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"Philip allung una mano e gli accarezz la guancia, un gesto che persino
adesso gli sembrava grandioso e terrificante, bench Eliot se ne accorgesse
a malapena. Per lui, simili manifestazioni d'affetto non erano niente; la sua
vita ne era stata piena, buffetti e carezze e baci casuali, mentre per Philip
appoggiare una mano su una guancia era un gesto di tale portata che doveva
essere contato, tesaurizzato, conservato.
Irradiava potere; esigeva coraggio.
Philip capiva che al mondo c'era gente come Eliot alla quale amore e
sesso venivano facili, senza una sollecitazione attiva, come un forte vento a
cui bastava porgessero il viso perch soffiasse su di loro. Capiva anche di
non essere una di queste persone"
In La lingua perduta delle gru, il suo primo romanzo, David Leavitt coglie
meravigliosamente la passione e la paura di un nuovo amore. Storia di una
famiglia in crisi, di segreti dei genitori e segreti dei figli, La lingua perduta
delle gru un romanzo in cui ogni personaggio - padre, madre, figlio compie un percorso di scoperta e accettazione.
Con Ballo di famiglia Leavitt diventato, fra gli scrittori giovani, il pi
acclamato dalla critica e il pi amato dal pubblico. Per tenerezza e ironia,
visione romantica e precoce esperienza del dolore, questo romanzo fa
definitivamente di Leavitt l'interprete pi intenso e raffinato del nuovo
sentimento contemporaneo.
Nato a Palo Alto in California, David Leavitt si laureato a Yale nel
1983. I suoi racconti sono stati pubblicati nel "New Yorker" e in "Harper's"
Il suo primo libro, Ballo di famiglia (pubblicato da Mondadori) stato
l'avvenimento letterario del 1986, e ha avuto otto edizioni.
Leavitt vive a East Hampton, New York.
Viaggi.
Nel primo pomeriggio di una piovosa domenica di novembre un uomo
scendeva frettoloso lungo la Terza Avenue, superando fioristi ed edicole
chiusi e sbarrati, le mani sprofondate in tasca e la testa china contro il vento.
La strada era deserta ad eccezione di qualche taxi, che tagliando l'acqua
grigia delle pozzanghere la schizzava via in zampilli. Dietro le finestre
illuminate delle case d'appartamento la gente si stiracchiava, separava le
pagine dell'edizione domenicale del "Times", versava il caff in tazze di
ceramica smaltata, ma in strada la scena era completamente diversa: un
vagabondo coperto da sacchetti di plastica fradici era raggomitolato
nell'androne di un negozio; una donna con un cappotto marrone si riparava
la testa con un giornale e correva; un paio di piedipiatti i cui walkie-talkie
blateravano voci distorte ascoltavano il pianto di una vecchia di fronte a un
edificio smaltato di rosa. Cosa, si chiese l'uomo, cosa ci faceva lui,
individuo degno e rispettabile, con un appartamento ben riscaldato, buoni
libri da leggere, una macchinetta del caff, qui fuori tra questa gente, in
mezzo alla strada in una fredda mattina domenicale? Rise di s per essersi
fatto ancora una volta quella domanda e prosegu. Qualunque cosa si
inventasse, egli sapeva, stava andando dove stava andando.
Solo qualche isolato pi a nord di l, al dodicesimo piano di un edificio di
mattoni un tempo discretamente bianchi e ultimamente dipinti di un vistoso
azzurro cielo, una donna sedeva a una scrivania, muovendo pazientemente
una matita rossa su un manoscritto. Percepiva appena il ritmo martellante
della pioggia contro la grondaia mentre l'acqua si riversava a fiotti sulla sua
finestra. Le sue labbra si muovevano senza un suono, ripetendo le parole
che aveva davanti.
Alla televisione, che era accesa ma senza audio, un attempato dinosauro
di un cartone animato zoppicava in un paesaggio grigio gesso, i capelli uno
spazzettone bianco, tra i denti un bastone cui era legata una cartella.
Ignara del dinosauro, la donna respirava al ritmo della sveglia di cucina, e
la sua matita passava sul manoscritto come una bacchetta magica, risanando
tutto ci che toccava. Non pensava a suo marito, che camminava da solo,
lottando con gli scrosci di pioggia.
Rose chiamava spesso il suo quartiere, con i suoi grattacieli rosa, azzurri e
rosso vivo, il Middle East. Era in effetti pieno di uomini dalla pelle scura
che portavano occhiali da sole a mezzanotte, di sceicchi biancovestiti in
limousine, di donne nerovelate che mercanteggiavano con la vecchia e
stanca proprietaria della drogheria coreana. Dove viveva lei, le piaceva
spiegare, era troppo a ovest per essere Sutton Place, troppo a est per essere
midtown, troppo a nord per essere Murray Hill, troppo a sud per l'Upper
East Side. Stando alle piante della citt era Turtle Bay, ma Rose, che aveva
il senso dell'esattezza di un revisore di manoscritti, sapeva che Turtle Bay
delimitava soltanto alcune strade laterali illuminate da vecchi lampioni, con
alberi rigogliosi e villette monofamiliari.
Rose e Owen abitavano nella Seconda Avenue vera e propria. La camera
matrimoniale si affacciava su macchine e taxi e sul traffico stradale. Le
sirene ululavano per tutta la notte, cosicch ultimamente Owen aveva preso
l'abitudine di ficcarsi dei tappi di cera nelle orecchie quando andavano a
letto.
Ventun anni prima, quando si erano trasferiti nell'appartamento, il
quartiere era stato il dominio umile e pervicacemente medio borghese di
gente che avrebbe potuto identificarsi con Lucy e Ricky Ricardo, salvo che
non faceva niente di cos eclatante come lavorare in un nightclub. Col
passare degli anni il quartiere era divenuto sempre pi ricco. Grazie alla
stabilizzazione degli affitti, Rose e Owen continuavano a pagare l'affitto di
un'era perduta mentre il futuro sdruciolava via davanti a loro, uptown e
downtown, sulla Seconda Avenue.
Nelle loro immediate vicinanze, poco cambi visibilmente, ma Rose
sapeva che erano i cambiamenti invisibili che alla fine sarebbero stati i pi
implacabili.
Da vent'anni Rose faceva il redattore, dotata della rara capacit di sedere
tutto il giorno in un cubicolo, come un monaco in una cella, a leggere con
un rigore quasi penitenziale. In momenti di tensione si calmava trovando
sinonimi: sentire, comprendere, condividere; infuriarsi, imprecare, perdere
la tramontana; addolcire, placare, calmare. A muoverla era l'istinto di
mettere in ordine il mondo, come, seduta alla sua scrivania, metteva in
ordine le frasi, correggendo anacoluti e sfrondando participi inconseguenti,
sciogliendo nodi e grumi finch la prosa sotto i suoi occhi acquistava
splendore, come una glassa perfetta. La cucina era un altro dei suoi piaceri.
Andava fiera dei cibi che non assomigliavano in nessun modo ai loro
ingredienti: frutti in miniatura fatti di marzapane; glasse seriche e perfette
(grazie alle quali la torta sembrava un ripensamento, una banalit, una scusa
per l'idea) Owen sedeva di fronte alle torte che Rose faceva e le fissava, con
la faccia piena di una specie di timore reverenziale, perch era cresciuto in
una casa senza glasse, nutrito con asciutte e pesanti torte di noci e
plumcake. Uomo tranquillo, mangiava le torte di Rose con una ferocia di
cui la maggior parte della gente non l'avrebbe sospettato capace.
Avevano un figlio, Philip; aveva venticinque anni, e viveva nel West
Side. C'era una particolare immagine dei suoi genitori che aveva per lui una
Dato che loro due lavoravano nella stessa zona, il pranzo per loro era una
possibilit concreta.
Rose lavorava da vent'anni alla T.S. Motherwell, una piccola casa editrice
letteraria. Aveva sistemato con ordine il suo cubicolo. La mattina beveva il
caff con la sua amica Carole Schneebaum, poi spariva dietro la porta per
dedicarsi alle sue letture metodiche. Ogni ora o dieci pagine (a seconda di
quale delle due cose veniva prima) si alzava, si stiracchiava, e beveva un
po di caff. Altrove nell'ufficio c'era gente che si allarmava per la scarsit
delle vendite e per le cattive recensioni, ma per lei tutto questo non
significava granch. A pranzo con Philip lo ascoltava parlare di veste
editoriale e di marketing del prodotto, ma neanche questo la interessava
granch. Philip lavorava per una Societ che sfornava romanzi d'amore
tascabili al ritmo di cinque o dieci al mese. Si meravigliava un po per il suo
entusiasmo per il lavoro, ma la vita di Philip aveva parametri diversi dalla
sua. "Imparare a usare il computer una cosa impagabile" le spiegava. "In
ufficio tutto viene fatto sul monitor di un computer, mamma. Non si vede
neanche una macchina da scrivere in giro."
Rose aveva una macchina da scrivere Royal vecchia di trentacinque anni.
Non avrebbe dovuto sorprenderla che il mondo l'avesse sorpassata,
eppure la sorprendeva. Philip viveva in una strada sporca in una parte della
citt in cui Rose aveva sempre pensato che i bianchi non potessero neanche
passeggiare. Ma no, l'assicurava lui, il suo quartiere un tempo devastato
aveva ripreso quota; era quasi chic.
Il piccolo appartamento in cui viveva era un gemma, un gioiello, anche se
aveva soltanto una stanza, e la vasca da bagno era nella zona cucina.
Durante un fine settimana in cui Owen era via per una conferenza, Philip
l'aveva invitata a cena per mostrarle l'appartamento. A Rose non piacque
l'aria che tirava in quella strada, gli adolescenti portoricani con le radio sulle
spalle, i gatti randagi che miagolavano sul marciapiede.
C'erano graffiti sull'edificio, bottiglie vuote di rum sulle scalette
d'ingresso. Dentro, comunque, c'erano mattoni a vista e pareti color malva
disseminate di poster incorniciati.
Philip aveva dipinto la vasca da bagno di un rosso brillante.
Una volta finita la cena, Philip si infil il cappotto per accompagnare sua
madre a Broadway, dove poteva prendere un taxi. "Questa una zona molto
africana" le disse mentre si facevano strada tra una congrega di bambini
minacciosi radunati nei corridoi. "I corridoi di questo caseggiato odorano di
spezie africane." Uscendo dalla porta dovettero scavalcare un uomo
addormentato nel vestibolo. "Il nostro portiere" disse Philip, e rise.
"Philip" disse Rose, sta bene quell'uomo?"
risvegliarne la vita urlando fino alla raucedine. Non c'era niente l. Poi si
capiva che la citt era solo un sogno, mentre lui era in una vasca
d'isolamento, sottoposto a una serie di controlli in vista di un eventuale
lancio nello spazio. Buona fortuna, John Glen. Siamo tutti con te.
Altra gente, pens Rose, era mimetizzata. Se qualcuno l'avesse assalita
proprio ora, trascinandola in un vicolo, chi avrebbe sentito? Il rumore non
sarebbe certo arrivato fin su negli appartamenti. Non era forse successo che
una donna era stata violentata sotto la sua finestra mentre lei dormiva o
leggeva o semplicemente se ne stava l seduta, senza mai curarsi di guardar
fuori?
Si tuff nello Horn e Hardart Automat della Quarantaduesima Strada.
Una musica natalizia scampanava nella cavernosa caffetteria, rimbalzando
da colonne Art Deco e creando un coro balbuziente, in cui tutte le voci
erano mal sincronizzate tra loro.
Oltre questo suono c'era un basso ronzio di vita, di chiacchiere. Rose
guard le piccole vaschette di metallo, ciascuna delle quali conteneva una
cosa distinta: un tramezzino al tonno con la sua guarnizione di patatine
fritte; una coppa di lisci cubetti di gelatina rossa. La maggior parte per
erano vuote. Venticinque anni fa questo posto l'aveva incantata, quando
ancora sembrava una cosa venuta dal futuro.
Quell'ambiente figurava in una commedia dei tempi della Grande Crisi a
cui l'avevano portata da bambina a Chicago. Adesso ormai sapeva
abbastanza del futuro per capire che l'Automat era un pezzo di antiquariato,
un anacronismo, una cosa del passato. Prese una tazza di caff da un'anziana
donna nera con una calza tirata sui capelli e si sedette a berlo. Tutta la gente
dentro l'Automat era vecchia, e stavano mangiando cose come tacchino
arrosto con fagiolini e bistecche di manzo. Mangiavano lentamente, e
masticavano ogni boccone metodicamente, come le diceva di fare sua
madre, per farlo durare di pi. La maggior parte della gente era da sola,
alcuni a coppie, e molti avevano l'aria di vivere per strada. Quello che
voleva lei era una cheeseburger, un super burger di Burger King,
gocciolante maionese e senape e pieno di sottaceti. Indulgeva in questo
vizio segreto soltanto di quanto in quando, e sempre con grande senso di
colpa, azzannando l'hamburger assassino in un angolo in modo da uscire il
pi presto possibile. Aveva sempre paura di essere vista mentre mangiava
delle porcherie, anche se si rendeva conto che chiunque la vedesse
probabilmente stava mangiando le stesse cose. Ora, dentro l'Automat, Rose
vide se stessa, una donna di mezza et, alta, con un cappotto abbottonato fin
sotto il mento, che beveva un caff tutta da sola, e prov tanta piet per
Owen camminava. Non era un'attivit; era una condizione. Per miglia e
miglia, con stivali spessi, per tutta la lunghezza di un'isola, camminava.
Non aveva una destinazione. La sua destinazione era un cerchio.
Camminava in modo che quando fosse arrivato a casa, nella calda luce del
soggiorno e nel profumo della cena, queste cose gli sembrassero reali, la
casa gli sembrasse reale. Camminava per scacciare il panico invadente di un
umido pomeriggio domenicale, di un appartamento sul punto di esser perso,
di una vita che si avvicinava all'inizio della sua fine. Quando camminava, si
fermava soltanto alle edicole. Osservava le copertine delle riviste
pornografiche, scrutandole con minuzia ma non con sentimento. Era una
giornata schifosa per essere all'aperto. Giovani con ancora indosso il
pigiama sotto il cappotto sfrecciavano da sotto le tettoie per afferrare le
copie del giornale della domenica. Altri bighellonavano agli angoli di strada
o si appoggiavano ai muri - prostitute e accattoni, spacciatori di droga, hare
krishna, tutti in vendita o con qualcosa da vendere - mentre i compratori
girellavano, girando intorno ai loro bersagli, alla ricerca delle facce giuste
per un cenno del capo, una strizzata d'occhio, un sorriso. Un segnale.
Owen era un esperto di domeniche.
Riconosceva le trappole.
Per anni si era sentito sicuro soltanto nel suo appartamento, soltanto con
Rose. Ma adesso tutto si era capovolto. L'appartamento era il posto in cui
aveva paura. Pericoli non identificabili erano in agguato negli angoli, pronti
a scattare. Dalle pareti, dal copriletto, dal sof emanava elettricit statica.
Non poteva avvicinare le dita a nessuna nessuna superficie senza rischiare
una piccola scossa. E, peggio ancora, la minaccia era oscura. Si nascondeva
come un codardo, si rifiutava di mostrare la faccia. Non riusciva a darle un
nome. La sua angoscia cresceva al punto da costringerlo a fuggire negli
spazi aperti della citt, dove, se non la sicurezza, trovava per lo meno la
compagnia di altri estranei spaventati. C'era una fratellanza di uomini di
mezza et che vagavano nei pomeriggi della domenica, guardandosi l'un
l'altro gravemente al di l della strada, senza mai fare un cenno col capo.
Sgattaiolavano accanto a Owen sul marciapiede, mentre le spalle dei loro
impermeabili si sfioravano. Emergevano al crepuscolo da uffici vuoti e
fermavano i taxi.
Tutti quanti portavano cappelli inclinati sul viso, gli occhi bassi
suggerivano segreti. Tutti quanti avevano segreti. E tuttavia almeno Owen
incominciava a essere stanco del suo. S, se qualcuno glielo avesse chiesto
adesso, chiunque, avrebbe raccontato tutto, anche se ormai non gli avrebbe
fatto alcun bene; lo avrebbe fatto per disprezzo. Ma nessuno glielo
chiedeva. Persino Rose non sembrava sospettare niente di lui; se l'era
come aveva fatto praticamente ogni domenica per quindici anni. Per molto
tempo questo posto lo aveva terrorizzato, ma ora lo stancava soltanto. Si
sedette nell'ultima fila con gli altri vecchi che volevano spararsi una sega ed
esser lasciati in pace. Stranamente, proprio mentre il suo appartamento, quel
paradiso di pace e sicurezza, si era riempito ultimamente di pericolo, questo
posto aveva perso la sua minacciosit. Era come se riuscisse a vederlo con
le luci accese, cosa che non succedeva mai, e non era altro che una stanza
con un sacco di poltrone macchiate al punto che non si poteva dare pi un
nome al loro colore originale. Niente stava in agguato qui. Non c'era
mistero. Solo l'arrapamento crescente e collettivo di migliaia di uomini,
iniziati e veterani, che deglutivano e annaspavano e stringevano la presa in
tandem con le presenze sullo schermo gigante.
Owen sedeva nell'ultima fila. Sullo schermo c'era un primo piano della
faccia contratta dal piacere di un ragazzo mentre il liquido bianco gli
scivolava gi per le guance, indugiando sulla punta delle sue ciglia come
neve, cadendogli sulla lingua dardeggiante. A Owen parve che stesse
trasformandosi nell'albero di una foresta invernale. Owen si concentr.
Doveva faticare per essere eccitato da queste immagini. In realt, era cos
assorto che si accorse a malapena quando qualcuno si sedette accanto a lui.
Si gir una volta, poi torn a guardare lo schermo. L'uomo sembrava sulla
trentina, con capelli castani, baffi, piccoli occhiali di tartaruga che
incorniciavano occhi chiari. Indossava un gilet marrone. Stava fissando
Owen intensamente. Owen ricambi lo sguardo, poi fiss risolutamente lo
schermo. Sullo schermo il ragazzo veniva incatenato a una staccionata di
metallo da un piedipiatti mentre un altro gli tirava gi i pantaloni e si
toglieva, accarezzava e massaggiava una grossa cintura. Owen tuttavia
continu a sentire lo sguardo fisso dell'uomo accanto a lui, caldo come il
fiato.
Chiuse gli occhi. Gli faceva rabbia che questa occasione si presentasse
adesso, proprio quando pi di ogni altra cosa desiderava restare solo a
crogiolarsi nella sua disgrazia. C'era tempo? Non era troppo esausto? Ce
l'avrebbe fatta a farsi venire un'erezione? Vecchie domande si risvegliavano
in lui. Erano mesi che non faceva niente del genere. Ed era cos stanco.
Sospir forte. Come per caso, appoggi la mano sulla coscia dell'uomo.
Con gli occhi fissi sullo schermo, si fece strada a tentoni lungo i jeans fino
al caldo rigonfiamento dell'inguine e si fermo l ad armeggiare.
Il respiro dell'uomo era profondo e irregolare. La sua mano era sulla
gamba di Owen. E adesso Owen tir gi lentamente la cerniera, sent la
cosa scattare come un'ondata di calore, pulsare contro il cotone sottile e
caldo della biancheria intima dell'uomo. Continu a guardare lo schermo
mentre il ragazzo, bench protestasse, veniva preso ancora una volta dal
piedipiatti, e ancora una volta ne godeva. L'uomo stava soffiando fuoco
sulla spalla di Owen.
Cautamente Owen si pieg verso di lui, e un braccio gli imped di piegarsi
sul bracciolo.
Owen guard verso l'uomo, o verso la sua faccia, era una faccia gentile,
pura, preoccupata. "Per favore" sussurr l'uomo. "Non posso farlo qui.
Per favore non possiamo andare da qualche altra parte?"
La mano di Owen si sollev spasmodicamente. Guard lo schermo come
alla ricerca di una guida. Sullo schermo il piedipiatti disse: "S, merda, s"
L'uomo voleva andare da qualche altra parte. Sedeva ripiegato sulla
poltrona, con la patta aperta, con un'erezione che faceva tenda sotto le
mutande. Guard Owen. "Ho una casa qui vicino; potremmo andare l"
disse, e Owen apr la bocca e guard dall'altra parte. Immagin di dire di s,
immagin che avrebbero dovuto parlare fuori dal cinema, scambiarsi i
nomi, forse stringersi la mano; avrebbero dovuto parlare dei loro lavori e
delle loro vite mentre si incamminavano ovunque stessero andando (cosa
avrebbero potuto dire?); peggio ancora, avrebbero dovuto ammettere a
vicenda alla chiara luce del giorno che erano venuti, ciascuno da solo, in
quel locale scuro della Terza Avenue, quel ricettacolo di vergogna e di
piacere solitario, e pertanto riconoscersi vicendevolmente come esseri
umani e non pi come semplici ombre che fluttuano e scimmiottano,
momento per momento, i movimenti guizzanti di giganti su uno schermo.
Owen sapeva come toccare; con le mani poteva essere dolce, focoso,
seducente. Ma nei quindici anni di frequentazione di questo locale non
aveva mai detto una parola a nessuno dei suoi partner; non aveva idea da
dove cominciare.
Scosse la testa. L'uomo si agit nervosamente; Owen non lo guard.
"Grazie" disse l'uomo. "Sar per un'altra volta." In un attimo era sparito.
Owen tutt'a un tratto pens di alzarsi e di seguirlo, ma sembrava fosse
congelato nella poltrona. Si lasci andare all'indietro, sgonfiato.
Nel giro di poche ore il suo desiderio di fare all'amore con quell'uomo, di
stringere quell'uomo, sarebbe divenuto cos acuto da essere praticamente
insopportabile. Sdraiato a letto avrebbe ricordato ogni piccolo tocco, e alla
fine avrebbe dovuto alzarsi, aprire la doccia, appoggiarsi contro la parete e
sentire l'acqua calda inumidirgli la pelle. Il giorno dopo in lui sarebbe
rimasta solo la speranza sufficiente a provare rimpianto. La sera, tutto
sarebbe stato morto; morto di fame.
Si tir su la cerniera, si strinse forte il cappotto in vita e si alz. A casa, lo
sapeva, c'era il dolce; c'era sempre il dolce. C'erano i libri, anche. Faceva
freddo fuori, quindi dentro sarebbe stato caldo. La casa lo avrebbe sostenuto
per una singola notte, e quando il panico fosse comparso la mattina dopo,
lui sarebbe stato in cammino verso il lavoro. La sopravvivenza era
possibile.
Not una piccola macchia bianca sul sedile accanto al suo. Era un pezzo
di carta. Lo guard per qualche secondo prima di prenderlo e aprirlo. Sul
pezzo di carta c'era scritto in una calligrafia minuta: "Alex Melchor"
Poi due numeri di telefono, seguiti da una "U" e l'altro da una "A" e sotto,
sottolineato due volte, "per favore telefonami"
Owen rilesse il bigliettino. Gir lo sguardo intorno a s, verso le ombre
nel locale. Guard le proprie mani, il sedile vuoto, lo schermo.
Poi ripieg il pezzo di carta e se lo ficc in tasca dirigendosi verso
l'uscita.
Fuori, il vento era forte e la neve cadeva nell'oscurit. Owen cammin
rapidamente, con le mani in tasca, le punte dei piedi intorpidite, osservando
il suo fiato formare nuvole sempre pi grandi e pi frequenti.
Pens ai suoi libri, alla torta nel frigorifero, e sorrise. Quell'uomo nel
cinema, coi capelli castani e gli occhi chiari, Alex Melchor, aveva lasciato il
suo numero di telefono.
