava la sua adolescenza, ne ricordava le parti
nascoste. Nascondere era stata una parte cos importante, cos essenziale
della sua vita, che persino ora - che era cresciuto, pi o meno, e viveva da
solo - teneva ancora nascosti tutti i libri con la parola "omosessuale",
persino nel proprio appartamento. Di questi tempi, quando pensava a se
stesso a dodici o tredici anni, non pensava alla scuola, al suo amico Gerard,
alle ingiustizie dei giochi da tavolino e dei giochi all'aperto o alle stellette
d'oro nel quaderno dei compiti a casa. Non si vedeva seduto in una classe, o
a cena coi suoi genitori, o di fronte alla televisione. Si vedeva invece
sempre e soltanto sdraiato sul pavimento del bagno a masturbarsi, col
vapore che saliva dalla doccia, la carta da parati che s'arricciava ai bordi.
Non riusciva a ricordare nient'altro, nient'altro che questa attivit proibita,
come se la sua memoria ora fosse capace di creare solo un'immagine
negativa, mettendo a nudo solo quelle cose che allora erano nell'ombra. Il
risveglio sessuale di Philip non era stato insolito: una casuale collisione del
pene e della coscia, il terrore intenso, inatteso dell'orgasmo, lo sgomento del
liquido bianco che schizzava sulle lenzuola.
Ma quello che era diverso per Philip era che non finiva mai, questo
periodo in cui il sesso era soltanto una masturbazione, non passava mai in
uno stadio successivo. Per il suo amico Gerard, c'erano state le chiacchiere
sulle ragazze, poi le ragazze, il sesso, i discorsi d'amore. Per Philip c'erano
solo queste carezze solitarie, per definizione senza nome.
Naturalmente si rendeva conto, dalle riviste che sbirciava all'edicola
dell'angolo e che in seguito comprava a profusione, che c'erano molti altri
uomini al mondo con visioni simili nella testa. Ma a lui non veniva in mente
di cercarli, di accoppiarsi con un di loro, di far l'amore con uno di loro,
perch per lui il sesso non aveva mai avuto niente a che vedere con nessuno
se non con se stesso, e sicuramente non aveva niente a che vedere con la sua
vita, nella quale adesso incespicava, non pi il bambino pensoso di sei o
sette anni che passava interi pomeriggi costruendo pazientemente castelli di
sabbia o disegnando elaborate mappe sotterranee frutto dell'immaginazione.

A scuola rideva troppo forte e parlava troppo; i suoi capelli, nel vento, gli si
rizzavano sulla testa; e aveva la brutta abitudine di grattarsi in mezzo alle
gambe in pubblico, cose che i suoi genitori erano troppo imbarazzati per
ammettere, e ancor di pi per rimproverarlo. Gli altri ragazzi lo chiamavano
abitualmente "frocetto" o "checca", bench Philip non corrispondesse
affatto allo stereotipo del ragazzo "diverso", sensibile e silenzioso che
capace di cucire, diventa amico dell'insegnante ed soggetto a raffreddori.
Al contrario, Philip era l'esempio tipico di quello che succede quando quel
silenzioso ragazzo di tipo insolito cerca di riaprirsi faticosamente la strada
nella societ esclusiva e crudele dei bambini, divenendo, come successe a
Philip, un chiacchierone, un pagliaccio, sciocco nel suo zelo di piacere,
risibile per il suo bisogno di essere voluto. A tredici anni, quando Philip fu
invitato a una festa, mentre era con il suo migliore amico, il popolarissimo
Gerard, di fronte a una profusione di salatini e patatine fritte, fece una
scoreggia cos fragorosa che tutti i bambini incominciarono a ridacchiare,
spalancarono le finestre, annaspando drammaticamente alla ricerca d'aria. E
Philip, sgomento, al centro di una folla di bambini che si allontanavano di
corsa da lui in tutte le direzioni, rise a sua volta, immaginando che questo
sarebbe stato il suo destino nella vita, scoreggiare alle feste e guadagnarsi
questo tipo particolare di furiosa attenzione che forse sembrava la cosa pi
vicina all'amore che gli potesse capitare. Quando i ragazzi lo chiamavano
frocetto, stranamente n lui n loro collegarono mai la parola con alcuna
realt, o con la sua vita masturbatoria a quell'epoca altamente evoluta. Le
ragazze lo fissavano, alcune con le labbra rivolte all'ins in segno di
derisione, o con la lingua in fuori, quelle intelligenti e tranquille con piet,
tutte raccolte in gruppi, ai tavoli della biblioteca.
Lui se la beveva questa disapprovazione - dopotutto era una forma di
attenzione. Un pomeriggio, Gerard, il suo grasso e fedele amico fin dai
tempi dell'asilo, il suo adorato Gerard, col quale aveva rubato caramelle e
visto il dinosauro al Museo di Storia Naturale - un pomeriggio, Gerard di
punto in bianco aveva una ragazza. Aveva preso in giro Laura Dobler per
settimane, e si era schermito quando le altre ragazze gli avevano fatto
sapere che lui le piaceva. Poi, lasciando Philip sgomento e tradito (perch
aveva giurato che non l'avrebbe mai fatto), Gerard le chiese di stare con lui,
e incominciarono a fare coppia fissa.
Durante la ricreazione sedevano mano nella mano su una panchina nel
campo dei giochi, e le ragazze andavano da loro, per flirtare e sorridere, o
per chiedere solenni consigli. Il pomeriggio, durante la lezione di
matematica, Gerard scriveva bigliettini d'amore a Laura che concludeva con
"amore eterno", imitando il fratello sedicenne, Stuart. Philip, in preda al

panico e alla confusione, chiese a Tracy Micelli di uscire con lui. Aveva una
paura disperata di perdere Gerard, che era stato il suo amico fedele sin
dall'infanzia, per cui immaginava che lui e Tracy Micelli avrebbero potuto
uscire in coppia insieme a Laura e Gerard, dando cos all'amicizia un
motivo per continuare. Chiese a Tracy Micelli di fare coppia fissa con lui in
una lunga lettera, scritta col pennarello rosso e completa di illustrazioni, che
infil nella fessura del suo armadietto. Qualche ora dopo la vide. Era con
Laura e qualche altra ragazza, e non appena lo scorsero, si rifugiarono nella
toilette per le ragazze.
Dopo questo, nel giro di quattro giorni, Philip chiese ad altre diciassette
ragazze di far coppia fissa con lui, e tutte loro rifiutarono. Ne risult un
piccolo scandalo; lo seppe persino l'insegnante. Alla fine Donna Gruber, che
a tredici anni era gi alta un metro e settantacinque e non aveva seno, il che
le dava una cert'aria pratica ed efficiente, decise che bisognava fare
qualcosa. "Stai facendo la figura dello scemo" disse austeramente a Philip in
biblioteca, mentre le sue due migliori amiche facevano cenni di
approvazione al suo fianco per sostenerla. "Sei un ragazzo simpatico, me sei
stupido a chiedere a tutte quelle ragazze di stare con te.
E gi che ci siamo, bisogna che tu la pianti di grattarti. Non per niente
attraente."
Philip spalanc la bocca sgomento.
Non aveva mai pensato che qualcuno se ne potesse accorgere.
" per via della mia biancheria intima" disse timidamente. "Ho le
mutande troppo strette."
Le ragazze al fianco di Donna Gruber arrossirono.
"Pensi che sia per questo che non vogliono stare con me?" chiese Philip.
"Oh Philip!" disse Donna. "Lo hai chiesto a diciassette ragazze.
Diciassette."
"E tu cosa ne diresti di stare con me?"
"Philip!" gridarono tutte insieme.
"Accidenti, come sei stupido" disse Donna. "Non lo capisci proprio, vero?
Be, io ho fatto quel che potevo. Il resto bisogna che lo capisci da solo."
E lo lasciarono l. Fu dopo quest'episodio che si lanci contro il muro.
Non lo vide nessuno. And a Central Park a farlo, in un angolo oscuro e
boscoso dove avrebbe potuto essere derubato o picchiato. Si lanci
ripetutamente contro il muro, senza sapere bene se desiderasse di pi
spaccare la parete o spaccarsi la testa - o se voleva semplicemente sbucare
dall'altra parte, dove avrebbe potuto bere il t con i porcospini ed essere il
loro re.
"Ehi, ragazzino!" disse una voce.

"Ragazzino! Cosa stai facendo?"


Una mano lo afferr per il colletto e lo allontan dal muro. Gli occhi di
Philip erano arrossati dalle lacrime, i pugni rossi, con piccoli ciuffi d'erba
tra un dito e l'altro.
"Niente!" disse Philip, e si chiese se l'uomo lo avrebbe ucciso. Era un
uomo alto, sulla trentina, con i baffi neri e i capelli molto corti. Bench
fosse quasi completamente vestito di pelle, non aveva un aspetto pericoloso.
"Cosa diavolo stati facendo qui?" chiese l'uomo. "Lo sai dove sei?"
"Dove sono?" ripet Philip. "Nel parco. A Central Park."
"Dammi retta, ragazzino, vai da qualche altra parte - vai a giocare coi tuoi
amici sui prati, vai allo zoo. Non rimanere qui."
Lasci andare Philip. Philip si ripul l'erba dai pantaloni e dalla giacca, e
incominci ad allontanarsi.
Poco pi in l, due o tre uomini erano in piedi tra gli alberi, con gli occhi
fissi nel vuoto, e si accarezzavano erezioni che gonfiavano i loro pantaloni.
Philip li osserv. Non lo spaventarono; anzi, era quasi attratto da loro, dal
loro cerchio solitario, da come non si guardavano tra loro ma guardavano
altrove. Guard il triste rituale della sua genia e non rimase sorpreso. Poi
uno degli uomini lo vide. "Ciao" gli disse. Sorrise, si apr la patta. "Ti piace
quel che vedi?" Philip scapp via.
Talvolta Philip pensava a cosa sarebbe successo se sua madre lo avesse
sorpreso circondato dalle sue lucide riviste, mucchi interi sparpagliati
dappertutto sul pavimento, variopinte come i giocattoli e i tasselli delle
costruzioni con le quali, da bambino, si era spesso costruito castelli in
miniatura per abitarci lui stesso.
Immagin l'espressione della sua faccia - gli occhi spalancati, la bocca
aperta per la confusione. Oltre questo, non riusciva a immaginare niente. La
sua vita, supponeva, sarebbe finita in un lampo, com'era incominciata. Con
un po di fortuna, sarebbe rinato senza questo bisogno.
Fu solo molti anni dopo che Philip riusc a guardare in faccia questa
possibilit, a immaginare la scena che non si verific mai, la scena in cui
sua madre entrava nella sua stanza e lo sorprendeva chino sulla sua lettura
pornografica. Immagin l'effetto che gli avrebbe fatto essere costretto a
parlarne, ammettere le gonfie erezioni e i "giocattoli" degli annunci
pubblicitari e i sergenti dei fotoromanzi, che "serravano le labbra" su reclute
accondiscendenti. Sua madre forse avrebbe reagito relativamente bene,
decise. Avrebbe lasciato la stanza, dandogli il tempo di ripulirla. Pi tardi,
con calma, sarebbe tornata sull'argomento, avrebbe detto qualcosa di saggio
per non parlarne mai pi, immaginando, supponeva Philip, che questa fosse
una fase infantile, che col tempo avrebbe superato. E lui - cosa avrebbe

detto lui? La sua vita sessuale, si era nutrita in segreto; non ne aveva mai
parlato con nessuno, neppure con se stesso. Poteva essere reale qualcosa di
cos privato, si chiedeva? Non gli sarebbe capitato un giorno o l'altro di
conoscere una ragazza, e innamorarsene? Non si sarebbe verificato un
cambiamento degli ormoni sui quali stava imparando qualcosa proprio in
quei giorni durante la lezione di scienza, che gli rendesse possibile fare
l'amore con una donna come tutti gli altri uomini, sposarla come tutti gli
altri uomini? Allora se ne sarebbe liberato, di quell'altra vita, della vita
segreta; gli sarebbe scivolata via di dosso, sconosciuta a tutti salvo che a lui,
come un guscio, e lui ci avrebbe ripensato come a un sogno lontano. Solo se
sua madre l'avesse scoperto, se l'avesse sorpreso - solo allora non avrebbe
pi potuto tornare indietro.
Fu solo al college che finalmente Philip fece all'amore con un altro essere
umano, e si tratt di un uomo.
Di questo Philip non fu molto contento, ma non pot farne a meno: la
solitudine, l'arrapamento, il bisogno di toccare carne vera - tutte queste cose
cospirarono contro di lui. Con un ossuto studente di nome Dean si rotol su
un antico sof in un corridoio, e le mani di Philip tastarono affannosamente
la carne, toccarono punti che non avevano mai toccato prima, studiarono la
durezza di alcune cose, la morbidezza di altre.
Che delusione prov quando, nel bel mezzo di questo scambio sessuale,
Dean si prese in mano il pene e incominci, senza alcuna reticenza, a
spararsi una sega. E mentre lo faceva, guardava in faccia Philip, uno
sguardo pieno di libidinoso incoraggiamento, che incitava Philip a unirsi a
lui, a mettersi in posa, a divenire, per un momento, la fotografia di una
rivista.
E Philip - deluso, ma ancor di pi abbagliato nel constatare quant'era pi
facile in questo modo, e pi eccitante - si un all'altro, guardandolo,
guardandolo, guardandolo.
Quando Philip venne, fu con una tale potenza che lo sperma vol
attraversando la stanza e colp il radiatore, dove sfrigol e si disintegr
nell'impatto. Dean fece un sorriso d'approvazione. "Certo era una bella
distanza" disse. "Dev'esserne passato di tempo dall'ultima volta che hai
scopato."
"Tutta la vita" disse Philip.
"Tutta la vita!" disse Dean con entusiasmo. "Veramente? Vuoi dirmi che
io sono il primo per te?"
"Immagino di s" disse lui. "S."
Dean lo circond con un braccio, avvolse il suo lungo corpo intorno a
quello di Philip e lo baci sulla guancia. " fantastico" disse. "Non sono

mai stato con nessuno che lo faceva per la prima volta. Sai, vorrei proprio
che me l'avessi detto prima, perch mi avrebbe eccitato moltissimo.
E forse anch'io avrei potuto fare un lancio lungo come il tuo."
"Mi spiace" disse Philip.
E adesso Philip ha diciassette anni, e cammina in tondo. Ormai ci
abituato. Quando va alle feste che danno i suoi compagni di scuola, tende a
stimare per eccesso il tempo che gli ci vorr per andare all'appartamento o
alla casa dovr luogo la festa, e talvolta arriva con un'intera ora di anticipo.
Cos cammino in tondo - cerchi sempre pi ampi, prima nel raggio di cinque
isolati, poi nel raggio di dieci isolati. Cammina finch la festa dovrebbe
essere incominciata da dieci minuti, e anche cos sempre il primo ad
arrivare.
Questa sera non ci sono feste. Il posto dove va non ha un inizio o una
fine. Corre su uno svincolo interminabile. In realt una settimana prima ha
telefonato al cinema per sapere quando incominciava il film e la donna
all'altro capo del filo ha riso di lui. Il cerchio che sta percorrendo include
l'isolato cruciale di St. Mark's Place, con i suoi saloni da parrucchiere e i
negozi di vestiti; il ghetto indiamo sulla Sesta Strada, e poi la Terza, la
Seconda, e la Prima Avenue. Ormai conosce questo territorio palmo a
palmo. un'ora che cammina. Arriva davanti al cinema.
La parete di mattoni dipinta di rosso. Dietro a una porta a battente di
vetro e a un tramezzo di vetro, una donna coi capelli ossigenati siede a
limarsi le unghie. il fulcro del suo girare in tondo. La prima volta che era
passato l davanti stava quasi per entrare, ma poi gli pass accanto una
vecchia col passo strascicato, e non ci riusc.
Il titolo del film era Strap.
Basta. Adesso va dritto verso il cinema. Nessuno sta passandogli di
fronte: non lo aspetta nessuna dilazione. Ha i soldi contati nella tasca
anteriore, niente portafoglio nella tasca posteriore. Non c' niente per gli
scippatori, nessuna identit.
Non nessuno. Per la donna dietro al pannello di vetro, lui non esiste
nemmeno. La donna ha un grosso neo che sembra finto sulla guancia e a lui
risulta indubbiamente abbastanza reale mentre prende i soldi dalla sua mano
tremante attraverso la fessura del vetro. Poi allunga una mano sotto di s un gesto che sembra di per s osceno, profetico - e tira qualcosa.
Il torchietto si sgancia, e lui ci passa attraverso, un clic, poi scivola oltre
una tenda, nell'oscurit.

Davanti a lui c' uno schermo, e sullo schermo un pene lungo quasi due
metri d stoccate a una schiena, ripetutamente, e sembra manchi di
proposito l'apertura. Schiaffeggia la schiena. Rimbalza. C' musica jazz.
Philip non riesce a vedere nient'altro che l'enorme schermo - niente
poltrone, niente facce - e a tastoni indietreggia alla ricerca di una parete,
qualcosa a cui appoggiarsi finch gli occhi non si adattano all'oscurit. La
parete di velluto logoro. Sente i rilievi morbidi, a forma di rombo, e anche
le chiazze lise da anni di frizione. cieco e indifeso. La parete
appiccicosa. Le scarpe gli si appiccicano al pavimento. Ha la sensazione di
essere incappato in una ragnatela.
Lentamente incomincia a vedere. C' gente seduta nelle file di poltrone per lo pi da sola, alcuni in coppia o terzetti. Un certo numero di giovani
appoggiato contro la parete laterale, a sua volta in mostra, come per far
concorrenza al film. La maggior parte della gente nel cinema cammina su
gi per i corridoi, infilandosi di quando in quando nei gabinetti degli uomini
su cui scritto "Ridotto"
A tastoni Philip cerca un sedile alla fine del corridoio. Pensa che questo
gli render pi facile la fuga qualora sia necessaria. Sullo schermo davanti a
lui, tre di quelli ci stanno dando dentro, con una violenza scatenata. C'
anche il sonoro, ed la parte migliore. Dicono con voce rotta che cosa
desiderano e com' bello; urlano parole e frasi che Philip sussurra perfino
con l'immaginazione. Davanti a lui una coppia si brancica, si unisce, si
separa di nuovo. Qual il film e quale la cosa reale? Uno scivola sotto
l'altro. Un terzo viene a guardare, per unirsi a loro, se possibile. Loro lo
cacciano via. Philip alza la testa, deciso a guardare solo lo schermo.
Il film ha una trama. Stando alla trama, un giovane che sta per sposarsi
sguscia in camera di suo fratello, scopre delle riviste pornografiche gay e
incomincia a masturbarsi. Il fratello lo scopre. "Ehi, io sono un regolare"
dice lo sposo. "Allora se non vuoi che la tua sposa lo scopra, sar meglio
che tu faccia quel che ti dico e mi succhi il cazzo" dice il fratello. Lo sposo
esita, ma alla fine esegue.
Philip affascinato dal film. Non si accorge neanche, dopo qualche
minuto, che un uomo sulla cinquantina - uno dei passeggiatori - si seduto
davanti a Philip, alla sua destra. La schiena di Philip si tende
immediatamente. Fino a questo momento, era certo che quelli che
camminavano su e gi per i corridoi fossero dipendenti del cinema, presenti
in sala per assicurarsi che nessuno facesse cose che non doveva fare. Era
grato di questa immaginaria protezione, perch in realt voleva soltanto
guardare il film. Ma ora l'uomo che aveva incarnato la sicurezza - che
avrebbe potuto sollevare da terra altri uomini prendendoli per la collottola e

sbattendoli fuori dalla porta, seduto davanti a lui, e la sua mano sta
cullando la poltrona vuota di fronte a quella di Philip, come se l ci fosse
una persona, un appuntamento galante, una ragazza, e lui un nervoso
adolescente che azzarda la sua prima mossa. L'uomo si gira una volta,
guarda Philip, poi si rigira. Lo guarda dritto negli occhi e non sorride. Ha
una faccia quadrata, con spunzoni di barba grigia; porta una specie di
berretto. Siede di fronte a Philip e il suo braccio strizza la spalliera della
poltrona, il flirt immaginario. Philip quasi si mette e ridere, poi il braccio
scavalca lo schienale della poltrone e gli sfiora la gamba.
Philip annaspa, e chiude gli occhi - non perch sia sorpreso, ma perch
sembra cos inevitabile, questo primo tocco. La mano accarezza la coscia di
Philip, avanti e indietro, delicatamente, e la testa imberrettata non si gira. La
mano procede a cerchi, sempre pi larghi, sulla pancia, atterrando
sull'inguine, ma senza fermarsi l. Invece - con sorpresa di Philip - la mano
cerca la sua, e si chiude intorno al suo pollice, Philip riesce a vedere
l'avambraccio - senza orologio, tozzo. Sente i peli sfiorargli la mano.
L'uomo allontana la mano dalla pancia di Philip, si alza e va nel corridoio,
dove resta in piedi proprio accanto a Philip. Fa segno a Philip di spostarsi di
un sedile in modo da sederglisi vicino, e Philip lo fa. Non aveva progettato
di farlo; si era detto, dir di non con un cenno del capo, ma adesso la sta
facendo, si sta spostando di un sedile. Sullo schermo, sono tornati i genitali
giganteschi, che fanno i fatti loro, e la mano dello strano uomo abbassa la
cerniera di Philip e si annida dentro di lui.
Come sembra strana l - a frugare nei suoi pantaloni come un animale che
si fa la tana in un albero. Quando la mano riesce finalmente a trovare quello
che sta cercando, Philip ha la testa completamente vuota, il corpo coperto di
sudore, e il pene molle.
L'uomo d qualche strattone, e si gira a guardare Philip. "Cos' che non
va?" gli chiede. "Cosa vuoi che faccia?" Philip chiude gli occhi, e scuote la
testa. Ha le lacrime agli occhi. La sensazione di non poter respirare.
L'uomo toglie la mano e chiude la cerniera della patta di Philip, come
glielo chiudeva suo padre dopo averlo aiutato a fare la pip quando aveva
cinque anni. Erano in Europa allora, vicino a una montagna. Tutto intorno
c'era aria e neve e verdi, verdi colline.
L'uomo gli d una pacca sullo stomaco. Tenendo gli occhi chiusi, Philip
ha ancora cinque anni, ed sulla cima della montagna vicino a Losanna, e
suo padre gli sta indicando il lontano villaggio dove soggiornano.
Riapre gli occhi. Adesso facce. Un uomo con la barba seduto su un
trampolino e si accarezza l'inguine sopra gli slip azzurri. Poco pi in l, un

ragazzo biondo lo guarda e fa la stessa cosa. Si fissano l'un l'altro, senza mai
distogliere gli occhi.
"Vieni da pap, ragazzo" dice l'uomo con la barba.

I miti dell'origine.
Poich era un uomo timido, poco incline a farsi pubblicit da s, pochi
sapevano che Owen aveva un dottorato di ricerca. La sua tesi analizzava le
concezioni storiche abbracciate da numerosi poeti inglesi e del
Rinascimento italiano che la maggior parte della gente non aveva mai
sentito nominare, e gli fece ottenere una borsa di studio dopo il dottorato e
un posto di assistente in un piccolo college femminile subito fuori Boston.
La cosa non piacque affatto al padre di Owen, che aveva un'idea diversa del
successo. "Come diavolo ti viene in mente di buttar via due anni e trecento
pagine per dei poeti che nessuno si sogner mai di leggere?" gridava a
Owen, sfogliando le pagine del "Wall Street Journal" con una violenza che
non aveva niente a che fare con la lettura. "Guarda qui" diceva, e indicava la
notizia di qualche catastrofe. "Con il mondo in queste condizioni, tu te ne
vuoi andare a scrivere di poesia." Era il tipo d'uomo che era convinto che
offrire aiuto ai contadini che morivano di fame equivalesse a negare loro la
possibilit di farcela da soli. "Ogni uomo ha il diritto fondamentale
concessogli da Dio di far s che la sua famiglia sia orgogliosa di lui" gli
piaceva dire, mentre Owen gli sedeva di fronte e si tirava le dita fino a farle
schioccare, con un sorriso muto sulla faccia. Aveva passato la maggior parte
della sua vita a non dar retta a suo padre, e non aveva nessuna intenzione di
cominciare adesso. Correva il 1963. La ribellione era nell'aria, sotto molte
forme: in Owen assunse la forma di una lettura psicoanalitico-marxista di
Spenser che significava ben poco per le sue studentesse del College
Femminile Belmont e ancor meno per Rose, il cui obiettivo principale a
questo punto era riuscire a far parlare Philip. Questi aveva quasi un anno e
mezzo, e non aveva ancora pronunciato neanche una parola, con segreta
soddisfazione delle altre giovani neo-madri del ghetto della facolt di
Clearmont, che sembravano iscritte a una gara per chi riusciva a far parlare
prima il proprio bambino.
Fortunatamente, Philip non la fece aspettare troppo. Un bel giorno
sorprese tutti aprendo bocca, indicando il suo orsacchiotto e dicendo,
"Dammi animale" - molto meglio, pens Rose, del "dada" che la Naomi di
Sandy Eisemberg aveva balbettato a otto mesi.
Qualche anno dopo, a Owen fu offerto un incarico a tempo determinato in
un piccolo college di Long Island. Si trasferirono a New York - in citt perch Rose incominciava a essere stufa di starsene in casa con Philip (che,
a dispetto della sua prova precoce di articolazione, si stava rivelando un
bambino piuttosto taciturno), e sua cugina Gabrielle le aveva promesso di
procurarle un lavoro nell'editoria. Tutte le mattine alle sette in punto, Owen

lasciava l'appartamento della Seconda Avenue e prendeva il treno per Long


Island, unico maschio bianco in una carrozza piena di cameriere portoricane
e nere.
Fin dall'inizio, il capo del Dipartimento di Inglese, un vecchio di nome
Maxon che aveva etto la tesi di Owen (ed era il principale responsabile della
sua assunzione), gli disse chiaro e tondo che considerava le idee di Owen
immature e pretenziose, il prodotto di una mente giovane intenta a cercare
cavilli e troppo influenzata da quelle che amava definire le ideologie "alla
moda" di certi giovinastri di Yale. Lasci intendere a Owen che avrebbe
fatto meglio a cambiare i suoi metodi se voleva l'incarico fisso; la sua
mente, disse, era troppo valida per permettere che venisse "rovinata" A quei
tempi, Owen era il tipo d'uomo che, in luogo di difendere se stesso e le
proprie idee contro quest'attacco, e cercare (come sugger Rose) di
ingraziarsi la "vecchia scoreggia", avrebbe coltivato i propri interessi
privatamente nella classe. Invece, a sei mesi dall'inizio dell'anno scolastico,
dopo una colazione particolarmente sgradevole in cui Maxon lo aveva
attaccato un po pi duramente del solito, Owen, in tutta tranquillit e di
punto in bianco, lasci il posto. Con questa azione, fece infuriare Maxon
infinitamente di pi che se si fosse messo a strillare e a far scenate - Maxon
preferiva un atteggiamento da "giovanotto arrabbiato" nei suoi cadetti,
avendolo avuto lui stesso un tempo - perch privava il suo dipartimento gi
a corto di personale di un insegnante di composizione che era fondamentale.
Maxon, senza ombra di incertezza, disse a Owen che se avesse lasciato il
college adesso, lui avrebbe fatto in modo da impedirgli di insegnare ancora
finch fosse vissuto.
Owen era abbastanza convinto del potere di Maxon per credergli. Sbatt
la porta rumorosamente. E fin cos la sua carriera nel mondo accademico.
Qualche settimana dopo, scopr che aveva vinto la borsa di studio per la
quale aveva dimenticato di aver proposto la sua candidatura che gli avrebbe
permesso di passare un anno a Roma. La borsa di studio doveva dargli
l'opportunit di incominciare una ricerca su un nuovo argomento - risveglio
di interesse per la civilt etrusca nel Rinascimento - un interesse che aveva
sviluppato principalmente per vincere la borsa di studio. Come fuggiaschi,
quindi - e si sentivano dei fuggiaschi - lui e Rose subaffittarono il loro
appartamento, presero i soldi e scapparono. Philip aveva cinque anni. Aveva
ricordato quel viaggio in Europa per il resto della vita come l'anno dei cibi
strani, dei cuscini dalla forma strana, delle cuccette a tre piani sui treni, e di
incomprensibili gabinetti alla turca. Philip era estremamente importante per
Owen e Rose - pi importante di quanto entrambi probabilmente avrebbero
mai potuto immaginare. In quei primi anni di matrimonio, che seguirono la

fatidica uscita a quattro grazie alla quale si erano conosciuti, ciascuno


incastrato con il compagno sbagliato, erano stati come due amici casuali che
si imbarcano insieme per un viaggio lungo e difficile e sono sconcertati nel
ritrovarsi coinvolti in un'intimit improvvisa e intensa che n si aspettavano
n desideravano particolarmente. Desideravano il loro bambino come quel
tipo di amici potrebbe desiderare di incontrare un terzo compagno gioviale,
amichevole e rassicurante, che possa aggiungere un'altra voce alla
conversazione interminabile, e ricordare loro che al mondo c' altra gente,
altre vite fuori dallo sforzo interminabile di viaggiare insieme. Rose era
indubbiamente innamorata di Owen, o almeno ne era sicura. Lo sognava e
lo desiderava e ammirava i suoi capelli scompigliati e la sua distrazione da
professore e la sua incredibile abilit a far valere con decisione le sue
ragioni senza alzare la voce. Ma talvolta ascoltava il suo vecchio disco
favorito di Billie Holiday; ascoltava quella donna cantare: Per te io mentirei,
per te io piangerei, per te darei il mio corpo e morirei, se questo non
amore, lo dovr diventare, fin quando sar l'amore vero ad arrivare...
Allora le si stringeva il cuore di fronte a una sicurezza cos assoluta, e si
chiedeva se avrebbe mai potuto provare un sentimento del genere per Owen,
e anche se avesse potuto, se l'avrebbe voluto. In quelle canzoni, se c'era una
cosa sicura era l'amore della donna per l'uomo. L'uomo indubbiamente non
era sicuro; il mondo non era sicuro. Per Rose la situazione era quasi
esattamente l'opposto. Lei poteva contare su qualsiasi cosa salvo i propri
sentimenti. Quanto a Owen, talvolta le veniva quasi voglia che lui
diventasse quel pericoloso doppiogiochista delle canzoni di Billie Holiday,
che si aggirava svogliato senza mai curarsi troppo che questa donna tenesse
il mondo in orbita con la sua voce, e tutto per amor suo. Owen era posato,
gentile, attento. A letto le chiedeva sempre se le faceva male. E questo lei lo
apprezzava. Ma sin dall'inizio era stato distante. A cena, ai tavoli dei
ristoranti, dopo che avevano finito di mangiare, lui toglieva la sua seggiola
da sotto il tavolo e si sedeva con le lunghe gambe distese nello spazio aperto
davanti a s, con la testa lievemente piegata da una parte, gli occhi che
cambiavano rotta seguendo le sue gambe, mentre si tormentava
delicatamente le gengive con uno stuzzicadenti. Non c'era mai abbastanza
da dire. Il bambino arriv come una benedizione, fu il benvenuto.
Era giubilante e sincero; rideva o piangeva. Ora non c'erano pi lunghe
pause imbarazzate nella loro conversazione. Philip riempiva ogni minuto
con i suoi polmoni instancabili, il suo desiderio di cibo, i suoi goffi sforzi
per guadagnarsi l'affetto e i suoi giochi.
All'improvviso si ritrovarono pi felici di quanto fossero mai stati
insieme, e Rose immagin (con un certo sollievo e una certa miopia) che

forse era bastato questo bambino per farli finalmente innamorare. Erano
persi nell'amore per Philip. Passavano ore vicino alla sua culla. Di notte
esaminavano pazientemente cataloghi di giocattoli, cercando di scegliere i
pi indicati per lui. E queste cose le facevano sempre insieme; non era
un'illusione che durante quei primi anni dopo la nascita del bambino
sembrassero ai loro amici pi felici, pi soddisfatti e occupati di quanto non
fossero mai stati prima. E bench non fosse che un bambino, l'innocente
risultato di una collisione casuale durante un rapporto sessuale, lo
consideravano una specie di divinit minore, un angelo inviato dal cielo per
salvarli, per portare luce e colore nella loro vita.
A Roma, fecero amicizia con un gruppo di americani espatriati, per lo pi
legati al mondo accademico. I loro migliori amici erano una coppia di nome
Rhea e Karl Mutter, entrambi archeologi. Karl era un uomo di quarant'anni,
panciuto e con un inizio di calvizie che aveva una borsa di studio
all'Accademia Americana. Aveva un grande senso dell'umorismo che faceva
s che la gente lo ascoltasse volentieri, e una faccia e un corpo pesanti che
Rose trovava repellenti e allo stesso tempo straordinariamente attraenti; era
come un bign, che pregava di essere strizzato. Rhea, per contro, aveva
lunghi capelli schiariti dal sole e guance infossate e grandi occhi troppo
ravvicinati. Dato che non aveva (secondo Rose) alcun senso dell'umorismo,
era spesso vittima di quello del marito. Ogni osservazione gioviale che
faceva Karl, ogni scoppio di riso che riusciva a strappare da una bocca
femminile, sembrava tuffare Rhea ancor pi gi nell'abisso dell'amara
depressione in cui - mancando di una borsa di studio, e non avendo alcun
motivo per stare a Roma (la sua specialit era il Messico) - si dibatteva per
la maggior parte del pomeriggio e delle serate, attaccata agli aperitivi nei
caff, con gli occhi umidi che sembravano sul punto di schizzarle fuori dalle
orbite per cadere sul tavolo. Rose sospettava che avrebbe preferito condurre
una vita meno mondana, ma l'incessante spensieratezza di suo marito non
solo rendeva pi visibile la sua tetraggine, ma la peggiorava anche. Un
pomeriggio lei, Owen, Rhea e Karl erano seduti a un caff con un'altra
coppia e Karl aveva detto: "Ehi, questa buona. Lo sapete perch i topi
hanno balle cos piccole?"
La terza donna - Rose non riusciva neanche a ricordare il suo nome...
Betty? Biffy? - scoppi a ridere solo sentendo l'indovinello. Per lei,
evidentemente, il gioco di parole non era neanche necessario.
"Non lo so" aveva detto Owen.
"Perch i topi hanno balle cos piccole?"
"Molto semplice" aveva detto Karl.
"Perch ben pochi topi sono capaci di ballare."

E scoppi nella sua famosa risata - una piccola serie di risolini


intermittenti, ciascuno dei quali seguiva il precedente con una sicura
regolarit. C'era qualcosa di quasi confortante in quella risata, come il
rumore del motore di una macchina che finalmente si accende in una fredda
mattina d'inverno. Faceva sentire Rose a suo agio.
Lei aveva capito immediatamente la battuta, e aveva riso forte per essere
educata. Agli altri ci volle qualche altro secondo per capirla. Solo Rhea non
rise. Guard il marito con aria implorante e disse: "Non la capisco"
Lui emise un lungo sospiro di frustrazione. "Rhea" disse, "avanti, pensaci
un po. Balle, balli. Cosa fai ai balli? Balli, giusto? Vai a ballare ai balli."
Lei spalanc la bocca, confusa, poi la richiuse.
"Ges" borbott sotto voce Karl. Un silenzio imbarazzato cal sul tavolo,
e nessuno sapeva bene cosa dire.
"Mi spiace" disse Rhea. "Sono proprio stupida. Sono una povera
deficiente, ecco cosa sono." Aveva le labbra strette e gli occhi spalancati.
Strapp un fazzolettino di carta a met, poi in quarti, poi in ottavi.
"ma no, solo che non capisci i giochi di parole" disse Karl. Rhea non
alz gli occhi. Le tremarono le labbra.
Karl si strinse nelle spalle, guard Rhea, e disse: "Di che nazionalit la
cuoca T'ho Cott'Ott'Ova?" Si appoggi allo schienale della seggiola. Guard
di nuovo Rhea, che aveva ancora gli occhi bassi.
All'improvviso atteggi il viso in una parodia di quello di lei - con la
lingua penzoloni, gli occhi fuori dalle orbite, le guance risucchiate.
Owen stava bevendo una sorsata della sua bibita e la sput dagli angoli
della bocca. Betty o Biffy fece un gran sorriso, poi si copr la bocca con la
mano. Ma quando Rhea aveva alzato gli occhi, Karl era di nuovo normale,
guance rosse, faccia allegra, con un'aria altrettanto innocua di un piccolo
Bacco grasso. Rhea gli lanci un'occhiata sospettosa. Lui le si accost e fece
ancora la faccia di prima. Lei spalanc gli occhi per l'orrore, e lui le prese la
mano.
"Rhea, tesoro" le disse, "impara a ridere un pochino. Divertiti. Ci stiamo
divertendo tutti."
Lei lanci uno sguardo intorno al tavolino. Tutti sorridevano.
Ripensandoci, Rose si stupiva che Rhea fosse riuscita a mantenere la
calma.
Sollev un po gli angoli delle labbra in un lieve sorriso forzato.
Quegli occhi! Rose non li avrebbe mai dimenticati. Talvolta si
spalancavano talmente che si potevano vederne i bordi rossi e iniettati di
sangue. Anni dopo, quando vide l'Arancia meccanica, a Rose torn in mente
Rhea nella scena in cui a Malcolm Mcdowell vengono spalancati gli occhi a

forza e viene costretto a guardare ore e ore i filmati sulle torture


dell'olocausto, con mutilazioni e sevizie. Cos impietosamente spalancati,
gli occhi di Rhea avevano quella stessa nudit, quella stessa qualit degli
occhi che hanno assistito a inconcepibili orrori. O almeno cos parve a Rose.
C'era ben poco in Rhea che attirasse Rose. Era imbronciata, indolente.
Accettava qualsiasi cosa da Karl, che pareva la offendesse innanzitutto
per verificare i limiti della sua adorazione, per vedere fin dove poteva
spingersi con lei. Apparentemente, poteva fare qualsiasi cosa. Rhea era
posseduta da una passione cos completa e travolgente per il marito, che
faceva passare in secondo piano persino il suo istinto di autoconservazione,
il suo bisogno di dignit. In confronto, l'amore di Rose per Owen sembrava
un'inezia. Chiss se un uomo diverso da Owen avrebbe potuto ispirare a
Rose una devozione cos appassionata, oppure l'uomo in questione non
c'entrava per niente?
Forse era una caratteristica di certe donne, donne come Rhea, vivere
nell'asservimento a un uomo.
Voleva capire Rhea. La invit a colazione e le disse. "Sai, non riesco a
credere che tu accetti tutta la merda che Karl ti butta addosso. Io non lo
farei"
Rhea la guard sorpresa. "Non merda" disse. "Lui molto divertente.
Non lui che non va, sono io."
"Tu!"
"S" disse Rhea. "Lui l'ha spiegato molto bene. Vedi, lui ha un vero e
proprio talento per farsi benvolere dalla gente, ed molto popolare con le
altre donne. E io divento gelosa.
Lui dice che questo tipo d'amore troppo supplichevole, troppo intenso e
non pu ricambiarlo. Fintantoch mi rifiuto di rilassarmi, finch insisto nel
sentirmi inadeguata, o nell'ingelosirmi ogni volta che fa ridere un'altra
donna, lui non riesce ad amarmi. E ha ragione. Bisogna che io mi rilassi.
Che la prenda con pi filosofia. Ma mi pi difficile farlo che dirlo."
"Scusa se mi intrometto" disse Rose. "Ma non credo che sia tutto qui. Non
dovrebbe dare qualcosa anche lui? Non credi che saresti pi felice se lui non
civettasse tanto?"
" solo una questione di punti di vista" disse Rhea. "Per me civettare.
Per lui semplicemente un modo di essere cordiali, simpatici."
A quel punto Philip entr a razzo in cucina con Mira, la bambina dei
Mutter. Lei e Philip si parlavano in italiano. Avevano sei e sette anni, e
avevano imparato la lingua con molta pi facilit dei loro genitori. Adesso
parlavano in continuazione fra loro in questa lingua privata, scambiandosi
piccoli segreti, e imbarcandosi in complicati rituali verbali. Questo

preoccupava Rhea; e colpiva Rose, che era molto meno disinvolta nel
trattare con questo mondo straniero del proprio bambino, a cui spesso si
affidava per la traduzione quando i negozianti arrabbiati o confusi alzavano
le mani al cielo, incapaci di capire le sue richieste. Philip, a un certo punto,
in un momento misterioso e cruciale mentre lei era distratta, si era
trasformato da un beb in un bambino.
Sembrava fosse successo abbastanza all'improvviso, verso il suo terzo
anno. Tutt'a un tratto aveva una faccia che lei gli riconobbe come la sua. Le
fotografie che gli facevano adesso erano di quel tipo che la gente avrebbe
guardato anni dopo dicendo: "Non sei per niente cambiato" Il suo nome
improvvisamente era il suo nome, qualcosa che lo contrassegnava, e non
solo un attestato delle ore che Rose e Owen avevano impiegato a sceglierlo.
Philip parlava o, cosa ancor pi allarmante, non parlava mentre dietro ai
suoi occhi una mente che incominciava appena a riconoscere se stessa
generava pensieri che non avevano niente a che vedere con lei.
Ben presto le avrebbe tenuto dei segreti; e subito dopo avrebbe
incominciato a mentire. E poi, naturalmente, l'avrebbe lasciata.
Stava gi succedendo. Man mano che cresceva, pareva che Rose sapesse
sempre meno di lui. Era industrioso e diligente, e passava le serate nella sua
stanza, impegnato in progetti tutti suoi. Sin da piccolo sistem i suoi animali
di pezza nella stanza secondo una geografia precisa e privata. In seguito,
divenne appassionato di cartine stradali e incominci a disegnare dei
progetti di citt e sobborghi immaginari. Poi cre un'intera serie di reti di
metropolitane con linee numerate, contraddistinte da nome e colore e per
ore si sforzava di creare una mappa perfettamente proporzionata. Non
condivideva mai questi progetti coi suoi genitori a meno che loro non glielo
chiedessero.
Sembrava non avesse un vero e proprio bisogno della loro attenzione o
della loro approvazione. Badava a se stesso da solo.
A Roma, questo atteggiamento indipendente sorprese Rose. Era abituata
alla prima infanzia di Philip, quando non chiedeva di meglio che starle
seduto in grembo a guardarla in faccia. Adesso, quando non era in giro a
correre nel vicinato insieme a Mira, restava da solo nella sua stanza,
occupato da qualche progetto. Sembrava non si accorgesse neanche di lei.
Forse per questo non si era neanche curata di chiudere la porta quel
pomeriggio, dopo la partenza di Rhea, quando venne a trovarla Karl. In
seguito pens che in un modo o nell'altro si era aspettata che Karl venisse.
Le si sedette accanto a chiacchierare, e lei, con sua sorpresa, si scopr ad
aver voglia di toccare quel corpo massiccio e ben nutrito. Con la sua risata
ricca e gli occhi pronti, irradiava il corpulento e facile buon umore di un dio

della fertilit. Le si sedette accanto, cos vicino che il suo fiato, dolce come
quello di un bambino, le faceva il solletico alla guancia. Era da molto tempo
che ammirava il suo seno, le disse. Lei storn gli occhi, sorpresa dalla sua
franchezza, dalla lussuria nei suoi occhi, che non le si staccavano di dosso.
Poi lui le disse esattamente come voleva toccarla, e cosa voleva fare con lei;
come sarebbe stato bello. Sent la mano di lui sulla sua gonna. "Karl" disse,
"non so bene cosa dire." Ma sapeva bene cosa stava per fare. Stava per
scoprire cosa rendeva Rhea tanto vogliosa.
Le campane delle due del pomeriggio risuonarono in tutta la citt.
Poco prima della fine del loro soggiorno, i Benjamin andarono con i
Mutter a passare un fine settimana nella villa di un amico nella campagna
umbra. Era una villa maestosa, dai severi saloni di pietra decorati di
madonne di terracotta. Sul retro c'era un giardino con le siepi scolpite a
forma di uccelli selvatici, con riccioli e svolazzi, e Romolo e Remo con la
lupa che li allattava. I Benjamin arrivarono per primi. Mentre i suoi genitori
disfacevano le valigie, Philip sedette sul ghiaietto del cortile, con gli occhi
alzati sui pini marittimi, e le colonne di nobili cipressi e le mura di una
piccola citt in collina dove sarebbero andati la sera dopo a mangiare il
cinghiale.
Poco dopo sent il rumore delle ruote sul ghiaietto. Era Rhea, con Karl e
Mira, nella loro vecchia Citron.
Parcheggiarono vicino a dove sedeva Philip, e scendendo dalla macchina
Rhea gli grid: "Philip, vieni ad aiutarmi con questa roba da mangiare"
Lui non la sent. La sua attenzione era stata catturata da una fontana del
giardino, cos si mise a correre per mettere le mani sotto l'acqua melmosa
che gocciolava dalla bocca di un antico pesce di pietra.
"Philip" grid di nuovo Rhea.
"Philip!" La sua voce divenne di colpo inaspettatamente furiosa, ma per
quale ragione? Philip si gir a guardare.
Lei era l in piedi, a fissarlo, con le mani sui fianchi. I suoi occhi enormi
erano rossi e gonfi, le guance rigate di lacrime asciutte. Marci verso di lui,
lo tir in piedi, e gli schiaffeggi la mano. "Philip Benjamin" disse, "non ho
mai visto un bambino cos egoista e sconsiderato in vita mia! Non hai
sentito che ti chiamavo? Ti ho detto, non hai sentito che ti chiamavo?"
Lui alz gli occhi a guardarla confuso e non rispose.
"Rispondimi!" grid Rhea. La sua voce era rauca dalla rabbia, quasi
spezzata. "Rispondimi quando ti faccio una domanda. Non hai sentito che ti
chiamavo?"
Lui non rispose. Rimase l di fronte a lei, e Rhea alz la mano, come per
colpirlo. Lui si mise a gridare, e si protesse il viso con i pugni. Ma quando

riapr gli occhi, la mano di lei era ancora immobile davanti alla sua faccia, e
Rhea lo stava guardando come fosse qualcosa di inanimato, un fiore o un
rametto che aveva raccolto a terra.
Rose, che aveva sentito le grida dalla cucina, corse fuori a vedere cosa
stava succedendo. "Che succede?" grid. "Se fatto male qualcuno?"
"Gli ho chiesto di aiutarmi e lui si rifiutato" disse Rhea, con la voce
improvvisamente calma, distante. "Era l seduto e ha fatto finta di niente."
"Philip" disse Rose. " vero?"
Lui non rispose.
"Philip. rispondimi" disse lei.
E ancora lui non disse niente.
Rose afferr Philip per la mano e se lo tir vicino. " vero?" disse Rose, e
la sua voce era spaventata, ansimante. "Te ne sei rimasto l seduto mentre
Rhea ti chiedeva di aiutarla?"
Fu allora che Philip cominci a piangere. Rose lo guard, guard Rhea (i
suoi occhi furiosi, selvatici), e spinse via Philip. Lui annasp
freneticamente, cercando di tornare da lei. "Oddio" disse all'improvviso
Rose. "Philip, tesoro, vieni qui." Ma prima di riuscire a prenderlo tra le sue
braccia, lui era corso sul retro della casa a rintanarsi dentro a una siepe
spinosa tosata a forma di uccello.
"Che succede?" grid Karl, emergendo da un lato della casa. "Cosa
successo qui?" lo segu Owen, scendendo dal piano di sopra.
Guardarono dall'altra parte del giardino verso il cespuglio. "Philip?"
gridarono gli uomini. "Philip?"
Lui non voleva uscire. Quando Rhea si avvicin per scusarsi, si intrufol
ancor pi in dentro, ancora pi in l, e lei si allontan, scuotendo la testa e
borbottando tra s: "Ges Cristo" Gli uomini si sdraiarono sullo stomaco,
allungarono le mani dentro il cespuglio, e lui si allontan ancor di pi,
tenendosi lontano da loro. "Philip, tesoro, vieni fuori" disse Owen. "Non
siamo arrabbiati. Non era colpa tua. A Rhea dispiace di averti sgridato."
Incominci a far buio. Rose si sedette per terra vicino al cespuglio.
"Senza di te non me ne vado" grid verso l'interno tenebroso. "Posso restar
qui per tutto il tempo che ci stai tu."
Frinirono i grilli, e il cielo si riemp di stelle. "Sai cosa" fece Rose,
"canter per te."
Mezz'ora dopo, a met di "Sai Che Vuol Dire la Nostalgia di New
Orleans?" Philip, tutto sporco, strisci fuori carponi dal cespuglio.
Rose tramava violentemente per il freddo, e lo prese tra le braccia per
calmare se stessa oltre che per confortare lui. "Mi spiace, tesoro" disse,
incominciando a piangere. Gli accarezz la schiena, gli scompigli i capelli.

C'erano piccole crosticine di sangue secco dappertutto sulle braccia e sulle


gambe di Philip, dove le spine lo avevano graffiato. Brandelli di foglie
erano appiccicate ai suoi capelli e ai suoi vestiti e Rose glielo tolse. "Mi
spiace, tesoro, mi spiace, tesoro" continu a ripetere, come un ritornello.
Lo port dentro e lo mise a letto.
Una volta che i bambini furono addormentati, le due coppie si aggirarono
furtivamente nelle grandi sale buie della villa, allontanandosi a ogni rumore
di passi che si avvicinava, evitandosi a vicenda. Solo a notte fonda, quando
gli uomini erano addormentati, Rose e Rhea si incontrarono, come se
l'avessero stabilito prima, nella grande cucina.
Si prepararono il caff prima di incominciare a litigare. Poi si sedettero a
tavola. "Perch ti sei messa a gridare tanto con lui?" chiese Rose.
"E tu perch sei andata a letto con mio marito?" la rimbecc Rhea.
Rose rimase in silenzio. Fissava la sua tazzina di caff. "Me l'ha detto in
macchina mentre venivamo qui" disse Rhea. "Come se niente fosse. Come
se fosse la notizia pi normale del mondo. "E non intendo scusarmi" ha
detto. "E continuer ad andare esattamente cos. Se non posso ottenere da te
quello di cui ho bisogno, vado a cercarlo da qualche altra parte." Allora io
ho incominciato a piangere, e lui ha acceso la radio a tutto volume e ha
aperto i finestrini in modo che Mira non sentisse."
" un bastardo" disse piano Rose.
"Non azzardarti a parlare di lui" disse Rhea. "Non hai il diritto di criticare
mio marito. Proprio tu."
"No, immagino di no" disse Rose, alzando la testa dal tavolo. "Ma tu non
avevi il diritto di attaccare mio figlio, e lo hai fatto comunque.
Cristo, semmai il torto te l'ho fatto io, non Philip."
"Adesso non far finta di essere una madre modello" disse Rhea. " vero
che sono stata dura con lui, e mi spiace. Ma tu! Tu avresti potuto difenderlo
contro di me e invece l'hai cacciato via. Il tuo bambino. Perch avevi paura
di quel che avrei potuto dire di fronte a Owen. Non cos?"
Rose assunse la posizione precedente, con gli occhi piantati sulla tazzina
del caff. Rhea aveva ragione. Lo aveva fatto per coprirsi.
"Non ho pi niente da dire" disse. Poi usc dalla stanza, e si diresse di
sopra, dove Philip dormiva con la bocca aperta, le coperte gettate dall'altra
parte del letto. Si sedette accanto a lui e lo prese tra le braccia, stringendolo
con forza, svegliandolo. Il suo senso di colpa era cos acuto e cos doloroso
che pensava che sarebbe impazzita se non avesse ottenuto il suo perdono, ed
era disposta a fare qualsiasi cosa - persino a fargli ancor pi male - per
ottenerlo da lui. Lo cull. "Philip" sussurr, "mi spiace tesoro. Ti voglio
bene tesoro mio, ti voglio bene."

Philip giaceva nelle sue braccia, n riluttante n affettuoso, il corpo


abbandonato e insensibile come un sacco di biancheria bagnata. E a Rose
sembrava proprio un sacco di biancheria bagnata.
Naturalmente ruppe la relazione - e fu un peccato, dato che Karl era un
buon amante e le aveva procurato un piacere che con Owen non aveva mai
neanche sfiorato. Tuttavia, la sua comprensione per Rhea era cos acuta, e la
sua rabbia per Karl cos intensa, che momentaneamente dimentic in quale
misura lei fosse responsabile della sofferenza della sua amica. Per tutto il
fine settimana non si parlarono nemmeno: offesi e ammutoliti, Rhea
inspiegabilmente schierata dalla parte di Karl, e le due coppie fecero gli
affari loro separatamente. Non ci fu alcuna spedizione al paese in collina
per mangiare il cinghiale. Rose prepar dei frugali panini al formaggio che
lei, Owen e Philip mangiarono all'aperto, in un prato lontano nell'ora pi
sbiadita del crepuscolo. In tutto questo, naturalmente, Owen era convinto
che la furia di Rhea contro Philip (il prodotto di una natura
complessivamente instabile a suo giudizio) fosse il vero motivo della lite.
Le famiglie tornarono a Roma separatamente. I Benjamin non videro molto
i Mutter dopo quel fine settimana, perch nel giro di un mese sarebbero
tornati a New York e dovevano preparare un sacco di bagagli.
Dieci anni dopo Rose ricevette una telefonata inattesa da Rhea. "Sono a
New York per una serie di conferenze" le disse. "Ragazzi, scommetto che
sei sorpresa di sentirmi dopo tutto questo tempo, vero, Rose? Ma io sono
felice di sentire la tua voce. Ti ho pensato molto in questi anni."
Rhea aveva un nuovo marito adesso, raccont a Rose, e un posto di
insegnante all'Universit dell'Arizona e una borsa di studio per andare in
Messico il prossimo anno accademico.
"Devi sapere" continu, "che sono stata io a lasciare Karl, e non il
contrario. Sei mesi dopo che tornammo da Roma, decisi che ne avevo
abbastanza delle sue pagliacciate. Era davvero l'uomo pi egoista del
mondo.
E Rose, non pensare che io ce l'abbia con te, perch non vero. Ero
proprio fuori di me quel fine settimana. Dio sa se non capisco che cosa
aveva di affascinante Karl."
Disse tutto questo rapidamente, senza neanche una pausa per tirare il
fiato.
"E Karl dov' adesso?" chiese Rose.
"Di nuovo a Roma, a insegnare.
Risposato. Non l'ho mai conosciuta, ma ho sentito dire che bella. Pi
giovane, naturalmente."
"Certo, questo quadra" disse Rose.

Erano passati dieci anni - dieci anni di lunghe giornate di lavoro, di


vacanze di due settimane, di alzarsi presto e andare a letto presto - e Roma
era per lei un sogno lontano.
"E la tua vita?" chiese Rhea.
"Raccontami della tua vita, Rose."
Rose ci pens un secondo. Cosa poteva dire? Che erano ritornati a New
York dopo Roma, ritornati nell'appartamento. Che la cugina di Rose le
aveva procurato quel lavoro nell'editoria a lungo promesso. Che Owen, non
volendo pi spartire niente con la vita universitaria, aveva incominciato a
insegnare in una scuola privata nel West Side. Lei era stata promossa al
posto di redattore di manoscritti. Lui a vicepreside, e poi era stato assunto
dalla Harte School come direttore delle ammissioni.
"E Philip?" chiese Rhea. "Come sta Philip?"
"Philip?" pens Rose. " cresciuto. al primo anno di liceo."
Due sere dopo venne a cena. Era vestita di nero, strana e sparuta come
sempre, e raccont lunghe storie sulla sua esperienza nella Baja California,
sul suo nuovo marito e sulla sua muova passione per i terrier di razza, su
Mira, sui voti che prendeva e su dove voleva andare al college. Da qualche
parte, lungo il cammino, not Rose, aveva acquisito... non proprio un senso
dell'umorismo, ma un atteggiamento simpatico e rilassato, una
convenzionalit che contrastava col suo aspetto bizzarro.
Era particolarmente interessata a Philip. Durante la cena non fece che
fargli delle domande - sulla scuola, le sue ambizioni, i suoi progetti per il
college. Persino ora, Rose not una certa distanza, un certo riserbo in suo
figlio, che sedeva dall'altra parte del tavolo, di fronte a questa donna dagli
occhi tristi di cui non ricambiava le occhiate insistenti e curiose. Quanto
ricordava, si chiese Rose, di quel pomeriggio che aveva passato chiuso tra i
rami spinosi di un cespuglio a forma di uccello?
Quanto aveva capito?
"Be, stata proprio una sorpresa rivedere Rhea Mutter" disse Rose a
Owen a letto quella sera. "Mi ha fatto venire in mente un sacco di cose.
Penso che mi piacerebbe tornare a Roma un giorno o l'altro. E a te?"
Da dietro il suo libro Owen annu.
Rose sapeva che non vi sarebbero mai tornati. Parlavano raramente di
Roma in questo periodo, o del breve momento di gloria di Owen sul
palcoscenico degli studi rinascimentali. Il suo lavoro sugli Etruschi,
incompleto, stava nel cassetto della scrivania, abbandonato.
"Owen" disse Rose. "Ti chiedi mai come sarebbero state le nostre vite se
tu fossi rimasto all'universit?" e fra s aggiunse: "Saremmo stati pi vicini?
Saremmo stati pi felici?"

Owen fece finta di non sentirla.


Certo che se lo chiedeva, anche se non ne parlava a nessuno. I suoi giorni
di studioso gli sembravano un periodo di vita cos diverso che non riusciva
neanche a crederci. Quando gli capitava di sfogliare le pagine ingiallite
della sua tesi, l'elegante dissertazione che un tempo gli aveva dato tanto
piacere, adesso aveva cos poco senso che non riusciva neanche a seguirla.
Talvolta il lavoro sembrava il prodotto di un'altra mente - una mente
infinitamente pi precisa e analitica della sua. Altre volte aveva un lampo di
riconoscimento, e allora lo coglieva un'ondata di nostalgia per quei giorni
perduti. Non durava mai a lungo. Ben presto scacciava il pensiero e si
chiedeva che razza di stupido doveva essere stato per sprecare due anni e
mezzo e trecento pagine su un mucchio di poeti che nessuno avrebbe mai
letto comunque.
Eliot era seduto al grande tavolo da disegno nel soggiorno del suo
appartamento, la testa piegata in concentrazione, mentre il rapidograph
graffiava rumorosamente la carta sotto la luce di una lampadina di duecento
watt.
Stava lavorando a un progetto promozionale per il settore libri per
bambini dell'editore di Derek Moulthorp. Non parl, non parve nemmeno
accorgersi che Philip era nella stanza, a osservarlo. Poi, dopo qualche
minuto, pos la penna, fece schioccare le nocche, si alz, e guard il lavoro
in corso da parecchie azioni. "Niente male" disse. Philip lo fiss. Eliot si
incammin verso il piumone, adesso ripiegato a forma di sof, e vi si
sedette sopra. "E tu che ci fai da queste parti durante la pausa di colazione,
eh?" chiese Eliot.
"Mi mancavi" disse Philip. Gli si sedette accanto. Gli mise una mano sulla
spalla e l'altra sulla coscia.
Poi si protese a baciarlo, ed Eliot pieg la testa in gi di modo che le loro
fronti si urtarono e slittarono l'uno contro l'altra come dei cuscinetti a sfere.
Mani sulle spalle, mani sulle cosce, Eliot si lasci andare sul piumone, per
una volta contento di lasciar fare a Philip il lavoro.
C'era un particolare aspetto competitivo nei loro regolari scambi amorosi
notturni che questo pomeriggio era assente. Di solito Eliot insisteva nel
controllare tutto quanto, nell'essere al tempo stesso il portatore e il
destinatario del piacere. Gli piaceva sorprendere Philip facendo esattamente
quello che Philip voleva che facesse ancor prima che Philip avesse la
possibilit di chiederglielo. Quando facevano l'amore di notte, Eliot si
assicurava sempre che Philip venisse per primo affermando cos la propria
condizione di sensualista supremo, e di amante esperto. Per un po Philip
riusciva a opporsi a questo sforzo da parte di Eliot, ma per quanto ce la

mettesse tutta per far venire Eliot per primo, per quanto si valesse di ogni
sorta di trucco per ottenere un vantaggio, per quanto impiegasse tutta la sua
astuzia e la sua abilit nell'accarezzarlo per costringere Eliot a rivelare i suoi
punti vulnerabili, non ce la faceva proprio. Eliot riusciva sempre a
trattenersi pi a lungo, e cos vinceva sempre la battaglia nel differimento
dell'orgasmo che sottolineava i loro scambi amorosi altrimenti pieni di un
affetto zelante. Oggi era l'eccezione. Oggi, per qualche motivo - limiti di
tempo, stanchezza, affetto, noia - Eliot si sdrai, completamente vestito, coi
jeans aperti, le mutande abbassate, e lasci che Philip facesse l'amore con
lui, assorbendo la vista degli occhi chiusi di Eliot e della bocca aperta che
respirava, dei suoi piedi nudi e bianchi, del suo pene eretto ed elastico che
sbucava fuori dai pantaloni aperti. E quando, a tempo debito, Eliot
incominci a gemere e i suoi fianchi cominciarono a ondeggiare e le sue
mani, invece di accarezzarli gentilmente, incominciarono a tirare i capelli di
Philip, Philip pens che avrebbe potuto morire d'amore per lui, e cerc di
registrare nella memoria tutte le sensazioni simultanee che stava
sperimentando. Eliot tirava e spingeva ed entrava e usciva dalla sua bocca,
il che dava il segnale per allungare la mano sotto la sua camicia e pizzicargli
i capezzoli. Poi emise un lieve sospiro, e senza preavviso un liquido spesso
e salato schizz nella bocca di Philip - fu un po una delusione, dato che si
aspettava un getto violento, che lo spruzzasse fino alla gola.
Eliot tir un respiro profondo, con la bocca aperta, e le sue mani
abbracciarono la testa di Philip.
Rispettosamente, a dispetto delle precauzioni sanitarie, Philip fece quello
che non aveva mai fatto con altri uomini: ingoi.
Poi si alz, baci Eliot sulla bocca, e and a bere un po d'acqua.
Con destrezza Eliot si tir su la cerniera, un pacchetto reincartato, una
busta risigillata. Lo segu in cucina; ricambi il suo bacio. Di nuovo si
strofinarono le fronti.
"Eliot" disse Philip.
"Hmm?"
"Ricordi che quando ci siamo conosciuti dicesti che mi avresti presentato
a Derek e Geoffrey?"
"S."
"Be, credi che potremmo invitarli a cena o qualcosa del genere?"
Eliot bevve un sorso di caff e non rispose. Philip trattenne il respiro,
perch era convinto che ogni richiesta che faceva a Eliot, ogni centimetro
che guadagnava insinuandosi nella sua vita, sarebbe stata un richiesta di
troppo, un gradino di troppo, ed Eliot si sarebbe allontanato da lui.
Invece Eliot pos la sua tazza di caff e disse: "Direi che fattibile"

"Davvero?" disse Philip.


"Certo" disse Eliot. "Anzi, ti dir di pi: chiamer Geoffrey questo
pomeriggio."
"Grazie" disse Philip. "Grazie, grazie." E lo abbracci. Poi disse: "Eliot?"
"S"
"Quanti anni avevi quando sei stato adottato?"
Eliot inspir ed espir, poi disse: "Tre"
"Quindi non ricordi granch dei tuoi genitori?"
"Non molto. Ero piuttosto piccolo."
Si allontan da Philip. "Lo sai che ore sono?" disse.
"Oddio, non dirmelo."
"Me l'hai detto tu di dirtelo."
"S, lo so, ma non farlo."
"Non vorrai perdere il tuo lavoro, vero?"
"No" disse Philip. Raggiunse Eliot e lo cinse in un abbraccio.
"Restiamo cos solo qualche minuto ancora" disse. Pi che il sesso, pi
che parlare, era questo che gli piaceva - appoggiare la testa sulla spalle di
Eliot. Sullo sfondo udirono l'urlo smorzato di un disco di Jimi Hendrix tutto
rigato, insieme di voci adolescenti di Menudo che uscivano dalla radio di
una bambina. La finestra della cucina incorniciava un pomeriggio che era
grigio acciaio, senza sole ma impietosamente luminoso.
"Non ti va molto di parlare dei tuoi genitori, vero?" disse Philip. "Come
mai? Ti puoi fidare di me."
Eliot non rispose. Lasci andare Philip, e si incammin verso la finestra
dall'altra parte della stanza. "Ho detto qualcosa di sbagliato?" chiese Philip,
improvvisamente timoroso di averlo offeso. "Mi spiace se ho detto qualcosa
di sbagliato." Segu Eliot al capo opposto della stanza, lo circond con le
braccia. Il corpo di Eliot era inarcato.
"Ti stai stancando di me, vero?" disse Philip. "Lo sapevo."
"Philip, per favore! Cristo Santo!"
"Oddio, sto mandando tutto per aria oggi, vero?" Affond la testa nella
spalla di Eliot.
"Rasserenati" disse Eliot. "Non essere sempre cos preoccupato."
Affond la mano nella spalla di Philip, la strinse con forza, e Philip fece
una smorfia di dolore. "Ti preoccupi troppo" disse Eliot. "Cerca di non
farlo."
"D'accordo."
Dondolarono avanti e indietro sul vecchio linoleum come una coppia in
una vecchia sala da ballo, con un palla ricoperta di specchietti che ti vortica
sopra la testa. Era come un cartone animato che Philip ricordava

dall'infanzia, in cui le note musicali ballavano insieme e trombe e sassofoni


suonavano da soli con mani agili guantate di bianco.
Eliot chiam Philip al lavoro e gli disse: "Siamo invitati sabato sera alle
otto. A casa di Derek".
"Ph, grandioso!" disse Philip.
"Favoloso! Non vedo l'ora!"
"Be, dovrebbe essere divertente" disse Eliot. "Per sta a sentire, non credo
che potr vederti per qualche giorno. per via di questo progetto a cui sto
lavorando. Mi hanno appena chiamato per dirmi che lo vogliono entro
venerd."
Philip era in un cubicolo al diciannovesimo piano di un edificio di
Lexington Avenue. Intorno a lui le macchine da scrivere ticchettavano, i
telefoni squillavano, qualcuno ridacchiava vicino alla macchina del caff.
"Oh" fece lui, poi si rese conto che non poteva fare a meno di aggiungere
qualcosa. "Senti, non preoccuparti" disse. "Lo capisco.
Ma... be, avrei un'idea. Anch'io ho del lavoro da fare questa sera. Dei
manoscritti da rivedere. Forse potrei venire da te e fare il mio lavoro mentre
tu fai i tuoi disegni."
"Non credo proprio, Philip. Lo sai cosa succede quando cerchiamo di
lavorare insieme. Nessuno dei due riesce a fare niente. Fino a ora non mai
stato un problema, ma temo che nei prossimi giorni dovr veramente darci
dentro."
"Ti distraggo? Mi spiace" disse Philip, e si sent vergognoso e inferiore
per non avere alcun progetto nella vita di eguale importanza, nessun lavoro
da anteporre alla passione.
Per un momento respirarono in silenzio. "Be, senti" disse Eliot, "ci siamo
tolti i nostri sfizi all'ora di colazione, non ti pare?"
"S, vero."
"Ci puoi scommettere." Scoppi a ridere. "Senti, bisogna che vada avanti.
Sono davvero spaventato per questo progetto. Ma ti telefono domani."
"D'accordo. Ma... Eliot?"
"Cosa?"
"Non che sei arrabbiato con me...
Vero?"
"Ma Cristo, Philip!" Sospir frustrato. "Sta a sentire" disse, "non sono
arrabbiato con te. Mi mancherai moltissimo."
"Veramente?"
"S. Ma adesso devo andare, d'accordo? Ti chiamo domani."
"D'accordo. Ciao."

Riattacc. Philip rimase attaccato al ricevitore finch non ud il clic e il


segnale di libero che ricominciava.
Aveva fantasticato tanto spesso sulla telefonata che Eliot aveva appena
fatto che era divenuta, per lui, irreale, come una scena di uno dei suoi
romanzi rosa. Non riusciva a credere che Eliot avesse detto davvero quello
che aveva appena detto, e per un momento si chiese se quella telefonata non
se la fosse sognata.
Qualche giorno, aveva detto Eliot.
Dato che avevano passato insieme ogni singola notte da quando si erano
incontrati, Philip aveva contemplato con terrore il desiderio di Eliot di
passare almeno una notte da solo.
Adesso una notte gliel'avrebbe concessa con molto piacere.
Raddrizz la schiena. Cosa stava pensando? Perch non riusciva a credere
alla parola di Eliot? Eliot lo amava, lo avrebbe portato a conoscere Derek e
Geoffrey sabato sera.
Semplicemente aveva bisogno di tempo per lavorare. E in realt aveva
ragione a proposito del fatto che loro due insieme non riuscivano a
combinare niente. Philip raccontava una barzelletta, e cercava di distrarre
l'altro. Poi Philip scopriva che non poteva fare a meno di dare a Eliot un
bacio sul collo.
Riscaldato dal ricordo, Philip torn al lavoro sul manoscritto di cui curava
l'editing, un romanzo intitolato Onde di fuoco. Sylvia, l'ardita e irriducibile
eroina, si era vestita da ragazzo e si era unita alla ciurma del Black Serpent,
la nave pirata del Capitano Dick Telliver.
Aveva cercato di scoprire la verit sulla scomparsa del suo fidanzato,
Steve Lionel, la cui nave si era imbattuta nel suo disgraziato destino per
mano di Telliver. Adesso, con suo grande orrore, si scopriva stranamente
attratta dal meditabondo Telliver, monco di un braccio. "Lui non la degnava
neppure di uno sguardo" scriveva l'autrice, Fiona Carpentier, che era anche
Jack T. Spelvin e Marlena Mccoy, e in realt era Lynnea Felingman di
Springfield, Illinois.
Tuttavia Sylvia, alla fine avrebbe vinto. Vinceva sempre.
Mezz'ora dopo sent battere forte su una parete del suo cubicolo. "Philip?"
disse una voce, e lui si gir. Era Marsha Collins, la direttrice editoriale
famosa per le sue dodici tonalit di capelli, insieme con un paio di donne di
mezz'et, entrambe le quali indossavano enormi occhiali azzurri a forma di
farfalla e delle pellicce. "Philip" disse Marsha Collins, "vorrei presentarti
Laurene e Gladys Cooper, di El Cerrito, California. Loro due sono Vanessa
Southwood. Faremo di voi signore un grosso successo" disse, rivolgendosi

alle donne confuse. "E Philip come vostro redattore sar molto importante
in questa operazione."
Le fece accomodare su sedie di plastica e usc.
"Mi piaciuto molto il Serpente e la fiamma" disse Philip, e sorrise.
"Bene, Mr. Phillips, sono veramente felice di sentirglielo dire" disse
Laurene Cooper. " il nostro ventisettesimo libro."
"Ma il primo che stato accettato" aggiunse Gladys. Entrambe avevano
capelli rosso acceso, e labbra arancione. Sapeva che erano madre e figlia ma
non era sicuro di chi fosse chi.
"Be" disse Philip. " fantastico.
Mi piaciuta soprattutto la parte tahitiana, e quella scena del vulcano."
"La mamma ha passato settimane intere in biblioteca per far ricerche su
quella scena" disse Laurene.
"Per penso che dovremmo rivedere un po le scene d'amore" disse
Philip.
"Quella tra Mallory e Raul, per esempio..."
La bocca di Laurene si spalanc e non si chiuse. Ma Gladys le diede una
gomitata e disse: "Mr. Phillips, a noi va bene qualsiasi cosa lei decida.
Siamo cos entusiaste che il nostro libro sia stato accettato"
"Il fatto che vorremmo mantenere il nostro tono romantico" disse
Laurene. "Mallory una donna appassionata, e questo per noi molto
importante."
"Oh certo" reiter Gladys.
"Bene, non preoccupatevi" disse Philip. "Io non mi permetterei mai..."
"Non c' abbastanza romanticismo nei romanzi d'amore, se mi permette di
dirlo" disse Laurene. "Troppo sesso scadente e ben poco romanticismo. un
imbroglio."
" per questo che abbiamo cominciato a scrivere" disse Gladys.
"Sono assolutamente d'accordo" disse Philip. "E posso assicurarvi che il
romanticismo non verr sacrificato."
"Bene, sono contenta che su questo siamo d'accordo" disse Laurene.
"Come ho detto, siamo proprio entusiaste di lavorare con un redattore."
"Anche Vanessa entusiasta" ridacchi Gladys.
"Vanessa il gatto di mamma" disse Laurene, e ridacchi a sua volta.
"Una maltese purissima. L'abbiamo comprata con l'anticipo e abbiamo
pensato che non c'era nome pi adatto per lei. Non crede?"
"Oh, assolutamente" disse Philip.
"State facendo una bella chiacchierata?" disse Marsha Collins, tornando
nel cubicolo di Philip. "Sono dolente di interrompervi, ma devo presentare
queste signore al reparto marketing. Ma parleremo presto, Philip."

"S" disse Philip, mentre Gladys e Laurene si alzavano e raccoglievano le


loro borse. "Sar un vero piacere."
"Anche per noi!" disse Laurene. Gli strizz l'occhio mentre Marsha le
portava via.
Philip torn a Onde di fuoco.
Stava leggendo felicemente finch nel bel mezzo del capitolo venti la sua
ansia torn come un temporale. Mentre leggeva quel lungo capitolo, che
rievocava la prima notte d'amore scatenato tra Sylvia e Steve, gli venne in
mente che per la prima volta con Eliot bisognava rispettare un orario, c'era
un progetto da fare o da rompere. Naturalmente, aveva sempre saputo che la
passione spontanea che l'aveva portato tanto lontano non sarebbe durata per
sempre. Aveva sempre saputo che prima o poi avrebbero dovuto parlare
delle "loro" intenzioni, di dove "loro" si situavano nei contesti pi ampi
delle loro vite. Finora era stato sufficiente che ogni notte entrambi
sembrassero consumarsi a vicenda, come Sylvia e Steve, "lambiti da
fiamme incandescenti, il fuoco della loro passione scatenata" E questo
andava bene. Era cos che le storie d'amore avrebbero dovuto incominciare
nel mondo reale come pure nei mari tempestosi dei romanzi di Fiona
Carpentier. Ma Philip sapeva che nel suo caso il fuoco gli stava scavando
una caverna dentro, un vuoto, un bisogno laddove prima non c'era stato
bisogno. Sapeva di essere meno di quel che era stato prima di conoscere
Eliot. Un vuoto ora supplicava di essere riempito - tanto che il pensiero di
una sola notte senza Eliot sembrava impossibile da sopportare. E qui stava
la differenza tra loro due: perch quando fosse finita, Eliot avrebbe avuto
delle cose a cui tornare, "dei progetti", mentre Philip avrebbe avuto meno di
quanto aveva all'inizio, avrebbe avuto dentro di s un buco vuoto. Prima di
Eliot, se non altro era stato autonomo, contento della sua solitudine, non
aveva mai conosciuto altro.
Un impulso improvviso di chiamare l'editore di Derek Moulthorp - per
controllare che effettivamente il progetto di Eliot doveva essere consegnato
a breve scadenza, che davvero avrebbe dovuto lavorare in questi giorni - si
impadron di Philip, e spar altrettanto rapidamente. Sarebbe stata una
telefonata ridicola. All'improvviso si vergogn del proprio sospetto, che gli
parve folle, eccessivo, e Philip si maledisse per aver dubitato di Eliot, che
non gliene aveva mai dato alcun motivo, che non gli aveva mai mentito su
niente, che gli stava facendo conoscere i suoi padri adottivi, uno dei quali (e
prov una morsa di anticipazione nello stomaco) era Derek Moulthorp in
persona, i cui libri aveva amato per tutta l'infanzia.
Lasci il lavoro che era gi buio.

Un vento feroce sbatteva le bandiere di fronte al Waldorf-Astoria, dove il


portiere aiutava donne dai cappelli di pelliccia a scendere dai taxi per farle
passare nelle porte girevoli.
Davanti a lui, una ragazza infagottata in una giacca a vento violetta
avanzava faticosamente verso Lexington Avenue, lottando contro il vento.
Tutti i giorni della settimana l'East Side era pieno di donne come lei, che
si sparpagliavano in piccole pasticcerie a comprare coca dietetica,
pasticcini, e hot dog di pollo.
Indossavano camicette con colli complicati pieni di fronzoli - grandi
fiocchi al collo e davantini di satin rosa o guscio d'uovo - e portavano borse
enormi, e cercavano di sistemarsi i capelli negli specchi convessi che
pendevano sopra i cibi congelati. Edifici giganteschi pieni di lusso e pompa
torreggiavano su isolati di case popolari sovraffollate, e gi cos presto
nell'anno tutto era impiastricciato di decorazioni natalizie, come se il mondo
intero fosse una pila di regali per qualcun altro: renne appese al filo del
bucato, Babbi Natale che spuntavano fuori dalle finestre, luminose catene di
luci.
In qualche modo il pensiero di essere solo nel suo appartamento stasera
gli parve insopportabile, cos attravers vorticosamente la citt fino alla
Seconda Avenue, diretto alla casa dei suoi genitori. Ultimamente il portiere
era morto. Quello nuovo stava in piedi risoluto al di l delle porte a vetri e
non lo riconobbe, e Philip si secc di dover attendere mentre citofonava di
sopra. "Ho la chiave" disse Philip, irritato, battendo i denti per il freddo.
"Lo vede quel cartello?" fece il portiere. "Tutti i visitatori devono essere
annunciati." Lo lesse attentamente come un bambino di terza elementare. Al
citofono, vicino al suo sgabello, disse: "C' qui un giovanotto che dice di
essere suo figlio, signora Benjamin" Una pausa.
"Va bene, salga pure." La vecchia signora Luvin, tutta impellicciata,
aspettava vicino all'ascensore. " lento di questi tempi" disse, e Philip
annu. Lei gli sorrise. Dopo qualche secondo disse: "Freddo, vero?" E Philip
annu di nuovo. "Non ricordo un novembre cos freddo" disse lei. "Per lo
meno non dagli anni Cinquanta."
"Non saprei. Allora non ero ancora nato."
Lei rise. "No, penso proprio di no."
L'ascensore arriv e la signora Luvin usc al secondo piano. Lui continu
fino al dodicesimo.
L'appartamento dei suoi genitori era alla fine di un lungo corridoio color
fango. Philip apr la complicata serie di serrature ed entr nell'appartamento.
Sua madre sedeva alla scrivania in soggiorno, china su un lungo manoscritto
pasticciato, e vedendolo, alz la testa in un saluto appena accennato. "Bene,

bene, bene" disse, togliendosi gli occhiali. "Non succede spesso che
riceviamo una visita spontanea da quelli come te."
Si alz in piedi, offrendogli la guancia da baciare. Aveva un odore
polveroso, come di trucioli di matita, e odorava anche, pi vagamente, di
sapone alla lavanda. "Allora, c' qualche motivo speciale?"
"No, nessun motivo speciale. Avevo una serata libera e ho pensato di fare
un salto."
Lei lo aiut a togliersi il cappotto. " stato carino da parte tua, Philip"
disse. "Ma sfortunatamente tuo padre adesso non c'. Questa la serata in
cui deve ricevere i genitori. Rincaser verso le dieci. Comunque, non avevo
programmato niente per cena. Non so cosa c' nel frigorifero..."
"Non preoccuparti, mamma" disse lui, seguendola in cucina, "ordiner
qualcosa al ristorante cinese. Avevo solo intenzione di passare in rivista i
miei vecchi libri, e ho pensato che stasera poteva essere la sera giusta per
farlo."
"S, stasera." Rose parve tutt'a un tratto distratta.
"Mamma?" disse lui.
"Cosa? Ah, s, stasera. Be, va benissimo." Incominci ad aprire dei
contenitori di plastica rosa a chiusura ermetica e a versarne il contenuto in
una pentola. "Ci sono degli avanzi di stufato Stroganoff che puoi finire"
disse. "E del tacchino alla Tetrazzini. Un tempo ti piaceva molto."
"Ma veramente, mamma, non devi..."
"Ma mi fai un favore. Nessuno manger questi avanzi se non li mangi tu."
"Be...'"
"D'accordo. Facciamo cos." Mescol il contenuto delle pentole con un
cucchiaio di legno mentre lui sedeva al tavolo di cucina a leggere il
giornale. Uno dei fotomodelli di un annuncio pubblicitario della Bergdorf
Goodman aveva una forte somiglianza con Eliot, pens, e stava quasi per
accennare alla coincidenza quando si ricord che sua madre non sapeva
niente di Eliot, e non avrebbe neppure riconosciuto il suo nome. Gli sarebbe
piaciuto dirle: "Mamma, sono innamorato" Gli sarebbe piaciuto dirle che
alla fine della settimana aveva una cena con Derek Moulthorp, che il suo
amante era il figlio adottivo di Derek Moulthorp, di cui lei aveva redatto i
libri e li aveva amati tanto da portarli a casa perch Owen li leggesse e li
rileggesse. Gli risultava quasi insopportabile trattenersi dal raccontarglielo.
La sua bocca si apr involontariamente, poi si chiuse di nuovo. Guard la
tavola. Non aveva pi paura, come l'aveva avuta per tanti anni, che lei gli
voltasse le spalle, lo rifiutasse, negasse che era suo figlio. Aveva solo paura
del suo potere di ferirla.

Eppure, in qualche modo, l'atmosfera di questa notte fredda sembrava


troppo tenera per infliggere colpi cos duri.
Mangi silenziosamente la sua cena mentre lei gli sedeva di fronte,
strofinando la punta di una gomma per cancellare contro i denti, con i mezzi
occhiali che le pendevano bassi sul naso. Poi Philip and nella sua stanza.
Non ci avevano fatto granch da quando se ne era andato. Le pareti erano
ancora tappezzate dei libri della sua infanzia, che, come tutti i libri
nell'appartamento, erano ammucchiati come per caso uno sull'altro. Ed ecco
che dallo staffale estrasse un vecchio libro grigio e rosa con una copertina
polverosa e un po lacera. Era intitolato Questa e Nebular. Tutto quel che
Philip ricordava del libro era che c'era un bambino ricco che passava la
maggior parte del suo tempo in una gigantesca casetta da giochi cos
ambiziosa nelle proporzioni e cos accurata nella riproduzione della realt
adulta che avrebbe potuto benissimo essere una vera e propria casa. Apr il
libro per familiarizzare di nuovo con la storia, e presto gli torn in mente
come un fiume in piena. Naturalmente non era una casa vera e propria, i
genitori distratti del bambino erano preoccupati che loro figlio stesse
perdendo contatto con la realt. Clio, la cugina del bambino ricco (e l'eroina
del romanzo), apprezzava l'impulso di evasione del cugino ma non ne aveva
la possibilit a sua volta. Decisa a non aspettarsi troppo, si aspettava troppo
poco; cos erano quasi tutti i bambini di Moulthorp.
Da bambino, Philip sedeva a gambe incrociate sul pavimento. Sulla
copertina di Questa e Nebular, tre dei famosi bambini di Derek Moulthorp,
dalle guance paffute e dagli occhi di smeraldo - la bambina, Clio, i suoi due
strani vicini, Romaine e Godfrey, noti anche come Questa e Nebular - erano
in una stanza piena di robot giocattoli. Moulthorp li aveva disegnati in uno
stile che ricordava a Philip i cartoni animati giapponesi che aveva visto
dopo la scuola da bambino, Bip Bip e Gigantor e Kimba il Leone Bianco.
Lo eccitava pensare di avere un tempo letto questo libro semplicemente per
il piacere di leggerlo, semplicemente perch gli erano piaciuti gli altri libri
di Moulthorp, senza rendersi conto che un bel giorno si sarebbe innamorato
di un uomo che era stato allevato nell'atmosfera benevola di quella stessa
mente, di quella stessa immaginazione che aveva generato queste parole,
questi disegni. Eppure il suo io di nove anni era stato seduto qui, perso nel
Portale dei desideri, senza sapere che gli veniva offerta una profezia della
propria vita che gli ci sarebbero voluti anni per riconoscere. Eliot era
sempre stato l, in quei libri, su quegli scaffali.
Adesso Philip teneva il libro tra le mani, lontano dalla faccia, come una di
quelle Bibbie rare e antiche di cui anche il tocco si dice possieda poteri
curativi. Lo apr, gir la pagina del titolo e quella del copyright. E l,

maestoso e grande, in caratteri Jansen maiuscoli, ben evidenti, c'era il


canone Moulthorp: Altri libri di Moulthorp che vi delizieranno L'originale
signor Olifante (1955)
Il campo ghiacciato (1957)
Il portale dei desideri (1962)
L'orfanotrofio del signor Olifante (1964)
L'aranceto del signor Olifante (1966)
Questa e Nebular (1968)
Il montatore radioattivo (1970)
Cos progrediva la carriera. A eccezione dell'intervallo di cinque anni tra
il Campo ghiacciato e il Portale dei desideri - indiscutibilmente le opere
maggiori di Moulthorp - era uscito un nuovo libro ogni due anni con una
regolarit da orologio - fino a Questa e Nebular, l'ultimo libro che Philip
aveva posseduto, e anche dopo: Philip sapeva che ce n'erano altri cinque o
sei che erano stati pubblicati dopo che la sua infanzia era finita. Philip
medit su quell'intervallo di cinque anni. Forse dimostrava semplicemente
che un'opera geniale aveva una gestazione pi lunga di un'opera abile e
brillante. Forse si era verificato un blocco della scrittura particolarmente
lungo.
Tuttavia Philip non pot fare a meno di notare che l'intervallo
corrispondeva quasi esattamente alla morte dei genitori di Eliot e alla sua
successiva adozione. Doveva essere stato un incubo per i due uomini, sul
finire degli anni Cinquanta, adottare un bambino, cosa che, secondo Philip,
richiedeva un coraggio e una fiducia in se stessi che non dovevano essere
facili per un gay di allora. Era quindi nato dalla crisi di quelle morti il
Portale dei desideri?
Indubbiamente il libro dava prova di un enorme e generoso pessimismo,
una cauta eppur ampia conoscenza del dolore, non forniva alcun fatto che
potesse illuminare Philip sulla direzione della vera storia. Nel Portale dei
desideri, un ragazzo di nome Albin e la sua chiassosa famiglia fanno un
viaggio in camper attraverso il paese, fermandosi per strada in luoghi di
bizzarre attrazioni turistiche. Finiscono nel "Posto dove il tempo si rotto" una casa costruita sulla linea di demarcazione tra due fusi orari dove una
vecchia vedova e sua figlia hanno allestito un Museo della Macchina del
Tempo. La sorpresa del romanzo che il Museo della Macchina del Tempo
nasconde un vero e proprio "Portale dei desideri", un passaggio ad altri
mondi del quale persino le due vecchie non sanno nulla. La conclusione
meravigliosamente umana del libro insiste sul bisogno di dignit dei
bambini, persino nelle situazioni meno dignitose. Fu grazie a Eliot, si
chiedeva ora Philip, che Derek Moulthorp era riuscito a capire questo?

Sentiva il sapore della domanda sulle labbra; sentiva il sapore della risposta,
la conoscenza, resa salata dal pericolo, perch sapeva che a Eliot non
sarebbe piaciuto che lui facesse a Derek delle domande su quella parte della
sua vita. Eliot evitava di parlare dei suoi veri genitori cos come si rifiutava
di spiegare la fonte dei suoi redditi, cambiando argomento ogni volta che
qualcuno vi accennava; non conservava neanche una loro fotografia, nessun
ricordo. E Philip aveva imparato che era rischioso stuzzicarlo
sull'argomento; il silenzio di Eliot in proposito aveva una sfumatura di
panico che Philip sapeva sentire.
Gir un'altra pagina di Questa e Nebular, e la dedica gli balz agli occhi,
bench non avesse niente a che fare con Eliot o con nessun altro che
conosceva o di cui avesse sentito parlare: "Per i miei nipotini e le mie
nipotine: Sambo, Sousou, Joanna, Alexander, e s, anche per te, Margaret"
Non aveva mai pensato a guardare le altre dediche, cos, balzando in piedi
dal pavimento, incominci a strappare dagli scaffali i titoli di Derek
Moulthorp. Dovette rovistare in tutto il soggiorno dove sua madre stava
guardando la televisione prima di riuscire a scoprire L'orfanotrofio del
signor Olifante infilato tra un paio di guide turistiche di Venezia. Il
montatore radioattivo era caduto dietro ad alcuni manuali di riparazioni
domestiche. Ben presto li ebbe tutti quanti. Senza fiato, li sistem
cronologicamente in una pila sul pavimento della sua stanza e incominci a
leggere le dediche.
L'originale signor Olifante non ne aveva nessuna, Il campo ghiacciato
aveva una dedica, ma poco rivelatrice: "Alla memoria dei miei genitori e dei
miei nonni" Poi veniva Il portale dei desideri: "Alla memoria di Julia e Alan
Abrams" Questi, naturalmente, dovevano essere i genitori di Eliot. E
chiudendo il libro, Philip pens: avevano un nome. Erano reali, e i loro
nomi erano Alan e Julia, ed erano morti pi o meno negli anni Cinquanta.
Alan e Julia: i nomi suscitarono delle immagini nella mente di Philip: un
giovane uomo loquace e brioso, esile, con una calvizie incipiente e piccoli
occhiali rotondi; una donna graziosa dai capelli scuri, matura, vestita di
vecchi abiti. Perch vecchi abiti?
Come faceva a sapere che avevano quell'aspetto? Due persone erano
morte, la loro macchina spiaccicata e incenerita, e forse un bambino, vivo,
sul sedile posteriore, urlava alla ricerca dei genitori. O era semplicemente il
frutto dell'immaginazione di Philip? Eliot era davvero sulla macchina?
Philip non lo sapeva.
Continu a leggere. L'orfanotrofio del signor Olifante aveva una dedica
che, poco misteriosamente, diceva: "a G." L'aranceto del signor Olifante
diceva, ancora meno misteriosamente, "a G.B. con amore" Ne restavano

solo due. Stancamente apri Questa e lesse: "ancora una volta, per Geoffrey"
- una sequenza che era da sola una storia. E adesso restava solo un altro
libro in suo possesso: Il montatore radioattivo, l'unico che Philip non avesse
finito. Doveva essere dedicato a Eliot. Come avrebbe potuto Derek
Moulthorp non dedicare almeno un libro al suo figlioccio adorato, che a
quell'epoca doveva avere per lo meno tredici anni?
Apr il libro e lesse la dedica: "per Eliot - se lo vuole" Niente di pi, solo
queste parole. Philip chiuse il libro. Bene, pens, era quello che stavo
cercando. "Se lo vuole." Si era aspettato troppo da una dedica, suppose;
arricchimento, rassicurazioni, profezie, frasi focose che corroborassero il
mito delle origini di Eliot. "Se lo vuole"; si trattava di una vera
ambivalenza? Era uno scherzo? Lesse e rilesse le parole, finch cessarono di
avere un senso. Erano parole private. Il loro significato non poteva essere
dischiuso senza una chiave speciale.
Tagliavano fuori Philip. E dopotutto, perch non avrebbero dovuto? Le
dediche non erano per i lettori; erano per gli amici e la famiglia dell'autore,
il suo entourage immediato, le persone da lui amate; erano scherzi privati,
messaggi in codice. All'improvviso come gli sembr insulsa la sua vita in
confronto a quella di Eliot, la sua infanzia solitaria che ora gli sembrava
trascorsa interamente su strisce d'asfalto nero, in freddi pomeriggi in cui ti
dolgono le mani, quando i bambini pattinano sul ghiaccio e cadono a faccia
in gi. Eliot, ne era sicuro, era cresciuto in modo molto diverso, in una casa
di battute intelligenti e canzoni inventate, in una casa dove si raccontavano
storie e si facevano disegni, dove le porte delle dispense erano portali che si
aprivano su terre in cui le principesse cavalcavano unicorni, e prodi creature
ridevano sulle sponde dei fiumi - proprio quelle terre di cui leggeva Philip
in quei piovosi pomeriggi, nelle quali si fuggiva passando attraverso gli
armadi o i buchi nelle staccionate: Narnia, il Paese delle Meraviglie; Oz.
Fontane che gettavano fredde cascate di acqua risplendente, arcobaleni,
notti a contare le stelle dalle barche, Una volta aveva cercato di arrivarci,
quel pomeriggio a Central Park, quando si era lanciato ripetutamente contro
il muro. Aveva sperato che sarebbe successo come succedeva in La sedia
d'argento, dove la staccionata si rompe, ed Eustace Scrub e Jill Pole cadono
nel cuore di Narnia, nel cuore dell'eroismo, e lontano dalla bassezza della
loro odiata scuola. Come sapeva Derek Moulthorp, i bambini tengono alla
dignit pi di quanto la maggior parte degli adulti non capisca o ricordi. Ma
Philip, per quanto si fosse lanciato con tutte le sue forze, non era arrivato da
nessuna parte.
Eliot, fortunato Eliot; probabilmente nel frattempo lui stava gi giocando
dall'altra parte del muro.

Si sdrai sul pavimento, cercando di immaginare la casa di Eliot. Forse


era come la magica casa giocattolo di Questa e Nebular, un vasto mondo
miniaturizzato; o forse era come il castello in cui la strana vicina della
piccola Clio, Romaine (altrimenti nota come Questa), dice di essere
cresciuta sul pianeta Belariphon nel sistema solare di Ixtel. Poi rivide il
fastoso appartamento a Tudor City che apparteneva alla vecchia Madame
Duval, insegnante di francese alla Harte. Vi aveva preparato un t per la sua
classe, e loro si erano seduti su divani di velluto tra scaffali di libri
ammuffiti mentre la polvere vorticava come uno sciame di insetti davanti ai
loro occhi. Ma Derek Moulthorp non viveva in una soffitta; viveva in una
casa, una fastosa e gloriosa villa con un caminetto.
Philip immagin il caminetto grande, enorme, della dimensione di una
stanza, un ulteriore Portale dei desideri in una casa piena di Portali dei
desideri. Lui ci sarebbe passato attraverso; le braci pian piano sarebbero
diventate verdi, si sarebbero trasformate in soffici felci verdi.
Bussarono alla porta. "Philip?" chiam Rose. "Stai bene?"
Come al solito non aspett che lui dicesse "Entra pure", ma spalanc la
porta e gli si par davanti. Lui salt in aria con uno scatto cos repentino che
il libro che stava leggendo gli schizz dalle mani e and a sbattere contro la
parete. Solo dopo qualche secondo si rese conto che l'incubo peggiore della
sua adolescenza non si era avverato; che non era stato sorpreso a fare niente
di cui Rose potesse trovarlo colpevole; che era seduto circondato non da
riviste pornografiche, ma dai libri della sua infanzia, i libri pi innocenti di
tutti.
"Stavo solo sfogliando alcuni dei miei vecchi libri" le disse, e bench
dicesse la verit, la sua era la voce di un bugiardo.
"Lo vedo bene" disse Rose, e rise.
"Be, scusami se mi comporto da madre, ma spero che tu abbia intenzione
di rimettere a posto quei libri quando hai finito."
"S, mamma."
"Perch tu non abiti pi qui, ma tuo padre e io s... Dio permettendo... e
usiamo questa stanza e vogliamo che abbia un aspetto ordinato."
"Certo mamma, naturalmente."
"D'accordo, allora." Aveva un'espressione dubbiosa. "Posso davvero
contare su di te?"
"Mamma!"
"D'accordo, d'accordo. Ti lascio solo." Indietreggi e chiuse la porta,
scuotendo la testa, chiaramente grata di avere un'opportunit di comportarsi
di nuovo da madre. Sollevato, Philip si mise di nuovo a sedere sul
pavimento. Sapeva, naturalmente, che tutte le riviste erano scomparse da

molto tempo, gettate ritualisticamente il giorno prima di partire per il


college. Non era rimasto veramente niente qui che potesse macchiarlo,
niente di cui lei potesse accusarlo.
Tuttavia Philip si guard intorno, cercando di trovare qualcosa da
nascondere.
L'estate in cui Philip lesse per la prima volta i romanzi di Derek
Moulthorp fu l'unica estate in cui Rose e Owen gli fecero fare una vera
vacanza.
Lui aveva dodici anni, non era ancora entrato nella pubert, ed era
preoccupato per la nuova scuola che avrebbe frequentato in autunno. Ogni
estate fin dal loro ritorno da Roma le loro vacanze erano consistite in due
settimane alla spiaggia nel New Jersey, a casa della cugina Gabrielle a Long
Beach Island, dove Philip, annoiato e solo, passava la maggior parte dei
suoi pomeriggi camminando su e gi per la spiaggia, e prendendo a calci un
grande pallone a strisce bianche e rosse. Uno dei giorni di quelle due
settimane, per esaudire le preghiere sconsolate di Philip, Rose e Owen lo
portavano al parco dei divertimenti di Asbury, dove lui saliva
sull'ottovolante e passava attraverso la Camera degli Orrori e andava sul
Calci in culo e sull'Aragosta. C'era una strana malinconia in quei pomeriggi,
a montare da solo o con altri bambini soli (di solito bambine grasse con le
magliette sbracciate, che sgranocchiavano zucchero filato) su macchinette
destinate a ospitare delle coppie e incoraggiare un'intimit sessuale. Owen e
Rose lo seguivano, stanchi e annoiati nella calura, schermandosi gli occhi
dal sole, mentre di quando in quando un bambino scalzo strillava, con le
piante dei piedi bruciacchiate dall'asfalto. I giri sulle giostre facevano venire
la nausea a Owen e terrorizzavano Rose, che dubitava di riuscire a
riprendersi da un giro in particolare in cui era stata legata in piedi all'interno
di una cosa simile a un gigantesco pentolone che girava su se stesso e
roteava nel cielo, col suo carico di prigionieri in piedi che urlavano.
Perdette il cappello, e in seguito sarebbe salita soltanto sul tranquillo
trenino che li portava attraverso il Paese delle Fiabe. Una volta o due
Gerard, l'amico di Philip, fu loro ospite per qualche giorno, e Rose e Owen
furono sollevati da quel compito; i ragazzi andavano da soli ad Asbury
Park, mentre i genitori se ne stavano a leggere in un ristorante con aria
condizionata, e la melanconica escursione rituale da una corsa all'altra
riacquistava all'improvviso nuova vita per Philip. In compagnia di Gerard,
non doveva pi aspettare che arrivasse un altro bambino solo per
condividere con lui la chela dell'aragosta volante. Ci salivano insieme, e
quella che lui conosceva come forza centrifuga, premeva il caldo corpo di

Gerard contro quello di Philip mentre lui annaspava alla ricerca d'aria,
sentendosi sepolto sotto la massa di Gerard. La figlia di Gabrielle e di Jack,
Michelle, che aveva un anno pi di Philip, talvolta si univa a loro e portava
le sue amiche, che assimilavano Philip nel loro facile cameratismo
provinciale.
Ma un'estate i Benjamin arrivando scoprirono che Michelle aveva
sviluppato dei grossi seni e si era pettinata come Farrah Fawcett, dopodich
Philip, ancora un bambino a dodici anni, se ne rimase in camera sua,
spaventato dai ragazzoni dalle voci roche che si aggiravano nei paraggi per
ammirare la potente e minacciosa pubert della ragazze.
Michelle a tredici anni ne dimostrava venti, andava regolarmente nei bar,
e rideva a crepapelle quando Rose e Owen le chiedevano se voleva
accompagnarli ad Asbury Park, come se fossero passati cent'anni dall'estate
precedente. Ancora una volta solo, Philip sal sull'Uragano e sul
Capitombolo, e si preoccup dei peli radi che incominciavano a crescergli
sotto le braccia. Per paura che sua madre li vedesse, si teneva addosso la
camicia fino all'ultimo momento quando andava a nuotare, poi si tuffava in
acqua, con le braccia incollate ai fianchi.
Per tutta quell'estate, tornato in citt, Philip fu apatico. Rose diede la
colpa al tempo. Fuori era cos afoso che tornando a casa dal lavoro, talvolta
le sembrava di guardare attraverso del miele caldo, tanto l'aria era difficile
da respirare, e piena di calura. I genitori di Gerard quell'estate avrebbero
portato il figlio in Egitto, disse Philip a Rose e a Owen una sera a cena. "E
l'estate scorsa l'hanno portato ad Atlanta." Si piant una forchettata di
insalata in bocca e non aggiunse altro, ma loro ricevettero il messaggio.
"Be" disse Rose a Owen quella sera, "perch no?
Io ho delle vacanze arretrate.
Potremmo prenderci il mese di agosto, e andare a Ovest, affittando una
macchina."
Owen pos il suo libro. "S, si potrebbe" disse.
"Ho sempre desiderato farlo."
"S"
"S."
Ma il viaggio in realt era per Philip. Volarono fino a Tucson e affittarono
una macchina e per tre settimane guidarono attraverso il Nuovo Messico e
l'Arizona e tutta la California, dormendo nei motel e mangiando in ristoranti
con annessi negozi di regali in cui le donne che portavano occhiali a farfalla
vendevano "oggetti di autentico artigianato indiano" Anche se le passarono
in rassegna tutte, le grandi attrazioni suscitarono poco interesse in Philip.
Cresciuto con un View-Master, rest impassibile di fronte allo spettacolo

del Grand Canyon, mentre a Disneyland le code erano cos lunghe e


trafficate che non riusc mai a salire sulle Tazzine da T o sul Monte
Cervino, e dato che i Pirati dei Caraibi erano in fase di restauro, dovette
accontentarsi di un Piccolo Mondo per ben tre volte, su una barchetta
affollata di donne anziane. Erano le attrazioni turistiche minori che Philip
avrebbe ricordato per sempre. Dalle parti di Santa Cruz, incominci a notare
un adesivo sui paraurti di molti camper e roulotte tra cui tendeva a restare
incastrata la loro macchina presa a nolo. Era giallo, con sopra un grosso
cerchio nero, e declamava a grandi lettere nere: "Io sono stato sul luogo del
mistero!" E naturalmente, man mano che si dirigevano a Nord,
incominciarono ad apparire dei cartelli sulla strada, che chiedevano, "Siete
stati sul luogo del mistero?" o che dichiaravano, "Ancora dieci miglia al
luogo del mistero." E quando finalmente arrivarono sul Luogo del Mistero un parcheggio nel ben mezzo di un'enorme foresta di sequoie - Philip
rimase deluso nel non vedere un grande punto nero proprio l, come era
stato promesso, un perfetto cerchio di terra bruciata, forse un luogo di
atterraggio per astronavi aliene.
Invece, lui, Rose e Owen e altre tre famiglie furono condotti su per un
sentiero fino a una casa dove la gravit funzionava alla rovescia e le palle
rotolavano verso l'alto. Quando tornarono alla loro macchina, scoprirono
che un grosso adesivo giallo, proprio come quelli che avevano visto, era
stato incollato ai loro paraurti, in maniera tale che era quasi impossibile
staccarlo.
Continuarono ad andare verso Nord, e quando incominciarono a vedere
degli adesivi che dichiaravano, "Mi sono arrampicato sugli alberi del
mistero?" Owen croll la testa.
Dietro le insistenze di Philip, si arrampicarono sugli Alberi del Mistero, e
affrontarono la Valle dei Dinosauri, dove gigantesche riproduzioni di
plastica di tirannosauri e brontosauri allungavano il collo verso il nulla in un
prato di erba giallastra. Visitarono il villaggio del nascondiglio segreto di
Santa Claus, dov'era Natale tutto l'anno, e nanetti di metallo arrugginito e
fiocchi di neve di cotone ornavano alcune giostre patetiche che giravano
interminabilmente e a vuoto al suono delle zampogne nella calura estiva. Si
fermarono al ristorante del Carciofo Gigantesco e al Paradiso della Trota,
dove per un dollaro al colpo si poteva pescare da vasche stracolme di trote
affamate. E tutto questo Rose e Owen lo sopportarono stoicamente,
sapendo, forse, quanto dovevano apparire strani nei loro abiti newyorchesi,
Owen con la camicia tutta abbottonata e i pantaloni neri, Rose con le gonne
e i sandali e le camicette senza maniche.

Tutt'intorno c'erano madri e padri in bermuda e occhiali da sole, completi


da tennis e occhiali da sole, camicette hawaiiane e occhiali da sole.
Avevano bambini chiassosi dalle facce appiccicose, e numerosi per di pi, e
talvolta, mentre Owen e Rose bisticciavano davanti alla piantina stradale nel
parcheggio, Philip lanciava occhiate piene di desiderio alla volta di questa o
quella madre che, masticando gomma, cercava di riammassare la propria
prole nella roulotte. Questo spettacolo gli ricordava la vecchia che viveva in
una scarpa.
Sul sedile posteriore della macchina, mentre Rose e Owen guidavano,
Philip leggeva i romanzi di Derek Moulthorp. Fu un'idea di Rose quella di
portarseli appresso. Lei stessa si era commossa leggendo la delusione di
Dorotea per Roma, in Middlemarch, mentre soffriva grandi delusioni
proprio a Roma, e pertanto credeva che leggere di un'esperienza mentre la si
faceva fosse necessariamente una buona cosa. Philip stava sul sedile
posteriore, Il portale dei desideri in grembo, respirava dalla bocca, perso nel
racconto, e di quando in quando Owen diceva: "Guarda quell'albero!"
Oppure: "Guarda quella montagna!" e lui doverosamente guardava prima
di tornare al suo libro. All'inizio Rose lo rimproverava come
presumibilmente doveva fare una madre. "Lo sai che non ti fa bene leggere
in macchina, Philip" lo ammon ripetutamente, finch non fu chiaro che
Philip non soffriva di alcun effetto collaterale.
Owen guidava, Rose ripiegava cartine, Philip leggeva. Oltre al Portale dei
desideri, lesse il Campo ghiacciato, in cui gli animali che sono stati
risvegliati dall'ibernazione, incominciano ad apparire, misteriosamente, su
un campo di grano ghiacciato nel Minnesota, in pieno inverno. Lesse Il
misterioso signor Olifante, in cui un bambino si perde nell'enorme plastico
semidiroccato di un progetto abitativo su una delle lune di Giove. Lesse
Questa e Nebular, in cui una bambina conosce un paio di strani vicini, una
bambina molto grassa dai capelli rossi e il suo fratellino adottivo, che
potrebbero anche essere emissari degli alieni. La sera si fermavano in
piccoli motel sulla strada, e Philip si sdraiava sulla brandina allestita ai piedi
dei letti gemelli dei suoi genitori e leggeva fino a tarda notte. Il mondo dei
romanzi di Moulthorp - deserti da guida tascabili, colonie extraterrestri
dimenticate, enormi progetti abitativi - era il mondo di ogni bambino
solitario, ma trasformato, esaltato, reso magico.
Vedendolo cos perso nei suoi libri, Rose e Owen si chiesero se la
vacanza lo stesse divertendo. Volevano che si divertisse. Dopo sei estati
vuote si sentivano colpevoli e volevano riparare alla loro distrazione. Loro
stessi sopportavano la vacanza come meglio potevano, bench spesso si
sentissero spaesati e ridicoli nello strano mondo della California che era

loro infinitamente pi estraneo di Roma. Nell'unica fotografia di quella


vacanza che Philip riusc a conservare - perch come ogni bravo turista,
Owen si era portato una Instamatic e fotografava paesaggi quando riusciva a
ricordarselo - i genitori sedevano su un gigantesco tronco di sequoia,
sottobraccio, sorridenti, circondati da un arabesco di alberi; sotto la gonna,
le caviglie di Rose erano abbronzate - o forse l'istantanea si era
semplicemente ingiallita col passare del tempo. Owen sedeva rigido accanto
a lei, e met di lui era tagliata dal bordo bianco della carta fotografica
perch Philip, che aveva scattato la fotografia, non era stato capace di fare
un'inquadratura giusta.
Talvolta Rose e Owen sorprendevano se stessi (e Philip) rivelando
capacit nascoste di piacere. Poco prima della fine del viaggio,
soggiornavano in un motel a Half Moon Bay proprio in riva all'oceano.
Philip non ricordava come mai erano cos euforici quella sera - se una volta
tanto avevano deciso di bere vino a cena, o se erano semplicemente
rinvigoriti dal vento fresco e lieve, dal sale nell'aria, e dal rumore
dell'oceano fuori dalla loro finestra.
Qualunque fosse il motivo, alle dieci o alle undici di quella sera lo
strapparono dalla poltrona in cui si era rannicchiato a leggere, e lo
trascinarono fuori dalla porta e si misero a correre su e gi per la spiaggia
vuota, Rose ridendo, con le scarpe in mano. A un certo punto Rose corse
nell'acqua e strill per quanto erano fredde le piccole onde che le lambivano
le caviglie. Owen lo port alle pozze d'acqua lasciate dalla bassa marea, e
quando punt la torcia elettrica verso di esse, Philip vide piccoli cose
viventi che strisciavano e si dimenavano nell'accecante bagliore. Un paguro
bernardo sfior la mano di Philip, poi lui riusc a ficcare un dito dentro la
bocca di un anemone di mare, che gli si chiuse istantaneamente intorno.
Bench fosse attaccato alla roccia, spieg Owen, l'anemone di mare era un
animale e non una pianta. Viveva digerendo qualsiasi cosa fosse tanto
sfortunata da cadergli dentro. Preoccupato, Philip tir fuori il dito, e la cosa
appass per la perdita. Dappertutto lungo la spiaggia, brillavano piccoli
grumi di luce dove gruppi di adolescenti avevano acceso dei fuochi
all'aperto.
"Ehi, amico! Vuoi dell'erba?" gridarono, e Owen spinse avanti Philip,
verso Rose che stava ancora correndo sui bordi dell'oceano, coi piedi che
sfioravano l'acqua come sassi.
Al di l della porta chiusa della stanza di Philip una televisione
funzionava a volume bassissimo.
Partivano esili spari, seguiti da deboli grida, da uno sgommare di piccole
ruote, e da un balbettio di sirene. Philip diede per scontato che sua madre

stesse guardando "L'Agenzia Rockford" - un programma al quale le donne


della sua generazione sembravano misteriosamente assuefatte. Il volume
basso, lo sapeva, era a suo beneficio.
Si era addormentato sul pavimento, circondato dai suoi vecchi libri, e lei
non aveva voluto svegliarlo. A un certo punto nel corso della serata gli
aveva gettato addosso una coperta, e ficcato un cuscino sotto la testa, e
aveva spento la luce. Da questo letto improvvisato Philip osserv il
baluginio dei raggi colorati attraverso la fessura in fondo alla porta, e rimase
in ascolto mentre i rumori di violenza lasciavano il posto a rumori domestici
- i bambini di una pubblicit, allegri come inni natalizi. "I biscotti hanno lo
stesso buon sapore di mamma" sembrava cantassero. Aveva davvero sentito
giusto?
Scost la coperta e si alz traballando. Le lucette rosso sangue della
sveglia pulsavano nell'oscurit.
Erano le 11,38. Accese la luce, si scherm gli occhi: ma quando apr la
porta che dava sul soggiorno, il volume aument immediatamente. Rose era
seduta sul sof, e in realt guardava "Mannix" con un piatto vuoto sul
pavimento accanto a lei. Si gir quando vide Philip e sorrise.
"Ti sei addormentato" gli disse.
"Lo so" rispose Philip. "Devono essere stati tutti quei vecchi ricordi."
"Ti andrebbe un panino?"
"No, grazie."
Si sedette accanto a lei sul sof.
Sullo schermo televisivo, Mannix stava interrogando una casalinga
dall'aria spaventata. "Che sta succedendo?" chiese Philip.
"Un giro di droga. Suo marito implicato nella faccenda. Il grosso
industriale."
"Mi pare che ci sia sempre un grosso industriale implicato."
"Di recente, s, ma ricordati che questo "Mannix" Questo del 1969, per
cui non era ancora un clich."
"Ah, ah." Le finestre, quando le guard, erano guaine di nero, lucide
come coppale. "Dov' pap?" chiese Philip.
"Non lo so. Avrebbe dovuto rincasare alle dieci. Ma a volte le cose vanno
per le lunghe."
"Hai saputo pi niente dell'appartamento, comunque? Del progetto della
cooperativa?"
Un'espressione dolorosa, rapida come un tremito, pass sul viso di Rose,
poi scomparve. "Non sta andando molto bene, la maggior parte degli
inquilini sembrano favorevoli. Perch possono comprare i loro appartamenti
e rivenderli per il doppio del prezzo."

"Quindi potreste far lo stesso anche voi."


"Anche con le facilitazioni offerte agli inquilini il prezzo sarebbe alto per
noi. Dovremmo chiedere un prestito. Tuo padre andato in banca, e gli
hanno chiesto se aveva dei debiti, e quando lui ha risposto di no, lo hanno
guardato con aria molto scettica. Di questi tempo se non hai debiti non ti
danno affidamento."
"Oh, mamma" fece Philip, "non preoccuparti. Sono sicuro che otterrai il
mutuo. Poi potreste vendere e trasferirvi in un posto stupendo - forse il West
Side."
"Certo, possiamo vendere e comprare un appartamento pi piccolo dove
dovremo pagare tre volte tanto per la met di quello che abbiamo adesso ma non voglio affliggerti con questi discorsi, Philip. Non sono interessanti."
Prese una noce dalla ciotola, e se la rotol nel palmo. Sullo schermo,
Peggy stava riferendo a Mannix i suoi messaggi.
"Penso che rester qui stasera, se non ti spiace" disse Philip. " gi cos
tardi ormai."
"Lo sai dove sono le lenzuola."
"S, mamma, volevo dirti..."
"Ssh!" disse Rose. "Solo un secondo." Si pieg in avanti, concentrandosi
sullo schermo, dove un uomo stava correndo fuori da una casa, oltre una
piscina, su un prato grande e verde. Rimbomb uno sparo.
Da dove stava seduto, dalla parte opposta del sof, Philip si avvicin a sua
madre. Rannicchi i piedi sotto le gambe. Cautamente, lasci che la testa gli
si piegasse sulla spalla di lei - cos lievemente che la sfiorava solo con le
punte dei capelli - poi vi si lasci affondare.
Il suo vestito aveva un odore dolce, di albicocche. La sentiva respirare
sotto di lui, sentiva il battito del suo cuore, il leggero gorgoglio del suo
stomaco. Lei non stacc gli occhi dallo schermo, ma la sua mano si alz da
dove era appoggiata e gli accarezz la testa.
"Vorrei tanto saper qualcosa di tuo padre" disse Rose. "Spero che stia
bene."
Per generazioni, i ragazzi ricchi dell'Upper East Side avevano chiamato la
Harte School "la prigione" o "la tomba" Il soprannome non aveva niente a
che vedere con il grado di disciplina imposto dai docenti, che era in
generale tollerante; si riferiva, invece, all'aspetto scuro e tetro dell'edificio
stesso. La scuola torreggiante sopra la Fdr Drive e l'East River,
assomigliava a uno di quegli orfanotrofi che nei romanzi vittoriani sono la
sede di indicibili orrori perpetrati da perfide e ossute governanti. Le
inferriate tutte arzigogolate e la fila di alte finestre sottili, oscurate dalla
fuliggine, facevano pensare alle frustate, ai topi, ai germi della polio

nell'acqua. Si mormorava che l'edificio esercitasse una cattiva influenza.


Sulla striscia della Fdr Drive su cui proiettava la sua ombra affusolata si
verificava un numero allarmante di incidenti stradali. La maggior parte dei
residenti del sonnacchioso quartiere tedesco in cui si ergeva la scuola
cambiavano strada per aggirarla, osservando che l'edificio era un'offesa per
gli occhi. Persino l'associazione storica locale, nella sua piccola guida
all'architettura del quartiere, lo descriveva scusandosi come "un infelice
esperimento di rinascita del neo-gotico"
Data l'imponente mitologia che generava l'architettura della scuola, i
visitatori che la vedevano per la prima volta rimanevano sorpresi, forse
persino delusi, nello scoprire, una volta entrati dal portone principale, che
l'interno della scuola era piuttosto normale, persino piacevole.
Corridoi rivestiti di moquette collegavano l'atrio di marmo dagli alti
soffitti con le scale, gli ascensori, e le aule. Nelle nicchie sulla rampa delle
scale c'erano vasi di fiori freschi, e un bagno speciale con carta da parati di
Laura Ashley per il corpo docente femminile e le madri in visita. Non
c'erano soffitte semibuie, n materassi strappati.
Dietro la ragnatela di inferriate di ferro battuto nella scuola c'erano
piccole aule bene illuminate piene di stampe incorniciate del Museum of
Modern Art, computer Apple Macintosh, e videoregistratori.
In realt erano proprio i ragazzi privilegiati della Harte che se la godevano
di pi per la brutta facciata della "prigione", ed erano responsabili delle
strane dicerie sulla loro scuola che circolavano alla Browning, alla St.
Bernard, e alla Collegiate. Gli studenti nuovi - in particolare quelli che
arrivavano a met trimestre perch i genitori si erano appena trasferiti in
citt da Houston o dalla California, venivano festeggiati con la leggenda
spuria di Jimmy O'Reilly, che era "scomparso" un bel pomeriggio del 1959
mentre marinava l'ora di ginnastica, solo per essere scoperto nella stanza
della caldaia sei mesi pi tardi, col corpo decomposto e mezzo mangiato dai
topi.
In seguito, l'iniziato veniva condotto in un terrificante giro nelle cantine
labirintiche della scuola, durante il quale si "smarriva" convenientemente
nella stanza buia priva di finestre sotto la palestra. Dopo un bel po, se il
ragazzo gridava abbastanza forte, veniva liberato. Inutile dirlo, Halloween,
alla Harte School, era una delle festivit predilette e piena di calamit. I
ragazzi arrivavano in casse con accette piantate in testa, gocciolanti sangue,
o con un terzo occhio nel bel mezzo della fonte.
Talvolta terrorizzavano le ragazze della St. Eustacia in fondo alla strada,
invadendo i loro spogliatoi travestiti da morti viventi. Le ragazze della St.
Eustacia erano famose per la loro ottusit e codardia, ma in generale, erano

anche pi grandi e grosse dei ragazzi della Harte, e in pi di una occasione i


piccoli della Harte dopo queste incursioni pomeridiane tornarono
strisciando con un occhio nero e sangue vero, mescolato alla salsa di
pomodoro che si erano versati sulla camicia.
Philip aveva dodici anni quando Owen incominci a lavorare alla Harte.
Fino ad allora aveva frequentato una scuola oscura e modesta nel West
Side. Quando Owen accett il lavoro alla Harte, molto pi costosa e
prestigiosa, lo fece non solo per il suo bene ma anche per quello di Philip;
infatti, l'abbuono del canone scolastico del figlio fu una delle esche
principali con cui l'amministrazione della Harte cattur Owen. Ma Philip
odiava la Harte. Se ne lament con Rose, dicendo che non ci stava bene, che
i ragazzi lo coprivano di insulti e gli lanciavano strane occhiate. Lo
spaventava il loro atteggiamento duro da ragazzi ricchi, e il modo in cui
facevano capannello sulle scale, con i loro costosi pullover e impermeabili,
a fumare e a darsi grandi pacche sulle spalle. Si chiamavano tra loro con il
cognome, e alcuni di quei cognomi erano famosi, riconoscibili. A
peggiorare le cose, Philip, all'et di dodici anni, non era ancora entrato nella
pubert e aveva un aspetto molto pi sparuto e giovane della maggior parte
dei robusti ragazzi della Harte.
Naturalmente, si rese conto pi tardi, gran parte del suo disprezzo e della
sua paura aveva a che vedere con il fatto che il loro cameratismo, la loro
espansivit fisica (e la sua esclusione da essa) generavano in lui un
desiderio erotico terribilmente intenso. Nel suo isolamento di sbeffeggiato,
Philip si innamor prima di Sam Shaeffer, poi di Jim Steinmetz e di
Christian Sullivan, anche se non lo ammise mai. Ben presto non ce la fece
pi. Durante le vacanze di Natale, disse ai suoi genitori che non sarebbe
tornato pi alla scuola.
Quando gli chiesero che cosa intendeva fare invece, lui produsse una
cartelletta piena di cataloghi di altre scuole cittadine e annunci di aver
scelto una scuola privata mista del West Side che assomigliava a un
gigantesco televisore e che era nota per i suoi metodi educativi progressisti.
Il suo amico Gerard ci andava gi e gli piaceva moltissimo.
Allora Owen chiese a Philip da dove pensava che avrebbero preso i soldi,
e gli occhi di Philip si spalancarono, e il suo labbro inferiore incominci a
tremare.
"Owen!" disse allora Rose. "Ma non vedi quanto infelice? Dio mio,
tutto l'anno che depresso. Se la Harte non gli va, non gli va e basta.
La pagher io la sua iscrizione, per Dio. Mi prender dell'altro lavoro a
casa, ma non giusto da parte tua farlo rimanere l solo per non danneggiare
la tua reputazione!"

Owen non le rispose. La verit, bench non fosse disposto ad ammetterlo,


era che la Harte School gli ispirava la stessa paura e la stessa insicurezza
che faceva desiderare con tutte le sua forze a Philip di lasciarla. Si sentiva
isolato dal resto del corpo docente, che era costituito da vecchi reumatici,
giovani donne decise ed entusiaste laureatesi nelle pi prestigiose universit
femminili, e da omosessuali vecchiotti ed espansivi.
(Anche allora Owen non si includeva in questo terzo gruppo, bench
fosse un regolare frequentatore del cinema Bijou per adulti.) I genitori, che
in qualit di Preside delle ammissioni era tenuto a ricevere e a consolare
quotidianamente, lo trattavano con una noblesse oblige quasi impercettibile,
come se la sua condizione di membro della classe inferiore, in quanto ebreo,
e servo, fosse una cosa assolutamente data per scontata.
Decise che se non poteva conquistarsi la propria liberazione dalla Harte, il
minimo che potesse fare era di favorire quella di Philip.
L'autunno successivo, con il benestare di Owen, Philip incominci a
frequentare il liceo Riverside, nel quale si diplom, quattro anni pi tardi,
con il massimo dei voti. Di fatto, fu Owen a coprire il grosso dei costi
scolastici; non aveva nessuna intenzione di permettere a Rose di
ammazzarsi di lavoro extra. Il giorno del diploma di Philip, egli rimase in
piedi accanto a Rose a osservare suo figlio, ora completamente cresciuto e
attraente, che ritirava il suo diploma e, con un'esuberanza che a Owen
risult alquanto insolita, lanciava al mondo intero un bacio teatrale, stile
Eva Peron. Si augur che un giorno Philip si accorgesse di quanto lui lo
avesse amato - in silenzio e a distanza - e apprezzasse il modo discreto in
cui, da dietro le quinte e senza mai dichiararlo apertamente, lo aveva seguito
e capito e protetto, e forse gli aveva reso la vita migliore.
Ma l'amore di un padre silenzioso, lo sapeva per esperienza, era difficile
da apprezzare, anche per il figlio pi comprensivo. In realt temeva che se
si fosse avvicinato troppo a suo figlio, avrebbe potuto trasmettergli delle
cose - delle cose a cui preferiva non dare un nome. E cos la distanza tra
loro due anzich diminuire, crebbe sempre pi man mano che Philip
diventava grande, finch seduti uno di fronte all'altro a colazione, Owen a
leggere il giornale, Philip a sussurrare tra s verbi in francese in vista di un
esame, fu come se il bianco tavolo di cucina fosse una tundra artica che si
ergeva fra loro, vasta e insormontabile. Non c'era tensione, n ansia
repressa; c'erano solo miglia e miglia di niente. Ed era come avrebbe dovuto
essere. Perch se fossero stati pi vicini, e se Philip avesse scoperto la verit
su Owen, avrebbe interpretato l'affetto di suo padre come qualcosa di
malato, qualcosa di perverso. Ma se non c'era affetto aperto, se lui si teneva
a distanza - be, allora di cosa avrebbe potuto accusarlo Philip?

Solo di tenersi a distanza. E non c'era niente di ignobile in questo.


Owen rimase alla Harte per anni, pi a lungo di quanto non intendesse.
Dato che, come Preside delle ammissioni, riceveva pi genitori di qualsiasi
altro amministratore, gli venne dato un ufficio che era lievemente pi ampio
e meglio situato di quello dei suoi colleghi. Aveva una nuova scrivania di
quercia e tre finestre, e un'intera parete a cui, insieme ai diplomi (incluso il
suo dottorato di ricerca messo in bella mostra sotto richiesta del direttore),
erano appese antiche fotografie in bianco e nero dei ragazzi della Harte
intenti al lavoro nel laboratorio di chimica, o ridenti sul campo da gioco, o
con lo sguardo alzato sull'insegnante, con gli occhi annebbiati dalla scienza.
Queste fotografie, montate su uno strato spesso di polistirolo ed
elegantemente incorniciate, erano dei falsi estremamente ben ambientati. Il
laboratorio di chimica in questione non era mai esistito. Il fotografo aveva
allestito boccette e alambicchi in un ordine che considerava estetico e aveva
detto ai ragazzi: "Benissimo, adesso cercate di sembrare affascinati.
Perfetto. Bene". I ragazzi avevano seguito obbedienti le sue indicazioni. Se
mai i bambini dell'Upper East Side sapevano qualcosa, era come simulare il
piacere posando per una fotografia. E bench fosse spesso tentato di farlo,
Owen non rivel mai questa piccola frode ai genitori che si accalcavano alla
sua scrivania, pregandolo di considerare le qualit dei loro figli per
l'ammissione. Estraeva invece delle liste e dei grafici statistici che
mostravano quanti college dell'Ivy League avrebbero accettato i loro figli, e
che voti meravigliosi avrebbero conseguito, e quali studi legali e agenzie
pubblicitarie e finanziarie li avrebbero impiegati, se fossero stati abbastanza
fortunati da essere tra i pochi scelti dalla Harte.
I genitori esaminavano le statistiche.
Di solito non doveva faticare molto a vendere le sue carte. Erano i
genitori che dovevano venderle, e talvolta i bambini stessi. "Mi rendo conto
che i voti di Greg non sono i migliori del mondo, ma ha tanta
immaginazione ed energia" gli dicevano le madri. "Ha incominciato a
leggere molti piccolo.
Ha sempre detto cose spiritosissime in compagnia." I padri si vantavano
del know-how intuitivo dei loro figli, dell'istinto imprenditoriale che
mostravano nel darsi da fare per consegnare i video dal negozio di noleggio
locale agli altri inquilini del palazzo in cui abitavano. I ragazzi stessi
arrivavano nel suo ufficio ben strigliati e ben preparati. "Perch voglio
andare alla Harte School?" chiedevano ripetendo accuratamente la domanda
di Owen per prender tempo e ricordare la risposta.

"Perch sono convito che la sua combinazione di tradizione e innovazione


nella metodologia educativa sarebbe consona al mio sistema di valori
personale."
Passavano a centinaia nell'ufficio di Owen; sedevano di fronte a lui,
impacciati e intimoriti nei loro abiti scuri. Owen, vestito a sua volta di un
rigido abito scuro, talvolta doveva combattere l'impulso di scoppiare a
ridere per la ridicolaggine della sua posizione che lo vedeva, uomo fatto e
con tanto di laurea in letteratura comparata, assunto per spaventare dei
ragazzini. Di solito, dopo i primi cinque minuti lanciava loro un sorriso per
consolarli. Talvolta rimaneva impassibile e guardava le loro spalle
irrigidirsi. Era facile andare oltre il discorsetto che i genitori avevano
preparato per loro. A Philip piaceva farli parlare di quel che li appassionava,
sia che si trattasse degli Hardy Boys o delle partite a scacchi o di Twisted
Sister. Alcuni di loro avevano capelli lunghi che si erano chiaramente
rifiutati di tagliare. Altri non avevano alcun istinto alla ribellione e
sembravano ansiosi di seguire le orme dei loro genitori, di divenire
esattamente tutto ci che avrebbe reso ciascun componente della famiglia
pi contento e felice. Questi erano i ragazzi che a Owen piacevano meno.
Talvolta si chiedeva che cosa avrebbero pensato di lui tutti quei genitori
se avessero saputo la verit sul suo conto. Una volta che i loro figli erano
stati accettati, il loro atteggiamento gi cambiava impercettibilmente.
Tornava a far capolino la loro originale alterigia, e lo trattavano con la
stessa protettiva facilit che avevano riservato al resto del corpo insegnante;
adesso che avevano ottenuto da lui quello di cui avevano bisogno, non c'era
pi bisogno che si inchinassero a questo ebreo piccolo borghese. Seduto nel
suo ufficio di fronte a un ragazzino spaurito, con la porta chiusa, aveva
spesso considerato la sessualit implicita del colloquio, che si trovava a
met strada tra uno stupro e una seduzione. Il candidato era obbligato a
rendersi il pi attraente possibile per l'intervistatore; l'intervistatore aveva il
compito di dominare e terrorizzare il candidato. Se avessero scoperto la
verit sul suo conto, decise Owen rapidamente, i genitori della Harte
sarebbero stati inflessibili nell'esigere le sue dimissioni immediatamente,
prevedendo che, quand'anche non l'avesse gi fatto, era solo questione di
tempo perch perdesse il controllo e incominciasse ad approfittarsi dei loro
piccoli ragazzini indifesi, molti dei quali, pur di ottenere le macchine e i
computer che erano stati loro promessi se fossero riusciti a entrare alla
Harte, avrebbero fatto quasi qualsiasi cosa. Il che era doppiamente ironico,
dato che Owen non era per niente attratto dai ragazzi e aveva poca simpatia
per gli uomini che lo erano. I suoi gusti si dirigevano invece verso uomini
molto mascolini con facce scavate e petti villosi, bench fosse quasi una

barzelletta affermare che Owen avesse un qualche "gusto" in fatto di


uomini. Sapeva quali immagini sullo schermo o in una rivista lo eccitavano;
tutto qui. Ma niente di tutto questo sembrava avere una correlazione con la
realt, con la possibile eccezione di Winston Penn, il nuovo insegnante di
inglese, i cui capelli biondi e la faccia dalle mascelle forti e gli occhiali
cerchiati di metallo si erano insinuati pi di una volta nella seconda vita
masturbatoria di Owen.
Gli piaceva Winston Penn, gli piaceva la sua voce lenta e accurata, gli
piacevano i suoi gilet di maglia e le sue cravatte a farfalla. Ma non avrebbe
mai potuto avvicinare Winston Penn, eccetto come collega. Aveva imparato
molto presto, ancora alle medie, quanto faccia male avvicinarsi a degli
uomini che non ricambieranno mai l'intimit.
Adesso erano le nove e mezzo di marted sera, e Owen era seduto nel suo
ufficio, al buio, da solo, e si passava tra le dita un pezzo di carta molto
stropicciato sul quale i numeri si erano cancellati ben oltre la leggibilit. Ma
non importava; li aveva memorizzati. Prima, quella stessa sera aveva tenuto
a un gruppo di futuri genitori della Harte un discorso che gli era cos
familiare che, come Rose diceva per scherzo, avrebbe potuto farlo col pilota
automatico. Mentre parlava, la sua mente vagava in altre direzioni, in
cerchi, riaggregando interminabilmente le due serie di sette numeri e il loro
equivalente in lettere, creando anagrammi, creando un linguaggio.
L'uomo si chiamava Alex Melchor, e avrebbe salvato la vita di Owen - se
solo Owen avesse avuto il fegato di chiamarlo. Ormai era seduto da
quarantacinque minuti, con la mano che ospitava la cornetta nera gi viscida
di sudore. Di quando in quando veniva preso dal panico. Si alzava e
percorreva a grandi passi la stanza, con la mente stretta nella morsa del
senso di follia e di pericolo insito in quanto stava per fare, una sensazione
cos potente da sembrare una cosa che aveva appena concepito, anzich un
sentimento con cui aveva convissuto per anni. Sulla sua scrivania, le
fotografie di Rose e Philip lo fissavano con un'intensit quasi pornografica.
Periodicamente si sedeva di nuovo alla sua scrivania, componeva con calma
il numero (bench le sue mani tremassero), poi schiacciava i due pulsanti in
cima al telefono con una violenza terribile e li teneva cos, per assicurarsi di
avere effettivamente interrotto la comunicazione. Il suo ufficio era un
purgatorio, una terra di mezzo dove il riposo era impossibile. Sapeva che
non avrebbe potuto andarsene finch non avesse fatto la telefonata che non
trovava la forza di fare. E al tempo stesso, man mano che le ore passavano,
e la notte scivolava via, si chiedeva cosa sarebbe stato pi forte se non
avesse fatto la telefonata: il senso di sollievo per avere resistito a una
tentazione ed essere sfuggito a un pericolo potenziale, o il senso di dolore

mentre camminava nelle strade vuote e scure dell'Ottava verso la


metropolitana, col desiderio struggente di toccare ed essere toccato da un
altro uomo che cominciava il suo triste lamento dentro di lui. Quel desiderio
stasera pulsava in lui pi forte che mai.
Doveva fare la telefonata, si disse.
Non era pi una questione di scelta.
Doveva fare la telefonata, e parlare di quelle cose per la prima volta in
vita sua, e non avrebbe lasciato questa stanza finch non l'avesse fatto.
E se Alex Melchor non fosse stato in casa? Allora il sostituto che
squillava nel cuore del telefono sarebbe andato avanti all'infinito, e nessuna
voce umana l'avrebbe interrotto. Poteva camminare fino a casa senza sforzo,
spinto dal battito di un cuore che gli martellava in petto, poi rallentava, si
assestava.
Nessuno avrebbe potuto accusarlo di vilt, o di non aver provato.
(Nessuno eccetto se stesso) Si sarebbe lavato le mani, si sarebbe seduto
nella sua poltrona favorita, avrebbe letto e mangiato un pezzo della torta di
mele di Rose. O no? Ricord la voce di Alex Melchor, rotta dal respiro
mentre sussurrava nel cinema buio: "La prego.
Non posso farlo qui. Non possiamo andare da qualche altra parte?"
Parole cos inaspettate, cos improbabili in un posto del genere, cos
sorprendentemente tenere. Le sue dita si contrassero inconsciamente mentre
ancora una volta provava la sorpresa dell'eccitazione attraverso il cotone
bianco, il duro grumo l sotto. Era innamorato di Alex Melchor, di tutto
quel che sapeva di lui, della sua biancheria intima e della sua voce e del suo
numero di telefono, e mentre la paura lo allontanava dal telefono, con la
stessa violenza il desiderio ve lo spingeva contro. La speranza si era
insinuata nella sua vita proprio mentre si stava abituando ad accettare il
dolore. E perch proprio adesso?
Non voleva la speranza. Non credeva nella speranza. Non pensava
neanche di aver bisogno della speranza. Eppure era nella sua morsa.
Stava immaginando cose che sarebbero state per lui inimmaginabili solo
un anno fa, un mese fa. Era la stessa fantasia che lo aveva trascinato
attraverso la scuola superiore, soltanto riveduta per adattarsi alla sua vita
attuale e alle sue rimpicciolite speranze. Col passare degli anni, mentre
guadagnava in intensit, il desiderio di Owen era divenuto sempre meno
specifico; adesso quello che cresceva in lui era un bisogno semplice e
indifferenziato.
Non era pi necessario che l'uomo avesse neri capelli ricciuti, o che fosse
pi alto di un metro e ottanta; non era pi necessario che si trattasse di un
amore perfetto e invidiabile del tipo che sbocciava nei film della sua

adolescenza. Tutto quel che desiderava era un uomo con cui fare all'amore pienamente, fino all'esaurimento, pi di una volta - e forse un po di
compagnia. Eppure, persino questo era altrettanto impossibile adesso di
quanto lo era stato allora. Aveva un lavoro, una moglie, un figlio. Forse
sarebbe riuscito a esprimerlo se fosse stato pi giovane e meno sistemato;
ma ormai gli sembrava che a ogni anno vissuto da ipocrita, la sua identit di
padre di famiglia, di marito, di professionista si cementasse nelle menti di
quelli che lo circondavano, per non parlare di quelli che amava.
Dopotutto, per ventisette anni era stato il marito di Rose; teneva tra le
mani il destino di lei come una granata. Per spezzare quella condizione
adesso - be, avrebbe dovuto perdere il lavoro. Avrebbe perso Rose. Avrebbe
perso Philip.
Eppure sapeva che non avrebbe lasciato questo ufficio, finch non avesse
composto quel numero, parlato a quella voce; che se non fosse stato stasera,
sarebbe tornato domani sera, e la sera seguente. Ormai la cosa era sfuggita
al suo controllo.
Cos rimase l seduto, col cuore martellante, mentre il telefono gli si
acquattava davanti senza vergogna, offrendogli di aprire per lui la cassaforte
segreta del suo cuore, la cui combinazione erano le sette cifre del numero di
telefono, da lungo tempo memorizzate, di Alex Melchor.
Sollev la cornetta. Compose il numero in una sorta di delirio, e fu solo
quando ebbe finito, e il telefono incominci a squillare che torn in s e si
rese conto di quello che aveva fatto con tanto facilit, e cap che non c'era
via di ritorno. Avrebbe potuto riattaccare, ma non aveva intenzione di farlo.
L'avrebbe lasciato squillare cinque volte. Uno.
Due. Tre.
Ci fu un clic. Trattenne il respiro.
Poi il rumore di un tonfo. "O merda!" disse una voce maschile. Sent
musica nel sottofondo - non riusc a riconoscere esattamente quale. Per
qualche misteriosa ragione, fu invaso da un senso di sollievo. Il suo polso
rallent. Aveva voglia di ridere.
"Mi spiace, mi caduto il telefono.
Pronto?" La voce era stridula, lievemente effeminata.
"Parlo con Alex Melchor?" disse Owen. Era piegato sulla sua poltrona,
coi piedi ficcati sotto le natiche, e sorrideva stuzzicandosi i denti e
trattenendo una risata.
"No, solo un minuto, adesso lo chiamo. Chi parla?"
"Pu dirgli che mi chiamo Owen Benjamin. Ma non riconoscer il nome."
Sent la voce che ripeteva queste parole distintamente, bench pareva non
avessero niente a che vedere con lui.