Voleva rivedere Owen. Voleva Owen. E pensando all'uomo, Owen
cammin pi in fretta, mentre le pulsazioni nelle sue vene acceleravano. Poi
giur di aver sentito il proprio cuore scoppiargli in petto. E fu come se un
dolce liquido d'ambrosia si riversasse da quel vaso rotto, per scorrergli nelle
vene, riempiendolo e riscaldandolo, dal centro del suo petto fino alle fredde,
lontane estremit.
Philip era innamorato. Giaceva inchiodato sotto il corpo di Eliot, il suo
amante da quasi un mese, e non poteva muoversi. Si sentiva il braccio
sinistro come fosse una parte di Eliot - estranea e pesante - ma non osava
trovargli un'altra posizione.
Durante la notte doveva aver svegliato Eliot una decina di volte coi suoi
sobbalzi (l'amore lo faceva sobbalzare) e non aveva intenzione di rischiare
di farlo di nuovo. Rimase invece immobile, cercando di flettere le dita per
far circolare il sangue, e guard una scheggia di nube grigia passare tra la
riloga incurvata delle tende e l'intelaiatura dell'unica finestra. Il respiro di
Eliot gli faceva solletico ai peli sotto il braccio. Il radiatore sibilava, i
Dobermann del portiere abbaiavano, la pioggia ticchettava sul tetto. Cerc
di identificare gli odori complessivamente sgradevoli della stanza - piatti
sporchi, sudore, calze vecchie, e si chiese che ore fossero.
Pi o meno mezzogiorno, immagin, ma non poteva girarsi a guardare la
sveglia.
Poi Eliot sbuff e si rigir, liberando Philip, che si distric da sotto di lui
silenzioso e rapido come un animale che sfugge a una trappola.
Si strofin il braccio, aspettando che riacquistasse sensibilit. Da dietro,
Eliot gett un braccio su Philip - un braccio gradevole, pallido e vigoroso,
ombreggiato da scuri peli bruni. Con gli occhi chiusi, Eliot si stir
languidamente, poi si tir Philip pi vicino, avvolgendogli le braccia pi
strette intorno alla vita, le gambe intorno ai fianchi. Rimase immobile, poi
la sua mano cominci a muoversi su Philip, in un cerchio che si allargava,
per spostarsi poi gradualmente in basso. Gli occhi di Eliot non si aprirono.
Stava facendo un gioco, fingeva di essere ancora addormentato, e mentre si
rizzava sugli avambracci, Philip si gir inevitabilmente sulla schiena. Il
corpo di Eliot si assest su quello di Philip. La testa gli cadde dietro la
spalla di Philip, poi si sollev di nuovo. Apr gli occhi, sorrise, e lo baci.
"Buon giorno" disse.
Il braccio di Philip prese a pulsare e a ronzare di vita. "Eliot, aspetta."
"Perch?"
"Devo andare in bagno."
Eliot smise di fare quello che stava facendo. "Oh, tutto qui" disse.
Ridendo, rotol dall'altra parte del materasso.
"Mi spiace" disse Philip. "Torno subito." Si distric dalle lenzuola e dalle
coperte e si alz in piedi.
All'improvviso gli girava la testa.
Trem mentre urinava, e cerc di calmare la sua erezione, che dava
all'urina l'angolazione sbagliata, indirizzandola sul bordo del water e
facendola schizzare sul pavimento. Una volta finito, tir l'acqua, asciug
quel che aveva versato, e usc dalla porta. Durante la sua breve assenza
sembrava che la puzza fosse diventata pi intesa. "Cristo" disse, "cos'
questo odore?" Veniva dal lavandino, dove erano accatastati i piatti di tre
giorni, tutti incrostati di pezzi di cibo marcio e brulicanti di scarafaggi.
Poi not la sveglia. "Oddio" disse, e si port le mani alla fronte per
trovare l'equilibrio. "Sono le quattro. Abbiamo dormito tutto il giorno?
Devo lavare i piatti." In piedi davanti al lavandino, fece scorrere l'acqua,
spruzz del detersivo rosa su una spugnetta, e incominci a strofinare.
"Torna a letto" disse Eliot.
"Ma devo lavare questi piatti."
"Philip, torna a letto."
Philip si gir, sorpreso nel sentire il proprio nome, e guard Eliot.
Questi era ritto a sedere sul materasso, gli scuri capelli arruffati, una
barba di qualche giorno che gli scuriva le guance. Anche mezzo
addormentati, i suoi occhi sconvolgevano Philip e lo indebolivano.
"D'accordo" disse. Rimase l in piedi, nudo, e Eliot lo fiss. Poi - con una
voce che non aveva mai udito prima, una voce che apparteneva a Greta
Garbo - disse a Eliot: "Sono tuo"
Da tre settimane ormai non avevano passato una sola notte separati.
Eliot non aveva voluto. Viveva una vita non limitata da orari, senza
futuro, completamente aperta. Philip aveva letto su "Mademoiselle" nello
studio del dentista che era pericoloso per le coppie appena formate passare
troppo tempo insieme all'inizio, ma quando ne aveva parlato a Eliot, Eliot
non era parso affatto preoccupato. "Perch dovremmo star lontani l'uno
dall'altro se vogliamo stare insieme?" disse. "L'unico motivo per smettere,
mi pare, se non ci piace pi." Philip ne convenne. Non aveva un
particolare desiderio di passare una notte lontano da Eliot.
Aveva dormito da solo per tutta la vita. Tuttavia, si preoccupava che Eliot
potesse stancarsi di lui se passavano insieme ogni minuto, potesse annoiarsi,
frequentare un gruppo diverso, e incontrare qualcun altro.
Sembrava che potesse farlo facilmente.
Bench Eliot avesse centinaia di amici che gli telefonavano e gli
mandavano inviti a vernissage e a feste downtown, non aveva un'agenda
densa di impegni, o cene importanti per cui dovesse cambiarsi o impegnarsi.
Le sue giornate gli appartenevano, dedicate a una variet di misteriosi
progetti "freelance" Philip, per contro, era oberato dagli impegni, costretto
per cinque giorni alla settimana a stare dietro alla scrivania in un palazzo di
uffici in midtown, dove redigeva e talvolta riscriveva totalmente dei
romanzetti d'amore. Anche i suoi amici lavoravano tutti. Formavano una
rete complicata di meschini tradimenti e alleanze nei quali veniva spesso
richiesta la sua partecipazione.
Durante le ore di lavoro si incontravano a colazione da Amy's, e durante il
fine settimana per lunghe cene sonnolente in ristoranti etiopici, dopo le
quali dividevano il conto fino all'ultimo centesimo. Non era una vita che
apprezzava, ed era convinto che avrebbe fatto molto per Eliot, che lo aveva
salvato da questo tran tran; aveva fatto di pi per amanti che meritavano di
meno, organizzando la sua vita intorno alle loro vite, molto pi importanti,
dando la priorit a uomini per i quali lui era al massimo quarto o quinto.
Quegli altri ragazzi non avevano avanzato pretese di fedelt o di amore ed
erano sempre alla ricerca di qualcuno pi bello, o pi ricco o pi famoso. Se
non altro Eliot sembrava soddisfattissimo di Philip, gli piaceva arruffargli i
capelli come si fa con un ragazzino, e dire, "sei proprio carino, lo sai?" Ma
sembrava non pensasse mai neanche a cinque minuti dopo, e questo
preoccupava Philip. Insisteva nel dire che "viveva per l'attimo presente" una
Allora Philip guard fuori dal finestrino e vide che l'incrocio era pieno di
topi bianchi. A migliaia.
Brulicavano per la strada a frotte, in preda al panico, come piccoli
penitenti indistinguibili in una visione dell'inferno da quattordicesimo
secolo. Scendevano a cascata dal marciapiede e si tuffavano uno dopo l'altro
dentro ai canali di scolo. Contro la neve fresca erano pressoch invisibili,
impercettibili tremiti di movimento.
"Dio mio" disse Philip. Il tassista apr la portiera dal suo lato e usc dal
taxi, e Philip e Eliot lo seguirono. Nessuna delle macchine all'incrocio stava
suonando il clackson n stava facendo alcuno sforzo per muoversi. Persino i
passanti - perlopi donne vecchie che avrebbero strillato se avessero visto
una sola di queste creature sfrecciare da sotto un bidone della spazzatura - si
erano ritratti, e restavano l ammutoliti senza muoversi, mentre i topi
traboccavano da un camioncino bianco fermo su un angolo, con le ruote
anteriori sul marciapiede, e il cofano accartocciato contro un lampione.
"Povere creaturine" Philip sent dire da qualcuno - una voce che emergeva
dal basso ronzio della folla e che sembrava cos incorporea, cos irreale, che
dopo un attimo Philip si chiese se non l'avesse soltanto immaginata. I topi
correvano in cerchio o si ammassavano in mucchi di tre o quattro mentre i
clackson delle macchine incominciavano a suonare e i conducenti troppo
lontani per vedere quello che stava succedendo gridavano: "Ehi, vi volete
muovere?" Ma nessuno si muoveva.
Il tassista scosse la testa. Poco pi in l, altri tassisti stavano parlottando
in spagnolo. Poi tornarono tutti nei loro taxi. Philip ed Eliot seguirono
l'esempio. "Spero che nessuno si sia fatto male" disse Philip.
"Ci sarebbe un'ambulanza se qualcuno fosse rimasto gravemente ferito."
In lontananza, le sirene della polizia ululavano. Il tassista bestemmi,
sput per terra, suon il clackson, e incominci a guidare lentamente, ma
senza fermarsi. Il taxi apr il mare di topi, e gir nella Novantaseiesima
Strada. Philip chiuse gli occhi, temendo di provare l'impulso di guardarsi
alle spalle alla ricerca di piccoli grumi di sangue nella neve.
"Penso che li stessero portando su alla Columbia, nei laboratori
dell'universit" disse Philip qualche minuto dopo, quando erano ormai al
sicuro sulla West Side Highway. "In un certo senso, sono stati fortunati.
Probabilmente sono riusciti a scamparla, e a non patire pene orribili."
Stava pensando a un libro che aveva letto da bambino su certi topi che erano
fuggiti da una specie di istituzione governativa.
"Mrs. Frisby and the Rats of Nimh" disse Eliot. "Era uno dei miei libri
favoriti da bambino. Me lo leggeva sempre Derek. S, penso che quei topi li
stessero trasportando su alla Columbia per qualche esperimento orribile per
Eliot non smetteva di fissare Philip dritto negli occhi. Per la prima volta in
vita sua sembrava non ci fossero dubbi. La risposta era s.
"Sally mi ha detto che lavori nell'editoria" disse Eliot. Lieve spostamento
delle ginocchia. Occhi fissi. Philip si stava affidando completamente alla
visione periferica per individuare un ciuffo di peli che emergevano dal
colletto di Eliot, le sue unghie pulite e tagliate corte, tutti i piccoli dettagli
erotici.
"Be, in realt lavoro per quel che si dice una societ di packaging" disse
Philip. "Siamo nel ramo romanzi d'amore e d'avventura. Quello che faccia
redigere e riscrivere questi romanzi terribili - il cui tema ricorrente sono
isole deserte, navi pirata, navi da crociera; la collana si chiama Sulla Cresta
dell'Onda.
Adesso, per esempio, sto lavorando a Onde di fuoco, che racconta
l'innamoramento della coraggiosa e tempestosa Sylvia per il perfido Capitan
Dick Tolliver."
Eliot sorrise, e Philip ne fu sollevato.
"Vivi anche tu uptown?"
"Pi su di qui - nella Centocinque, all'angolo con Amsterdam. E tu?"
"Io abito nell'East Village."
"Com' l'affitto laggi?"
"Il mio non tanto male. Sono stato fortunato."
"Hai un affitto a nome tuo o un subaffitto?"
"No, il contratto intestato a me."
" fantastico."
"Uh - uh."
Poi non ci fu altro da dire.
Rimasero l in piedi senza staccarsi gli occhi di dosso. Philip stava
studiando gli occhi di Eliot. Erano scuri, quasi neri, ma quando li guard pi
da vicino riusc a vedere degli anelli pulsanti di grigio e di giallo intorno
alla pupilla.
Pass un minuto senza una parola, e continuarono a fissarsi. Di quando in
quando Philip si lasciava sfuggire uno sbuffo, quasi uno scoppio di riso, e il
suo sorriso si allargava un po, ed Eliot sorrideva a sua volta e liberava esili
fili di fumo.
"E tu, cosa fai?" chiese alla fine Philip, pi che altro perch niente li stava
interrompendo, n Sally n la campanella per la cena.
"Sono per cos dire, un dipendente di me stesso" disse Eliot.
"Per che cosa?"
"Oh, scrivo testi per agenzie ed editori. E disegno. Adesso sto lavorando
alla copertina di un libro.
gabinetti alla turca, era morto, sparito, uscito dal mondo con vent'anni
d'anticipo, durante una gita di un giorno che avevano discusso se fare o no,
su un'isola con cui non avevano legami e che non avrebbero mai pi visitato
in vita loro. E allora quella donna divenne una vedova, e venne scortata da
due poliziotti in un ufficio buio e fresco, sedette faccia a faccia di fronte
all'assassino dal viso foruncoloso, un ragazzo di quattordici anni che
tremava e piangeva e gridava in greco: "Non uccidetemi! Non uccidetemi!"
Era strano, disse la donna a Rose, ma seduta l, il suo primo istinto era stato
di alzarsi ad abbracciare il ragazzo e dirgli che andava tutto bene. Ma non lo
fece. Un uomo coi baffi che andavano da un orecchio all'altro le fece
domande in un inglese incerto che lei riusc a capire a malapena. Cosa
poteva dirgli?
Suo marito avrebbe voluto rimanere sulla nave perch gli faceva male lo
stomaco; quel pesce della notte prima, lei lo aveva avvertito. Lei invece era
curiosa di far compere. Aveva deciso di accompagnarla all'ultimo minuto,
cambiando idea l per l.
Naturalmente, da qualche parte dentro di s, lei continuava a credere che
non fosse affatto successo, perch non avrebbe dovuto; era stato tutto troppo
rapido, non era colpa di nessuno. I vestiti di lui erano ancora nell'armadio
della loro cabina, il sapone ancora bagnato dall'ultima volta in cui si era
lavato le mani.
Solo quando si avvicin alla nave quel pomeriggio, scortata dal capitano e
dal direttore della crociera, e la sirena lanci un gemito alto e penetrante
contro il quale dovette proteggersi le orecchie, solo allora la membrana
protettiva scoppi, facendola urlare altrettanto forte (le parve) della sirena
della nave che gridava per annunciare che la partenza era imminente, e lei
doveva lasciarlo l per sempre.
Rose raccont questa storia a Philip un pomeriggio in cui era seduto nella
sua cucina, a mangiare la torta con aria distratta. Gli disse che la donna
l'aveva raccontata ripetutamente a tutti in ufficio, come se raccontandola
perpetuamente potesse trovarci una logica che dimostrasse una volta per
tutte che questa morte non poteva essere evitata. Ed era questo a renderla
orribile. Era bastata una mossa sbagliata, un passo sbagliato. Se avessero
indugiato un altro po nel negozietto, se avessero attraversato la strada un
po pi in fretta, non sarebbe successo. Il ragazzo non poteva saperlo; non
era colpa sua. Se era colpa di qualcuno, era colpa della citt, per non avere
installato un semaforo in quel punto, ma le citt - particolarmente le citt
straniere - erano generalmente indifferenti alla disperazione e al dolore.
Rose fin. Philip la guard con rispetto. "Non so proprio cosa dire" disse,
e torn al pezzo di torta che gli aveva messo davanti. Cosa c'era da dire? In
effetti, la storia a Philip non sembrava altrettanto orribile che a sua madre. Il
caso per lui aveva un senso, pi che la causa. Egli era convinto che tutte le
svolte della vita, inclusa la sua svolta nella morte, fossero puramente
arbitrarie; e si sentiva pi saggio di Rose, che era altrettanto sconcertata dai
meandri che l'avevano condotta l dove sedeva ora, viva, quanto lo era dai
passi oziosi che avevano portato uno straniero a sbattere contro le antiche
pietre di quella lontana strada.
Naturalmente, questi sentimenti erano un fenomeno nuovo per lui, ed
erano dovuti in tutto e per tutto a Eliot.
Prima di Eliot, Philip aveva vissuto cos a lungo senza amore fisico da
credere che fosse l'unica cosa al mondo di cui aveva bisogno. Aveva
fluttuato da un estremo all'altro, e questo, ne era convinto, lo poneva in una
posizione molto diversa da quella di sua madre, che per quanto ne sapeva
Philip albergava da anni in quel terreno mediano tra il vuoto e la
realizzazione, un regno dove la serenit e la disperazione coesistono come
sensazioni duplici cos simili, cos deboli, da divenire indistinguibili, come
il sibilo del radiatore e il ronzio della lavastoviglie.
Questa domenica, Rose arriv a casa dal suo viaggio downtown bagnata e
disorientata, si tolse l'impermeabile e gli abiti, incespic verso la doccia, e
rimase l sotto lo scroscio di vapore e acqua finch non si riscald. Si
cosparse di borotalco alla lavanda e indoss una vestaglia lunga e ampia,
poi si mise a sedere nella sua poltrona favorita per leggere.
Dopo esser rimasta assorta per qualche minuto nel suo libro, guard la
sveglia. Erano le 8,23, e Owen non era ancora rientrato, Non riusciva a
credere di essersi imbattuta in lui quel pomeriggio, come in un vago
conoscente che passava di l. Era come se qualcun altro avesse vissuto con
lei per tutti quegli anni, avesse consumato i pasti con lei, avesse dormito nel
suo letto e allevato suo figlio. Owen era stato rimpiazzato; aveva
rimpiazzato se stesso, era andato da qualche altra parte. O forse era Rose
che se n'era andata, Rose che aveva camminato ipnotizzata o addormentata
per vent'anni e si stava svegliando solo ora per scoprire, come un invalido
che emerga da un coma, quanto tempo era passato in realt.
Ventisette anni.
Mise via il libro, si sistem sul sof, e accese la televisione.
Un'infermiera, che era gentile e dolce l'ultima volta che Rose aveva
guardato lo sceneggiato, nel giro di un mese era divenuta una psicopatica
assassina. Rose era confusa. Cerc di seguire il filo della storia, di capire
che cosa era successo all'infermiera; ma dov'era Owen? Con sua sorpresa, si
scopr a desiderare pi di ogni altra cosa che non fosse successo, a sperare
di poter rivivere quella giornata per prendere un'altra strada, senza vedere
"Dio mio, come sei bagnato" disse Rose. "Sei venuto a piedi fino a casa?"
Poi trattenne il respiro. Senza averne nessuna intenzione, aveva accennato al
loro incontro, quello strano momento ottuso in strada che era sembrato
verificarsi sulla soglia di un'altra vita.
"S" disse Owen. "Non so perch...
Ne avevo voglia, senza un motivo particolare."
"Dammi il tuo impermeabile" disse Rose. Incominci a sbottonarglielo, e
la mano di Owen si infil con uno scatto nella tasca dell'impermeabile, si
chiuse intorno al piccolo cuneo di carta dai bordi ben ripiegati, e lo tir
fuori mentre l'impermeabile gli veniva tirato via per passare nelle mani di
Rose. Di nascosto gli cambi posto e lo mise nella tasca dei pantaloni. La
sua mano rimase l, ad accarezzarlo, a ripiegarne i bordi.
Rose stava appendendo l'impermeabile. Lui prov un'improvvisa fitta di
colpa osservandola, ricordando la fantasia che aveva avuto quel pomeriggio
su di lei, riconoscendo, quasi per la prima volta dopo anni tutto il bene che
lei gli aveva fatto, la loro comoda vita insieme, questa casa costruita a
precisa misura della loro compatibilit.
"Grazie" le disse. Non riusc a dire, "mi spiace", bench lo desiderasse.
Cerc di pensare a quante domeniche aveva fatto esattamente la stessa cosa
- tornare da questo o quel cinema a luci rosse, purgato (per il momento)
dalla tensione di una settimana, dal bisogno di una settimana e immaginare
che in un singolo pomeriggio l'inferno era stato spazzato via dalla sua vita.
Sicuro a casa, provava quel genere di sollievo che prova un bambino
quando compie un furtarello senza essere sorpreso.
Pensava al rischio che aveva corso, contemplava il pericolo della
situazione, e si annidava nella sicurezza assoluta della sua poltrona, col suo
libro e il suo dolce. Eppure, di settimana in settimana l'inferno incominciava
a insinuarsi nella sua vita con un pochino pi d'anticipo, dopo solo un
giorno, una sera, un'ora.
Con esso arrivava un desiderio di una sorta che non aveva mai
immaginato possibile, e l'unica cosa che lo tratteneva dal tornare nel cinema
durante la settimana era la sua paura immensa di essere visto. Cos
aspettava fino alla domenica, un giorno che considerava in qualche modo
santificato e pertanto sicuro. Si concedeva le domeniche. Eppure ogni
domenica sera, tornando a casa, si chiedeva quanto avrebbe potuto andare
avanti cos. All'inizio si era accontentato dei film soltanto, poi di una rapida
sega nell'ultima fila, poi, col passare degli anni, di succhiare e di farsi
succhiare, con le dita su per l'ano; una volta, un blando tentativo di scopata.
Talvolta la repulsione per le proprie azioni era cos forte che si ritrovava a
cercando di vedere lei, soltanto lei, di allontanare a forza dalla sua mente le
immagini di quello schermo. Ma quando era venuto, era ai maschi che stava
pensando, anche se aveva detto: "Rose, Rose", e lei gli aveva risposto: "S,
sono qui, sono qui. Non ti lascer andare. Non ti lascer mai andar via"
Averle mentito - aver costruito un matrimonio con lei sulla base di una
bugia sessuale, era un rimorso di tale grandezza che non riusciva ad
affrontarlo; era pertanto un rimorso che, in questo momento, decise di
ignorare. Per anni, dopotutto, si era detto che se qualcuno glielo avesse
chiesto, avesse insistito, se qualcuno gliene avesse dato la possibilit, lui ne
avrebbe approfittato. Non aveva mai immaginato che sarebbe davvero
successo; dopotutto, lui era un uomo sposato, completamente eterosessuale
agli occhi del mondo. E adesso era successo.
Aveva l'occasione in tasca. Qualcuno chiamato Alex Melchor lo
desiderava.
Sarebbe stato semplice. Gli avrebbe telefonato. Gli avrebbe telefonato e
avrebbe detto - oh, lasciamo perdere cosa avrebbe detto. Attravers il
soggiorno, si sedette sulla sua poltrona, prese il suo libro. Sapeva di poter
vivere questa possibilit semplicemente come una possibilit per un bel po
di tempo; sapeva di poterla far durare per giorni adesso, perch un uomo
affamato ha una nozione diversa di abbondanza.
Rose sedette sul water, in bagno, guardando l'impermeabile di Owen.
Dall'altra parte della stanza, la sua faccia nello specchio, era annebbiata
dal vapore. Si port la mano nel punto della faccia che Owen aveva appena
baciato.
Jerene, la coinquilina di Eliot, stava battendo a macchina sul tavolo di
cucina quando tornarono a casa Philip ed Eliot. Le sue dita volavano sulla
tastiera in un turbinio di movimento, pi veloce di quanto Philip avesse mai
visto. Alla sua sinistra c'era una pila di taccuini con un codice in colore; alla
sua destra un'ordinata pila di fogli, fitti di scrittura. Questo era il testo della
misteriosa dissertazione di Jerene, al quale aveva lavorato per sette anni.