"D'accordo, solo un minuto. Alex! in cucina, resti in linea un minuto."


Era Vivaldi. Le Quattro Stagioni.
Owen chiuse gli occhi e si concentr sul canto d'uccello del violino, gli
esili pigolii musicali mentre l'archetto sfrecciava avanti e indietro. Prov a
pensare agli uccelli sugli alberi dei parchi d'estate, come gli aveva insegnato
a fare il suo professore in quarta elementare per apprezzare la musica.
Uccelli sugli alberi nei parchi d'estate. Non l'aveva mai dimenticato.
strano, pens, come ritornano le cose. Le cose non vanno perdute.
Altro trambusto. Poi la musica venne coperta da una mano sopra il
telefono.
"Pronto, sono Alex Melchor" disse una nuova voce, questa pi fonda, pi
minacciosa. Si sent uno strano rumore attutito, Owen, raggelato non riusc
a identificarlo. Per qualche secondo, non disse niente, aspettando che la sua
altra voce, la voce sicura, avesse la meglio, ma era fuggita via, lasciandolo
solo di punto in bianco.
Da qualche parte si ruppero le corde di un violino.
"Alex" disse. " Owen Benjamin che parla. Owen. Oh - tu non conosci il
mio nome, vero? Ma tu - noi - ci siamo conosciuti - tu mi hai dato il tuo
nome e il tuo numero di telefono e hai detto che avrei dovuto chiamarti,
farti una telefonata."
Ecco. Cos andava bene.
"Cosa?" disse la voce. Il rumore smorzato continuava. Cibo. Stava
mangiando. E Owen pens, non distruggermi, ti prego, non distruggermi.
"L'hai lasciato per me. Il tuo nome.
Mi hai detto di chiamare."
"Um... Owen... Non credo proprio" disse Alex Melchor. "Sei sicuro che si
tratti del mio nome e del mio numero di telefono? Sei sicuro di non aver
sbagliato numero?"
"No. C' il numero di lavoro e di casa." Owen ripet i numeri.
"Sono giusti. Mi spiace, ma non riesco proprio a ricordarmi di averti dato
questo messaggio. Dove l'avrei fatto?"
Owen balbett, strangolato. "In un teatro" disse.
"Un teatro!"
"S."
"Quale spettacolo? La settimana scorsa sono andato a teatro due volte.
Abbiamo visto Tango argentino e quel nuovo lavoro di Sondheim..."
"No, no... non a teatro... al cinema."
"Ah, al cinema."
Owen esit. "S."
"Be, quale?" Sembrava impaziente.

"Il Bijou" disse Owen. Chiuse gli occhi.


"Hai detto il Bijou?"
"S."
Alex Melchor incominci a ridere. Di gusto. Forte. "Allora, tesoro, quel
bigliettino deve essere piuttosto vecchio, perch sono dieci anni che non
vado in quel buco! Sei qualcuno che viene dal mio oscuro passato?" chiese.
"Ehi, Frank! C' il mio oscuro passato al telefono!"
Owen era prossimo alle lacrime. "Mi spiace, deve esserci un errore. Mi
spiace. C' qualcosa di sbagliato."
Digrign i denti, pronto a sbattere gi il ricevitore.
"Resta in linea" disse Alex Melchor.
"Non riattaccare. Mi incuriosisce questa storia. Dunque, tu dici che
qualcuno al locale porno ti ha dato il mio nome e numero di telefono?
Inutile dirlo, sono molto curioso di sapere chi sia questa persona."
"No. stato un errore. Mi spiace."
"Non riattaccare! Sembri arrabbiato.
Come hai detto che ti chiami, Bowen? Stai a sentire, Bowen, non fare
troppo caso a me, il mio strizzacervelli mi dice cinquantamila volte al
giorno che abbaio molto ma non mordo. Calmati adesso. Calmati."
"Mi chiamo Owen" disse Owen.
"Owen, non Bowen." Rise un po. Chi avrebbe avuto il coraggio di
chiamare Bowen un bambino? si chiese. Gli trem la voce. Gli si strinse la
gola, ma non riattacc.
"E allora, Owen, potresti descrivermi l'uomo che ti ha dato il mio numero
di telefono?"
"Era buio."
"Non ne dubito" mormor Alex Melchor.
"Comunque, te l'ho detto. Credo che sia un errore. Dopo che se n' andato
ho trovato il bigliettino sulla sua poltrona."
"hai trovato il bigliettino sulla..." Ci fu un attimo di silenzio.
"Dio mio!" disse Alex Melchor. "Che giorno era?"
"Domenica."
Improvvisamente la voce all'altro capo del filo scoppi in una risata
isterica. "Era Bob Haber!" disse.
"Ehi, Leo!" grid allontanandosi dal telefono. "Indovina chi si aggira
dalle parti del Bijou! Bob Haber!"
"Lo sapevo. Lo sapevo" disse Leo sullo sfondo.
"Scusami per averti lasciato al telefono cos" disse Alex Melchor.
"Immagino di aver capito qual la risposta a questo dilemma. Ho dato il
mio numero di telefono e il mio nome a questo attore che si chiama Bob

Haber. un vecchio collega di Leo - il mio amante - e l'ho conosciuto a una


cena. Io sono un agente, capisci, e lui aveva un sacco di... Be, per essere del
tutto onesti, mi piaceva il suo aspetto. Per cui gli ho dato il mio numero di
telefono e gli ho chiesto di chiamarmi che saremmo andati a colazione
insieme. Questo succedeva sabato. E domenica..."
"Deve essergli caduto di tasca. Lo so."
"E cos il mistero risolto."
"S. Mi spiace di aver..."
"Oh, non preoccuparti. Dispiace anche a me. Voglio dire, Owen, sembri
proprio un tipo simpatico. Ma io sono per cos dire sposato con Leo. E Bob
Haber Be, non te lo raccomanderei. davvero un tipo molto schivo."
"Certo" disse Owen, e avrebbe voluto dire, "Dimmi qualcosa, fammi
capire.
Invitami a cena. Presentami Bob Haber.
Salvami." Ma non lo fece.
"Arrivederci" disse.
"Arrivederci allora." Poi Alex Melchor riattacc.
Owen si lasci andare sulla poltrona. Sentiva il battito del suo cuore, una
piccola pulsazione persistente sulla fronte. Il sudore gli colava e si
asciugava sotto le sue braccia. Attraverso gli occhi semichiusi, vide che
erano passate le undici. Si rese conto, del tutto all'improvviso, che respirava
dalla bocca da pi di un'ora ormai. Aveva la gola secca, le labbra spaccate
fino quasi a sanguinare.
And in bagno. Era il classico bagno da scuola maschile, con un grande
canale di scolo al posto degli orinatoi e tre piccole toilette per quelli di
prima. A una delle file di lavandini smaltati di bianco si lav la faccia con
un pezzo di sapone da bucato. La stanza aveva un forte odore di
disinfettante. Dopo essersi pettinato, torn nel suo ufficio, riordin la
scrivania, si infil il cappotto, e usc. La notte era fredda, ma senza vento. Si
ficc le mani nel cappotto e part. Il cielo era immobile e chiaro e pieno di
stelle.
Per i primi venti isolati non cap affatto che cosa provava. Frammenti
della conversazione si ripetevano nella sua testa, nell'ordine sbagliato,
insieme ai brani delle Quattro Stagioni, una cacofonia di violini pigolanti.
Poi, verso la Settantaduesima Strada, si rese conto con sua grande sorpresa
di non star male. No, non stava affatto male. Con sgomento, scopr che la
sua speranza era ancora viva, enormemente ridotta nella mole, vero,
modesta un po vergognosa, ma era l, viva, e lottava ferocemente per
aggrapparsi a lui in questa notte fredda mentre andava spedito verso il
centro. Non aveva pi una presa sicura. Strisciava su di lui invece, come un

canguro neonato che deve annaspare, cieco e su quattro zampe, per trovare
la sacca della madre. La speranza aveva il fiato mozzo ma respirava
baldanzosa in Owen, alla ricerca di un posto dove crescere di nuovo.
Si tir su il collo del cappotto e cammin pi in fretta. Il suo fiato divenne
visibile nell'oscurit e nel freddo. Ce l'aveva fatta. Aveva telefonato. Ne era
uscito vivo, ancora se stesso. Questo per lui era pi importante del fatto che
non fosse mai esistito alcun messaggio, alcuna offerta dell'ultimo minuto. Si
era prefisso uno scopo e l'aveva conseguito, come avrebbe detto suo padre
quando lui era bambino, e cercava di costruire il modellino di una
macchina, una Ford modello T, e se non era venuta proprio perfetta - be,
che male c'era? aveva detto suo padre.
Hai fatto del tuo meglio. Sono fiero di te, e ti meriti un premio.
Owen si meritava davvero un premio.
Subito. Cos entr in un'edicola aperta tutta la notte e si compr una
stecca di cioccolato alle mandorle.
La sera della cena Derek Moulthorp, Jerene stava con il piede appoggiato
al bordo della vasca da bagno. Aveva indosso un pallido slip di seta; sotto le
ginocchia, le sue gambe erano coperte di crema da barba.
"Wow" disse Philip. "Sembri..."
"Lo so, lo so" disse lei. "Non dirmelo. ridicolo."
"Non ti tagli mai?" chiese Philip.
"Io mi taglio un sacco."
"Bada" disse Jerene, "sono sei anni che non lo faccio."
Il raschiare del rasoio contro la pelle fece fare una smorfia a Philip.
Si sedette sulla brandina di Jerene, stando bene attento a non stropicciare
il vestito di lana blu disseminato di fiori di campo che era stato posato con
tanta cura accanto ai lui. La fiss.
Jerene aveva un appuntamento.
Non sapeva proprio cosa l'avesse spinta a entrare nel negozio di Laura
Ashley. Ma era entrata, ricordando sua madre, i vestiti di pizzo che le erano
stati appioppati da bambina e la mano che le acconciava i capelli in tanti
riccioli. La commessa sembrava preraffaellita, pallida, quasi albina.
Lunghi capelli biondi le sfioravano le spalle. Se fosse stata allo Shescape,
se fosse stato sabato sera e avesse avuto la giacca di pelle, Jerene avrebbe
fatto la sua mossa. Esile come un serpente, era bravissima a farsi strada
sinuosamente sulla pista da ballo, arrivando dove voleva. La ragazza sulle
prime si sarebbe spaventata, poi sarebbe rimasta affascinata quando Jerene
avesse chiesto: "Hai da accendere?"
Disse invece: "Sto cercando un vestito", anticipando la sorpresa con una
sfida.

La proprietaria, una donna anziana in tailleur, abbass i suoi mezzi


occhiali per lanciare a Jerene un'occhiata francamente sospettosa.
Eccola l, alta pi di un metro e ottanta tutta jeans e pelle da capo a piedi,
in una stanza bassa piena di sacchetti di lavanda e pot-pourrie e carta da
parati con disegni di lill.
La proprietaria grigio acciaio la fissava come se temesse che Jerene
potesse rompere qualcosa per sbaglio o addirittura di proposito. Ma la
ragazza pallida non batt ciglio e le mostr un vestito dopo l'altro, e visto
che neanche uno le stava a pennello le offr gratuitamente una riparazione.
Si chiamava Laura (anche se non Ashley, e viveva coi genitori in Park
Avenue), e verso la fine del pomeriggio Jerene aveva il suo numero di
telefono e un appuntamento non ancora ben definito per bere un aperitivo
quando il vestito fosse stato pronto, tre giorni dopo. Uscendo dal negozio,
pens a un suo amico - un gay della Louisiana - che dopo aver detto tutto ai
genitori aveva esaudito al loro richiesta di una nuova fotografia spedendo
loro una sua foto con una ragazza, una sua amica di nome Lucy, a una festa.
Una settimana dopo i genitori gli avevano inviato un assegno di cinquanta
dollari. Sulle prime lui rimase sconcertato, e voleva chiamarli per chiarire le
cose. Ma di fatto i cinquanta dollari gli tornarono utili.
Adesso ogni volta che aveva bisogno di soldi, si faceva fare una
fotografia con un'amica diversa. Se ne mandava una serie con la stessa
ragazza, gli assegni erano pi abbondanti.
Jerene si chiese che effetto avrebbe fatto una sua foto con un vestito - un
vestito di Laura Ashley - a sua madre, la cui unica debolezza erano i pizzi.
Sarebbe forse bastato questo?
Naturalmente non l'avrebbe mai fatto, bench di questi tempi le capitasse
sempre pi spesso di considerare la possibilit di azioni simili e di
immaginare sua madre alla porta, con le lacrime agli occhi, che gridava:
"Sei guarita!" E ancora una volta le parve strano che fossero passati sei
anni, sei anni senza il bench minimo contatto. Cosa avrebbero pensato i
suoi genitori ricevendo una fotografia del genere per posta? Avrebbe
significato qualcosa per loro?
L'avrebbero almeno riconosciuta come loro figlia?
Sembrava buffo a Jerene, dopo tutti questi anni di ribellione, di ritrovarsi
a pensare in modo tanto simile a sua madre. Un pomeriggio, mentre
comprava camicette da Macy's, era rimasta sconcertata accorgendosi di
applicare con estrema naturalezza i criteri di Margaret in fatto di gusto e
qualit, le piccole regole che le aveva insegnato per scegliere gli articoli
buoni sul banco dei saldi.

Qualche anno prima avrebbe rifiutato quel tipo di indicazioni per


principio, avrebbe comprato solo quello che sua madre poteva considerare
orribile. Era un atto di ribellione politica e anche personale per burlarsi del
gusto delle madri.
Ormai da molto tempo era di moda tra le sue amiche essere il pi
disadorne possibile. La semplicit era sexy, perch era un rigetto dei canoni
di bellezza maschili; quel che rimaneva era qualcosa di sbrigativo e
disadorno, forma pura. Nei suoi primi giorni a New York aveva conosciuto
donne con ciuffi di barba, pallidi baffi che coltivavano, quasi come una
sfida. Come gli uomini azzimati e oliati che portavano sfumature di
ombretto e si facevano paraffinare i dorsi muscolosi, queste donne
marciavano senza camicia tutte orgogliose al Gay Pride Sunday - ma
naturalmente era un diverso tipo di orgoglio, un orgoglio che aveva pi a
che vedere con la negazione dell'attrazione sessuale che non con il suo
assecondamento. Ma in tutto questo tempo, Jerene aveva fatto dei piccoli
imbrogli. Come le aveva insegnato sua madre, si ossigenava i peli sul labbro
superiore una volta al mese, dopodich, per un'intera mattinata o serata,
girava per l'appartamento simile a un bambino con un baffo di latte.
Nessuno l'aveva mai saputo salvo Eliot, che rideva di lei perch si sentiva
colpevole per questo. Jerene per anni si vest di jeans e camicie sportive che
erano l'unico guardaroba adatto a una seria lesbica sinistrorsa, ma chiunque
avesse avuto occhio per i dettagli avrebbe notato che sulle sue maniche
c'erano dei ricami. E le cose stavano cambiando. Di questi tempi le sue
amiche portavano indumenti rosa, divise da cameriere, anelli da naso.
Molte durante il tempo libero scrivevano racconti per riviste
pornografiche femminili con titoli come Cattivi istinti. La lussuria, come la
moda, proclamavano, era una prerogativa radicalmente femminile - almeno
fintantoch si trattava della lussuria della donna e della sua moda; e col
passare degli anni dopo la rottura con i suoi genitori - anni lenti e dolorosi,
anni in cui si era mai lasciata crescere i capelli abbastanza da nascondere
completamente il cuoio capelluto - si era scoperta a guardare di sottecchi
donne con dei bei vestiti per strada, d'estate.
Guardava le donne, ma guardava anche i vestiti.
Questa sera aveva un appuntamento con Laura. In bagno, si lav la crema
da barba dalle gambe, mentre Philip ed Eliot la osservavano, poi si infil
goffamente il vestito dalla testa.
"Bada" disse Jerene, "anche questo non lo faccio da sei anni."
Entr in corridoio e si guard allo specchio.
"Dio mio" disse. "Sembro una capocchia di spillo."
"Orecchini" disse Philip. "Hai bisogno di orecchini."

"Immagino di s." Si gir e frug nel suo cassetto, dove trov un paio di
aculei che portava quando voleva intimidire uno dei suoi professori e
convincerli a prolungarle un permesso.
(Essere alta pi di un metro e ottanta, nera, e avere un taglio da marines
aveva in effetti i suoi vantaggi, aveva scoperto, per lo meno quanto c'erano
di mezzo dei piccoli professori bianchi.) Ma questi non andavano bene per
stasera. Frug di nuovo e ne trov un paio dei tempi del liceo - due grappoli
di perline azzurre - e se li mise. "S" disse Eliot. "Esattamente."
Erano pronti. Philip si mise davanti allo specchio, a giocherellare col
nodo del suo papillon. "Non riesco a credere che finalmente sto per
conoscere Derek" disse infilandosi il cappotto. "Dopo aver letto tutti quei
libri - conoscerlo finalmente - be, significa molto per me."
"Sono felice che tu sia cos entusiasta."
Fuori in strada, soffiava un lieve vento. Il ghiaccio del week-end
precedente aveva incominciato a sciogliersi, creando un'illusione di
primavera, e Philip si sent orgoglioso e felice mentre camminava orgoglioso di Eliot, che sembrava tanto attraente, tanto sicuro di s con la
sua camicia e il suo pullover rosa, e anche orgoglioso di Jerene, orgoglioso
di conoscere questa donna strana e bellissima, dall'aspetto cos insolito che
la gente si girava a guardarla mentre passavano. Dalla Sesta Avenue, Eliot li
aveva guidati nella Tredicesima Strada, dove scuri alberi brillavano nel
bagliore azzurrino dei lampioni, e la sottile insegna al neon di un ristorante
nel seminterrato di tanto in tanti brillava sotto le villette di mattoni. Salirono
dei gradini verso una scura porta di noce con un battente di ottone. La casa
era distinguibile dalla fila di eleganti villette in mattoni tra le quali si ergeva
- quadrata, con molte finestre, pelosa di viticci.
"Bene" fece Jerene, "qui ci salutiamo." Sorrise.
"Dov' il tuo appuntamento?" chiese Philip.
"Al Caf Luxembourg, se riesci a crederci" disse Jerene. Si strinse nelle
spalle, alz gli occhi al cielo, ed Eliot si pieg a darle un bacio.
"Ciao, tesoro" disse. "Arrivederci."
Lei fece un cenno con la mano e scomparve gi per la strada. Eliot
sollev il battente e lo lasci cadere, poi tir fuori le chiavi di tasca, ne
infil una nella serratura con facilit. Entrarono in un ingresso, e oltre
questo in un soggiorno illuminato dalla luce del fuoco.
"Salve, Geoffrey" disse Eliot.
"Eliot!" Un uomo dalle guance rosse emerse dall'oscurit, tendendo le
braccia in segno di saluto, e lui ed Eliot si abbracciarono. Era fatto pi o
meno a forma di pera, e indossava gli abiti comodi di un padre - un cardigan
giallo su una camicia Oxford, semplici pantaloni sportivi marrone, una

cintura macram che sembrava fabbricata da un bambino. "E tu devi


essere..." disse, afferrando la mano di Philip con entrambe le sue.
"Philip" disse Philip.
"Naturalmente, Philip!" disse Geoffrey. "Certo abbiamo sentito parlare di
te."
"Davvero?" chiese Philip. E sorrise.
"Ma certo" disse Geoffrey. Si pieg ancor di pi verso di lui, come a
confidargli un segreto, e Philip vide che le sue guance erano coperte da una
pallidissima barba bionda, cos pallida da essere praticamente invisibile. Gli
occhi di Geoffrey erano piccoli ma vivaci, come quelli di un cane da caccia,
e fissavano Philip con uno sguardo rassicurante.
Ma non c'era nessuna sicurezza da dare. "Lascia che ti presenti all'altro
ospite" disse Geoffrey, e li guid nel soggiorno, dove un uomo nerboruto in
blue jeans era appoggiato contro la parete, a sfogliare nervosamente un libro
sulle decorazioni dei vasi etruschi. "Questo John Malcolmson, un famoso
giornalista gay" disse Geoffrey, e l'uomo pos il libro e guard brevemente
Philip. "Sono certo che hai letto gli articoli sul "Voice""
"Certamente" disse Philip. "Sono fantastici."
"John, Philip un redattore...
Giusto?"
Philip annu.
"Bene. Adesso, se volete scusarmi, devo controllare le cialde."
Portava solo delle pantofole aperte sopra i calzini, e le suole sbatterono
rumorosamente mentre usciva dalla stanza ciabattabdo sul parquet.
I tre uomini rimasero l in piedi.
"Dov' Derek?" chiese Eliot.
"In cucina" disse John. "Sta preparando uno dei suoi pasti colorati.
Stasera blu. Posso darvi qualcosa da bere?"
Stava guardando Philip. Aveva un viso imperscrutabile, segnato dall'acne
e intorno al collo portava un laccio di pelle nera come un cappio. "Per me
solo un bicchiere di vino bianco" disse Philip. Stava incominciando solo ora
a individuare le forme e i colori della stanza. Con suo grande piacere, sul
caminetto era appeso quel che sembrava una serigrafia originale di
un'illustrazione di Tintin il ragazzo-reporter francese, con il suo cane,
Milou. C'erano anche altri quadri - Babar e Celeste, Curios George, i
maestri selvaggi di Maurice Sendak - tutti originali firmati con dediche
affettuose a Derek. Poi c'erano gli orologi - almeno venti, incluso un cuc
dorato da cui di tanto in tanto emergeva una sirena sorridente. Uno zoo di
rumori scandiva la mezz'ora - cinguettii, ruggiti, latrati, miagolii, e tutto un
assortimento di cuc, qua-qua e coccod. Stupefatto da questo concerto,

Philip guard Eliot che sorrise, accese una sigaretta, e soffi una boccata di
fumo in faccia a Tintin. Oltre il soggiorno buio e l'atrio illuminato, brillava
una scala color avorio.
"Questa una casa grandiosa" disse Philip a Eliot. "Mi difficile
immaginare di crescere qui."
"Be, ti ci abitueresti nel giro di pochi giorni. Non diversa da tutte le altre
case."
"Come fai a dire una cosa simile?" disse Philip con un tono di voce
leggermente pi acuto. "Crescere qui deve essere stato meraviglioso." Ma
prima che Eliot potesse rispondergli, John torn dal bar e porse a Philip un
piccolo bicchiere di vino. "E allora che genere di redattore sei?" chiese.
"Romanzi d'amore" disse Philip. "O, come li chiamano nel ramo, strappareggiseni."
"Ah, ah" fece John. "Sono indubbiamente popolari. Ho un amico che ne
scrive del genere gay. Come pensi che dovrebbero chiamarli?
Strappa-reggipalle?"
Philip scoppi in una risata.
"Forse" disse. Lo stelo del bicchiere che teneva in mano era
elaboratamente scanalato, e inconsciamente ne accarezz le incisioni
dentellate. Poi un ciabattio annunci il ritorno di Geoffrey. "Le cialde sono
perfette" disse, "assolutamente perfette."
Sorrise a Philip. La sua faccia, bench ora fosse piuttosto gonfia, un
tempo era stata chiaramente attraente; sotto il gonfiore Philip poteva
distinguere i contorni di zigomi alti e di una mascella quadrata.
Gli orologi ticchettavano. Un cuculo emise un pigolio strascicato fuori
orario e Geoffrey disse: "Lo sapevo che avevo dimenticato di caricarlo,
quello l" Poi si gir verso Philip e disse: "Perch adesso non vieni a
conoscere Derek? Stasera si rifiuta di lasciare i fornelli"
Annaspando, Philip guard Eliot, che gli fece cenno di andare. "S, mi
piacerebbe. Scusami" disse a John.
"Ma certo, non c' di che" disse John. Attravers la stanza e si vers un
altro bicchiere di vino. Geoffrey prese per il braccio Philip con la sua stretta
decisa e lo port in cucina - una stanza vasta, lucida e metallica, dove un
uomo enorme sovrintendeva a delle pentole con impasti di varie sfumature
di blu.
"Derek" disse Geoffrey, "questo l'amico di Eliot, Philip."
Derek si stacc dai fornelli. Era alto almeno due metri; ciocche
scompigliate di capelli grigi gli cadevano sulla fronte, che era umida di
vapore. Si asciug le mani nel grembiule, disse con uno scandito accento
britannico: "Philip, un vero piacere" e gli tese la mano che era enorme e

pelosa, ma che strinse quella di Philip con straordinaria cautela - la stretta di


mano di un uomo forte che, se non fosse stato attento, avrebbe potuto
ridurre in polvere le dita di un bambino. Philip sorrise.
"Accidenti" disse, "stai veramente facendo delle cose straordinarie!"
"Oh, non credere che cuciniamo in blu tutti i giorni" disse Derek, e rise.
"Solo per gli ospiti speciali.
Questo qui" disse, indicando una delle pentole, " un pur di legumi."
" tinto?" chiese Philip.
"Santo cielo, no. Ho solo aggiunto delle bucce di prugne mature. Sarai
sorpreso dal sapore. Molto..." sorrise, cercando lo svolazzo pi adatto,
"Nouvelle Californienne."
"Sembra fantastico" disse Philip.
"Cosa c' nelle altre pentole?"
"Be, vediamo. Quella salsa di mirtilli per l'anatra, e quella salsa al
Roquefort per la pasta, e l, sul bancone, c' il burro di mirtilli per le cialde,
che sono una specialit di Geoffrey."
"Io sono il pasticciere di famiglia" disse Geoffrey. Era appoggiato al
bancone, contro il quale ogni tanto scalciava.
" davvero un piacere conoscerti" disse Philip a Derek, ricordando la
formula di presentazione che aveva provato la sera prima a letto. "Non so se
Eliot te l'ha detto, ma i tuoi libri... sono praticamente cresciuto leggendoli.
Infatti, era mia madre che rivedeva i tuoi manoscritti, alla Motherwell."
"Caspita, che coincidenza" disse Derek.
"Eh s" disse Philip. " stata lei a iniziarmi alla loro lettura.
Significavano davvero molto per me."
Rise, storn gli occhi. "Immagino che te lo dicano tutti, vero?"
Derek si allontan dai fornelli e sorrise con calore a Philip. "Be,
comunque molto carino da parte tua" poi disse: "Geoffrey, perch non vai a
prendere una copia del libro nuovo per Philip?"
Geoffrey fece segno di s con il capo, e fischiettando usc dalla stanza.
"Un nuovo libro?" chiese Philip.
"S, Non dei migliori, temo. Ma sta a te giudicare. A questo punto li sparo
fuori quando il canto in banca incomincia a scarseggiare, e il mio pubblico
li chiede a gran voce."
Philip rimase sorpreso da questa rivelazione. "Come si intitola?" chiese.
"Archie e Gumba" disse Derek.
"Archie un bambino i cui genitori sono degli antropologi del
ventiduesimo secolo, inviati a controllare una colonia planetaria che stata
lasciata completamente isolata per duecento anni, per fare un esperimento.
La gente sul pianeta ha sviluppato una cultura che presenta aspetti

tecnologici e aspetti dell'et della pietra; e di questo che il libro parla in


realt - della cultura. Gumba una bambina che Archie predilige tra gli
amici."
"Wow" fece Philip. "Sembra eccezionale."
Derek si strinse nelle spalle. "Be, vedremo, vedremo."
Geoffrey torn, agitando un libretto verde con la mano. "Lo vuoi
firmare?" chiese.
"Ma certo, certo" disse Derek. Tolse il libro a Geoffrey, si pieg sul
bancone di cucina. "Vediamo" disse, mordicchiando la penna, poi
scribacchi in fretta qualcosa, chiuse il libro, e lo porse a Philip. Sulla
copertina c'era l'illustrazione di due bambini con delle pentole in testa che si
facevano strada abilmente attraverso un bazar dell'era spaziale gestito da
alieni.
"Grazie" disse Philip. "Grazie tante. Non so dirti quanto desidero
leggerlo."
"Oh, non prenderti il disturbo di leggerlo" disse Derek. "Ma dov' Eliot, si
pu sapere? Eliot!" grid.
"Arrivo" grid Eliot dal soggiorno.
"Ti piacerebbe vedere delle vecchie fotografie di Eliot?" chiese Geoffrey.
Condusse Philip dall'altra parte della cucina verso un grosso pannello di
sughero, coperto di istantanee. Philip riconobbe immediatamente Eliot, coi
capelli lunghi fino alle spalle e occhiali con una montatura di plastica nera,
in quella che doveva essere una fotografia scattata il giorno del diploma
della scuola superiore. I suoi occhi scrutarono il pannello, fermandosi su
un'istantanea di Derek e Geoffrey, molto pi giovani. Geoffrey era stato
davvero attraente in giovent; senza camicia nella fotografia, coi capelli
corti color del grano gonfiati dal vento, era in piedi sorridente accanto a
Derek, con indosso un pullover pesante, curvo, allampanato. Tra loro due,
Eliot, un bimbetto con una camicia alla marinaretta e senza pantaloni, con
riccioli lunghi fino alle spalle, che saltava e rideva su un terreno sabbioso.
"Questa stata scattata al Lido di Venezia" disse Geoffrey. "Eliot aveva
cinque anni."
"Era molto carino" disse Philip.
Sopra la foto ce n'era un'altra di Geoffrey, con vestito scuro e cravatta, i
capelli cortissimi, sorridente. Sembrava un primo piano di un attore scattato
da un fotografo professionista. E sopra questa, Derek, Derek dai capelli
scompigliati (e, a quel tempo, neri), che sollevava nell'aria un piccolo e
gioioso Eliot.
Ricord a Philip il gigante gentile (o era il gigante addormentato?) - quel
gargantua amichevole che viveva in un giardino cintato e faceva paura a

tutti salvo che ai bambini saggi e innocenti. Questi venivano a giocare con
lui, e lui lo sollevava in alto sugli alberi. E chi, dopotutto, aveva inventato
quel gigante se non quell'uomo dalle spalle ricurvate alto due metri che era
Oscar Wilde, anche lui tanto impacciato nei suoi massicci abiti di velluto?
C'era ancora una fotografia, una vecchia Kodachrome scolorita di Derek e
Geoffrey, seduti intorno a un tavolo illuminato da candele rosse. Tra loro
sedeva un uomo esile con una calvizie incipiente e una ragazza dall'ampio
sorriso e dai folti capelli rossi, zigomi alti scuriti dall'ombra, e labbra rosso
scuro. I suoi occhi avevano catturato la luce del flash e sembravano brillare
verde-oro. "Sono i genitori di Eliot?" chiese Philip, e Geoffrey annu.
"Questa stata scattata un anno prima che morissero."
Adesso Eliot e John entrarono in cucina, e la stanza risuon
all'improvviso di scambi di saluti.
Derek abbracci Eliot. "Sei arrivato giusto in tempo per uno dei miei
orribili pasti blu" disse. "Spero che non ti dispiaccia."
"Li ha fatti per anni" grid Eliot a Philip da dentro il cerchio caldo delle
braccia di Derek. "E io li ho sempre odiati."
"Non hai mai capito il fascino del mistero, Eliot" disse Derek e sorrise.
"La cena sar pronta da un momento all'altro" disse Geoffrey,
controllando le pentole. E Philip, per il momento inosservato, lanci
un'occhiata alla sua copia di Archie e Gumba: "A Philip", diceva la dedica,
"se lo vuole! Con i saluti pi affettuosi, Derek Moulthorp"
A cena Philip si sedette accanto a Geoffrey di fronte a Eliot, e fiss il cibo
blu nel suo piatto - l'anatra coperta da uno spesso strato di mirtilli, cialde
blu, il pur di patate al gusto di prugna. Evit la pasta che, cucinata, era
diventata di uno sgradevole color grigio. ("Ogni grande esperimento ha i
suoi grandi fallimenti" si scus Derek.) Ogni pochi minuti Geoffrey
scompariva in cucina, tornando con un cestino di cialde o un'altra bottiglia
di vino.
Portava un pesante anello d'oro che sbatteva rumorosamente contro
l'argenteria quando serviva del pur nel piatto di Derek, o gli riempiva il
bicchiere di vino. Derek stava raccontando una lunga storia confusa su un
poeta italiano a cui piaceva far l'amore col suo cane. Sul letto di morte, si
era finalmente "scoperto", per cos dire, e aveva dichiarato a un visitatore:
"Non c' niente di pi vicino alla divinit del gusto della lingua di un cane."
Tutti risero e Philip, che da bambino aveva segretamente baciato sulla bocca
il suo cucciolo di barboncino pi di una volta, cerc di ricordare il sapore:
alcalino, gli parve di ricordare, con un retrogusto metallico. Tutto preso
dalla storia che stava raccontando, Derek sembrava non accorgersi
nemmeno che le cialde venivano fatte scivolare regolarmente sul suo piatto,

o che i suoi bicchieri di acqua e di vino non erano mai vuoti. Geoffrey lo
serviva con grande attenzione, ma al tempo stesso in modo furtivo, come se
il suo scopo di vera moglie fosse di rendersi quasi invisibile, per creare
l'illusione che il cibo cadesse nel piatto di Derek come i frutti da una pianta.
Derek aveva vissuto in Europa per un certo tempo, stava raccontando: a
Berlino; a Barcellona; a Parigi.
Sorrideva mentre raccontava le storie dei dissoluti omosessuali europei,
degli amoreggiamenti nel Faubourg St.
Germain, dei travestiti che stavano in panciolle su sedie a sdraio lungo i
grandi viali alberati del Bois-de-Boulogne. "I club a quei tempi erano
schifosamente eleganti" disse.
"Non come adesso. Negli anni Cinquanta, in Europa, l'eleganza era
importante per tutti, ma per gli omosessuali forse pi che per chiunque altro.
Era un modo per tirar su un io in frantumi. Erano sempre impeccabili,
quegli uomini parigini che conoscevo - persino i guidatori di taxi, persino
Falasha, seduta sulla sua sdraio o nel Bois, inzuppata di Chanel a
sorseggiare champagne da un bicchiere di cristallo."
Si appoggi allo schienale della seggiola, sorridendo. C'era il famoso
fotografo francese, suo carissimo amico, che una volta aveva accompagnato
a Tangeri alla ricerca di bei ragazzini dalla pelle scura. " facilissimo l,
sai" spieg, "perch i bambini devono cavarsela da soli fin da piccoli, e i
loro genitori, se mai ne hanno, molto difficile che piantino delle grane.
Inoltre quei bambini cresciuti in mezzo a una strada si risvegliano al sesso
molto prima dei bambini americani o europei perch non c' niente che li
trattenga. Gli piace proprio. Cos io aspettavo in un caff e Roland alla fine
tornava con qualche piccolo Moustaf o Hamid e gli offriva una Coca-Cola
per il disturbo - tra le altre cose." Poi vedendo l'espressione sgomenta di
Philip, aggiunse a mo di scusa: "Naturalmente, Roland non fece mai niente
coi ragazzi. Gli piaceva accarezzarli e a volte far loro il bagno"
"Oh, non stavo pensando..."
"Ma certo. Voi giovanotti di oggi siete cos puritani!"
Rise. Di nuovo la bottiglia di vino fece il giro della tavola. Geoffrey serv
la pasta nel piatto di Derek.
Aveva un tovagliolo intorno al collo, macchiato di diverse sfumature di
lavanda e di blu. Tutto in Derek era ricurvo e costretto, persino i suoi gesti
erano solo stoccate nell'aria, sminuiti da anni di condizionamento in un
mondo semplicemente costruito nella scala sbagliata. Probabilmente gli era
capitato di sottolineare un'osservazione con troppa enfasi e di colpire per
sbaglio qualcuno in faccio.
Philip stava ancora bevendo vino.

Era al quarto bicchiere, e la voce cadenzata di Derek aveva da tempo


cessato di avere un significato per lui, mescolandosi, musicale com'era, coi
ritmi degli orologi. Il vino lo aveva reso coraggioso, per cui si gir con aria
confidenziale verso Geoffrey, che stava guardando intensamente Derek,
come se in qualche modo la sua attenzione fosse ancora inchiodata da questi
racconti che probabilmente aveva udito almeno un centinaio di volte.
"Come vi siete conosciuti tu e Derek?" gli chiese ora Philip, e sent che
Eliot girava la testa.
"Come ci siamo conosciuti!" Geoffrey spalanc la bocca sorpreso, e la
testa si rizz dalla sua posizione di riposo. "Be, questa s che una storia.
Sai" disse, "allora io ero sposato."
"Lo chiamavano Paris Bleu" stava dicendo Derek.
"Sposato!" fece Philip.
"Strano ma vero" disse Geoffrey.
"Con la mia ragazza del liceo, Adele Marie Probst. Della Morristown
High School. Anno scolastico 1950.
Rispettivamente presidente e vicepresidente del Drama Club. Ci
trasferimmo a New York, immaginando di condurre una vita bohmienne e
di calcare le scene, ma io finii a lavorare come contabile e Adele come
cameriera al Proud Peacock. Allora non conoscevo Derek. Era appena
tornato dall'Europa, capisci, e stava facendo dei lavori come artista
commerciale, ed era innamorato di un giovane spagnolo e quindi cercava di
guadagnare abbastanza soldi per farlo venire quaggi, mandagliene un po
ogni settimana. E Julia - la madre di Eliot, anche se naturalmente non era
ancora la madre di Eliot allora - lei avrebbe sposato questo Pedro per fargli
ottenere la cittadinanza, poi avrebbe divorziato, cos lei e Alan si sarebbero
sposati..."
"Alan?" chiese Philip.
"Il padre di Eliot. Dovevano sposarsi perch era l'unico modo per far
restare in America questo Pedro.
Era il tipo di cose che faceva Julia.
Comunque, cos che conobbi Derek.
Vedi, io volevo fare l'attore, ma riuscivo a ottenere soltanto dei lavori
serali come tecnico delle luci per queste cosette originali dell'East Village, e
Julia era una grande attrice in uno di questi teatrini.
Finimmo col diventare intimi. Fu lei a raccontarmi tutto di Derek e del
suo spagnolo, ed era come una commedia radiofonica a puntate - ogni notte
ricevevo un nuovo capitolo. E naturalmente, Julia aveva i suoi motivi per
raccontarmi la storia.

Lei... Come potrei dire?... Ci vedeva chiaro su di me. Comunque, alla fine
mi present questo meraviglioso Derek di cui avevo tanto sentito parlare, e
il mio cuore fece tilt. All'improvviso seppi cosa volevo. Ma ovviamente ero
sposato."
".e lui a insistere, e insistere che era Linda Darnell - di cosa state
cianciando voi due ragazze laggi, Geoffrey?" grid Derek dall'altra parte
del tavolo, e Philip si blocc.
"Oh, lascia perdere" lo rimprover Geoffrey, "stiamo facendo una bella
chiacchieratina privata." Torn a Philip, sollev il bicchiere di vino e gli
strizz l'occhio. "Be, comunque" continu, "il piccolo spagnolo di Derek fu
coinvolto in una rissa in una bettola locale, e fin in galera e questa fu
l'ultima cosa che si seppe di lui. Julia e Alan come avevano progettato, si
sposarono, e andammo entrambi al matrimonio. Derek era il testimone
principale, ma avrebbe anche potuto fare la damigella d'onore, per come si
era vestito. Dopo d'allora ci vedemmo sempre, perch ci piacevano - ma
solo come amici. Viveva all'ultimo piano di una casa senza ascensore, e di
tutta la gente che poteva capitargli, si ritrov proprio Anas Nin dall'altra
parte della sua uscita di sicurezza - quante ne potrei raccontare! Ma uscirei
dall'argomento.
Una cosa porta all'altra, e io incomincia... a fare i miei esperimenti. Non
con Derek, naturalmente; sarebbe stato troppo vicino a casa. Con gli uomini
che incontravo. E alla fine ci fu un ragazzo cubano di nome Hector che
telefon ad Adele in preda a un raptus di gelosia e le disse tutto." Sospir.
"Subito dopo venni a sapere che lei era tornata a Morristown."
"E dopo che cosa successe?"
"Be, dopo ero un uomo libero" disse Geoffrey. "E appena Derek lo avesse
saputo... era solo questione di tempo.
Sapeva che lo amavo"
"Quanti anni avevi?"
"Be, vediamo. Dovevo avere... 23 o 24 anni? e Derek ne aveva
probabilmente 28."
"Ne avevo 27" grid Derek dall'altra parte del tavolo. "Scusami!"
Geoffrey alz gli occhi al soffitto, e la voce di Derek si abbass di nuovo.
" una storia incredibile" disse Philip. "Ma Eliot non mi ha mai detto che
erano stati i suoi genitori a presentarvi." E di nuovo sent Eliot che girava la
testa.
"Ci hanno presentato, nutrito, portato i messaggi d'amore. Ci hanno
persino mantenuto per un po, lasciandoci la grande casa negli Hamptons
mentre Derek stava scrivendo Il campo ghiacciato. Questo succedeva dopo
che Julia era venuta in possesso della sua eredit e aveva incominciato a

spenderla per i suoi amici artisti." Geoffrey rise. "E cos quella casa negli
Hamptons divenne una vera e propria colonia di artisti - pullulante di amici
di Julia e Alan.
Gente speciale, proprio speciale. E il piccolo Eliot, a soli due anni, coi
capelli fin sulle spalle, marrone come una nocciola, era un piccolo cupido
che correva nudo sulla spiaggia. Mi pare che Julia lo allattasse ancora."
Prese un altro sorso di vino. "Julia" disse, asciugandosi la bocca con un
tovagliolo. "Julia. Ricordo che..."
"Lo sai, Derek" disse Eliot ad alta voce, "Jerene ha dato un indirizzo
straordinario alla sua tesi. Credo che ti interesserebbe moltissimo. venuta
a conoscenza di una storia che potrebbe essere la trama di uno dei tuoi
romanzi."
"Davvero?" fece Derek, "racconta."
Eliot raccont a Derek la saga delle gemelle e della loro lingua inventata.
"Affascinante" disse Derek. "In effetti una volta avevo incominciato un
romanzo su un argomento del genere - un fratello e una sorella che avevano
inventato un codice segreto e che all'improvviso incominciarono a ricevere
dei messaggi in codice attraverso il loro apparecchio televisivo. Ma non
riuscii mai a finirlo." Sospir, scosse la testa, e torn al suo monologo.
"E allora come and quando Eliot venne a vivere con voi?" chiese Philip
a Geoffrey.
"Oh" fece Geoffrey, "fu molto duro.
Fu terribile. Ma ormai era l. Loro erano morti." Si appoggi allo
schienale della seggiola, stirando le braccia dietro alla testa. "Un bimbetto
senza casa, e un testamento che stabiliva che Derek e io lo dovevamo
adottare. Che potevamo fare?"
"Sapevate che volevano che voi lo adottaste?"
"Be, pi o meno. Ci chiesero di essere i tutori del bambino ancor prima
che nascesse, ma non venimmo mai a sapere che avevano formalizzato la
cosa. E ne fummo lusingati. Insomma, erano gli anni Cinquanta, dopotutto,
la loro fiducia in noi... Be, non ci pensammo su neanche un minuto. Ma non
avremmo mai immaginato che una cosa del genere potesse succedere
davvero."
Sorrise. "Eliot era un bimbetto talmente vivace. Coraggioso, a modo suo,
nei momenti difficili. Ci aiut davvero. per questo che comprammo questa
casa. Perch, capisci, pensammo che lo dovevamo a Julia e ad Alan, glielo
dovevamo proprio di allevarlo come avrebbero fatto loro, anche se all'epoca
non potevamo davvero permettercelo. Eliot era un bambino notevole, pieno
di saggezza."

"Geoffrey" chiese piano Philip, "spero che non ti spiaccia se te lo chiedo,


ma... come sono morti?"
Geoffrey spalanc gli occhi. "Non lo sai?" disse, e Philip scosse la testa.
"Niente di eccezionale" disse Geoffrey. Stava guardando al di sopra della
testa di Philip verso uno degli orologi, come per assicurarsi che stesse
funzionando a dovere. "Dopo una festa negli Hamptons" disse. "Stavano
tornando a casa in macchina. Qualcuno era ubriaco, ma non fu mai chiaro
chi, o in quale macchina." Chiuse gli occhi, poi li riapr. "E cos" disse, "ci
ritrovammo a essere genitori.
Ricordo quando portammo Eliot a scuola per iscriverlo il primo giorno.
Non dimenticher mai l'espressione sulla faccia di quella donna quando
chiese, "Nome del padre?" E io risposi, "Quale?""
"Lo sai" grid ora Eliot attraverso il tavolo, "che adoro che si parli di me
come se non ci fossi."
"Oddio, mi spiace, Eliot" disse Geoffrey. " che Philip era curioso, e
come storia ce n' da raccontare.
C'erano tante cose" continu, ignorando l'occhiata di Eliot dall'altro capo
del tavolo, "che nel Village erano molto pi facili.
Sapessi che casa avevamo a quei tempi.
Gente che entrava e usciva in continuazione, che dormiva sul divano del
soggiorno.
Eliot non era mai a corto di amici.
Caspita, Anas Nin lo teneva sulle ginocchia, Djuna Barnes gli leggeva i
raccontini della buona notte, E.E. Cummings giocava a macchinine con lui.
Persino Mr. Malcolmson qui, gli faceva da baby sitter quando Derek e io
eravamo via." Agit il bicchiere alla volta di John, che sorrise, e Philip si
sent la bocca secca.
"S" disse John, appoggiandosi allo schienale della seggiola e alzando gli
occhi sul candelabro, "Eliot e io ci siamo divertiti un sacco."
La sera prima, Philip aveva concepito, in anticipo, una visione di questa
serata a casa di Derek e Geoffrey. In questa sua visione della cena, gli ospiti
si imbarcavano in un dialogo cos pieno di grazia che pareva il frutto di una
coreografia o di una sceneggiatura; il cibo appariva su piatti d'argento, e
veniva mangiato con delicatezza, e in seguito - dopo che Derek e Geoffrey
avevano mostrato il loro mondo a Philip, e Philip lo aveva assaporato Philip mostrava loro il suo mondo, li portava fuori in un bar, o a ballare.
Sulle prima, naturalmente, loro opponevano delle resistenze ai baluginanti
splendori della vita notturna di New York; erano timidi, ma ben presto
perdevano le loro inibizioni e si divertivano un mondo, e gli erano grati.

Ora sedevano nel soggiorno di Derek Moulthorp a bere il caff, e John


Malcolmson, su cui Philip non aveva contato, spieg perch a suo parere
quella di Philip era una generazione di avidi codardi, senza principi, e
perch, secondo lui, il mondo era praticamente finito nel 1977. E Philip, per
tutta risposta, gli raccont che, al loro ritorno, gli ex allievi del suo college
si erano commossi fino alle lacrime alla vista di un migliaio di palloni rosa
liberati nel cielo, e di tutti quei giovani dallo sguardo felice che lanciavano
grida esultanti, vestiti anche loro di magliette rosa.
"Palloni" disse John Malcolmson, affondando con rassegnazione nel
divano di velluto. "Cosa sono mai i palloni? Sto parlando della rivoluzione la rivoluzione vera. Vi abbiamo dato la possibilit di prendere il comando, e
guarda cosa avete fatto invece - siete ripiombati nello status quo."
Era l'occasione di Philip. "Non mi sembra che sia del tutto giusto, John"
disse. "Perch per certi versi, almeno mi pare, le cose sono cambiate - in
meglio. Per esempio, c' un bar nello East Village che si chiama il Boy Bar,
che a Eliot e a me piace un sacco, e penso che se tu ci andassi cambieresti
idea. un posto accogliente dove va la gente che non ha problemi a essere
gay, e sa che non solo questione di chi scegli per andarci a letto. Di fatto...
Be, mi piacerebbe portarvici, per farvi vedere degli uomini gay della mia et
che sono assolutamente validi e hanno dei principi, e che penso ti
piacerebbero."
"Un bar!" fece John. "Ma lo sai da quanto tempo non vado in un bar?"
Rise, e si sporse di pi verso Philip, "Ai miei tempi, avevano dei bar in
confronto ai quali... Ma lasciamo perdere." Prese un'altra sorsata dalla tazza
di caff, sorrise. "sono ormai tre anni che sono completamente casto,
neanche un bacio" disse, "e finora - Dio volendo - nessun sintomo. Ma
l'altro giorno ero fuori a cena con il mio amico Jake, e avevo finito la mia
acqua, e quando lui me ne ha offerta un po della sua gli ho detto. "Jake,
credi che dopo questi tre anni di castit io intenda beccarmi l'Aids da un
bicchier d'acqua?"
Cos gli ho detto. Capisci?" Poi storn gli occhi.
"Be, John" disse Philip, "mi pare che sia ora per te di dare un'occhiata al
mondo. Giusto, Eliot?"
Eliot, dall'altra parte della stanza, si fece d'un tratto sospettosamente
attento. "Il Boy Bar?" disse. "Philip, non credo proprio..."
"E forse potrebbero venire anche Derek e Geoffrey."
Sentendo il suo nome, Derek si gir stancamente. "Cosa?" fece. "Cos' il
Boy Bar?"
"Non credo che ti piacerebbe" disse Eliot.

Ma Geoffrey disse: "Credo che sarebbe divertente. Ti dico una cosa, John,
se tu ci vai vengo anch'io"
John sembrava scettico. Derek fece di no con la testa.
"Coraggio, vecchia quercia" disse Geoffrey, dandogli un calcetto.
"Bisogna pure che tu esca qualche volta. Ci andremo" disse a Philip.
Chiaramente infelice alla prospettiva, Derek mescol il caff.
Alla fine sospir sconfitto. "Vado un attimo a cambiarmi le scarpe" e
scomparve su per le scale. Quando torn, portava delle scarpe da basket
verdi. Sembrava avesse il cinquanta di piedi.
Ci fu un frettoloso recupero dei cappotti, qualche espressione di dubbio
dell'ultimo minuto da parte di Derek - "Non sono sicuro di averne voglia.
Penso di essere troppo vecchio, e comunque non mi sono mai piaciuti i bar.
Il Boy Bar! Perch non Boys. E se non ci lasciassero entrare?" Nel
frattempo Eliot non guardava Philip, sembrava ribollire di una rabbia
silenziosa.
"Non preoccuparti" disse Philip.
"Allen Ginsberg ci va sempre."
"Allen Ginsberg!" disse Derek, e sbuff.
Adesso erano fuori dalla porta, sulla Tredicesima Strada, diretti a est. La
notte era pi rigida di prima, ma anche col tempo ventoso c'era un sacco di
gente fuori, che camminava in fretta, afferrando le ultime ore dell'autunno.
Ben presto Philip ed Eliot, dall'andatura pi veloce degli altri, erano un
isolato pi avanti.
" stata una meravigliosa serata" disse Philip.
"Sono contento che tu ti sia divertito."
"Grazie per avermi invitato.
Eliot?" chiese Philip. "Sei mai stato in un posto gay, un bar o qualcosa del
genere, con Derek e Geoffrey?"
"Non a New York. Una volta a Provincetown. Ma non a New York."
"Quindi anche per te questa la prima volta."
"S." Non ne sembrava felice per.
Piegarono a sud, poi di nuovo a Est, fino a St. Mark's Place, dove una
ragazza adolescente in assetto punk disse: "Scusate, potete darmi i soldi per
comprare la droga?" Philip guard allegramente oltre la sua testa e continu
a camminare. "Froci" grid lei, sputando fuori la parola, e lui rimase
visibilmente turbato. "Ehi, voi, froci, volete succhiarmi il cazzo?"
"Chiudi il becco, stronza!" grido John Malcolmson, girandosi su se stesso,
e la ragazza si lasci cadere le braccia lungo i fianchi.

All'improvviso apparve per quella che era - una ragazza di quattordici


anni, e sembr sul punto di piangere. Poi alz il pugno. "Allora?" grid.
"Allora?"
Ignorandola, John si gir e, insieme agli altri, entr dalla porta a vetri del
Boy Bar. Le porte sbatterono chiudendosi dietro di loro, chiudendo fuori i
rumori della strada, avvolgendoli nelle gentili note monocordi di Philip
Glass. "Ciao, Eliot" disse il buttafuori dai capelli ingommati. Lui sorrise in
modo distratto. "Che strano incontrarti in un posto come questo."
"Salve" fece Eliot. "Ges Cristo, John" mormor mentre attraversavano il
lungo corridoio che conduceva al bar, "era solo una bambina."
"E cos questo il Boy Bar" disse Derek, e lanci un'occhiata critica in
giro per la stanza. Nell'interno buio del bar c'erano capannelli di giovani,
giovani uomini, alcuni con capelli accuratamente acconciati, tinti, spuntati,
alcuni con camicie gialle con stampati sopra degli annuncia pubblicitari di
un dentifricio in stile Art dco, calze bianche, e scarpe affusolate di vernice,
altri con magliette grigie e pantaloni da tuta. Tutti piccoli, aerodinamici,
tirati a lucido. Derek superava di una testa la maggior parte della folla, un
gigante goffo. Era ingobbito pi che mai, con le mani enormi che gli
pendevano lungo i fianchi.
"Mi piacerebbe portarvi a fare un giro di sopra" disse Philip.
"Cosa?" fece Derek, piegandosi ancora di pi. "Non riesco a sentirti da
quass."
"Ho detto che mi piacerebbe farvi vedere la stanza di sopra. Eliot, perch
non andiamo di sopra?"
Ma Eliot si era allontanato e stava chiacchierando con della gente che
Philip non riconobbe.
"Forse dovremmo aspettare Eliot e poi salire di sopra" disse Philip.
"Mi sento estremamente vecchio" disse John. Si tir il collo della giacca
fin sopra la mascella.
"Anch'io" disse Derek.
"E lo stesso vale per me" disse Geoffrey.
"Su, non fate gli sciocchi."
"C' una stanza sul retro in questo posto?" chiese John.
"Qui? Oh no, niente del genere!"
"Be, i tempi sono davvero cambiati" disse John, e lui, Derek e Geoffrey si
piegarono in due dal ridere. Ancora una volta Philip lanci un'occhiata al di
sopra della sua spalla. Adesso Eliot stava chiacchierando solo con un uomo
- un biondo alto con una treccia che gli scendeva sinuosa sul collo.
Philip frug la stanza alla ricerca di facce familiari, di qualcuno a cui
potesse presentare Derek, ma anche se gli pareva che qualsiasi giovane nella

stanza avrebbe potuto essere suo amico, nessuno lo era, quindi si gir di
nuovo verso Derek, John e Geoffrey, che erano appoggiati come un
triumvirato in delibera contro la parete, e chiese loro: "E allora cosa ne
pensate di questo posto?"
"Divertente" disse Derek.
"Decisamente divertente."
"S, s, sono d'accordo."
"Bello. Bello."
"Diverso da quel che ti aspettavi, vero, John?" disse Philip, ma John se
n'era andato a prendere da bere.
Dall'altra parte della stanza, Eliot era ancora nel bel mezzo di una
conversazione, e Philip prov a pensare a un modo per insinuarsi nel suo
piccolo gruppo.
Poi, proprio mentre stava per scusarsi, una voce alle sue spalle disse:
"Philip?"
Si gir e vide una faccia scura e attraente, stranamente familiare. Le
labbra di Philip si aprirono mentre cercava disperatamente un nome, e
l'uomo gli prese la mano e disse: "Che piacere vederti, Philip, vecchio
amico. Sono Alex Kamarov, ti ricordi, il fratello di Dmitri"
"Alex!" disse Philip, con la voce che sprizzava sollievo. "Ma certo.
Sulle prime non riuscivo a individuarti. Ma adesso..."
"Certo, certo" disse Alex. "Ne passato di tempo." Si strinsero la mano, e
Alex disse: "Adesso vivo a New York. Mi sono appena trasferito".
"Davvero, che bello! Che cosa fai?"
"Lavoro alla Rochefeller University.
Lo sai, in un laboratorio."
"Che bello" fece Philip. " proprio fantastico."
Si tenevano ancora la mano, per cui si interruppero bruscamente. "Ehi, lo
sai che sento sempre Dmitri" disse Alex. "Mi chiede di te, se per caso ti ho
incontrato."
"Davvero? Come se la cava al Mit?"
"Oh, va benissimo. Lo conosci Dmitri. Adesso si preso un semestre di
libert; sta facendo il suo giro in Europa. Gli ho dato la mia vecchia guida
Spartacus, come regalo d'addio, e immagino che gli sia stata piuttosto utile,
se capisci cosa intendo."
"Conoscendo Dmitri, sono sicuro che si fatto un sacco di amici" disse
Philip.
"Certo, ci puoi giurare" disse Alex. "L'ultimo questo tipo di Firenze, uno
che ha incontrato nei gabinetti della stazione ferroviaria.

Ci crederesti? Solo a Dmitri capitano cose del genere. Mi ha mandato una


cartolina raccontandomi tutto. Era un primo piano del cazzo del David, con
del rossetto spalmato intorno.
Comunque, adesso Matteo. Prima, c' stato Ernst, Jean-Christophe, Nils.
Sta davvero aprendo un canale diplomatico tutto da solo laggi"
"Sembra proprio di s."
Risero per qualche secondo buono. "E tu" disse Alex, "come te la passi?
Ti godi i "frutti" di New York?" e gett un'occhiata allusiva intorno al bar.
"Be, da qualche tempo vedo una persona" disse Philip. "Adesso te lo
presento." Ma quando si gir a cercare Eliot nel punto dove si trovava
prima, Eliot non c'era pi.
"Questa non la capisco" disse Philip. "Era l un secondo fa."
"Philip" disse Geoffrey, "penso che adesso ce ne andremo. stato
divertente, ma passata da tempo l'ora della nanna."
"Davvero? Che peccato" disse Philip.
"Oh, Alex, vorrei presentarti Derek, Geoffrey, John." Ancora una volta i
suoi occhi scandagliarono la stanza.
"Felice di conoscervi" disse Alex, stringendo loro la mano.
"Avete visto Eliot?" chiese Philip.
" di sopra" disse Derek. "Gli abbiamo appena dato la buona notte. Ma
come ho detto, dobbiamo veramente andare."
"Oh, certo."
"Bene, stato un vero piacere, mio caro" disse Geoffrey. "Forse ci
rivedremo prima o poi." Si pieg e gli diede un bacio umidiccio sulla
guancia; Philip si trattenne dall'asciugarsi l'impronta bagnata.
"Arrivederci."
Pass qualche secondo. "E quelli che erano?" chiese Alex, sorridendo.
Philip fece una smorfia.
"Soltanto..." esit. "Che tu ci creda o no" disse, "erano i miei suoceri."
"uh, uh" fece Alex tambureggiando col piede sul pavimenti.
"Hai mai sentito parlare di Derek Moulthorp?" chiese Philip.
"Derek chi?"
"Derek Moulthorp" disse Philip. " un famoso scrittore di libri per
bambini."
"No, non credo proprio di conoscerlo." Alex piant gli occhi nell'oscurit.
"Peccato" disse Philip. "Era quello alto. davvero grande - un grande
scrittore, intendo dire."
"Non ne dubito." Alex stava fissando risolutamente lo sguardo
nell'oscurit. "Senti, Philip" disse, "ho appena stabilito un contatto d'occhi
con questo bel tocco che ho seguito per tutta la sera, e penso che sia meglio

battere il ferro intanto che caldo. Comunque, davvero, stato fantastico


vederti." Ancora una volta stava stringendo la mano di Philip. "A proposito,
mander i tuoi saluti a Dmitri."
"S" disse Philip, immaginandosi gi la lettera. Alex avrebbe scritto:
"Penso che uno di quei vecchi fosse il suo bello" Ancora una volta fece una
smorfia. "Digli di chiamarmi" disse.
"Lo far" disse Alex.
Poi scomparve.
Da solo ancora una volta, Philip si trasfer di sopra; la folla si stava
assottigliando, not. Eliot era in piedi appoggiato al muro, con gli occhi
chiusi, a bere acqua Perrier.
"Ti ho perso" disse Philip.
"S, be...' stavo parlando con della gente e siamo finiti qua sopra."
Philip storn lo sguardo. "Sei pronto ad andare, o vuoi rimanere un altro
po?" chiese.
"No, posso anche andare."
Fin la Perrier in un'unica sorsata, e si diressero gi per le scale e fuori
dalla porta.
Una volta in strada, si incamminarono a sud, verso l'appartamento di
Eliot. Non parlavano, e non si tenevano per mano. Di quando in quando la
spalla di Eliot sfiorava quella di Philip, ma era casuale, accidentale - non
come la prima sera in cui avevano fatto questa passeggiata, quando ogni
avvicinamento, ogni contatto occasionale poteva essere un approccio
intenzionale. Adesso, per qualche motivo, Eliot sembrava lontanissimo
dietro ai suoi occhialetti rotondi, come qualcuno visto attraverso la parte
sbagliata di un telescopio, qualcuno osservato a grande distanza.
Attraversarono la Seconda Avenue, e Eliot disse: "Senti, se volevi sapere
qualcosa sui miei genitori, avresti potuto chiederlo a me. Non c'era bisogno
che te lo facessi dire da Geoffrey"
Non smisero di camminare. "Non volevo farti arrabbiare" disse Philip.
"Stavo solo facendo conversazione."
"Allora era una conversazione che avrei preferito non dover ascoltare.
Non mi piace che la mia vita venga messa in piazza e giudicata, anche se
Geoffrey a farlo."
"Eliot" disse Philip, "non veniva messa in piazza. Ero solo io che volevo
sapere qualcosa della tua infanzia. Vorrei sapere cosa pu aver detto
Geoffrey per darti questa impressione! Geoffrey ti vuole molto bene."
"Lascia perdere Geoffrey" disse Eliot. "Geoffrey lo conosco. Sto parlando
di quello che tu hai fatto a me."
"Mi spiace" disse Philip con calore.

"Non intendevo ferire i tuoi sentimenti."


"Non trattarmi con condiscendenza."
"Be, non so proprio che cosa vuoi da me. Dici che avrei dovuto chiederlo
a te invece che a loro, ma non mi hai mai dato la possibilit di farlo. Hai
sempre messo in chiaro che non avevi nessuna intenzione di parlarne..."
"Ho tutti i diritti di essere riservato sulle cose su cui desidero essere
riservato" disse Eliot. Stava quasi gridando, e camminava molto in fretta.
Philip era silenzioso. Alla fine disse: "Eliot, mi spiace. Mi spiace
davvero"
Si fermarono bruscamente, ed Eliot scosse la testa, e fece un forte sospiro.
Alla fine alz gli occhi su Philip e disse: "Non voglio buttarti addosso cento
cose tutti insieme, ma bisogna proprio che ti dica che comincio ad avere dei
dubbi sul nostro rapporto"
Rimasero l in piedi. Philip affond ancor di pi le mani nelle tasche.
"Come?" fece. "Come?"
"Proprio cos" disse Eliot. "Dubbi."
Parve lottare alla ricerca delle parole. "Il tuo bisogno mi spaventa, Philip"
disse. "Quelle serate che abbiamo passato separati, potevo sentire la tua
angoscia fin dall'altra parte della citt. A miglia di distanza mi rimanevi
appiccicato, e non mollavi la presa."
Philip guard il terreno davanti a s. Dunque il dolore e la preoccupazione
non erano a loro volta cose private? Si chiese offeso perch non gli venisse
neanche concesso di soffrire in silenzio. Ma era troppo imbarazzato per
arrabbiarsi.
"Mi spiace" disse. "Mi spiace che tu pensi questo. Ma io credo di amarti
davvero, e mi capita di spaventarmi molto." Alz gli occhi su Eliot, che in
modo quasi udibile aveva trattenuto il fiato per un secondo. Era una mossa
disperata, dire quelle parole rischiose, ma non se l'aspettava da Eliot: per lo
meno non cos presto.
Continuarono a camminare, pi lentamente, ed Eliot disse: "Cos' che ti
spaventa, Philip?"
"Fare questa conversazione." Gli tramava un po la voce. "L'ho temuta
cos a lungo" disse. "Ho cercato tanto di evitarla. Pensavo che il mio amore
per te... Pensavo che potesse impedire che succedesse."
"Ma Philip" disse Eliot, " proprio questo il problema, non capisci? Non
hai abbastanza fiducia in te stesso per fidarti di noi. Cos non posso fare a
meno di avere dei dubbi. Sono veramente io che tu hai amato? Ma mi
conosci davvero, sai niente di me?"
"Cosa vorresti dire?" chiese Philip.

"Voglio dire che talvolta mi pare che tu non mi conosca per niente. Non ci
abbia nemmeno provato."
Per un momento Philip rimase semplicemente con gli occhi spalancati,
attonito, a fissare l'intreccio intricato del pullover di Eliot. Poi si gir
goffamente. "Devo andare a casa" disse, e incominci a marciare
velocissimo verso la Seconda Avenue.
"Philip" gli grid dietro Eliot.
"Philip, fermati."
Philip si ferm.
"Cosa stai facendo?"
"Sto andando a casa."
"Perch stai andando a casa?"
Eliot lo fece girare per guardarlo in faccia. "Dannazione" disse Philip,
"dirmi una cosa del genere... come osi dirmi una cosa del genere! Non
giusto da parte tua..."
"Cos' che non giusto?"
Philip aggrott la fronte. " che... d'accordo, forse non ti ho visto, forse
vero che non ti conosco veramente. Ma tutta colpa mia? Tutte le volte che
cerco di chiederti qualcosa, ti chiudi come un'ostrica o ti arrabbi. Se io non
ti conosco, perch tu non mi permetti di conoscerti."
Eliot rise - un breve sbuffo che Philip non gli aveva mai sentito prima.
"Lo sai che non cos semplice" disse.
"E allora com'?"
Eliot tir un lungo sospiro, si allontan da lui. "Mi spiace" disse, "ma il
fatto , che fin dall'inizio, questa storia stata fra te e te, e io sono stato
semplicemente un manichino; sono stato un emblema del tipo di persona
che potevi immaginare d'amare, non la persona che amavi. Non mi sono
nascosto a te, Philip. Ma bisogna che tu impari a fare le domande giuste e
nel modo giusto se vuoi ottenere una risposta." Piant i pugni nelle tasche, e
si gir su se stesso. " difficile per me dirti questo" disse. "Ma proprio
cos. Tu dici che sei innamorato di me, ma chiaro che non ne sai niente
dell'essere innamorati, perch questo non niente..."
"Piantala" disse Philip. "Piantala."
Ancora una volta, Eliot si gir e lo guard. Era l in piedi, silenzioso
contro il muro, con gli occhi chiusi.
"Philip" disse Eliot.
"Non so quanto sia vero quello che dici, ma non hai il diritto di dirmi che
non ti ho amato. L'ho sentito proprio qui."
Si diede un pugno proprio sul cuore, forte, come un medico che cerchi di
far rinascere la vita. "Puoi dirmi che sono egoista" disse. "Puoi dirmi che

sono infantile e talmente preso di me che talvolta non mi rendo conto delle
cose. Ma non puoi dirmi che quello che provo non reale. Questo
veramente troppo."
Eliot guard il terreno davanti a s. "Mi spiace" disse. "Hai ragione.
troppo."
"D'accordo."
Si gir e incominci a incamminarsi verso la Seconda Avenue.
"Dove stai andando?" grid Eliot.
"A casa" disse Philip.
"Fermati" disse Eliot.
Si ferm, ed Eliot and verso di lui. "Philip" disse. Lo fece girare,
tenendogli le braccia sulle spalle.
" tardi" disse Eliot. "Vuoi davvero andare a casa da solo adesso, nel
freddo?" Sorrise, e prese la faccia di Philip tra le mani. Le sue palme erano
calde e sicure contro la faccia fredda di Philip, come i fratelli Kamarov in
quella lontana domenica del diploma, che lo abbracciavano proteggendolo
dal pericolo. O almeno cos' gli sembrava.
Perch, perch faceva questo? si chiese Philip. Perch proprio adesso,
quando aveva tanto bisogno di odiarlo, Eliot doveva essere gentile?
"Mi spiace di averne parlato in questo modo" disse. "Ero proprio
arrabbiato. Senti, andiamo a casa."
Philip era sospettoso. "E domani?" disse.
"Domani domani. Stasera voglio che tu rimanga con me."
Philip cerc di abbassare gli occhi, ma Eliot gli teneva alzata la faccia e
non gliela lasciava girare. "Mi dici che sono stato terribile con te, mi dici
che non ti ho amato, che non ho fatto niente per te, che ti ho usato, e adesso,
tutt'a un tratto, vuoi che passi la notte con te? Questo non lo capisco, Eliot."
"Senti, ho detto quello che volevo dire, quello che dovevo dire, perch
l'avevo in mente, e da un po mi tormentava" disse Eliot. "Ci tengo a te.
Qualcuno che ci tiene a te quanto ci tengo io ti permetterebbe di fare
quell'enorme viaggio a casa, sulla metropolitana, a quest'ora? Tutto solo?"
Accost il viso a quello di Philip, cos vicino che Philip pot sentire il suo
fiato. "Voglio stare con te stanotte" disse. "Non mi credi?"
Sorrise di nuovo, in modo ancor pi dolce. Philip guard il pullover di
Eliot, i loro piedi gli uni fronte agli altri sul marciapiede screziato, i
ristoranti indiani ancora illuminati a quest'ora tarda. Non c'era niente di
quanto avesse detto Eliot che non avesse senso per lui, che non avesse la
spaventosa risonanza della verit.
Immagin di andarsene burrascosamente, si vide ad aspettare quaranta
minuti sulla piattaforma fredda della metropolitana, a fare chilometri e

chilometri sul treno sferragliante fino alla piccola stanza scura uptown dove
non lo aspettava niente, e non riusc a sopportare quel pensiero. La squallida
prospettiva di quel viaggio uptown spense il suo desiderio di una vistosa
vendetta. Sembrava che per lui non ci fosse alcuna dignit in tutta questa
faccenda.
"Ti credo" disse. Poi incominci a piangere, solo un po. Sorridendo,
Eliot lo prese tra le braccia, lo strinse e lo cull e gli baci la fronte come
l'aveva baciata la madre di Philip quando lui era bambino e aveva la febbre.
Allora Philip si lasci andare a uno scoppio di veri e propri singhiozzi e
affond la faccia nel pullover di Eliot, mormorando in modo quasi
impercettibile, ancora e ancora: "Ti amo, ti amo", finch non si form una
piccola chiazza bagnata sul pullover, sopra il cuore di Eliot.
"Coraggio" disse Eliot. "Andiamo a casa."
Cos incominciarono a camminare, sotto braccio, verso l'appartamento di
Eliot.
Quando rientrarono, fecero l'amore con una dolcezza e una chiarezza che
Philip avrebbe ricordato per sempre, anche molto dopo che era svanito ogni
altro ricordo di Eliot. Gli parve che nella strana sacca di quell'unica notte
perduta, il semplice istinto di prendersi cura di qualcuno che aveva ferito
avesse generato in Eliot un nuovo sentimento, un sentimento che non aveva
niente a che fare con l'amore tormentato e discutibile che diceva di non
poter pi sopportare.
"Eliot" disse Philip pi tardi, quando erano sdraiati in silenzio al buio, ad
ascoltare il traffico, "penso che andr a farmi la barba."
"Non faresti meglio ad aspettare fino a domattina?" chiese Eliot.
"No, mi piacerebbe proprio farmi la barba adesso. Mi sento sudicio, mi
renderebbe pi facile dormire."
"Be, fa come vuoi. Solo sta attento a non svegliare Jerene."
"D'accordo" disse Philip. Nudo, pass in punta di piedi accanto alla
brandina di Jerene, entr in bagno, e chiuse la porta. Agit la bomboletta di
crema da barba, apr il rubinetto e incominci a gettarsi acqua calda in viso.
Dopo qualche secondo, Eliot entr a fare la pip. Philip ascolt lo
sgocciolio lieve, quasi musicale, si spalm la crema da barba sulla faccia, e
quasi immediatamente si tagli.
"Cosa fai?" disse Eliot, mettendoglisi accanto davanti allo specchio.
"Mi sono tagliato." Eliot scosse la testa, contrariato. " chiaro che stai
sbagliando tutto, togliti tutta quella crema da barba e lascia che ti faccia
vedere come si fa." Philip esegu. "Il trucco" disse Eliot, " accertarti che la
tua faccia sia veramente bagnata di acqua ben calda prima di metterti la
crema da barba.

Cos."
La sberla bollente e umida della mano di Eliot contro la sua faccia lo
sconcert. "Ecco" disse Eliot, soddisfatto, e spalm di crema da barba le
guance di Philip, la stese sopra al labbro superiore, e gi sotto le orecchie.
"Sar meglio che lasci fare a me" disse, "altrimenti finirai col tagliarti di
nuovo." Era vero.
Quando lo faceva da solo, Philip si tagliava sempre.
Eliot prese il rasoio e incominci abilmente a farlo scorrere per il lungo
sulla faccia di Philip. Sulla scia della lametta, le guance di Philip si
arrossarono, improvvisamente lisce, e gli vennero in mente lontane scene
comiche di spettacoli televisivi della sua infanzia, i padri che insegnavano ai
figli a farsi la barba per la prima volta, risate impacciate, uomini e ragazzi in
pantaloni di flanella e magliette che si attaccavano con delle bombolette di
crema da barba. Suo padre per non gli aveva mai mostrato come radersi, e
lui era stato troppo imbarazzato per chiederglielo. Un legame maschile cos
imbarazzante era impensabile con Owen.
Cos, se lo era insegnato da solo, in segreto, sperando che n sua madre n
suo padre notassero gli errori, i graffi sul collo e sul mento, e di
conseguenza, non aveva mai veramente imparato i trucchi del bagnarsi la
faccia, di dare la giusta angolazione alla lametta e di tendere la guancia con
la lingua. Ma adesso Eliot glieli stava insegnando, Philip pens che questa
intimit - Eliot che manovrava con cura il rasoio intorno al suo mento,
lavando via la crema di troppo, asciugandogli la faccia con piccoli
schiaffetti, questo fremito di pelle liscia bagnata e umida - tutto ci
apparteneva soltanto a uomini che erano amanti.
Gli parve una specie di celebrazione.
Pi tardi, mentre Eliot giaceva addormentato sul piumone, Philip si rizz
a sedere, guardando fuori dalla finestra. Le sue dita pulsarono contro il duro
cotone del piumone; le sue gambe tremarono mentre lui contava i minuti
fino all'alba.
La notte dopo la dichiarazione di Philip, Rose sogn che stava vegliando
fuori da una stanza d'ospedale. Al risveglio, per, non riusciva a ricordare
chi stesse morendo al di l della porta, ricordava solo le confuse luci gialle
dell'ospedale sui contorni delle cose, e una bimba che vagava per i corridoi,
stringendo in mano la testa decapitata di una bambola. Che aspetto strano
aveva quella bambina; teneva per i capelli la testa sorridente e con gli occhi
di vetro, come Giuditta la testa di Oloferne.
Quando Rose chiese alla madre - niente faccia, niente capelli, solo l'idea
di una madre - che cosa era successo al resto della bambola, la madre esit:

"Zitta. Non ne parli. Altrimenti comincer a piangere a dirotto. Se


incomincia non la smette pi"
"Chi era la persona che stava morendo? E io chi stavo aspettando?" chiese
Rose a Owen la mattina dopo, quando pareva non ci fosse niente di meglio
da fare che parlare di sogni.
Fuori dalla loro finestra era piovigginoso e chiaro, e bench nessuno dei
due avesse dormito granch, erano pieni di una stordita energia
semplicemente per il sollievo di avercela fatta a passare la notte.
"Ero io" disse Owen. Quella mattina aveva gli occhi spalancati e rossi.
" evidente."
"E la bambina?" disse Rose, bevendo un sorso di caff. "La bambina?"
"Evidente ancora una volta" disse Owen, che sembrava in possesso di
tutte le risposte. "Era Philip."
Nella scura calma regolare della loro vita serale Philip era arrivato, senza
annunciarsi. "Stiamo guardando Il gioiello e la corona" disse Rose. " quasi
finito."
"Pap c'?" chiese Philip.
"S. Fa piano, sta succedendo qualcosa di importante."
Philip guard il pavimento. "Be, immagino che adesso non potr proprio
evitarlo" disse piano.
Rose era troppo ansiosa di tornare alla televisione per sentirlo, o
quantomeno, per estrapolare il senso di quel che diceva. Rimase seduto con
loro finch il programma non fu finito. "Un'altra settimana" disse Rose.
"Riuscir ad aspettare un'altra settimana?"
Philip spense il televisore senza tante cerimonie. Ci fu uno schiocco e un
sibilo mentre il quadro si rimpiccioliva fino a una nocciolina di luce prima
di scomparire. Rose e Owen lo guardarono straniti, chiedendosi che cosa lo
aveva spinto a spegnere l'apparecchio. Poi la stanza si riemp di un silenzio
quasi tangibile.
"Ho qualcosa da dirvi" disse Philip.
" molto importante."
Rose alz gli occhi su di lui, sorpresa dalla seriet del suo tono.
Philip era sbiancato in volto, le mani accartocciate in pugni stretti. Non si
era ancora tolto il cappotto.
"Philip" disse lei, togliendosi gli occhiali. "Che c'?"
Philip non disse niente, rimase solo l in piedi, sbuffando; infine si tolse il
cappotto.
"Vuoi sederti?" disse Rose.
"Preferisco stare in piedi."

Altro silenzio. "Philip" disse di nuovo Rose. "Qualcosa non va? Diccelo,
tesoro."
"D'accordo" disse lui. "Ecco qui."
Storn gli occhi da loro. "Avevo intenzione di dirvelo da molto tempo"
disse, "e non ne ho mai parlato, perch penso di avere avuto... paura."
"Bene" disse Rose, "di cosa si tratta?"
Philip chiuse gli occhi. "Sono gay" disse. Poi lo ripet, come se non lo
avessero sentito. "Sono gay." Spalanc gli occhi, li guard ma le loro facce
erano prive di espressione. " uno shock per voi? Siete sorpresi?"
Le sue parole si rincorrevano velocissime. "Non una cosa nuova. Al
lavoro e ai miei amici l'ho detto ormai da molto tempo. Solo a voi non l'ho
detto. Non so perch. Immagino di avere avuto paura di deludervi. Volevo
aspettare finch non avessi avuto la sensazione che la mia vita fosse
abbastanza valida da potervela mostrare senza vergognarmene. Volevo
aspettare finch non potevo dimostrarvi che una vita omosessuale pu anche
essere una cosa buona."
All'improvviso gli venne da piangere.
Rose continuava a sbattere le palpebre, come se avesse passato un po di
tempo al buio e si fosse appena accesa la luce. Owen era ripiegato su se
stesso, le spalle rigide nella camicia bianca, le mani strette tra le ginocchia.
Philip continu a parlare - di ortodossia politica, di scelte personali, dello
scrittore di libri per bambini Derek Moulthorp (ma perch?) - poi si blocc
di colpo, prese un kleenex e si soffi il naso.
Tutto questo pass sopra la testa di Rose. Oh, non era ingenua lei. Di
omosessuali ne conosceva. C'era un certo numero di omosessuali nel suo
ufficio. Ma fino a questo momento aveva pensato alle loro vite come le
capitava di quando in quando di pensare distrattamente alle vite dei portinai
degli stabili davanti ai quali passava chiedendosi: dove vivono? Hanno delle
famiglie? Dei bambini? Adesso, all'improvviso, era come se l'avessero
tuffata a capofitto dentro un mondo distante e sgradevole verso il quale
aveva ben poca curiosit e nei confronti del quale provava un'avversione
casuale e non dichiarata. Sbatt le palpebre.
Significava forse, si chiese, che d'ora in avanti, ogni volta che leggo la
parola "omosessuale" in un libro, o la sento al telegiornale, ricever un
pugno allo stomaco? Dovr tapparmi le orecchie? Pens, improvvisamente,
all'Aids e prov l'impulso di tapparsi le orecchie.
Philip stava parlando, gli occhi frenetici, come se avesse paura di
bloccarsi. "Non si tratta solo dell'omosessualit" stava dicendo. "In realt
un problema di segreti. Lo so che deve essere uno shock per voi che io vi
abbia tenuta segreta tanta parte della mia vita, voglio dire. Lo so che tutti i

bambini hanno dei segreti che non dicono ai genitori. Ma di solito questi
segreti non occupano una parte cos enorme delle loro vite. Be, ho deciso
che non era giusto per nessuno di noi. Basta coi segreti. Basta."
Adesso stava guardando fuori dalla finestra, verso il traffico notturno e le
stelle. All'improvviso si gir, li guard con aria di sfida e disse: "Lo sapete
che ho tenuto per anni delle riviste pornografiche in quella valigetta, quella
del mio armadio? Le tenevo nascoste l. Lo sapevate?"
"No, non lo sapevo" disse Rose, accettando la sfida, e a un tratto ricord
che una volta effettivamente aveva intravisto qualcosa sotto il letto - la
fotografia di uomini nudi, ricord adesso con vivezza - e che non ci aveva
fatto troppo caso perch si era detta: deve averla trovata nella spazzatura;
deve avergliela data per scherzo uno dei suoi amici. Il ricordo era vago,
irrilevante, ma riusc a scuoterla dal suo stato di ottundimento. Come mai
non aveva notato quel dettaglio? Proprio lei, che non se ne lasciava sfuggire
uno.
"Be, adesso lo sapete" disse Philip. Pareva avesse delle difficolt a
deglutire. Li fiss, in attesa del peggio. Ma Rose non disse niente. La sua
faccia era pallida, priva di espressione, un foglio di carta bianca, la bocca
serrata in un piccolissimo nodo.
Poi si alz, con le mani intrecciate, e cammin in un piccolo cerchio.
"Non mi dici niente?" chiese Philip.
"Non so bene cosa dire."
"Forse... "Sono contenta che tu me l'abbia detto.""
"Non sono sicura di essere contenta che tu me l'abbia detto."
"Avresti preferito che lo tenessi segreto ancora pi a lungo?"
"Noi tutti abbiamo dei segreti, Philip. Io ho dei segreti, un sacco di
segreti, significa forse che dovrebbero essere rivelati tutti?"
"A volte meglio essere onesti."
"Meglio per chi?"
Philip rimase zitto per un momento.
"Per tutti noi" disse alla fine.
"Vorrei esserne altrettanto certa" disse Rose. Cincischi un fiore morente
in un vaso in cima al televisore. "Ma io non sono una donna senza
pregiudizi" disse, poi pens, e questa battuta da dove viene? Per un
momento si chiese se non l'avesse letta in uno dei suoi manoscritti.
"Be," disse, "ormai troppo tardi, quel che stato detto non pu pi
essere non detto."
"Pensi che non riuscirai pi a volermi bene? cos?" chiese piano Philip,
dalla poltrona nell'angolo in cui si era rifugiato.

Rose lo guard, sorpresa. Perch stava dicendo questo? Poi la colp il


pensiero che naturalmente a essere in gioco erano la sua approvazione, il
suo "amore" Per rassicurarlo come si ci aspetterebbe da una madre, cap che
avrebbe dovuto andare verso di lui e abbracciarlo, ma tutto quel che riusc a
fare fu un'amara risata. "Ma no, Philip, no naturalmente" disse.
"Niente di simile." Si allontan. " solo che estremamente nuovo per
noi" disse. " una cosa che non abbiamo mai dovuto affrontare prima. Ti sei
spiegato molto bene, ma bisogner... bisogner che tu ci dia del tempo.
Giusto, Owen?"
Dall'angolo dove sedeva ripiegato su se stesso, Owen annu.
"Tempo" disse Rose. "Abbiamo solo bisogno di tempo. Hai ragione...
questa s che una notizia."
Guard le nuvole notturne fuori dalla finestra, tutte buchi e dentellature, e
si stropicci le mani.
"Mamma" disse Philip.
Lei non rispose.
"Mamma."
Ancora non rispose. Era prossima al pianto.
"Cos adesso non mi parli?" disse Philip. "Be, un bell'aiuto, lascia che te
lo dica, mamma." Furioso, intrecci le mani, e marci in un piccolo cerchio
furibondo. "Non restartene l impalata, come se io non fossi qui" disse.
"Non puoi fare questo."
"Non dirmi cosa posso e cosa non posso fare, giovanotto" lo rimbecc
Rose girandosi all'improvviso. "Per Dio, non gentile da parte tua aspettarti
che io la prenda alla leggera. Venire a casa mia, pensando di potermi dire
come devo comportarmi... be non puoi farlo. Ce l'hai buttato addosso tu
questo problema, noi non te l'abbiamo chiesto."
Si gir di nuovo, con le braccia strette intorno al petto.
Philip abbass gli occhi al pavimento. "Mi spiace" disse. "Hai ragione.
Sto esagerando."
Si sedette, tutto ingobbito, sul sof vicino a suo padre. Con le gambe
incrociate davanti a loro, fissavano il vuoto come un paio di mariti dagli
occhi vitrei persi in una partita di football. Ci fu un lungo silenzio. Poi
Philip disse: " che stato un incubo venire da voi con questa notizia.
Voglio dire, ormai sono anni che aspetto, mi preoccupo, sono pieno di
dubbi. E ho paura che voi possiate smettere di volermi bene" Rose storn lo
sguardo. Philip si alz di nuovo, si avvicin a sua madre da dietro, le mise
un braccio sulle spalle. " solo che non mi pareva giusto che voi non
sapeste una cosa cos importante della mia vita, mamma, che vi sfuggisse
una parte cos importante della mia vita."

La spalla di lei sobbalz lievemente al tocco della sua mano, e Philip


l'allontan. Rose rise, scosse la testa. "Philip" disse, "ce ne sono di cose che
potrei raccontarti. Cose che non ho mai raccontato ad anima viva."
"Raccontale" disse Philip.
"No."
"Perch no? Sono pronto."
Rose si gir, guard Owen accasciato sul sof. "Perch non sono affatto
convinta che siccome una cosa un segreto deve per definizione essere
rivelata" disse Rose. "Tenere certi segreti importante per... l'equilibrio
generale della vita, il bene comune."
"Forse" disse Philip. "Forse vero per alcune cose. Ma perch questo
dovrebbe essere un segreto? Quello che sto dicendo : pensa se tu dovessi
tenere segreta la tua eterosessualit.
Se tu non potessi mai raccontare a nessuno che hai incontrato pap e te ne
sei innamorata. Se non potessi mai vivere con lui e invitare a cena i tuoi
genitori. Sarebbe duro. Non sarebbe giusto."
Rose si allontan. "Non la stessa cosa" disse.
"Perch?"
Rimase in silenzio per un momento.
Di fronte alla finestra vedeva le macchine sfrecciare impetuose per la
Seconda Avenue. "Io sono cresciuta in un mondo diverso dal tuo" disse. "Ai
miei tempi, la gente si preoccupava di cose pi importanti che non la
soddisfazione personale. C'erano davvero cose pi importanti. Si facevano
delle rinunce per un bene pi grande. Si aveva una famiglia. Al giorno
d'oggi, tutti devono soddisfare anche il bench minimo desiderio che gli
salta in testa, senza curarsi di chi feriscono. E non sto parlando soltanto di
te. Sto parlando di tutti quanti, di tutti voi giovani, che pensate soltanto a
voi stessi. Io li leggo i giornali. Lo so cosa succede."
"Ma, mamma" disse Philip, "essere gay non semplicemente... soddisfare
un capriccio. una questione vitale." Si batt le mani sui fianchi e alz gli
occhi al soffitto.
"Insomma, cosa vuoi?" chiese. "Che io sposi una donna che sessualmente
non mi attrae neanche un po? Che non mi fa provare niente sul piano
sessuale, solo angoscia perch non provo nessuno stimolo sessuale?
D'accordo. Mettiamo che io lo faccia. Forse ogni tanto potremmo anche fare
del sesso, se facendolo io pensassi agli uomini, e forse lei non se ne
accorgerebbe quando guardo gli uomini per strada.
Ma alla lunga, pensa che logoramento in un matrimonio del genere.
Sarebbe forse giusto per lei, quando potrebbe essere sposata con un uomo
che potrebbe amarla davvero sessualmente?

E cosa ancor pi importante, sarebbe giusto per me, quando potrei stare
con qualcuno che amo sessualmente?" Scosse la testa. "Se mi svegliassi fra
trent'anni e mi guardassi alle spalle e capissi che ho sprecato la mia vita be, sarebbe orribile. Perch importante, mamma. La mia sessualit, la mia
attrazione per gli uomini, la forza pi cruciale, pi elementare della mia
vita, e negarla, fingere che non ci sia perch ho paura di quello che pensa la
gente - questa s sarebbe una tragedia."
"La maggior parte della gente" disse Rose, "considererebbe una vita
omosessuale una tragedia, coi bar e tutto il resto." Si gir a guardarlo in
faccia. "Cosa succeder quando avrai la mia et?" disse. "Una cosa fare
quello che vuoi quando sei giovane. Ma dopo? Essere soli, senza famiglia."
"Io non ho intenzione di rimanere da solo" disse Philip. "Io intendo stare
con il mio ragazzo. E comunque, anche la gente gay pu avere una famiglia.
Ormai in numero sempre maggiore gli uomini gay e le lesbiche stanno
trovando dei modi per avere dei bambini, o con l'adozione..."
"E che razza di vita sarebbe per i bambini?"
"Una bella vita" disse Philip. "Come ti stavo dicendo, Derek Moulthorp e
il suo amante hanno allevato Eliot, la persona con cui sto adesso, e devo
dire che una delle persone pi felici e pi equilibrate che conosco."
Rose guard fuori dalla finestra.
"Io la considero una tragedia" disse.
"Mi spiace, ma proprio cos."
"La tragedia" disse Philip, " che tu insisti a farne una tragedia, mamma.
Sei tu che crei la tua tragedia, non io. Io voglio solo chiarire le cose."
In quella, Owen si alz dal sof.
Era rimasto seduto in silenzio tutto il tempo, con le mani premute sulle
tempie, gli occhi chiusi, ad ascoltare. Guard Rose e Philip, con il labbro
inferiore che gli tremava, come se fosse sul punto di fare una grande
rivelazione. Ma l'impulso pass. Si mise le mani sulla testa, e si sedette di
nuovo.
"Stavi per dire qualcosa, pap?" chiese Philip.
"No, niente" disse Owen. "Di colpo non mi son sentito bene. Volete
scusarmi?"
"Pap" disse Philip. "Non hai detto niente su questa storia. Stai bene?"
"S, sto bene. Mi spiace, figliolo.
Voglio dire... mi spiace di non aver detto niente. Io penso... penso che sia
o-kay." Pronunci la parola in un modo strano, separando le due sillabe e
dandole una grande enfasi. "S" disse. "O-kay."
Rose distolse lo sguardo, e incominci a tamburellare con le dita sul
televisore. Poi, all'improvviso, non ci fu pi niente da dire.

"Probabilmente dovrei andare" disse Philip. "Ho bisogno di andare a


casa."
Si diresse verso l'armadio e tir fuori il cappotto.
"Sei sano?" chiese Rose mentre se lo stava infilando. Si gir verso di lui,
con gli occhi improvvisamente pieni di angoscia.
Philip si ferm a met manica. "S" disse. "Per quanto ne so, sono
assolutamente sano."
"Te lo chiedo" disse Rose, "solo perch ho letto il "Times", ho letto quelle
storie, e io..." Le si incrin la voce. "Io non sopporterei di vederti..."
Philip sorrise, e le mise una mano sulla spalla. "Mamma, non
preoccuparti" disse. "Sto bene.
Comunque, non ho nessuna intenzione di correre dei grossi rischi
sessuali.
Star bene."
Lei abbozz un sorriso.
"Posso chiamarti domani?" chiese Philip.
"S" disse lei.
"Bene."
La baci sulla guancia.
"Arrivederci, pap" disse. "Spero che ti rimetta presto."
Owen annu. Ma aveva la faccia dello stesso colore della sua camicia
bianca inamidata e altrettanto sciupata.
"Mamma?" disse Philip. "Prova a non essere troppo arrabbiata."
"Non sono arrabbiata con te" disse piano Rose. "Se mai provo qualcosa,
provo tristezza. Dolore. Visto che la facciamo tanto lunga sull'essere onesti,
tutto quel che ho da dire che mi dispiace."
Storn gli occhi.
"Be" disse lui. "Spiace anche a me.
Ma sono convinto che passer. Vedrai.
Te lo dimostrer. Non c' niente di cui addolorarsi." Si spost
nervosamente da un piede all'altro.
"Ho un nuovo ragazzo meraviglioso, mamma. Voglio che tu lo conosca be, forse per questo dovremo aspettare.
Comunque, arrivederci."
"Arrivederci."
Con impaccio, Philip pos le mani sulle spalle di sua madre e la baci
sulla guancia. Esit per un momento prima di lasciarla andare immaginando, suppose lei, che potesse ancora prenderlo fra le braccia.
Questo suo bisogno era quasi sufficiente a spezzarla.

"Preparo il caff" disse Rose a Owen dopo che se ne fu andato. Entr in


cucina e attacc la caffettiera, e quando ne usc Owen stava piangendo
silenziosamente col viso chino sul braccio.
Rose rimase in piedi contro la parete. "Owen" disse. "Owen." Lui non
rispose. Piangeva come avevano pianto i cospiratori di Watergate al
processo.
"Owen" disse. Lui piangeva e non rispondeva. Lo tocc sulla spalla.
Aveva la schiena tesa come la corda di un violino.
Non aveva idea di cosa dire, come fare. Non le sembrava di averlo mai
visto piangere prima. "Owen" disse balbettando, goffamente, "lo so che
duro, ma veramente, tesoro, andr tutto bene. un bravo ragazzo. Sapr
badare a se stesso. L'ha detto anche lui; non mica la fine del mondo." Ma a
quelle parole Owen pianse ancora pi forte, come se non ci fosse niente che
potesse consolarlo.
E adesso, molto piano, le parve di sentirgli dire: " davvero la fine del
mondo"
"Come, tesoro? Come hai detto?"
Lui piangeva. Sent il sibilo della caffettiera. "Owen, fammi prendere il
caff" disse Rose. Cautamente allontan il braccio, lasciandolo
raggomitolato sul sof, and in cucina, spense la caffettiera. Sopra di lei, su
uno scaffale, c'erano le tazze, le stesse tazze di porcellana bianca, le stesse
pentole, gli stessi bicchieri. Ogni dettaglio del mondo era lo stesso. Non
avrebbe dovuto esserlo.
Rose torn in soggiorno, e lui non c'era pi. "Owen?" chiam. "Owen?"
Ma nessuno rispose. In preda al panico, si precipit nella loro camera da
letto e vide che la porta del bagno era chiusa e sent che era in funzione la
doccia. Lo scroscio dell'acqua contro le piastrelle mascherava a malapena il
rumore dei singhiozzi di Owen.
Si sedette sul letto. Ai suoi piedi c'erano le scarpe di Owen, le calze
ordinatamente appallottolate e ficcate dentro; i pantaloni per l'indomani
ordinatamente piegati sulla spalliera.
Da dietro la porta del bagno lo sentiva piangere forte, istericamente, col
respiro che saliva in gemiti gutturali che scoppiavano all'improvviso in
profondi uggiolii.
Pensava davvero che il rumore della doccia potesse coprire un baccano
del genere? Si alz in piedi, si diresse verso la porta del bagno, cautamente
vi si appoggi contro. Un esile filo di vapore usciva da sotto, come il fumo
di una pipa. Buss una volta.
"Owen?" disse, "Owen, ti prego, tesoro" e prov a girare la maniglia.
Aveva chiuso a chiave.

"Oddio" disse, e chiuse gli occhi.


Allora la verit la colp con tutta la forza irrevocabile della rivelazione. Si
appoggi alla porta per non perdere l'equilibrio.
Con la stessa rapidit con cui le era entrata in testa, lei la scaravent fuori,
in alto, come una palla da baseball, una palla di fuoco, che passava a
chilometri e chilometri sopra le teste di spettatori attoniti e silenziosi.
Usc dalla camera da letto, e torn verso la cucina; vers il caff. Erano
quasi le undici, vide, quasi ora del telegiornale. Tremando, cerc di bere il
caff.
Torn in soggiorno. In soggiorno tolse il fiore morto dal vaso, spazz via
la polvere dal tavolo con la mano; lo sentiva fin da qui. Oh, non avrebbe
mai smesso? Si sedette col suo caff, cerc di ignorarlo, il lamento
disperato, i getti tamburellanti d'acqua.
Poi, di colpo, venne chiusa la doccia e non ud altro che lo sgocciolio del
rubinetto. Le parve quasi umano, come la voce di un bambino che parlava
tra s.
Il bambino-gru.
Jerene lo scopr per caso. Stava lavorando in biblioteca un pomeriggio - in
realt sprecando tempo - scorrendo gli indici di riviste e periodici
psicoanalitici alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa le desse un
suggerimento, una nuova base, che illuminasse l'uscita di quella
mastodontica, e sregolata tesi in cui si era persa. Nel corso di sette anni
aveva cambiato l'argomento della sua tesi una dozzina di volte dall'abbandono del bambino alla fenomenologia dell'adozione, fino alle
lingue perdute che i bambini balbettavano nelle loro stanzette.
Eppure la sua borsa di studio era stata rinnovata e a quanto pareva
avrebbe continuato a esserlo indefinitamente, perch molti dei professori
della facolt di filosofia la consideravano un genio nascente, una grande
mente filosofica, mentre il resto temeva che potesse perdere il lume della
ragione se respingevano la sua richiesta di denaro, temevano che potesse
sorprenderli con un fucile a canna mozza per fargli saltare il cervello, come
aveva fatto quello studente di matematica di Stanford, completamente
impazzito. Per correndo l'indice, un po annoiata e incominciando a pensare
alla colazione, lesse il riassunto di un caso clinico che la incurios. Era una
raccolta di giornali psicoanalitici, sistemati in una sezione remota della
biblioteca. Segu la traccia del numero d'ordine del volume; lo tolse dallo
scaffale; lesse l'articolo la prima volta in fretta, un po ansiosamente,
saltando le frasi qua e l per scoprire la tesi come si era abituata a fare da
molto tempo. Poi lo rilesse, lentamente. Quando fin respirava in modo

irregolare, forte, e il suo piede tamburellava sulla base di scuro metallo della
libreria. Il cuore le batteva forte.
L'articolo parlava di un bambino piccolo, di nome Michel, nato da
un'adolescente sbandata, probabilmente ritardata, il frutto di uno stupro.
Fino all'et di quasi due anni, aveva vissuto con sua madre in un
casamento popolare vicino a un cantiere edilizio. Ogni giorno la madre
vagava dentro, intorno e fuori dall'appartamento, persa nella sua follia. Si
accorgeva appena della presenza del bambino, non sapeva nemmeno come
nutrirlo e come occuparsi di lui. I vicini erano allarmati per le grida di
Michel, ma quando andavano a bussare alla porta per chiederle di
tranquillizzarlo, spesso lei non c'era. Usciva a tutte le ore, lasciando il
bambino da solo, incustodito. Poi un bel giorno, quasi improvvisamente, i
pianti si interruppero. Il bambino non gridava pi, e non grid neanche la
notte seguente. Per giorni, non si sent neanche un rumore. Vennero
chiamati la polizia e gli assistenti sociali.
Trovarono il bambino sdraiato sul suo lettino accanto alla finestra. Era
vivo e straordinariamente in buona salute, considerando quanto era stato
trascurato. In silenzio, giocava sul suo squallido lettino, fermandosi ogni
qualche secondo per guardare fuori dalla finestra. Il suo gioco era diverso
da qualsiasi altro gioco avessero mai visto. Guardando fuori dalla finestra,
sollevava le braccia, poi le bloccava bruscamente, si rizzava in piedi sulle
gambe scarne, poi cadeva; si piegava e si alzava.
Faceva strani rumori, una specie di scricchiolio con la gola. Cosa stava
facendo? si chiesero gli assistenti sociali? Che razza di gioco poteva essere
questo?
Poi guardarono fuori dalla finestra, dove erano in funzione alcune gru,
che sollevavano travi maestre e travetti, o allungavano palle di demolizione
sul loro unico braccio. Il bambino stava osservando la gru pi vicina alla
finestra. Quando questa si sollevava, lui si sollevava; quando si piegava, lui
si piegava; quando le sue marce stridevano, e il motore ronzava, il bambino
produceva uno stridio con i denti, un ronzio con la lingua.
Lo portarono via. Lui grid istericamente, e non si riusc a calmarlo, tanta
era la sua desolazione per essere separato dalla sua adorata gru. Anni dopo,
Michel era un adolescente che viveva in un istituto speciale per
handicappati. Si muoveva come una gru, faceva i rumori di una gru, e
bench i dottori gli mostrassero molte fotografie e giocattoli, reagiva
soltanto alle fotografie delle gru, giocava soltanto con delle gru giocattolo.
Soltanto le gru lo rendevano felice. Divenne famoso come "il bambino-gru"
E la domanda contro cui Jerene continuava a sbattere, leggendo l'articolo,
era questa: che suono aveva? Che effetto faceva? Il linguaggio apparteneva

a Michel soltanto; per lei era perduto per sempre. Come dovevano essere
parse meravigliose e grandiose quelle gru a Michel, in confronto alle
piccole e goffe creature che lo circondavano.
Perch, Jerene ne era convinta, ciascuno, a modo suo, trova ci che deve
amare, e lo ama; la finestra diventa uno specchio; qualunque sia la cosa che
amiamo, quello che noi siamo.
Dopo aver fotocopiato l'articolo, usc dalla biblioteca. Fuori c'era un vento
pungente; si alz il bavero della giacca. Nelle vicinanze erano in corso
lavori edilizi - le gru stavano funzionando, sollevando travi all'altezza degli
uomini con il casco che brulicavano sulle impalcature precarie del
condominio in costruzione. Le gru sembravano una specie di insetti
giganteschi, dalle membra lunghissime. Incantata, Jerene si avvicin alla
staccionata di legno provvisoria che circondava il cantiere. Nella staccionata
c'era un buco tagliato sommariamente e attraverso questo Jerene osserv
l'ampia voragine dalla quale sarebbe sorto l'edificio, guard le gru affondare
e allungarsi. Rimase l nel fragore assordante delle gru. Nel macinio, nelle
vibrazioni, negli stridii, nell'universo delle gru, nel grembo delle gru, rimase
l, a occhi spalancati, e ascolt.

Padre e figlio.
Philip ed Eliot avevano un bell'essere amanti, ma non arrivarono mai a
scambiarsi le mutande. Anche se ci avessero provato, sarebbe stato
impossibile. Eliot prediligeva dei boxer shorts comodi e con sopra disegnate
cose come corone o galli, mentre Philip era quasi feticisticamente attaccato
a dei semplici slip bianchi. Uno dei segnali che avrebbe dovuto riconoscere,
fosse stato meno cieco, meno egoista, meno innamorato, era che Eliot non
lasciava mai nessuno dei suoi vestiti da Philip quando non stava l. Nessuna
delle sue mutande rimaneva nel cassetto di Philip dopo il suo passaggio;
nessuna delle sue camicie o dei suoi indumenti sportivi; solo molto tempo
dopo Philip scopr un unico calzino violetto, con il bordo fantasiosamente
decorato da un disegno di elefanti ballerini. A quel punto, Eliot era ormai
partito per Parigi da molto tempo.
Successe bruscamente. Un giorno, poco tempo dopo la cena da Derek
Moulthorp, la segreteria telefonica di Eliot entr in funzione e non venne
pi staccata.
Per tre giorni Philip lasci messaggi ed Eliot non lo richiam. Il quarto
giorno, il silenzio all'altro capo del telefono, quando gli parlava, incominci
a terrorizzarlo. Smise di lasciare messaggi, e si limit ad ascoltare
rabbiosamente la calma voce di Eliot sul nastro: "Se lasciate il vostro nome
e numero di telefono, Eliot o Jerene vi richiameranno al pi presto."
Quando per una settimana non sent neanche una parola, lasci un
messaggio a Jerene nella sua casella della posta, pregandola di incontrarlo
in un caff il pomeriggio seguente.
Lei venne in ritardo, ma venne. In un tavolino sul fondo, su brutte panche
di plastica rossa rattoppate con nastro adesivo, bevvero un caff che Philip
insistette per pagare. Jerene era magra e nervosa come al solito e indossava
l'eterna giacca di pelle e i jeans. "Sono contento che tu abbia ricevuto il mio
messaggio" disse Philip.
"S, l'ho ricevuto."
" passato un bel po di tempo. Che cosa hai combinato nel frattempo?"
"Jerene accese una sigaretta. "Be," disse, "la cosa pi importante che ho
combinato di lasciare l'universit."
"Davvero? Perch?"
"Ho deciso che non faceva per me. Mi sono resa conto che non finivo la
tesi perch in realt non avevo nessuna voglia di scrivere una tesi. Cos ho
lasciato perdere. Adesso invece sto facendo altre cose, cose migliori."
Sorrise con sicurezza. "Ho un lavoro come buttafuori in questo bar di
lesbiche" disse. "Tengo fuori gli uomini. Non uno schianto?"

Philip sorrise. "Dev'essere stato duro mollare dopo sette anni" disse.
Lei croll la testa in un vigoroso no. " stata la cosa pi facile che abbia
mai fatto in vita mia" disse.
" bastato che dicessi, che si fotta, e all'improvviso tutte le pressioni
erano scomparse, completamente scomparse. la cosa migliore che avrei
potuto fare. Comunque, adesso sono molto pi felice. Ho una nuova
ragazza, molto simpatica - che tu lo creda o no, quella che lavora da Laura
Ashley. E lavoro anche come volontaria, rispondo alle telefonate sulla Linea
Calda gay. Non hai idea di cosa sia non dover dipendere da una biblioteca
per la tua salute mentale.
Per la prima volta in sette anni sono rilassata. Posso pensare alla mia vita
e non soltanto a quella maledetta tesi."
Philip sorrise. "Splendido" disse.
"Temevo che non saresti venuta."
Lei rise. "Perch non avrei dovuto venire, Philip?"
"Non lo so. Ora come ora sembra che il mondo sia in combutta per
isolarmi.
O quanto meno Eliot." Rise di nuovo, poi le sue labbra si congelarono in
una bieca parodia di un sorriso, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
"Philip" disse Jerene. "Philip."
Pos la tazza di caff, si sfreg le mani come un insetto. Sembrava del
tutto incapace di toccarlo. "Senti" disse. "Lo so cosa provi. Sono stata
piantata anch'io. Comunque, penso che Eliot si comporti proprio come un
bambino. Glielo dico tutti i giorni che razza di bambino ."
Philip si soffi il naso. "Lo fai davvero?" disse.
Jerene annu.
"E lui cosa dice?"
Lei distolse gli occhi. "Dice che non vuole vederti. Dice che non pu
affrontarti" disse.
Philip spalanc gli occhi e si sporse in avanti sulla seggiola. "Non pu
affrontarmi!" disse. "Non pu affrontarmi!" e pianse ancora pi forte.
"Ti prego, non chiedermi di giustificarlo" disse Jerene. "Fa cose del
genere alla gente. Lo ha fatto anche con altri ragazzi. A volte pu essere un
vero bastardo."
Ma Philip parve non sentirla. Adesso stava proprio singhiozzando. Di
fronte a loro, una donna dai capelli lunghi che portava un paio di occhiali
scuri rotondi, come ispirata da lui, cominci a piangere a sua volta.
Poi, nel bel mezzo di singhiozzi e lacrime asciugate: "Me lo deve"
"Cos' che ti deve?" chiese Jerene.
Philip balbett. "Me lo deve. Per lo meno... per lo meno di parlarmi."

Jerene gli prese la mano. "Philip" disse, "lo so. Dovresti essere schifato.
Si sta comportando in modo molto immaturo, molto irresponsabile. una
persona debolissima; ben pochi se ne rendono conto, ma debolissimo.
Non sto cercando di giustificare il suo comportamento, niente del genere sto solo sottolineando che la debolezza nel suo caso lo rende crudele."
Philip tra lacrime di rabbia, disse: "Non puoi semplicemente dirmi di
odiarlo, Jerene; non mai stato cos schifosamente facile decidere
semplicemente che odi qualcuno che invece la persona che ami" Tolse
dalla giacca un fazzoletto di carta tutto stracciato, e si soffi di nuovo il
naso. "Digli che deve parlarmi" disse. "Me lo deve."
"Glielo dir, Philip" disse Jerene.
"Ma non posso prometterti che servir a qualcosa. " come quando non
hai pagato la bolletta del telefono. Non paghi, e continui a non pagare. Poi
ricevi una lettera. Poi un'altra lettera. E ancora non paghi. Poi,
all'improvviso ti staccano il telefono. Bene, Eliot pi o meno nello stadio
che precede l'arrivo della prima lettera. Non so a cosa servir, ma glielo
dir. Gli dir che vuoi parlargli."
Pi calmo, Philip disse: "Grazie" e di fronte a loro, la donna dagli occhi di
gufo si asciug gli occhi.
"Ges, dove siamo, al Bellevue?" disse la cameriera al cuoco.
"Greenwich Village, terra di finocchi e di matti" rispose lui, e gett un
hamburger sulla griglia.
Pagarono il conto e uscirono.
Nervosamente, sul marciapiede, si abbracciarono e si divisero,
incamminandosi in direzioni opposte nel vento. Philip si mise un paio di
occhiali scuri che aveva acquistato di recente. Si sentiva come una di quelle
donne dall'aria ricca, tradite e abbattute che talvolta vedeva in giro, dalle
parti dei suoi genitori, avvolte in cappotti chiari e sciarpe e con occhi
nascosti dietro a occhiali scurissimi, come se tutti gli abiti fossero una
benda per coprire ferite indicibili. Si ficc le mani in tasca.
Non voleva pensare. Dall'altra parte della strada un giovane dai capelli
neri con degli occhialetti e con indosso un vecchio maglione nero sedeva
sulla panchina della fermata dell'autobus a leggere un giornale, e il cuore di
Philip cominci a battere a una velocit doppia del solito. Ma poi vide che
l'uomo non era Eliot. Non gli assomigliava nemmeno.
In seguito Philip and a molte feste. Telefonava a tutti quelli che
conosceva, informandosi sulle feste.
Eliot non c'era mai a nessuna. Philip si ricord che sua madre gli aveva
raccontato di una coppia di divorziati che conosceva, i quali, trovandosi alla
stessa festa, erano riusciti a coordinare i propri movimenti in modo da non

trovarsi mai nella stessa stanza nello stesso momento. C'era un elemento di
graziosa cooperazione nel loro mutuo evitarsi che aveva colpito Rose. Ma
Philip sapeva che se avesse per caso incontrato Eliot a una festa (il che era
improbabile, perch Eliot aveva un vero e proprio talento per prevedere
dove sarebbe andato Philip e starne alla larga), non sarebbe stato affatto
grazioso; gli sarebbe corso incontro, lo avrebbe afferrato alla vita, senza
lasciarlo andare.
Una sera durante la settimana, verso le undici, era seduto con Brad
Robinson, un suo vecchio compagno del college, a bere un caff al Kiev, un
ristorante aperto ventiquattro ore che si rianimava dopo mezzanotte, come
un persona al secondo giro dei locali notturni della Seconda Avenue. Era
indicativo dello stato di depressione di Philip che non gli importasse niente
di attraversare mezza citt nel cuore della notte solo per bere un caff.
Adesso, circondato dai profughi della vita notturna dell'East Village,
infagottato in una giacca a vento imbottita di piuma che lo faceva
somigliare a una larva di farfalla rara e ridicola, si circondava con le braccia
per proteggersi contro il vento gelido che gli soffiava addosso ogni volta
che la porta si spalancava, mangiava fette calde di babka affogate in burro e
cannella, e parlava di Eliot. Il fiato della cameriera indiana usciva in
nuvolette visibili mentre riempiva nuovamente le loro tazze di caff caldo.
Bustine di t strizzate sudavano sui piattini. La cameriera, che portava i
guanti, port altra babka, e aggiunse delle cifre al foglietto verde e bisunto
del conto.
"Penso che quel che mi manca" disse Philip, "sia il senso di euforia che
mi dava. Vera euforia. Perch tutto sembrava cos giusto, cos facile con
Eliot. Non dovevi mai dirgli niente, n subire l'imbarazzo di spiegarti.
Capiva sempre, e faceva sempre esattamente quello che speravi avrebbe
fatto."
Brad non era molto impressionato.
" uno stronzo" disse a Philip.
"Crede di essere pi che umano. Tu parli di lui come se fosse una persona
ipersensibile, io invece penso che abbia solo approfittato della tua
sensibilit, del fatto che piccoli gesti, cosucce che per lui non sono niente,
possono significare un sacco per te. E in cambio, lui ottiene riverenza. Ma
naturalmente, la riverenza diventa noiosa, o almeno cos dice lui. Conosco il
tipo. Una volta che si annoiano, fanno proprio cos - tagliano tutto."
A venticinque anni, Brad, come molti degli amici di Philip, poteva ancora
contare i suoi amanti sulle dita di una mano, ma era convinto che l'intensit
dell'esperienza compensasse la quantit. Ricordava ogni dettaglio delle sette
notti della sua vita che aveva passato con i suoi amanti; in verit, la sia

capacit di giudizio e di analisi sia durante che dopo era, e lui lo


riconosceva, probabilmente uno dei motivi per cui la maggior parte delle
sue "storie d'amore" non erano durate pi di pochi giorni. Come Sally aveva
detto spesso a Philip, la gente fiuta il panico da lontano.
"Vuoi dire che io sono stato troppo riverente?" chiese ora Philip a Brad.
"Aveva sempre detto che se si fosse stancato di me me l'avrebbe fatto
sapere. Immagino che si sia stancato.
E certamente me l'ha fatto sapere.
Cos mi chiedo - avrei dovuto essere pi imprendibile? Pi duro? Pi
indipendente? Avrei dovuto farmi desiderare di pi?"
Brad scosse la testa, sorrise. Era piccolo, di carnagione pallida; a
venticinque anni ne dimostrava ancora quindici, gli veniva sempre chiesta la
carta d'identit nei bar e nei club, persino durante i mesi in cui aveva avuto
una pallida barba bionda.
"Avresti potuto essere una qualsiasi di queste cose" disse ora a Philip.
"Ma con Eliot difficile. Lui ti incoraggia a dipendere totalmente da lui
fin dall'inizio. Gli piace. Devi superare l'impatto iniziale con lui prima di
renderti conto che solo un essere umano, anche se a lui piacerebbe farti
credere che una specie di alieno superiore, un visitatore di un altro pianeta
o non so che."
Philip bevve un sorso di caff e guard il suo riflesso nella vetrina del
ristorante appannata dal fiato.
"Non posso negare niente di quello che dici, Brad" disse. "E non posso
neanche fingere che non mi faccia stare meglio, in qualche modo, sentir
parlare qualcuno che non ha soggezione di lui. Ma allo stesso tempo, devi
ammettere, che ha davvero talento, un talento enorme. un vero sensualista,
come immagino diresti tu, nel senso che sa come far sentire la gente... non
proprio in maniera diversa ma con maggiore intensit del normale. Questo
con me l'ha fatto.
Vorrei solo poter descrivere l'intensit di questa cosa, la meraviglia..."
Ma non poteva descriverla.
L'influenza di Eliot era effimera; diventava salmastra nel ricordo.
Ormai, quando Philip visualizzava quei giorni e quelle notti insieme, le
scene avevano qualcosa di verdastro, di irreale, come un vecchio film che
rimasto troppo a lungo in una scatola.
Sembrava che si svolgessero sott'acqua. E mentre pronunciava la parola
"meraviglia" - be, non prov niente. Il ricordo stava svanendo.
Come per ogni samaritano, Philip lo sapeva, il piacere di Eliot esigeva
che egli desse piacere agli altri; ma si trattava di samaritanismo, o di avidit
di controllo? Philip aveva dunque frainteso Eliot per tutto il tempo,

pensando che non desiderasse nient'altro che dare? Ogni sensualista richiede
un oggetto, dopotutto, cos come un mago richiede un volontario dal
pubblico - una creatura mite e fiduciosa, piena di fervidi sentimenti e
inaspettato desiderio, immensamente sensibile all'ambiente immediatamente
circostante, in altre parole un miope, uno quasi cieco. Persino le fantasie di
Philip sul modo in cui Eliot lo avrebbe abbandonato erano cieche, parte di
un sogno privato, completamente avulso dalla realt. Non pens mai che
Eliot potesse aver bisogno di qualcosa.
E di cosa avrebbe potuto aver bisogno Eliot? Forse di sorpresa, di
qualcuno che facesse qualcosa per lui tanto per cambiare, che gli leggesse
nel pensiero, che realizzasse i suoi desideri segreti? Forse. Tuttavia quando
la sua segreteria entr in funzione e non venne pi staccata, Philip
(naturalmente) diede per scontato che Eliot se ne andasse a spasso, libero,
sollevato da un peso, gratificato. Come faceva lui a sapere se Eliot non era
alla ricerca di qualcosa, a modo suo? Dopo la quinta tazza di caff, Philip e
Brad pagarono il conto e uscirono sulla Seconda Avenue. Persino a
quest'ora, la strada era piena di gente che vendeva le proprie vita - vaste
collezioni di riviste e libri tascabili sparpagliate sul marciapiede, vecchi
abiti, occhiali da vista, scarpe. Camminarono tra gli scarti, dirigendosi
uptown avvicinandosi un po alla Decima Strada, e Brad, duro e inflessibile
come sempre nelle sue conquiste romantiche, raccont a Philip di Greg, un
attore che amava a distanza. Voleva una cosa sola nella vita, e sapeva
esattamente qual era: trovare qualcuno con cui sistemarsi e vivere per
sempre. Ogni volta che Philip vedeva Brad, sembrava ci fosse un nuovo
attore, una nuova speranza, e bench Brad ne rimanesse sempre deluso, il
suo spirito non si indeboliva mai; non perdeva mai la speranza.
Si attardarono di fronte alla scaletta d'entrata della casa di Brad.
Brad, chiuso nel suo impermeabile militare, stava un gradino pi in su,
cosicch, una volta tanto, era lievemente pi alto di Philip e guardava al di
l della strada, con le mani in tasca, i capelli biondo paglia scompigliati dal
vento. Philip poteva vedere le nuvolette del suo fiato mentre si spostava da
un piede all'altro, fischiettando, affondando ancor di pi le mani nelle
tasche.
"Bene" disse.
"Bene."
Rimasero in silenzio per qualche secondo, impalati sui gradini, con
l'esterno dei loro cappotti che si sfiorava. "Verso quest'ora della notte" disse
Brad, "non posso fare a meno di chiedermi che cosa stia facendo Greg.
Immagino che stia a teatro per lo spettacolo; star uscendo per la chiamata
alla ribalta, o star cambiandosi d'abito. Si star preparando per andare a

casa, o a bere qualcosa con qualcuno. A volte vorrei andare a teatro e


aspettare davanti all'entrata che lui esca per fargli una sorpresa. Ma temo
che avrei troppa paura per dire qualcosa, per fare qualcosa. Mi nasconderei
nell'ombra e aspetterei che lui sparisca in fondo alla strada." Sospir e
guard Philip.
"Penso proprio di essere innamorato di lui" disse, e Philip si chiese se non
stesse cercando di fargli capire qualcosa, di scaricarlo gentilmente.
"Be, allora dovresti farlo" disse Philip. "Fatti coraggio, Brad. Come fai a
sapere che lui non sta assurdamente sperando che quando uscir ti trover l
ad aspettarlo?"
Ma lo disse con poca convinzione, Brad se ne accorse. Scosse la testa
tristemente, fece una risatina. "Bene" disse, "adesso bisogna proprio che
vada, devo alzarmi presto. Ma stato bello vederti. E tirati su, eh, Philip?
Chiamami quando vuoi, per qualsiasi cosa."
Si abbracciarono e Brad sorrise a Philip. "Per qualsiasi cosa?" fece Philip.
"Dici sul serio?" Sorrise. Gli era uscito di bocca, quasi a sua insaputa.
Brad indietreggi un po. "Ah... be" fece. "Pi o meno. Be, buona notte."
Diede un colpetto a Philip sulla spalla ed entr in casa.
Philip aspett ancora per qualche secondo buono dopo che la porta di casa
venne chiusa, poi si gir e si diresse verso la Seconda Avenue. Stava
incominciando ad accorgersi di quanto doveva essere sembrato ridicolo quel
"qualsiasi cosa", di come sarebbe stato imbarazzato il mattino dopo; ma per
il momento, era solo obnubilato.
Si incammin gi per la Seconda Avenue verso la Sesta Strada, e
imbocc l'isolato di Eliot. Si ferm sul marciapiede di fronte alla casa, e
cont i piani fino alla finestra di Eliot. La luce era spenta.
Poi stava girovagando per la Decima Ovest alle tre di mattina di un sabato
di febbraio. Un sottile strato di ghiaccio copriva quasi interamente il
marciapiede, e ogni minuto Philip svicolava e doveva attaccarsi a un
lampione per non cadere a faccia in gi. Altre zone del marciapiede erano
spruzzate da uno spesso strato di segatura marrone che in un modo o
nell'altro riusciva a rompere il ghiaccio lasciando al suo posto delle
pozzanghere d'acqua sporca.
Quest'acqua ormai da tempo gli era penetrata negli stivali, che il mattino
dopo sarebbero stati coperti da un sottile strato di precipitato salino, e ora
gli inzuppava i calzini.
Era ormai pi di un'ora che non si sentiva le punte dei piedi. Pens di
andare all'Anvil, un bar di cui aveva sentito molto parlare, per vedere le
leggendarie fustigazioni tra schiavo e padrone, che venivano inscenate l
ogni notte. Pens di andare allo Hide Away Chateau - il motel sopra l'Anvil,

fatto come una fetta di torta che occupava la propria isola individuale e nel
bel mezzo della West Side Highway - per prendere una stanza a ore. Non
aveva altro posto in cui andare. La sua agendina era vuota. Non era atteso
da nessuna parte per il brunch del mattino dopo, n per la cena la sera dopo,
e cos fino all'eternit. Se non fosse stato per il suo lavoro e i suoi genitori,
avrebbe potuto benissimo scomparire.
Stava andando verso Christopher Street, dove brillavano luminosi
lampioni stradali e pareva che la gente fosse ancora in giro. Le sue mani,
ficcate nelle tasche, stavano diventando insensibili. Sui marciapiedi c'erano
pile di neve. Un taxi gli sfrecci accanto e quasi lo schizz di acqua fredda e
melmosa.
Philip riusc a schivarlo per un pelo, con un salto che fin in uno scivolone
su un altro punto ghiacciato del marciapiede. Questa volta non c'era niente a
cui attaccarsi, e cadde atterrando sul didietro. L'acqua fredda gli filtr
velocemente attraverso i pantaloni. Grid sgomento, ma nessuno lo ud.
Dopo essere rimasto seduto per qualche minuto a gambe incrociate nella
neve bagnata, si rialz, e incespicando si diresse verso una libreria
pornografica il cui esterno assomigliava incongruamente a un ristorante di
stile lezioso, con elaborate intelaiature a traliccio e colonne incastrate in
pareti verdi.
Dentro, gironzolava qualche uomo, guardando le riviste avvolte in
plastica, e le videocassette, e giganteschi peni finti tutti venati.
Philip dietro era fradicio da capo a piedi. Vacillando, diede due dollari a
un uomo dietro a un tramezzo anti-proiettile. L'uomo, che indossava una
maglietta con le lettere E.T. e un ritratto di Elizabeth Taylor, spinse un
bottone, facendolo entrare attraverso un piccolo torchietto.
Istantaneamente fu avvolto nell'oscurit. Lo assal l'odore dell'urina.
Mentre i suoi occhi si adattavano all'oscurit, si accorse di due o tre uomini
che lo circondavano, appoggiati alle pareti, accarezzandosi prominenti
erezioni attraverso i pantaloni. Li sorpass per entrare in un separ chiuso
da tendine. Dentro c'era una dura panchina di legno e un piccolo televisore
su cui un grosso pene nero stava fottendo un culo bianco a suon di musica
jazz e di gemiti. Philip si lasci andare sulla panchina, che era appiccicosa.
Chiuse gli occhi. Le sue labbra tremarono.
Solo qualche settimana fa a quest'ora sarebbe stato nelle braccia di Eliot,
sul piumone. Nel ricordo il radiatore sibil.
Be, se non altro qui faceva caldo.
Eliot era partito davvero. "Per Parigi" gli disse Jerene. "A quanto pare era
un po che ci stava pensando.

Ha avuto una bella fortuna a riuscire a farlo. andato in aereo a Roma, e


adesso credo che si stia dirigendo verso nord. Dio sa se non piacerebbe
anche a me filarmela cos un giorno o l'altro."
Dopo la partenza di Eliot, Philip aveva visto moltissimo Jerene, e anche
un sacco di gente che non frequentava da mesi o addirittura da anni. Tutt'a
un tratto stava di nuovo chiamando Sally dal lavoro per prendere un
appuntamento per una cena. "Mi dispiace di non essermi fatto vivo per tanto
tempo" disse. "Ho avuto da fare."
"L'avevo capito" disse Sally.
"Lasciamo controllare l'agenda. Bene, sono libera marted dell'altra
settimana. Ti va bene?"
Philip, che non aveva alcun progetto per il resto della vita, disse che
andava bene. Due settimane dopo, marted, a una tavola calda giapponese
della Terza Avenue, stava raccontando per l'ennesima volta la storia della
partenza di Eliot. Sally esprimeva assenso e simpatia crollando il capo a
ogni parola che diceva. "Gli uomini sono dei piantagrane" concluse, "questo
te lo posso assicurare." Poi gli chiese perch non si innamorava di Brad
Robinson, che era tanto simpatico e con il quale avrebbe fatto una cos bella
coppia. La vita sociale di Sally ruotava ancora primariamente intorno agli
amici del college; era naturale che le venisse in mente Brad.
Philip cerc di spiegarle che aveva intenzione di andare avanti nella vita.
"Non capisco perch questo dovrebbe impedirti di stare con Brad" disse
Sally, "che, a prescindere dal college a cui andato, un tipo super,
davvero il meglio. E ho sentito dire che di punta."
Philip ci pens. Brad era Ok; Brad era meraviglioso. Ma a dispetto delle
voglie che lo avevano assalito quella volta in cui era stato con Brad al Kiev,
il pensiero di dormire con qualcuno che non fosse Eliot era pi di quanto
potesse digerire per ora. Lo spieg debolmente a Sally, che scosse la testa e
disse: "Ti passer in una settimana" Stava rinunciando a una cosa buona con
Brad, gli disse.
Bene, promise a Sally, ci avrebbe pensato. Avrebbe fatto un tentativo.
Telefon a Brad, nervoso perch ricordava il modo in cui aveva detto
"qualsiasi cosa" quella notte sulle scalette di casa sua, e andarono al Boy
Bar. L'attore, Greg si era preso un altro amante, spieg Brad. Si
appoggiarono a una parete, e gli occhi di Brad frugarono la stanza, che
recentemente aveva assunto una seconda identit come galleria d'arte ed era
piena di affreschi che rappresentavano la scomposizione di un viso
sorridente. "Forse il ragazzo dei miei sogni l fuori da qualche parte" disse
Brad. C'era davvero un ragazzo nei sogni di Brad. "E il ragazzo dei tuoi
sogni la fuori da qualche parte, Philip?"