Il titolo attuale era "Il fenomeno delle lingue inventate", ma Eliot aveva
detto a Philip che cambiava titolo ogni mese.
Jerene era in piedi dalle otto. Nel corso della giornata aveva fatto i piatti,
lavorato cinque ore in una biblioteca, letto tre articoli, e battuto a macchina
ventisette pagine.
Ma anche se il sole stava tramontando, per Philip ed Eliot era ancora
mattina; sgattaiolarono dentro come viaggiatori colpiti dalla sindrome da
jet, gente fuori sincrono col tempo.
"Ah, la decadenza della giovinezza" disse lei, strappando un foglio dalla
sua macchina da scrivere con un drammatico svolazzo. Si alz in piedi,
raddrizzandosi dalla sua posizione seduta come una gru che si estenda per
demolire un edificio. Superava il metro e ottante, e la sua altezza era
accentuata dalla sua sinuosit. Aveva gambe lunghe, i muscoli intrecciati
come corda, la pelle del colore del nocciolo di un avocado. Un caschetto di
capelli corti, scuri e folti come alghe, era attaccato al cuoio capelluto.
Dormiva su una brandina in un angolo della cucina. Il lettino aveva un
aspetto monacale, gli angoli tesi e precisi, le coperte lisce, ma quando Eliot
vi si sedette sopra si ammorbid, come se si arrendesse.
"Vedo che oggi sei stata produttiva come il tuo solito" le disse.
Jerene annu. Si era sempre alzata presto. Una sveglia mentale le scattava
attraverso i nervi tutte le mattine alle sette, percorrendola di spasmi
d'angoscia che solo il lavoro poteva alleviare. Lavorava in continuazione.
Quando non c'era lavoro ne inventava uno, o aiutava gli altri a fare il loro.
"Su cosa stavi scrivendo oggi?" chiese Eliot. Aveva preso dal frigo un
cartone di spremuta d'arancia da due litri e stava bevendo direttamente da
quello.
"Oggi?" fece Jerene. "Oggi ho scritto il mio capitolo su quelle famose
gemelle che hanno inventato la loro lingua. Due bambine. Non so se avete
sentito parlare del caso, ma dopo che le hanno scoperte c' stato un grosso
dibattito per decidere se bisognava separarle e costringerle a imparare
l'inglese, o tenerle unite, in modo che la lingua potesse essere studiata.
Come probabilmente potete immaginare, l'hanno vinta gli assistenti sociali
sociali, per il bene delle bambine. Immagino sia stata la cosa giusta da fare.
Tuttavia, quando penso a quel che si sarebbe potuto imparare... Ci sono dei
nastri delle loro conversazioni, sapete. Non assomigliano a niente di quanto
si pu aver udito prima, niente che si potrebbe imitare. Mi rattrista. Mi
sembra che il mondo abbia abbastanza lingue perdute."
"Parla di questo la tua dissertazione?" chiese Philip. "Di lingue perdute?"
Jerene si strinse nelle spalle e gli sorrise. "Pi o meno" disse. "Pi o
meno" Non aveva una gran voglia di spiegare il lavoro di sette anni proprio
adesso, una dozzina di argomenti e i cambiamenti di titolo.
Aveva degli amici che lo incoraggiavano a non finire, insistendo che il
processo pi importante del prodotto finito - una specie di lavoro
accademico marxista-femminista, anti capitalista, e non orientato verso un
fine, dicevano. Lei sapeva solo che finch il Dipartimento di Filosofia le
dava dei soldi per riempire la sua vita di lavoro, lei avrebbe continuato a
fare proprio quello. Il lavoro in biblioteca era il genere di lavoro che le
piaceva di pi, quello che la calmava di pi, che la teneva coi piedi per
terra, Poteva passare ore a esaminare compendi di sociologia, o a sfogliare
numeri arretrati di periodici misteriosi, o seduta in un cubicolo ben
"Ciao."
Fece scorrere la porta giapponese che separava il soggiorno dalla cucina e
spar dalla sua vista.
In cucina, adesso, davanti alle uova, questo stesso Philip la stava fissando.
"Mi sembra meraviglioso, davvero affascinante" le disse, e lei sorrise.
"Cosa?" gli chiese.
"La tua dissertazione. Mi piacerebbe proprio leggerla."
Lei guard verso la finestra, consumando in sorrisi la sua vita.
"Sono solo le noiose pontificazioni di una laureanda" disse. "Niente di
strabiliante. Se fossi in te non ci perderei il mio tempo."
"Oh, io non lo direi" disse Philip.
Prese un'altra forchettata di uova e si gir verso Eliot.
Jerene era stata adottata. Era convinta che i suoi primi ricordi - di un
fascio di luce che divideva a met una copertina con disegni di coniglietti
rosa - erano precedenti alla sua adozione, provenivano da un momento dei
suoi primi tre mesi di vita, se non altro perch non era mai riuscita a trovare
una coperta del genere tra i relitti della sua infanzia, conservati per anni da
sua madre in un baule profumato di cedro tenuto in soffitta. I suoi genitori
adottivi erano un ricco avvocato e la moglie che nel 1957 si distinguevano
per essere l'unica coppia nera a possedere una casa a Westport, nel
Connecticut. Jerene aveva una sua fotografia che era stata scattata subito
dopo l'adozione, i capelli acconciati con nastrini di velluto rosa, in posa tra
suo padre e sua madre di fronte a un albero di Natale assurdamente
stracarico di decorazioni, e coperto di neve finta.
Nella fotografia, Sam fissa la macchina fotografica senza sorridere,
vestito come sempre con abito gessato e cravatta, mentre Margaret, coi
capelli alti sulla testa in spire cotonate, regge la sua bimba sul tavolo,
aggrappandosi alle sue esili ginocchia quasi alla ricerca di vita.
Jerene non aveva ancora imparato a stare in piedi, ma nella fotografia sta
in piedi. Ha la bocca aperta, le gambe arcuate, come se stesse per
incespicare da un momento all'altro.
Tutti e tre sono rigidi per il disagio, come gente che posa in costumi di un
altro secolo per un effetto comico. Ora, quando Jerene guardava la
fotografia provava compassione per tutti loro.
Se mai sapeva qualcosa sul passato dei suoi genitori, era che avevano
faticato duramente per arrivare dove erano arrivati. Non facevano che
ripeterglielo, sperando, immaginava lei, di instillarle quel tipo di rispetto per
il lavoro sodo che le avrebbe assicurato di non scivolare mai pi nella
povert da cui l'avevano strappata. Quanto alle loro vere origini erano molto
nella sua stanza, soffocata dalla sua buona sorte di profuga. Non riusciva a
superare la natura accidentale della sua vita beata: rendeva sbagliato tutto il
resto. Con esuberanza frenetica Margaret vestiva Jerene di camicette di
pizzo rosa, le arricciava i capelli e glieli legava con dei fiocchetti, talvolta le
smaltava le unghie piccole ma perfette di rosso brillante, fino a farla
somigliare alle bambole nere che sedevano sullo scaffale della sua camera
da letto - Barbie Nera, Bambino Chiacchierino Nero, Poppante Nera - tutte
identiche agli originali, ma scure, annerite, sbagliate, proprio come era
sbagliata lei, proprio come erano sbagliati i suoi genitori e i loro amici, che
facevano tintinnare i bicchieri nel soggiorno dei Parks.
Perch il mondo non era diviso in gruppi uguali. A Westport erano da
soli. Al di l della strada c'era una casa col cartello In vendita che nessuno
compr per un anno, e Jerene cap, da una conversazione tra i suoi genitori
che le capit di udire, che in un modo o nell'altro erano responsabili non
solo del trasloco di una famiglia ma anche del fatto che un'altra famiglia
all'ultimo momento aveva deciso di non comprare. Tornando a casa dopo le
compere con sua madre, Jerene vedeva dei biglietti infilati sotto la porta,
bigliettini che sua madre accartocciava nel palmo della mano, senza aprirli.
Il razzismo a Westport conosceva il galateo, avrebbe detto in seguito Eliot;
arrivava sempre dentro a una busta.
Una volta la svegliarono il mattino presto, la misero in macchina, la
condussero attraverso strade familiari con case e praticelli, poi su una lunga
autostrada fiancheggiata dall'erba in una regione di piccoli edifici sbilenchi
dove dei bambini della sua et giocavano tutti seri tra bidoni della
spazzatura e macchine.
Parcheggiarono vicino a una porta a vetri bombardata di crepe, sopra la
quale una scritta annunciava Lavanderia Bella Vista ed entrarono in quella
stanza bollente piena di vapore e dell'odore dolce di ammorbidente per
tessuti che Jerene non avrebbe pi dimenticato. Suo nonno indossava una
maglietta scurita dal sudore e dalle macchie di tabacco; Jerene non voleva
toccarlo. Ma sua nonna, con una fusciacca legata intorno alla testa, era tutta
lustra come una cosa appena tirata a lucido mentre sollevava enormi
lenzuola sgocciolanti dalle lavatrici. Si gir, sorrise, si guard bene
dall'abbracciare Sam e Margaret visto che avevano indosso i loro vestiti
migliori. Poi, mentre se ne andavano tutti insieme, il nonno di Jerene
abbass la saracinesca sulle vetrine appannate della lavanderia, e i nonni si
sedettero sul sedile posteriore della grande macchina insieme a Jerene. "
una vera festa fare un giro in macchina" disse Nellie, la nonna di Jerene.
Tenne Jerene sulle ginocchia, sussurrandole all'orecchio delle frasi senza
senso mentre Sam li conduceva verso il piccolo appartamento della sua
quasi del tutto i capelli. "Cosa ti sei fatta?" grid sua madre quando la vide
durante le vacanze di Natale.
"Mio Dio, ti sei rovinata." Lei e Sam rimasero cos sconvolti che
minacciarono di non pagare le tasse universitarie per il prossimo trimestre, e
lei riusc a dissuaderli soltanto promettendo di farsi ricrescere i capelli.
Sulle prime questo non li soddisf, finch non si resero conto che non
avevano scelta.
Si arresero.
A cena raccont loro delle sue nuove idee politiche, e del suo impegno
nel Movimento delle Donne Nere. Margaret, trafiggendo delle crocchette di
patate con la forchetta, guard stancamente Jerene. "E tu credi davvero" le
chiese suo padre, fissandola dall'altra parte del tavolo, "che un separatismo
del genere far bene a qualcuno?" Era una vecchia discussione, che avevano
gi fatto molte volte prima. "Prima c'era il Movimento Nero" borbott Sam,
fissando sconsolato il suo piatto.
"Adesso il Movimento delle Donne Nere. Lo so che non un'opinione
popolare, Jerene, ma non riesco proprio a vedere l'utilit di tutto questo
separatismo."
Poi le disse di nuovo che bisognava lavorare nel sistema per cambiarlo
dall'interno, e cos via. "Siamo tutti esseri umani" concluse trionfante.
Margaret lo guard con approvazione, Jerene riconobbe quella tattica ammantare lo snobismo e la sconfitta delle vesti di una cristiana buona
volont - e la consider indegna di una risposta. Torn alla sua cena, e la
mattina dopo trov un misterioso assegno di cinquanta dollari sul suo
comodino. "Per una bella parrucca" era scritto sul promemoria dell'assegno.
Sei mesi dopo and appositamente a casa per dire loro che era lesbica. In
seguito, per anni, si chiese perch l'avesse fatto - se si trattava, come aveva
detto allora a se stessa, di un atto di integrit politica, motivato da un vero
bisogno di essere onesta coi suoi genitori; o se invece non si trattava di
vendetta vera e propria - vendetta e liberazione. A quel punto si era ormai
convinta da parecchio tempo che il suo lesbismo fosse una cosa neutra, n
buona n cattiva di per s. Ma sapeva anche che questo fatto neutro della
sua vita, una volta presentato ai genitori, sarebbe stato altrettanto potente di
un machete brandito davanti alle loro facce, e avrebbe causato ferite
altrettanto profonde. Aveva fatto molti preparativi, consultato molti libri.
"Il pomeriggio il momento migliore" l'aveva consigliata Cornelia
Patterson, e dunque Jerene, il pomeriggio, condusse cerimoniosamente i
suoi genitori in soggiorno per dar loro la notizia. Mentre lei parlava suo
padre guard fuori dalla finestra verso gli oleandri in giardino; sua madre
sedette sul sof e pianse. "Hai finito?" le chiese Sam dopo che era stata in
silenzio per qualche secondo.
"S, ho finito."
"Allora ti dir una cosa. Ti dir che avrei preferito che mi dicessi che
avevi un cancro." Non distolse mai lo sguardo dagli oleandri.
"Pap" disse lei. "Come fai a dire una cosa del genere; come fai a startene
l e dirmi una cosa del genere?"
"Dico sul serio" disse lui, girandosi. "Sei sempre stata una delusione per
noi, ci hai sempre dato dei problemi. E adesso tornare a casa con questo...
Questa porcheria, questo sacrilegio. Cosa ti aspettavi che facessi, che mi
rilassassi sulla poltrona e sorridessi?"
" come un lutto" mormor Margaret piano piano dal sof, tra i
singhiozzi. " come se fosse morta."
"Mamma!" disse Jerene. "Pap! Non dite queste cose. Io sono ancora la
stessa. Sono sempre vostra figlia, la vostra Jerene. Vi prego! Sto solo
cercando di essere onesta con voi, di dirvi la verit per una volta."
Suo padre allontan gli occhi da lei, guard ancora una volta fuori dalla
finestra. "Tu non sei mia figlia" disse. "Ringrazio Dio almeno per questo.
Tu non si mia figlia."
E cos strapp il machete che gli era stato piantato nel cuore, lo gir e
tagli via di netto Jerene.
Senza aggiungere neanche una parola, Jerene se ne and. Percorse a piedi
le due miglia fino alla stazione ferroviaria, aspett un'ora sulla piattaforma
vuota, seduta su una panchina, le ginocchia piegate contro il petto,
dondolando. Una volta tornata in citt, mand loro un assegno per la somma
totale di tutti i soldi che le avevano dato. Era qualcosa come trecentomila
dollari.
Loro non cercarono mai di depositare l'assegno, naturalmente, ma lei
bruci comunque il libretto degli assegni.
Anni dopo, le faceva piacere pensare che il denaro che aveva avuto su
quel conto - un po pi di cinquemila dollari, probabilmente era ancora l,
ad accumulare interessi, ad aumentare di valore, intoccabile.
Una volta, circa un anno dopo, per insistenza di Eliot, li chiam il giorno
del compleanno di sua madre.
Rispose Margaret. "Mamma?" disse lei.
"Mamma, sono io, Jerene."
Margaret non disse niente.
"Sono felice di sentire la tua voce" disse Jerene. " passato tanto tempo.
Mi sei mancata..."
"Sei mesi, mi pare, settimana pi, settimana meno. L'ultimo semestre del
college. Ma non mi ha mai amato. Aveva un fratello pi vecchio, Alex,
anche lui gay, anche lui fisico, e penso che se mai amasse qualcuno, amava
lui. Non sessualmente, certo, ma con una specie di adorazione." Sorrise.
"Ricordo che alla laurea finalmente conobbi Alex.
Era assolutamente identico a Dmitri, salvo che lavorava all'aperto, per cui
aveva dei muscoli, e il suo ragazzo faceva il modello.
Erano con i loro genitori - il padre era una specie di industriale, e la
madre una donna esilissima e svagata del Texas - e c'era anche la loro
nonna. Lei era un bel tipo. Alta forse un metro e cinquanta, e con la
corporatura di un carro armato. Aveva una piccola macchina fotografica, ed
era cos orgogliosa che insistette per fotografare Dmitri - prima da solo, poi
con Alex, e poi con tutti e due noi. E stando l in piedi, mi sembr cos
strano pensare che questa vecchia li adorava tanto, e non aveva neanche il
pi vago sospetto, la bench minima idea sul loro conto. Naturalmente,
doveva essere un brutto colpo, tutti e due gay, gli unici figli. Penso che
fossero davvero convinti che sarebbero stati diseredati se l'avessero detto ai
loro genitori, e probabilmente avevano ragione. Ma quello che mi
sorprendeva, era che si comportavano come se non gliene potesse fregare di
meno. Dicevano una battuta dopo l'altra sull'argomento. In effetti, pensavo
che mi sarei sentito molto nervoso l tra loro, pensavo che avrei avuto paura
che da un momento all'altro i genitori capissero qualcosa. E invece mi sentii
sicuro, pi sicuro di quanto non mi fossi sentito per tutto l'anno. Penso che
Dmitri e Alex si proteggessero a vicenda, ed era come se la loro protezione
si estendesse anche a me - ha senso?"
"Assolutamente" disse Eliot. Aveva gi gli occhi chiusi.
"Dopo" disse Philip, andarono verso la nonna e la sollevarono.
Letteralmente. Le misero le mani sotto il di dietro, e la fecero sfilare
intorno al campus mentre tutti guardavano, e lei rideva e gridava e li
pregava di metterla gi. Io rimasi indietro accanto ai loro genitori
sorridente, finch i miei genitori non vennero a prendermi."
"E quella fu la fine con Dmitri?"
"Be, pi o meno" disse Philip. "In seguito andai a trovarlo ancora una
volta, d'estate, a casa dei suoi genitori a Southampton. Aveva un intero
schedario peno di pornografia che nessuno aveva mai trovato. E ricordo di
avergli detto che la mia pi grande fantasia di felicit domestica era di
mettere tutta la nostra biancheria nello stesso cassetto e mescolarla in modo
che non si capisse pi qual era la mia e quale la sua."
"E lui cosa disse?"
"Be, quello che c'era da aspettarsi. Disse: " buffo, perch mio fratello
Alex ed io lo facevamo quando avevamo una stanza insieme, ma io sapevo
sempre qual era la mia" A quanto pare Dmitri si eccitava segretamente
indossando la biancheria intima di suo fratello. strano, non aveva alcuna
reticenza ad ammettere cose di questo genere, e pensare che sarebbe stato
disposto a uccidere perch nel suo dipartimento qualcuno non scoprisse
come stavano le cose.
Comunque, dopo questo episodio il fine settimana procedette a fatica.
Passavamo un sacco di tempo seduti sulla veranda, mentre Dmitri e suo
padre parlavano di ingegneria, e la madre di Dmitri mi diceva cose del tipo,
"be, Philip, so quello che provi - quando gli uomini di questa famiglia
incominciano a parlare di scienza, io sono in alto mare. La prossima volta,
andremo in cucina, a parlare di letteratura" Ma non lo facemmo mai. Poi
tornai a casa."
La coperta venne tirata con uno strattone, ed Eliot si gir dalla sua parte,
di fronte alla finestra. Philip guard le stelle sul soffitto che stavano
svanendo velocemente. Adesso lividi fasci di luce stavano incominciando a
penetrare dalla finestra, rendendo le stelline fisse e sbiadite. Irritava Philip il
fatto che dopo una notte di felice insonnia, lo sfinimento ancora lo
aggredisse come un pugno allo stomaco allo scattare della sveglia: si faceva
la barba, si vestiva, usciva diretto al lavoro, mentre Eliot cambiava
posizione nel letto, si rigirava, emetteva un piccolo sospiro di soddisfazione.
Non lo salutava mai. Una volta addormentato, Eliot era morto al mondo.
Non c'era modo di svegliarlo.
"Eliot?" disse Philip.
"S?"
"Sto pensando di dirlo ai miei genitori. Di noi due. Il che, evidentemente,
implica che gli racconti di me."
Eliot non disse niente.
"Sto pensando di dirglielo questa domenica" disse Philip. "Pensi che sia
una buona idea?"
"Non conosco i tuoi genitori" disse Eliot.
"Ma io s. E posso dirlo fin da adesso, non credo che per loro sar un
grosso trauma. Penseranno, "Ma certo".
E finalmente capiranno come mai non ho avuto una ragazza e tutto il
resto.
Insomma, i miei genitori sono gente aperta. Non resteranno annientati
dalla notizia."
"Probabilmente no" disse Eliot.
Philip annu tra s. "No" disse, "il problema non sar tanto il fatto che io
sia gay, ma tutto il resto. Perch non basta, capisci, dirglielo una volta per
tutte e poi non parlarne mai pi. Sento che dovrei fargli sapere che cosa ha
significato per me - cosa significa, crescere, tenendosi questo segreto. Sento
che dovrei fargli capire che cosa significa, fare la vita che faccio io, avere
te. In fondo meritano di saperlo."
" quello che pensava anche Jerene" disse Eliot, "e guarda cosa le
successo."
I miei genitori non sono come i genitori di Jerene" disse Philip; nella sua
voce c'era una punta di rabbia.
"Oh, probabilmente non di rinnegheranno. Ma non credere che saranno
rose e fiori, Philip. Per te difficile capire quanto risulter loro nuova
questa cosa, perch tu ci convivi da tutta la vita. Ma loro no.
Loro probabilmente non ci hanno neanche pensato."
"Oh, sono sicuro che ci hanno pensato. Non sono stupidi."
"Anche in questo caso, resta il fatto che quand'anche tu riuscissi a
spiegare benissimo a tuo madre come mai ti piace prenderlo nel culo da un
altro uomo, non detto che lei ne sia molto felice."
Philip fece tanto d'occhi a Eliot.
"Senti" disse Eliot, "rilassati. Non sto dicendo che non dovresti
informarli. Sto solo dicendo che dovresti pensarci molto attentamente prima
di fare qualcosa di affrettato, e dovresti essere certo che lo fai per loro e non
per te. Questa una faccenda seria. Stai attento. So che quello di Jerene un
caso limite, ma pensaci. La tragedia nel suo caso che lei vuole ancora bene
ai suoi genitori. E loro ne vogliono a lei. E se non gliel'avesse detto... Be,
questo bene lo avrebbe ancora."
Sbadigli e chiuse gli occhi.
Philip, ancora completamente sveglio, fiss il soffitto. Che ragione aveva
per dirlo ai suoi genitori, si chiese, quando per anni aveva evitato con tanto
successo questo confronto? Era per loro che voleva fare questa rivelazione,
perch si meritavano di sapere la verit? O era per se stesso, come aveva
insinuato Eliot, per liberarsi alla fine del peso di quel segreto? Anche in
questo caso non gli sembrava ci fosse niente di sbagliato.
Comunque, adesso aveva Eliot. Poteva mostrare Eliot ai suoi genitori,
Eliot, il figlioccio di Derek Moulthorp, e allora come avrebbero potuto
dirgli che stava buttando via la sua vita? Come potevano obiettare che stava
facendo un errore, condannandosi a una vita di eterna solitudine?
Voleva piantare Eliot di fronte alle loro facce disfatte come un tempo gli
piantava davanti i suoi disegni fatti a ditate e i pasticcini a forma di babbo
Natale - solo che adesso non avrebbero potuto allontanarsi da lui, non
A scuola rideva troppo forte e parlava troppo; i suoi capelli, nel vento, gli si
rizzavano sulla testa; e aveva la brutta abitudine di grattarsi in mezzo alle
gambe in pubblico, cose che i suoi genitori erano troppo imbarazzati per
ammettere, e ancor di pi per rimproverarlo. Gli altri ragazzi lo chiamavano
abitualmente "frocetto" o "checca", bench Philip non corrispondesse
affatto allo stereotipo del ragazzo "diverso", sensibile e silenzioso che
capace di cucire, diventa amico dell'insegnante ed soggetto a raffreddori.