Philip controll la folla, pens a Parigi, e croll debolmente la testa in un


no.
Talvolta, di notte, Eliot era davvero il ragazzo dei suoi sogni.
Insieme viaggiavano in treno sulle verdeggianti montagne delle Alpi,
superando villaggi altrettanto piccoli e perfetti di quelli dei calendari
Advent. C'era odore di zenzero nell'aria fresca, un tintinnio di campane.
Philip poteva quasi udire lo sbuffare del treno mentre sfrecciava verso
Zurigo, verso Venezia.
Il fine settimana successivo il telefono di Brad suon e suon, e nessuno
rispose; Sally and via per affari; non c'erano feste; non riusc a mettersi in
contatto con nessuno.
Era solo. Pens di chiamare i suoi genitori, ma poi cambi idea. Da
quando si era aperto con loro, erano divenuti pi riservati che mai,
evitavano l'argomento della sua sessualit, e lo chiamavano di rado. E lui
(doveva ammetterlo) li evitava quasi quanto loro evitavano lui.
Perch aveva contato sulla presenza di Eliot nel loro soggiorno per
giustificare tutto quello che aveva detto loro, per giustificare la sua vita.
Senza Eliot, Philip sentiva sua madre che lo guardava, stringendo gli occhi,
battendo il piede. Ora poteva dimostrargli che aveva torto. E questo non
poteva sopportarlo.
Annoiato, arriv downtown. Verso mezzanotte era all'estremit sud di
Manhattan, dove dei negozietti di accessori nautici luccicavano come le
conchiglie e i modellini di nave che vendevano tra le enormi torri degli
istituti commerciali e finanziari.
Torn di nuovo uptown, e faceva ancor pi freddo, e ancora non riusciva
a sopportare l'idea di tornare a casa.
Sembrava la giusta conclusione che alla fine della notte si ritrovasse in un
separ chiuso da tendine nel negozio porno di Christopher Street, a
piangere. Come in quel caff con Jerene, sembrava che nessuno si
sorprendesse del suo pianto. Piangeva anche altra gente. A quanto pareva un
sacco di gente veniva qui a piangere.
Circa mezz'ora dopo il suo arrivo, la tenda si apr e un uomo sulla trentina
si par davanti a Philip.
Indossava blue jeans e una giacca di pelle marrone. "Salve" disse. Poi
gutturalmente: "Sei appena arrivato o te ne stai andando?"
Philip, che era seduto con i gomiti appoggiati alle ginocchia, annu
vagamente. "Ti spiace se mi siedo?" disse l'uomo.
Philip non disse niente. L'uomo entr nel separ, chiuse la tenda, e si
sedette accanto a Philip sulla panchetta.
"Oh" disse. Ben presto la sua mano stava palpando l'inguine di Philip.

"S" disse, estraendo un tubetto di gelatina dalla giacca, e abbass la


cerniera della patta di Philip.
Incominci a fare una sega a Philip con una mano e una a se stesso con
l'altra, usando la gelatina come lubrificante. Philip venne tutto sul pullover;
l'uomo, pi saggiamente, sul pavimento, la giovane recluta, venne sullo
schermo, mentre veniva perquisito sotto la cintola dal suo caporale.
Una volta finito, l'uomo si pul le mani con un fazzoletto, diede un
colpetto sulla coscia a Philip e usc.
Nel giro di pochi secondi Philip stava piangendo di nuovo. Pens che
avrebbe potuto vomitare, quindi si alz e si diresse verso la porta. La luce
dell'interno della libreria sulle prime lo accec. Fuori in strada, dovette
strizzare gli occhi.
Era l'alba. Un sole sorprendentemente luminoso sorse da qualche parte
sopra il cielo grigio.
Era come un uovo gigantesco che da una crepa stesse gocciolando, tuorlo
e albume insieme, contro le nuvole.
Con l'assenza di Eliot, Owen si ritrov posseduto da una libidine furiosa,
senza precedenti. Incapace di concentrarsi, sentendo acutamente la propria
solitudine, talvolta doveva farsi cinque o sei seghe prima di riuscire ad
addormentarsi. Torn al suo vecchio vizio di comprare pornografia, e si
chiese come avesse potuto permetterselo quando era adolescente, con quel
che costavano le riviste. Ogni notte - seduto a sfogliare le sue riviste,
scopriva che le immagini avevano perso tutta la loro potenza e
all'improvviso non riusciva pi a farsi venire un'erezione, allora, come un
tossicomane che ha bisogno di una pera, si precipitava fuori, folle e
disperato, per trovare immagini fresche che carburassero il suo bisogno.
Ogni volta che cercava di fantasticare senza le riviste, Eliot interrompeva
sempre la processione di immagini nella sua testa, portando con s una
tristezza soffocante, il ricordo di giorni migliori. Il desiderio di Philip era
ormai un prurito a fior di pelle che nessuna grattata sembrava alleviare.
Evit i separ sul retro dei negozi di pornografia e i cinema a luci rosse solo
perch non si fidava di se stesso, e perch le notizie sull'Aids erano
spaventose.
Tuttavia si concedeva frequenti spedizioni notturne a un bar dell'Upper
West Side che offriva due schermi video su cui scorrevano perpetuamente
film pornografici. Il repertorio era lo stesso notte dopo notte, e non ci volle
molto a Philip per conoscerlo a memoria. Una sera - ormai era marzo e i
primi timidi germogli stavano rompendo il ghiaccio di Central Park scoppi una rissa al bar, successe da qualche parte dietro al punto in cui si
trovava Philip, e a lui giunsero soltanto delle grida e delle spinte tra la folla,

le cui ondate lo mandarono quasi a gambe all'aria. Quando un uomo


tarchiato e barbuto con un abito a giacca fu trascinato fuori, col sangue che
gli colava dal naso, e gli occhi chiusi in un'espressione rabbiosa, Philip si
ritrov schiacciato contro la parete addosso a un giovane dall'aria affabile
con capelli lisci e scuri, grandi occhi marrone, e occhiali cerchiati di metallo
molto simili a quelli di Eliot. "Scusa" gli disse.
"Non c' di che" disse il giovane.
"Sai cos' successo?"
"Una rissa, immagino" disse Philip.
"Ges!"
Philip si rizz in punto di piedi per vedere se c'erano dei poliziotti.
"Sono Rob" disse il giovane, e gli porse la mano da stringere.
Sorpreso, Philip si gir e si accorse di essere ancora schiacciato contro il
pullover azzurro di Rob.
"Philip" disse Philip.
Si strinsero la mano. "Piacere di conoscerti, Philip" disse Rob.
"Piacere mio, Rob" sorrise Philip.
Rob era uno studente del primo anno alla Columbia. Il suo corso di studi
era in storia, ma stava pensando di passare a inglese. A Philip sembr
terribilmente, terribilmente giovane, bench in realt avesse vent'anni - solo
cinque meno dello stesso Philip.
Parlarono ancora un po, amichevolmente, della laurea in inglese e del
fatto che il padre di Rob stava facendo delle pressioni per fargli studiare
legge. Il caso scatenato dalla rissa si calm. Uomini muscolosi in maglietta
bianca asciugarono il pavimento togliendo il sangue e i vetri rotti. Allora
Rob se ne rest l in piedi, senza muoversi, guardandosi i piedi, guardando
Philip, distogliendo la sguardo ogni volta che gli occhi di Philip
incontravano i suoi.
"Be, si sta facendo tardi" disse Philip alla fine dopo che erano rimasti l
cinque minuti senza dire una parola.
"S" disse Rob.
"Dovrei incominciare ad avviarmi."
"S, anch'io."
"Facciamo un pezzo di strada insieme?"
Il ragazzo sorrise, grato. "Certo" disse "Fammi prendere il cappotto."
Mentre aspettavano al guardaroba, Philip osserv Rob chiudere gli occhi
una volta, due volte, riaprirli, girarsi e dire: "Se per te non troppo tardi, ti
andrebbe di venire con me nella mia stanza per un t o un succo di mela?"
Perch Philip gli aveva fatto fare questo passo? Gli era piaciuto trattenere
l'offerta che per lui sarebbe stata tanto pi facile da fare? Forse. "Sarebbe

carino" gli rispose, e il viso di Rob si soffuse di sollievo. Philip dovette


riconoscere che forse per la prima volta in vita sua si ritrovava a essere pi
esperto, il pi vecchio, quello che avrebbe dovuto condurre lo spettacolo.
Non era affatto sicuro di poter essere all'altezza delle aspettative di un
ragazzo che chiaramente era inesperto, forse persino vergine, che
probabilmente voleva che gli si insegnasse cosa fare.
Presero un taxi uptown; pag Philip.
Nell'unica stanza ingombra di Rob c'era un disordine familiare; c'erano
abiti e biancheria aggrovigliati nelle lenzuola, copie di "Rolling Stone",
fogli di carta appallottolati e sparsi sul pavimento. "Mi spiace che questo
posto sia un tale casino" disse Rob, raccogliendo freneticamente le cose e
tirando le lenzuola. "Di solito sono pi ordinato."
"Non preoccuparti" disse Philip. Si sedettero sulla cuccetta regolamentare
del college sotto un grosso poster, una variazione di una famosa copertina
del "New Yorker", che mostrava Venezia da un punto di vista interiore c'era San Marco, il Lido, Milano, Parigi, San Francisco. Rob si dava da fare,
raccogliendo cose, gettandone altre.
Poi spar in corridoio ed emerse un minuto dopo con un bollitore elettrico
pieno d'acqua, che attacc a una prolunga sovraccarica. "Sei stato a Venezia
di recente?" chiese Philip.
"S" disse Rob, "proprio quest'estate. E tu ci sei mai stato?"
"Solo da piccolo."
"Venezia bellissima" disse Rob, sistemando una bustina di t in un
tazzone Garfield, e un'altra in una tazza con un disegno di un uomo
comicamente brutto nell'uniforme a righe della galera; sotto il disegno c'era
la scritta: "Tazza Ceffo"
"C' un mio caro amico adesso a Venezia" disse Philip, bench in realt
non avesse idea di dove, in Europa, si trovasse Eliot al momento.
"Ah s?" fece Rob. Vers l'acqua bollente nelle tazze. "Ecco fatto" disse, e
porse una tazza a Philip.
Impacciato si lasci scivolare sul letto accanto a lui.
Rimasero seduti per qualche minuto a bere il t, poi Philip si avvicin a
Rob, lo circond con un braccio, gli mise una mano sul ginocchio. Rob
tremava violentemente. "Stai bene?" chiese Philip.
"Forse ho solo bevuto un po troppo" disse Rob. "Sai, quando fa freddo,
l'alcol manda il sangue il pappa."
"Sdraiati sulla pancia che ti faccio un massaggio alla schiena" disse
Philip.
Rob fece quanto gli veniva detto.

Philip gli accarezz le spalle, gli massaggi la schiena, gli sollev la


camicia e il pullover per toccare con la mano la pelle calda. Il tremito di
Rob cess. Si gir, e Philip lo baci.
Rob ricambi l'abbraccio e si lasci sfuggire un piccolo gemito.
Philip aveva ragione. Gli tocc prendere l'iniziativa completamente.
Rob rimase l sdraiato. Quando il pene di Philip si avvicin alla sua
bocca, lui lo prese, senza fare domande.
Quando Philip sollev la mano di Rob e la mise dove voleva essere
accarezzato, la mano accarezz compiendo cerchi nervosi, ma mai di
propria volont. La notte scivolava verso l'alba. Rob era enormemente
eccitato, molto pi eccitato di Philip. Philip pens che era poco gentile da
parte sua. Secondo lui, quando una faceva l'amore per la prima volta con
qualcuno, era tenuto a esibire una salutare erezione e quanto meno a fingere
un grande entusiasmo.
Ma oggi si era masturbato due volte e probabilmente non sarebbe riuscito
a fare nessuna delle due cose. Quando Rob venne, fu con una forza
incredibile. Uno goccia gli approd sul mento, il resto gli form una
pozzanghera sul petto. Philip riusc a procurarsi, con una masturbazione
furiosa e concentrata, una specie di orgasmo solo dieci minuti dopo.
"C' un giocatore di football nella stanza accanto" sussurr Rob proprio
prima che Philip venisse. "Cerca di far piano."
Una volta che si furono asciugati, Rob tremava di nuovo. "Vuoi che resti
o che vada?" chiese Philip.
"Non andartene" sussurr Rob, con la voce venata di panico. "Ti prego,
non andare."
"Allora rimango" disse Philip.
Accarezz ancora un po la schiena di Rob, poi lo avvilupp da dietro e
cerc di addormentarsi. Ma Rob non dormiva. Philip sentiva il suo cuore
che batteva contro di lui. Era sveglio, attonito, e Philip fu commosso dallo
spettacolo di questo ragazzo, che gli ricordava tanto se stesso solo pochi
mesi prima, la prima notte che aveva dormito con Eliot e non era riuscito ad
addormentarsi per tutta la notte. E pens alle filastrocche, le rime che gli
aveva insegnato sua madre da bambino, e a Eliot che gliele aveva recitate,
per favorirgli il sonno.
Ma neanche lui riusc a dormire. Con gli occhi aperti, esamin questa
stanza poco familiare del dormitorio della Columbia dove i vestiti ripiegati
sulle seggiole proiettavano ombre bizzarre sul muro, dove l'odore delle
sigarette mescolato con l'odore di muffa creava un aroma stranamente
dolce, stranamente nostalgico.
Poi sorse di nuovo l'alba. Rimpianse i giorni in cui aveva dormito all'alba.

Se ne and un'ora o due dopo, opponendosi alle preghiere di Rob di


fermarsi per la colazione con la scusa di aver del lavoro da fare. Aveva
dormito soltanto due ore, e non appena arriv a casa, si fece la doccia e
piomb istantaneamente sul letto.
Verso le sei si alz e usc a mangiare qualcosa, e quando torn trov un
messaggio di Rob sulla segreteria telefonica. Non lo richiam. Il giorno
dopo c'era un altro messaggio, poi un altro ancora e lui non ritelefon. I
messaggi si interruppero. Gli dispiacque un po quando successe. Si rese
conto che in un altro momento della sua vita si sarebbe gettato a capofitto in
una storia d'amore con qualcuno con Rob.
Ma Eliot - o piuttosto il fantasma di Eliot, la sua ombra - lo teneva per il
bavero e non lo lasciava andare, non voleva sparire. Gli sembrava una bella
ironia quella di ritrovarsi a fare a Rob esattamente quello che Eliot aveva
fatto a lui. L'oppresso, ancora una volta diveniva l'oppressore. Gli uomini
erano dei gran piantagrane, gli aveva assicurato Sally, e ora, per la prima
volta e con rimpianto, Philip si sent affondare nella categoria degli uomini.
Owen, raggomitolato nell'oscurit claustrofobica del suo ufficio dopo le
undici, cullava il telefono in grembo come un bambino, teneva il ricevitore
schiacciato contro l'orecchio, e componeva un numero.
"Linea calda" disse Jerene. "Cosa posso fare per te?"
"S, pronto" fece Owen. "Chiamo perch..." Croll. "Ho bisogno di aiuto"
disse molto piano, singhiozzando, alla voce pronta all'altro capo del filo.
Cerc di mettere a fuoco attraverso le lacrime che gli schermavano gli
occhi. La notte, la finestra scura, la bottiglia di bourbon che torreggiava
sulla sua scrivania.
"Va bene, non riattaccher" disse Jerene. "Adesso stai calmo. Inspira ed
espira. Non c' bisogno che parliamo finch non ti senti bene e sei pronto."
Owen segu le sue istruzioni; inspir ed espir.
"Adesso dimmi cosa posso fare per te" disse Jerene.
Tutto quello che Owen riusc a tirar fuori fu: "Mio figlio...". Poi
ricominci a singhiozzare.
"Tuo figlio" disse lei. "Continua."
"Mio figlio... ha detto a me e a sua madre che lui..."
"Che gay?"
"Uh, uh" fece Owen.
"E che effetto ti fa?" chiese Jerene.
"Non lo so. Sono confuso... molto confuso..."
"Be" disse Jerene, "perch non parliamo di che cosa ti confonde
esattamente?"

"Non capisci" disse Owen. "Queste cose... be, mi molto difficile


parlarne. Voglio dire. Io non ho mai..." esit.
"Senti. Va benissimo se ne parli con me. Non sono qui per dare giudizi,
ma solo per offrire un po d'aiuto, qualche consiglio. Tutti abbiamo bisogno
di qualcuno con cui parlare di quando in quando, non ti pare? Ed proprio
per questo che sono qui."
"Mio figlio..." disse Owen. "Non sono mai stato un buon padre per lui.
Sempre... troppo preso dalla mia vita.
Non posso fare a meno di pensare..."
"Che sia colpa tua?"
"S."
"Senti, non dovresti preoccuparti per questo" disse Jerene. "Non una
questione di colpa. Tuo figlio quello che e basta. E questo non cambier.
Ora la cosa importante di cercare di rendergli le cose pi facili, data la
scelta che ha fatto.
Lo aiuter moltissimo se tu accetti la sua scelta sessuale."
"Ma non capisci" disse Owen. "Non di lui che mi preoccupo... di me."
Ci fu una pausa.
"D'accordo" disse Jerene.
"Continua."
Owen riattacc. Si vers dell'altro bourbon nel bicchiere e lo ingoll.
Gliene col un po sul vestito. Prese un fazzolettino di carta e cerc di
pulirlo. Dal muro, Rose e Philip lo fissavano, la sua laurea lo fissava, tutti i
ragazzi della Harte in posa lo fissavano. Li guard per qualche minuto poi
prese di nuovo il telefono e fece un altro numero, questo volta un numero
che aveva imparato a memoria da molto. Dopo uno squillo, rispose una
frenetica voce maschile.
"C' Alex?" disse Owen.
"Solo un minuto, controllo" disse la voce. "Chi parla?"
"Bowen" disse Owen.
Owen tese la mano davanti al viso, per controllare se tremava. Dopo
qualche secondo, Alex Melchor rispose al telefono.
"Parla Bowen" disse Owen.
"Bowen" disse Alex Melchor. "Ci conosciamo?"
"Abbiamo parlato per telefono qualche tempo fa" disse Owen.
"Ricordi, pensavo che tu mi avessi lasciato il tuo numero? Ma poi era
tutto un equivoco."
"Ah s, certo. Bene, cosa posso fare per te?"
Owen ricominci a piangere. "Mi chiedevo se potevamo incontrarci, bere
qualcosa insieme, forse" disse con la voce che gli tremava. "Sono successe

un sacco di cose nella mia vita, e sono molto confuso su una cosa in
particolare e ho bisogno di parlare con qualcuno, non ti pare?"
"Uh... certo. Accipicchia, Bowen" disse Alex. "Vorrei tanto poterti
aiutare, ma sono terribilmente occupato questa settimana e la settimana
prossima..."
"Non ci vorr molto" disse Owen. "Ti prego, persino al telefono, non ci
vorr molto. Mio figlio, capisci, tornato a casa la settimana scorsa per
raccontare a me e a sua madre..."
"Bowen, senti, lo so che deve essere molto duro per te, per hai mai
pensato di andare da uno strizzacervelli? Perch mi pare proprio che tu
abbia bisogno di un aiuto professionale, sicuramente migliore di quello che
posso darti io, sa Dio se io non vado da uno strizzacervelli da vent'anni
ormai, e credimi, sarei matto come un cavallo, se non l'avessi fatto..."
"Mio figlio, capisci, omosessuale.
E ho paura che sia colpa mia. Voglio dire, non che io sia omosessuale.
Io sono bisessuale. Per, non sono mai stato un buon padre per lui e adesso
ho paura." Pianse ancor pi forte.
"Bowen, davvero una situazione disgraziata, ma non so proprio come
aiutarti. Senti, perch non chiami una di quelle linee calde? Hanno dei
professionisti che possono parlare con te di cose del genere..."
"Mi spaventa" disse Owen.
"Senti, ho giusto la guida del telefono sotto gli occhi. Cerca di star calmo.
Ecco qui - la linea calda Gay. Bowen? Ce l'hai una penna? Puoi segnarti il
numero?"
Owen riattacc.
Il numero successivo che compose era quello di Philip.
"Pronto?" disse Philip. "Parla Philip."
"Philip, sono tuo padre,"
"Temo di non poter venire al telefono adesso, ma se mi lasciate un
messaggio dopo il segnale acustico..."
"Frocio, frocio, frocio, tuo padre un maledetto frocio" grid Owen al
telefono.
"Felici di richiamarvi appena possibile."
"Frocio" disse cupo Owen.
"Grazie per aver chiamato."
"Padre frocio e figlio frocio" disse Owen.
Scatt il segnale acustico.
Owen riattacc.
Rose lo sapeva. Lui sapeva che lei sapeva. Ma in un modo o nell'altro non
ne parlavano mai; non dovevano parlarne mai. Parlavano invece,

interminabilmente e ossessivamente, dell'appartamento che, se non


l'avessero comprato, avrebbero dovuto lasciare in agosto. Se non lo
compravano (e probabilmente non potevano permetterselo) sarebbe ben
presto iniziato un via via di futuri compratori, gente abbastanza ricca da
buttarli fuori. La vergogna finale, pens Rose, sarebbe stata di dover pulire
casa per l'arrivo di questa gente. Se dovevano andarsene, voleva che
avvenisse prima di quello stadio.
Adesso tutte le domeniche, invece di andare in giro per conto loro, lei e
Owen leggevano da cima a fondo la pagina immobiliare del "Times", e il
mercoled facevano la stessa cosa con il "Voice" Non ci misero molto a
capire che non avrebbero trovato niente per meno di millecinquecento
dollari al mese, un prezzo impensabilmente alto, ma che ancora sarebbero
riusciti a stento ad affrontare. Pi di ogni altra cosa, a sconcertarli era
l'anticipo immenso che una cooperativa avrebbe richiesto.
Non avevano mai posseduto niente, nemmeno una macchina.
Una domenica c'era un annuncio che diceva: Grande camera da letto,
stabile di lusso. Cucina abitabile. Esposto a sud. Affarone.
Andarono a vederlo il pomeriggio.
Era in uno stabile alto e sporco sull'Ottantaseiesima Ovest, vicino ad
Amsterdam Avenue. L'agente, una donnetta con le unghie blu, li condusse
su un ascensore sgangherato in un appartamento vecchio e cadente con una
vecchia vasca di marmo nella stanza da bagno, neanche una finestra, e una
camera da letto dalle dimensioni del guardaroba di Rose. La donna disse
loro che era un vero affare a millesettecento dollari al mese.
"Se vi interessa" disse l'agente, "bisogna proprio che me lo facciate sapere
entro stasera, perch, inutile dirlo, c' un sacco di gente che vuole entrare in
una casa come questa, in un appartamento vecchio stile del West Side.
Oggigiorno non tanto facile trovarne uno. Ho un sacco di clienti che sono
interessati, ma se a voi gente piace sul serio, possiamo trovare un accordo."
Promisero di chiamarla se erano ancora interessati.
Fuori in strada, Owen si sent le braccia che gli tremavano nelle maniche
del cappotto. Era una fredda giornata di primavera, ventosa e chiara. Prima
di sera sarebbe piovuto.
"Che cosa facciamo?" chiese Rose.
Senza molta convinzione, Owen disse: "Non preoccuparti, tesoro,
troveremo qualcosa. Dobbiamo solo continuare a cercare. Ricordi che mi
hai detto che la tua amica Donna ci ha messo sei mesi per trovare casa?"
Rose tenne gli occhi fissi a terra.
"Sono un po spaventata, francamente" disse.

Owen allontan lo sguardo. "Non essere spaventata" disse. "Ce la


faremo."
"Non voglio trasferirmi a Queens" disse con tono pieno di dolore e
disgusto.
"Non dovremo trasferirci a Queens.
Resteremo proprio qui a Manhattan. Non preoccuparti" disse Owen.
Si avvicinarono al parco, e Rose disse: "Owen, sei sicuro che non
possiamo continuare a stare dove stiamo? Sei sicuro?"
"Non lo so."
"hai cercato di fare un po di conti? Cerchiamo di rimanere, Owen, ti
prego. Torniamo di nuovo alla banca.
Abbiamo un curriculum di lavoro lungo e valido. Siamo talmente
affidabili, che sono certa che ci concederanno un prestito. E forse potremmo
chiedere dei soldi in prestito a Gabrielle e Jack; e dei soldi a tua sorella di
Albuquerque..."
"Non lo so" disse Owen. Gli si spezz la voce. Ricominci a piangere.
Rose cerc di ignorare il fatto che stava piangendo di nuovo. Lo prese
sottobraccio, quando entrarono nel parco, rimanendogli attaccata stretta
stretta. Qualche isolato pi in gi, Yoko Ono stava ancora costruendo
Strawberry Field. Yoko Ono aveva quattro o cinque appartamenti nel
Dakota, aveva letto Rose. Le occorrevano proprio tutti? Non potevano
averne almeno uno Rose e Owen? O forse meritavano di diventare dei senza
tetto.
Alle loro spalle, rapido come un rapinatore, Philip comparve con un
balzo, un cane allampanato in tenuta da corsa. Rose strill: "Che succede?"
grid Owen.
Senza fiato, tutto braccia e gambe, Philip barcoll all'indietro. "Mi spiace
di avervi spaventato" disse.
"Stavo correndo, e poi, improvvisamente, eccovi l. Ho dovuto fare uno
scatto per raggiungervi." Si asciug la bocca con la manica.
Sorrise. Puzzava di sudore freddo, di cotone, d'erba.
Owen si guard intorno. Alla ricerca di segnali, i suoi occhi trovarono la
collina dove, persino in questa fredda giornata primaverile, c'erano uomini
che prendevano il sole a torso nudo.
"Cammino con voi un po" disse Philip.
"S" disse Rose. "Ti prego."
Si diressero verso est. "E voi due da dove arrivate?" chiese Philip.
"Oh, siamo appena andati a vedere un appartamento sull'Ottantaseiesima
Strada" disse Rose.

"L'Ottantaseiesima Ovest?" chiese Philip. "Che bello, sarebbe fantastico


se abitaste l, saremmo proprio vicini."
"Non lo so" disse Rose. " caro."
Passarono accanto a un campo da gioco dove un gruppo di bambini neri
camminava allacciato come una striscia di bamboline di carta. "Oggigiorno
tutti hanno cos paura dei rapimenti.
Faccio fatica a immaginare cosa deve essere fare la madre al giorno
d'oggi, avere sempre paura."
"O essere un bambino" disse Philip.
"Ti ricordi come mi lasciavi libero quando ero piccolo? Me ne andavo in
giro dove volevo, camminavo da solo fino a casa di Gerard, persino di
notte."
"Ero stupida" disse Rose. "Adesso non si potrebbe pi farlo. Guardali,
tutti quanti. Non si mollano neanche un minuto."
Era vero, tutti i bambini nel parco erano strettamente attaccati alle loro
mamme, o si tenevano tutti per mano.
Rose si chiese di chi poteva essere quest'idea - dei bambini o dei genitori?
- e decise che era pi facile che fosse un bambino a credere che l'unione fa
la forza. I bambini, dopotutto, erano altrettanto spaventati dei loro genitori,
se non di pi. A scuola, lo sapeva, stavano incominciando a insegnare ai
bambini delle canzoni per "essere padroni s" canzoni come: "il mio corpo
il mio corpo..." Rose lo sapeva perch al momento stava rivedendo un libro
di canzoni del genere, e anche il volume abbinato, un libro di fumetti di
Batman insegnava ai bambini cosa fare se li avvicinava uno sconosciuto.
Tra i bimbi sconosciuti camminavano dunque, loro, una famiglia. Philip
ce l'aveva fatta a diventare adulto. Era al riparo dai rapimenti, dalle
molestie. Poteva correre o camminare da solo nel parco. Ma naturalmente,
la sopravvivenza implicava una specializzazione in altri pericoli.
"E allora come va, vecchio mio?" chiese Owen a suo figlio, mentre si
avvicinavano alla Quinta Avenue, al Museo, il vecchio mondo.
"Bene" disse lui. "Bene."
Camminarono un momento in silenzio.
"Immagino non abbia senso tenervelo nascosto, Eliot e io abbiamo rotto."
"Eliot..." fece Rose. Poi si ricord e fiss gli occhi a terra davanti a s.
"Oh, mi dispiace."
"Avrei tanto voluto che lo conosceste, che vedeste come avrei potuto
essere felice con un altro uomo." Si asciug la fronte. "Adesso, immagino
che penserete le cose pi terribili, come che tutte le relazioni gay sono
transitorie e non possono durare e cose del genere."

"No, Philip" disse Rose. "Non stavo pensando a niente del genere per
essere franca."
"Perch non vero." Abbass gli occhi a terra. "Per quanto riguarda Eliot
non lo so. Immagino che lui abbia paura di impegnarsi o qualcosa del
genere. C' un sacco di gente che ha paura di impegnarsi al giorno d'oggi."
"Ti stai riprendendo?" chiese Owen.
"S" disse Philip. "Ma sono sempre triste."
A questo punto avevano raggiunto l'East Side, e Rose si gir su se stessa,
come se il confine del parco fosse anche il confine della loro passeggiata
insieme, il confine del terreno comune tra le loro due parti della citt, le loro
vite opposte.
"Be, sei giovane" disse a Philip mettendogli una mano sulla spalla
bagnata. "So che adesso stai male. Ma ti passer. Credimi."
"Immagino di s" fece lui. La guard, per un momento un po implorante,
come se sperasse che potesse invitarlo a cena.
"Grazie per aver accompagnato i tuoi vecchi genitori attraverso il parco"
disse Rose. "Lo apprezziamo davvero."
E gli porse la guancia da baciare.
"Mi siete mancati" disse Philip. "Ho l'impressione che non ci vediamo
quasi pi. Ricordi quando venivo sempre a casa la domenica sera a cena?"
"Oh, questa sera ci sarebbero solo degli avanzi" disse Rose, stentando a
credere alla sua cattiveria. "Ma possiamo fare cos. Perch non vieni a cena
domenica prossima? Non sarebbe una buona idea, Owen?"
"S, certo" disse Owen. "Un'idea fantastica."
Philip sorrise. "Mi piacerebbe" disse. "Mi spiace solo di non poter portare
Eliot. Lo sai che sono stato a cena da suo padre putativo, Derek Moulthorp?
E gli ho raccontato che tu hai redatto i manoscritti di alcuni dei suoi libri. E
lui ne era molto compiaciuto."
"Ne sono sicura, caro. Un meraviglioso scrittore, un meraviglioso
scrittore per bambini."
"Arrivederci, figliolo" disse Owen. Strinse la mano a Philip. Era un gesto
che emanava conclusivit, come se Philip stesse partendo per l'Europa o per
la guerra.
Ma stava soltanto tornando al West Side, nel suo appartamento.
"Arrivederci" disse. "Ci sentiamo durante la settimana."
Poi si allontan di corsa, lontano da loro, veloce, come se non desiderasse
altro che allontanarsi il pi possibile. Owen lo guard.
Sembrava attraente, coi suoi pantaloncini e la maglietta larga.
Owen era stato alto e dinoccolato da giovane, e la somiglianza gli fece
piacere. "Sai" disse a Rose, mentre uscivano dal parco, "corre ancora in

modo buffo. Ricordi quando ci preoccupavamo perch incespicava sempre


nelle cose, pendeva sempre dalla parte sbagliata del marciapiede?"
"Me lo ricordo" disse Rose.
Girarono in Madison Avenue. " chiaro che ci siamo preoccupati molto
per niente" disse Owen. Lei rimase in silenzio. "Ha un bell'aspetto, nostro
figlio" disse Owen. "Per, devo dire che ha sempre avuto un bell'aspetto, a
modo suo."
"Non incominciare" disse Rose. "Sono di un umore pestifero."
"Vuoi un Tofutti?" chiese Owen. "Il gelato ti tira sempre su."
Lei croll la testa in un no, silenziosa nel suo malumore, continuando a
camminare, ma Owen continu a sbandierare il suo orgoglio segreto per
Philip, come una bandiera che solo lui poteva vedere.
L'ufficio di Rose era un cubicolo, un quarto di una svastica. Carole
Schneebaum, con cui a volte si scambiava delle informazioni o conduceva
pigre conversazioni attraverso il sottile divisorio, era nello stesso angolo
della sua svastica, ed era l da dieci anni dei venti di Rose. Gli altri due
cubicoli non avevano mai gli stessi occupanti per pi di qualche mese per
volta.
Redigere manoscritti non era una professione che la gente considerava
permanente: sempre pi sovente di questi tempi, i collaboratori esterni
assumevano tutto il grosso del lavoro, e il compito di Rose comportava
anche assegnare i libri oltre che rivederli effettivamente. I collaboratori
esterni della sua lista andavano e venivano da appartamenti in subaffitto, si
trasferivano, tornavano all'universit, il che, nell'insieme, confermava
l'impressione di Rose che mentre il mondo andava avanti, lei e Carole erano
destinate a rimanere sempre nello stesso posto, pazienti e affidabili, senza
mai cambiare, n essere promosse. L'editore, nelle rare occasioni in cui
parlava con loro, le faceva sentire come delle glorie nazionali. Ambire a un
posto migliore sarebbe stato considerato poco patriottico. Rose riceveva
sempre fiori, e bigliettini che dicevano: "Come faremmo senza di te, Rose?"
Erano pi che necessari. I redattori telefonavano loro per fare delle
domande sulla sintassi, o perch avevano dimenticato la regola che consente
di stabilire all'altezza di quale strada si trovasse un determinato numero
civico di un'avenue.
Roger Bell era ormai da un anno nella svastica; una donna inglese di
nome Penelope e con due cognomi, da sei mesi. In qualche modo erano
amici.
Roger era alto, con una barba corta e ben curata; la mattina, prima di
venire in ufficio, faceva ginnastica in una palestra e arrivava inguainato in

una maglietta bianca troppo aderente. Penelope si complimentava sempre


con lui per la sua muscolatura.
Era vistosa, irritante, con capelli scompigliati nero pece e il fondotinta
impastato sulle guance. Aveva vissuto la maggior parte della sua vita in
Indonesia, dove il suo ex marito americano faceva parte del corpo
diplomatico, e ora si trovava a New York "in fuga" dall'ex marito.
Chiedeva spesso a Rose di rispondere al posto suo al telefono, per aiutarla
a evitare gli investigatori che era convinta l'ex marito le avesse messo alle
calcagna.
Si vestiva con bluse a vivaci disegni rossi fuoco e verde e con gonne
orlate da specchietti, ed era pronta a parlare con chiunque di qualsiasi cosa,
sembrava a Rose, ma soprattutto del suo ex marito. L'aveva lasciato, disse,
perch un pomeriggio l'aveva scoperto a letto con tre prostitute indonesiane.
"Certo, che se Darryl aveva una caratteristica era quella di essere eccessivo"
aggiunse. Al che Roger, nel bel mezzo del suo maiale agrodolce, reag con
una risata fragorosa che si poteva sentire fin dall'altra parte dell'ufficio.
Tutti i giorni i due mangiavano piatti cinesi del take-away a un tavolino
vicino alla macchina del caff e parlavano delle loro "vite personali" un'espressione che Rose aveva sempre trovato curiosa; cosa c' che non sia
personale in una vita? Di quando in quando si sussurravano qualcosa
all'orecchio poi ridevano sgangheratamente. Roger era pi alto di un metro e
novanta, e un tempo aveva aspirato a divenire cuoco.
Adesso non lo invitata pi nessuno a cena, diceva, perch non mangiava
niente che non cucinasse lui stesso.
"Si infuriano tutti con me" Rose lo sent spiegare a Penelope, "hanno
deciso che sono un pazzo egoista perch critico la loro cucina. Ma il fatto
che sono un cuoco migliore di loro, tutto qui. La mia amica Leonie ha fatto
un vichyssoise? Mi spiace, era un sacrilegio. Il mio terapista dice che devo
essere onesto su questo punto, altrimenti vengo meno a me stesso. E cos
non mi invitano pi molto a cena. E allora? Sono troppo vecchio per
raccontare bugie, troppo vecchio per mentire su qualcosa che per me
importante." E dal cubicolo di Rose dove mangiavano modesti panini seduti
alla scrivania, Rose e Carole si scambiarono un'occhiata e alzarono gli occhi
al cielo.
Un marted di marzo, Penelope, durante la colazione, confess a Roger
che il figlio diciassettenne, Miles, era gay. "Non ho problemi a parlarne"
disse. "Niente del genere." Era da poco passata l'una, e Rose, nel suo
cubicolo con Carole, stava giusto chiudendo la bocca su un pezzo di panino.
"Oh, credimi, all'inizio ero sconvolta" continu Penelope. "Ma adesso, sono
veramente arrivata ad accettarlo. Ha un amichetto fantastico, che talvolta

viene a passare la notte a casa, e ci divertiamo un mondo tutti e tre. E mi ha


aperto la mente. Voglio dire, prima non avevo considerato neanche
lontanamente la possibilit di essere attratta da una donna; non mi era mai
venuto in mente. Sono molto orientata verso gli uomini, per cos dire, per
via di mia madre, che si sposata due volte, e ha avuto un sacco di
relazioni. Sono stata abituata da mia madre ad apprezzare il fisico maschile.
Ma ora, col fatto che Miles gay, be, da un lato, ci d qualcosa in comune,
gli uomini, intendo, ma dall'altro, mi ha fatto pensare - perch non le
donne? Cos mi sono resa conto che a volte sono stata veramente attratta
dalle donne, e che probabilmente sono stata innamorata della mia migliore
amica, Fanny, quando eravamo a scuola insieme.
Quindi potrei dire che stata un'esperienza che mi ha ampliato la
coscienza."
Rose, protetta dall'esile parete del suo cubicolo, rest con il panino a met
strada verso la bocca, poi si rese conto che quel gesto - quel cessare di
mangiare - avrebbe potuto tradirla agli occhi di Carole, e diede rapidamente
un altro morso. Il pane molle e l'insalata di tonno tiepiduccia le si fermarono
in bocca, soffocandola. Carole croll la testa, e silenziosamente articol:
"Quella donna!" Rose allora si alz per andare in bagno.
In bagno, si soffi il naso e si asciug gli occhi. Si guard allo specchio:
non assomigliava a Penelope.
Aveva gli occhi di un bambino pensoso; zigomi alti; labbra sottili.
Nell'insieme, era una faccia dolce, materna, affidabile, ma anche, pens,
con una punta di malizia, una punta di sofisticazione. I suoi capelli stavano
ingrigendo; i suoi occhi erano cerchiati di ombre. Si chiese: Sono stata mai
attratta dalle donne? Poi decise che la domanda era assurda, un'evasione.
Lei non era Penelope. La situazione di Penelope non era la sua.
"La mia situazione" disse Rose a se stessa. Non riconosciuta, rinchiusa
nella sua immaginazione, restava irreale. E lei era decisissima a lasciarla
cos. Non si augurava tanto di non sapere la verit quanto piuttosto di
evitarla, per continuare il pi a lungo possibile nell'illusione che forse le
cose se le immaginava soltanto. Come un dormiente a cui scivoli via la
coperta in una notte fredda, Rose continuava a tremare, con gli occhi stretti
contro la realt del risveglio. Nella sua vita pratica, dopotutto non era
cambiato niente. Continuava ad andare al lavoro con lo stesso autobus,
continuava a cucinare la cena per Owen, a sedere con Owen a leggere in
soggiorno e talvolta a guardare la televisione. Visibilmente, le loro vite
erano le stesse.
Ma era l'invisibile a preoccuparla.

Era forse portatrice di qualche strano cromosoma, si chiedeva a volte, di


un gene bizzarro, deleterio, emetteva forse qualche strano ormone che
induceva gli uomini ad amare altri uomini? Guardandosi allo specchio,
cerc di vedere il difetto nella sua faccia, lo spazio tra i denti, cerc di
riconoscere il male in se stessa.
Menade, arpia, strega castrante. La assalirono i sinonimi, il ricco e
interminabile vocabolario di quello che una donna malvagia poteva fare agli
uomini. Pensando al marito di Penelope, sorpreso a letto con tre prostitute
indonesiane, si infiamm per l'invidia.
Talvolta Rose si vedeva con la coda dell'occhio negli specchi o nelle
vetrine dei negozi e non si riconosceva. Era sconcertata, sorpresa da quello
che vedeva: una faccia che era singolarmente normale, quasi non la sua, una
faccia che avrebbe potuto appartenere a chiunque. Adesso, nel bagno, cerc
la faccia di quell'estranea e non riusc a trovarla. La sua faccia le parve
invece cos inesorabilmente sua da farla soffocare; guardandosi allo
specchio, fu sopraffatta dalla claustrofobia dell'identit, una soffocante
consapevolezza del suo intrappolamento in quella faccia nello specchio compiacente, poco emotiva, sciupata dalla preoccupazione, una faccia che
sarebbe cambiata, che si sarebbe ravvivata, spenta, in sintonia con niente di
pi e niente di meno che la sua gioia o il suo dolore, la sua mente, la sua
volont. Si strofin le guance, si tir le palpebre, raddrizz la bocca in una
linea sottile. Perfino l'atto di mascherare, di modellare la faccia in una
normalit studiata, era una questione di volont. Ma per lo meno sembrava
normale.
Usc in corridoio. Accanto alla fotocopiatrice, due redattori la salutarono
sollevando le tazzine del caff: "Ciao, tesoro" Lei fece loro un cenno con il
capo e continu a camminare, aggirando l'ufficio come se avesse uno scopo
preciso. Non poteva, in nessun modo, sedersi. Stava ricordando quanto
aveva pianto Owen quella notte, e anche dopo. E comunque, dov'era stato,
dov'era andato tutte le domeniche pomeriggio per vent'anni? Stava sempre
zitto durante il sesso, mai una lode, raramente un apprezzamento. Forse
semplicemente la odiava. Forse era tutto qui. Lei aveva avuto la sua vita,
dopotutto, come ricord adesso a se stessa, e non aveva avuto niente a che
vedere con Owen, quella vita segreta in cui era stata cos ardentemente
desiderata ed amata dagli uomini. Owen non seppe mai che dall'altra parte
dell'ufficio, all'altra estremit di un complicato circuito di corridoi e di
porte, c'era un redattore con cui aveva avuto una relazione di cinque anni.
Lei e Nick si erano incontrati spesso durante l'ora di colazione, e talvolta,
quando Owen lavorava fino a tardi, all'inizio della serata, prendevano una
stanza in un grande hotel di Middletown, di solito la stessa, al

venticinquesimo piano. Nell'aria c'era sempre odore di deodorante e del


dopobarba di Nick, durante quegli appassionati incontri pomeridiani. Poi la
moglie di Nick si era ammalata; non era cancro.
Sollevati, lui e Nadia erano partiti per le Bahamas per due settimane, e al
ritorno Nick era spiacente ma non poteva pi, si sentiva troppo colpevole.
Nadia per poco non era morta. Si era reso conto di quanto la amasse.
Temeva che lei potesse scoprirlo, temeva di ferirla. Rose cap. Nessun
rancore.
Tutto questo era finito sei o sette anni fa. Adesso lei e Nick si salutavano
con un cenno del capo in corridoio o parlavano durante le riunioni
redazionali con una disinvoltura sorprendentemente genuina che non
mascherava n la negazione del passato n un particolare affetto.
Erano diventati entrambi pi pesanti, pi flaccidi. Corpi diversi avevano
condotto quella relazione, che comunque era principalmente una questione
di corpi - corpi, e l'emozione di far l'amore di pomeriggio in un hotel di
midtown, per poi vestirsi, mangiare qualcosa in fretta, come un hotdog, e
tornare (separatamente, certo) in ufficio.
Nick si metteva sempre camicia e cravatta prima dei pantaloni, ricord
Rose. Lei lo aiutava ad annodarsi la cravatta e talvolta allungava la mano
con gesto amichevole tra le sue gambe.
L'aveva eccitata, vedendolo cos, in camicia e cravatta, nudo dalla cintola
in gi. Adesso, di quando in quando, vedendolo in corridoio, si chiedeva:
chiss com' il suo corpo adesso? Era una vaga curiosit, per niente
sgradevole. Quasi la commuoveva.
E forse Owen lo sapeva. Forse lo sapeva, e la odiava. Curiosamente,
questa possibilit era un sollievo per lei, dato che almeno significava che
piangeva per lei; per lo meno significava che aveva avuto una vita, che
aveva avuto importanza per lui, che era stata qualcosa di pi che una scusa,
una copertura, la vittima della sua eterna bugia. Adesso lei aveva
cinquantadue anni. Suo marito piangeva sempre, parecchie volte al giorno,
talvolta senza motivo apparente, e per la prima volta in vita sua beveva
troppo. Suo figlio - ma perch tanta della sua rabbia era diretta contro
Philip? Lui stava facendo il possibile con lei, la chiamava spesso, e
chiaramente voleva amarla, aiutarla.
Eppure lei non riusciva a guardarlo in faccia senza aver voglia di dargli
una sberla. Doveva proprio dirlo a tutti?
Doveva proprio spalancarla quella porta nella loro vita che loro sarebbero
stati molti pi felici di tener chiusa? Aveva tutto il diritto di provare una
rabbia del genere, pens. Il dolore le dava il privilegio della rabbia.

Nell'oscurit crescente, verso le cinque e mezzo, si mise a girellare nei


pressi dell'ufficio di Nick e si attard fuori, guardando le sovraccoperte
incorniciate appese al muro. Lo faceva a volte, curiosa, immagin, di vedere
che aspetto aveva Nick di questi tempi. Questa sera lui era in piedi accanto
alla finestra, a osservare la notte calare come una bruma sottile sul centro
della citt.
Era un uomo alto e flaccido che avrebbe dovuto essere scuro, che avrebbe
dovuto abbronzarsi su un'isola, ma che invece aveva scelto la pallida vita (e
aveva acquisito la pallida carnagione) di un topo di biblioteca, una pelle
cascante, in contrasto con i capelli e gli occhi neri. Languidamente si gir,
la vide, sorrise. "Come va, Rose?" disse.
"Bene" disse lei. "Era un po che non ti vedevo, cos ho pensato di farti un
saluto."
Uscirono a bere qualcosa. Lui le raccont che uno dei suoi figli aveva
vinto un importante premio in disegno grafico al college, che un altro stava
incominciando medicina in autunno.
C'era anche una figlia da qualche parte sullo sfondo, ma era piena di
problemi: droghe, obesit, aborto.
Annover le sventure come gli ordini del giorno di una riunione. La figlia
viveva a Seattle, le rifer, in una casa cos sporca che sua madre s'era sentita
obbligata a uscire e a comprare disinfettanti e detersivi - ma non voleva
entrare nei particolari qui, e si vers dell'altra Perrier nel bicchiere.
"Come va la salute di Nadia?" chiese Rose.
"Bene, bene. Nessun problema dopo l'intervento. Talvolta chiede di te,
comunque." Si erano incontrate solo una volta, a una festa dell'ufficio.
Nadia era una donna gentile e sorridente che era invecchiata pi in fretta
di Nick e aveva dovuto soffrire per anni perch sembrava troppo vecchia
per lui.
"E la tua famiglia?" chiese Nick.
Rose si strinse nelle spalle. "Non c' granch da raccontare" disse.
"Philip lavora sempre nello stesso posto, Owen... be, quasi sempre
depresso. Ci sono grosse difficolt."
"Hai voglia di parlarne?" chiese Nick.
Rose fece un sorriso tirato, e croll la testa in un no.
Dopo, sull'angolo fuori dal bar dove non sarebbero riusciti a trovare un
taxi neanche ne fosse andato delle loro vite, Rose disse: "Nick, volevo solo
farti sapere che penso spesso a te in questi giorni. Pi spesso di quanto avrei
mai immaginato"
Lui sorrise. "Anch'io ti penso" disse. Ma lei cap che era una bugia.
Finalmente trovarono un taxi. Lei sal, diede l'indirizzo al conducente.

Un trittico di facce di bambine la fiss da sopra lo specchietto retrovisore.


Sirena, strega, megera, pens Rose, ed ebbe il vago ricordo di essere salita
su questo stesso taxi soltanto qualche mese prima.
All'angolo scese, diede una mancia eccessiva al conducente, e tornando
frettolosamente verso il punto in cui il portiere si strofinava le mani e
fischiettava, vide con la coda dell'occhio la propria faccia nella vetrina di un
negozio - la faccia di una donna matura, preoccupata, di qualcuno che
avrebbe potuto incontrare per strada provandone piet, qualcuno che, in un
momento pi felice della sua vita, sarebbe stata grata di non essere.
Dall'abisso del suo ufficio, alle cinque in punto, Owen fece il numero,
ascolt gli squilli.
"Pronto, Macho Man, posso aiutarla?"
"Ho visto il vostro annuncio su "Honcho" Io... Be...' Io... Io sarei
interessato..."
"A quale degli uomini vuole parlare?"
Lui fece una pausa.
"Bruce" disse.
"D'accordo, mi lasci controllare...
S, Bruce libero. Senta, ha gi usato prima Macho Man?"
"No."
"Bene, allora adesso le spiego come funziona. Il nostro prezzo
trentacinque dollari per la prima mezz'ora, e trenta per la seconda. Pu
pagare con carte di credito Master Card, Visa, o American Express. Dopo
che lei mi avr dato il suo numero di carta di credito e il suo numero di
telefono, io chiamer Bruce e lui chiamer lei. Le spese telefoniche sono a
carico nostro."
Owen ingoll una sorsata di bourbon.
"Sta bene" disse. Lesse il numero di telefono del suo ufficio. Poi lesse il
numero della carta di credito dell'American Express.
"Bene, Mr. Benjamin, appena avr l'approvazione sul suo numero di carta
di credito, Bruce la richiamer. Vuol dirgli qualcosa di speciale?"
"No" disse Owen.
"D'accordo, la richiamer tra breve."
Owen riattacc, e vers dell'altro bourbon nel bicchiere.
"Salve, parla Bruce."
Owen rise involontariamente. "Ciao, Bruce."
"Come ti chiami, succhiacazzi?"
"Bowen."
"Leccaculo. Vuoi succhiarmi il cazzo?"
Owen ingoll un'altra sorsata di bourbon. "Sicuro" disse.

"Un po fiacchina come risposta.


Sar meglio che tu ti sbatta un po di pi" disse Bruce. "Perch muoio
dalla voglia." Grugn. "Sono qui ancora con l'elmetto in testa, ho appena
finito un turno gi al cantiere di quelli che ti spaccano le palle. Ho addosso i
miei jeans pi vecchi, mi fa male il cazzo, tanto duro nelle mutande. Mia
moglie non vuol saperne neanche di venirmi vicino. Sono settimane che non
vedo l'ombra di un culo. Lo sai in che stato ti riduce il cazzo una cosa cos?"
"Uh, uh."
"Lo so che lo sai. Quindi mi darai una mano, vero amico?" disse Bruce.
"Me lo tiri fuori tu?"
"Uh, uh."
"S, cos. Me lo stai tirando fuori, lo stai leccando - oh s, cos va bene,
bravo succhiacazzi. Sei meglio di mia moglie, lascia che te lo dica.
S, cos. Succhiami la verga. Succhia la verga al tuo paparino."
Owen incominci a piangere.
"Ehi" disse Bruce, dopo un momento.
"Ehi, calmati, che succede?"
Owen piangeva. "Ehi, amico, datti una calmata" disse Bruce. "Stai bene?"
Owen cerc di controllare i singhiozzi che lo scuotevano. Si soffi il
naso, not la sua fede nuziale, scoppi di nuovo in lacrime.
"Ti senti bene?" disse Bruce. "Che succede? Ho fatto qualcosa di
sbagliato?"
Owen continuava a piangere. "Mi spiace" riusc a dire. "Continua."
"Ehi, mi spiace. Non volevo farti arrabbiare" disse Bruce e Owen pianse.
"Bowen? Bowen?" disse Bruce. "Ti chiami cos? Senti, vuoi qualcosa di
pi sdolcinato? Vuoi che riattacchi o cosa?"
Nessuna risposta.
"Bowen?" chiese Bruce. "Sei sicuro di star bene?"
Owen riattacc.
Philip era appena tornato dal lavoro ed era nella doccia quando il telefoni
incominci a squillare. Balz fuori, quasi scivolando sul pavimento
bagnato, terrorizzato all'idea che fosse Eliot.
"Philip, sono tuo padre" disse Owen, sorprendendosi per la familiarit
della sua voce. Era da molto tempo che non parlavano al telefono.
"Pap" disse Philip, avvolgendosi in un asciugamano. "Come stai?"
"Bene, bene" disse Owen. "Ero seduto qui nel mio ufficio dopo una
giornata di lavoro e mi venuto in mente che da un bel po di tempo non
chiamavo mio figlio. Cos ho pensato di darti un colpo di telefono."

"Be, che bella cosa" disse Philip, "proprio bella. Sono molto felice che tu
abbia deciso di farlo." Si sistem scomodamente su una seggiola. "E
allora... Stai bene?" chiese.
"Non parliamo di me" disse Owen sbrigativo. "Ti ho chiamato per dirti be, volevo farti sapere che il fatto che sei gay... a me sta bene.
Voglio dire, non c' niente di sbagliato, ti pare?"
Era ubriaco? Philip affond ancor di pi nella seggiola. Non poteva dire
per certo se era ubriaco o no. Suo padre non beveva mai molto, almeno per
quel che ne sapeva lui.
L'acqua saponata gli gocciolava lungo il corpo, come sudore freddo, e lui
si rese conto che doveva dare una risposta. "Be" disse, "per quel che mi
riguarda, l'unica cosa sbagliata nascondere la verit. Questo quel che
penso io."
"Esattamente" disse Owen. "Quindi dico bravo."
"Bravo?"
"S. Bravo."
Era proprio ubriaco. "Pap" disse Philip, "questa proprio una sorpresa
per me. Voglio dire, che non mi mai venuto in mente che avresti potuto
dirmi una cosa cos. Sono molto commosso, molto felice."
"Ne sono lieto" disse Owen. "Perch l'ho fatto proprio per questo."
"Per me molto importante avere la tua approvazione. Lo sempre stato.
Ma sai... se la mamma sta prendendo un po meglio questa storia?"
"Oh, tua madre" fece Owen, e Philip chiuse gli occhi. "La conosci tua
madre. Creatura lunatica. Sono sicuro che presto le passer."
Philip rimase zitto per un momento.
"S" disse. "Immagino di s."
Poi ci fu una certa confusione dalla parte del telefono di Owen - una
specie di scroscio, un rantolo.
"Pap?" disse Philip. "Pap? Ci sei?
Stai bene?"
"Cosa? Ah s, benissimo, figliolo" disse Owen. "Ottimamente. Mi solo
sfuggito il telefono di mano per un istante. Senti adesso, voglio che tu mi
dica una cosa. Riesci sempre a riconoscere un gay, lo capisci subito?"
Philip boccheggi di nuovo. "Be" fece, "insomma... difficile da dire.
Delle volte, immagino..."
"Be, da cosa lo capisci?"
"Be, lo capisco, perch la gente gay d dei segnali ad altra gente gay,
immagino - piccoli segnali che, individualmente, forse non sono osservabili,
o non sono osservabili per chi non sintonizzato per coglierli. Insomma,

come se emettessero un piccolo ronzio sessuale per gli uomini ma non per
le donne.
Capisci cosa intendo?" Lui stesso stentava a capire cosa stesse dicendo.
"Il motivo per cui te lo chiedo" disse Owen, " perch c' un giovane
insegnante inglese qui - be, per venire al dunque, non so esattamente che
cosa sia." Rise in modo strano.
"Ma molto affascinante, molto simpatico, e... be, se per caso ...
insomma se gay... be, penso che ti piacerebbe."
Philip non rispose.
"Philip?" disse Owen. "Philip? Tutto a posto? Ho detto qualcosa che non
avrei dovuto dire?" La sua voce all'improvviso si abbass. "Oddio, lo
sapevo che era un errore" disse.
"Dimenticalo, dimentica che ho chiamato."
"No, no" disse Philip. " solo che... be, non una sorpresa da poco che
mio padre mi presenti dei possibili candidati. Mi hai preso alla sprovvista,
pap." Rise, pronunciando effettivamente le sillabe: "Ah, ah." "lo sapevo
che era un errore" disse Owen. "Dimenticalo e basta." Sembrava sul punto
di piangere.
"No, pap, non voglio affatto dimenticarmene" disse Philip. "Io... io
apprezzo molto che tu abbia pensato a me." Cerc di respirare pi
regolarmente. "Cos'altro puoi dirmi di lui?" chiese.
"Non molto" disse tristemente Owen. "Si chiama Winston Penn. del
Sud, penso. Molto attraente, affascinante - cio, per lo meno questa la mia
impressione, voglio dire, le donne qui ne vanno pazze, ma pare che lui non
abbia una ragazza, e questo il motivo per cui ho i miei dubbi..."
"Be, non si pu mai dire" disse Philip.
"No" convenne Owen. "Non si pu mai dire."
Di nuovo, ci fu una qualche catastrofe sulla linea di Owen.
"Senti, pap" disse Philip, "apprezzo davvero che tu pensi a me - ma,
insomma, se non gay, potrebbe essere imbarazzante, molto imbarazzante,
sia per te che per me - e comunque, anche se lo , se cos attraente e
meraviglioso, sono sicuro che ha gi un ragazzo."
"Hai ragione" disse Owen, tirando ancora un po su col naso. "Ed per
questo che non voglio fare niente di troppo scoperto. Ma non deve essere un
appuntamento ufficiale. Stavo solo pensando che forse potrei invitarlo a
pranzo una domenica, quando vieni anche tu - be, chi lo sa, mi piacerebbe
fare questo per te. Questo giovanotto mi piace molto, e... be, sarei felice
piacesse anche a te.
Comunque ci penser. Vedremo."

"Apprezzo davvero il tuo interessamento, pap, anche se potrebbe


sembrare il contrario."
Philip fece una lunga pausa. "Voglio dire, eccezionale avere un padre
che disposto a fare una cosa del genere - cos eccezionale che per me
persino un po sorprendente. Ma mi considero molto fortunato sapendo che
mio padre si d tanto da fare. Per essere onesti, pi di quanto mi sarei
aspettato"
Sorrise, come se Owen potesse vederlo.
"Be, non niente" disse Owen.
Squill un segnale acustico. "Solo un secondo" disse Philip, e premette i
pulsanti del ricevitore. Sull'altra linea c'era Brad. "Resta in linea un
momento" disse Philip. "Ho una storia niente male da raccontarti."
Torn sulla linea di suo padre.
"Pap" disse, "devo prendere questa chiamata. Posso richiamarti
domani?"
"Che succede?" disse Owen. "Dove sei andato? Perch hai riattaccato?"
"Non ho riattaccato, c'era solo un'altra chiamata in arrivo."
"Non capisco" disse Owen. "Eri l e poi non c'eri pi. Hai riattaccato?
Non capisco."
"Non niente, pap" disse Philip.
"Significa soltanto che ho un'altra chiamata. Senti, ti telefono presto,
d'accordo?"
"D'accordo. Arrivederci, figliolo."
"Arrivederci."
Premette il pulsante in cima all'apparecchio, e prese l'altra linea. "Dio
mio" disse Philip.
"Che succede?" chiese Brad.
"Ho appena avuto una stranissima conversazione con mio padre."
"A proposito di che?"
"Be, mi stava facendo un sacco di domande - cose come, "come fai a
capire se qualcuno gay" Poi di punto in bianco mi annuncia che c' questo
giovane insegnante della sua scuola che secondo lui gay, e che vuole
appiopparmelo."
"Stai scherzando" fece Brad.
"No" disse Philip. "Non sto scherzando. Insomma, cosa dovrei pensare?
Ho voglia di darmela a gambe.
Lo so che terribile. Forse una cosa buona - significa che sta prendendo
sul serio il fatto che sono gay?"
"Immagino di s" disse Brad.
"Sembri dubbioso."

"Be, non ho mai sentito di un genitore che fa una cosa del genere."
"Perch? Pensi che i tuoi genitori non lo farebbero per te?" Brad parlava
spesso e volentieri dei suoi genitori.
"Morirei d'imbarazzo se mai provassero ad appiopparmi qualcuno" disse
Brad. "E credo che morirebbero d'imbarazzo anche loro. Il che,
semplicemente, significa che hanno i loro limiti, e che sono felici di
approfittare del mio imbarazzo per non dover mai uscire da questi limiti."
"In effetti c' qualcosa di strano in questa storia" disse Philip.
"Forse tuo padre segretamente gay e ha una vita omosessuale scatenata"
disse Brad, e rise.
"Brad!" rise Philip. " mio padre. sposato con mia madre."
"Forse una di quelle cose da mezza et" disse Brad. "Forse
semplicemente affascinato dall'omosessualit perch si annoia, perch una
cosa diversa e non ne sa assolutamente niente."
"S" disse Philip. "Dev'essere proprio cos."
Owen pensava a Winston Penn mentre usciva dalla Harte School nelle
luci della sera. Si imbatteva in Winston ogni giorno, se non nella sala
mensa, fuori all'aperto, durante le ore dello sport. Per lo pi il pomeriggio
era tenuto a guidare i futuri allievi e i loro genitori in un giro della scuola, e
talvolta ai campi da gioco su Randall's Island, dove Winston faceva
l'allenatore di lacrosse. "Ecco la nostra squadra di lacrosse" diceva, con
scherzoso stupore. "L'allenatore quest'anno Winston Penn, uno degli
insegnanti pi giovani del nostro dipartimento d'inglese. Generalmente, i
docenti si offrono come allenatori per gli sport che conoscono meglio."
Allora i genitori guardavano con approvazione quei ragazzi atletici e
rubicondi e il loro attraente e giovane allenatore. I ragazzi seguivano
Winston come cagnolini.
Owen pranzava spesso con Winston. La maggior parte dei docenti pi
giovani, tutti compresi della propria giovinezza, stavano in una cricca a
parte, ma Winston si sedeva a pranzare persino con il vecchio Herr Klappert
del dipartimento di germanistica, e ascoltava i suoi ricordi strazianti,
attendendo con pazienza che gli passassero gli attacchi di tosse. Non era un
segreto che alcuni dei membri pi finocchi del corpo docente (Owen
continuava a pensare a loro in questi termini) fossero rincretiniti per
Winston. In particolare l'insegnante di calcolo, Stan Hedersheim, non aveva
pudori. Owen provava un certo ribrezzo per Stan, coi suoi baffetti alla Don
Ameche e i foulard intorno al collo e neanche per un momento si era
sognato di fare un parallelo tra la sua infatuazione patente e chiassosa per
Winston e la propria ammirazione pi repressa. Spesso quando arrivava in
sala mensa rimaneva costernato nello scoprire che Stan era arrivato prima di

lui e stava monopolizzando Winston, appiccicandoglisi addosso, e ridendo


forte alle sue battute. Allora Owen finiva a fatica il pranzo insieme al capo
dipartimento di storia, talvolta scambiando una breve occhiata con Winston
per fargli un sorriso d'intesa. Ma in realt pareva che Winston apprezzasse
la compagnia di Stan. Una volta, infatti, mentre Winston stava pranzando
con Owen ed era entrato Stan, Winston si era addirittura alzato dal tavolo e
gli aveva gridato dall'altra parte della stanza: "Ehi, Stan, amico mio!" E Stan
si era unito a loro. Poi era partito in tromba con una serie di aneddoti su
vecchie attrici famose.
"Le dissi, "E allora, tesoro, pensi di lavorare a Kiffur?" Lei rispose, "Stan,
lo sai che non li faccio i giochi a premi"" Owen sorb un cucchiaio di
minestra e si sent male - era dunque destinato a diventare come Stan? - e
nello stesso momento si sent invadere da un'ondata di calore mentre
ricordava che sotto il tavolo, avvolte in flanella, ora asciutte, e inattive,
c'erano quelle stesse gambe bionde che aveva osservato con tanta
ammirazione sul campo da gioco. E pensando a questo, fu sopraffatto da un
senso di colpa mentre si rendeva conto di non essere migliore di Stan, ma
che anzi Stan era meglio di lui.
Infatti, anzich renderlo sgradevole, la franchezza di Stan sembrava
ripagarlo; adesso infatti era molto pi intimo di Winston, molto pi di prima
suo amico e confidente, mentre Owen aspettava ancora infelice ai margini,
sperando in un'occhiata segreta che sapeva non sarebbe mai arrivata.
Nessuno dubitava che Stan fosse omosessuale. E di conseguenza,
supponeva Owen, Stan non aveva niente da perdere. Perch non essere
franchi?
Il ritegno era davvero una cosa cos ammirevole? Forse Winston
sospettava proprio del ritegno di Owen, vedeva segretezza e complotti sotto
la superficie calma e regolare della sua gentilezza paterna. Nel
comportamento di Stan non c'era alcuna segretezza, niente di nascosto, e a
Winston probabilmente questo aspetto di lui piaceva, e trovava il suo franco
interesse sessuale stimolante o interessante. Immediatamente la prospettiva
di Owen sulla situazione si capovolse; adesso l'infido era lui, il codardo
serpente che strisciava nell'erba, sotto mentite spoglie, pronto a balzare sulla
preda.
Lasci la mensa sentendosi patetico, infelice, infantile.
Ma anche euforico. Poich c'era ancora una carta che non aveva giocato;
c'era Philip.
Il giorno dopo che aveva telefonato per parlare a Philip di Winston Penn,
lo richiam. "Philip?" si ritrov a dire al telefono. "Mi spiace disturbarti, ma
stavo pensando...

Rose ha una riunione fino a tardi stasera, e... be, mi piacerebbe invitare a
cena mio figlio."
Philip sembro di nuovo sorpreso, ma non aveva progetti per la serata. Per
suo suggerimento, si incontrarono in un ristorante giapponese in Columbus
Avenue. La vetrina era piena di sushi e di tempura laccati. Anche le cibarie
vere sembravano giocattoli, piatti destinati a degli alieni, ma Philip afferm
che ultimamente non si nutriva d'altro.
In fondo al ristorante buio, dove si sedettero, delle piccole scaglie di
pesce secco si contorcevano e si arricciavano in cima a un brodo fumante,
quasi fossero vive. Uova di sperlano illuminavano il sushi come lampadine
in miniatura. A Owen parve tutto strano ed esotico. Cautamente assaggi i
cibi. "Vacci piano con il wasabi" disse Philip, " molto piccante."
Finalmente si misero a discorrere.
"Sin da quando hai fatto la tua dichiarazione a tua madre e a me" disse
Owen a Philip, "be, figliolo ci sono cose su cui ho riflettuto e che vorrei
chiederti. Mi interessa molto, capisci, lo sviluppo della tua esperienza,
immagino che sia perch non ne abbiamo mai parlato prima. So che tu devi
pensare che sono stato un padre distante, per niente presente, in realt, ma la
verit che io ti ho sempre osservato, ho sempre avuto interesse per te,
anche se talvolta tu non potevi accorgertene.
Fondamentalmente, immagino, di essere molto... riservato." Si tormentava
le mani sotto la tavola. "Non sono stato molto bravo nell'esprimere affetto, e
ancor meno nel far domande personali, Philip. Ed ecco che tu te ne vieni a
casa con questa notizia che per me era davvero una grossa novit, anche se
non avrebbe dovuto esserlo, e ho pensato, accidenti, basta con questa storia.
Basta. Sono stufo di essere cos... represso. Dovrei chiedere quello che
voglio sapere. Dovrei interessarmi di mio figlio." Sorrise e si abbandon a
un respiro di sollievo, come se avesse superato una prova molto difficile.
Philip ricambi il suo sorriso.
"Sono contento che tu la pensi cos, pap" disse. "E davvero non mi
spiace.
Chiedimi qualsiasi cosa."
Owen prese la piccola brocca di sak dall'altra parte del tavolo e se ne
vers un po nella tazzina. "Bene" disse, "come hai incominciato?"
"Come ho incominciato cosa?"
"La tua... vita sessuale."
Philip si port le mani alla bocca pensosamente. " difficile dirlo" disse.
"Comunque, se devo essere franco, per quel che mi ricordo mi sono sempre
masturbato con delle fantasie sessuali gay." Si blocc, e guard cautamente
suo padre. " troppo per te?" chiese.

"No, no" disse Owen, anche se in realt lo era. "Lo fanno tutti." Rise
goffamente, e Philip distolse lo sguardo, soffocando una risata nervosa.
"Non sto ridendo per nessun motivo particolare" disse rapidamente.
"Solo che mi succede delle volte - mi metto a ridere nei momenti meno
appropriati. come se il mio cervello tirasse i fili sbagliati. Mi spiace."
"Non preoccuparti" disse Owen. "Mi ricordo come era difficile per me
immaginare che i miei genitori avessero una vita sessuale. perfettamente
naturale. Non posso aspettarmi che tu parli di queste cose con me senza
alcun imbarazzo." Esit.
"Lo sa Dio" aggiunse, "se non sono imbarazzato anch'io a parlarne."
Philip rimest il suo riso per qualche secondo, annu. "Be, comunque"
disse, "come stavo dicendo, non c' stato un vero e proprio inizio. Immagino
di avere avuto la mia prima esperienza sessuale con un uomo - ma no."
Sbatt le mani sulla tavola, tir un profondo sospiro. "Capisci, dipende da
come definisci la verginit" disse. "Voglio dire, Gerard e io facevamo un
sacco di stupidaggini quando eravamo bambini, ma in realt non era proprio
niente. E dopo, la prima esperienza adulta vera e propria - non lo so, pap,
vuoi sentirlo davvero? Non poi cos carino."
Owen annu.
Philip tir un profondo respiro. "Va bene" disse, "ho avuto un'esperienza
diciamo cos sessuale con un uomo molto pi vecchio in un cinema porno
della Lower East Side, quando avevo diciassette anni. Niente di speciale, in
realt. Solo dei palpeggiamenti.
Sono uscito dal cinema il pi in fretta possibile, ero cos spaventato - e
poi non e successo niente fino al college."
Gli occhi di Owen sembravano di vetro. Fissava Philip, annuendo
lentamente, pensando: la stessa fila, o una fila pi gi, e chiedendosi se
Philip l'avesse mai visto - ma naturalmente non l'aveva visto. Non era
successo niente.
"Ho avuto un'esperienza sessuale con uno studente di medicina durante il
mio primo anno di college" disse Philip. "Poi niente per un lungo periodo.
Poi qualche altra cosetta - niente di importante. E poi all'ultimo anno,
Dmitri - ti ricordi il mio amico Dmitri? L'hai conosciuto alla laurea."
Owen annu.
"Lui e io eravamo amanti - amichetti, dovrei dire - non so mai che parola
usare. Siamo stati insieme per sei mesi o qualcosa del genere, ma non
regolarmente; non abbiamo mai rotto ufficialmente. C'era una specie di
patto, immagino - la cosa sarebbe praticamente finita da s. A lui piaceva
dire che non eravamo amanti, che eravamo solo degli amici che facevano
del sesso. Salvo che in realt non eravamo amici." Fece una pausa. "Non so

cos'eravamo" disse Philip. "Non un rapporto di cui vado particolarmente


fiero."
"E in tutto questo" disse Owen, "in tutto questo tu eri sicuro - tu sapevi di
essere gay?"
Philip annu.
"Quanti anni avevi quando l'hai capito? Lo hai capito fin da bambino?"
Philip aveva risposto molte volte a questa domanda. "Be" disse, "ci sono
modi diversi di saperlo. Insomma, io volevo gli uomini, desideravo gli
uomini, durante tutta la scuola media, ma immagino di non aver capito che
questo aveva qualche cosa e che fare con la mia vita fino a che non ho avuto
tredici o quattordici anni."
"E in tutto questo tempo" fece Owen, "non sei mai stato attratto da una
donna?"
Philip spalanc la bocca, stava per parlare - poi la richiuse. No, non c'era
verso. Scosse la testa.
"Non sei mai andato a letto con una donna?"
Di nuovo scosse la testa.
Il tavolo stava vibrando un po.
Sotto, la gamba sinistra di Philip tremava violentemente. Al di l del
continente del tavolo, Owen allung una mano, e Philip si chiese per un
momento se stava per prendere la sua.
Ma il suo braccio si ferm alla bracca di sak, e ne verso dell'altro nella
sua tazza. "Scusami se ti faccio tante domande ingenue" disse Owen. "Tutto
questo assolutamente nuovo per me.
Mi sento molto ignorante."
"Non c' problema" disse Philip.
"Allora lascia che ti chieda - come facevi a essere cos sicuro, se eri tanto
giovane? Come lo hai capito?"
"Be, era molto semplice" disse Philip. "Non era niente di psicologico.
Non era una decisione a cui ero arrivato. Il fatto che mi eccitavo
sessualmente al pensiero degli uomini. Mi venivano delle erezioni. Con le
ragazze... non provavo niente."
Owen rise. "Be, immagino che tu sia proprio gay, eh?"
Philip spalanc gli occhi, e Owen represse rapidamente il suo sorriso.
"Me lo stavo chiedendo" disse, "perch be, mi sembra che ciascuno di noi
sia fondamentalmente bisessuale, non credi? In fondo in fondo, intendo?"
Adesso stava annaspando, sull'orlo dell'abisso. Si vers dell'altro sak,
mescol un pezzo di sushi nel piattino di salsa di soia.
Ma Philip scosse la testa. "No" disse. "Non credo che ciascuno di noi sia
fondamentalmente bisessuale. Penso che alcuni lo siano, ma che la

maggioranza sia una cosa o l'altra - od omosessuale o eterosessuale. Penso


che tutta questa faccenda della bisessualit possa diventare una scusa, un
modo per evitare di impegnarsi, o ammettere la verit.
Significa che puoi tirarti indietro quando il gioco si fa troppo pericoloso."
Owen guard Philip senza espressione, chiaramente sconcertato dalla sua
veemenza. "Non intendevo offenderti" disse. "Stavo solo... Be, cercando un
terreno comune." Abbass gli occhi sul tavolo. "Voglio dire, anch'io ho
avuto delle emozioni sessuali per gli uomini a volte, una specie di
attrazione."
"Il che va benissimo" disse rapidamente Philip, raddrizzando la schiena.
"Conosco anche degli uomini gay che di quando in quando provano
attrazione per le donne. Il fatto che tu sei fondamentalmente eterosessuale,
e che questo dovrebbe essere quanto definisce il tuo stile di vita."
Owen non rispose. Si vers dell'altro sak nella tazza - la piccola brocca
era quasi vuota - e guard fuori dalla finestra. "E cos" disse Owen, dopo
qualche secondo, "ci vai ancora a quel cinema, sai, quel cinema porno di cui
hai parlato?"
"Il Bijou? No, non ci sono mai tornato?"
"Ed Eliot?" chiese Owen. "Come l'hai conosciuto?"
Philip sorrise, e doverosamente ripet a suo padre la storia (che adesso
incominciava quasi ad annoiarlo) della sua presentazione a Eliot. "Ho
l'impressione" concluse, "di attraversare una specie di periodo di transizione
che non capisco molto bene. Come se non fossi ben sicuro di quello che
successo, e non avessi ancora idea di che cosa succeder dopo."
"E adesso, ti vedi con qualcuno?" chiese Owen.
"No. Ho troppa paura dell'Aids, immagino" disse Philip.
"Ah, gi" fece disinvoltamente Owen. "Cameriere?" chiam. "Pu
portarci dell'altro sak?"
Il cameriere arriv con un'altra brocca. "Vada come vada" disse Owen,
"ho invitato a cena quel giovane insegnante - Winston Penn - per domenica
prossima. Era molto felice.
Vive da solo a Hoboke, capisci, sopra un vecchio bar, e non riesce quasi
mai a mangiare un buon pasto fatto in casa. Spero che tu abbia sempre
intenzione di venire."
Philip sorrise nervosamente. "Certo" disse. "Dovrei controllare i miei
impegni, ma non vedo perch non dovrei venire."
"Bene, figliolo. Sono contento. Ti piacer."
"Ne sono certo."

Dopo che ebbero pagato il conto, Owen accompagn Philip fino alla
metropolitana. Incespicava un po, e non riusciva a tenere il passo con suo
figlio, e quando Philip lo guard, preoccupato, si strinse nelle spalle.
" solo il sak" disse.
Era felice che avessero fatto questa chiacchierata, disse Owen a Philip.
Sentiva che il loro rapporto era migliore di quanto non fosse stato da anni.
Con una certa esitazione, Philip ne convenne. Era una buona cosa.
Avrebbero dovuto farlo di nuovo.
Davanti alla metropolitana, Philip disse: "Pap? Puoi abbracciare la
mamma da parte mia?"
Owen sorrise. "Ma certo" disse.
"Mi manca tantissimo" disse Philip.
"Non mi telefona mai. Pare proprio che non abbia voglia di vedermi.
Questo mi intristisce molto. A volte la chiamo - ma sembra cos nervosa,
non sembra neanche lei."
"Be" fece Owen, "forse con le madri ci vuole pi tempo. Ma le passer.
Deve risolvere solo un sacco di problemi. Dalle tempo."
"Lo far" disse Philip. "O per lo meno ci prover."
Poi scomparve dentro la metropolitana. Owen aspett qualche minuto,
guardandolo scendere. Da Broadway, cammin qualche isolato fino
all'autobus che attraversava la citt.
L'aria di fine marzo era frizzante. I fiori erano in boccio in vasi di
terracotta sulle scale antincendio.
L'autobus era pieno di coppie - coppie vecchie e coppie giovanissime,
coppie di mezz'et, coppie nere e coppie bianche, coppie giapponesi, coppie
cinesi, coppie coreane. Tra loro Owen riconobbe un paio di ex ragazzi della
Harte con le loro ragazze, ma nessuno dei due parve notarlo. Quando si
iscrivono, io sono un re, pens amaramente Owen, ma una volta che
riescono a entrare... Rise, perch era ubriaco, anestetizzato, il suo dolore
ancora palpabile, ma attutito, esercitava soltanto un pressione vaghissima.
Da qualche parte in fondo al cervello una voce gli chiedeva se Rose si
sarebbe preoccupato di lui, ma questa voce era impercettibile, esercitava
solo una pressione vaghissima. L'autobus si ferm sulla Seconda Avenue.
Era una bella notte, una notte fatta per camminare, e lui cammin.
Philip si sarebbe salvato. Philip avrebbe preso Winston Penn e si sarebbe
salvato, e avrebbe salvato anche suo padre. Sorrise pensandoci, e in qualche
modo l'idea di Philip, come un prolungamento di se stesso, un
prolungamento del proprio desiderio, gli sembr perfettamente sensata.
Potevano aiutarsi a vicenda o ferirsi a vicenda. Sarebbe stato facile in
entrambi i casi. E improvvisamente si chiese: Philip lo sa? Pu aver capito?

Forse avrebbe dovuto fare meno domande. Ma dopo quattro anni di


elusivit, non gli era rimasta alcuna volont di nascondere le cose, di
analizzare quanto potesse essere rivelatrice un'osservazione, di cambiare
rapidamente argomento per evitare l'incriminazione. Era stata la paura a
spingerlo a tanta elusivit, e stasera si sentiva svuotato di tutta la sua paura.
Forse c' solo una dose di paura che uno pu provare nel corso di una vita.
Se era cos, lui la sua dose l'aveva gi avuta, ne era certo, aveva gi esaurito
tutta quella che gli spettava.
Forse la paura era genetica.
Nella seconda Avenue, pass accanto a un bar chiamato Bullets che per
circa dieci anni si era chiamato The Squires Pub, poi per circa cinque anni
Sugar Magnolia. Un sesto senso per queste cose, sviluppato in anni di
esperienza, gli disse che nella sua attuale incarnazione era un bar gay che
serviva soprattutto un pubblico abbiente - uomini di una certa et, alcuni
sposati, molti in cerca di ragazzi pi giovani. Gli era sempre passato davanti
in tutta fretta, con le mani affondate nelle tasche, gli occhi piantati a terra
davanti a s, ma stasera, cogliendo con la coda dell'occhio la visione di uno
scuro ragazzo ispanico che si attardava sulla porta, e l'elegante insegna rossa
dietro la vetrata, per qualche ragione si ferm. In passato, aveva immaginato
che se fosse rimasto troppo a lungo di fronte a questo bar senza muoversi,
gli sarebbe piombata addosso Rose, o lo avrebbe stecchito un fulmine. Non
successe nessuna delle due cose. La gente gli passava accanto per strada,
incurante, senza mettersi a gridare: "Owen Benjamin, preside delle
ammissioni alla Harte School, cosa fai qui in piedi di fronte a un bar gay?"
"Mi scusi" abbai una voce, e un uomo lo sfior, posandogli le mani sulle
spalle, ma non era un poliziotto, e nemmeno un genitore della Harte, e
neanche Rose, e neanche Philip. Il problema era che Owen era d'impaccio
davanti alla porta.
"Spiacente" disse, e l'uomo si infil nel Bullets con la stessa tranquillit e
noncuranza con cui Owen sarebbe entrato nel portone di casa sua. A Owen
parve sconcertante, un gesto di inconcepibile audacia, come camminare su
una fune tesa al di sopra di un fossato di coccodrilli. E come al circo, non
successe niente.
Si gir per guardare dentro al bar.
Dietro la vetrata fume, alcune figure indugiavano davanti ai banconi di
legno, parlavano, bevevano. Un uomo in completo scuro si precipit dentro,
un trio di pallidi giovani punk con giacche di pelle si precipit fuori, tutti
incuranti di Owen. La mancanza di attenzione in qualche modo lo deluse.
Per alcuni versi voleva essere notato almeno quanto desiderava non esserlo.

Pens di girare intorno all'isolato una volta, poi decise di essere pi


coraggioso di cos e, marciando fino alla porta, la spinse. La porta cedette
morbidamente al suo tocco come una tenda. Un odore di sigarette lo
avvolse. Il locale era buio, ma non buio come il cinema. Lasci che gli
occhi gli si adattassero all'oscurit.
Non era un posto molto grande.
Nell'angolo, un vecchio jukebox suonava Tina Turner a un volume
ragionevole. Venti o trenta uomini gironzolavano all'interno del bar, alcuni
appoggiati ai banconi, altri seduti ai propri tavoli, per lo pi dell'et di
Owen, coi colletti e le cravatte allentati, le giacche sulle braccia. Oltre a
loro, c'erano uomini pi giovani, molto pi giovani, esili neri e muscolosi
portoricani che stavano in piedi in gruppetti di tre o capannelli pi
numerosi, senza parlare, con gli occhi che frugavano la stanza.
Cautamente, tremando ancora un po, Owen arriv al bar. "Un gin and
tonic" disse al barista con una voce sorprendentemente normale. Si guard
intorno. Nessuno lo stava osservando.
Si tolse la giacca, si allent il colletto e la cravatta. Il barista, un uomo
enorme con una maglietta strettissima, gli porse il suo drink in un bicchiere
alto. "Grazie" disse Owen. Parlare, avere qualcosa in mano lo fecero sentire
pi calmo. Si allontan dal bar, cercando un posto dove mettersi in piedi, e
scelse un angolo vuoto dove poteva nascondersi nella semi-oscurit, non
completamente visibile, e guardarsi intorno.
Non c'era molto da osservare. Poco pi in l, alcuni uomini sulla trentina
stavano discutendo ad alta voce sul mercato azionario.
Nell'angolo, vicino al jukebox, una giovane coppia si baciava, si
accarezzava, danzava, faceva delle giravolte, con gli inguini incollati.
Tutto questo era interessante per Owen, la cui frequentazione degli
uomini gay era stata relegata a un'oscurit anche maggiore. Gli uomini nel
bar erano rilassati; avrebbero potuto trovarsi in qualsiasi posto.
Questa era la cosa pi interessante di loro.
Dal nulla, all'improvviso un uomo arriv accanto a Owen, contro il muro.
Si girarono a osservarsi a vicenda nella stesso momento. L'uomo croll la
testa: Owen si gir dall'altra parte.
Una calda ondata di desiderio lo travolse alla sola possibilit del contatto.
Si gir di nuovo, e guard cautamente. L'uomo era sulla quarantina, bruno,
barbuto. Indossava una camicia bianca, senza cravatta, una giacca, e stava
bevendo birra dalla bottiglia - un gesto che, in quel momento, Owen trov
sorprendentemente sexy. Gir la testa e, come un radar, riusc a sentire la
testa dell'uomo che si girava verso di lui, i suoi occhi che lo scrutavano.

Poi distolse di nuovo lo sguardo. Owen si gir ancora. L'uomo stava


bevendo la sua birra, fissando il bar dritto davanti a s. Aveva un'aria forte;
le sue gambe, fasciate da jeans e stivali, si muovevano lievemente al ritmo
della musica.
Owen bevve una sorsata del suo drink, pregando che il gin gli desse
sicurezza. Ben presto si sent pi coraggioso. Si gir, guard l'uomo, che
gir a sua volta e guard lui.
Fecero un lieve cenno del capo, e dissero: "Come va?" nello stesso
momento.
"Bene" dissero di nuovo, nello stesso momento, e risero.
Allora l'uomo si gir di nuovo a guardare il bar. Le sue gambe si
muovevano a suon di musica. Bevve una sorsata dalla bottiglia di birra.
Owen, disperato, si guard i piedi, guard il pavimento. Ma prima di
avere la possibilit di prendere una decisione sul da farsi, l'uomo si gir
verso di lui, mostrandogli la bottiglia di birra vuota e disse: "Posso prenderti
qualcosa al bar?"
"Uh, certo" disse Owen. "Un gin and tonic?"
"D'accordo" disse l'uomo.
"Oh, lascia che ti dia dei soldi."
"No, no" disse l'uomo. "Questo giro mio."
Poi si allontan.
Dopo qualche sudato minuto torn, portando un'altra birra e un gin and
tonic per Owen. "Io sono Frank" disse.
"Owen" disse Owen.
Si strinsero la mano. La mano di Frank era enorme, avvolgente, morbida.
"Vieni spesso qui?" disse Frank.
"Non proprio" disse Owen.
"Neanch'io" disse Frank. "Delle volte lavoro nei paraggi, allora ci faccio
un salto."
"Cosa fai?" chiese Owen.
"L'impresario edile" disse Frank, e croll la testa al ritmo della musica.
Anche Owen croll la testa. Lo fecero insieme. Frank rise.
Poi si gir di nuovo, a guardare il bar. Per qualche altro minuto, rimasero
a guardare il vuoto.
"Questo bar un tempo aveva un altro nome" disse Owen.
"Ah s?"
"S, si chiamava Sugar Magnolia."
"Oh." Frank si gir, e guard Owen dritto negli occhi.
"Sposato?" chiese, con gli occhi fissi sull'anello di Owen.
"S" disse Owen.

"L'avevo immaginato." Frank distolse lo sguardo.


"Anch'io" disse.
"Veramente?"
"Uh, uh. dura, sai?"
"Lo so."
Dall'altra parte del bar i ragazzi che facevano le giravolte erano
scomparsi. "Sono buone azioni stabili, maledizione" disse uno degli agenti
di cambio. Owen chiuse gli occhi. Poi li riapr di nuovo.
"Mia moglie" disse Frank, giocherellando con la catena intorno al collo.
"Be, lei proprio semplice. Buona educazione cattolica.
Ci siamo sposati quando avevamo diciotto anni. E lei, lei vuole solo
occuparsi dei bambini e andare in chiesa. Non vuole fastidi, capisci?"
"Abitate in citt?" chiese Owen.
"Staten Island" disse Frank. "Ma ho la casa di un amico per stanotte."
Guard Owen.
Adesso Owen era confuso. Era sposato anche il suo amico? C'era forse
una specie di fratellanza di uomini gay sposati nel mondo, che si prestavano
a vicenda i loro appartamenti, e si trovavano tra loro nei bar? Incominci a
temere per un momento che Frank volesse soltanto far due chiacchiere con
lui, essere amico suo. Forse vigeva la regola di dormire soltanto con gli
uomini pi giovani.
"L'altra notte" disse Frank, "sono entrati dei ragazzi. Uno di loro si
messo a gridare a perdifiato: "Pap!
Che ci fai tu qui?" Frank rise.
"Avresti dovuto vederli questi qui come hanno fatto cadere i bicchieri cos." Schiocc le dita.
"Dev'essere stato buffo" disse Owen, e Frank annu. Sembrava irrequieto.
Continuava a spostare il peso da un piede all'altro come un adolescente,
incapace di star fermo.
Alla fine si gir e la sua faccia piomb accanto a quella di Owen in modo
che egli riusc a vedere i peli della barba, e a sentire l'odore di birra nel suo
fiato. "Senti" gli disse. "Sei un tipo simpatico o no?
Perch quello di cui ho bisogno, adesso come adesso di un tipo
simpatico, qualcuno che sa quel che si fa, non un coglione. Voglio dire, ci
sono un sacco di coglioni in giro, capisci cosa intendo?"
"S, lo capisco" disse Owen. "Ne ho bisogno anch'io."
"Voglio un uomo" disse Frank.
"Capisci cosa intendo? Quando ti ho visto dall'altra parte del bar, ho
pensato - ehi, c' un tipo che sembra... diverso. Sensibile."
Owen era abbacinato. "S" disse.

"S."
Frank abbass gli occhi a terra, si avvicin, in modo che le loro cosce si
toccarono. "Allora, come ho detto prima, ho questo posto per stanotte.
Vuoi venirci con me? Voglio dire, potrebbe essere davvero carino. Sai,
come in quella canzone, "Abbiamo stanotte, che importa domani?""
Sorrise. Owen sorrise a sua volta.
"Non la conosco quella canzone" disse Owen. "Ma afferro senz'altro
l'idea."
"Vado un attimo a prendere il cappotto in guardaroba" disse Frank e si
allontan. Owen si appoggi al muro, respirando normalmente. Era
enormemente rilassato. Non aveva la sensazione che stava per fare qualcosa
di fuori dall'ordinario. Sapeva solo che moriva dalla voglia che Frank
tornasse dal guardaroba il pi presto possibile, e quando lo fece, Owen si
accorse che anche Frank aveva fretta.
Il posto che aveva per la notte era un appartamento nella Novantesima
Est, gli disse. Owen annu. Si mise la giacca, e uscirono insieme dal bar,
sulla pubblica via piena di gente che Owen avrebbe potuto conoscere. Frank
ferm un taxi. Durante il tragitto, nel taxi, tenne la mano di Owen.
Era un piccolo appartamento in una casa senza ascensore, arredato con
semplicit, come la stanza di un motel. Appena arrivati, Frank accese il
lampadario centrale, e Owen si tolse il cappotto nella luce brillante. Fuori
dal bar buio, Frank risult avere la faccia un po butterata, un po di
pancetta, e qualcosa di vagamente sporco nei vestiti e nei capelli, e
all'improvviso l'aspettativa da sogno di questo momento, alimentata nel bar,
lasci posto a qualcosa di diverso - due uomini di mezza et, entrambi
sposati, entrambi un po gi di forma, si incontravano per fare l'amore, per
toccarsi a vicenda e farsi star meglio a vicenda. Una prospettiva per niente
sgradevole. Inoltre, Owen aveva fatto il pieno di fantasia. Adesso voleva
qualcosa di reale.
Tuttavia, quando Frank abbracci Owen e lo baci, Owen fu sopraffatto.
Caddero sul pavimento e fecero l'amore, e come tanti altri uomini che
facevano all'amore quella sera, furono attenti e rispettosi delle regole. Non
fecero quello che forse avrebbero voluto fare. A un certo punto Frank tolse
piano piano un preservativo dal suo involucro di plastica, gett il pacchetto
stracciato dall'altra parte della stanza, e se lo infil. Parve la cosa pi
naturale del mondo.
Dopo che ebbero finito, Owen, puntellandosi sui gomiti, si mise a sedere
sul letto. "Devo tornare a casa" disse. "Rose probabilmente sta impazzendo
di preoccupazione."

Frank giaceva sdraiato sul letto, con le mani dietro la nuca, e Owen fu
improvvisamente sconcertato dai due ciuffi di peli neri sotto le sue braccia.
Lo fissavano apertamente, denudati, come un altro paio d'occhi.
"Cosa pensi di dirle?" chiese Frank.
Owen croll la testa mentre si tirava su i pantaloni.
Frank scese dal letto. Al tavolo di cucina scribacchi qualcosa su un
pezzo di carta che diceva "P and R.
Impresari edili. Frank J. Picone, Presidente" "Ecco il mio numero
d'ufficio" disse. "Mi telefoni?"
"D'accordo" disse Owen.
Si baciarono una volta, poi Frank lo accompagn alla porta.
Fuori in strada, il cielo era sorprendentemente immobile. Dei ragazzini
gironzolavano sul marciapiede. Fu allora che Owen si rese conto di essere
solo a due isolati dalla Harte, il che, tutt'a un tratto, gli parve buffo. Come
dopo ogni cambiamento atteso tanto a lungo, non si sentiva minimamente
cambiato.
La Harte School si profilava minacciosa come sempre. Si era stagliata
cos per anni prima che lui la conoscesse, e si sarebbe stagliata cos anche in
seguito, incurante della sua momentanea presenza. Ma stasera, in qualche
modo, riusc a sorpassarla con pi facilit. Se non altro, si sentiva
alleggerito di un peso. Lo aveva fatto. Aveva fatto l'amore - amore vero con un altro uomo. Non era pi un ostacolo da superare. E per questo si
sentiva riconoscente.
Inoltre, pens calmo tra s, la mia vita continuer come sempre immutata. Continuer a essere quello che sono. Immutato.
Guard l'orologio e vide che erano le due e mezzo. Chiss se Rose era
andata a letto? Preg che ci fosse andata mentre fermava un taxi, si chiese
che cosa le avrebbe detto se la trovava ancora alzata. Ovviamente quando
torn a casa la finestra era illuminata. Diede una mancia eccessiva al
conducente, salut il portiere, sal sull'ascensore. Rose stava leggendo in
soggiorno, con indosso l'accappatoio. Non si alz quando Owen entr.
"Ciao, tesoro" disse Owen.
"Ciao" disse Rose.
La baci sulla guancia. Lei non alz gli occhi dal libro.
"Ero preoccupata per te" disse piano.
Philip and verso la finestra, la apr. Non disse una parola. Passarono
alcuni secondi di silenzio, e Owen sapeva che Rose li stava contando.
Aveva gli occhi chiusi, le mani intrecciate; il libro le cadde in grembo.
Niente libro; niente bugie; niente scuse.

"Non ho intenzione di farti alcuna domanda" disse Rose. "Non voglio


sapere niente. Ma voglio che tu mi prometta una cosa. Voglio che tu mi
prometta che la prossima volta che stai fuori fino alle due e mezzo del
mattino, mi chiamerai per avvertirmi, cos almeno non mi preoccuper a
morte chiedendomi se sei vivo o morto."
"Hai ragione, tesoro" disse Owen.
"Mi spiace. Lo far."
Rose non disse niente. Dopo qualche secondo si alz. "Io vado a letto"
disse.
"Rose" disse Owen.
Lei croll vigorosamente la testa in un no, poi scomparve in camera da
letto, lasciandolo solo in soggiorno con l'enorme distesa silenziosa di New
York fuori dalla finestra.
Inconsciamente Owen si appoggi le mani sui genitali.
Allora tutto torn - il panico, il trambusto, la sensazione che il mondo
schizzasse fuori dall'orbita - e di nuovo erano senza tetto, a vagare per le
strade distrutte delle loro vite, alla ricerca di rifiuti di cui o dentro cui
vivere. Owen strizz gli occhi e la bocca per impedirsi di urlare, e l'urlo gli
scoppi dentro, rimbalz contro le pareti del suo corpo. Cosa aveva fatto?
Dio mio, cosa aveva detto? Come aveva potuto essere cos insensibile, cos
banale? Il panico esplose dentro di lui. Ricord l'espressione di Rose. Il
dolore nei suoi occhi, il modo in cui aveva tenuto le mani intrecciate in
grembo, con calma. Voleva confortarla, rassicurarla; ma come poteva,
quando era proprio lui l'origine e la causa di tutto il suo dolore? Per quanto
comprensione egli provasse, la cose che le faceva male era lui, e non poteva
essere fermata, nemmeno da lui.
Si sedette sulla poltrona di Rose, ancora calda della sua impronta, e si
rialz immediatamente, come uno che si fosse scottato sul sedile di plastica
della macchina in una giornata rovente. Gli si riempirono gli occhi di
lacrime. Si diresse verso la finestra, ci schiacci la faccia contro, e sent
l'aria fredda da fuori penetrare dentro, sulle sue guance, nei suoi occhi, nella
sua bocca.
Respir, guard i disegni che il suo fiato creava sul vetro.
Poi rimase in piedi silenzioso per un momento, in attesa che il tremore gli
passasse.
In camera da letto, Rose era sdraiata tutta rigida e contratta.
Owen incominci a spogliarsi guardandola. Ma aveva preso una decisione
e desiderava solo di riuscire a trovare un modo per salvare se stesso senza
uccidere lei.

A letto, allung una mano per toccarle la spalla. Al suo tocco uno spasmo
le scosse il corpo, e non cess. Rose rimase l tremante, ma non alz gli
occhi a guardarlo.
"Rose" disse lui.
Lei pianse piano, non rispose, e continu a non guardarlo.
La primavera era arrivata in ritardo, e l'anello di ghiaccio intorno al cuore
di Philip finalmente si incrin.
Allora fu come se qualcosa in lui venisse liberato - anche se contro la sua
volont o contro il suo buon senso. Si svegliava la mattina senza pi star
male; non poteva farci niente. Sembrava che i piccoli piaceri del mondo,
elusivi per tutto l'inverno, adesso stessero cospirando per assalirlo, per
cacciare a forza l'infelicit fuori da lui, e per quanto lui si sforzasse, non
riusc ad allontanarli. Il sole sulla faccia, mentre aspettava l'autobus al
mattino presto, o la vista della moglie del portiere che portava a scuola la
bambina, con un cestino della merenda stretto in mano - queste cose gli
suscitavano un sorriso inatteso, persino indesiderato, nelle mattinate ventose
di fine marzo - un sorriso piccolissimo, impercettibile per chiunque salvo
che per lui, ma sufficiente per fargli capire che forse si stava riprendendo,
che lo spettro di Eliot era svanito.
Era meno solo di come era stato - oppure, forse, per essere pi precisi,
aveva imparato a star solo. Si scopriva a considerare con piacere la
prospettiva di una serata a casa sua con il manoscritto di Rapsodia dell'isola
e un contenitore di stagnola con spaghettini giapponesi al sesamo. Altre sere
vedeva Brad.
Cenavano insieme, andavano al cinema.
"Tutto quello che voglio" disse Brad, mentre erano appoggiati insieme
contro una parete del Boy Bar, "tutto quello che ho sempre voluto,
qualcuno con cui accasarmi" e Philip ne convenne, entrambi senza
accorgersi fino a che punto si erano gi accasati l'uno con l'altro. Stavano
spesso cos, con gli occhi piantati nelle scure profondit dei bar puzzolenti
di piedi, a frugare la stanza alla ricerca di facce, cercando di scegliere quelle
di cui avrebbero potuto innamorarsi. Ma le facce erano ormai familiari e
sembravano stanche quanto loro di guardare. Forse queste facce stavano
rimpiangendo i vecchi giorni dell'acchiappa-acchiappa, dell'amore libero,
dell'estasi senza colpa, i giorni in cui bastava strizzare l'occhio a qualcuno,
sorridere, ed era fatta: ti ritrovavi in una stanza da qualche parte a far
l'amore. Adesso era di moda la monogamia, ma aveva assunto il ruolo di
una tattica di sicurezza, di una misura poco appetitosa ma necessaria contro

la catastrofe, come una di quelle ricette da Seconda Guerra Mondiale per


"gonfiare" preziose razioni di carne.
"Trovatevi dieci compagni e mettetevi d'accordo per scopare solo con
loro" aveva letto Philip in una rivista porno all'inizio della crisi. Poi da dieci
si erano ridotti a cinque, da cinque a due. E cos gli uomini si ritrovavano
incastrati in coppie, ridotti a dover scegliere di vivere da soli o di continuare
con una persona che, se mai li avesse infettati, lo aveva gi fatto, quindi
qual era il rischio? E cos si formavano le coppie; la paura divenne una via
indiretta per la monogamia e, a volte, per la felicit.
Un venerd sera, Philip e Brad presero la metropolitana uptown verso la
Columbia, dove l'Unione Studenti Gay sponsorizzava un ballo, e l
ballarono, esuberanti, finch non ebbero le facce madide di sudore e i vestiti
puzzolenti. Dopo, mangiarono cheeseburger in una tavola calda di
Broadway aperta tutta la notte, e alle sei del mattino percorsero
Manhattan in tutta la sua lunghezza, fino alla punta estrema, marciando
attraverso una Harlem ubriaca e mezzo addormentata, incuranti dei pericoli,
finch l'alba non li sorprese a Cloisters, trionfanti come scalatori di
montagne. Poi, separatamente, tornarono a casa. Per una questione di
principio, e anche di paura, non dormivano mai con nessuno, nemmeno
l'uno con l'altro. Non avevano mai conosciuto quell'epoca in cui il sesso
esisteva senza tirarsi dietro la minaccia della malattia, per cui la paura della
malattia era alla radice della loro consapevolezza - era una cosa di cui
apparentemente non si rendevano conto, e che tuttavia li dominava,
plasmava i loro atteggiamenti e determinava il loro comportamento.
Quella domenica passarono la prima parte del pomeriggio al cinema, a
guardare cartoni animati. Dopo, quando usc il sole, passeggiarono nello
zoo di Central Park e nel Museo di Storia Naturale. Philip am quel
pomeriggio, con la sua lieve zaffata d'infanzia.
In mattinate piovose, si svegliava sentendo la pioggerella che scrosciava
contro una grondaia, e non desiderava altro che la calda sicurezza di avere
dieci anni e di essere a casa da scuola con un raffreddore, a guardare per ore
e ore i giochi a premi in televisione - la "Ruota della Fortuna", la "Piramide
di ventimila dollari" Verso mezzogiorno in questi lontani giorni confusi, sua
madre tornava da casa e gli preparava brodo di pollo con capelli d'angelo, e
poi, dopo che se n'era andata, mentre il mattino lasciava posto al
pomeriggio, incominciavano e finivano gli incomprensibili sceneggiati, e
poi era ora dei vecchi film di fantascienza, come il Pianeta proibito,
Godzilla contro il mostro, film che, se cambiavi canale costantemente,
potevi guardare contemporaneamente a Braccio di Ferro, Tom e Jerry,
Gigantor, Kimba il Leone Bianco. Sdraiato a letto in mattine piovose nel

suo appartamento, Philip poteva ancora recitare tra s l'esatta sequela degli
spettacoli. Se solo avesse avuto un televisore a colori, pensava; se solo
avesse avuto il raffreddore. Ma poi si ricordava che nessun raffreddore
ormai poteva essere un piacere a cui abbandonarsi.
Un raffreddore significava una conta angosciosa di quante volte si era
ammalato quell'anno e una frenetica ricerca di ghiandole sul collo. E
ricordando quest'angoscia dei raffreddori, ricordando la minaccia di dolore,
di rapido declino e di morte, saltava gi dal letto, pieno di gratitudine per
sentirsi bene, balzava nella doccia, e praticamente correva al lavoro.
Un pomeriggio torn a casa dal lavoro e trov una lettera di Eliot nella
cassetta della posta. Sulle prime la pos sulla sua scrivania e cerc di
ignorarla, ma alla fine non ce la fece pi e apr la busta e lesse quello che
c'era dentro. La lettera, spedita da Parigi, era scritta su carta da lettera aerea
azzurra.
Lesse in fretta i primi due paragrafi. Arrivo in Italia, buffe pensioncine,
una chiesa medioevale sbucata dal nulla. Bellezze ancora da scoprire, una
campagna per niente turistica. Poi Parigi, e Roland Leclerc, un fotografo
amici di Derek, "un bohmien della vecchia scuola" scriveva Eliot, "sempre
vestito con camicie a disegni cashmere e foulard intorno al collo. Vive in un
grande e brutto appartamento del Quinto, soffitti alti e mobili orribili, tutto
polveroso. Ma meraviglioso. La mattina mi accorgo che Parigi ha un
odore, caff e croissant, marmellata e sigari e scarichi di macchine che
salgono al cielo." C'era stata una festa pomeridiana, un t a cui avevano
partecipato dei gay molto, molto vecchi, e una donna che Roland insisteva
nell'indicare come una vecchia amante di Colette. "Penso di doverti una
spiegazione per la mia partenza improvvisa" continuava la lettera, "per non
averti detto addio.
Hai perfettamente ragione a considerarmi crudele. Ma stato molto duro
per me, Philip. Per quanto ti possa sembrare ridicolo che te lo dica a questo
punto, io ti amavo davvero, nel mio modo tutto particolare. Il problema
che amare qualcuno non la stessa cosa che voler passare la vita con questa
persona. Questo tipo di compatibilit una cosa rara, e francamente, io non
l'approvavo. crudele da parte mia dirlo? Forse. Ma penso che tu meriti la
verit da me. I miei forti sentimenti per te mi rendevano ancor pi difficile
semplificare le cose. Pi io allentavo la presa, pi tu la stringevi. E l'ho
detto altre volte: il tuo bisogno mi opprimeva. Incominciai a sentire che era
una cosa a cui dovevo sfuggire, e quando incominciai a pensare in questi
termini - be, il passo breve verso le bugie, la crudelt. Non volevo
spingermi cos in l, Philip, ma sembrava che non ci fosse altro modo per
non ferirti. Volevo che tu avessi, se non altro, il beneficio di essere

arrabbiato con me, di odiarmi un po, perch so che questo rende le cose pi
facili.
Qui mi sento rinnovato, rivivificato. Ho la sensazione di poter
ricominciare la vita daccapo. Ho conosciuto un giovane francese, uno
studente - ha gli occhi all'ingi ed attraente e incline a crisi di depressione,
e penso che siamo fatti l'uno per l'altro. Ho preso dei contatti, ho alcune
possibilit di lavorare. Thierry abita dall'altra parte della citt, vicino al
metr Alesia, e probabilmente andr a stare da lui qualche settimana mentre
cerco un appartamento.
E tu - sono sicuro che la tua vita sta andando bene. Se c' una cosa che so
su di te, Philip, che tu sei, che ti piaccia o no, incurabilmente ottimista. Per
quanto tu possa desiderare di rimanere intontito dalla depressione, te ne
tirerai fuori.
Talvolta penso che tu sia condannato alla felicit.
Per favore scrivimi presso Thierry. Mi manchi. Eliot"
Philip rilesse la lettera due volte, percorrendo a grandi passi i piccoli
confini della sua stanza. Poi la pieg accuratamente in tre, la rimise nella
sua busta e la ficc nel cassetto della scrivania. Fuori dalla finestra aperta,
all'estremit di un vicolo pieno di pattumiere, un gruppetto di bambine
saltava alla corda, cantando in spagnolo. And a osservarle. Pens: anch'io
mi accorgo che New York ha un odore: grasso fritto e olio di sesamo,
frattaglie e fagioli e tubi di scappamento di autobus. Pens: lo conoscevo
appena. Alcune piccole schegge di vecchia vernice erano ficcate
nell'intelaiatura della finestra - frammenti bianco sporco, rossi e azzurri del
passato dell'appartamento - e metodicamente Philip ne raccolse un po nella
mano, una polvere fine inframmezzata da scheggette dagli orli frastagliati,
come pezzi di un puzzle. Per un po li esamin, curioso sulla loro et, la
loro durezza. Poi, sperimentalmente, ne lasci cadere un po fuori dalla
finestra. I pezzi pi grossi planarono fino a terra e finirono silenziosamente
al suolo. Quando apr la mano la polvere vol nel vento, turbinando per
qualche secondo prima di cadere come un'ultima neve tardiva sul paesaggio
sottostante disseminato di pattumiere.
Qualche giorno dopo, Jerene chiam Philip al lavoro. " un bel po che
non ci sentiamo" disse. "L'ultima volta che abbiamo parlato sembravi cos
arrabbiato, cos turbato. Stai meglio adesso?"
Dietro la sua scrivania, Philip sorrise. "S" disse. "Molto meglio."
Rimase zitto per un momento. "L'ho detto ai miei genitori" disse.
"Oh, Philip" disse Jerene. "Come l'hanno presa?"
"Non lo so" disse Philip. "Questa settimana ho visto mio padre, ed
piuttosto strano. Aveva bevuto, penso, e mi ha fatto ogni sorta di domande

su di me, il che va benissimo, ma mi ha sorpreso egualmente - voglio dire,


sempre stato molto chiuso. un grosso cambiamento"
"Be, un buon segno" disse Jerene.
"Ogni forma di interesse un buon segno."
"Lo so. Quanto a mia madre - be, le cose non vanno per niente bene.
Quasi non mi parla. Dovrei andare a cena domenica e, che tu ci creda o no,
mio padre ha invitato questo insegnante della sua scuola che intende
affibbiarmi. Sar un incontro strano, a dir poco. Non so se mia madre ne sa
niente."
"Ti vuole affibbiare qualcuno?" disse Jerene. "Un uomo?"
"S, un uomo. Lo so, lo so. Anche il mio amico Brad pensa che sia strano.
Una specie di crisi di mezza et, immagino. Ma basta con questa storia.
Tu come stai, piuttosto?"
"Bene" disse Jerene.
"Lavori sempre alla "linea calda"?"
"S. Ma ho lasciato l'altro lavoro.
Ho trovato un lavoro come insegnante alla Nyu per gli allievi del primo
anni. Niente di eccezionale, ma incominciavo a essere stufa di fare la
buttafuori." Fece una pausa. "La buona notizia che Laura appena venuta
ad abitare qui, e abbiamo messo a posto l'appartamento. E ci chiedevamo se
potevi venire a cena da noi domani sera. Vogliamo che tu sia il nostro primo
ospite all'inaugurazione. E questo tuo amico, questo Brad - porta anche lui!"
"Non so bene..." fece Philip.
"Ma Eliot partito, Philip. La casa tutta cambiata, un altro
appartamento, grazie a Laura."
Philip chiuse gli occhi. "D'accordo" disse alla fine, bench la prospettiva
lo spaventasse. "A che ora?"
"Alle otto" disse Jerene.
Brad viveva in un accogliente appartamento nel quale i suoi genitori
avevano fatto arrivare i mobili della camera da letto della sua infanzia nel
New Jersey. C'erano un paio di lettini a castello laccati, un tavolo da lavoro
bianco, tre poltrone fatte a sacco. "Sono quasi pronto" disse Brad quando
Philip pass a prenderlo la sera dopo. Si tolse la cravatta e la camicia, e
Philip non pot fare a meno di notare il suo torace - bianco, ben formato, e
coperto da una pallida peluria. Brad prese una maglietta da un cassettone
che, come tutto il resto dei mobili nell'appartamento, era fatto per la
cameretta di un maschietto, assolutamente privo di ornamenti, di qualsiasi
decorazione potesse esser considerata vagamente femminea. "Sei nervoso?"
chiese e Philip, mentre uscivano, ancora una volta, in strada. Philip ci
pens.

"S" disse infine, "un po. Ma non troppo." Non aveva ancora accennato
alla lettera di Eliot - in realt non vedeva alcuna ragione per farlo.
Ultimamente aveva praticato il riserbo come politica generale, e aveva quasi
dimenticato la lettera, salvo l'ultima fastidiosa osservazione che Eliot aveva
fatto a proposito del suo essere "condannato alla felicit" Cosa poteva
significare essere condannati alla felicit? La frase faceva pensare che la
felicit fosse una specie di bugia che imprigiona, una forma di lavaggio del
cervello; come se una vita valorosa resa infelice dalla conoscenza fosse
necessariamente migliore di una vita felice ma ignorante. Lo mandava in
bestia la tirannia implicita nel tono saputo e cinico di Eliot, con i suoi
acriptici accenni di prescienza, il suo contorto spirito psicoanalitico.
Tuttavia non poteva negare che per lui non ci fosse vita pi piacevole di
quella vissuta entro i confini protettivi di un telefilm da mezz'ora, e che
desiderava veramente che ogni giorno della sua vita precipitasse in una
bella goccia di luce, finisse come finisce un episodio di "Happy Days" dove
ogni cosa torna al suo posto e tutti i delicati e lievi conflitti vengono
accantonati o ficcati sotto il letto, o spianati come la glassa su un dolce di
compleanno.
Il caseggiato di Eliot era immutato quando ci arrivarono, eccetto che il
nome sulla cassetta delle lettera era stato cambiato, e sulla targhetta si
leggeva Finley/Parks invece di Abrams/Parks. Rimasero l in piedi per un
attimo, mentre Philip esaminava i muri di linoleum rosa pallido dell'atrio, lo
sporco impastato sulle cassette delle lettere. E Brad osservava Philip, alla
ricerca di segni premonitori di un turbamento emotivo. Ma Philip si limit a
sospirare rumorosamente. Suonarono il citofono e furono debitamente fatti
entrare. In cima alle scale, la nuova amica di Jerene, Laura, li aspettava
sulla porta.
Era straordinariamente pallida, con capelli cos sottili e impalpabili che
sembravano tessuti con granelli di sabbia. "Allora, vediamo se ho ragione"
disse, e anche la sua voce era granulosa, sabbiosa. "Tu sei Philip" disse
indicando Philip. "E tu sei Brad."
"Giusto" disse Philip.
Lei sorrise e tese la mano. "Bene, sono contenta di non aver sbagliato"
disse. "Io sono Laura Finley. Entrate pure."
All'interno l'appartamento era molto cambiato. Alle finestre pendevano
tende nuove con disegni di mirtilli.
Una tovaglia con lo stesso disegno copriva il tavolo, e un divano chiaro,
superimbottito, era appollaiato dove un tempo c'era stata la brandina
spartana di Jerene. "Sono contenta che tu ce l'abbia fatta" disse Jerene,

allontanandosi dai fornelli per baciare Philip sulla guancia e presentandosi a


Brad. "Stiamo preparando del couscous"
La melodia di una canzone melanconica delle Roche Sisters aleggiava
nella stanza, insieme al delicato profumo di incenso. "Ecco la mia ricetta"
disse Laura, indicando con orgoglio la salsa rossa che bolliva. "Vuoi
assaggiare?" Porse un cucchiaio di legno a Philip, e un acre sfrigolio gli
tocc le labbra.
"Favolosa, vero?" disse Laura. "Ho avuto la ricetta da un gruppo di
algerini coi quali abitavo a Parigi.
Ma poi l'ho persa. Per anni ho cercato di ricordarmela, e farla nel modo
giusto, e stasera..." si baci le dita con gesto drammatico, e torn a
mescolare i piccoli granelli.
Indossava un abito di lino lungo fino al ginocchio del colore dello yoghurt
al mirtillo e aveva una fila di perline piantate in ciascun orecchio.
Una ragazza dall'aspetto quasi trasparente, che uno avrebbe immaginato
allergica a tutto e costretta a vivere in una casa vittoriana, passando le sue
giornate a fare cose come strofinarsi olio di sandalo sulle leggere lentiggini
della pelle, o a ricamare fiori sulle tende.
" una salsa meravigliosa" disse Philip. "Sono contento che Jerene abbia
trovato qualcuno che le prepara dei piatti cos buoni."
"Be, non poi tanto male neanche lei" disse Laura. "Comunque, io sono
debitrice a Jerene di cose assai pi importanti dei pasti. Non so se te l'ha
detto, ma prima che ci conoscessimo vivevo con i miei genitori in uno stato
di abbietta infelicit nel loro gigantesco appartamento di Park Avenue. E
ogni giorno dovevo assistere alle scene isteriche che mi faceva mia madre "Perch non sposi un bravo ragazzo, vuoi spezzarmi il cuore?"" Si volt
verso Jerene e la baci sulla fronte.
"Sono molto felice di essere fuori di l, di avere una nuova casa" disse.
Philip annu.
Se per l'aspetto era una Laura Wingfield - fragile e trasparente come un
animaletto di vetro - per temperamento era una pura Amanda: chiassosa,
impetuosa e indiscreta; tutta iperboli ed eccessi; buona, affettuosa e
vulnerabile. "Come vanno le cose coi tuoi genitori, Philip?" chiese, mentre
porgeva a Philip un bicchiere di succo di pompelmo.
"L'hanno presa bene?"
Philip trangugi il succo di pompelmo. Come faceva Laura a sapere dei
suoi genitori? "Be" fece.
"Uhm..."
"Alti e bassi, vero?" disse Laura.

"Lo so." Mastic un pezzettino di ghiaccio e lo guard dritto negli occhi.


"All'inizio andata cos anche con i miei. Un momento erano pieni di
curiosit, e il momento dopo non mi rivolgevano la parola. Penso che sia
una cosa tipica della mezza et, non credi?"
"Immagino di s" disse Philip.
"Io non mi preoccuperei tanto" disse Laura. "Io l'ho detto ai miei genitori
tre o quattro anni fa, e per un po stata dura, ma adesso le cose vanno
proprio bene - be, per lo meno con mio padre. Ha persino dato a Jerene e a
me un paio di chiavi per la sua villa a Bridgehampton per l'estate. E questo
mi ha fatto proprio piacere.
Insomma, mi d la sensazione che si preoccupi davvero per me, pi di
quanto non si preoccupi del fatto che sono lesbica. Quanto a mia madre - be,
lei tutt'altra storia."
Jerene e Brad ora attraversarono la stanza per raggiungerli davanti ai
fornelli. "Jerene mi stava giusto parlando del suo lavoro alla Linea Calda
Gay" disse Brad.
"Ho pensato di farlo anch'io" disse Laura. "Credo che sarei brava a dar
consigli; tanto che sto pensando di farlo proprio come lavoro. Ma come
potrebbe spiegarvi Jerene, ho questa fobia per il telefono. Voglio dire, mi
terrorizza il telefono. Immagino che sia perch il mio primo patrigno,
quando ero piccola, era uno un po morboso - insomma, non mi ha mai
molestato o niente del genere, per delle volte mi faceva parlare con lui al
telefono mentre si masturbava." E improvvisamente le si dipinse in viso
un'espressione mortificata, e dandosi uno schiaffo sulla fronte disse: "Ma
cosa sto facendo? Possibile che ci ricaschi sempre! Interrompo la gente e mi
ficco in mezzo alla conversazione.
Sono terribilmente piena di me, proprio la "Signorina-tutto-io" Vi prego
scusatemi. Jerene, finisci pure quello che stavi dicendo"
Passarono in soggiorno, ciascuno portando una scodella fumante di cibo.
Come la cucina, il soggiorno era stato trasformato. Davanti alle finestre
c'erano vasi di fiori pensili. Un grande letto di ottone stava nel punto in cui
prima era arrotolato il piumone di Eliot, e accanto a questo, c'era un grande
tavolino da toilette pieno di trucchi, profumi e merletti. Sul pavimento c'era
un tappeto orientale, e animali di pezza sparpagliati in giro. Le pareti grigie
erano state dipinte azzurro cielo. L'unica cosa che sembrava la stessa di
sempre era il vecchio e brutto radiatore, adesso silenzioso nella bella
stagione. Per tutta la cena Philip continu a guardarsi intorno nella stanza,
aspettando di vedere qualcosa che facesse scattare in lui la scintilla di un
forte sentimento, ma persino i suoi ricordi pi potenti si rifiutarono di venire

a galla. Non era rimasto niente. Tutte le cose del passato erano state sepolte
sotto l'accentuata leziosit della presenza di Laura.
Quest'ultima raccont loro ogni cosa. Era come se sperasse che,
sommergendoli con i suoi casini tutti in una volta, loro sarebbero rimasti
colpiti, quasi senza volerlo, da quel che c'era di buono anche se mescolato
con una serie di sciocchezze. "Da quando ho lasciato l'Universit del New
Hampshire non ho fatto che viaggiare" spieg, mentre Jerene si
affaccendava a mettere spezie sui cibi, a portare sale e pepe. "Sono stata in
Marocco, a Parigi, a Tangeri. Poi ho vissuto per un po a San Francisco. L
lavoravo nell'industria della musica femminile.
Conoscevo un po di linguaggio gestuale, per cui avevo trovato un lavoro
come interprete di questa cantante che si chiama Melissa Swallow - sapete,
per i sordi?" Rise. "Avreste dovuto vedermi. Non portavo altro che maglioni
a collo alto e stivaloni, con grande disappunto dei miei genitori newyorkesi
e tres sophistiques, e vivevo in questa comune femminile a Mill Valley e
fumavo un sacco d'erba.
Era divertente, ma non faceva per me, per cui me ne tornai a est, e mia
madre - quel cuor d'oro di mia madre - mi trov un lavoro al negozio di
Laura Ashley, immaginando che se c'era un posto dove ero al sicuro era
quello.
Ma non sapeva" disse alzando gli occhi su Jerene, "chi sarebbe entrato l
dentro."
Jerene arross.
"Sapete" disse Laura, "quando gliel'ho detto lei ha commentato, "Non
riesco a crederci. Sono stata proprio io a spianarti la strada. Ma perch ti ho
trovato quel lavoro?" Come se fosse colpa sua. E sapete cosa? Talvolta le
credo. Vengo talmente risucchiata dalla sua paranoia che incomincio a
pentirmi io stessa e a dar la colpa a lei. Vedete, io fondamentalmente sono
una persona molto insicura, ancora alla ricerca di uno scopo, ed
esattamente questo che stavo facendo allora, a San Francisco, e che sto
facendo ancora adesso, immagino, ed per questo che mia madre ha
un'influenza cos tremenda sulla mia vita. Ma con Jerene mi sento molto
felice, molto sicura, come se mi fossi accasata." Spense una sigaretta sul
piatto, si sporse confidenzialmente verso Philip, e disse: "Allora, hai avuto
notizie di Eliot ultimamente?"
Parlava con accenti cos intimi di Eliot che per un attimo Philip dimentic
quello che gli aveva detto al telefono Jerene: che Laura aveva incontrato
Eliot soltanto una volta per cinque minuti circa. Adesso sorrideva
desiderosa delle sua confidenza. Era come se, con questa intimit, sperasse
di farsi strada a forza in quello che doveva aver percepito come un gruppo

di amici preesistente - lui, Eliot, Brad e Jerene. Bench la sua idea su di loro
come gruppo non potesse essere pi lontana dalla verit, il suo desiderio di
non esserne tagliata fuori commosse Philip.
"Be, ho ricevuto una lettera" le disse.
"Davvero?" chiese Brad. "Perch non me lo hai detto?"
Philip si strinse nelle spalle. "Non volevo dare troppa importanza alla
cosa, tutti qui" disse Philip. "Non una cosa di grande importanza. Dice
soltanto che ha viaggiato un po, ma adesso si stabilito a Parigi. Dice che
ha un ragazzo simpatico e depresso con un nome strano, che non riesco a
ricordare."
Laura ingoi un boccone di couscous per poter parlare. "Thierry" disse.
"S" disse Philip. "Proprio cos.
Come fai a saperlo?"
Lei sorrise. "Li ho messi insieme io" disse.
Philip la fiss. "Tu?"
"Be, quasi" disse lei. "Ti ricordi che ti ho detto che a Parigi abitavo con
un gruppo di algerini? Be, Thierry per un po stato l'amante di uno di loro,
Moustaf. Viveva con sua madre a Neuilly o in un posto del genere,
comunque, diventammo amici, e rimanemmo amici anche dopo che lui e
Moustaf ruppero, e che io me ne andai dall'appartamento. Cos quando
Eliot mi disse che stava andando a Parigi, naturalmente gli diedi il numero
di Thierry, senza immaginare neanche lontanamente..." Fece un gesto vago
con le mani e ingoi un altro boccone di couscous.
"Oh" fece Philip. Fiss il tavolo, e Jerene, vedendo la sua espressione
abbattuta, aggiunse: "Non credo che sia davvero una cosa seria, Philip.
Voglio dire , penso che Eliot non sappia neanche quanto tempo star a
Parigi" Lo guard con affetto. Lui apprezz il suo interessamento.
Tuttavia, lo imbarazz essere sorpreso a rimuginare cos. Non desiderava
pi richiamare l'attenzione sul suo vecchio dispiacere, adesso che
finalmente lo stava superando - soprattutto di fronte a Brad.
"Jerene" disse, "sei molto cara a essere cos gentile con me. Ma non
proprio il caso. Anche se mi dici la verit, non flippo mica. Me l'ha detto
Eliot stesso che sarebbe andato ad abitare con Thierry per un po, e credo
che vada benissimo. Spero che siano molto felici, e che funzioni.
Eliot sta costruendo la sua vita, e mi rendo conto, adesso, che bisogna che
io incominci a costruire la mia."
"Be, mi sembra che tu lo stia gi facendo" disse Laura. Lanci un'occhiata
significativa a Philip, poi a Brad, poi di nuovo a Philip.
"La vita matrimoniale" disse Laura, " la migliore." Prese la mano di
Jerene, e la tenne stretta sul tavolo.

Jerene era seduta rigida nella sua seggiola, con la schiena dritta come un
asse. Sembrava l'uomo di latta di Oz. "Per Jerene e me stato una specie di
processo di guarigione" disse. "Per esempio - sto cercando di convincerla ad
andare a parlare con i suoi genitori. Abbiamo fatto qualche ricerca.
Raccontaglielo, Jerene."
Jerene rise nervosamente. "Be," disse, "sono andata a trovare mia nonna
l'altro giorno - era la prima volta dopo anni."
"Oh, Jerene" disse Philip. " meraviglioso. andata bene? Voglio dire,
stata una bella cosa, era contenta di vederti?"
Jerene annu. " stato molto triste" disse. "Naturalmente lei non sapeva
niente. completamente all'oscuro di tutto. E inoltre, praticamente non parla
ai miei genitori, e non si pu dire che abbia con loro un rapporto pi intenso
di quello che ho io. Ormai sta da tanto tempo in questo ricovero, che non
sapeva pi niente di me. Non un brutto posto, ma penso che si senta sola."
Jerene sorrise. "Non puoi immaginare come ero spaventata mentre ci
andavo" disse. "Era la prima volta in sei anni che avevo un contatto con la
mia famiglia."
"Il passo successivo" disse Laura, "sar una lettera, di Jerene ai genitori,
per dire loro che frequenta la nonna e pregarli di andarla a trovare. Perch,
capite, in questo caso, non si tratter solo di Jerene e dei suoi genitori, ma di
tutta la famiglia. Tutta una storia di disconoscimenti, di figli che ripudiano i
genitori e di genitori che ripudiano i figli. Ci penso moltissimo a questo,
perch sto pensando di tornare all'universit l'anno prossimo, per
specializzarmi come consulente familiare. Ultimamente ho fatto molte
letture sulla teoria dei sistemi, e penso che sia davvero interessante. Voglio
dire, quello che successo a Jerene - be, fa parte di un sistema familiare
assolutamente unico; alla mia famiglia per esempio, non sarebbe neanche
passato per la testa di ripudiarmi. Ma accidenti, eccomi qui a blaterare
ancora una volta su me stessa. Per favore scusatemi. Posso chiedervi una
cosa: avete mai avuto paura di essere ripudiati?"
"Oh, no" disse Philip. E Brad disse: "Certamente non nel mio caso. I miei
genitori mi sostengono molto"
"Bene" disse Laura, "allora noi dovremo sostenere molto Jerene in tutto
questo, perch non ha alcun appoggio. E ne ha bisogno."
Guardarono tutti Jerene, che si alz, and in cucina e torn con una grossa
insalata multicolore. Laura la cond e la serv. "E voi due da quanto tempo
state insieme?" chiese casualmente quando ebbe finito, e Brad e Philip
restarono entrambi a bocca aperta.
"Be...'"
"Insomma, ci conosciamo..."

"La verit che non stiamo proprio insieme, non in modo tradizionale.
Siamo solo buoni amici" disse Philip.
"Ah, ah." Laura si appoggi alla seggiola, accese una sigaretta, li fiss.
"Amici" disse Philip.
"Capisco" disse Laura.
"Naturalmente. Ma... Forse amici romantici?" Quest'ultima frase la
pronunci con un ironico accento inglese, sbattendo le palpebre, e stirando
le labbra in una linea sottile.
"Forse si potrebbe dire cos" disse Philip.
Laura spense la sigaretta nel piatto. "A proposito" disse Jerene, "qualcuno
ha sentito il nuovo disco di Ferron?"
L'avevano sentito tutti. Ne discussero per una mezz'ora circa, mentre la
cena giungeva alla fine. Fu come un giro in un parco di divertimenti, lungo
corridoi stretti pieni di frenetiche apparizioni, alla fine del quale si
ritrovarono catapultati fuori, abbacinati nella strada fredda, con il capogiro,
e lo stomaco stretto.
"Certo che un bel tipo quella Laura" disse Brad.
Philip annu.
"Per la tua amica Jerene sembra simpatica, bench non abbia avuto
modo di parlare molto, mi pare."
"Oh, lei fatta cos" disse Philip.
" sempre molto silenziosa in compagnia. Senti, vuoi bere una tazza di
caff o qualcos'altro?"
Brad rimase silenzioso, e Philip sprofond ancor di pi le mani in tasca.
Alla luce dell'interrogatorio intimo di Laura, qualsiasi cosa poteva suonare
come una proposta. Qualsiasi cosa. E, disgraziatamente, Philip ricord la
sera del mese scorso in cui aveva cercato di dire "qualsiasi cosa" in modo
seducente, facendo la figura dello sciocco.
"Volevo dire al Kiev" aggiunse.
Brad si strinse nelle spalle. "Temo di essere tropo stanco" disse. "Mi sa
che preferisco andare a casa."
"Capisco" disse Philip. "Sono stanco anch'io." Fece una pausa. "Sai, non
riesco a credere che ci abbia chiesto da quanto tempo stiamo insieme. Mi
sono sentito molto imbarazzato. Se te ne parlo solo perch non voglio che
tu pensi che io le ho detto qualcosa, che le ho lasciato credere..."
"Philip" disse Brad. "Certo che no.
Non preoccuparti." Sembr infastidito.
Philip scosse la testa. "No" disse.
"Certo che no. Non avrei dovuto dire proprio niente."

Silenziosamente procedettero verso la casa di Brad, mentre Philip


ricordava l'impaccio di quella sera in cui era ancora inverno. Adesso
soffiava una brezza tiepida. Erano senza guanti, senza cappello, senza
ombrello. E Philip pens quanto doveva esser bello riuscire, come Eliot, a
filarsela da un posto che si arrivati a chiamare casa, staccarsi dalla
complessa e pericolosa rete di amici, amanti, appartamenti, troncare tutti i
legami per tuffarsi nella sconcertante novit dell'ignoto.
Talvolta immaginava di farlo, comprare un biglietto per un posto,
diciamo, per Parigi, e andarci; allora poteva quasi sentire lo sgomento, il
sollievo di non conoscere nessuno, di odorare strani odori, di sentire nuove
brezze.
Ma poi si ricordava che non conosceva affatto la lingua, che non aveva
amici da cui stare a Parigi; si rendeva conto che una volta l, avrebbe
dovuto ricominciare l'incessante ciclo di preoccupazioni - il bucato, il
mangiar fuori da solo ed essere maltrattato dai camerieri, la ricerca di un
ragazzo. Evidentemente, preoccupazioni del genere non toccavano Eliot.
Conosceva gente dappertutto, lui, aveva sempre posti in cui stare. E tutto
a un tratto, Philip rivide ancora una volta Eliot con un impermeabile
militare, senza bagaglio, su un treno veloce che attraversava un paesaggio
indicibilmente bello; era in piedi su una specie di piattaforma esterna d'altri
tempi col vento che gli scompigliava i capelli.
Probabilmente stava andando a Venezia.
Philip immagin Eliot e il suo amante, Thierry, che andavano in gondola
su un canale color giada, con strane torri incrostate di molluschi che si
levavano da ogni parte intorno a loro.
C'era gente che se ne andava e gente che veniva abbandonata; sembrava
che il mondo richiedesse questi due estremi, per il proprio equilibrio.
Philip non avrebbe trovato rifugio nei viaggi; era troppo codardo per
l'avventura, troppo aggiogato alla routine e alle comodit familiari.
Condannato, aveva detto Eliot. Forse era questo che voleva dire, mentre
sedeva a scrivere in quella polverosa stanza nel Quinto, sentendo "che
Parigi aveva un odore" Forse stava semplicemente pensando alla sua buona
sorte, e aveva scritto "condannato", aggiungendo poi "alla felicit" solo per
smussare la crudelt.
Arrivarono a casa di Brad. Ancora una volta, erano davanti alla scaletta
d'ingresso, e Philip si ritrov ad affrontare la dura prova di dire buona notte
quando avrebbe di gran lunga preferito salire di sopra insieme a Brad,
sistemarsi in uno dei due lettini a castello, e guardare la televisione o
chiacchierare. Poi Brad disse: "Perch non resti qui stanotte?