Al contrario, Philip era l'esempio tipico di quello che succede quando quel
silenzioso ragazzo di tipo insolito cerca di riaprirsi faticosamente la strada
nella societ esclusiva e crudele dei bambini, divenendo, come successe a
Philip, un chiacchierone, un pagliaccio, sciocco nel suo zelo di piacere,
risibile per il suo bisogno di essere voluto. A tredici anni, quando Philip fu
invitato a una festa, mentre era con il suo migliore amico, il popolarissimo
Gerard, di fronte a una profusione di salatini e patatine fritte, fece una
scoreggia cos fragorosa che tutti i bambini incominciarono a ridacchiare,
spalancarono le finestre, annaspando drammaticamente alla ricerca d'aria. E
Philip, sgomento, al centro di una folla di bambini che si allontanavano di
corsa da lui in tutte le direzioni, rise a sua volta, immaginando che questo
sarebbe stato il suo destino nella vita, scoreggiare alle feste e guadagnarsi
questo tipo particolare di furiosa attenzione che forse sembrava la cosa pi
vicina all'amore che gli potesse capitare. Quando i ragazzi lo chiamavano
frocetto, stranamente n lui n loro collegarono mai la parola con alcuna
realt, o con la sua vita masturbatoria a quell'epoca altamente evoluta. Le
ragazze lo fissavano, alcune con le labbra rivolte all'ins in segno di
derisione, o con la lingua in fuori, quelle intelligenti e tranquille con piet,
tutte raccolte in gruppi, ai tavoli della biblioteca.
Lui se la beveva questa disapprovazione - dopotutto era una forma di
attenzione. Un pomeriggio, Gerard, il suo grasso e fedele amico fin dai
tempi dell'asilo, il suo adorato Gerard, col quale aveva rubato caramelle e
visto il dinosauro al Museo di Storia Naturale - un pomeriggio, Gerard di
punto in bianco aveva una ragazza. Aveva preso in giro Laura Dobler per
settimane, e si era schermito quando le altre ragazze gli avevano fatto
sapere che lui le piaceva. Poi, lasciando Philip sgomento e tradito (perch
aveva giurato che non l'avrebbe mai fatto), Gerard le chiese di stare con lui,
e incominciarono a fare coppia fissa.
Durante la ricreazione sedevano mano nella mano su una panchina nel
campo dei giochi, e le ragazze andavano da loro, per flirtare e sorridere, o
per chiedere solenni consigli. Il pomeriggio, durante la lezione di
matematica, Gerard scriveva bigliettini d'amore a Laura che concludeva con
"amore eterno", imitando il fratello sedicenne, Stuart. Philip, in preda al
panico e alla confusione, chiese a Tracy Micelli di uscire con lui. Aveva una
paura disperata di perdere Gerard, che era stato il suo amico fedele sin
dall'infanzia, per cui immaginava che lui e Tracy Micelli avrebbero potuto
uscire in coppia insieme a Laura e Gerard, dando cos all'amicizia un
motivo per continuare. Chiese a Tracy Micelli di fare coppia fissa con lui in
una lunga lettera, scritta col pennarello rosso e completa di illustrazioni, che
infil nella fessura del suo armadietto. Qualche ora dopo la vide. Era con
Laura e qualche altra ragazza, e non appena lo scorsero, si rifugiarono nella
toilette per le ragazze.
Dopo questo, nel giro di quattro giorni, Philip chiese ad altre diciassette
ragazze di far coppia fissa con lui, e tutte loro rifiutarono. Ne risult un
piccolo scandalo; lo seppe persino l'insegnante. Alla fine Donna Gruber, che
a tredici anni era gi alta un metro e settantacinque e non aveva seno, il che
le dava una cert'aria pratica ed efficiente, decise che bisognava fare
qualcosa. "Stai facendo la figura dello scemo" disse austeramente a Philip in
biblioteca, mentre le sue due migliori amiche facevano cenni di
approvazione al suo fianco per sostenerla. "Sei un ragazzo simpatico, me sei
stupido a chiedere a tutte quelle ragazze di stare con te.
E gi che ci siamo, bisogna che tu la pianti di grattarti. Non per niente
attraente."
Philip spalanc la bocca sgomento.
Non aveva mai pensato che qualcuno se ne potesse accorgere.
" per via della mia biancheria intima" disse timidamente. "Ho le
mutande troppo strette."
Le ragazze al fianco di Donna Gruber arrossirono.
"Pensi che sia per questo che non vogliono stare con me?" chiese Philip.
"Oh Philip!" disse Donna. "Lo hai chiesto a diciassette ragazze.
Diciassette."
"E tu cosa ne diresti di stare con me?"
"Philip!" gridarono tutte insieme.
"Accidenti, come sei stupido" disse Donna. "Non lo capisci proprio, vero?
Be, io ho fatto quel che potevo. Il resto bisogna che lo capisci da solo."
E lo lasciarono l. Fu dopo quest'episodio che si lanci contro il muro.
Non lo vide nessuno. And a Central Park a farlo, in un angolo oscuro e
boscoso dove avrebbe potuto essere derubato o picchiato. Si lanci
ripetutamente contro il muro, senza sapere bene se desiderasse di pi
spaccare la parete o spaccarsi la testa - o se voleva semplicemente sbucare
dall'altra parte, dove avrebbe potuto bere il t con i porcospini ed essere il
loro re.
"Ehi, ragazzino!" disse una voce.
detto lui? La sua vita sessuale, si era nutrita in segreto; non ne aveva mai
parlato con nessuno, neppure con se stesso. Poteva essere reale qualcosa di
cos privato, si chiedeva? Non gli sarebbe capitato un giorno o l'altro di
conoscere una ragazza, e innamorarsene? Non si sarebbe verificato un
cambiamento degli ormoni sui quali stava imparando qualcosa proprio in
quei giorni durante la lezione di scienza, che gli rendesse possibile fare
l'amore con una donna come tutti gli altri uomini, sposarla come tutti gli
altri uomini? Allora se ne sarebbe liberato, di quell'altra vita, della vita
segreta; gli sarebbe scivolata via di dosso, sconosciuta a tutti salvo che a lui,
come un guscio, e lui ci avrebbe ripensato come a un sogno lontano. Solo se
sua madre l'avesse scoperto, se l'avesse sorpreso - solo allora non avrebbe
pi potuto tornare indietro.
Fu solo al college che finalmente Philip fece all'amore con un altro essere
umano, e si tratt di un uomo.
Di questo Philip non fu molto contento, ma non pot farne a meno: la
solitudine, l'arrapamento, il bisogno di toccare carne vera - tutte queste cose
cospirarono contro di lui. Con un ossuto studente di nome Dean si rotol su
un antico sof in un corridoio, e le mani di Philip tastarono affannosamente
la carne, toccarono punti che non avevano mai toccato prima, studiarono la
durezza di alcune cose, la morbidezza di altre.
Che delusione prov quando, nel bel mezzo di questo scambio sessuale,
Dean si prese in mano il pene e incominci, senza alcuna reticenza, a
spararsi una sega. E mentre lo faceva, guardava in faccia Philip, uno
sguardo pieno di libidinoso incoraggiamento, che incitava Philip a unirsi a
lui, a mettersi in posa, a divenire, per un momento, la fotografia di una
rivista.
E Philip - deluso, ma ancor di pi abbagliato nel constatare quant'era pi
facile in questo modo, e pi eccitante - si un all'altro, guardandolo,
guardandolo, guardandolo.
Quando Philip venne, fu con una tale potenza che lo sperma vol
attraversando la stanza e colp il radiatore, dove sfrigol e si disintegr
nell'impatto. Dean fece un sorriso d'approvazione. "Certo era una bella
distanza" disse. "Dev'esserne passato di tempo dall'ultima volta che hai
scopato."
"Tutta la vita" disse Philip.
"Tutta la vita!" disse Dean con entusiasmo. "Veramente? Vuoi dirmi che
io sono il primo per te?"
"Immagino di s" disse lui. "S."
Dean lo circond con un braccio, avvolse il suo lungo corpo intorno a
quello di Philip e lo baci sulla guancia. " fantastico" disse. "Non sono
mai stato con nessuno che lo faceva per la prima volta. Sai, vorrei proprio
che me l'avessi detto prima, perch mi avrebbe eccitato moltissimo.
E forse anch'io avrei potuto fare un lancio lungo come il tuo."
"Mi spiace" disse Philip.
E adesso Philip ha diciassette anni, e cammina in tondo. Ormai ci
abituato. Quando va alle feste che danno i suoi compagni di scuola, tende a
stimare per eccesso il tempo che gli ci vorr per andare all'appartamento o
alla casa dovr luogo la festa, e talvolta arriva con un'intera ora di anticipo.
Cos cammino in tondo - cerchi sempre pi ampi, prima nel raggio di cinque
isolati, poi nel raggio di dieci isolati. Cammina finch la festa dovrebbe
essere incominciata da dieci minuti, e anche cos sempre il primo ad
arrivare.
Questa sera non ci sono feste. Il posto dove va non ha un inizio o una
fine. Corre su uno svincolo interminabile. In realt una settimana prima ha
telefonato al cinema per sapere quando incominciava il film e la donna
all'altro capo del filo ha riso di lui. Il cerchio che sta percorrendo include
l'isolato cruciale di St. Mark's Place, con i suoi saloni da parrucchiere e i
negozi di vestiti; il ghetto indiamo sulla Sesta Strada, e poi la Terza, la
Seconda, e la Prima Avenue. Ormai conosce questo territorio palmo a
palmo. un'ora che cammina. Arriva davanti al cinema.
La parete di mattoni dipinta di rosso. Dietro a una porta a battente di
vetro e a un tramezzo di vetro, una donna coi capelli ossigenati siede a
limarsi le unghie. il fulcro del suo girare in tondo. La prima volta che era
passato l davanti stava quasi per entrare, ma poi gli pass accanto una
vecchia col passo strascicato, e non ci riusc.
Il titolo del film era Strap.
Basta. Adesso va dritto verso il cinema. Nessuno sta passandogli di
fronte: non lo aspetta nessuna dilazione. Ha i soldi contati nella tasca
anteriore, niente portafoglio nella tasca posteriore. Non c' niente per gli
scippatori, nessuna identit.
Non nessuno. Per la donna dietro al pannello di vetro, lui non esiste
nemmeno. La donna ha un grosso neo che sembra finto sulla guancia e a lui
risulta indubbiamente abbastanza reale mentre prende i soldi dalla sua mano
tremante attraverso la fessura del vetro. Poi allunga una mano sotto di s un gesto che sembra di per s osceno, profetico - e tira qualcosa.
Il torchietto si sgancia, e lui ci passa attraverso, un clic, poi scivola oltre
una tenda, nell'oscurit.
Davanti a lui c' uno schermo, e sullo schermo un pene lungo quasi due
metri d stoccate a una schiena, ripetutamente, e sembra manchi di
proposito l'apertura. Schiaffeggia la schiena. Rimbalza. C' musica jazz.
Philip non riesce a vedere nient'altro che l'enorme schermo - niente
poltrone, niente facce - e a tastoni indietreggia alla ricerca di una parete,
qualcosa a cui appoggiarsi finch gli occhi non si adattano all'oscurit. La
parete di velluto logoro. Sente i rilievi morbidi, a forma di rombo, e anche
le chiazze lise da anni di frizione. cieco e indifeso. La parete
appiccicosa. Le scarpe gli si appiccicano al pavimento. Ha la sensazione di
essere incappato in una ragnatela.
Lentamente incomincia a vedere. C' gente seduta nelle file di poltrone per lo pi da sola, alcuni in coppia o terzetti. Un certo numero di giovani
appoggiato contro la parete laterale, a sua volta in mostra, come per far
concorrenza al film. La maggior parte della gente nel cinema cammina su
gi per i corridoi, infilandosi di quando in quando nei gabinetti degli uomini
su cui scritto "Ridotto"
A tastoni Philip cerca un sedile alla fine del corridoio. Pensa che questo
gli render pi facile la fuga qualora sia necessaria. Sullo schermo davanti a
lui, tre di quelli ci stanno dando dentro, con una violenza scatenata. C'
anche il sonoro, ed la parte migliore. Dicono con voce rotta che cosa
desiderano e com' bello; urlano parole e frasi che Philip sussurra perfino
con l'immaginazione. Davanti a lui una coppia si brancica, si unisce, si
separa di nuovo. Qual il film e quale la cosa reale? Uno scivola sotto
l'altro. Un terzo viene a guardare, per unirsi a loro, se possibile. Loro lo
cacciano via. Philip alza la testa, deciso a guardare solo lo schermo.
Il film ha una trama. Stando alla trama, un giovane che sta per sposarsi
sguscia in camera di suo fratello, scopre delle riviste pornografiche gay e
incomincia a masturbarsi. Il fratello lo scopre. "Ehi, io sono un regolare"
dice lo sposo. "Allora se non vuoi che la tua sposa lo scopra, sar meglio
che tu faccia quel che ti dico e mi succhi il cazzo" dice il fratello. Lo sposo
esita, ma alla fine esegue.
Philip affascinato dal film. Non si accorge neanche, dopo qualche
minuto, che un uomo sulla cinquantina - uno dei passeggiatori - si seduto
davanti a Philip, alla sua destra. La schiena di Philip si tende
immediatamente. Fino a questo momento, era certo che quelli che
camminavano su e gi per i corridoi fossero dipendenti del cinema, presenti
in sala per assicurarsi che nessuno facesse cose che non doveva fare. Era
grato di questa immaginaria protezione, perch in realt voleva soltanto
guardare il film. Ma ora l'uomo che aveva incarnato la sicurezza - che
avrebbe potuto sollevare da terra altri uomini prendendoli per la collottola e
sbattendoli fuori dalla porta, seduto davanti a lui, e la sua mano sta
cullando la poltrona vuota di fronte a quella di Philip, come se l ci fosse
una persona, un appuntamento galante, una ragazza, e lui un nervoso
adolescente che azzarda la sua prima mossa. L'uomo si gira una volta,
guarda Philip, poi si rigira. Lo guarda dritto negli occhi e non sorride. Ha
una faccia quadrata, con spunzoni di barba grigia; porta una specie di
berretto. Siede di fronte a Philip e il suo braccio strizza la spalliera della
poltrona, il flirt immaginario. Philip quasi si mette e ridere, poi il braccio
scavalca lo schienale della poltrone e gli sfiora la gamba.
Philip annaspa, e chiude gli occhi - non perch sia sorpreso, ma perch
sembra cos inevitabile, questo primo tocco. La mano accarezza la coscia di
Philip, avanti e indietro, delicatamente, e la testa imberrettata non si gira. La
mano procede a cerchi, sempre pi larghi, sulla pancia, atterrando
sull'inguine, ma senza fermarsi l. Invece - con sorpresa di Philip - la mano
cerca la sua, e si chiude intorno al suo pollice, Philip riesce a vedere
l'avambraccio - senza orologio, tozzo. Sente i peli sfiorargli la mano.
L'uomo allontana la mano dalla pancia di Philip, si alza e va nel corridoio,
dove resta in piedi proprio accanto a Philip. Fa segno a Philip di spostarsi di
un sedile in modo da sederglisi vicino, e Philip lo fa. Non aveva progettato
di farlo; si era detto, dir di non con un cenno del capo, ma adesso la sta
facendo, si sta spostando di un sedile. Sullo schermo, sono tornati i genitali
giganteschi, che fanno i fatti loro, e la mano dello strano uomo abbassa la
cerniera di Philip e si annida dentro di lui.
Come sembra strana l - a frugare nei suoi pantaloni come un animale che
si fa la tana in un albero. Quando la mano riesce finalmente a trovare quello
che sta cercando, Philip ha la testa completamente vuota, il corpo coperto di
sudore, e il pene molle.
L'uomo d qualche strattone, e si gira a guardare Philip. "Cos' che non
va?" gli chiede. "Cosa vuoi che faccia?" Philip chiude gli occhi, e scuote la
testa. Ha le lacrime agli occhi. La sensazione di non poter respirare.
L'uomo toglie la mano e chiude la cerniera della patta di Philip, come
glielo chiudeva suo padre dopo averlo aiutato a fare la pip quando aveva
cinque anni. Erano in Europa allora, vicino a una montagna. Tutto intorno
c'era aria e neve e verdi, verdi colline.
L'uomo gli d una pacca sullo stomaco. Tenendo gli occhi chiusi, Philip
ha ancora cinque anni, ed sulla cima della montagna vicino a Losanna, e
suo padre gli sta indicando il lontano villaggio dove soggiornano.
Riapre gli occhi. Adesso facce. Un uomo con la barba seduto su un
trampolino e si accarezza l'inguine sopra gli slip azzurri. Poco pi in l, un
ragazzo biondo lo guarda e fa la stessa cosa. Si fissano l'un l'altro, senza mai
distogliere gli occhi.
"Vieni da pap, ragazzo" dice l'uomo con la barba.
I miti dell'origine.
Poich era un uomo timido, poco incline a farsi pubblicit da s, pochi
sapevano che Owen aveva un dottorato di ricerca. La sua tesi analizzava le
concezioni storiche abbracciate da numerosi poeti inglesi e del
Rinascimento italiano che la maggior parte della gente non aveva mai
sentito nominare, e gli fece ottenere una borsa di studio dopo il dottorato e
un posto di assistente in un piccolo college femminile subito fuori Boston.
La cosa non piacque affatto al padre di Owen, che aveva un'idea diversa del
successo. "Come diavolo ti viene in mente di buttar via due anni e trecento
pagine per dei poeti che nessuno si sogner mai di leggere?" gridava a
Owen, sfogliando le pagine del "Wall Street Journal" con una violenza che
non aveva niente a che fare con la lettura. "Guarda qui" diceva, e indicava la
notizia di qualche catastrofe. "Con il mondo in queste condizioni, tu te ne
vuoi andare a scrivere di poesia." Era il tipo d'uomo che era convinto che
offrire aiuto ai contadini che morivano di fame equivalesse a negare loro la
possibilit di farcela da soli. "Ogni uomo ha il diritto fondamentale
concessogli da Dio di far s che la sua famiglia sia orgogliosa di lui" gli
piaceva dire, mentre Owen gli sedeva di fronte e si tirava le dita fino a farle
schioccare, con un sorriso muto sulla faccia. Aveva passato la maggior parte
della sua vita a non dar retta a suo padre, e non aveva nessuna intenzione di
cominciare adesso. Correva il 1963. La ribellione era nell'aria, sotto molte
forme: in Owen assunse la forma di una lettura psicoanalitico-marxista di
Spenser che significava ben poco per le sue studentesse del College
Femminile Belmont e ancor meno per Rose, il cui obiettivo principale a
questo punto era riuscire a far parlare Philip. Questi aveva quasi un anno e
mezzo, e non aveva ancora pronunciato neanche una parola, con segreta
soddisfazione delle altre giovani neo-madri del ghetto della facolt di
Clearmont, che sembravano iscritte a una gara per chi riusciva a far parlare
prima il proprio bambino.
Fortunatamente, Philip non la fece aspettare troppo. Un bel giorno
sorprese tutti aprendo bocca, indicando il suo orsacchiotto e dicendo,
"Dammi animale" - molto meglio, pens Rose, del "dada" che la Naomi di
Sandy Eisemberg aveva balbettato a otto mesi.
Qualche anno dopo, a Owen fu offerto un incarico a tempo determinato in
un piccolo college di Long Island. Si trasferirono a New York - in citt perch Rose incominciava a essere stufa di starsene in casa con Philip (che,
a dispetto della sua prova precoce di articolazione, si stava rivelando un
bambino piuttosto taciturno), e sua cugina Gabrielle le aveva promesso di
procurarle un lavoro nell'editoria. Tutte le mattine alle sette in punto, Owen
forse era bastato questo bambino per farli finalmente innamorare. Erano
persi nell'amore per Philip. Passavano ore vicino alla sua culla. Di notte
esaminavano pazientemente cataloghi di giocattoli, cercando di scegliere i
pi indicati per lui. E queste cose le facevano sempre insieme; non era
un'illusione che durante quei primi anni dopo la nascita del bambino
sembrassero ai loro amici pi felici, pi soddisfatti e occupati di quanto non
fossero mai stati prima. E bench non fosse che un bambino, l'innocente
risultato di una collisione casuale durante un rapporto sessuale, lo
consideravano una specie di divinit minore, un angelo inviato dal cielo per
salvarli, per portare luce e colore nella loro vita.
A Roma, fecero amicizia con un gruppo di americani espatriati, per lo pi
legati al mondo accademico. I loro migliori amici erano una coppia di nome
Rhea e Karl Mutter, entrambi archeologi. Karl era un uomo di quarant'anni,
panciuto e con un inizio di calvizie che aveva una borsa di studio
all'Accademia Americana. Aveva un grande senso dell'umorismo che faceva
s che la gente lo ascoltasse volentieri, e una faccia e un corpo pesanti che
Rose trovava repellenti e allo stesso tempo straordinariamente attraenti; era
come un bign, che pregava di essere strizzato. Rhea, per contro, aveva
lunghi capelli schiariti dal sole e guance infossate e grandi occhi troppo
ravvicinati. Dato che non aveva (secondo Rose) alcun senso dell'umorismo,
era spesso vittima di quello del marito. Ogni osservazione gioviale che
faceva Karl, ogni scoppio di riso che riusciva a strappare da una bocca
femminile, sembrava tuffare Rhea ancor pi gi nell'abisso dell'amara
depressione in cui - mancando di una borsa di studio, e non avendo alcun
motivo per stare a Roma (la sua specialit era il Messico) - si dibatteva per
la maggior parte del pomeriggio e delle serate, attaccata agli aperitivi nei
caff, con gli occhi umidi che sembravano sul punto di schizzarle fuori dalle
orbite per cadere sul tavolo. Rose sospettava che avrebbe preferito condurre
una vita meno mondana, ma l'incessante spensieratezza di suo marito non
solo rendeva pi visibile la sua tetraggine, ma la peggiorava anche. Un
pomeriggio lei, Owen, Rhea e Karl erano seduti a un caff con un'altra
coppia e Karl aveva detto: "Ehi, questa buona. Lo sapete perch i topi
hanno balle cos piccole?"
La terza donna - Rose non riusciva neanche a ricordare il suo nome...
Betty? Biffy? - scoppi a ridere solo sentendo l'indovinello. Per lei,
evidentemente, il gioco di parole non era neanche necessario.
"Non lo so" aveva detto Owen.
"Perch i topi hanno balle cos piccole?"
"Molto semplice" aveva detto Karl.
"Perch ben pochi topi sono capaci di ballare."
preoccupava Rhea; e colpiva Rose, che era molto meno disinvolta nel
trattare con questo mondo straniero del proprio bambino, a cui spesso si
affidava per la traduzione quando i negozianti arrabbiati o confusi alzavano
le mani al cielo, incapaci di capire le sue richieste. Philip, a un certo punto,
in un momento misterioso e cruciale mentre lei era distratta, si era
trasformato da un beb in un bambino.
Sembrava fosse successo abbastanza all'improvviso, verso il suo terzo
anno. Tutt'a un tratto aveva una faccia che lei gli riconobbe come la sua. Le
fotografie che gli facevano adesso erano di quel tipo che la gente avrebbe
guardato anni dopo dicendo: "Non sei per niente cambiato" Il suo nome
improvvisamente era il suo nome, qualcosa che lo contrassegnava, e non
solo un attestato delle ore che Rose e Owen avevano impiegato a sceglierlo.
Philip parlava o, cosa ancor pi allarmante, non parlava mentre dietro ai
suoi occhi una mente che incominciava appena a riconoscere se stessa
generava pensieri che non avevano niente a che vedere con lei.
Ben presto le avrebbe tenuto dei segreti; e subito dopo avrebbe
incominciato a mentire. E poi, naturalmente, l'avrebbe lasciata.
Stava gi succedendo. Man mano che cresceva, pareva che Rose sapesse
sempre meno di lui. Era industrioso e diligente, e passava le serate nella sua
stanza, impegnato in progetti tutti suoi. Sin da piccolo sistem i suoi animali
di pezza nella stanza secondo una geografia precisa e privata. In seguito,
divenne appassionato di cartine stradali e incominci a disegnare dei
progetti di citt e sobborghi immaginari. Poi cre un'intera serie di reti di
metropolitane con linee numerate, contraddistinte da nome e colore e per
ore si sforzava di creare una mappa perfettamente proporzionata. Non
condivideva mai questi progetti coi suoi genitori a meno che loro non glielo
chiedessero.
Sembrava non avesse un vero e proprio bisogno della loro attenzione o
della loro approvazione. Badava a se stesso da solo.
A Roma, questo atteggiamento indipendente sorprese Rose. Era abituata
alla prima infanzia di Philip, quando non chiedeva di meglio che starle
seduto in grembo a guardarla in faccia. Adesso, quando non era in giro a
correre nel vicinato insieme a Mira, restava da solo nella sua stanza,
occupato da qualche progetto. Sembrava non si accorgesse neanche di lei.
Forse per questo non si era neanche curata di chiudere la porta quel
pomeriggio, dopo la partenza di Rhea, quando venne a trovarla Karl. In
seguito pens che in un modo o nell'altro si era aspettata che Karl venisse.
Le si sedette accanto a chiacchierare, e lei, con sua sorpresa, si scopr ad
aver voglia di toccare quel corpo massiccio e ben nutrito. Con la sua risata
ricca e gli occhi pronti, irradiava il corpulento e facile buon umore di un dio
della fertilit. Le si sedette accanto, cos vicino che il suo fiato, dolce come
quello di un bambino, le faceva il solletico alla guancia. Era da molto tempo
che ammirava il suo seno, le disse. Lei storn gli occhi, sorpresa dalla sua
franchezza, dalla lussuria nei suoi occhi, che non le si staccavano di dosso.
Poi lui le disse esattamente come voleva toccarla, e cosa voleva fare con lei;
come sarebbe stato bello. Sent la mano di lui sulla sua gonna. "Karl" disse,
"non so bene cosa dire." Ma sapeva bene cosa stava per fare. Stava per
scoprire cosa rendeva Rhea tanto vogliosa.
Le campane delle due del pomeriggio risuonarono in tutta la citt.
Poco prima della fine del loro soggiorno, i Benjamin andarono con i
Mutter a passare un fine settimana nella villa di un amico nella campagna
umbra. Era una villa maestosa, dai severi saloni di pietra decorati di
madonne di terracotta. Sul retro c'era un giardino con le siepi scolpite a
forma di uccelli selvatici, con riccioli e svolazzi, e Romolo e Remo con la
lupa che li allattava. I Benjamin arrivarono per primi. Mentre i suoi genitori
disfacevano le valigie, Philip sedette sul ghiaietto del cortile, con gli occhi
alzati sui pini marittimi, e le colonne di nobili cipressi e le mura di una
piccola citt in collina dove sarebbero andati la sera dopo a mangiare il
cinghiale.
Poco dopo sent il rumore delle ruote sul ghiaietto. Era Rhea, con Karl e
Mira, nella loro vecchia Citron.
Parcheggiarono vicino a dove sedeva Philip, e scendendo dalla macchina
Rhea gli grid: "Philip, vieni ad aiutarmi con questa roba da mangiare"
Lui non la sent. La sua attenzione era stata catturata da una fontana del
giardino, cos si mise a correre per mettere le mani sotto l'acqua melmosa
che gocciolava dalla bocca di un antico pesce di pietra.
"Philip" grid di nuovo Rhea.
"Philip!" La sua voce divenne di colpo inaspettatamente furiosa, ma per
quale ragione? Philip si gir a guardare.
Lei era l in piedi, a fissarlo, con le mani sui fianchi. I suoi occhi enormi
erano rossi e gonfi, le guance rigate di lacrime asciutte. Marci verso di lui,
lo tir in piedi, e gli schiaffeggi la mano. "Philip Benjamin" disse, "non ho
mai visto un bambino cos egoista e sconsiderato in vita mia! Non hai
sentito che ti chiamavo? Ti ho detto, non hai sentito che ti chiamavo?"
Lui alz gli occhi a guardarla confuso e non rispose.
"Rispondimi!" grid Rhea. La sua voce era rauca dalla rabbia, quasi
spezzata. "Rispondimi quando ti faccio una domanda. Non hai sentito che ti
chiamavo?"
Lui non rispose. Rimase l di fronte a lei, e Rhea alz la mano, come per
colpirlo. Lui si mise a gridare, e si protesse il viso con i pugni. Ma quando
riapr gli occhi, la mano di lei era ancora immobile davanti alla sua faccia, e
Rhea lo stava guardando come fosse qualcosa di inanimato, un fiore o un
rametto che aveva raccolto a terra.
Rose, che aveva sentito le grida dalla cucina, corse fuori a vedere cosa
stava succedendo. "Che succede?" grid. "Se fatto male qualcuno?"
"Gli ho chiesto di aiutarmi e lui si rifiutato" disse Rhea, con la voce
improvvisamente calma, distante. "Era l seduto e ha fatto finta di niente."
"Philip" disse Rose. " vero?"
Lui non rispose.
"Philip. rispondimi" disse lei.
E ancora lui non disse niente.
Rose afferr Philip per la mano e se lo tir vicino. " vero?" disse Rose, e
la sua voce era spaventata, ansimante. "Te ne sei rimasto l seduto mentre
Rhea ti chiedeva di aiutarla?"
Fu allora che Philip cominci a piangere. Rose lo guard, guard Rhea (i
suoi occhi furiosi, selvatici), e spinse via Philip. Lui annasp
freneticamente, cercando di tornare da lei. "Oddio" disse all'improvviso
Rose. "Philip, tesoro, vieni qui." Ma prima di riuscire a prenderlo tra le sue
braccia, lui era corso sul retro della casa a rintanarsi dentro a una siepe
spinosa tosata a forma di uccello.
"Che succede?" grid Karl, emergendo da un lato della casa. "Cosa
successo qui?" lo segu Owen, scendendo dal piano di sopra.
Guardarono dall'altra parte del giardino verso il cespuglio. "Philip?"
gridarono gli uomini. "Philip?"
Lui non voleva uscire. Quando Rhea si avvicin per scusarsi, si intrufol
ancor pi in dentro, ancora pi in l, e lei si allontan, scuotendo la testa e
borbottando tra s: "Ges Cristo" Gli uomini si sdraiarono sullo stomaco,
allungarono le mani dentro il cespuglio, e lui si allontan ancor di pi,
tenendosi lontano da loro. "Philip, tesoro, vieni fuori" disse Owen. "Non
siamo arrabbiati. Non era colpa tua. A Rhea dispiace di averti sgridato."
Incominci a far buio. Rose si sedette per terra vicino al cespuglio.
"Senza di te non me ne vado" grid verso l'interno tenebroso. "Posso restar
qui per tutto il tempo che ci stai tu."
Frinirono i grilli, e il cielo si riemp di stelle. "Sai cosa" fece Rose,
"canter per te."
Mezz'ora dopo, a met di "Sai Che Vuol Dire la Nostalgia di New
Orleans?" Philip, tutto sporco, strisci fuori carponi dal cespuglio.
Rose tramava violentemente per il freddo, e lo prese tra le braccia per
calmare se stessa oltre che per confortare lui. "Mi spiace, tesoro" disse,
incominciando a piangere. Gli accarezz la schiena, gli scompigli i capelli.
mettesse tutta per far venire Eliot per primo, per quanto si valesse di ogni
sorta di trucco per ottenere un vantaggio, per quanto impiegasse tutta la sua
astuzia e la sua abilit nell'accarezzarlo per costringere Eliot a rivelare i suoi
punti vulnerabili, non ce la faceva proprio. Eliot riusciva sempre a
trattenersi pi a lungo, e cos vinceva sempre la battaglia nel differimento
dell'orgasmo che sottolineava i loro scambi amorosi altrimenti pieni di un
affetto zelante. Oggi era l'eccezione. Oggi, per qualche motivo - limiti di
tempo, stanchezza, affetto, noia - Eliot si sdrai, completamente vestito, coi
jeans aperti, le mutande abbassate, e lasci che Philip facesse l'amore con
lui, assorbendo la vista degli occhi chiusi di Eliot e della bocca aperta che
respirava, dei suoi piedi nudi e bianchi, del suo pene eretto ed elastico che
sbucava fuori dai pantaloni aperti. E quando, a tempo debito, Eliot
incominci a gemere e i suoi fianchi cominciarono a ondeggiare e le sue
mani, invece di accarezzarli gentilmente, incominciarono a tirare i capelli di
Philip, Philip pens che avrebbe potuto morire d'amore per lui, e cerc di
registrare nella memoria tutte le sensazioni simultanee che stava
sperimentando. Eliot tirava e spingeva ed entrava e usciva dalla sua bocca,
il che dava il segnale per allungare la mano sotto la sua camicia e pizzicargli
i capezzoli. Poi emise un lieve sospiro, e senza preavviso un liquido spesso
e salato schizz nella bocca di Philip - fu un po una delusione, dato che si
aspettava un getto violento, che lo spruzzasse fino alla gola.
Eliot tir un respiro profondo, con la bocca aperta, e le sue mani
abbracciarono la testa di Philip.
Rispettosamente, a dispetto delle precauzioni sanitarie, Philip fece quello
che non aveva mai fatto con altri uomini: ingoi.
Poi si alz, baci Eliot sulla bocca, e and a bere un po d'acqua.
Con destrezza Eliot si tir su la cerniera, un pacchetto reincartato, una
busta risigillata. Lo segu in cucina; ricambi il suo bacio. Di nuovo si
strofinarono le fronti.
"Eliot" disse Philip.
"Hmm?"
"Ricordi che quando ci siamo conosciuti dicesti che mi avresti presentato
a Derek e Geoffrey?"
"S."
"Be, credi che potremmo invitarli a cena o qualcosa del genere?"
Eliot bevve un sorso di caff e non rispose. Philip trattenne il respiro,
perch era convinto che ogni richiesta che faceva a Eliot, ogni centimetro
che guadagnava insinuandosi nella sua vita, sarebbe stata un richiesta di
troppo, un gradino di troppo, ed Eliot si sarebbe allontanato da lui.
Invece Eliot pos la sua tazza di caff e disse: "Direi che fattibile"
alle donne confuse. "E Philip come vostro redattore sar molto importante
in questa operazione."
Le fece accomodare su sedie di plastica e usc.
"Mi piaciuto molto il Serpente e la fiamma" disse Philip, e sorrise.
"Bene, Mr. Phillips, sono veramente felice di sentirglielo dire" disse
Laurene Cooper. " il nostro ventisettesimo libro."
"Ma il primo che stato accettato" aggiunse Gladys. Entrambe avevano
capelli rosso acceso, e labbra arancione. Sapeva che erano madre e figlia ma
non era sicuro di chi fosse chi.
"Be" disse Philip. " fantastico.
Mi piaciuta soprattutto la parte tahitiana, e quella scena del vulcano."
"La mamma ha passato settimane intere in biblioteca per far ricerche su
quella scena" disse Laurene.
"Per penso che dovremmo rivedere un po le scene d'amore" disse
Philip.
"Quella tra Mallory e Raul, per esempio..."
La bocca di Laurene si spalanc e non si chiuse. Ma Gladys le diede una
gomitata e disse: "Mr. Phillips, a noi va bene qualsiasi cosa lei decida.
Siamo cos entusiaste che il nostro libro sia stato accettato"
"Il fatto che vorremmo mantenere il nostro tono romantico" disse
Laurene. "Mallory una donna appassionata, e questo per noi molto
importante."
"Oh certo" reiter Gladys.
"Bene, non preoccupatevi" disse Philip. "Io non mi permetterei mai..."
"Non c' abbastanza romanticismo nei romanzi d'amore, se mi permette di
dirlo" disse Laurene. "Troppo sesso scadente e ben poco romanticismo. un
imbroglio."
" per questo che abbiamo cominciato a scrivere" disse Gladys.
"Sono assolutamente d'accordo" disse Philip. "E posso assicurarvi che il
romanticismo non verr sacrificato."
"Bene, sono contenta che su questo siamo d'accordo" disse Laurene.
"Come ho detto, siamo proprio entusiaste di lavorare con un redattore."
"Anche Vanessa entusiasta" ridacchi Gladys.
"Vanessa il gatto di mamma" disse Laurene, e ridacchi a sua volta.
"Una maltese purissima. L'abbiamo comprata con l'anticipo e abbiamo
pensato che non c'era nome pi adatto per lei. Non crede?"
"Oh, assolutamente" disse Philip.
"State facendo una bella chiacchierata?" disse Marsha Collins, tornando
nel cubicolo di Philip. "Sono dolente di interrompervi, ma devo presentare
queste signore al reparto marketing. Ma parleremo presto, Philip."
bene, bene" disse, togliendosi gli occhiali. "Non succede spesso che
riceviamo una visita spontanea da quelli come te."
Si alz in piedi, offrendogli la guancia da baciare. Aveva un odore
polveroso, come di trucioli di matita, e odorava anche, pi vagamente, di
sapone alla lavanda. "Allora, c' qualche motivo speciale?"
"No, nessun motivo speciale. Avevo una serata libera e ho pensato di fare
un salto."
Lei lo aiut a togliersi il cappotto. " stato carino da parte tua, Philip"
disse. "Ma sfortunatamente tuo padre adesso non c'. Questa la serata in
cui deve ricevere i genitori. Rincaser verso le dieci. Comunque, non avevo
programmato niente per cena. Non so cosa c' nel frigorifero..."
"Non preoccuparti, mamma" disse lui, seguendola in cucina, "ordiner
qualcosa al ristorante cinese. Avevo solo intenzione di passare in rivista i
miei vecchi libri, e ho pensato che stasera poteva essere la sera giusta per
farlo."
"S, stasera." Rose parve tutt'a un tratto distratta.
"Mamma?" disse lui.
"Cosa? Ah, s, stasera. Be, va benissimo." Incominci ad aprire dei
contenitori di plastica rosa a chiusura ermetica e a versarne il contenuto in
una pentola. "Ci sono degli avanzi di stufato Stroganoff che puoi finire"
disse. "E del tacchino alla Tetrazzini. Un tempo ti piaceva molto."
"Ma veramente, mamma, non devi..."
"Ma mi fai un favore. Nessuno manger questi avanzi se non li mangi tu."
"Be...'"
"D'accordo. Facciamo cos." Mescol il contenuto delle pentole con un
cucchiaio di legno mentre lui sedeva al tavolo di cucina a leggere il
giornale. Uno dei fotomodelli di un annuncio pubblicitario della Bergdorf
Goodman aveva una forte somiglianza con Eliot, pens, e stava quasi per
accennare alla coincidenza quando si ricord che sua madre non sapeva
niente di Eliot, e non avrebbe neppure riconosciuto il suo nome. Gli sarebbe
piaciuto dirle: "Mamma, sono innamorato" Gli sarebbe piaciuto dirle che
alla fine della settimana aveva una cena con Derek Moulthorp, che il suo
amante era il figlio adottivo di Derek Moulthorp, di cui lei aveva redatto i
libri e li aveva amati tanto da portarli a casa perch Owen li leggesse e li
rileggesse. Gli risultava quasi insopportabile trattenersi dal raccontarglielo.
La sua bocca si apr involontariamente, poi si chiuse di nuovo. Guard la
tavola. Non aveva pi paura, come l'aveva avuta per tanti anni, che lei gli
voltasse le spalle, lo rifiutasse, negasse che era suo figlio. Aveva solo paura
del suo potere di ferirla.
Sentiva il sapore della domanda sulle labbra; sentiva il sapore della risposta,
la conoscenza, resa salata dal pericolo, perch sapeva che a Eliot non
sarebbe piaciuto che lui facesse a Derek delle domande su quella parte della
sua vita. Eliot evitava di parlare dei suoi veri genitori cos come si rifiutava
di spiegare la fonte dei suoi redditi, cambiando argomento ogni volta che
qualcuno vi accennava; non conservava neanche una loro fotografia, nessun
ricordo. E Philip aveva imparato che era rischioso stuzzicarlo
sull'argomento; il silenzio di Eliot in proposito aveva una sfumatura di
panico che Philip sapeva sentire.
Gir un'altra pagina di Questa e Nebular, e la dedica gli balz agli occhi,
bench non avesse niente a che fare con Eliot o con nessun altro che
conosceva o di cui avesse sentito parlare: "Per i miei nipotini e le mie
nipotine: Sambo, Sousou, Joanna, Alexander, e s, anche per te, Margaret"
Non aveva mai pensato a guardare le altre dediche, cos, balzando in piedi
dal pavimento, incominci a strappare dagli scaffali i titoli di Derek
Moulthorp. Dovette rovistare in tutto il soggiorno dove sua madre stava
guardando la televisione prima di riuscire a scoprire L'orfanotrofio del
signor Olifante infilato tra un paio di guide turistiche di Venezia. Il
montatore radioattivo era caduto dietro ad alcuni manuali di riparazioni
domestiche. Ben presto li ebbe tutti quanti. Senza fiato, li sistem
cronologicamente in una pila sul pavimento della sua stanza e incominci a
leggere le dediche.
L'originale signor Olifante non ne aveva nessuna, Il campo ghiacciato
aveva una dedica, ma poco rivelatrice: "Alla memoria dei miei genitori e dei
miei nonni" Poi veniva Il portale dei desideri: "Alla memoria di Julia e Alan
Abrams" Questi, naturalmente, dovevano essere i genitori di Eliot. E
chiudendo il libro, Philip pens: avevano un nome. Erano reali, e i loro
nomi erano Alan e Julia, ed erano morti pi o meno negli anni Cinquanta.
Alan e Julia: i nomi suscitarono delle immagini nella mente di Philip: un
giovane uomo loquace e brioso, esile, con una calvizie incipiente e piccoli
occhiali rotondi; una donna graziosa dai capelli scuri, matura, vestita di
vecchi abiti. Perch vecchi abiti?
Come faceva a sapere che avevano quell'aspetto? Due persone erano
morte, la loro macchina spiaccicata e incenerita, e forse un bambino, vivo,
sul sedile posteriore, urlava alla ricerca dei genitori. O era semplicemente il
frutto dell'immaginazione di Philip? Eliot era davvero sulla macchina?
Philip non lo sapeva.
Continu a leggere. L'orfanotrofio del signor Olifante aveva una dedica
che, poco misteriosamente, diceva: "a G." L'aranceto del signor Olifante
diceva, ancora meno misteriosamente, "a G.B. con amore" Ne restavano
solo due. Stancamente apri Questa e lesse: "ancora una volta, per Geoffrey"
- una sequenza che era da sola una storia. E adesso restava solo un altro
libro in suo possesso: Il montatore radioattivo, l'unico che Philip non avesse
finito. Doveva essere dedicato a Eliot. Come avrebbe potuto Derek
Moulthorp non dedicare almeno un libro al suo figlioccio adorato, che a
quell'epoca doveva avere per lo meno tredici anni?
Apr il libro e lesse la dedica: "per Eliot - se lo vuole" Niente di pi, solo
queste parole. Philip chiuse il libro. Bene, pens, era quello che stavo
cercando. "Se lo vuole." Si era aspettato troppo da una dedica, suppose;
arricchimento, rassicurazioni, profezie, frasi focose che corroborassero il
mito delle origini di Eliot. "Se lo vuole"; si trattava di una vera
ambivalenza? Era uno scherzo? Lesse e rilesse le parole, finch cessarono di
avere un senso. Erano parole private. Il loro significato non poteva essere
dischiuso senza una chiave speciale.
Tagliavano fuori Philip. E dopotutto, perch non avrebbero dovuto? Le
dediche non erano per i lettori; erano per gli amici e la famiglia dell'autore,
il suo entourage immediato, le persone da lui amate; erano scherzi privati,
messaggi in codice. All'improvviso come gli sembr insulsa la sua vita in
confronto a quella di Eliot, la sua infanzia solitaria che ora gli sembrava
trascorsa interamente su strisce d'asfalto nero, in freddi pomeriggi in cui ti
dolgono le mani, quando i bambini pattinano sul ghiaccio e cadono a faccia
in gi. Eliot, ne era sicuro, era cresciuto in modo molto diverso, in una casa
di battute intelligenti e canzoni inventate, in una casa dove si raccontavano
storie e si facevano disegni, dove le porte delle dispense erano portali che si
aprivano su terre in cui le principesse cavalcavano unicorni, e prodi creature
ridevano sulle sponde dei fiumi - proprio quelle terre di cui leggeva Philip
in quei piovosi pomeriggi, nelle quali si fuggiva passando attraverso gli
armadi o i buchi nelle staccionate: Narnia, il Paese delle Meraviglie; Oz.
Fontane che gettavano fredde cascate di acqua risplendente, arcobaleni,
notti a contare le stelle dalle barche, Una volta aveva cercato di arrivarci,
quel pomeriggio a Central Park, quando si era lanciato ripetutamente contro
il muro. Aveva sperato che sarebbe successo come succedeva in La sedia
d'argento, dove la staccionata si rompe, ed Eustace Scrub e Jill Pole cadono
nel cuore di Narnia, nel cuore dell'eroismo, e lontano dalla bassezza della
loro odiata scuola. Come sapeva Derek Moulthorp, i bambini tengono alla
dignit pi di quanto la maggior parte degli adulti non capisca o ricordi. Ma
Philip, per quanto si fosse lanciato con tutte le sue forze, non era arrivato da
nessuna parte.
Eliot, fortunato Eliot; probabilmente nel frattempo lui stava gi giocando
dall'altra parte del muro.
Gerard contro quello di Philip mentre lui annaspava alla ricerca d'aria,
sentendosi sepolto sotto la massa di Gerard. La figlia di Gabrielle e di Jack,
Michelle, che aveva un anno pi di Philip, talvolta si univa a loro e portava
le sue amiche, che assimilavano Philip nel loro facile cameratismo
provinciale.
Ma un'estate i Benjamin arrivando scoprirono che Michelle aveva
sviluppato dei grossi seni e si era pettinata come Farrah Fawcett, dopodich
Philip, ancora un bambino a dodici anni, se ne rimase in camera sua,
spaventato dai ragazzoni dalle voci roche che si aggiravano nei paraggi per
ammirare la potente e minacciosa pubert della ragazze.
Michelle a tredici anni ne dimostrava venti, andava regolarmente nei bar,
e rideva a crepapelle quando Rose e Owen le chiedevano se voleva
accompagnarli ad Asbury Park, come se fossero passati cent'anni dall'estate
precedente. Ancora una volta solo, Philip sal sull'Uragano e sul
Capitombolo, e si preoccup dei peli radi che incominciavano a crescergli
sotto le braccia. Per paura che sua madre li vedesse, si teneva addosso la
camicia fino all'ultimo momento quando andava a nuotare, poi si tuffava in
acqua, con le braccia incollate ai fianchi.
Per tutta quell'estate, tornato in citt, Philip fu apatico. Rose diede la
colpa al tempo. Fuori era cos afoso che tornando a casa dal lavoro, talvolta
le sembrava di guardare attraverso del miele caldo, tanto l'aria era difficile
da respirare, e piena di calura. I genitori di Gerard quell'estate avrebbero
portato il figlio in Egitto, disse Philip a Rose e a Owen una sera a cena. "E
l'estate scorsa l'hanno portato ad Atlanta." Si piant una forchettata di
insalata in bocca e non aggiunse altro, ma loro ricevettero il messaggio.