Non mi sembra il caso che tu vada uptown quando qui c' un sacco di
spazio"
A Philip si imporporarono le guance.
"Be...' Va bene" disse, e rise; era cos sorpreso, cos grato, cos nervoso!
Chiaramente anche Brad era nervoso. "Va bene, allora" disse Brad, e
inciamp in uno scalino, e aveva il fiato corto mentre saliva le scale verso il
suo appartamento. C'era voluto solo un momento perch tutto cambiasse.
Una volta dentro, Brad accese la luce, si tolse la giacca, e and dritto
verso la segreteria telefonica, che palpitava rossa di entusiasmo, pronta a
dire quello che aveva da dire. C'erano dei messaggi di sua madre, di Sally,
della collega Gwen, di cui prese nota piuttosto deluso.
"Il ragazzo dei miei sogni non ha chiamato" disse, e Philip si volt, non
abbastanza coraggioso per chiedere: "Posso farne io le veci?"
Brad stava cercando le lenzuola nell'armadio. "Preferisci il letto di sopra o
quello di sotto?" chiese.
"Oh, non importa" disse Philip.
"Scegli tu."
"In realt preferisco dormire di sopra, quindi ti sistemer di sotto" disse
Brad. Inginocchiato nello spazio ristretto della cuccetta inferiore, stese un
lenzuolo. Philip si sedette alla scrivania bianca di Brad, con le gambe che
gli tremavano. Per una volta, sembrava che non avessero niente da dirsi.
Si svestirono pudicamente, ciascuno cercando di non osservare il corpo
dell'altro. Mentre si infilava nella cuccetta di sotto, Philip pens a tutto ci
che era implicitamente sensuale in questo rito di ragazzi che si spogliano,
tutto ci che si nascondeva sotto quella accurata affettazione di disinteresse.
Poi Brad spense la luce. I lampioni stradali brillavano attraverso la sottile
tenda velata alla finestra. Da dove era sdraiato sulla cuccetta di sotto, Philip
osservava Brad, anche lui in mutande, sulla scaletta del lettino di sopra,
guard le sue gambe agitarsi per un secondo prima di scomparire. Ci fu un
tonfo morbido quando atterr.
Rimasero in silenzio. Nell'oscurit dell'appartamento gli unici rumori
venivano dalla strada - macchine che sfrecciavano, risate, urla occasionali.
Philip sentiva Brad respirare sopra di lui, sentiva il suo corpo che si
sistemava sulla cuccetta.
Questo stesso anonimato lo aveva solleticato al college; talvolta si
masturbava silenziosamente mentre fantasticava che il suo compagno di
stanza, assolutamente regolare, facesse la stessa cosa proprio sopra di lui.
Adesso si sent come allora - sospettoso nell'oscurit, timoroso di venir
sorpreso a fare qualcosa o a dire qualcosa che potesse offendere Brad o
essere da lui frainteso.

"Brad" disse, quando finalmente riusc a trovare le parole.


"S?" La sua voce era sorprendentemente cavernosa, come se avesse
parlato la stanza stessa.
"Posso farti una domanda?"
"Certo."
"Perch mi hai chiesto di star qui stanotte?"
Ci fu un lungo silenzio. "Non mi sembrava il caso che tu andassi fino a
uptown cos tardi" disse Brad.
"Ma sono venuto quaggi un milione di volte e tu non mi hai mai chiesto
di passarci la notte."
Brad cambi posizione nel letto.
"Be" disse, "lo sai che sono una persona timida, una persona molto
riservata per alcuni versi, non mi fido molto facilmente della gente."
"Lo so."
"Io considero il mio appartamento come il mio rifugio, il mio paradiso."
Si interruppe, come per scegliere le parole pi adatte, il che innervos
Philip. "Sono al sicuro qui" disse.
"Immagino che prima di te non ci sia mais tato nessuno di cui io mi
fidassi abbastanza per averlo qui senza rovinare questa sensazione." Tacque.
" solo che mi ci voluto un po prima di avere il coraggio di chiederti di
star qui."
Per un secondo, il cuore di Philip parve fermarsi. "Davvero?" disse.
"Davvero."
"Grazie, Brad" disse Philip. "Questo significa molto per me. Penso di
poter dire che sento la stessa cosa per te - anche se il mio appartamento in
realt non una cosa cos preziosa."
Tacquero per qualche minuto. "Ti secca" chiese Philip, "quando la gente
pensa che siamo una coppia?"
"Non lo siamo?" chiese Brad, e rise, e Philip rise a sua volta.
"Immagino di s, per certi versi" disse, " bello, vero?"
"S" disse Brad.
"Brad?" disse Philip. "Scusa se te lo chiedo - ma pensi mai alla possibilit
che diventiamo una coppia, veramente?"
"Talvolta" disse Brad.
"Bene" disse Philip. "Ci penso anch'io."
Sopra di lui Brad cambi posizione di nuovo, e Philip immagin che si
fosse girato a guardare la finestra.
La luce della luna si riversava nella stanza attraverso le veneziane. Philip
pens a Venezia, e improvvisamente colleg queste tende, queste cose di
tutti i giorni, in mezzo alle quali era cresciuto, con quella misteriosa e

acquatica citt che aveva visitato soltanto una volta e non ricordava neanche
pi. A Venezia la luce brillava attraverso persiane come queste? si chiese.
C'erano luci che brillavano su Eliot a Venezia? Finse di essere a Venezia
adesso, e che sotto la finestra ci fosse un canale su cui passavano le
gondole.
Poi not la mano di Brad, che ciondolava dalla cuccetta di sopra,
apparentemente senza intenzione.
Illuminata dalla luna, sembrava brillare.
Cautamente alz il braccio e prese la mano. Le dita di Brad erano calde,
come aveva immaginato che sarebbero state, e Philip ricord quanto tempo
era passato da quando aveva toccato qualcuno. Con gratitudine la strinse, e
Brad ricambi la stretta.
Rimasero cos, tenendosi le mani, per parecchi minuti finch Brad disse:
"Sai, probabilmente non riusciremo a dormire in questo modo"
"Lo so" disse Philip. Diede un'altra stretta alla mano di Brad. Poi
lasciarono la presa e, augurandosi la buona notte, si girarono ciascuno verso
la parete e si addormentarono.
A notte tarda, a letto, Laura restava appicciata a Jerene, non riusciva a
dormire finch appoggiava la testa al seno della sua amante e, quando era
sicura che Jerene dormisse, sussurrava come un incantesimo: "Non
lasciarmi mai, non lasciarmi mai, non lasciarmi mai" Tutto la spaventava: i
supermercati, i cani grossi, gli uomini. Per non parlare dei telefoni.
Quando Jerene - finalmente convinta a cercare sua nonna - aveva chiesto
a Laura se per favore poteva fare lei la prima telefonata alla lavanderia
Briteway di Bensonhurst per chiedere che fine avesse fatto la proprietaria
precedente, Mrs. Nellie Parks, Laura scosse la testa violentemente, e si
sciolse in un balbettio di scuse e di autodisprezzo. Era un disastro al
telefono, spieg. Jerene dovette rimangiarsi i suoi venticinque anni di paura
e fare da s la telefonata. Fu sollevata quando rispose una bambina.
"Posso parlare con la proprietaria?" chiese.
"Non facciamo consegne a domicilio" disse la bambina.
"No, non sto telefonando per questo" disse Jerene. "Vorrei
un'informazione sulla proprietaria precedente e ho bisogno di parlare con la
proprietaria attuale."
Allora ci fu silenzio sulla linea, seguito da una severa voce femminile con
un accento giamaicano.
"Non so niente della signora che era qui prima. Sono qui da tre anni, e
non so mica niente" disse la donna. "Si chiamava Nellie Parks" disse Jerene.
"La prego. importante. Sono sua nipote, e devo trovarla."
"Ho da fare" disse la donna. "Non ho tempo. Perch lo vuol sapere?"

"Sono sua nipote" ripet Jerene. " successo qualcosa di grave in famiglia
e devo mettermi in contatto con lei."
La signora sospir rumorosamente.
Sullo sfondo Jerene pot udire il turbinio della lavatrici. "Be, forse ho
qualcosa" disse infine la donna.
"Resti in linea."
Lasci Jerene attaccata alla cornetta per almeno cinque minuti, poi torn e
disse: "Diciotto-cinquanta-quattro Quarantacinquesima Sud, tutto quello
che so. Arrivederci,"
"C' anche il numero del telefono?"
C'era. La donna lo scand e riattacc.
"Mi spiace proprio" disse Laura, "non riesco a crederci, ma sono in preda
al panico, al solo pensiero.
Senti il mio cuore." Sedeva paralizzata sul sof.
Jerene compose il numero. Una voce che le ricordava il computer di "Star
Trek" rispose e disse: "Casa di Riposo Pinebrook"
Jerene tir un profondo respiro e fece la domanda.
Mr. Norton Parks, la voce era spiacente di annunciare, era morto l'anno
scorso, ma Mrs. Parks era ancora l.
Jerene le chiese quali erano le ore di visita. Tutti i giorni dalle dieci alle
cinque, disse la voce.
"Grazie" disse Jerene, e riattacc.
Ci and un venerd, attraversando Queens sulla linea ferroviaria di Long
Island fino alla primissima frangia dei sobborghi. Era una giornata fresca e
soleggiata - il tipo di tempo marzolino che sembra in qualche modo
fraudolento, un trucco, che sottintende la possibilit di una tempesta nel
pomeriggio. I bambini saltavano la corda e sbiciclettavano entusiasti nelle
stradine che Jerene percorse a piedi verso la casa di riposo. C'era persino
della gente che prendeva il sole allungata sulle sdraio nei giardinetti di casa,
con la pelle bianca per il freddo, rattrappita per via della brezza, decisa a
godersi questa prima giornata di sole anche a costo di morirne. La sorprese
trovarsi a camminare in un quartiere residenziale. Erano passati tanti anni da
quando era tornata a casa l'ultima volta, tanti mesi da quando era uscita
dall'isola di Manhattan, che aveva praticamente dimenticato quell'odore di
erba che stava sentendo adesso, la tenera verde dolcezza di un sobborgo
dopo le ore di scuola: bambini che giocavano al volano nei vicoli ciechi,
genitori che chiacchieravano al di sopra delle canne degli annaffiatoi. Qui le
strade residenziali formavano un reticolato con i grandi viali pieni di
supermercati e piccoli centri commerciali, e niente era pi alto di qualche
piano. Case di mattoni rossi, tutte uguali, fiancheggiavano la

Quarantacinquesima Strada Sud come sentinelle, e alla fine c'era la Casa di


Riposo Pinebrook per Anziani.
Quando entr, una folata d'aria fu risucchiata fuori dalle porte
automatiche. L'odore di vomito non sorprese Jerene. Alla ricezione chiese
della stanza di Mrs. Parks, e una ragazza dallo sguardo assente con
un'uniforme da infermiera consult l'elenco. Stanza 2119.
Prese un ascensore. Un corridoio, le cui pareti giallo pallido erano
illuminate da lampadine giallo pallido, si allung davanti a lei, pieno di
donne anziane in vestaglia, alcune in sedie a rotelle, alcune con le
stampelle, che le lanciarono un'occhiata francamente sospettosa. In un
salottino, altre donne ancora, vestite di tutto punto, e quasi eleganti con i
loro fronzoli fuori moda, guardavano un video rock su un grande televisore.
Con l'aiuto di una piantina del piano attaccata a una delle pareti, Jerene
trov la stanza numero 2119. Una televisione blaterava attraverso la porta
aperta. Dentro c'erano due letti ben rifatti, due cassettoni, e due poltrone,
entrambe vuote. Un'anziana donna nera in un abito da casa dai disegni scuri,
con una borsa di pelle appesa al braccio, era seduta su una seggiolina in un
angolo, a guardare la televisione.
"Ficcatelo bene in testa, mamma" disse una voce alla televisione.
"Holly e io ci sposeremo. Questo definitivo."
Ci fu una cascata di musica, e una porta sbattuta. Un'altra voce sussurr:
"Dovrai passare sul mio corpo" Poi altra musica. "Al mio gatto non do del
cibo qualsiasi" dichiar una voce nuova e diversa, e Jerene nervosamente
sgusci nella stanza.
"Salve" disse.
La vecchia sobbalz, e si alz dalla seggiola. "Prego?" disse, con voce
acuta e aggressiva.
Jerene indietreggi. "Non volevo spaventarti" disse. "Mi spiace...
Io... Nonna, sono io. Jerene."
Da dove si trovava, la vecchia alz gli occhi, con la bocca stretta, e gli
occhi spalancati per la confusione.
"Sono venuta a trovarti. Ho pensato di farti una sorpresa."
"Jerene?" disse la vecchia.
"S. La tua nipotina."
Il viso della vecchia si sciolse. Le si riempirono gli occhi di lacrime.
"Jerene" disse dolcemente.
"Non piangere, nonna" disse Jerene, andandole accanto. "Siediti qui, su
questa poltrona" disse, avvicinando una delle poltrone, e la nonna obbed.
"Sono cos sorpresa" disse, e prendendo un fazzoletto di carta dalla borsa
si asciug gli occhi. "Non puoi neanche immaginartelo. Io... Io non mi sarei

mai aspettata di rivederti. Sam telefona soltanto l'ultimo sabato del mese, e santo cielo, non ricordo neanche l'ultima volta che lui e Maggie sono venuti
a trovarmi."
Jerene non aveva mai sentito chiamare sua madre Maggie.
"Pensavo che tu fossi andata via" disse Nellie. "Pensavo - oh, sono passati
dei secoli - che tu fossi andata in Africa, ti fossi arruolata nel Peace Corps.
E poi mi hanno detto che avevi sposato qualcuno l e che non saresti
tornata."
Jerene sorrise. "Be, adesso sono tornata" disse.
"Ti sei divertita in Africa?" chiese Nellie.
Jerene annu.
"E come stanno i tuoi bambini?" chiuse gli occhi. "Non dirmelo - lascia
che me lo ricordi da sola. So che Maggie mi ha scritto tutto di loro,
vediamo: Sam Jr. E qual era il nome della bambina? Elizabeth?" Jerene
ricacci a forza le lacrime, croll la testa.
"Sono con te?" chiese Nellie.
"No, sono laggi" disse Jerene. "In Africa."
"Con il padre?"
Jerene annu. "S. Se ne occupa lui."
"Be, un vero peccato. Mi sarebbe piaciuto conoscere i miei pronipoti.
Oh" fece Nellie, "io... io vorrei tanto poterti offrire qualcosa.
Una tazza di t, dei biscotti. Ma non tengo granch qui, da quando Sam se
n' andato. Lo sai, certo, che tuo nonno se n' andato lo scorso maggio,
vero?"
"S" disse Jerene. "L'ho saputo. Mi dispiaciuto molto."
"Era cos malato" disse Nellie, "che stata davvero una benedizione. Ma
dimmi, come stanno tuo padre e tua madre? Non mi vengono a trovare da
chiss quanto tempo, e quando vengono, come se non fossero neanche
qui. A dirti la verit" disse, sporgendosi confidenzialmente verso Jerene,
"ho la sensazione di non conoscerli pi da anni. Da quando si sono trasferiti
a Eastport, o come si chiama." Guard Jerene dritta negli occhi. "Quando
stata l'ultima volta che ti ho visto?
Non ti avrei mai riconosciuta. Quel taglio di capelli che hai - di moda in
Africa?"
Jerene annu.
Sul televisore una coppia si stava baciando appassionatamente. "Ecco il
mio programma" disse Nellie, e allung una mano verso gli occhiali. "Ce li
avete gli sceneggiati in Africa?" chiese.
"No, non guardo molto la televisione."

Per un momento, la loro attenzione si concentr sulla schermo. "Ma ci


pensi" stava dicendo un giovane bruno a una graziosa giovane bionda.
"Ancora due giorni soltanto e sarai mia moglie."
"Non succeder" disse cupa Nellie.
"La madre sta facendo di tutto per impedirlo. Peccato. Mi preoccupo tanto
quando sta per succedere qualcosa di brutto. Una donna in fondo al
corridoio, be, ha scritto alla rete televisiva chiedendo di dirle se tutto
sarebbe andato bene per Steve e Kitty, in caso fosse morta prima di
scoprirlo. E pensa un po: per tutta risposta le hanno spedito un
questionario. Adesso non fa altro che preoccuparsi. Ma dico io, se non altro,
un modo di restare vivi, giusto? una cosa per cui vivere."
Adesso la giovane coppia si stava abbracciando di nuovo. Si spalanc una
porta. Entr un'altra giovane donna e la coppia si stacc.
"L'ultima volta che mi hai visto" disse Jerene, "credo che sia stato per la
festa dei miei diciott'anni.
Ricordi? Ma la cosa pi speciale per me, quando sono venuta a trovarti
in lavanderia. Mi ricordo che mi hai lasciato mettere i quarti di dollaro nelle
macchine e mi hai lasciato spingere da sola i pulsanti."
"Oh, a tutte le bambine piaceva" disse Nellie. "A me no per. Era una vita
dura. Non come la vita che hai fatto tu, cresciuta in quella grande casa con
tutte quelle belle cose.
Ecco, questa la madre. decisa a creare problemi a tutti quanti. Lei non
ha avuto nessuna gioia, e cos deve toglierla anche a tutti gli altri,
immagino."
Osservarono la madre per qualche minuto. Poi Jerene disse: "Nonna?
Pensi che il pap e la mamma verranno a trovarti presto?"
Nellie si gir a guardarla. "Oh, non lo so" disse. "Non potresti portarli
tu?"
Jerene sorrise. "Ultimamente non andiamo molto d'accordo" ammise.
"Oh, questo un vero peccato" disse Nellie. Ma i suoi occhi gravitavano
verso la televisione, e alla fine, dopo aver lanciato a Jerene un'occhiata
maliziosa, si abbandon completamente al suo vizio, finch non comparve
una pubblicit.
Ora Nellie si riaccomod nella poltrona. "Sono felice di avere il mio
programma" disse a Jerene. "La mia vita ormai non pi un granch. Ma
questa, questa proprio come la vita.
Succede tutti i giorni - salvo i fine settimana. I fine settimana sono duri,
soprattutto quando ti lasciano con il fiato mozzo il venerd. Di solito io me
ne accorgo fin dal marted quando sta succedendo qualcosa di grosso. Si

capisce che stanno preparando qualcosa di brutto. Il fine settimana che


Jenny era sul tavolo operatorio non sono riuscita a chiudere occhio."
Quando il programma ricominci, Jerene disse: "Nonna, devo andare
adesso"
"Cos presto?" disse Nellie. "Ma sei appena arrivata."
"Non voglio interrompere il tuo programma" disse Jerene. "Adesso che lo
so, torner a trovarti in un'ora pi opportuna."
"Oh, mi sembra di essere cos villana" disse Nellie, e sorrise. "Ma il mio
programma tanto importante per me. Per dimmi un'altra cosa - quand'
che torni in Africa?"
Jerene sorrise. "Per un bel po non ci torno" disse.
Ci fu il forte rumore di uno scontro. Alla televisione una macchina sband
per evitare la collisione, poi lo schermo divent scuro e squill il telefono se nello spettacolo o nel mondo reale Jerene non riusc a capirlo. "Oh Dio"
disse Nellie. "Cos' successo? Chi c'era nella macchina?"
"Arrivederci" disse Jerene. Ma Nellie era persa nelle sue ansie tutte
private e non rispose. Piano piano Jerene usc dalla porta, lasciando sul
cassettone un vaso di fiori e una scatola di cioccolatini.
Si sent gli occhi pesanti mentre scendeva in ascensore, come se fossero
impastati della vernice delle pareti gialle dei corridoi. Temette di vomitare
per l'odore di cibo, e corse verso l'uscita. Ma quando attravers le pesanti
porte di vetro e usc in strada, fu come se il vento soffiasse via la vernice, e
la riscuotesse a nuova vita.
Non pens a niente mentre camminava verso la stazione. Non pens
mentre cambiava treno a Jamaica, n quando cambi treno di nuovo, a
Woodside.
Invero, solo quando si trov sul terreno familiare di Manhattan si
concesse di ricordare il fatto nascosto, il granello di conoscenza.
Maggie. Mai in vita sua aveva sentito chiamare sua madre con il nome di
Maggie. Era un nome della sua giovinezza, di quel tempo morto di cui a
Jerene non era mai stato concesso di parlare, di quella brutta origine che,
quando lei la nominava, sua madre scacciava via come una mosca:
"Ringrazia il cielo per quello che hai" diceva, con tono di rimprovero, e
immediatamente insisteva per comprarle un vestito nuovo. Non avendo
nessuna gioia per s, deve privare anche gli altri della loro. Sua madre ora
era Margaret. E quando le altre signore le chiedevano di sua figlia, lei si
inventava un marito in Africa, e due bei nipotini, Sam jr' ed Elizabeth.
Elizabeth era il secondo nome di Jerene, e talvolta, quando erano da sole,
Margaret l'aveva chiamata Elizabeth. Jerene era stata un'idea di suo padre, il
nome di sua nonna, e lei si chiese se non glielo avesse dato come un'ultima

offerta alla pira del passato, la sua parte in una contrattazione che avrebbe
salvaguardato la figlia da tutto ci che quel nome si portava appresso.
Quando torn a casa, Laura la stava aspettando sul sof in cucina,
masticando gomma, con una gamba ripiegata sotto le natiche. "c' del t"
disse. "Ho fatto anche dei biscotti davvero meravigliosi."
"Mi basta il t" disse Jerene.
Si vers da sola il t e si sedette silenziosamente sul sof.
"Cosa successo?" chiese Laura.
"L'ho vista."
"Fantastico" disse Laura. " andata bene?"
Jerene sorrise e si tocc i capelli che, naturalmente, avevano un taglio
tanto di moda in Africa.
"S" disse. " andata bene." Sembr sul punto di piangere. "Oh tesoro,
vieni qui" disse Laura, e prese Jerene fra le braccia, e la tenne stretta in
silenzio, mentre il pomeriggio scivolava via.
Nell'oscurit del pomeriggio domenicale nel suo soggiorno (che ben
presto non sarebbe pi stato suo), fresco dietro le tende chiuse, Rose cerc
sull'atlante un'isola indonesiana di sei lettere nota per i suoi varani: vuoto vuoto - vuoto - O - vuoto - vuoto. Fino adesso aveva trovato "Tidore" e
"Misool", ma entrambi, una volta messi nel cruciverba avevano creato pi
problemi di quanti non ne avessero risolto. Ma c'erano ancora tante piccole
isolette da esplorare verso nord. Si ostin. Si immaginava come un piccolo
capitano da cartoni animati che guidava il suo bastimento a riquadri bianchi
e non come un cruciverba attraverso un mare di parole. Aveva finito le
parole crociate normali e adesso stava facendo le acrostiche. Lentamente,
man mano che lavorava, incominciava ad apparire una citazione nel
diagramma, come una fotografia che emerga dalle soluzioni in camera
oscura. Parole che un attimo prima non avevano senso stavano sbocciando
alla comprensibilit, come quando la G di George Eliot aveva trasformato
M--pi in Magpie. Alla fine, lo sapeva, le sarebbe stata offerta in regalo una
cosa completa, una citazione coerente, di cui avrebbe trovato titolo e autore
allineando le prime lettere di tutte le risposte alle domande - ed era proprio
questo che desiderava tanto.
La mescolanza di significato, l'intreccio di un insieme di parole nell'altro;
tutto aveva senso come principio curativo, e, all'improvviso, si chiese se
tutti i revisori, gli enciclopedisti, i cartografi, e i redattori di cruciverba non
fossero gente che si era imbattuto nelle proprie carriere perch aveva un
bisogno disperato e continuo di dimenticare le cose. "Gli avvoltoi del
mondo pensante", li aveva definiti una volta Owen, che si nutrivano degli
avanzi del pensiero, di ci che rimaneva dopo che grandi documenti storici

o scientifici erano stati ridotti a dimensioni ragionevoli. Come stava


imparando Rose, queste carcasse erano meglio dell'alcol. Questa benigna e
inutile attivit letteraria imbavagliava il cervello: bloccava dolore, angoscia,
panico. In un'esplosione di amara energia, Rose butt gi Thomas Mann e
Timone d'Atene sul cruciverba. Spar fuori sinonimi come proiettili ma alla
fine le faceva terribilmente male la testa, come se la sua scatola cranica
fosse una cosa gonfia e vuota. Il cruciverba ordinatamente completato aveva
assorbito ogni ordine; la sua vita rimaneva quella che era.
Erano le quattro in punto. Owen, fuori da qualche parte, a fare qualcosa,
aveva invitato a cena un giovane insegnante della Harte.
Gioved, a colazione, le aveva detto: "Rose, mi sono dimenticato di dirti
che ho invitato a cena il giovane professore di inglese. Domenica sera,
ricordi, quello di cui ti avevo parlato? solo, credo, e ha bisogno di un buon
pasto casalingo. Ti spiace?" Cosa poteva rispondere?
L'invito ormai era gi stato fatto. E comunque, in qualche modo era grata
a Owen per aver invitato l'insegnante.
La presenza di un estraneo, lo sapeva, l'avrebbe tolta dall'imbarazzo di
fronte a Philip. Lui non avrebbe potuto lanciarle quelle occhiate imploranti
al di l della tavola, occhiate che non poteva sopportare.
And al supermercato D'Agostino.
L'aria condizionata le scompigli i capelli e le intorpid la faccia.
Spinse il carrello lungo il variopinto corridoio delle verdure, disposte in
eleganti cestelli di paglia per riflettere la rinnovata immagine di raffinatezza
del negozio. Come sempre, il posto era pieno di donne che sceglievano la
frutta tra pile di papaie e di manghi, coi loro piccoli con le gambe
ciondoloni attraverso le fessure dei carrelli. A Philip piaceva moltissimo
essere portato nel carrello della spesa e continu a pregarla di farlo fino al
suo sesto compleanno, quando era decisamente troppo grande, e Rose ne
sarebbe stata imbarazzata.
Non era stata una madre indulgente, non come alcune donne che lui
conosceva. Un bel giorno tagli corto dicendogli: "No Philip, sei troppo
grande, e questo quanto" Lui la guard, stupefatto sulle prime, poi le si
aggrapp alle gambe mentre lei manovrava tra i corridoi del supermercato,
cercando di scalciarlo via. Era successo proprio in questo supermercato.
Ma non voleva pensare a Philip. Si concentr nel prendere cetrioli,
pomodori e zucche dai cesti, poi gir in un altro corridoio, dove una
bambina stava tentando freneticamente di ricostruire una piramide di carta
igienica che aveva fatto cadere per sbaglio. "Ho detto tutta" le ordin la
madre. Poco pi in l, incastrata in un angolo, una donna dall'aspetto stanco,
non molto pi vecchia di Rose, ronzava: "Campioni gratuiti di crema di

formaggio a basse calorie, prendete un campione gratuito di crema di


formaggio a basso contenuto calorico"
Indossava un vestito a trapezio tutto macchiato, fatto di una stoffa
luccicante. Di fronte a lei, una donna nera pi giovane, una ragazza in
realt, con indosso un paio di pantaloni elasticizzati molto aderenti, stava
facendo una dimostrazione di un nuovo tipo di bacon a cottura rapida su un
fornelletto, mentre un gruppo di donne la osservava distrattamente. Rose si
ferm a guardare per un momento mentre la ragazza con scarsa abilit
rigirava le striscioline rosse. Le sarebbe piaciuto aggregarsi alle altre donne,
le sarebbe piaciuto essere capace di concentrarsi su una cosa cos innocente
come la frittura del bacon.
Ma ormai era troppo tardi per questo.
Si spost verso la fila delle casse, dove un occhio elettronico calcol
automaticamente il prezzo dei suoi acquisti.
Dopo aver dato istruzioni perch la spesa le venisse consegnata a casa,
and da Barnes and Noble. Nella sezione di manualistica c'erano molti libri
rassicuranti sull'autoaffermazione, i ruoli maschili, e come ridare carica alla
propria vita sessuale, e sul complesso di Cenerentola. Li pass in rassegna
febbrilmente. Una coppia di giovani donne era in piedi davanti alla
rastrelliera, tutta presa da un libro intitolato Metticela tutta. Erano sulla
ventina, masticavano gomma; probabilmente segretarie. Erano
genuinamente interessate a migliorare se stesse. La loro vista diede un breve
senso di benessere a Rose, mentre ricordava le depressioni della propria
vita, quei giorni non troppo lontani in cui anche lei si era concessa il lusso
di chiedersi preoccupata se ce la stava mettendo tutta o se era una vittima
del complesso di Cenerentola. Quei giorni erano passati. Quello di cui
aveva bisogno adesso era un libro che le dicesse come vivere in mezzo alle
macerie.
Una volta, cinque, forse sette anni fa, aveva avuto timore del cancro - un
grumo misterioso sulla schiena che, come si scopr pi tardi, non era niente,
solo un cisti di grasso.
Eppure in quei primi giorni frenetici, pieni di terrore, durante l'ora di
colazione, si era scoperta perpetuamente attratta dalla sezione "Salute", da
Dalton, dove sfogliava freneticamente i libri di sintomi, guardando con
invidia tutto ci che non fosse un misterioso grumo incastrato nella carne
della schiena, bramosa di affaticamento, mal di gola, di misteriosa
stanchezza dopo i pasti.
Si sarebbe gettata a braccia aperte verso l'ipoglicemia, purch significasse
non avere il cancro. E in realt, il cancro non l'aveva, e neanche
l'ipoglicemia. Usc dallo studio del dottore respirando di gioia, tremando, e

prov quell'ondata classica di apprezzamento per le cose pi insignificanti per un albero che si piegava verso il sole in un quadrato d'erba sul
marciapiede, per una donna che attraversava il viale con dei gemelli in una
carrozzella. Ma non dur a lungo. Quei momenti del pi intenso piacere,
quei momenti dei quali aveva gi nostalgia nell'istante stesso in cui li viveva
- furono davvero brevi. Ben presto il mestiere di vivere si mise al passo con
lei, la cattur. Passarono gli anni. Fu come se avesse dormito. Guard
ancora una volta il libro dei sintomi. E ancora una volta ricord chi era, che
era entrato dalla sua porta in una notte normale, pieno di notizie, impaziente
di svegliarla.
Furtivamente, perch sapeva che ormai stava diventando un vizio, avanz
verso la sezione contrassegnata "Giochi e Cruciverba" Sull'ultimo scaffale
c'erano impilati ordinatamente dei libri di acrostica.
Sfogli il primo che le capit in mano. Le definizioni includevano:
"Antropologo francese, autore di Tristi tropici (due parole.)" e "Rimuginare,
riflettere, considerare"
Rose pens: "levi-Strauss" Poi pens: "Ruminare"
Era un buon inizio.
Poco pi in l, dall'altra parte della libreria, le due ragazze erano ancora
tutte prese da Metticela tutta. Probabilmente lavoravano per agenzie
immobiliari, leggevano "Cosmopolitan" o "Mademoiselle" durante l'ora di
colazione e riempivano fedelmente in tutta onest i test psicologici. Non
prov piet per loro. Al momento avrebbe dato qualsiasi cosa per avere le
loro vite.
Afferr il suo libro di acrostica, e si precipit verso la cassa per pagarlo.
Quando Philip arriv nell'appartamento dei suoi genitori, bench nessuno
fosse a casa, la televisione era accesa per scoraggiare eventuali scassinatori.
Fred Flintstone galleggiava in un mare di riso cotto che traboccava dalle
finestre sul prato. Quel giorno lui e Wilma avevano capovolto i ruoli per
scommessa. Parve impressionante a Philip che il programma rumoreggiasse
allegramente a beneficio dell'appartamento vuoto, delle poltrone e del
divano sistemati in cerchio davanti al televisore. Guard Fred battagliare
con il riso finch non comparve una pubblicit: un uomo dall'aria infelice
stava cercando freneticamente di illuminare una torta di compleanno, ma le
candele continuavano ad affondare nella glassa come dei periscopi.
Poi ci fu un piccolo trambusto alla porta, e Rose entr, portando dentro le
provviste dal pianerottolo.
"Ciao, mamma" disse Philip.
"Philip" fece lei. "Che sorpresa!"

Chiuse la porta con un calcio e, vacillando sotto il peso delle provviste,


and verso la cucina.
"Lascia che ti aiuti" disse Philip. Le prese un sacchetto dalle braccia e la
segu.
"Sei venuto prima del previsto" disse lei.
"Be" fece Philip, "non avevo granch da fare oggi, e ho pensato che tanto
valeva che venissi presto."
"Bene" disse Rose. Stava riponendo le verdure in frigorifero.
"Posso aiutarti a mettere le cose a posto?"
"Certo."
Doverosamente Philip incominci a togliere le provviste dal sacchetto:
pomodori in scatola, pasta, vitello e manzo macinati. Vedendo la scatola dei
cereali, fu tentato di frugarla alla ricerca della bustina di carta polverosa che
conteneva il premio. Gli piacevano ancora tanto i premi. Ma era una
confezione di Muesli, roba sana, niente giocattoli. Erano finiti i giorni di
Capitan Croccante e Conte Cioccolata.
"Fai gli spaghetti?" chiese.
"Owen porta un suo collega a cena, un insegnante che secondo lui ha
bisogno di un buon pasto cucinato in casa" disse Rose. "E qui da noi il
massimo della cucina casalinga sono gli spaghetti."
"Vero" disse Philip. "Sono contento.
Mi mancano i tuoi spaghetti."
Lei tacque per un momento, come se fosse distratta. "Be, sono
contentissima di farli" disse, inginocchiandosi davanti al frigorifero per
riporre la carne.
"Mamma" disse Philip, "lo conosci questo insegnante che pap ha
invitato?"
Lei scosse la testa. "Non l'ho mai conosciuto, ma tuo padre me ne ha
parlato molto" disse. "Viene dal sud - dalla Georgia, credo. Fa l'allenatore di
lacrosse. Questo il suo primo anno."
"S, me l'ha detto pap."
Rose si blocc sulle ginocchia. "Te l'ha detto?" disse.
"S. Quando siamo andati a cena insieme all'inizio della settimana."
"Avete cenato insieme questa settimana?" chiese Rose.
"S" disse Philip. "Pap non te l'ha detto?"
"No" disse Rose. "Si sar dimenticato. Che giorno era?"
"Marted"
Rose si sollev da dove sedeva raggomitolata sul pavimento e torn al
bancone di cucina. I sacchetti della spesa erano quasi vuoti.
"Lavori in fretta" gli disse.

Philip si strinse nelle spalle. "So dove vanno le cose in questa cucina."
"S" disse Rose, "ma come fai a sapere che non cambiato niente da
quanto tu te ne sei andato? Come fai a sapere che tuo padre e io non
abbiamo completamente riorganizzato la cucina?"
"Non lo so" disse Philip. "Davo per scontato che... ma perch me lo
chiedi?"
Rose fece un sorriso teso. "Stavo solo scherzando" disse. "Grazie per
l'aiuto."
Incominci a preparare padelle, pentole e taglieri per cucinare, e Philip
torn in soggiorno. Wilma Flintstone stava affermando pomposamente che
il posto pi adatto per una donna in realt la cucina. Lui la guard per
qualche istante, poi spense l'apparecchio. In cucina, sua madre stava
tritando l'aglio con un coltellino.
"Mi ferisci quando sei cos fredda con me" disse lui.
Rose smise di colpo di tritare, poi riprese. "Fredda con te?" disse.
"Vengo a trovarti, un po che non ti vedo, e tu mi tratti come se
preferissi vedermi saltare gi dalla finestra" disse Philip. "Dai, mamma.
Non ha senso menare il can per l'aia, o fingere che non stia succedendo
quello che sta succedendo."
Lei smise di tritare. Pos il coltello, attravers la cucina, si appoggi la
mano sulla fronte. " questa l'impressione che ti do?" disse.
Philip non disse niente.
"Mi spiace, Philip" disse lei, "ma sto attraversando un brutto momento.
Non puoi aspettarti che sia sempre tutta dolcezza e calore materno.
Talvolta c' anche la mia vita che mi preoccupa. Ed essere cordiali pu
risultarmi troppo difficile." Si strofin le dita, and al lavandino e si lav le
mani. "Sei adulto adesso" disse. "Non puoi pretendere da me che ti tratti
ancora come un bambino, o che finga di star bene quando non sto bene."
Philip chiuse gli occhi. "Mamma" disse, "mi sembra che qui si tralasci di
dire qualcosa. Quello che non viene detto che sei infuriata con me da
quando sono venuto a casa e ti ho detto che ero gay. Non riesci ad accettarlo
e sei furiosa. Per cui penso che dovresti dirmelo in faccia invece di
fingere..."
"Non mettermi delle parole in bocca, giovanotto" esplose Rose.
"Non ti sto mettendo delle parole in bocca. Ti sto dicendo quello che ho
osservato."
"Allora non dare per scontato di essere al centro di tutto" disse Rose.
"Ci sono un sacco di altre cose nella mia vita oltre a te." Torn all'aglio,
lo sminuzz come se fosse qualcosa che voleva uccidere.

Philip tacque un momento. "Senti, mamma" disse infine, "io so solo che
qualunque sia la cosa che ti preoccupa, sembra che tu scarichi la tua rabbia
su di me. Ormai sono settimane che ti chiamo, che cerco di parlarti. Quando
ti vedo, ti comporti come se preferissi essere ovunque piuttosto che con
me."
"Se ci pensassi un attimo" disse lei, "ti renderesti conto che non ti ho fatto
proprio niente, Philip. Mi pare che tu non ti stia lamentando per quello che
ho fatto, ma piuttosto per quello che non ho fatto. Mi pare che tu sia
arrabbiato perch non mi sono comportata come la classica madre
permissiva dei manuali, che parte in quarta e aderisce a qualche
organizzazione, o perch non ho voluto parlare tutto il tempo con te della
tua vita sessuale, o consumare tutta la mia energia mentale per cercare di
capirti. Non sono affettuosa con te.
Non sono gentile, dici - be, adesso come adesso non mi sento n molto
gentile n molto affettuosa. E ho gi abbastanza problemi nella vita per
essere disposta a tirar fuori tutta l'energia che ci vuole per alleviare il tuo
senso di colpa."
Stancamente gett l'aglio in una padella. "La mia colpa?" disse Philip.
"S" disse Rose. "Tu mi telefoni, e non vuoi sentirti dire altro che, "Va
bene, va bene, tutto dimenticato, ti voglio bene" Be, non cos semplice.
Non affatto cos semplice."
Philip si sedette a tavola. "Non c' bisogno che tu sia crudele" disse.
"Se non ti piace, piantala di tormentarmi."
Accese un fornello. L'aglio sfrigol e liber un aroma acuto mentre
incominciava a friggere.
"Mamma, mi spiace che tu abbia dei problemi" disse Philip. "E hai
ragione. egoista da parte mia credere di esserne la causa. Per, be, forse se
tu mi dicessi che cosa sta succedendo, che cos' che ti turba tanto..."
"Sembri convinto che parlarne migliori necessariamente le cose" sbott
Rose. "Sembri convinto che confessare e aprirsi sia sempre la risposta
giusta. Ma io non ne sono cos sicura." Torn al bancone, dove alcune
cipolle aspettavano di essere affettate.
"Speravo solo di poterti aiutare" disse piano Philip.
Rose rise.
" per via di pap?" disse lui.
Rose smise di affettare. Si blocc silenziosamente sopra le cipolle.
"Mamma" disse Philip. "Se ci sono dei problemi tra te e pap, forse se me
ne parlassi, potrei... fare qualcosa."
Lei pos il coltello e lo guard dritto negli occhi. "Ti ho detto che non
voglio parlarne adesso" lo apostrof. "Ti spiacerebbe lasciarmi in pace?" Si

gir, prese un coltello pi grosso da un cassetto e torn al suo battuto.


L'odore di cipolle riemp il cucinino, procurandogli una fitta di dolore agli
occhi. Non disse niente, non si mosse. Alla fine Rose fece un rumoroso
sospiro e disse: "Senti, se proprio vuoi aiutarmi, perch non vai a preparare
la tavola?
Questo mi aiuterebbe un sacco, d'accordo?"
Philip annu. "D'accordo" disse.
Prese i piatti, le posate e i tovaglioli e torn in soggiorno. Dalla cucina
non riusciva a sentire altro che il secco rumore del coltello, e di quando in
quando una piccola esplosione quando venivano gettate le verdure nella
padella. Sistemati i piatti (non riusciva a ricordare da che parte andava
messa la forchetta), torn in cucina. Rose vers i pomodori in scatola nella
pentola. La salsa si acquiet. Mentre sobbolliva sulla sua superficie
scoppiavano fitte bolle rosse, e Rose and al lavandino a lavare la lattuga.
"Pap ti ha detto perch ha invitato Winston Penn?" chiese Philip.
Rose fece spallucce. "Per essere gentile, immagino" disse. "Per offrirgli
un pasto fatto in casa."
" pi di questo" disse Philip. "Mi ha detto che... lui, be, lui pensava di
cercare di sistemarmi con Winston."
Rose lasci cadere la lattuga nel lavandino. "Cosa?" disse.
"Hai sentito perfettamente" disse Philip. "Pensa che forse Winston Penn
gay, e dato che sapeva quanto sono infelice da quando se n' andato Eliot,
ha pensato che sarebbe stato carino presentarci."
Rose si blocc davanti al lavandino.
Chiuse gli occhi.
"Non te l'ha detto?" chiese Philip.
Lei raccolse la lattuga dal lavandino e la gett in un'insalatiera. "No"
disse. "Non me l'ha detto."
"Mi spiace, mamma" disse Philip.
"Ero sicuro..."
"Non voglio avere nessuna parte in questa storia" disse Rose e si blocc
dov'era. "Non voglio saperne."
"Mamma" disse Philip, "ti prego - mi spiace di averlo detto. Non avrei
dovuto dire niente."
Rose sminuzz la lattuga nell'insalatiera. "Bene" disse.
"Benone." Tutt'a un tratto, violentemente, chiuse gli occhi, come per
bloccare le lacrime, il che sorprese Philip. Rimase l impacciato.
Erano anni che non la vedeva piangere, e non sapeva proprio cosa fare.
"Mamma, ti prego" disse. "Non prendertela cos. Non cos grave. Ti
prego..."

Poi pass. "Va tutto bene" disse lei, col labbro tremante. "Va tutto bene.
Devo preparare questo pasto.
Bisogna che sia pronto." Si soffi il naso e ritorn all'insalata.
"Mamma" disse Philip, "adesso chiamiamo pap e gli diciamo di non
portare Winston Penn."
"Ormai troppo tardi" disse Rose.
"Saranno gi per strada." Strapp un pezzo di carta da cucina da un
rotolo, si asciug gli occhi. "Comunque, va benissimo. Star bene. Adesso,
per favore, Philip, quello di cui ho veramente bisogno di rimanere sola
almeno un po. Perch non vai in soggiorno e metti un po di musica?"
Lui esit. "D'accordo" disse. "Se sei sicura di star bene."
Lei annu. Philip entr in soggiorno e si accucci davanti allo stereo.
Tutti i dischi della sua infanzia che era troppo imbarazzato per ammettere
di possedere erano l - dischi dei Carpenters o della Partridge Family che
aveva comprato quando aveva otto o nove anni. Ne guard uno
nervosamente - i membri della Partridge Family in uniforme nera,
sull'autobus, con la bella mamma santificata, Shirley Partridge - poi decise
per il disco dei Natale dei Chipmunks.
"Philip" grid Rose dalla cucina, "non mi sembra proprio il caso!"
"D'accordo!" grid lui. Tolse il disco. Non era abituato a vedere Rose
esibire forti emozioni in sua presenza, non l'aveva mai vista in vita sua
oltrepassare i confini di un'ordinaria preoccupazione o di un'arrabbiatura.
Perch lui dava tanta importanza alla rivelazione? Gli aveva chiesto.
Davvero, perch?
Si sent un rumore di chiavi alla porta, il mormorio di una conversazione.
"...se possiamo ottenere il mutuo" stava dicendo Owen, ed entr
rumorosamente, portandosi appresso l'odore del mondo esterno - lana
bagnata e tubi di scappamento.
"Salve, figliolo" disse Owen, e il suo sorriso era ampio, troppo ampio.
"Ciao, pap" disse Philip.
Dietro di lui un giovane alto con un cappotto impermeabile sorrise
salutando.
"Philip" disse Owen, "questo Winston Penn. Winston, mio figlio
Philip."
Winston Penn lanci a Philip un sorriso pieno di grandi denti bianchi.
"Philip" disse, "sono molto lieto di conoscerti" e gli afferr la mano in
una stretta decisa. Aveva gli occhi piccoli e intensamente azzurri. Fitti
riccioli di capelli biondi sembravano formargli un elmetto sulla testa.
"Mio padre parla sempre di te, Winston" disse Philip.

"Non sono sicuro di volere sapere quello che dice" rispose Winston,
ridendo.
"Oh, no" disse Owen. "Per te solo le pi alte lodi, Winston. Ma dovresti
sentire quello che dico del resto del corpo docente! Ah!" Diede una pacca
sulla spalla di Philip, facendolo tossire. Aveva un sorriso terribile, tagliato
dall'odore di liquore; sembrava lievemente trasandato, aveva la barba lunga,
la cravatta allentata, e teneva la giacca sulla spalla. Anche Winston rise quella stessa risata da spogliatoio poco familiare per Philip, la risata di
uomini con altri uomini, che si danno pacche sulle spalle, convalidando
l'affetto per la violenza. Winston era perfettamente rasato, impeccabile,
Portava un papillon e una camicia a righe abbastanza stretta da lasciar
capire il tono e la forma del suo corpo, il tipo di corporatura che nelle
palestre di lower Manhattan gli uomini faticavano anni per ottenere, ma nel
suo caso, un po indolente, un po morbida, per far capire chiaramente che
era stata acquisita in modo naturale durante un'adolescenza dura e vivace, e
non comperata insieme a costosi attrezzi per il sollevamento pesi.
"Vuoi qualcosa da bere?" chiese Philip.
"A me basta una Coca-Cola" disse Winston. Si sedette sul divano. "Vado
a prenderla" disse Philip prima che suo padre avesse la possibilit di
prevenirlo.
In cucina, suo madre stava scuotendo con violenza un vasetto di
condimento per l'insalata.
"Sono arrivati" disse Philip.
Rose fece un sorriso teso. "Bene, bene" disse. Lui prese un bicchiere e
una Coca-Cola dal frigorifero e la segu in soggiorno.
"Salve" disse Rose. "Sono Rose Benjamin."
Winston si alz per stringerle la mano.
"Rose" disse Owen dal divano dove sedeva vicino a Winston. "Rose..."
Lei distolse lo sguardo da lui, si asciug di nuovo gli occhi. "Cipolle"
disse. "Solo cipolle."
Owen stava conquistando Winston. Da Frank, il suo amante di una notte,
aveva imparato ad affettare le pose di un cameratismo maschile e con sua
grande sorpresa aveva scoperto che Winston, trattato cos, reagiva con
grande entusiasmo. Quel pomeriggio, dopo le riunioni coi genitori, erano
andati a bere in un bar irlandese molto affollato che a Winston piaceva, "un
posto da operai", aveva detto, dove la televisione trasmetteva notizie
sportive, e tutti si conoscevano tra loro, incluso il vecchio barista irlandese,
che fece generosi cenni di saluto a Winston e gli porse immediatamente una
birra.

"Non impressionante questo posto?" aveva detto Winston. Era il suo


aggettivo elogiativo prediletto. Gli piaceva il pub, disse a Owen, l'idea del
pub, l'idea dell'operaio come vero intellettuale, la voce del popolo. In mezzo
a loro schiumavano generosamente grossi boccali di birra, mentre parlavano
di Bruce Springsteen, della voce del popolo. Per Owen era tutto molto sexy.
Continuava a immaginare che forse sarebbero andati insieme sul campo di
lacrosse e dopo avrebbero fatto una doccia.
Adesso erano seduti a tavola per la cena. Rose aveva fatto una quantit
innaturale di spaghetti, talmente tanti che avevano dovuto esser serviti nella
pentola per le aragoste, e per tutta la cena la pentola fu passata avanti e
indietro tra Philip e Winston, che ogni volta ne prendeva porzioni enormi
come se temesse che sarebbero finiti. "Ottimi questi spaghetti" disse
Winston per la terza volta, e raccont che in un'occasione, all'universit,
aveva mangiato per scommessa tre pizze arrotolate per la lunghezza. "Bene"
disse Rose. "Un sano appetito la cosa che preferisco."
Sorrise e guard Winston mangiare.
Tutti lo guardavano mangiare.
"Raccontaci della tua famiglia" disse Owen.
Winston aveva la bocca piena. "Be" disse, asciugandosi il sugo dal mento,
"sono cresciuto in una fattoria con i miei tre fratelli e mio padre. Mia madre
mor quand'ero piccolo, ma mio padre si rispos e voglio molto bene alla
mia matrigna." Strapp un pezzo di pane dal filone in mezzo alla tavola.
"Mungevi le mucche tutti i giorni?" chiese Philip. "Davi da mangiare ai
porci?"
Winston rise. "Avevamo dei braccianti. Io e i miei fratelli ci limitavamo
ad andare a scuola e prendevamo lezione di cornetta una volta alla
settimana."
Ci fu un momento di imbarazzato, sorridente silenzio, che Winston colm
riempiendosi il piatto. "Penso che prender ancora un po di questa insalata"
e Philip gli pass l'enorme insalatiera. Lo guardarono mentre si serviva, e
lui sorrise di nuovo dicendo: "Ottima quest'insalata" Li guard uno per uno,
poi guard il suo piatto. Come la maggior parte degli uomini attraenti, era
abituato ad essere guardato, ma neanche un po a essere esaminato da capo
a piedi. Che cosa avrebbe mai pensato di questa famiglia, con tutti gli occhi
puntati su di lui?
"Philip" disse Owen, "Winston un appassionato di Proust; non sei anche
tu un appassionato di Proust?"
"Be, l'ho letto, se questo che vuoi dire" disse Philip. "Ma non sono certo
un esperto..."
Owen rise. "Io avevo pensato di s.

Questo ti fa capire quanto io sappia."


Ci fu un altro vuoto nella conversazione, e Winston prese altro cibo.
Philip fiss la bocca in movimento di Winston, finch Winston,
sorprendendo il suo sguardo, gli fece un sorriso, con gli occhi lustri, e Philip
dovette stornare lo sguardo.
Guard sua madre, che guardava Winston, suo padre, che guardava
Winston. Non pot fare a meno di guardare Winston. Owen e Winston
parlavano della squadra di lacrosse, e della sua stella, Jack Davidson, che al
diploma avrebbe ricevuto un premio speciale per l'atletica, quando,
all'improvviso, Winston ammicc alla volta di Philip; o quanto meno, a
Philip parve che lo facesse; in ogni caso, lo guard dritto in faccia e gli
sorrise in un modo che sottintendeva un cameratismo tra giovani, un invito
alla fratellanza. Elettrizzato, Philip rise, rispose al sorriso, e si chiese se
l'insistenza di suo padre nel dire che Winston gli piaceva e che sperava
piacesse anche a Philip, non fosse stata dopotutto genuina. Parve
un'intenzione tanto generosa e tanto buona a Philip, che per un momento fu
invaso da una specie di euforia, da una profonda gratitudine per Owen, che
improvvisamente si stava rivelando come il perfetto padre dei sogni. E
ancora una volta si chiese che cosa potesse significare quel sorriso (e quel
probabile ammiccamento)
Quanto a Rose, di fronte a lui a tavola, sorrideva anche lei a Winston.
Dal suo osservatorio privilegiato - e aveva un privilegio decisivo:
l'agognata anonimit dell'agente segreto, quella di chi quasi invisibile,
inosservato, indesiderato - osservava Philip e Owen ruotare nell'orbita di
Winston. Mentalmente li vedeva all'opera insieme, due gonzi di un fumetto
anni Trenta. Osservava le loro bocche, sempre in movimento, e sorridenti
quando non parlavano.
Osservava i loro occhi, il che era pi facile, perch non si fissavano quasi
mai su di lei, bench sbattessero vivacemente, si abbassassero, si alzassero
su e gi in un perfetto trambusto di reazione e osservazione.
Rose non tradiva alcun sentimento; in realt pensava di non provarne
alcuno.
Era insensibile, una redattrice che analizzava freddamente con l'occhio al
dettaglio, finch, per un attimo prov il desiderio di alzarsi e ribaltare la
tavola, rovesciando tutti gli spaghetti col sugo e i bicchieri addosso a questi
uomini. Chiuse gli occhi e cont fino a cinque. L'impulso pass.
Ormai sembrava improbabile riuscire a rimandare il confronto con Owen,
sembrava invece probabile che ora lui la lasciasse o che lei lasciasse lui.
Dato che era lei a subire il torto, immagin che la scelta toccasse a lei.
Ma che cosa avrebbe scelto?

Stranamente, il pensiero di lasciare l'appartamento, di perdere


l'appartamento non la terrorizzava pi. In realt, era quasi impaziente di
andarsene. Ma dove poteva andare?
Probabilmente da sua cugina Gabrielle nel New Jersey. Per sapeva che
Gabrielle era brava a contrattare, e non avrebbe accettato di non fare
domande. L'intimit sarebbe stato il prezzo che Rose avrebbe dovuto pagare
per essere ospitata anche solo per un po, perch Gabrielle non le avrebbe
permesso di andarsene finch non glielo avesse detto. E adesso cerc di
immaginare di dirglielo, cerc di immaginare quali sarebbero state le parole,
come l'avrebbe enunciato, il perverso accidente del destino, la terribile
coincidenza (ma era davvero una coincidenza?): suo marito e suo figlio.
Ciascuno dei due, separatamente, era stato argomento di libri, telefilm,
inchieste; tutti e due insieme erano materiale da rotocalco, con titoli che
annunciavano a colori sopra brutte fotografie rosse e verdastre di stelle del
cinema: Donna di New York scopre marito e figlio complici di un morboso
segreto sessuale. Gabrielle avrebbe crollato la testa preoccupata, quasi
sorridente, mentre piet e compiacimento lampeggiavano in parti uguali
dietro i suoi occhi; e poi l'incredulit; e lo sconcertato e immondo brivido
dell'orrore, sussurrato ripetutamente al telefono alle amiche, ad altre donne,
ad altre mogli, preceduto da un: "non ci crederesti mai" - il compiacimento
per la tragedia di altri appena venato da un senso di gratitudine perch non
era la propria. "Ma te lo immagini come deve essere?" avrebbe detto, e la
risposta, sarebbe stata: "Non ho nessuna voglia di immaginarlo, visto che
non il mio caso" Poi sarebbero tornate alle loro vite, le mogli, le amiche di
Gabrielle del New Jersey, un po pi grate, un po meno insoddisfatte di
quanto non fossero state prima, e ben presto l'avrebbero dimenticata. Rose
si infuri per le occhiate che immagin di ricevere d'ora in avanti da
Gabrielle, dalle altre donne sul lavoro, da Penelope e Roger, dalle mogli dei
genitori della Harte e dei docenti. Le avrebbero appioppato uomini sposati e
vedovi gentili ancora ammutoliti dal dolore.
Ma quale uomo l'avrebbe voluta?
Avrebbero potuto temere che lei avesse lo stesso effetto sui loro figli. Oh,
non ne voleva sapere, non voleva aver niente a che fare con questa storia,
non voleva Gabrielle o offerte di una nuova vita o lasciare questo
appartamento a Owen. Come avrebbe potuto capire Gabrielle? Era vero che
era arrabbiata con Owen, furiosa con Owen. Era vero che il loro non era
stato un gran matrimonio. Non era neanche stato un matrimonio
particolarmente buono. Ma era stata la sua vita.
Adesso guard dall'altra parte del tavolo, con la bocca tremante, gli occhi
umidi. Stavano ridendo tutti e tre insieme come ragazzini, e all'improvviso,

vividamente, ricord la giovinezza, la sensazione della sua giovinezza. Era


al primo anno allo Smith quando si erano conosciuti. La pi giovane di
quattro sorelle, aveva osservato le altre tre combattere e riappacificarsi con i
genitori, le aveva viste intrappolate, gi quando stavano diventando adulte,
in un inflessibile nodo di potere e delusione. Tutte le sue sorelle ora
vivevano l'una vicino all'altra e vicino al padre vedovo, a Chicago, e
continuavano a vivere insieme e a essere dipendenti l'una dall'altra,
reinscenando in continuazione gli antichi dolori e le gelosie della loro
infanzia. Rose, la piccolina, nata sette anni dopo, si era ritratta presto da
quest'atmosfera rovente, e aveva messo in chiaro che non voleva averci
niente a che fare, e che aveva intenzione di andarsene, e cos facendo aveva
suscitato l'indignazione dei suoi genitori, che esigevano dai figli una lealt
assoluta, come se la famiglia fosse stata una nazione spossata dalla guerra
che erano tenuti a difendere. Persino ora suo padre la considerava una
specie di traditrice per essersene andata, per essersi rifiutata di tornare a
casa per le feste di famiglia. Quando aveva conosciuto Owen aveva pensato:
"Ecco qualcuno che pu salvarmi. Ecco qualcuno che pu occuparsi di me"
Anche Owen era il figlio pi piccolo, anche i suoi genitori erano vecchi
quando lui era nato, e suo padre era morto recentemente. Aveva vissuto
l'adolescenza strapazzato da un esercito di fratelli e sorelle pi grandi; forse
per questo sembrava cos gentile, tanto pi gentile, per lo meno, degli altri
uomini che l'avevano corteggiata. Uscirono insieme per un po di tempo, e
dopo due mesi fecero l'amore nella stanzetta disordinata di lui a Somerville.
A differenza di altri uomini, Owen non aveva molta fretta di arrivare al
sesso, e sembrava persino un po spaventato, per cui Rose si chiese se non
fosse vergine, e alla fine dovette sedurlo.
Ma and tutto bene. Lui era cos grato, cos sorpreso dalla faccia di lei
sopra la sua quando fecero l'amore quella prima volta, che gli vennero le
lacrime agli occhi, e Rose gli accarezz i capelli e lo baci sulla fronte. Per
settimane, dopo, le port in regalo dei dolcetti speciali della pasticceria
vicino alla spiaggia. E quando si sposarono, tre anni dopo, in un hotel di
Boston, con un'orchestrina scadente e stuzzichini pessimi, mentre avanzava
lungo la navata al braccio di suo padre, Rose aveva guardato Owen che si
faceva pi vicino, col suo sorriso luminoso e affascinante e la sua faccia
sottile che acquistava precisi contorni, e aveva pensato di vedere in lui la
prova che tutto sarebbe andato bene, che tutte le sue decisioni erano quelle
giuste. Cosa avrebbe dovuto vedere invece? si chiese ora. Cosa le era
sfuggito? La dolcezza stessa di Owen non era forse una prova che non
bruciava alcuna passione dietro la sua devozione, dietro il suo amore
cavalleresco per lei? "Salvami, Rose" le mormorava talvolta a letto quando

facevano l'amore, in quei primi anni, e lei si era sempre chiesta cosa volesse
dire.
Adesso, naturalmente, capiva. Voleva che lei lo guidasse verso il tipo di
vita che desiderava tanto avere, una famiglia, dei bambini. Ma come poteva
saperlo lei allora? L'omosessualit per lei era un'anomalia, una condizione
da curare in ospedale, non uno stile di vita da abbracciare e da cui essere
salvati. Aveva attraversato la navata, e ora le sembrava una bell'ironia aver
visto nella faccia di Owen una rassicurazione, un segno che stava prendendo
la decisione giusta, mentre invece stava facendo il primo e il pi grosso di
una serie di errori che l'avrebbero trascinata nella vita come una corrente
sotterranea, per poi venir meno, lasciandola come una naufraga, a
cinquantadue anni, con niente alle spalle se non una catena di decisioni
sbagliate prese con molta cura, prese ciecamente, un esame fallito perch lo
studente ha fatto ripetutamente un unico, essenziale, insensato errore. Oh,
perch non glielo aveva detto? Perch non glielo aveva fatto sapere? Forse
immaginava che quei sentimenti segreti che nutriva se ne sarebbero andati,
sarebbero svaniti col tempo; forse pensava di potersi curare, o che lei
potesse curarlo. No, anche se glielo avesse detto, si rese conto (ed era una
ben vaga consolazione), lo avrebbe sposato comunque, avrebbe creduto,
come aveva creduto lui, che il matrimonio avrebbe fornito una cura per la
malattia. Il segreto fu cos sepolto, ma anche da sotto terra continu a
esercitare la sua influenza. Un'unica bugia torceva, conservava e minava al
tempo stesso il tessuto delle loro vite, come un difetto nella seta, tale per cui
un singolo strappo poteva sfondare tutto.
Loro non erano, e non erano mai stati, quel che sembravano; questo in
qualche modo lo aveva sempre saputo. Ma che vergogna aver vissuto questa
vita per pi di vent'anni, senza mai sapere, nemmeno segretamente,
cos'erano loro in realt.
Lei era la madre. Sedeva a capo tavola, con le mani aggrappate l'una
all'altra, e osservava suo figlio e suo marito danzare intorno alla fiamma di
Winston Penn. Serv, e li guard mangiare una macedonia di frutta col
gelato. Poi si alz e incominci a sparecchiare. "Lasci che l'aiuti, Mrs.
Benjamin" disse immediatamente Winston, e con sua stessa sorpresa lei
rispose: "Certo, sarebbe carino" Lo precedette in cucina, e Winston la segu.
Rose sorrise tra s, godendosi la loro frustrazione nel vedersi tolto Winston.
Ammassarono i piatti nella lavastoviglie. "Io lavo e lei asciuga" lo istru. E,
toltasi gli anelli, si infil i guanti di gomma, e riemp il lavandino di acqua
calda. "Che bell'anello" disse Winston, indicando il suo anello romano, un
oggetto delicato ed elaborato che aveva trovato in un negozio di antiquario
dalle parti di via Cavour. "Oh, questo?" fece lei. "Ricordo la mattina in cui

lo comprai. Eravamo a Roma per un anno. Owen e io eravamo fuori a


passeggio con Philip, e vedemmo questo anello nella vetrina di un negozio
di antiquario, e mi piacque, mi piacque tanto, proprio come talvolta ci piace
una cosa, anche se non riusciamo a capire perch." Sorrise.
"Era caro, ma Owen disse: "Via, Rose, prendiamolo" Quell'anno avevamo
un po di soldi per via della borsa di studio che Owen aveva vinto.
Ma sto parlando troppo..."
"Per carit, Mrs. Benjamin."
"Mi chiamo Rose..." Si gir, e gli sorrise. "Rose" disse lui, e distolse lo
sguardo, e improvvisamente lei cap. Le ci erano voluti tre minuti per
stabilire quello che loro stavano cercando disperatamente di capire da tutta
la sera. Aveva voglia di ridere.
Per tutta la cena aveva fissato Winston di sottecchi, sospettosamente,
considerandolo l'incarnazione stessa del suo destino, l'essenza della sua
vergogna. Non era vero. Lui solo era dei suoi, della sua specie. E in qualche
modo, la elettrizz il sapere che persino ora Winston poteva appartenere a
lei in un modo in cui non avrebbe potuto appartenere a nessuno di loro.
"Winston" disse lei, e si sent scivolare il nome sui denti. "Winston. un
nome terribilmente all'antica per uno giovane come lei."
"Una volta fingevo che mi avessero chiamato cos per via di Churchill"
disse Winston, "ma la verit che un nome di famiglia."
"Mi piace" disse Rose. Gli porse un tegame bollente e fumante, appena
uscito dalla saponata, e guard le sue mani ruvide e rosate far scorrere lo
strofinaccio sulla superficie finch non brill. Una macchia di umidit gli si
stava allargando sopra lo stomaco.
Aveva del sudore sulla fronte. I suoi polsi erano cos grossi che Rose
immagin che avrebbe potuto infilare entrambe le braccia nel cinturino del
suo orologio.
Improvvisamente lui fece schioccare le dita e disse: "Ci sono! Per tutta la
cena, Mrs. Benjamin..."
"Rose."
"Rose, mi spiace. Dicevo tutta la sera che sto cercando di capire a chi
assomiglia, e adesso l'ho capito.
Lei assomiglia a Gene Tierney."
"Lei conosce Gene Tierney alla sua et?"
"Gene Tierney la donna dei miei sogni" disse Winston. " la pi grande.
Ho visto tutti i suoi film. E lei le assomiglia tanto. Ha la stessa... intensit.
l'unica parola per descriverla. Intensit."
"Ah!" fece Rose, e si allontan i capelli dagli occhi. Sapeva che lui stava
osservando la sua mano guantata muoversi in lenti cerchi su una pentola.

Owen e Philip arrivarono rumorosamente attraverso le porte girevoli della


cucina e poi, sorridendo, Philip chiese: "Mamma, posso aiutarti?"
"Lascia che asciughi io, Rose" disse Owen. "Non farlo fare a Winston."
Lei li guard entrambi, poi rise all'improvviso. "Avete ragione" disse.
"Non dovrebbe farlo Winston. Allora tu Owen, lavi, e tu Philip, asciughi."
E condusse Winston nel soggiorno, lasciando Owen e Philip sconcertati
davanti al lavandino pieno di pentole.
"Lei una cuoca eccellente, Rose" disse Winston in soggiorno. "Da anni
non faccio un pasto cos buono."
"Grazie" disse Rose, e di colpo, con sua grande rabbia, si ritrov con le
lacrime agli occhi. Continu a sorridere, come se la sua vita dipendesse da
questo, gir la testa in modo che lui non la vedesse.
"Rose" disse lui. "Sta bene?"
"S, sto bene" disse lei. "Proprio bene." Prese un fazzolettino di carta dalla
scatola, si soffi il naso. "Non faccia caso a me, Winston - mi lasci perdere.
Ecco" disse. "Sto bene. C' del caff. Ne vuole un po?"
Winston scosse la testa. "Grazie" disse. "Ma in effetti, probabilmente
dovrei andarmene presto, devo prepararmi per le mie lezioni di domani." La
guard, preoccupato, e lei disse: "Lei un incantatore, Winston Penn" e
sorrise, soffiandosi di nuovo il naso.
Lui ricambi il sorriso. "Anche lei, Rose" disse. "Anche lei." E
all'improvviso, rapidamente, si pieg e le baci la guancia.
Poi Owen e Philip riemersero, asciugandosi le mani sui pantaloni.
"Devo proprio andare" disse Winston, infilandosi il cappotto che Rose gli
stava porgendo. "Philip, posso darti un passaggio da qualche parte?"
"Certo" disse Philip e si infil a sua volta il cappotto. "Arrivederci,
mamma" disse, e si pieg a baciarla sulla guancia e, con sua grande
sorpresa, Rose si scopr ad allargare le braccia e a tirarselo vicino, in un
abbraccio a cui sulle prime Philip resistette per pura e semplice sorpresa, e
al quale poi si abbandon.
"Arrivederci, Philip" disse, e guard Winston.
"Arrivederci" disse lui.
Adesso Winston si gir verso Owen, che se ne stava l con le mani ancora
avvoltolate nello strofinaccio, e un'espressione di vaga delusione negli
occhi. "Arrivederci, signore" disse in un tono di ironica formalit.
"La rivedr domani."
"Sei sicuro che devi andartene cos presto?" chiese Owen.
"Temo proprio di s."
"Be, sono contento che tu abbia potuto venire questa sera, Winston, ne
sono proprio contento."

"Anch'io. Grazie per avermi invitato. Be, arrivederci a tutti."