"Be" disse Rose a Owen quella sera, "perch no?
Io ho delle vacanze arretrate.
Potremmo prenderci il mese di agosto, e andare a Ovest, affittando una
macchina."
Owen pos il suo libro. "S, si potrebbe" disse.
"Ho sempre desiderato farlo."
"S"
"S."
Ma il viaggio in realt era per Philip. Volarono fino a Tucson e affittarono
una macchina e per tre settimane guidarono attraverso il Nuovo Messico e
l'Arizona e tutta la California, dormendo nei motel e mangiando in ristoranti
con annessi negozi di regali in cui le donne che portavano occhiali a farfalla
vendevano "oggetti di autentico artigianato indiano" Anche se le passarono
in rassegna tutte, le grandi attrazioni suscitarono poco interesse in Philip.
Cresciuto con un View-Master, rest impassibile di fronte allo spettacolo
adolescenza. Tutto quel che desiderava era un uomo con cui fare all'amore pienamente, fino all'esaurimento, pi di una volta - e forse un po di
compagnia. Eppure, persino questo era altrettanto impossibile adesso di
quanto lo era stato allora. Aveva un lavoro, una moglie, un figlio. Forse
sarebbe riuscito a esprimerlo se fosse stato pi giovane e meno sistemato;
ma ormai gli sembrava che a ogni anno vissuto da ipocrita, la sua identit di
padre di famiglia, di marito, di professionista si cementasse nelle menti di
quelli che lo circondavano, per non parlare di quelli che amava.
Dopotutto, per ventisette anni era stato il marito di Rose; teneva tra le
mani il destino di lei come una granata. Per spezzare quella condizione
adesso - be, avrebbe dovuto perdere il lavoro. Avrebbe perso Rose. Avrebbe
perso Philip.
Eppure sapeva che non avrebbe lasciato questo ufficio, finch non avesse
composto quel numero, parlato a quella voce; che se non fosse stato stasera,
sarebbe tornato domani sera, e la sera seguente. Ormai la cosa era sfuggita
al suo controllo.
Cos rimase l seduto, col cuore martellante, mentre il telefono gli si
acquattava davanti senza vergogna, offrendogli di aprire per lui la cassaforte
segreta del suo cuore, la cui combinazione erano le sette cifre del numero di
telefono, da lungo tempo memorizzate, di Alex Melchor.
Sollev la cornetta. Compose il numero in una sorta di delirio, e fu solo
quando ebbe finito, e il telefono incominci a squillare che torn in s e si
rese conto di quello che aveva fatto con tanto facilit, e cap che non c'era
via di ritorno. Avrebbe potuto riattaccare, ma non aveva intenzione di farlo.
L'avrebbe lasciato squillare cinque volte. Uno.
Due. Tre.
Ci fu un clic. Trattenne il respiro.
Poi il rumore di un tonfo. "O merda!" disse una voce maschile. Sent
musica nel sottofondo - non riusc a riconoscere esattamente quale. Per
qualche misteriosa ragione, fu invaso da un senso di sollievo. Il suo polso
rallent. Aveva voglia di ridere.
"Mi spiace, mi caduto il telefono.
Pronto?" La voce era stridula, lievemente effeminata.
"Parlo con Alex Melchor?" disse Owen. Era piegato sulla sua poltrona,
coi piedi ficcati sotto le natiche, e sorrideva stuzzicandosi i denti e
trattenendo una risata.
"No, solo un minuto, adesso lo chiamo. Chi parla?"
"Pu dirgli che mi chiamo Owen Benjamin. Ma non riconoscer il nome."
Sent la voce che ripeteva queste parole distintamente, bench pareva non
avessero niente a che vedere con lui.
canguro neonato che deve annaspare, cieco e su quattro zampe, per trovare
la sacca della madre. La speranza aveva il fiato mozzo ma respirava
baldanzosa in Owen, alla ricerca di un posto dove crescere di nuovo.
Si tir su il collo del cappotto e cammin pi in fretta. Il suo fiato divenne
visibile nell'oscurit e nel freddo. Ce l'aveva fatta. Aveva telefonato. Ne era
uscito vivo, ancora se stesso. Questo per lui era pi importante del fatto che
non fosse mai esistito alcun messaggio, alcuna offerta dell'ultimo minuto. Si
era prefisso uno scopo e l'aveva conseguito, come avrebbe detto suo padre
quando lui era bambino, e cercava di costruire il modellino di una
macchina, una Ford modello T, e se non era venuta proprio perfetta - be,
che male c'era? aveva detto suo padre.
Hai fatto del tuo meglio. Sono fiero di te, e ti meriti un premio.
Owen si meritava davvero un premio.
Subito. Cos entr in un'edicola aperta tutta la notte e si compr una
stecca di cioccolato alle mandorle.
La sera della cena Derek Moulthorp, Jerene stava con il piede appoggiato
al bordo della vasca da bagno. Aveva indosso un pallido slip di seta; sotto le
ginocchia, le sue gambe erano coperte di crema da barba.
"Wow" disse Philip. "Sembri..."
"Lo so, lo so" disse lei. "Non dirmelo. ridicolo."
"Non ti tagli mai?" chiese Philip.
"Io mi taglio un sacco."
"Bada" disse Jerene, "sono sei anni che non lo faccio."
Il raschiare del rasoio contro la pelle fece fare una smorfia a Philip.
Si sedette sulla brandina di Jerene, stando bene attento a non stropicciare
il vestito di lana blu disseminato di fiori di campo che era stato posato con
tanta cura accanto ai lui. La fiss.
Jerene aveva un appuntamento.
Non sapeva proprio cosa l'avesse spinta a entrare nel negozio di Laura
Ashley. Ma era entrata, ricordando sua madre, i vestiti di pizzo che le erano
stati appioppati da bambina e la mano che le acconciava i capelli in tanti
riccioli. La commessa sembrava preraffaellita, pallida, quasi albina.
Lunghi capelli biondi le sfioravano le spalle. Se fosse stata allo Shescape,
se fosse stato sabato sera e avesse avuto la giacca di pelle, Jerene avrebbe
fatto la sua mossa. Esile come un serpente, era bravissima a farsi strada
sinuosamente sulla pista da ballo, arrivando dove voleva. La ragazza sulle
prime si sarebbe spaventata, poi sarebbe rimasta affascinata quando Jerene
avesse chiesto: "Hai da accendere?"
Disse invece: "Sto cercando un vestito", anticipando la sorpresa con una
sfida.
"Immagino di s." Si gir e frug nel suo cassetto, dove trov un paio di
aculei che portava quando voleva intimidire uno dei suoi professori e
convincerli a prolungarle un permesso.
(Essere alta pi di un metro e ottanta, nera, e avere un taglio da marines
aveva in effetti i suoi vantaggi, aveva scoperto, per lo meno quanto c'erano
di mezzo dei piccoli professori bianchi.) Ma questi non andavano bene per
stasera. Frug di nuovo e ne trov un paio dei tempi del liceo - due grappoli
di perline azzurre - e se li mise. "S" disse Eliot. "Esattamente."
Erano pronti. Philip si mise davanti allo specchio, a giocherellare col
nodo del suo papillon. "Non riesco a credere che finalmente sto per
conoscere Derek" disse infilandosi il cappotto. "Dopo aver letto tutti quei
libri - conoscerlo finalmente - be, significa molto per me."
"Sono felice che tu sia cos entusiasta."
Fuori in strada, soffiava un lieve vento. Il ghiaccio del week-end
precedente aveva incominciato a sciogliersi, creando un'illusione di
primavera, e Philip si sent orgoglioso e felice mentre camminava orgoglioso di Eliot, che sembrava tanto attraente, tanto sicuro di s con la
sua camicia e il suo pullover rosa, e anche orgoglioso di Jerene, orgoglioso
di conoscere questa donna strana e bellissima, dall'aspetto cos insolito che
la gente si girava a guardarla mentre passavano. Dalla Sesta Avenue, Eliot li
aveva guidati nella Tredicesima Strada, dove scuri alberi brillavano nel
bagliore azzurrino dei lampioni, e la sottile insegna al neon di un ristorante
nel seminterrato di tanto in tanti brillava sotto le villette di mattoni. Salirono
dei gradini verso una scura porta di noce con un battente di ottone. La casa
era distinguibile dalla fila di eleganti villette in mattoni tra le quali si ergeva
- quadrata, con molte finestre, pelosa di viticci.
"Bene" fece Jerene, "qui ci salutiamo." Sorrise.
"Dov' il tuo appuntamento?" chiese Philip.
"Al Caf Luxembourg, se riesci a crederci" disse Jerene. Si strinse nelle
spalle, alz gli occhi al cielo, ed Eliot si pieg a darle un bacio.
"Ciao, tesoro" disse. "Arrivederci."
Lei fece un cenno con la mano e scomparve gi per la strada. Eliot
sollev il battente e lo lasci cadere, poi tir fuori le chiavi di tasca, ne
infil una nella serratura con facilit. Entrarono in un ingresso, e oltre
questo in un soggiorno illuminato dalla luce del fuoco.
"Salve, Geoffrey" disse Eliot.
"Eliot!" Un uomo dalle guance rosse emerse dall'oscurit, tendendo le
braccia in segno di saluto, e lui ed Eliot si abbracciarono. Era fatto pi o
meno a forma di pera, e indossava gli abiti comodi di un padre - un cardigan
giallo su una camicia Oxford, semplici pantaloni sportivi marrone, una
Philip guard Eliot che sorrise, accese una sigaretta, e soffi una boccata di
fumo in faccia a Tintin. Oltre il soggiorno buio e l'atrio illuminato, brillava
una scala color avorio.
"Questa una casa grandiosa" disse Philip a Eliot. "Mi difficile
immaginare di crescere qui."
"Be, ti ci abitueresti nel giro di pochi giorni. Non diversa da tutte le altre
case."
"Come fai a dire una cosa simile?" disse Philip con un tono di voce
leggermente pi acuto. "Crescere qui deve essere stato meraviglioso." Ma
prima che Eliot potesse rispondergli, John torn dal bar e porse a Philip un
piccolo bicchiere di vino. "E allora che genere di redattore sei?" chiese.
"Romanzi d'amore" disse Philip. "O, come li chiamano nel ramo, strappareggiseni."
"Ah, ah" fece John. "Sono indubbiamente popolari. Ho un amico che ne
scrive del genere gay. Come pensi che dovrebbero chiamarli?
Strappa-reggipalle?"
Philip scoppi in una risata.
"Forse" disse. Lo stelo del bicchiere che teneva in mano era
elaboratamente scanalato, e inconsciamente ne accarezz le incisioni
dentellate. Poi un ciabattio annunci il ritorno di Geoffrey. "Le cialde sono
perfette" disse, "assolutamente perfette."
Sorrise a Philip. La sua faccia, bench ora fosse piuttosto gonfia, un
tempo era stata chiaramente attraente; sotto il gonfiore Philip poteva
distinguere i contorni di zigomi alti e di una mascella quadrata.
Gli orologi ticchettavano. Un cuculo emise un pigolio strascicato fuori
orario e Geoffrey disse: "Lo sapevo che avevo dimenticato di caricarlo,
quello l" Poi si gir verso Philip e disse: "Perch adesso non vieni a
conoscere Derek? Stasera si rifiuta di lasciare i fornelli"
Annaspando, Philip guard Eliot, che gli fece cenno di andare. "S, mi
piacerebbe. Scusami" disse a John.
"Ma certo, non c' di che" disse John. Attravers la stanza e si vers un
altro bicchiere di vino. Geoffrey prese per il braccio Philip con la sua stretta
decisa e lo port in cucina - una stanza vasta, lucida e metallica, dove un
uomo enorme sovrintendeva a delle pentole con impasti di varie sfumature
di blu.
"Derek" disse Geoffrey, "questo l'amico di Eliot, Philip."
Derek si stacc dai fornelli. Era alto almeno due metri; ciocche
scompigliate di capelli grigi gli cadevano sulla fronte, che era umida di
vapore. Si asciug le mani nel grembiule, disse con uno scandito accento
britannico: "Philip, un vero piacere" e gli tese la mano che era enorme e
tutti salvo che ai bambini saggi e innocenti. Questi venivano a giocare con
lui, e lui lo sollevava in alto sugli alberi. E chi, dopotutto, aveva inventato
quel gigante se non quell'uomo dalle spalle ricurvate alto due metri che era
Oscar Wilde, anche lui tanto impacciato nei suoi massicci abiti di velluto?
C'era ancora una fotografia, una vecchia Kodachrome scolorita di Derek e
Geoffrey, seduti intorno a un tavolo illuminato da candele rosse. Tra loro
sedeva un uomo esile con una calvizie incipiente e una ragazza dall'ampio
sorriso e dai folti capelli rossi, zigomi alti scuriti dall'ombra, e labbra rosso
scuro. I suoi occhi avevano catturato la luce del flash e sembravano brillare
verde-oro. "Sono i genitori di Eliot?" chiese Philip, e Geoffrey annu.
"Questa stata scattata un anno prima che morissero."
Adesso Eliot e John entrarono in cucina, e la stanza risuon
all'improvviso di scambi di saluti.
Derek abbracci Eliot. "Sei arrivato giusto in tempo per uno dei miei
orribili pasti blu" disse. "Spero che non ti dispiaccia."
"Li ha fatti per anni" grid Eliot a Philip da dentro il cerchio caldo delle
braccia di Derek. "E io li ho sempre odiati."
"Non hai mai capito il fascino del mistero, Eliot" disse Derek e sorrise.
"La cena sar pronta da un momento all'altro" disse Geoffrey,
controllando le pentole. E Philip, per il momento inosservato, lanci
un'occhiata alla sua copia di Archie e Gumba: "A Philip", diceva la dedica,
"se lo vuole! Con i saluti pi affettuosi, Derek Moulthorp"
A cena Philip si sedette accanto a Geoffrey di fronte a Eliot, e fiss il cibo
blu nel suo piatto - l'anatra coperta da uno spesso strato di mirtilli, cialde
blu, il pur di patate al gusto di prugna. Evit la pasta che, cucinata, era
diventata di uno sgradevole color grigio. ("Ogni grande esperimento ha i
suoi grandi fallimenti" si scus Derek.) Ogni pochi minuti Geoffrey
scompariva in cucina, tornando con un cestino di cialde o un'altra bottiglia
di vino.
Portava un pesante anello d'oro che sbatteva rumorosamente contro
l'argenteria quando serviva del pur nel piatto di Derek, o gli riempiva il
bicchiere di vino. Derek stava raccontando una lunga storia confusa su un
poeta italiano a cui piaceva far l'amore col suo cane. Sul letto di morte, si
era finalmente "scoperto", per cos dire, e aveva dichiarato a un visitatore:
"Non c' niente di pi vicino alla divinit del gusto della lingua di un cane."
Tutti risero e Philip, che da bambino aveva segretamente baciato sulla bocca
il suo cucciolo di barboncino pi di una volta, cerc di ricordare il sapore:
alcalino, gli parve di ricordare, con un retrogusto metallico. Tutto preso
dalla storia che stava raccontando, Derek sembrava non accorgersi
nemmeno che le cialde venivano fatte scivolare regolarmente sul suo piatto,
o che i suoi bicchieri di acqua e di vino non erano mai vuoti. Geoffrey lo
serviva con grande attenzione, ma al tempo stesso in modo furtivo, come se
il suo scopo di vera moglie fosse di rendersi quasi invisibile, per creare
l'illusione che il cibo cadesse nel piatto di Derek come i frutti da una pianta.
Derek aveva vissuto in Europa per un certo tempo, stava raccontando: a
Berlino; a Barcellona; a Parigi.
Sorrideva mentre raccontava le storie dei dissoluti omosessuali europei,
degli amoreggiamenti nel Faubourg St.
Germain, dei travestiti che stavano in panciolle su sedie a sdraio lungo i
grandi viali alberati del Bois-de-Boulogne. "I club a quei tempi erano
schifosamente eleganti" disse.
"Non come adesso. Negli anni Cinquanta, in Europa, l'eleganza era
importante per tutti, ma per gli omosessuali forse pi che per chiunque altro.
Era un modo per tirar su un io in frantumi. Erano sempre impeccabili,
quegli uomini parigini che conoscevo - persino i guidatori di taxi, persino
Falasha, seduta sulla sua sdraio o nel Bois, inzuppata di Chanel a
sorseggiare champagne da un bicchiere di cristallo."
Si appoggi allo schienale della seggiola, sorridendo. C'era il famoso
fotografo francese, suo carissimo amico, che una volta aveva accompagnato
a Tangeri alla ricerca di bei ragazzini dalla pelle scura. " facilissimo l,
sai" spieg, "perch i bambini devono cavarsela da soli fin da piccoli, e i
loro genitori, se mai ne hanno, molto difficile che piantino delle grane.
Inoltre quei bambini cresciuti in mezzo a una strada si risvegliano al sesso
molto prima dei bambini americani o europei perch non c' niente che li
trattenga. Gli piace proprio. Cos io aspettavo in un caff e Roland alla fine
tornava con qualche piccolo Moustaf o Hamid e gli offriva una Coca-Cola
per il disturbo - tra le altre cose." Poi vedendo l'espressione sgomenta di
Philip, aggiunse a mo di scusa: "Naturalmente, Roland non fece mai niente
coi ragazzi. Gli piaceva accarezzarli e a volte far loro il bagno"
"Oh, non stavo pensando..."
"Ma certo. Voi giovanotti di oggi siete cos puritani!"
Rise. Di nuovo la bottiglia di vino fece il giro della tavola. Geoffrey serv
la pasta nel piatto di Derek.
Aveva un tovagliolo intorno al collo, macchiato di diverse sfumature di
lavanda e di blu. Tutto in Derek era ricurvo e costretto, persino i suoi gesti
erano solo stoccate nell'aria, sminuiti da anni di condizionamento in un
mondo semplicemente costruito nella scala sbagliata. Probabilmente gli era
capitato di sottolineare un'osservazione con troppa enfasi e di colpire per
sbaglio qualcuno in faccio.
Philip stava ancora bevendo vino.
Lei... Come potrei dire?... Ci vedeva chiaro su di me. Comunque, alla fine
mi present questo meraviglioso Derek di cui avevo tanto sentito parlare, e
il mio cuore fece tilt. All'improvviso seppi cosa volevo. Ma ovviamente ero
sposato."
".e lui a insistere, e insistere che era Linda Darnell - di cosa state
cianciando voi due ragazze laggi, Geoffrey?" grid Derek dall'altra parte
del tavolo, e Philip si blocc.
"Oh, lascia perdere" lo rimprover Geoffrey, "stiamo facendo una bella
chiacchieratina privata." Torn a Philip, sollev il bicchiere di vino e gli
strizz l'occhio. "Be, comunque" continu, "il piccolo spagnolo di Derek fu
coinvolto in una rissa in una bettola locale, e fin in galera e questa fu
l'ultima cosa che si seppe di lui. Julia e Alan come avevano progettato, si
sposarono, e andammo entrambi al matrimonio. Derek era il testimone
principale, ma avrebbe anche potuto fare la damigella d'onore, per come si
era vestito. Dopo d'allora ci vedemmo sempre, perch ci piacevano - ma
solo come amici. Viveva all'ultimo piano di una casa senza ascensore, e di
tutta la gente che poteva capitargli, si ritrov proprio Anas Nin dall'altra
parte della sua uscita di sicurezza - quante ne potrei raccontare! Ma uscirei
dall'argomento.
Una cosa porta all'altra, e io incomincia... a fare i miei esperimenti. Non
con Derek, naturalmente; sarebbe stato troppo vicino a casa. Con gli uomini
che incontravo. E alla fine ci fu un ragazzo cubano di nome Hector che
telefon ad Adele in preda a un raptus di gelosia e le disse tutto." Sospir.
"Subito dopo venni a sapere che lei era tornata a Morristown."
"E dopo che cosa successe?"
"Be, dopo ero un uomo libero" disse Geoffrey. "E appena Derek lo avesse
saputo... era solo questione di tempo.
Sapeva che lo amavo"
"Quanti anni avevi?"
"Be, vediamo. Dovevo avere... 23 o 24 anni? e Derek ne aveva
probabilmente 28."
"Ne avevo 27" grid Derek dall'altra parte del tavolo. "Scusami!"
Geoffrey alz gli occhi al soffitto, e la voce di Derek si abbass di nuovo.
" una storia incredibile" disse Philip. "Ma Eliot non mi ha mai detto che
erano stati i suoi genitori a presentarvi." E di nuovo sent Eliot che girava la
testa.
"Ci hanno presentato, nutrito, portato i messaggi d'amore. Ci hanno
persino mantenuto per un po, lasciandoci la grande casa negli Hamptons
mentre Derek stava scrivendo Il campo ghiacciato. Questo succedeva dopo
che Julia era venuta in possesso della sua eredit e aveva incominciato a
spenderla per i suoi amici artisti." Geoffrey rise. "E cos quella casa negli
Hamptons divenne una vera e propria colonia di artisti - pullulante di amici
di Julia e Alan.
Gente speciale, proprio speciale. E il piccolo Eliot, a soli due anni, coi
capelli fin sulle spalle, marrone come una nocciola, era un piccolo cupido
che correva nudo sulla spiaggia. Mi pare che Julia lo allattasse ancora."
Prese un altro sorso di vino. "Julia" disse, asciugandosi la bocca con un
tovagliolo. "Julia. Ricordo che..."
"Lo sai, Derek" disse Eliot ad alta voce, "Jerene ha dato un indirizzo
straordinario alla sua tesi. Credo che ti interesserebbe moltissimo. venuta
a conoscenza di una storia che potrebbe essere la trama di uno dei tuoi
romanzi."
"Davvero?" fece Derek, "racconta."
Eliot raccont a Derek la saga delle gemelle e della loro lingua inventata.
"Affascinante" disse Derek. "In effetti una volta avevo incominciato un
romanzo su un argomento del genere - un fratello e una sorella che avevano
inventato un codice segreto e che all'improvviso incominciarono a ricevere
dei messaggi in codice attraverso il loro apparecchio televisivo. Ma non
riuscii mai a finirlo." Sospir, scosse la testa, e torn al suo monologo.
"E allora come and quando Eliot venne a vivere con voi?" chiese Philip
a Geoffrey.
"Oh" fece Geoffrey, "fu molto duro.
Fu terribile. Ma ormai era l. Loro erano morti." Si appoggi allo
schienale della seggiola, stirando le braccia dietro alla testa. "Un bimbetto
senza casa, e un testamento che stabiliva che Derek e io lo dovevamo
adottare. Che potevamo fare?"
"Sapevate che volevano che voi lo adottaste?"
"Be, pi o meno. Ci chiesero di essere i tutori del bambino ancor prima
che nascesse, ma non venimmo mai a sapere che avevano formalizzato la
cosa. E ne fummo lusingati. Insomma, erano gli anni Cinquanta, dopotutto,
la loro fiducia in noi... Be, non ci pensammo su neanche un minuto. Ma non
avremmo mai immaginato che una cosa del genere potesse succedere
davvero."
Sorrise. "Eliot era un bimbetto talmente vivace. Coraggioso, a modo suo,
nei momenti difficili. Ci aiut davvero. per questo che comprammo questa
casa. Perch, capisci, pensammo che lo dovevamo a Julia e ad Alan, glielo
dovevamo proprio di allevarlo come avrebbero fatto loro, anche se all'epoca
non potevamo davvero permettercelo. Eliot era un bambino notevole, pieno
di saggezza."
Ma Geoffrey disse: "Credo che sarebbe divertente. Ti dico una cosa, John,
se tu ci vai vengo anch'io"
John sembrava scettico. Derek fece di no con la testa.
"Coraggio, vecchia quercia" disse Geoffrey, dandogli un calcetto.
"Bisogna pure che tu esca qualche volta. Ci andremo" disse a Philip.
Chiaramente infelice alla prospettiva, Derek mescol il caff.
Alla fine sospir sconfitto. "Vado un attimo a cambiarmi le scarpe" e
scomparve su per le scale. Quando torn, portava delle scarpe da basket
verdi. Sembrava avesse il cinquanta di piedi.
Ci fu un frettoloso recupero dei cappotti, qualche espressione di dubbio
dell'ultimo minuto da parte di Derek - "Non sono sicuro di averne voglia.
Penso di essere troppo vecchio, e comunque non mi sono mai piaciuti i bar.
Il Boy Bar! Perch non Boys. E se non ci lasciassero entrare?" Nel
frattempo Eliot non guardava Philip, sembrava ribollire di una rabbia
silenziosa.
"Non preoccuparti" disse Philip.
"Allen Ginsberg ci va sempre."
"Allen Ginsberg!" disse Derek, e sbuff.
Adesso erano fuori dalla porta, sulla Tredicesima Strada, diretti a est. La
notte era pi rigida di prima, ma anche col tempo ventoso c'era un sacco di
gente fuori, che camminava in fretta, afferrando le ultime ore dell'autunno.
Ben presto Philip ed Eliot, dall'andatura pi veloce degli altri, erano un
isolato pi avanti.
" stata una meravigliosa serata" disse Philip.
"Sono contento che tu ti sia divertito."
"Grazie per avermi invitato.
Eliot?" chiese Philip. "Sei mai stato in un posto gay, un bar o qualcosa del
genere, con Derek e Geoffrey?"
"Non a New York. Una volta a Provincetown. Ma non a New York."
"Quindi anche per te questa la prima volta."
"S." Non ne sembrava felice per.
Piegarono a sud, poi di nuovo a Est, fino a St. Mark's Place, dove una
ragazza adolescente in assetto punk disse: "Scusate, potete darmi i soldi per
comprare la droga?" Philip guard allegramente oltre la sua testa e continu
a camminare. "Froci" grid lei, sputando fuori la parola, e lui rimase
visibilmente turbato. "Ehi, voi, froci, volete succhiarmi il cazzo?"
"Chiudi il becco, stronza!" grido John Malcolmson, girandosi su se stesso,
e la ragazza si lasci cadere le braccia lungo i fianchi.
stanza avrebbe potuto essere suo amico, nessuno lo era, quindi si gir di
nuovo verso Derek, John e Geoffrey, che erano appoggiati come un
triumvirato in delibera contro la parete, e chiese loro: "E allora cosa ne
pensate di questo posto?"
"Divertente" disse Derek.
"Decisamente divertente."
"S, s, sono d'accordo."
"Bello. Bello."
"Diverso da quel che ti aspettavi, vero, John?" disse Philip, ma John se
n'era andato a prendere da bere.
Dall'altra parte della stanza, Eliot era ancora nel bel mezzo di una
conversazione, e Philip prov a pensare a un modo per insinuarsi nel suo
piccolo gruppo.
Poi, proprio mentre stava per scusarsi, una voce alle sue spalle disse:
"Philip?"
Si gir e vide una faccia scura e attraente, stranamente familiare. Le
labbra di Philip si aprirono mentre cercava disperatamente un nome, e
l'uomo gli prese la mano e disse: "Che piacere vederti, Philip, vecchio
amico. Sono Alex Kamarov, ti ricordi, il fratello di Dmitri"
"Alex!" disse Philip, con la voce che sprizzava sollievo. "Ma certo.
Sulle prime non riuscivo a individuarti. Ma adesso..."
"Certo, certo" disse Alex. "Ne passato di tempo." Si strinsero la mano, e
Alex disse: "Adesso vivo a New York. Mi sono appena trasferito".
"Davvero, che bello! Che cosa fai?"
"Lavoro alla Rochefeller University.
Lo sai, in un laboratorio."
"Che bello" fece Philip. " proprio fantastico."
Si tenevano ancora la mano, per cui si interruppero bruscamente. "Ehi, lo
sai che sento sempre Dmitri" disse Alex. "Mi chiede di te, se per caso ti ho
incontrato."
"Davvero? Come se la cava al Mit?"
"Oh, va benissimo. Lo conosci Dmitri. Adesso si preso un semestre di
libert; sta facendo il suo giro in Europa. Gli ho dato la mia vecchia guida
Spartacus, come regalo d'addio, e immagino che gli sia stata piuttosto utile,
se capisci cosa intendo."
"Conoscendo Dmitri, sono sicuro che si fatto un sacco di amici" disse
Philip.
"Certo, ci puoi giurare" disse Alex. "L'ultimo questo tipo di Firenze, uno
che ha incontrato nei gabinetti della stazione ferroviaria.
"Voglio dire che talvolta mi pare che tu non mi conosca per niente. Non ci
abbia nemmeno provato."
Per un momento Philip rimase semplicemente con gli occhi spalancati,
attonito, a fissare l'intreccio intricato del pullover di Eliot. Poi si gir
goffamente. "Devo andare a casa" disse, e incominci a marciare
velocissimo verso la Seconda Avenue.
"Philip" gli grid dietro Eliot.
"Philip, fermati."
Philip si ferm.
"Cosa stai facendo?"
"Sto andando a casa."
"Perch stai andando a casa?"
Eliot lo fece girare per guardarlo in faccia. "Dannazione" disse Philip,
"dirmi una cosa del genere... come osi dirmi una cosa del genere! Non
giusto da parte tua..."
"Cos' che non giusto?"
Philip aggrott la fronte. " che... d'accordo, forse non ti ho visto, forse
vero che non ti conosco veramente. Ma tutta colpa mia? Tutte le volte che
cerco di chiederti qualcosa, ti chiudi come un'ostrica o ti arrabbi. Se io non
ti conosco, perch tu non mi permetti di conoscerti."
Eliot rise - un breve sbuffo che Philip non gli aveva mai sentito prima.
"Lo sai che non cos semplice" disse.
"E allora com'?"
Eliot tir un lungo sospiro, si allontan da lui. "Mi spiace" disse, "ma il
fatto , che fin dall'inizio, questa storia stata fra te e te, e io sono stato
semplicemente un manichino; sono stato un emblema del tipo di persona
che potevi immaginare d'amare, non la persona che amavi. Non mi sono
nascosto a te, Philip. Ma bisogna che tu impari a fare le domande giuste e
nel modo giusto se vuoi ottenere una risposta." Piant i pugni nelle tasche, e
si gir su se stesso. " difficile per me dirti questo" disse. "Ma proprio
cos. Tu dici che sei innamorato di me, ma chiaro che non ne sai niente
dell'essere innamorati, perch questo non niente..."
"Piantala" disse Philip. "Piantala."
Ancora una volta, Eliot si gir e lo guard. Era l in piedi, silenzioso
contro il muro, con gli occhi chiusi.
"Philip" disse Eliot.
"Non so quanto sia vero quello che dici, ma non hai il diritto di dirmi che
non ti ho amato. L'ho sentito proprio qui."
Si diede un pugno proprio sul cuore, forte, come un medico che cerchi di
far rinascere la vita. "Puoi dirmi che sono egoista" disse. "Puoi dirmi che
sono infantile e talmente preso di me che talvolta non mi rendo conto delle
cose. Ma non puoi dirmi che quello che provo non reale. Questo
veramente troppo."
Eliot guard il terreno davanti a s. "Mi spiace" disse. "Hai ragione.
troppo."
"D'accordo."
Si gir e incominci a incamminarsi verso la Seconda Avenue.
"Dove stai andando?" grid Eliot.
"A casa" disse Philip.
"Fermati" disse Eliot.
Si ferm, ed Eliot and verso di lui. "Philip" disse. Lo fece girare,
tenendogli le braccia sulle spalle.
" tardi" disse Eliot. "Vuoi davvero andare a casa da solo adesso, nel
freddo?" Sorrise, e prese la faccia di Philip tra le mani. Le sue palme erano
calde e sicure contro la faccia fredda di Philip, come i fratelli Kamarov in
quella lontana domenica del diploma, che lo abbracciavano proteggendolo
dal pericolo. O almeno cos' gli sembrava.
Perch, perch faceva questo? si chiese Philip. Perch proprio adesso,
quando aveva tanto bisogno di odiarlo, Eliot doveva essere gentile?
"Mi spiace di averne parlato in questo modo" disse. "Ero proprio
arrabbiato. Senti, andiamo a casa."
Philip era sospettoso. "E domani?" disse.
"Domani domani. Stasera voglio che tu rimanga con me."
Philip cerc di abbassare gli occhi, ma Eliot gli teneva alzata la faccia e
non gliela lasciava girare. "Mi dici che sono stato terribile con te, mi dici
che non ti ho amato, che non ho fatto niente per te, che ti ho usato, e adesso,
tutt'a un tratto, vuoi che passi la notte con te? Questo non lo capisco, Eliot."
"Senti, ho detto quello che volevo dire, quello che dovevo dire, perch
l'avevo in mente, e da un po mi tormentava" disse Eliot. "Ci tengo a te.
Qualcuno che ci tiene a te quanto ci tengo io ti permetterebbe di fare
quell'enorme viaggio a casa, sulla metropolitana, a quest'ora? Tutto solo?"
Accost il viso a quello di Philip, cos vicino che Philip pot sentire il suo
fiato. "Voglio stare con te stanotte" disse. "Non mi credi?"
Sorrise di nuovo, in modo ancor pi dolce. Philip guard il pullover di
Eliot, i loro piedi gli uni fronte agli altri sul marciapiede screziato, i
ristoranti indiani ancora illuminati a quest'ora tarda. Non c'era niente di
quanto avesse detto Eliot che non avesse senso per lui, che non avesse la
spaventosa risonanza della verit.
Immagin di andarsene burrascosamente, si vide ad aspettare quaranta
minuti sulla piattaforma fredda della metropolitana, a fare chilometri e
chilometri sul treno sferragliante fino alla piccola stanza scura uptown dove
non lo aspettava niente, e non riusc a sopportare quel pensiero. La squallida
prospettiva di quel viaggio uptown spense il suo desiderio di una vistosa
vendetta. Sembrava che per lui non ci fosse alcuna dignit in tutta questa
faccenda.
"Ti credo" disse. Poi incominci a piangere, solo un po. Sorridendo,
Eliot lo prese tra le braccia, lo strinse e lo cull e gli baci la fronte come
l'aveva baciata la madre di Philip quando lui era bambino e aveva la febbre.
Allora Philip si lasci andare a uno scoppio di veri e propri singhiozzi e
affond la faccia nel pullover di Eliot, mormorando in modo quasi
impercettibile, ancora e ancora: "Ti amo, ti amo", finch non si form una
piccola chiazza bagnata sul pullover, sopra il cuore di Eliot.
"Coraggio" disse Eliot. "Andiamo a casa."
Cos incominciarono a camminare, sotto braccio, verso l'appartamento di
Eliot.
Quando rientrarono, fecero l'amore con una dolcezza e una chiarezza che
Philip avrebbe ricordato per sempre, anche molto dopo che era svanito ogni
altro ricordo di Eliot. Gli parve che nella strana sacca di quell'unica notte
perduta, il semplice istinto di prendersi cura di qualcuno che aveva ferito
avesse generato in Eliot un nuovo sentimento, un sentimento che non aveva
niente a che fare con l'amore tormentato e discutibile che diceva di non
poter pi sopportare.
"Eliot" disse Philip pi tardi, quando erano sdraiati in silenzio al buio, ad
ascoltare il traffico, "penso che andr a farmi la barba."
"Non faresti meglio ad aspettare fino a domattina?" chiese Eliot.
"No, mi piacerebbe proprio farmi la barba adesso. Mi sento sudicio, mi
renderebbe pi facile dormire."
"Be, fa come vuoi. Solo sta attento a non svegliare Jerene."
"D'accordo" disse Philip. Nudo, pass in punta di piedi accanto alla
brandina di Jerene, entr in bagno, e chiuse la porta. Agit la bomboletta di
crema da barba, apr il rubinetto e incominci a gettarsi acqua calda in viso.
Dopo qualche secondo, Eliot entr a fare la pip. Philip ascolt lo
sgocciolio lieve, quasi musicale, si spalm la crema da barba sulla faccia, e
quasi immediatamente si tagli.
"Cosa fai?" disse Eliot, mettendoglisi accanto davanti allo specchio.
"Mi sono tagliato." Eliot scosse la testa, contrariato. " chiaro che stai
sbagliando tutto, togliti tutta quella crema da barba e lascia che ti faccia
vedere come si fa." Philip esegu. "Il trucco" disse Eliot, " accertarti che la
tua faccia sia veramente bagnata di acqua ben calda prima di metterti la
crema da barba.
Cos."
La sberla bollente e umida della mano di Eliot contro la sua faccia lo
sconcert. "Ecco" disse Eliot, soddisfatto, e spalm di crema da barba le
guance di Philip, la stese sopra al labbro superiore, e gi sotto le orecchie.
"Sar meglio che lasci fare a me" disse, "altrimenti finirai col tagliarti di
nuovo." Era vero.
Quando lo faceva da solo, Philip si tagliava sempre.
Eliot prese il rasoio e incominci abilmente a farlo scorrere per il lungo
sulla faccia di Philip. Sulla scia della lametta, le guance di Philip si
arrossarono, improvvisamente lisce, e gli vennero in mente lontane scene
comiche di spettacoli televisivi della sua infanzia, i padri che insegnavano ai
figli a farsi la barba per la prima volta, risate impacciate, uomini e ragazzi in
pantaloni di flanella e magliette che si attaccavano con delle bombolette di
crema da barba. Suo padre per non gli aveva mai mostrato come radersi, e
lui era stato troppo imbarazzato per chiederglielo. Un legame maschile cos
imbarazzante era impensabile con Owen.
Cos, se lo era insegnato da solo, in segreto, sperando che n sua madre n
suo padre notassero gli errori, i graffi sul collo e sul mento, e di
conseguenza, non aveva mai veramente imparato i trucchi del bagnarsi la
faccia, di dare la giusta angolazione alla lametta e di tendere la guancia con
la lingua. Ma adesso Eliot glieli stava insegnando, Philip pens che questa
intimit - Eliot che manovrava con cura il rasoio intorno al suo mento,
lavando via la crema di troppo, asciugandogli la faccia con piccoli
schiaffetti, questo fremito di pelle liscia bagnata e umida - tutto ci
apparteneva soltanto a uomini che erano amanti.
Gli parve una specie di celebrazione.
Pi tardi, mentre Eliot giaceva addormentato sul piumone, Philip si rizz
a sedere, guardando fuori dalla finestra. Le sue dita pulsarono contro il duro
cotone del piumone; le sue gambe tremarono mentre lui contava i minuti
fino all'alba.
La notte dopo la dichiarazione di Philip, Rose sogn che stava vegliando
fuori da una stanza d'ospedale. Al risveglio, per, non riusciva a ricordare
chi stesse morendo al di l della porta, ricordava solo le confuse luci gialle
dell'ospedale sui contorni delle cose, e una bimba che vagava per i corridoi,
stringendo in mano la testa decapitata di una bambola. Che aspetto strano
aveva quella bambina; teneva per i capelli la testa sorridente e con gli occhi
di vetro, come Giuditta la testa di Oloferne.
Quando Rose chiese alla madre - niente faccia, niente capelli, solo l'idea
di una madre - che cosa era successo al resto della bambola, la madre esit:
Altro silenzio. "Philip" disse di nuovo Rose. "Qualcosa non va? Diccelo,
tesoro."
"D'accordo" disse lui. "Ecco qui."
Storn gli occhi da loro. "Avevo intenzione di dirvelo da molto tempo"
disse, "e non ne ho mai parlato, perch penso di avere avuto... paura."
"Bene" disse Rose, "di cosa si tratta?"
Philip chiuse gli occhi. "Sono gay" disse. Poi lo ripet, come se non lo
avessero sentito. "Sono gay." Spalanc gli occhi, li guard ma le loro facce
erano prive di espressione. " uno shock per voi? Siete sorpresi?"
Le sue parole si rincorrevano velocissime. "Non una cosa nuova. Al
lavoro e ai miei amici l'ho detto ormai da molto tempo. Solo a voi non l'ho
detto. Non so perch. Immagino di avere avuto paura di deludervi. Volevo
aspettare finch non avessi avuto la sensazione che la mia vita fosse
abbastanza valida da potervela mostrare senza vergognarmene. Volevo
aspettare finch non potevo dimostrarvi che una vita omosessuale pu anche
essere una cosa buona."
All'improvviso gli venne da piangere.
Rose continuava a sbattere le palpebre, come se avesse passato un po di
tempo al buio e si fosse appena accesa la luce. Owen era ripiegato su se
stesso, le spalle rigide nella camicia bianca, le mani strette tra le ginocchia.
Philip continu a parlare - di ortodossia politica, di scelte personali, dello
scrittore di libri per bambini Derek Moulthorp (ma perch?) - poi si blocc
di colpo, prese un kleenex e si soffi il naso.
Tutto questo pass sopra la testa di Rose. Oh, non era ingenua lei. Di
omosessuali ne conosceva. C'era un certo numero di omosessuali nel suo
ufficio. Ma fino a questo momento aveva pensato alle loro vite come le
capitava di quando in quando di pensare distrattamente alle vite dei portinai
degli stabili davanti ai quali passava chiedendosi: dove vivono? Hanno delle
famiglie? Dei bambini? Adesso, all'improvviso, era come se l'avessero
tuffata a capofitto dentro un mondo distante e sgradevole verso il quale
aveva ben poca curiosit e nei confronti del quale provava un'avversione
casuale e non dichiarata. Sbatt le palpebre.
Significava forse, si chiese, che d'ora in avanti, ogni volta che leggo la
parola "omosessuale" in un libro, o la sento al telegiornale, ricever un
pugno allo stomaco? Dovr tapparmi le orecchie? Pens, improvvisamente,
all'Aids e prov l'impulso di tapparsi le orecchie.
Philip stava parlando, gli occhi frenetici, come se avesse paura di
bloccarsi. "Non si tratta solo dell'omosessualit" stava dicendo. "In realt
un problema di segreti. Lo so che deve essere uno shock per voi che io vi
abbia tenuta segreta tanta parte della mia vita, voglio dire. Lo so che tutti i
bambini hanno dei segreti che non dicono ai genitori. Ma di solito questi
segreti non occupano una parte cos enorme delle loro vite. Be, ho deciso
che non era giusto per nessuno di noi. Basta coi segreti. Basta."
Adesso stava guardando fuori dalla finestra, verso il traffico notturno e le
stelle. All'improvviso si gir, li guard con aria di sfida e disse: "Lo sapete
che ho tenuto per anni delle riviste pornografiche in quella valigetta, quella
del mio armadio? Le tenevo nascoste l. Lo sapevate?"
"No, non lo sapevo" disse Rose, accettando la sfida, e a un tratto ricord
che una volta effettivamente aveva intravisto qualcosa sotto il letto - la
fotografia di uomini nudi, ricord adesso con vivezza - e che non ci aveva
fatto troppo caso perch si era detta: deve averla trovata nella spazzatura;
deve avergliela data per scherzo uno dei suoi amici. Il ricordo era vago,
irrilevante, ma riusc a scuoterla dal suo stato di ottundimento. Come mai
non aveva notato quel dettaglio? Proprio lei, che non se ne lasciava sfuggire
uno.
"Be, adesso lo sapete" disse Philip. Pareva avesse delle difficolt a
deglutire. Li fiss, in attesa del peggio. Ma Rose non disse niente. La sua
faccia era pallida, priva di espressione, un foglio di carta bianca, la bocca
serrata in un piccolissimo nodo.
Poi si alz, con le mani intrecciate, e cammin in un piccolo cerchio.
"Non mi dici niente?" chiese Philip.
"Non so bene cosa dire."
"Forse... "Sono contenta che tu me l'abbia detto.""
"Non sono sicura di essere contenta che tu me l'abbia detto."
"Avresti preferito che lo tenessi segreto ancora pi a lungo?"
"Noi tutti abbiamo dei segreti, Philip. Io ho dei segreti, un sacco di
segreti, significa forse che dovrebbero essere rivelati tutti?"
"A volte meglio essere onesti."
"Meglio per chi?"
Philip rimase zitto per un momento.
"Per tutti noi" disse alla fine.
"Vorrei esserne altrettanto certa" disse Rose. Cincischi un fiore morente
in un vaso in cima al televisore. "Ma io non sono una donna senza
pregiudizi" disse, poi pens, e questa battuta da dove viene? Per un
momento si chiese se non l'avesse letta in uno dei suoi manoscritti.
"Be," disse, "ormai troppo tardi, quel che stato detto non pu pi
essere non detto."
"Pensi che non riuscirai pi a volermi bene? cos?" chiese piano Philip,
dalla poltrona nell'angolo in cui si era rifugiato.
E cosa ancor pi importante, sarebbe giusto per me, quando potrei stare
con qualcuno che amo sessualmente?" Scosse la testa. "Se mi svegliassi fra
trent'anni e mi guardassi alle spalle e capissi che ho sprecato la mia vita be, sarebbe orribile. Perch importante, mamma. La mia sessualit, la mia
attrazione per gli uomini, la forza pi cruciale, pi elementare della mia
vita, e negarla, fingere che non ci sia perch ho paura di quello che pensa la
gente - questa s sarebbe una tragedia."
"La maggior parte della gente" disse Rose, "considererebbe una vita
omosessuale una tragedia, coi bar e tutto il resto." Si gir a guardarlo in
faccia. "Cosa succeder quando avrai la mia et?" disse. "Una cosa fare
quello che vuoi quando sei giovane. Ma dopo? Essere soli, senza famiglia."
"Io non ho intenzione di rimanere da solo" disse Philip. "Io intendo stare
con il mio ragazzo. E comunque, anche la gente gay pu avere una famiglia.
Ormai in numero sempre maggiore gli uomini gay e le lesbiche stanno
trovando dei modi per avere dei bambini, o con l'adozione..."
"E che razza di vita sarebbe per i bambini?"
"Una bella vita" disse Philip. "Come ti stavo dicendo, Derek Moulthorp e
il suo amante hanno allevato Eliot, la persona con cui sto adesso, e devo
dire che una delle persone pi felici e pi equilibrate che conosco."
Rose guard fuori dalla finestra.
"Io la considero una tragedia" disse.
"Mi spiace, ma proprio cos."
"La tragedia" disse Philip, " che tu insisti a farne una tragedia, mamma.
Sei tu che crei la tua tragedia, non io. Io voglio solo chiarire le cose."
In quella, Owen si alz dal sof.
Era rimasto seduto in silenzio tutto il tempo, con le mani premute sulle
tempie, gli occhi chiusi, ad ascoltare. Guard Rose e Philip, con il labbro
inferiore che gli tremava, come se fosse sul punto di fare una grande
rivelazione. Ma l'impulso pass. Si mise le mani sulla testa, e si sedette di
nuovo.
"Stavi per dire qualcosa, pap?" chiese Philip.
"No, niente" disse Owen. "Di colpo non mi son sentito bene. Volete
scusarmi?"
"Pap" disse Philip. "Non hai detto niente su questa storia. Stai bene?"
"S, sto bene. Mi spiace, figliolo.
Voglio dire... mi spiace di non aver detto niente. Io penso... penso che sia
o-kay." Pronunci la parola in un modo strano, separando le due sillabe e
dandole una grande enfasi. "S" disse. "O-kay."