"Arrivederci" disse Owen.
Insieme i due giovani uscirono dalla porta. Rose se la chiuse alle spalle.
Quando si gir, Owen era seduto sul divano, con gli occhi chiusi, le mani
sulla fronte.
"Certo che hai cambiato umore in fretta" disse lei.
"Sono solo stanco, tutto qui."
Lei prese uno straccio e incominci a pulire il tavolo di cucina. Sul tavolo
emerse la sua faccia, nitida come in uno specchio: una faccia sull'orlo del
panico, della disperazione. Winston non era niente.
Era Owen che aveva scelto anni prima, era Owen quello da cui sarebbe
sempre tornata, per quanto storte potessero andare le cose. Era lui suo
marito.
Adesso Owen si alz dal sof, e le si avvicin. Anche lui era di nuovo
silenzioso, lievemente assente, e le disse: "Rose...".
Lei sorrise. Con sua grande sorpresa, alz la mano e gli tocc il viso. Era
invecchiato bene. Quest'uomo sulla cinquantina non era davvero molto
diverso dal ragazzo che aveva amato. Si guardarono a vicenda, ciascuno
trattenendo per puro affetto le parole che ormai dovevano essere dette,
ciascuno desiderando disperatamente prolungare quest'ultimo momento di
innocenza. Poi pass. Owen si sedette sul divano, e lei lo segu, andando
fino alla finestra, per guardare il traffico notturno, le stelle.
"Bene" fece lui. "Quanto hai capito?"
Lei chiuse gli occhi. Lasci che il silenzio si allungasse finch non pot
sopportarlo, poi si gir verso di lui e disse: "Tutto"
Fuori, sulla Seconda Avenue, c'erano rifiuti appiccicati agli angeli
dell'edificio prima di essere spazzati via dal vento. Il portiere stava aiutando
una donna anziana a scendere da un taxi. Una mano piantata sul cappello
che aveva in testa, l'altra appoggiata al braccio di lui, la donna usc
stancamente nel vento, come temendo che potesse soffiarla via.
"Davvero ha una macchina?" chiese Philip.
"Certo" disse Winston. "Ricorda che io vivo a Hoboken."
" molto gentile da parte tua offrirmi un passaggio" disse Philip.
"Ma non voglio portarti fuori strada."
"Nessun posto fuori strada per me" disse Winston, e Philip rise, senza
capire bene che cosa intendesse dire.
Camminarono lungo la Quarantaduesima dove era parcheggiata la
macchina di Winston, una piccola Toyota. " una bella macchina" disse
Philip, e Winston annu. " piccola - ma se la lascia fare, questa figlia di

puttana in curva batte anche una Jaguar." Gir la chiave dell'accensione, e


fece scaldare la macchina. "Dove abiti?" chiese.
"Vivo nella Upper West Side" disse Philip. "Ma in realt non stavo
pensando di andare dritto a casa - stavo andando a trovare un mio amico,
nell'East Village."
"Si pu fare" disse Winston, uscendo dal parcheggio.
"Sei sicuro?"
"Sicuro che sono sicuro. Come ho detto, adoro guidare, e non ho molte
occasioni qui, adesso che vivo nella grande area metropolitana di New
York."
Suonava il clacson come un tassista, guidando rapido la macchina nel
traffico fitto della via trasversale.
"Hai molta fretta?" chiese Winston.
"Perch penso che ti far fare la panoramica."
"No, non ho fretta" disse Philip.
"Bene" disse Winston. Imboccarono Park Avenue. Winston pass con il
rosso, e Philip si appoggi allo schienale attaccandosi ai braccioli per
sostenersi. Sul sedile posteriore c'era una pila di compiti degli studenti, una
scatola di cassette, e parecchie copie di Milton. Sopra la testa di Philip,
incollata al parasole, una graziosa ragazza dagli occhi scuri sorrideva da
un'istantanea.
"Chi ?" chiese Philip.
"La mia ragazza, Nancy" disse Winston. "Anzi, per meglio dire la mia exragazza Nancy al momento." Rise.
"Perch al momento?" disse Philip.
Winston scroll le spalle.
"Soprattutto perch io sono qui e lei a Dallas" disse. "Le grandi distanze
sono dure da reggere, sai?"
"Lo so."
"Be, Nancy una brava ragazza. Ma non lo so... ehi, vaffaculo, stronzo!"
grid a un tassista che stava cercando di tagliargli la strada. "Che succede?"
disse Philip. "Brutto figlio di puttana" grid Winston dal finestrino aperto,
"cosa cazzo credi di fare?" "E allora?" disse il tassista, un uomo esile con
una barba scarmigliata e un fazzoletto intorno alla testa. "E allora?
Vaffanculo tu, amico, vedi un po di andartene afa 'n culo."
"E tu a ingoiare merda, brutto deficiente merdoso!" url Winston,
chiudendo il finestrino e accelerando.
"Bisogna imparare la lingua del luogo" disse a Philip. Superarono il taxi,
passando con il semaforo giallo.

"Comunque, come stavo dicendo, Nancy una brava ragazza, ma stiamo


insieme da quando abbiamo quindici anni.
Quindici anni! un sacco di tempo.
Non so; forse sono pronto a incontrarne un'altra."
Philip, ancora un po abbacinato dallo scambio di urli, si limit a crollare
la testa. Questo tipo di confidenza da uomo a uomo lo metteva a disagio.
Era da tanto tempo che non si trovava in compagnia di qualcuno che non
sapeva che lui era gay o non lo dava per scontato, e non aveva idea di come
comportarsi. Era sleale da parte sua non dirlo a Winston? L'avrebbe
considerata una tattica di seduzione?
"Se proprio vuoi saperlo" gli disse infine, "penso che tu sia fortunato. A
un sacco di gente piacerebbe questo tipo di permanenza, un rapporto che
duri per tutta la vita. A me piacerebbe di certo."
"Pu darsi" disse Winston. "Ma Nancy e io - eravamo solo dei bambini
quando abbiamo cominciato a stare insieme. E ormai stiamo insieme da
tanto tempo che credo non riusciremmo neanche a spiegare cosa abbiamo
visto l'uno nell'altra. Siamo molto diversi, capisci. Lei non esattamente
un'intellettuale. La cosa che la prende di pi il tennis."
Gir bruscamente a sinistra, andando verso Harlem. Da entrambi i lati
della strada, brandelli di vita facevano capolino dall'ombra - la faccia di un
bambino che frugava nella spazzatura, una vecchia piegata in due sotto il
peso della spesa - tutto in acuto contrasto con le tranquille strade dell'East
Side, che alle nove di sera erano gi gelide e vuote.
"il mio percorso segreto" disse Winston, " il New Jersey. Salgo sul ponte
George Washington e poi scendo dall'altra parte del fiume. Cos non solo fai
i pezzi migliori per la guida, ma riesci anche a vedere il New Jersey. Adoro
il New Jersey. Ho scoperto che la maggior parte dei newyorkesi non sa
assolutamente niente delle meraviglie del "Garden State"
Ma quando ti ho conosciuto, Philip, mi sono detto: "ecco qui uno che pu
apprezzare il New Jersey""
"Perch l'hai pensato?" chiese Philip.
Winston alz le spalle. "Non lo so.
L'ho capito. Il New Jersey non una serie di panorami. Non Ho-Ho-Kus
o il lago Hopatcong o il Paramus Mall, anche se sono posti impressionanti.
No" disse, "il New Jersey una condizione della mente." Si schiar la gola
come fosse stato un motore.
"Essere nel New Jersey, sentire il New Jersey, sperimentare... la vera
unit cosmica con l'universo!" Rise rumorosamente. "E cos" disse, "ti ho
detto tutto di Nancy... Quindi il tuo turno. Coraggio, confessati."
"Il mio turno?" fece Philip.

"S, il tuo turno. Su, dai, dimmi a che punto stanno i tuoi rapporti, come
dicono nel West. Non divertente se non lo fai anche tu."
Philip guard fuori dal finestrino.
"Be" disse. "Sono stato con qualcuno molto seriamente per un po. Ma
finita."
"Davvero?"
"Uh, uh."
"Bene" fece Winston, "coraggio, raccontami qualcosa." Si schiar di
nuovo la gola.
"Non c' molto da raccontare" disse Philip. "Lui ha chiuso ed andato a
vivere a Parigi."
"Delle volte lo fanno" disse Winston. "Come si chiamava il tipo?
Cos gliele suono. Ehi, mangia merda, stronzo" grid a un altro taxi che
stava cercando si superarlo all'imbocco del ponte George Washington.
Sorrise, e Philip si rilass visibilmente sul sedile.
"Avanti, continua" disse Winston.
Incoraggiato, Philip continu.
Adesso stavano attraversando il ponte George Washington, un infuriare di
luci alte sopra il fiume scuro. "Forse l'ho allontanato io" disse Philip.
"Oppure era solo stufo del rapporto.
Oppure era davvero uno stronzo egoista. Non lo so."
Sospir rumorosamente, e Winston croll la testa. "Non si pu mai dire"
disse. "Stupidamente, si finisce sempre con l'avere sia ragione che torto
entrambi, tutte le volte, in modo diverso." Sorrise. "Ecco" disse, "ecco,
adesso siamo nel New Jersey."
Come un indemoniato, si guard intorno con gli occhi infiammati da
quello che stavano assorbendo, ma nell'oscurit Philip non pot distinguere
un singolo dettaglio. Immagin che stessero passando sotto gli alberi.
"In New Jersey ci si sente proprio meglio" disse Winston, pigiando forte
il pedale dell'acceleratore. "E si pu guidare come dei veri americani... in
fretta." Rise di nuovo. Allungando un braccio, prese una cassetta dalla
scatola sul sedile posteriore e la infil nello stereo. Bruce Springsteen cant
"Born in the USA", la voce un urlo gutturale di rabbia. Accelerarono,
arrivando pericolosamente vicini a un camion.
Come per caso, Winston lo super con una sterzata all'ultimo momento e
Philip chiuse gli occhi e fece una smorfia, preparandosi a morire.
Winston ridacchi. "Ti ho spaventato?"
"Un po" ammise Philip.
"Mi spiace. Mi accaloro quando ascolto il Boss." Stavano rallentando a un
semaforo rosso. Ora sembrava che avessero raggiunto una zona pi

popolata - un brutta infilata di motel, tavole calde, negozi di scarpe scadenti.


"Qui dove mangio quasi tutte le sere" disse Winston. "Adesso capirai
perch mi sono piaciuti tanto gli spaghetti di tua mamma."
"S, fa degli spaghetti decenti" disse Philip. Tacque per un momento, e
finalmente disse: "Spero che tu ti sia divertito stasera. I miei genitori...
possono essere strani, a dir poco"
"A me sono sembrati fantastici" disse Winston. "Tanto per cominciare,
penso che tua padre sia fantastico, davvero impressionante, una delle
poche luci che brillano nella Harte School." Philip sorrise. "Veramente?"
disse. "Sai, ho frequentato la Harte per un po."
"Ma davvero?"
"La odiavo."
"Socialmente, molto pi dura di quel che si penserebbe" disse Winston.
"I ragazzi sono cattivi e svegli, il che molto peggio che cattivi e stupidi,
perch conoscono un sacco di trucchetti. E quasi sempre il pi vecchio
contro il pi giovane."
"Raccontano ancora quella storia del ragazzo rinchiuso in cantina?"
Winston sorrise. "Tutti gli anni. Ed difficile punirli. Perch a differenza
della maggior parte degli alunni, non credono nell'autorit divina e
terrificante dell'insegnante.
Sono tutti ricchi, cresciuti dai loro pap nella certezza che governeranno il
mondo, quindi chi diavolo un bifolco di insegnante per rimproverarli? Se
ne stanno l impalati e non dicono niente, come se non ascoltassero neanche,
come se possedessero il mondo. E la sai una cosa? Hanno ragione. Lo
posseggono davvero. questa la terribile ironia di quel posto. Il mondo lo
posseggono davvero." Croll la testa.
"Ti piace insegnare l?" chiese Philip.
"Non male. Ma non penso di farlo per tutta la vita. Comunque sono
ragazzi svegli, e se li prendi per il verso giusto, ti danno delle soddisfazioni.
Penso che ci rester ancora un anno o due, poi probabilmente torner ad
Austin per la mia specializzazione. Per il momento va bene. Per un ragazzo
del Sud come me, proprio un trip vivere a New York, lascia che te lo
dica."
Adesso stavano scendendo nelle verdi profondit dello Holland Tunnel.
"Non irreale?" disse Winston. "Non totalmente irreale?" Philip annu.
Una volta, ricord, da bambino, tornando dalla casa di Gabrielle, lui, sua
madre e suo padre erano rimasti bloccati per mezz'ora in un ingorgo nel
tunnel e suo padre, quando Philip gli aveva chiesto quando ne sarebbero
usciti, aveva risposto in modo sinistro: "Non ne usciremo mai. Siamo
intrappolati per sempre" Philip gli aveva creduto ed era scoppiato a piangere

di punto in bianco. "Philip, tesoro, che succede?" aveva chiesto sua madre,
girandosi allarmata e allungando una mano verso il sedile posteriore per
consolarlo. Ma lui non voleva essere consolato. Questa volta non ci fu
alcuna attesa.
Attraversarono velocemente il tunnel emergendo all'improvviso dalla sua
verde luminosit nella scura, fredda, notte di Canal Street. "Rieccoci a
Manhattan" disse Philip, e Winston sorrise. "S" disse. "Me ne sono accorto.
Quella fantastica sensazione del New Jersey" schiocc le dita, "sparita.
Cos." Sospir. "Dove hai detto che devi andare nell'East Village?"
"Decima Strada" disse Philip.
Girarono verso nord. Il vento sembrava pi violento qui che non nel
quartiere dei suoi genitori. Fuori da un nightclub senza insegne, ronzava una
fila di bianche limousine e Mercedes, mentre una folla si accalcava per
riuscire a entrare.
"Sono davvero contento che tu sia venuto a cena, e che ci siamo
conosciuti" disse Philip a Winston.
"Mio padre era molto ansioso che noi due ci conoscessimo, sai. Pensava
che saremmo diventati amici."
"Me l'ha detto" disse Winston.
Philip tacque per un momento. "Mio padre... be, talvolta sono un po
imbarazzato, sai, per come prova ad affibbiarmi dei nuovi amici." Rise
nervosamente. "Spero solo... spero solo che tu non abbia l'impressione..."
"Di essere andato a un appuntamento cieco?" disse Winston. "No, non
l'ho presa per niente cos. Mi sono divertito un sacco. Owen mi piace
veramente, un tipo in gamba, e credimi, non ce ne sono mica molti tra gli
insegnanti. Ma dove sulla Decima Strada?"
"Vicino alla Seconda Avenue" disse Philip, sollevato. "Comunque prima
non mi riferivo tanto a un appuntamento cieco quanto alla storia del
gentiluomo che va a far visita a una famiglia nello Zoo di vetro. Ho pensato
che dovevi sentirti proprio come quell'uomo, sai voglio dire, come una
persona normale che finisce in una gabbia di matti."
"Davvero?" disse Winston, e rise.
"Del resto" aggiunse, "credo che tutte le famiglie vagamente intellettuali
temano segretamente di essere i Wingfields. una condizione americana
universale."
"Forse" disse Philip.
"Comunque la mia famiglia" disse Winston, "la mia famiglia proprio
l'articolo genuino." Ma prima di avere la possibilit di spiegare oltre, erano
arrivati sotto casa di Brad.

"Credo che ci siamo" disse Winston, accostando la macchina davanti a un


idrante.
"Proprio cos" fece Philip. "Be, grazie per il passaggio."
"Non c' di che" disse Winston. "E cerchiamo di vederci qualche volta per
andare a un cinema o qualcos'altro, d'accordo?" Esit. "Non ho poi tanti
amici qui a New York. Passo un sacco di tempo da solo, il che va
benissimo.
Me la cavo bene in solitudine, a leggere e a esplorare il New Jersey, per
delle volte mi manca un po di compagnia."
"Bene" disse Philip, "forse potremmo far qualcosa la settimana prossima."
"Certo, sarebbe bello" fece Winston.
Allung la mano e Philip gliela strinse con calore. "Be, addio, Winston e
grazie ancora."
"Addio, Philip. Stammi bene."
Poi Winston tir su il finestrino, fece un ultimo gesto di saluto, e spar gi
per la strada buia. A Philip parve un addio strano, un po moscio.
"Oh, be" disse ad alta voce, e si gir a guardare il caseggiato di Brad.
Il vento ormai si era calmato. Vedendo la luce accesa nell'appartamento di
Brad, sal le scale davanti all'entrata, sentendosi stranamente pesante, e
suon il campanello di Brad.
"Chi ?" disse Brad dopo qualche secondo.
"Philip."
"Aspetta un momento."
Ci fu un lieve ronzio, e Philip fu ammesso nell'atrio. Quando arriv
all'appartamento, Brad lo aspettava davanti alla porta aperta, con
l'accappatoio, sorridente. "Che sorpresa" disse, e Philip cap che era
contento di vederlo.
Entrarono nell'appartamento, reso accogliente dal profumo di toast alla
cannella e dal basso ronzio del piccolo televisore di Brad. "Ho pensato di
fare un salto a trovarti" disse Philip. "Questo Winston aveva una macchina,
e mi ha offerto un passaggio a casa, cos ho pensato - be, visto che riesco ad
avere un passaggio, tanto vale che vada gi a fargli un saluto."
"Sono contento" disse Brad. Si sedette sul lettino pi basso e abbass il
volume della televisione.
Dall'angolo di Philip, la scatoletta sembrava inondata di una insensata e
silenziosa progressione di luce. "In realt speravo proprio che tu venissi
stasera."
Philip sorrise, si sedette accanto a Brad sul lettino. Da sotto l'orlo di
spugna dell'accappatoio di Brad, una gamba agile e abbronzata sfior i jeans
di Philip.

"E allora" fece Brad, "come andata?"


Philip si morse il labbro inferiore.
" stato strano" disse infine.
"Proprio strano."
"Come mai?"
"Be" fece Philip, "mia madre era arrabbiata, proprio arrabbiata. Quando
sono arrivato a casa pi o meno l'ho affrontata per via del modo in cui mi
sta trattando, e lei ha reagito con delle belle sferzate. Ha detto che ero molto
egoista a credere di essere la causa delle sue preoccupazioni. Poi, quando le
ho detto che pap voleva appiopparmi Winston, si quasi messa a piangere,
ha detto che non voleva saperne niente. Poi sono arrivati pap e Winston, e
lei ha radicalmente cambiato idea. Improvvisamente era l'ospite modello,
tutta sorrisi e graziose osservazioni. Ha sfoderato tutto il suo fascino per
Winston. E mio padre - non l'ho mai visto comportarsi come stasera. Voglio
dire, era davvero bizzarro. Era come se avesse una personalit totalmente
diversa.
Era chiassoso, socievole, santo cielo, non sembra granch, ma per mio
padre - be, un comportamento rivoluzionario. Hai del succo d'arancia?"
"Certo" disse Brad. Si alz a versarne un po, e Philip si sdrai a fissare il
muto schermo televisivo.
Stavano trasmettendo "Star Trek": Capitan Kirk, con indosso una toga,
veniva costretto a baciare Uhura su quella che sembrava una gigantesca
scacchiera. Per un attimo Philip pens di sognare, ma poi Brad, che
conosceva a memoria tutti gli episodi di "Star Trek", arriv col succo
d'arancia e disse: "Questo decisamente uno degli episodi pi strani di Star
Trek.
L'idea che le divinit greche in realt erano degli alieni, e sono ancora in
circolazione, solo che sono diventati molto perfidi. Si chiamano "I Figliastri
di Platone"" Porse a Philip il bicchiere di succo d'arancia e Philip si drizz
sui gomiti per berlo. "Sembra che mi sia appropriato del tuo letto" disse, e
Brad sorrise.
"Va benissimo. Io sono piccolo, probabilmente c' posto per tutti e due."
Si sedette sul bordo, ancora esitante, poi sal sul letto, e si sdrai parallelo a
Philip e Philip sent il calore del suo fianco.
"Continua allora" disse Brad.
"Be" disse Philip, "non c' molto altro da dire. La cena in s stata
gradevole, ancorch priva di accadimenti. Voglio dire, non successo
niente di particolare. Ma tutto, tutto era strano. E forzato.

Riuscivo a capire benissimo che sotto il suo sorriso, mia madre mi stava
guardando come un falco, e guardava pap, e allo stesso tempo continuava a
far finta di non esserci."
Brad si sollev su un fianco appoggiando la testa alla mano. "Ma non mi
hai raccontato la parte migliore" disse. "Non mi hai detto di Winston, o
della sua visita."
"Ah" fece Philip. "Be, Winston era brillante, e molto simpatico. E un po
bizzarro. Si lanciato in uno sproloquio in cui sosteneva che il New Jersey
il centro dell'universo, o qualcosa del genere, e capivo che pensava fosse
divertente, ma, a un certo livello credo che ne fosse anche convinto. Quello
che mi piace di lui che sembra perpetuamente incantato dal mondo. Per
esempio - ti mai capitato da bambino, quando finivano le vacanze estive e
ricominciavano le trafile del ritorno a scuola, di voler sbattere la testa contro
il muro perch le vacanze erano passate cos in fretta, e non te le eri neanche
godute? E di desiderare di avere almeno qualche settimana ancora, in modo
che potevi startene l nella tua stanza, sapendo di avere pi di un mese
prima dell'inizio della scuola, e assaporarti questo fatto, star l
semplicemente a godertela?"
"Certo" disse Brad. "Ma non avresti mai potuto farlo. Siamo di nuovo al
paradosso di Zenone."
"Forse" disse Philip. "Ma penso che Winston sia proprio cos. Voglio
dire, sembra che si assapori ogni momento che vive come il resto di noi pu
apprezzare dei momenti soltanto quando li ricorda. E questo un vero
talento, devo dire."
Brad sorrise. "Come no" disse. Si agit impaziente. "era davvero cos
attraente, come aveva detto tuo padre?"
Philip sbadigli. "S" disse. "Era molto attraente, e molto, molto regolare.
Per venire qui mi ha fatto fare un giro nel New Jersey, il che non aveva
nessun senso dato che era buio. Poi ha fatto un bel po di scena imprecando
con un tassista e guidando troppo forte. stato divertente."
Per qualche momento rimasero sdraiati l senza parlare, poi Brad disse:
"Credo che andr a spegnere la luce adesso" Fece una pausa. "Vuoi passare
la notte qui, Philip?"
"Se non ti spiace" disse Philip.
"No, affatto."
Questa volta non ci fu alcun accenno alla cuccetta di sopra. Philip chiuse
gli occhi e sent Brad alzarsi dal letto e spegnere la luce. Piano piano, nel
buio, Philip si tolse camicia e jeans e and sotto le coperte, godendosi
l'estraneit di nuove lenzuola. Dopo qualche secondo sent un tramestio, e
Brad entr nel letto accanto a lui. Per un po rimasero sdraiati senza

toccarsi, poi Brad cautamente mise il braccio sul petto di Philip, e Philip gli
prese la mano e la tenne stretta. Il cuore di Brad batteva violentemente, cos
violentemente da farlo quasi tremare, e Philip dolcemente gli massaggi la
pelle sulle nocche e sui polsi per calmarlo. "Sai" disse Brad alla fine, dopo
essersi rilassato un po, "una volta ero innamorato di un regolare.
Al college."
"Davvero?" disse Philip. "Chi?"
"Non credo che tu lo conoscessi" disse Brad. "Si chiamava Richard, e
frequentava un seminario di storia dell'arte insieme a me. Si era appena
trasferito dall'Universit della Virginia, e all'inizio non aveva neanche un
amico." Brad rise. "Dio, come lo amavo" disse. "Mi confidava sempre le
sue preoccupazioni perch non era bravo come alcuni degli altri giocatori
della squadra di calcio. La sera stavamo nella sua stanza, e lui mi leggeva ad
alta voce dei passaggi omosessuali di Proust!"
"Brad!" disse Philip. "Non ne ho mai saputo niente."
"Non che tu mi conoscessi molto al college" gli ricord Brad.
"Comunque, puoi immaginare come ero eccitato. Ma allora ero cos
ingenuo, cos insicuro di me, che non sapevo proprio come fare. Ma la parte
migliore - ed per questo che mi sono ricordato la storia - era la sua
macchina. Aveva una macchina, e una volta o due alla settimana mi
telefonava prima di cena e andavamo verso la periferia della citt dove c'era
questo fantastico ristorante cinese, talvolta da soli, talvolta con pochi altri.
Comunque, tornando al ristorante cinese - il parcheggio era in cima a una
collina, e scendendo dalla collina bisognava passare per questa cunetta
creata da un avvallamento nella strada. Era come un otto volante. Dopo
mangiato, gli dicevo sempre: "Richard, vai piano, lo sai che quella cunetta
mi spaventa" E lui rideva, e naturalmente la prendeva al massimo della
velocit, al punto che la macchina sobbalzava e scricchiolava, e noi
venivamo sbalzati dai sedili, e quanto io gridavo lui rideva istericamente e
poi guidava come un pazzo per tutto il ritorno, per spaventarmi ancora di
pi. Credo che in fondo mi piacesse."
"Ma certo" disse Philip. Era sdraiato immobile, e con un dito tracciava
delicatamente dei disegni sulla schiena di Brad. "Successe qualcosa?"
Brad sospir. "Un giorno non ce la feci pi. Ricordo che ero seduto nella
mia stanza ad ascoltare questa canzone dei Tom-Tom Club, e - giuro che
vero - proprio mentre cantavano la strofa, "fai la tua mossa", suonarono alla
porta. Era Richard. Disse che passava di l e aveva pensato di farmi un
saluto. Vide che ero turbato, e mi chiese cosa avevo. E io glielo dissi.
Mi alzai e dissi: "sono innamorato di te""
"Stai scherzando" fece Philip.

"Nossignore" disse Brad. "Sapevo che dovevo proprio dirlo. la cosa pi


coraggiosa che io abbia mai fatto in vita mia."
"E lui cosa disse?"
Brad sorrise pensosamente. "Lui si comport in modo meraviglioso"
disse.
"Mi disse che si sentiva molto onorato. Poi mi raccont che si stava
convertendo al cattolicesimo, il che sarebbe stato una parte significativa
della sua trasformazione - perch la fede amore, e lui non aveva mai
creduto che qualcuno potesse amarlo.
Poi mi disse che mi amava anche lui, solo che gli dispiaceva di non poter
fare niente dal punto di vista fisico."
" stato molto bello da parte sua" disse Philip.
"S" fece Brad.
"Siete rimasti amici?"
"Oh - pi o meno. Salvo che poco dopo si fece una ragazza, e allora - be,
aveva da fare. Non ci vedevamo pi tanto. Poi and in Russia per l'estate, e
poi in Germania per un anno, e poi - be, non so che ne stato di lui. Per
quello che ne so ancora in Germania." Tacque per un momento. "Penso
che in qualche modo fosse affascinato dal fatto che io lo amassi tanto. Se
fossi stato pi vecchio e un po pi sveglio - ma non lo ero."
Si gir a guardare Philip, col viso inondato dai colori del televisore.
"Sai" disse, "praticamente non ne ho mai parlato con nessuno. Perch be, sempre stata una specie di esperienza sacra per me. E non volevo
sciuparla parlandone con chiunque."
"Sono contento che tu pensi di poterti fidare di me" disse Philip.
Brad gli si avvicin un poco. "Se non pensassi di potermi fidare di te"
disse, "non credo che sarei qui sdraiato accanto a te."
"Sono io che sono contento di essere qui sdraiato accanto a te" disse
Philip, dato che si trattava del letto di Brad, e Brad sorrise. Erano ancora
nella stessa posizione, il braccio di Brad sul petto di Philip, le mani
intrecciate. Poi, con la punta del piede, Brad spense il televisore, e la stanza
affond nel buio. Rimasero sdraiati in silenzio per un po, cercando di
sintonizzare i loro respiri.
"Vorrei che l'avessimo fatto prima" mormor Philip.
"Anch'io."
Si girarono, cosicch la bocca di Philip si appoggi ai capelli di Brad, il
suo stomaco alla schiena di Brad, e Brad emise un piccolo gemito
bisognoso, chiuse gli occhi, e si raggomitol pi vicino a Philip, come un
mollusco che si ritiri nella sua conchiglia. Fuori dalla finestra Philip udiva i
rumori delle baldorie notturne. Chiuse gli occhi.

A occhi chiusi, Rose stava di fronte alla finestra nera, tormentando un


fazzoletto di carta. Non stava piangendo. Non aveva intenzione di piangere.
Owen sedeva sul divano, una gamba accavallata sull'altra, la mano sinistra
ad accarezzare dolcemente i propri capelli come quelli di un amante, mentre
la destra, affondata in tasca, prendeva e lasciava un mazzo di chiavi. Parlava
contro un cuscino, come rivolto a nessuno, ma sapeva che lei stava
ascoltando.
"Era solo una questione di tempo" disse. "Sapevo che avremmo dovuto
parlarne, solo che non ero sicuro che tu lo volessi. Pensavo che forse tu
desiderassi lasciare le cose cos come stavano, non svegliare il can che
dorme."
Perfezionista come sempre, Rose disse: "Qui non c' proprio nessuno che
dorme"
"Non pi" disse Owen.
Era sconcertante, pens Rose, con quanta rapidit era passata l'ondata di
calore, d'amore che l'aveva portata a questo confronto. Adesso si dibatteva
in acque fredde; in verit, non appena Owen aveva pronunciato quelle prime
parole di ammissione, si era sentita irrigidire e raggrinzire, come si
raggrinziscono le dita nella vasca da bagno. Probabilmente da qualche parte,
dentro di s, continuava a desiderare segretamente di essersi immaginata
tutto, continuava a sperare che lui avrebbe detto: "Ma di cosa stai parlando,
Rose?" Ma naturalmente non l'aveva detto. Lui rimase immobile sul divano,
la faccia altrettanto rassegnata e indurita contro il pianto di quella di un
bambino condotto davanti al preside per un rimprovero.
"Immagino che dovresti sapere che Philip mi ha detto" fece Rose, "dei
tuoi motivi per invitare Winston stasera. Voleva sapere se anch'io ero
d'accordo con te."
"Non gli ho dato nessun motivo per pensarlo, Rose" disse Owen, e Rose
rise. Owen alz gli occhi su di lei, confuso. "Che c' di tanto divertente?"
"Niente, stavo solo pensando a quante volte non ho notato le cose" disse
lei. La sua voce, all'improvviso, era rauca di inflessioni ironiche. "Quante
volte ho distolto gli occhi, quante volte sono arrivata a conclusioni ridicole
per non guardare in faccia la verit.
Adesso, all'improvviso, tutte queste cose hanno un senso per me. Tutte le
lacune sono state colmate. Mi fa ridere."
Dal divano, Owen alz la testa - simile, pens Rose, a un coniglio da
cartoni animati che d un'occhiata al mondo fuori dal suo buco. Per un
momento pos lo sguardo sul viso di lei, poi lo riabbass nell'oscurit della
sua ascella. "S" disse, "immaginavo che fosse cos per te. Lo era anche per
me, la prima volta che..." Fece una pausa. "Comunque, il motivo per cui ho

invitato Winston che volevo far qualcosa di carino per Philip, aiutarlo. Gli
avrebbe fatto bene trovare qualcuno, non credi?"
Rose era cupamente silenziosa.
Sembrava totalmente concentrata su qualcosa fuori dalla finestra, bench
ci fosse ben poco da vedere - una donna che lavava i piatti
nell'appartamento di fronte; traffico, cielo.
"Vuoi che te ne parli?" disse Owen.
Lei si strinse nelle spalle.
"Immagino che significhi di s" disse Owen. "D'accordo. Immagino che
dovrei incominciare spiegandoti di quella domenica in cui ci incontrammo.
Dicendoti dove stavo andando quella domenica, e tutte le domeniche.
Io..."
"Preferirei che tu non lo facessi" lo interruppe Rose. "Non credo proprio
che abbia senso che tu divida con me tutti i dettagli pi cruenti, Owen.
Davvero, non capisco come questo potrebbe farci del bene."
"Mi spiace. Pensavo solo che avrei dovuto chiarire le cose una volta per
tutte. Stiamo parlando di ventisette anni di segreti, Rose. Cose che ho tenuto
imbottigliate per tutta la vita."
"Il fatto che tu abbia voglia di raccontarmele non significa che io le voglia
sentire." La sua voce era esile e calma. Lui alz gli occhi e la vide davanti
alla finestra, non di fronte a lui, con il fazzoletto ridotto a un mucchietto di
polvere azzurra nella mano.
Owen chiuse gli occhi e deglut.
"D'accordo" disse. "Questo posso accettarlo. Ma allora di che cosa vuoi
che parliamo? Dobbiamo parlare dell'appartamento? Ho un appuntamento
alla banca marted, per informarmi su un mutuo. Devo andarci?"
"Perch ti comporti come se dipendesse da me?" chiese Rose.
"Perch cos."
Con aria torva, lei si stacc una pellicina dal pollice.
"Puoi lasciarmi, Rose, se questo che vuoi" disse Owen. "Oppure me ne
andr io. Se questo che vuoi. Lo far."
"E se non fosse quello che voglio?" chiese Rose.
"Allora, naturalmente, resterei."
"E che cosa significa?"
"Significa esattamente quel che ho detto" disse Owen. "Io vorrei restare,
Rose, sa Dio se lo vorrei. Non sto attraversando una crisi di mezza et; non
voglio la libert. Tutto quello che conosco, tutto quello che mi fa sentire
sicuro al mondo qui, con te.
Ma penso di essere onesto. Per quanto cerchi di convincermi che posso
farla finita, per quanto provi a non pensare agli uomini..." scosse la testa.

"Non serve a niente, Rose. Anche se lo volessi, non potrei pi fermarmi.


Sono andato troppo oltre ormai. diventata una cosa troppo grossa, al di l
del mio controllo. Anche se non fossimo arrivati a questo chiarimento,
proverei lo stesso quel che provo, mi sentirei lo stesso attratto verso le cose
che voglio, e che allo stesso tempo non voglio. cos difficile da spiegare."
Chiuse gli occhi. "L'altra sera" disse, "ho conosciuto una persona."
"Non voglio saperlo" disse Rose, quasi gridando, e chiuse gli occhi, poi
riprese il controllo. "Te l'ho gi detto" disse. "Non voglio sapere niente dei
dettagli, quindi se insisti nel condividerli, possiamo anche smetterla subito.
Per me troppo." Si gir di nuovo e guard intentamente lo specchio del
televisore, le braccia strette intorno alla vita. Owen gemette. Alz la testa.
"Rose, prima o poi dovrai affrontarle queste cose" disse stancamente.
"Cristo santo, ti prego, non zittirmi ancora una volta; sar un male per
entrambi se dovremo continuare a fingere."
"Come fai a dirmi questo" disse Rose con calma, quasi in un sussurro.
"Come fai a dire questo a me, proprio non lo capisco." La sua schiena,
l'unica parte di lei che Owen poteva vedere, stava tremando
impercettibilmente, e le sue braccia si strinsero ancor pi forte intorno ai
pallidi fiori della camicetta.
"Rose" disse Owen.
"Perch per me non una finzione.
Io sono tua moglie. Ho vissuto la mia vita insieme a te."
"Lo so" disse Owen. "Ed stata una bella vita. E continuer a essere una
bella vita per noi. Ma dobbiamo guardare in faccia i fatti..."
"Non ti accorgi che mi uccide, che mi distrugge completamente sentirti
dire questo? Una finzione? Tutto il nostro matrimonio, tutto quello che hai
avuto da me? Solo una finzione?
Non capisci? Anche se vero, per me significa..."
"Ma non stato tutto cos, Rose, lo sai, ti amo pi di qualsiasi cosa al
mondo, ti ho sempre amato e sempre ti amer. Tuttavia, ci sono dei fatti da
affrontare, sia per me che per te.
Sessualmente, io sono pi attratto dagli uomini. una cosa che ho
nascosto, represso per anni, liberandola soltanto..."
"Quella parte no" disse lei. "Quella parte no."
Owen sospir frustrato. "D'accordo" disse. "Quella parte no." Fece una
pausa, scegliendo accuratamente le parole. "Io voglio stare con te, Rose,
voglio rimanere sposato con te.
Questo per me un punto fermo."
"E continuerai... i tuoi esperimenti?"
Lui tacque per un attimo. "Non so" disse alla fine.

"E come credi che star io?" disse Rose, girandosi a guardarlo. "Pensa
anche a me una volta tanto. Un matrimonio che un'impostura, una
finzione. Mio marito e mio figlio, tutti e due, tutti e due - santo Dio, la mia
vita sembra la battuta finale di una barzelletta stupida."
Inavvertitamente, incominci a ridere, e rise anche Owen. Poi si
interruppero di colpo. Ancora una volta, Owen abbass cupamente gli
occhi. "Rose" disse, "scusa se te lo faccio notare, ma tu non mi sei stata
esattamente fedele."
Lei alz la testa.
"Mi dispiace tirare in ballo l'argomento adesso" disse Owen. "Non avrei
mai voluto farlo. So che tu pensavi che io non lo sapessi. Ma lo sapevo. Non
che mi dispiacesse. La verit , che mi faceva stare un po meglio, mi
faceva sentire un po meno colpevole di averti rovinato la vita.
Perch pensavo che tu te lo meritassi - l'amore vero di un uomo che
provava quello che gli uomini dovrebbero provare per le donne. Io sono
stato in disparte e non ho detto una parola; non ti ho mai imposto nessun
ultimatum, nemmeno quando ero geloso.
Pensavo che avevo quel che mi meritavo... una punizione."
Lei rimase in silenzio. "Tutto qui?" domand infine.
"S"
Poi, molto piano: "Non penso che il fatto di avere avuto dei rapporti con
altri uomini, sia in qualche modo paragonabile...".
"Al mio avere dei rapporti con gli altri uomini?"
"Non interrompermi. No. E non per le stupide ragioni che tu mi stai
attribuendo. Ma perch io sono stata molto attenta, Owen. Ho cercato in
tutti i modi di non rovinare la nostra vita insieme. Era una cosa a s, una
cosa di cui avevo bisogno, per ragioni che adesso sono chiare e evidenti. Ma
per quel che mi riguarda, tu stai dicendo che la premessa stessa del nostro
matrimonio stata una menzogna, un'impostura. E questo molto peggio
che tradire con qualcun'altro. Perch significa che per te era proprio il
nostro matrimonio l'impostura, e la tua... altra vita era la cosa vera." La sua
voce divenne improvvisamente pi dolce, strascicata. "Per me" disse Rose,
"la cosa vera sei sempre stato tu."
"Non so che cosa vuoi da me" disse piano Owen. "Delle scuse?
D'accordo.
Mi spiace di averti sposata. Mi spiace di averti rovinato la vita."
Lei rise, e si gir a guardarlo.
"Sei deciso a gettarmi addosso la tua colpa, vero?" disse. "Sei deciso a
trasformarmi nell'imputato colpevole.
Benissimo. Vuoi piet? Ti dar piet.

Mi hai spezzato il cuore, sembravi un tale idiota stasera, a sbavare per


quel ragazzo che hai portato a casa per tuo figlio..."
"Rose, questo troppo..."
"A sbavargli addosso in quel modo.
Ho provato tanto piet per te. Cristo, ho pensato, ma ce l'ha un po di
dignit?"
"Non era cos" disse Owen. "Non era affatto cos."
"Ma lo sai come mi sentivo l seduta a guardarti in sua compagnia?
Imbarazzato da te? Sapendo che non ti rendevi neanche conto della figura
da stupido che stavi facendo?"
"Rose" grid lui. "Basta!" E lei tacque. "Ti ho detto basta."
"Bene" fece lei. "Basta. Allora vai a chiamare Philip. Sono sicura che voi
due avete un sacco di cose da raccontarvi." Si allontan di nuovo, con la
gola secca, sbalordita dall'elettricit, dal veleno che la percorrevano.
Owen si alz dal divano. Sentendo il suo respiro sul collo lei cap che era
dietro di lei. Lui la tocc, e la sua spalla si ritrasse spasmodicamente.
Improvvisamente aveva voglia di buttarlo fuori, di dirgli di andarsene e
non tornare mai pi. Ma la rabbia le stava bruciando dentro con la stessa
rapidit dell'alcol. Presto sarebbe svanita del tutto.
Owen era zitto dietro di lei. Poi si diresse verso l'armadio, prese il suo
cappotto. "Me ne andr per stanotte" disse. "Abbiamo entrambi bisogno di
un po di tempo. Ma telefoner domani, d'accordo?"
Rose non disse niente.
"D'accordo, Rose?"
"Basta che mi lasci in pace" disse lei.
"Cristo, Rose."
Poi la porta si apr e si richiuse.
Per qualche momento Rose rimase l, raggomitolata su se stessa, ad
ascoltare il ritrovato silenzio. Si gir. Il divano recava ancora l'impronta di
Owen. Il radiatore ronzava gradevolmente. Il traffico scorreva. Erano le
11,24.
Entr in cucina, si vers un grosso bicchiere di latte da un cartone con
sopra la fotografia di un bambino scomparso, e si sedette al tavolino.
Il freddo liquido bianco le scese in gola in una serie di sorsate gelide,
facendola annaspare, provocandole, come il gelato mangiato troppo in
fretta, un intenso e improvviso dolore alla nuca. Si sentiva come se avesse
appena vomitato: in gola e nello stomaco il sapore aspro dello scompiglio.
Era domenica sera.
All'improvviso le parve che non ci sarebbe pi stato il luned, n la
colazione, n il ritorno al lavoro, le parve che il resto della sua vita sarebbe

stato un'eterna notte insonne passata ad aspettare con impazienza l'alba,


sapendo che il resto del mondo stava invidiabilmente dormendo.
Il latte era finito. Rose guard il bicchiere ancora rivestito di bianche
goccioline e quasi non riusc a sopportare di vederlo vuoto.
Terrorizzata, apr la lavastoviglie, infil il bicchiere nel suo interno
azzurro. Aveva voglia di inizi. Alle undici e mezzo c'era "La luna di miele"
Per tutta la notte sarebbero cominciate delle cose, ma sarebbero anche
finite.
In soggiorno accese la televisione a volume basso; il suo ronzio la calm.
Apr il libro di cruciverba; lesse: "Trovar da ridire su" Pens, criticare?
Disapprovare? Biasimare?
Una ridda di squilli telefonici propagati nella notte lacer la lieve
membrana del sonno di Philip.
Svegliato a forza, i suoi occhi si aprirono su un'oscurit in acuto contrasto
con il sogno brillante.
Confuso, si rizz sui gomiti, cercando di capire che cosa potesse produrre
questo grido strano e acuto.
Nell'oscurit non riusciva a vedere altro che i numeri luminosi della
sveglia di Brad. Era l'una e diciassette del mattino. Il telefono strillava,
ululava, piangeva. Gli parve di sentire sotto di s il peso morto di uno dei
suoi arti, con la circolazione interrotta, finch non si rese conto che quello
che sentiva era il braccio di Brad incastrato sotto di lui. "Brad" disse.
"Brad."
"Cosa?" grid Brad, sobbalzando, scattando fuori dal sonno come un
atleta.
"Il telefono."
"Il telefono? Il telefono?" disse Brad, con la voce venata dal panico.
"Ma siamo nel cuore della notte. Ges, chi pu essere?" Allung un
braccio all'indietro, accese una luce, annasp alla ricerca del telefono.
"Pronto?" disse. Pass qualche secondo di silenzio. Guard Philip. "S,
qui" disse. "Un momento."
Porse il telefono a Philip. "Per me?" disse Philip. "Sei sicuro?"
"Certo che sono sicuro."
Si port il telefono all'orecchio.
"Philip, sono tuo padre" disse una voce resa spettrale, distante, dai
disturbi della linea e dal traffico.
"Pap! Che c'? Che succede?"
"Non si fatto male nessuno" disse Owen. "Stanno tutti bene." Qualcosa
romb sullo sfondo. "Probabilmente ti starai chiedendo come ho fatto a
trovare questo numero, vero?" disse.

"Ma non stato difficile. Quando non ti ho trovato a casa, ho chiamato le


informazioni che mi hanno dato il numero del tuo amico Eliot, e l una
simpatica ragazza mi ha detto di chiamarti a questo numero. Spero di non
averti svegliato, o disturbato."
"No, non fa niente, pap" disse Philip. "Senti, ma cosa sta succedendo?
Cos' che non va?"
"Niente" disse Owen, poi incominci a piangere. Philip si inginocchi sul
letto. Brad gli mise un braccio sulle spalle.
"Pap, dove sei?"
Owen non riusc a rispondere.
"Adesso calmati, pap, e dimmi dove sei."
"Sono in una cabina telefonica fuori dal Burger King di Cathedral
Parkway" disse alla fine Owen. "Ha appena chiuso. Sono stato l dentro
finch non ha chiuso. Sono venuto qui, al tuo appartamento, ma tu non eri a
casa. Mi spiace, non ho nessun altro posto dove andare."
"Avete litigato tu e la mamma?" chiese Philip. " questo che successo?"
Owen si soffi il naso. "Immagino" disse, "che quel che successo che
tua madre e io ci siamo temporaneamente separati."
"Pap - non capisco - cosa vuoi dire con separati?"
"Mi spiace di seccarti cos, ma speravo di poter stare nel tuo
appartamento. Lo so che mi sto intromettendo, che tardi. Andr in un
albergo."
"No, pap, non essere ridicolo" disse Philip. "Adesso vengo l.
Aspettami fuori di casa. Prendo un taxi e sar l tra venti minuti,
d'accordo?"
"Philip, non voglio portarti via dal tuo amico, non voglio fare niente di
simile..."
"Pap, ti prego, non preoccuparti.
Guarda, ci vediamo a casa mia tra venti minuti."
Di nuovo Owen si soffi il naso.
"D'accordo" disse. Poi, come avesse avuto un ripensamento aggiunse:
"Grazie, figliolo"
"Non preoccuparti. Ci vediamo presto. Ciao."
Riattaccarono. "Cos' successo?" chiese Brad, circondando Philip con le
braccia nella strana luce.
"Devo andare" disse Philip. Si strapp dal letto, e arraff i vestiti.
"Cosa successo?" chiese Brad.
"Dov' tuo padre?"
" in un Burger King. Mi ha detto soltanto che lui e mia madre si sono
"separati", e chiss cosa vuol dire all'una del mattino."

"Separati!"
" quel che ho detto anch'io."
"Ges."
Philip si tir su i pantaloni, allung la mano per prendere la camicia.
"Senti" disse Brad, "vengo con te."
"Brad, non necessario che tu lo faccia."
"Non m'importa, vengo con te."
"Credo" disse Philip infilandosi calze e scarpe, "credo che dovrei andarci
da solo."
Brad torn a sedere sul letto, contro la parete, e chiuse gli occhi, Philip
prese dal ripiano del comodino il portafoglio, gli spiccioli e le chiavi, e se li
ficc in tasca. "Hai bisogno di soldi per il taxi?" chiese Brad.
"No, li ho."
Brad si alz in piedi, si infil l'accappatoio, e accompagn Philip alla
porta.
"Be" fece Philip, "arrivederci" e rise, senza riuscire ancora a credere che
dieci minuti dopo essersi svegliato stava gi lasciando Brad per andare
uptown a salvare suo padre.
"Arrivederci" disse Brad.
Spontaneamente, senza pensarci, si baciarono per la prima volta, a lungo
e appassionatamente, poi rimasero l sulla soglia, abbracciati, a occhi chiusi.
"Non voglio andarmene" disse Philip. "Mi sento al sicuro qui. Ti assicuro
che la cosa che desidero di pi restare qui con te, Brad."
"Io sar qui" disse Brad.
"Grazie" disse Philip. "Bene, ci siamo, vado a tuffarmi nel gelido ignoto."
Si allacci la cerniera della giacca a vento; e baci di nuovo Brad.
Poi tolse il catenaccio alla porta e sgusci fuori dalla fessura. Sulle scale,
scese lentamente, non volendo svegliare nessuno.
Fuori la strada era vuota, buia a eccezione della luce di un unico
lampione.
Nel taxi che sfrecciava veloce uptown, Philip si sent stranamente
stordito, quasi drogato. Si raggomitol su se stesso alla ricerca di calore
appoggiandosi contro il sedile macchiato, e costringendosi a tenere gli occhi
spalancati per tenersi sveglio. Ricordava una notte della sua prima infanzia
in cui si era svegliato tutto sudato e con la nausea, e i suoi genitori avevano
dovuto portarlo al pronto soccorso.
Fuori era appena nevicato, e ora seduto nel taxi ricord vividamente come
si era sentito strano mentre veniva strappato dal sonno e trascinato nel
mondo, ancora in pigiama, avvolto nelle coperte. Rose, che indossava la
camicia da notte sotto il cappotto, lo tenne in braccio sotto la tettoia di casa

mentre Owen percorreva in lungo e in largo la silenziosa, chiara strada di


mezzanotte, alla ricerca di un taxi.
In quel ricordo la neve cadeva ininterrottamente, persino nella saletta da
visita dell'ospedale dove il dottore gli diede una supposta; la neve, e con
essa un'indicibile paura.
Non riusciva a credere che il mondo sarebbe tornato a essere lo stesso; e
fu certo che d'ora in avanti, ogni notte della sua vita, la neve sarebbe caduta
in forti raffiche, mentre la morte era a portata di mano. Stanotte lo rivisit quello spaventoso senso di irrealt, come se lui fosse lo spettro del sogno di
qualcun altro. La sua capacit di sentire questa notte era cos acuita che si
sentiva come uno di quei bambini tutti ammaccati da uno shock allergico
per il semplice tocco dell'universo naturale. Tutto lo spaventava - il sedile
sporco del taxi, la prostituta che attraversava la strada, l'odore del caff della
tavola calda. Si gir a guardar fuori dal finestrino, e si trov di fronte al
familiare orizzonte del West Side - adesso pi buio, dato che quasi tutte le
luci erano spente. La citt gli era sempre sembrata enorme da questa
prospettiva, e gli sembrava ancora enorme, ma adesso, non era tanto un
posto in cui poteva succedere qualsiasi cosa quanto un paesaggio in cui
avrebbe potuto perdersi in qualsiasi momento, scomparendo per sempre
come pareva succedesse in continuazione alla gente di questa citt.
Venivano affissi manifesti, offerte ricompense; la gente enunciava teorie,
affermava di aver visto i propri amici vagare, ormai fantasmi, sulla Wall
Street. Uno studente della scuola di teologia, una segretaria, un immigrato
coreano che non parlava inglese - tutti scomparsi senza lasciar traccia.
Adesso immagin di essere tra loro, con la sua faccia che, come loro,
fissava il vuoto dai manifesti improvvisati affissi ai muri dei caff, e nella
metropolitana.
Il taxi imbocc Broadway, dove alcune insegne al neon risplendevano
ancora sopra i negozi chiusi, e alcuni uomini erano raggomitolati sotto le
tettoie. Un'enorme macchina per pulire la strada stava strisciando dall'altra
parte del viale come uno strano animale notturno, annerendo l'asfalto con
l'acqua. Il taxi gir di nuovo, poi si ferm fuori da casa sua.
"Grazie" disse Philip, pagando il conducente, che sfrecci via senza una
parola. Adesso era solo. Brillavano solo poche luci, cupe e giallastre, alle
finestre delle case popolari, l'unico rumore era il ronzio distante dello
spazzastrade, qualche isolato pi in l.
Sal lentamente i gradini che portavano alla squallida entrata di casa sua e
vi trov Owen accucciato sul pavimento col suo trench, a occhi chiusi.
"Pap" disse.

Owen balz in piedi. "Philip" disse, "devo essermi addormentato."


Sorrise, aveva gli occhi rossi, gonfi di pianto. Un sottile filo di sangue secco
gli scendeva da una spaccatura nel labbro inferiore fino al mento.
"Grazie per essere venuto, figliolo" disse Owen.
"Entriamo" disse Philip, e cerc le chiavi. "Devi aver freddo."
Owen sorrise di nuovo. Entrarono, salirono la gialla rampa di scale verso
l'appartamento di Philip. Era un po che non puliva la casa, e nell'aria c'era
un odore stagnante di chiuso e di abiti sporchi. "Lascia che apra le finestre
per dare un po d'aria a questo posto" disse Philip.
Ma Owen disse: "Non fare niente per me" Si tolse il cappotto, lo appese a
un gancio in cucina. "Prendi quello che vuoi dal frigorifero" disse Philip
mentre toglieva le lenzuola dal letto per rifarlo.
"Oh, non farlo. Io dormo sul pavimento."
"Pap, non essere ridicolo."
"No" disse Owen. "Insisto." Si diresse verso il frigorifero, lo apr, ed
estrasse un cartone di succo d'arancia. "Controlla la data" lo avvert Philip.
"Potrebbe essere andato a male."
Owen apr il cartone e lo annus.
"Temo proprio di s." Rise. Si tolse la giacca e la cravatta e si sedette sul
divano di Philip per togliersi le scarpe. Poi si lev le calze e Philip vide le
caviglie pallide di suo padre, segnate da piccole scanalature rossastre che
corrispondevano al disegno operato delle calze. Erano calze blu, che, col
sudore, avevano lasciato delle macchie inchiostrate sulla punta dei piedi di
Owen. "Avrei dovuto pensare a portarmi un cambio d'abiti" disse, "ma
torner a cambiarmi dopo che Rose sar uscita per il lavoro."
"Mi sembra una buona idea" disse Philip. Prese un pigiama da un cassetto
e lo port pudicamente in bagno per cambiarsi. Quando usc, vide suo padre
piegato su se stesso, con la testa quasi a terra, che fissava il pavimento.
"Pap" disse.
Owen non rispose.
"Ti senti male?" chiese Philip.
Owen alz la testa, fece un debole sorriso. "Non lo so, figliolo" disse.
"Penso di essere solo confuso. Questa praticamente la prima volta da
duo o tre anni che passo una notte da qualche parte che non sia accanto a tua
madre, a casa. Talvolta non mi riconosco proprio pi."
Philip fiss il pavimento. "Mi spiace che il succo d'arancia sia andato a
male. Ma ho del succo di mela e di albicocca molto buono. Ti piacer."
"Grazie, figliolo, non fa niente."
"D'accordo." Philip si gir a guardar fuori dalla finestra. "Allora, mi vuoi
dire cos' successo?" Tenne gli occhi fissi fuori dalla finestra.

Owen non si mosse. Sedeva su un vecchio divano, respirando


affannosamente. "Non so bene quanto tu abbia capito di me in quest'ultima
settimana" disse piano.
"Cosa vuoi dire?"
Owen non rispose subito. "Sono un omosessuale" disse alla fine. "Sono
anch'io un omosessuale."
Philip fiss la fila ordinata di bidoni per la spazzatura nel vicoletto,
ascolt il sibilo del radiatore.
"Ti sorprende la notizia, figliolo?"
"No, non proprio" disse Philip. I suoi occhi incominciarono a lacrimare
all'improvviso. "Solo, solo che immagino di non essermi mai permesso di
vederlo prima."
"Abbiamo detto la stessa cosa anche a te, ricordi, tua madre e io?"
"S." Stava tremando violentemente, ma non riusciva a staccarsi dalla
finestra. Si circond il corpo con le braccia, strinse i denti per non sbatterli,
e cerc di costringersi all'immobilit.
"L'hai detto alla mamma stasera? questo che successo?" riusc a
chiedere.
Owen si strinse nelle spalle. "Pi o meno" disse. "Lo aveva gi capito da
sola dalla sera in cui sei venuto a casa per raccontarci di te. Quindi si
trattava solo di parlarne."
"E come si sente?"
"Confusa" disse Owen. "E arrabbiata." Abbass la voce. "Mi ha detto che
pensava che avessi fatto la figura dello stupido con Winston stasera, che
l'avevo messo in imbarazzo. Lo pensi anche tu?"
"Pap" disse Philip, "spero che tu non pensi che... perch ho raccontato
alla mamma quello che mi avevi detto di Winston... che..."
Owen croll la testa. "Non preoccuparti per questo" disse. "Lo sapeva
gi." Distolse lo sguardo.
"Spero proprio di non essermi tradito cos. Se vero... non so come
riuscir mai ad affrontare... come riuscir mai..."
Ma Philip scosse la testa. "Winston non era per niente imbarazzato" disse.
"In macchina mentre mi accompagnava a casa mi ha detto che si
divertito moltissimo stasera."
"Davvero?" disse Owen.
"Gli piaci un sacco, pap; pensa che tu sia fantastico. Quindi non
preoccuparti."
Owen sorrise a dispetto di s. "Be, questo almeno un sollievo" disse.

"Ma Rose..." Sospir. "Non so proprio cosa succeder, Philip. Se


resteremo insieme, se ci separeremo. Un minuto cos arrabbiata, e il
minuto dopo cos triste, cos debole."
Philip si raggomitol ancor di pi.
Cont i bidoni della spazzatura fuori dalla finestra, cont le finestre della
casa popolare dall'altra parte del vicolo.
"Probabilmente" disse Owen, "ti stai chiedendo da quanto tempo lo so. E
la risposta , come per te, da tutta la vita. Ma ai miei tempi, le cose erano
diverse, Philip. Oh, alcuni ce la facevano, immagino, anche se significava
sacrificare la famiglia, la carriera - tutto. Era una malattia, capisci. Quindi io
sposai tua madre, sperando che sarei guarito. Lo speravo davvero. In quei
primi anni ce l'ho messa proprio tutta. Ma il problema era il sesso. Io... io
non riuscivo ad avere un orgasmo senza delle fantasie sugli uomini, e
dovevo avere un orgasmo, altrimenti tua madre, avrebbe... Ti spiace se ti
racconto tutto questo?"
Philip scosse la testa, continu a contare.
"E poi" continu Owen, "ci trasferimmo a New York." Fece una pausa,
tir il fiato. "Di colpo c'era questo immenso mondo omosessuale, aperto e
allettante. O forse c'era sempre stato, e io ero finalmente pronto a
incominciare a cercarlo."
Emise un lungo sospiro doloroso. "Non ne ho mai parlato, te ne rendi
conto?" disse, con la voce ancora una volta tesa dalla disperazione. "A
cinquantadue anni, questa la prima volta in vita mia che lo ammetto di
persona e non al telefono. Mio Dio.
Mio Dio."
Tacque per un momento. Philip chiuse gli occhi e preg di non piangere,
che suo padre non piangesse. Si aggrapp alla finestra, sapendo che doveva
mantenere il controllo, sapendo che non doveva fermare suo padre anche se
lo desiderava con tutte le sue forze.
Quello che era incominciato ormai era inevitabile. Era come se Owen
stesse partorendo qualcosa con le sue parole, qualcosa che era deciso a
combattere per uscire a forza da lui.
Owen allora incominci a parlare, e sembrava che non riuscisse pi a
smettere. Le parole gli uscivano a fiotti. "Ho incominciato ad andare al
Bijou e ad altri cinema porno quando avevo trent'anni" disse. "Ragazzi,
come ero spaventato la prima volta - ma anche eccitato. Perch quello che
stavano facendo quegli uomini su quello schermo - era esattamente quello
che volevo fare io, quello che avevo sempre voluto fare. E lo facevano con
tanta naturalezza, con tanta disinvoltura. Non erano timidi o spaventati. Non
si preoccupavano che fosse sbagliato o no. strano, ma quei film porno

erano una specie di cura per me. Tutti pensano che la pornografia sia
allettante, e immagino che lo sia, ma per un uomo spaventato come lo ero
io, be, mi dicevo che quel che provavo non era poi cos sbagliato, e che non
ero il solo a provarlo. Questi uomini dicevano: Non scacciarlo dalla tua
mente. Goditelo.
Festeggialo." Sorrise. "Quando quegli uomini facevano l'amore" disse,
"avevano la ribellione negli occhi, e questo ha voluto dire molto per me,
Philip, davvero. Cos divenni pi coraggioso, incominciai a incontrare degli
uomini al Bijou, ad avere degli scambi sessuali con loro. Non molto, sulle
prime. Ma poi, col passare del tempo, sempre di pi, finch non feci tutto o per le meno, tutto quel che si pu fare in un posto pubblico. E tutto senza
una parola, senza uno scambio di nomi, non incredibile?
Neanche una volta. Dopo mi sentivo cos colpevole che mi precipitavo
fuori dal cinema e giuravo che non ci sarei pi tornato. Ci andavo ogni
domenica, e ogni domenica tornavo a casa e vedevo Rose e avrei voluto
uccidermi, tanto mi sentivo male per quello che le stavo facendo. Ogni
settimana giuravo che non ci sarei tornato. Ma poi arrivava di nuovo la
domenica, e non riuscivo a controllarlo. Lo capisci?" chiese.
"Davvero non riuscivo a controllarlo.
Per questo ero cos curioso quando tu mi hai raccontato che eri andato al
Bijou. Ho pensato, e se ci fossimo andati nello stesso momento? Se ti avessi
incontrato l, Philip, be, non so proprio cosa avrei fatto. Sono sempre stato
certo che tu mi avresti odiato, mi avresti ripudiato come padre se lo avessi
scoperto. Forse per questo in tutti questi anni sono stato cos distante come
padre. Forse pensavo: Se non mi conosce bene, per lui non sar un colpo
troppo duro quando sapr la verit." Rise amaramente. "Era orribile,
davvero, quello che provavo, la sensazione che avevo di correre un rischio
terribile ogni minuto della mia vita - di rischiare di perdere la mia famiglia,
la mia carriera, senza riuscire a farne a meno; senza riuscire proprio a farne
a meno. Ogni giorno pensavo che dovevo cambiare vita, che non potevo
continuare cos; ma sapevo anche che pi ci pensavo, pi mi allontanavo da
dove avrei dovuto essere. Era come se stessi combattendo contro la cosa
sbagliata, contro la mia vita con Rose mentre avrei dovuto combattere
contro l'omosessualit. Ma ormai mi era sfuggita di mano. Pi pensavo alla
possibilit di amare un uomo, meno mi era possibile tornare alla mia vita
con Rose, e nemmeno il Bijou riuscivo pi a sopportarlo, non riuscivo
proprio pi a sopportarlo. E poi sei venuto a casa tu, con la tua notizia."
Sorrise. "Ero cos sconvolto" disse.
"Non avrei mai immaginato che tu potessi essere gay, probabilmente
perch ero tanto preso dalla preoccupazione di come avrei fatto a raccontare

al mio figlio regolare la verit sul mio conto. Tutto quello che tu dicesti mi
spavent a morte, ma mi illumin anche, immagino, mi diede un incentivo.
Quella sera, mi resi conto che non avrei pi potuto lasciare le cose
com'erano. Bene o male, mi ero spinto troppo in l. Dopo d'allora - be, era
solo una questione di tempo perch Rose lo capisse. Abbassai la guardia.
Immagino che inconsciamente devo aver desiderato che lei lo scoprisse,
perch smisi di prendere precauzioni. Era cos facile, non dover prendere
delle precauzioni. Cos beatamente facile."
Tacque per un attimo. "Mi spiace di parlar tanto" disse. "So che molto
tardi. Probabilmente tu devi andare a letto. Non parler pi."
"Non essere sciocco, pap" disse Philip. Guard la sveglia e vide che
erano quasi le tre. Ormai di dormire non se ne parlava pi comunque.
Cautamente si gir a guardare suo padre. "C' qualcosa che posso fare per
te?" chiese. "Posso aiutarti in qualche modo?"
Owen si strinse nelle spalle.
"L'altra sera ho conosciuto un uomo" disse, "e penso che probabilmente lo
rivedr. Anche lui sposato. Pi giovane di me, ma non molto. Mi piace
tantissimo."
"Questo bello" disse Philip. E di nuovo, enfatizz: "Questo bello. Ma
la mamma?"
Owen sospir. "Non lo so" disse.
"Non lo so proprio."
"Sono sicuro che tutto andr bene" disse Philip. Si allontan dalla finestra
e si diresse verso l'armadio, sapendo che suo padre stava guardandolo con la
coda dell'occhio, senza per azzardare uno sguardo diretto. Prese coperte e
lenzuola e incominci a preparare il letto di Owen sul pavimento. "Temo
che non sar troppo comodo per te" disse. "Sei sicuro che non vuoi il mio
letto?
Posso dormire io sul pavimento."
"Non ha molta importanza" disse Owen. Si alz e cammin verso la
finestra. "Ges" disse. "Non riesco a credere che stia succedendo proprio a
me."
"Pap" disse Philip, "stai facendo la cosa giusta parlandone. Di questo
non devi mai dubitare."
"Lo so" disse Owen. " strano, tremo tutto, come nel giorno del mio
matrimonio. Mi sento cos strano, cos solo e tagliato fuori, come se avessi
fatto qualcosa di irreversibile, e le cose non potessero pi essere le stesse, e
niente potesse pi essere normale, e non potesse esserci pi niente di bello."
E di nuovo fu sull'orlo delle lacrime.
"Sembra cos stanotte" disse Philip.

"Ma domani sar diverso." Desider con tutte le sue forze di poter
raccogliere il coraggio necessario ad abbracciare suo padre e cap che non
ce l'avrebbe fatta. "Ti sentirai di nuovo bene. Te lo assicuro. Dai tempo al
tempo." E Owen annu.
Aveva appoggiato le lenzuola e le coperte sul pavimento. "Sei pronto a
dormire?" chiese, e Owen si gir, asciugandosi gli occhi. "Grazie" disse,
guardando il letto improvvisato che aveva allestito Philip. "Ha un'aria molto
comoda." Distrattamente incominci a sbottonarsi la camicia, e Philip si
allontan, spense la luce.
Ma l'appartamento era illuminato dalla luna, e nell'ombra riusciva ancora
a vedere il petto di suo padre, i suoi piccoli capezzoli marrone, col loro
anello di peli grigi. Guard per qualche secondo, poi distolse gli occhi.
Owen si slacci la cintura, abbass la cerniera dei pantaloni che, con un
tonfo di chiavi, caddero a terra e Owen ne usc fuori. Aveva un'aria sperduta
nei suoi boxer shorts bianchi. Cautamente, si spost sul pavimento, si sdrai
sul nido di coperte, si raggomitol in una palla.
Il lenzuolo non era abbastanza lungo per coprirgli i piedi. Tremava
visibilmente, roteando gli occhi mentre cercava di costringersi a quel po di
sonno che una notte gli poteva offrire.
Philip gli pass accanto per andare in cucina. Si lav i denti, guardando lo
spazzolino andare su e gi nello specchio. Per un momento pens di
chiamare Brad, poi cambi idea. Si sciacqu la bocca e rimase sulla soglia
della cucina davanti al corpo prono di suo padre. Sarebbe rimasto sveglio a
lungo, lo sapeva, a guardare le bianche caviglie di Owen al chiaro di luna.

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