Rose distolse lo sguardo, e incominci a tamburellare con le dita sul
televisore. Poi, all'improvviso, non ci fu pi niente da dire.
irregolare, forte, e il suo piede tamburellava sulla base di scuro metallo della
libreria. Il cuore le batteva forte.
L'articolo parlava di un bambino piccolo, di nome Michel, nato da
un'adolescente sbandata, probabilmente ritardata, il frutto di uno stupro.
Fino all'et di quasi due anni, aveva vissuto con sua madre in un
casamento popolare vicino a un cantiere edilizio. Ogni giorno la madre
vagava dentro, intorno e fuori dall'appartamento, persa nella sua follia. Si
accorgeva appena della presenza del bambino, non sapeva nemmeno come
nutrirlo e come occuparsi di lui. I vicini erano allarmati per le grida di
Michel, ma quando andavano a bussare alla porta per chiederle di
tranquillizzarlo, spesso lei non c'era. Usciva a tutte le ore, lasciando il
bambino da solo, incustodito. Poi un bel giorno, quasi improvvisamente, i
pianti si interruppero. Il bambino non gridava pi, e non grid neanche la
notte seguente. Per giorni, non si sent neanche un rumore. Vennero
chiamati la polizia e gli assistenti sociali.
Trovarono il bambino sdraiato sul suo lettino accanto alla finestra. Era
vivo e straordinariamente in buona salute, considerando quanto era stato
trascurato. In silenzio, giocava sul suo squallido lettino, fermandosi ogni
qualche secondo per guardare fuori dalla finestra. Il suo gioco era diverso
da qualsiasi altro gioco avessero mai visto. Guardando fuori dalla finestra,
sollevava le braccia, poi le bloccava bruscamente, si rizzava in piedi sulle
gambe scarne, poi cadeva; si piegava e si alzava.
Faceva strani rumori, una specie di scricchiolio con la gola. Cosa stava
facendo? si chiesero gli assistenti sociali? Che razza di gioco poteva essere
questo?
Poi guardarono fuori dalla finestra, dove erano in funzione alcune gru,
che sollevavano travi maestre e travetti, o allungavano palle di demolizione
sul loro unico braccio. Il bambino stava osservando la gru pi vicina alla
finestra. Quando questa si sollevava, lui si sollevava; quando si piegava, lui
si piegava; quando le sue marce stridevano, e il motore ronzava, il bambino
produceva uno stridio con i denti, un ronzio con la lingua.
Lo portarono via. Lui grid istericamente, e non si riusc a calmarlo, tanta
era la sua desolazione per essere separato dalla sua adorata gru. Anni dopo,
Michel era un adolescente che viveva in un istituto speciale per
handicappati. Si muoveva come una gru, faceva i rumori di una gru, e
bench i dottori gli mostrassero molte fotografie e giocattoli, reagiva
soltanto alle fotografie delle gru, giocava soltanto con delle gru giocattolo.
Soltanto le gru lo rendevano felice. Divenne famoso come "il bambino-gru"
E la domanda contro cui Jerene continuava a sbattere, leggendo l'articolo,
era questa: che suono aveva? Che effetto faceva? Il linguaggio apparteneva
a Michel soltanto; per lei era perduto per sempre. Come dovevano essere
parse meravigliose e grandiose quelle gru a Michel, in confronto alle
piccole e goffe creature che lo circondavano.
Perch, Jerene ne era convinta, ciascuno, a modo suo, trova ci che deve
amare, e lo ama; la finestra diventa uno specchio; qualunque sia la cosa che
amiamo, quello che noi siamo.
Dopo aver fotocopiato l'articolo, usc dalla biblioteca. Fuori c'era un vento
pungente; si alz il bavero della giacca. Nelle vicinanze erano in corso
lavori edilizi - le gru stavano funzionando, sollevando travi all'altezza degli
uomini con il casco che brulicavano sulle impalcature precarie del
condominio in costruzione. Le gru sembravano una specie di insetti
giganteschi, dalle membra lunghissime. Incantata, Jerene si avvicin alla
staccionata di legno provvisoria che circondava il cantiere. Nella staccionata
c'era un buco tagliato sommariamente e attraverso questo Jerene osserv
l'ampia voragine dalla quale sarebbe sorto l'edificio, guard le gru affondare
e allungarsi. Rimase l nel fragore assordante delle gru. Nel macinio, nelle
vibrazioni, negli stridii, nell'universo delle gru, nel grembo delle gru, rimase
l, a occhi spalancati, e ascolt.
Padre e figlio.
Philip ed Eliot avevano un bell'essere amanti, ma non arrivarono mai a
scambiarsi le mutande. Anche se ci avessero provato, sarebbe stato
impossibile. Eliot prediligeva dei boxer shorts comodi e con sopra disegnate
cose come corone o galli, mentre Philip era quasi feticisticamente attaccato
a dei semplici slip bianchi. Uno dei segnali che avrebbe dovuto riconoscere,
fosse stato meno cieco, meno egoista, meno innamorato, era che Eliot non
lasciava mai nessuno dei suoi vestiti da Philip quando non stava l. Nessuna
delle sue mutande rimaneva nel cassetto di Philip dopo il suo passaggio;
nessuna delle sue camicie o dei suoi indumenti sportivi; solo molto tempo
dopo Philip scopr un unico calzino violetto, con il bordo fantasiosamente
decorato da un disegno di elefanti ballerini. A quel punto, Eliot era ormai
partito per Parigi da molto tempo.
Successe bruscamente. Un giorno, poco tempo dopo la cena da Derek
Moulthorp, la segreteria telefonica di Eliot entr in funzione e non venne
pi staccata.
Per tre giorni Philip lasci messaggi ed Eliot non lo richiam. Il quarto
giorno, il silenzio all'altro capo del telefono, quando gli parlava, incominci
a terrorizzarlo. Smise di lasciare messaggi, e si limit ad ascoltare
rabbiosamente la calma voce di Eliot sul nastro: "Se lasciate il vostro nome
e numero di telefono, Eliot o Jerene vi richiameranno al pi presto."
Quando per una settimana non sent neanche una parola, lasci un
messaggio a Jerene nella sua casella della posta, pregandola di incontrarlo
in un caff il pomeriggio seguente.
Lei venne in ritardo, ma venne. In un tavolino sul fondo, su brutte panche
di plastica rossa rattoppate con nastro adesivo, bevvero un caff che Philip
insistette per pagare. Jerene era magra e nervosa come al solito e indossava
l'eterna giacca di pelle e i jeans. "Sono contento che tu abbia ricevuto il mio
messaggio" disse Philip.
"S, l'ho ricevuto."
" passato un bel po di tempo. Che cosa hai combinato nel frattempo?"
"Jerene accese una sigaretta. "Be," disse, "la cosa pi importante che ho
combinato di lasciare l'universit."
"Davvero? Perch?"
"Ho deciso che non faceva per me. Mi sono resa conto che non finivo la
tesi perch in realt non avevo nessuna voglia di scrivere una tesi. Cos ho
lasciato perdere. Adesso invece sto facendo altre cose, cose migliori."
Sorrise con sicurezza. "Ho un lavoro come buttafuori in questo bar di
lesbiche" disse. "Tengo fuori gli uomini. Non uno schianto?"
Philip sorrise. "Dev'essere stato duro mollare dopo sette anni" disse.
Lei croll la testa in un vigoroso no. " stata la cosa pi facile che abbia
mai fatto in vita mia" disse.
" bastato che dicessi, che si fotta, e all'improvviso tutte le pressioni
erano scomparse, completamente scomparse. la cosa migliore che avrei
potuto fare. Comunque, adesso sono molto pi felice. Ho una nuova
ragazza, molto simpatica - che tu lo creda o no, quella che lavora da Laura
Ashley. E lavoro anche come volontaria, rispondo alle telefonate sulla Linea
Calda gay. Non hai idea di cosa sia non dover dipendere da una biblioteca
per la tua salute mentale.
Per la prima volta in sette anni sono rilassata. Posso pensare alla mia vita
e non soltanto a quella maledetta tesi."
Philip sorrise. "Splendido" disse.
"Temevo che non saresti venuta."
Lei rise. "Perch non avrei dovuto venire, Philip?"
"Non lo so. Ora come ora sembra che il mondo sia in combutta per
isolarmi.
O quanto meno Eliot." Rise di nuovo, poi le sue labbra si congelarono in
una bieca parodia di un sorriso, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
"Philip" disse Jerene. "Philip."
Pos la tazza di caff, si sfreg le mani come un insetto. Sembrava del
tutto incapace di toccarlo. "Senti" disse. "Lo so cosa provi. Sono stata
piantata anch'io. Comunque, penso che Eliot si comporti proprio come un
bambino. Glielo dico tutti i giorni che razza di bambino ."
Philip si soffi il naso. "Lo fai davvero?" disse.
Jerene annu.
"E lui cosa dice?"
Lei distolse gli occhi. "Dice che non vuole vederti. Dice che non pu
affrontarti" disse.
Philip spalanc gli occhi e si sporse in avanti sulla seggiola. "Non pu
affrontarmi!" disse. "Non pu affrontarmi!" e pianse ancora pi forte.
"Ti prego, non chiedermi di giustificarlo" disse Jerene. "Fa cose del
genere alla gente. Lo ha fatto anche con altri ragazzi. A volte pu essere un
vero bastardo."
Ma Philip parve non sentirla. Adesso stava proprio singhiozzando. Di
fronte a loro, una donna dai capelli lunghi che portava un paio di occhiali
scuri rotondi, come ispirata da lui, cominci a piangere a sua volta.
Poi, nel bel mezzo di singhiozzi e lacrime asciugate: "Me lo deve"
"Cos' che ti deve?" chiese Jerene.
Philip balbett. "Me lo deve. Per lo meno... per lo meno di parlarmi."
Jerene gli prese la mano. "Philip" disse, "lo so. Dovresti essere schifato.
Si sta comportando in modo molto immaturo, molto irresponsabile. una
persona debolissima; ben pochi se ne rendono conto, ma debolissimo.
Non sto cercando di giustificare il suo comportamento, niente del genere sto solo sottolineando che la debolezza nel suo caso lo rende crudele."
Philip tra lacrime di rabbia, disse: "Non puoi semplicemente dirmi di
odiarlo, Jerene; non mai stato cos schifosamente facile decidere
semplicemente che odi qualcuno che invece la persona che ami" Tolse
dalla giacca un fazzoletto di carta tutto stracciato, e si soffi di nuovo il
naso. "Digli che deve parlarmi" disse. "Me lo deve."
"Glielo dir, Philip" disse Jerene.
"Ma non posso prometterti che servir a qualcosa. " come quando non
hai pagato la bolletta del telefono. Non paghi, e continui a non pagare. Poi
ricevi una lettera. Poi un'altra lettera. E ancora non paghi. Poi,
all'improvviso ti staccano il telefono. Bene, Eliot pi o meno nello stadio
che precede l'arrivo della prima lettera. Non so a cosa servir, ma glielo
dir. Gli dir che vuoi parlargli."
Pi calmo, Philip disse: "Grazie" e di fronte a loro, la donna dagli occhi di
gufo si asciug gli occhi.
"Ges, dove siamo, al Bellevue?" disse la cameriera al cuoco.
"Greenwich Village, terra di finocchi e di matti" rispose lui, e gett un
hamburger sulla griglia.
Pagarono il conto e uscirono.
Nervosamente, sul marciapiede, si abbracciarono e si divisero,
incamminandosi in direzioni opposte nel vento. Philip si mise un paio di
occhiali scuri che aveva acquistato di recente. Si sentiva come una di quelle
donne dall'aria ricca, tradite e abbattute che talvolta vedeva in giro, dalle
parti dei suoi genitori, avvolte in cappotti chiari e sciarpe e con occhi
nascosti dietro a occhiali scurissimi, come se tutti gli abiti fossero una
benda per coprire ferite indicibili. Si ficc le mani in tasca.
Non voleva pensare. Dall'altra parte della strada un giovane dai capelli
neri con degli occhialetti e con indosso un vecchio maglione nero sedeva
sulla panchina della fermata dell'autobus a leggere un giornale, e il cuore di
Philip cominci a battere a una velocit doppia del solito. Ma poi vide che
l'uomo non era Eliot. Non gli assomigliava nemmeno.
In seguito Philip and a molte feste. Telefonava a tutti quelli che
conosceva, informandosi sulle feste.
Eliot non c'era mai a nessuna. Philip si ricord che sua madre gli aveva
raccontato di una coppia di divorziati che conosceva, i quali, trovandosi alla
stessa festa, erano riusciti a coordinare i propri movimenti in modo da non
trovarsi mai nella stessa stanza nello stesso momento. C'era un elemento di
graziosa cooperazione nel loro mutuo evitarsi che aveva colpito Rose. Ma
Philip sapeva che se avesse per caso incontrato Eliot a una festa (il che era
improbabile, perch Eliot aveva un vero e proprio talento per prevedere
dove sarebbe andato Philip e starne alla larga), non sarebbe stato affatto
grazioso; gli sarebbe corso incontro, lo avrebbe afferrato alla vita, senza
lasciarlo andare.
Una sera durante la settimana, verso le undici, era seduto con Brad
Robinson, un suo vecchio compagno del college, a bere un caff al Kiev, un
ristorante aperto ventiquattro ore che si rianimava dopo mezzanotte, come
un persona al secondo giro dei locali notturni della Seconda Avenue. Era
indicativo dello stato di depressione di Philip che non gli importasse niente
di attraversare mezza citt nel cuore della notte solo per bere un caff.
Adesso, circondato dai profughi della vita notturna dell'East Village,
infagottato in una giacca a vento imbottita di piuma che lo faceva
somigliare a una larva di farfalla rara e ridicola, si circondava con le braccia
per proteggersi contro il vento gelido che gli soffiava addosso ogni volta
che la porta si spalancava, mangiava fette calde di babka affogate in burro e
cannella, e parlava di Eliot. Il fiato della cameriera indiana usciva in
nuvolette visibili mentre riempiva nuovamente le loro tazze di caff caldo.
Bustine di t strizzate sudavano sui piattini. La cameriera, che portava i
guanti, port altra babka, e aggiunse delle cifre al foglietto verde e bisunto
del conto.
"Penso che quel che mi manca" disse Philip, "sia il senso di euforia che
mi dava. Vera euforia. Perch tutto sembrava cos giusto, cos facile con
Eliot. Non dovevi mai dirgli niente, n subire l'imbarazzo di spiegarti.
Capiva sempre, e faceva sempre esattamente quello che speravi avrebbe
fatto."
Brad non era molto impressionato.
" uno stronzo" disse a Philip.
"Crede di essere pi che umano. Tu parli di lui come se fosse una persona
ipersensibile, io invece penso che abbia solo approfittato della tua
sensibilit, del fatto che piccoli gesti, cosucce che per lui non sono niente,
possono significare un sacco per te. E in cambio, lui ottiene riverenza. Ma
naturalmente, la riverenza diventa noiosa, o almeno cos dice lui. Conosco il
tipo. Una volta che si annoiano, fanno proprio cos - tagliano tutto."
A venticinque anni, Brad, come molti degli amici di Philip, poteva ancora
contare i suoi amanti sulle dita di una mano, ma era convinto che l'intensit
dell'esperienza compensasse la quantit. Ricordava ogni dettaglio delle sette
notti della sua vita che aveva passato con i suoi amanti; in verit, la sia
pensando che non desiderasse nient'altro che dare? Ogni sensualista richiede
un oggetto, dopotutto, cos come un mago richiede un volontario dal
pubblico - una creatura mite e fiduciosa, piena di fervidi sentimenti e
inaspettato desiderio, immensamente sensibile all'ambiente immediatamente
circostante, in altre parole un miope, uno quasi cieco. Persino le fantasie di
Philip sul modo in cui Eliot lo avrebbe abbandonato erano cieche, parte di
un sogno privato, completamente avulso dalla realt. Non pens mai che
Eliot potesse aver bisogno di qualcosa.
E di cosa avrebbe potuto aver bisogno Eliot? Forse di sorpresa, di
qualcuno che facesse qualcosa per lui tanto per cambiare, che gli leggesse
nel pensiero, che realizzasse i suoi desideri segreti? Forse. Tuttavia quando
la sua segreteria entr in funzione e non venne pi staccata, Philip
(naturalmente) diede per scontato che Eliot se ne andasse a spasso, libero,
sollevato da un peso, gratificato. Come faceva lui a sapere se Eliot non era
alla ricerca di qualcosa, a modo suo? Dopo la quinta tazza di caff, Philip e
Brad pagarono il conto e uscirono sulla Seconda Avenue. Persino a
quest'ora, la strada era piena di gente che vendeva le proprie vita - vaste
collezioni di riviste e libri tascabili sparpagliate sul marciapiede, vecchi
abiti, occhiali da vista, scarpe. Camminarono tra gli scarti, dirigendosi
uptown avvicinandosi un po alla Decima Strada, e Brad, duro e inflessibile
come sempre nelle sue conquiste romantiche, raccont a Philip di Greg, un
attore che amava a distanza. Voleva una cosa sola nella vita, e sapeva
esattamente qual era: trovare qualcuno con cui sistemarsi e vivere per
sempre. Ogni volta che Philip vedeva Brad, sembrava ci fosse un nuovo
attore, una nuova speranza, e bench Brad ne rimanesse sempre deluso, il
suo spirito non si indeboliva mai; non perdeva mai la speranza.
Si attardarono di fronte alla scaletta d'entrata della casa di Brad.
Brad, chiuso nel suo impermeabile militare, stava un gradino pi in su,
cosicch, una volta tanto, era lievemente pi alto di Philip e guardava al di
l della strada, con le mani in tasca, i capelli biondo paglia scompigliati dal
vento. Philip poteva vedere le nuvolette del suo fiato mentre si spostava da
un piede all'altro, fischiettando, affondando ancor di pi le mani nelle
tasche.
"Bene" disse.
"Bene."
Rimasero in silenzio per qualche secondo, impalati sui gradini, con
l'esterno dei loro cappotti che si sfiorava. "Verso quest'ora della notte" disse
Brad, "non posso fare a meno di chiedermi che cosa stia facendo Greg.
Immagino che stia a teatro per lo spettacolo; star uscendo per la chiamata
alla ribalta, o star cambiandosi d'abito. Si star preparando per andare a
fatto come una fetta di torta che occupava la propria isola individuale e nel
bel mezzo della West Side Highway - per prendere una stanza a ore. Non
aveva altro posto in cui andare. La sua agendina era vuota. Non era atteso
da nessuna parte per il brunch del mattino dopo, n per la cena la sera dopo,
e cos fino all'eternit. Se non fosse stato per il suo lavoro e i suoi genitori,
avrebbe potuto benissimo scomparire.
Stava andando verso Christopher Street, dove brillavano luminosi
lampioni stradali e pareva che la gente fosse ancora in giro. Le sue mani,
ficcate nelle tasche, stavano diventando insensibili. Sui marciapiedi c'erano
pile di neve. Un taxi gli sfrecci accanto e quasi lo schizz di acqua fredda e
melmosa.
Philip riusc a schivarlo per un pelo, con un salto che fin in uno scivolone
su un altro punto ghiacciato del marciapiede. Questa volta non c'era niente a
cui attaccarsi, e cadde atterrando sul didietro. L'acqua fredda gli filtr
velocemente attraverso i pantaloni. Grid sgomento, ma nessuno lo ud.
Dopo essere rimasto seduto per qualche minuto a gambe incrociate nella
neve bagnata, si rialz, e incespicando si diresse verso una libreria
pornografica il cui esterno assomigliava incongruamente a un ristorante di
stile lezioso, con elaborate intelaiature a traliccio e colonne incastrate in
pareti verdi.
Dentro, gironzolava qualche uomo, guardando le riviste avvolte in
plastica, e le videocassette, e giganteschi peni finti tutti venati.
Philip dietro era fradicio da capo a piedi. Vacillando, diede due dollari a
un uomo dietro a un tramezzo anti-proiettile. L'uomo, che indossava una
maglietta con le lettere E.T. e un ritratto di Elizabeth Taylor, spinse un
bottone, facendolo entrare attraverso un piccolo torchietto.
Istantaneamente fu avvolto nell'oscurit. Lo assal l'odore dell'urina.
Mentre i suoi occhi si adattavano all'oscurit, si accorse di due o tre uomini
che lo circondavano, appoggiati alle pareti, accarezzandosi prominenti
erezioni attraverso i pantaloni. Li sorpass per entrare in un separ chiuso
da tendine. Dentro c'era una dura panchina di legno e un piccolo televisore
su cui un grosso pene nero stava fottendo un culo bianco a suon di musica
jazz e di gemiti. Philip si lasci andare sulla panchina, che era appiccicosa.
Chiuse gli occhi. Le sue labbra tremarono.
Solo qualche settimana fa a quest'ora sarebbe stato nelle braccia di Eliot,
sul piumone. Nel ricordo il radiatore sibil.
Be, se non altro qui faceva caldo.
Eliot era partito davvero. "Per Parigi" gli disse Jerene. "A quanto pare era
un po che ci stava pensando.
un sacco di cose nella mia vita, e sono molto confuso su una cosa in
particolare e ho bisogno di parlare con qualcuno, non ti pare?"
"Uh... certo. Accipicchia, Bowen" disse Alex. "Vorrei tanto poterti
aiutare, ma sono terribilmente occupato questa settimana e la settimana
prossima..."
"Non ci vorr molto" disse Owen. "Ti prego, persino al telefono, non ci
vorr molto. Mio figlio, capisci, tornato a casa la settimana scorsa per
raccontare a me e a sua madre..."
"Bowen, senti, lo so che deve essere molto duro per te, per hai mai
pensato di andare da uno strizzacervelli? Perch mi pare proprio che tu
abbia bisogno di un aiuto professionale, sicuramente migliore di quello che
posso darti io, sa Dio se io non vado da uno strizzacervelli da vent'anni
ormai, e credimi, sarei matto come un cavallo, se non l'avessi fatto..."
"Mio figlio, capisci, omosessuale.
E ho paura che sia colpa mia. Voglio dire, non che io sia omosessuale.
Io sono bisessuale. Per, non sono mai stato un buon padre per lui e adesso
ho paura." Pianse ancor pi forte.
"Bowen, davvero una situazione disgraziata, ma non so proprio come
aiutarti. Senti, perch non chiami una di quelle linee calde? Hanno dei
professionisti che possono parlare con te di cose del genere..."
"Mi spaventa" disse Owen.
"Senti, ho giusto la guida del telefono sotto gli occhi. Cerca di star calmo.
Ecco qui - la linea calda Gay. Bowen? Ce l'hai una penna? Puoi segnarti il
numero?"
Owen riattacc.
Il numero successivo che compose era quello di Philip.
"Pronto?" disse Philip. "Parla Philip."
"Philip, sono tuo padre,"
"Temo di non poter venire al telefono adesso, ma se mi lasciate un
messaggio dopo il segnale acustico..."
"Frocio, frocio, frocio, tuo padre un maledetto frocio" grid Owen al
telefono.
"Felici di richiamarvi appena possibile."
"Frocio" disse cupo Owen.
"Grazie per aver chiamato."
"Padre frocio e figlio frocio" disse Owen.
Scatt il segnale acustico.
Owen riattacc.
Rose lo sapeva. Lui sapeva che lei sapeva. Ma in un modo o nell'altro non
ne parlavano mai; non dovevano parlarne mai. Parlavano invece,
"No, Philip" disse Rose. "Non stavo pensando a niente del genere per
essere franca."
"Perch non vero." Abbass gli occhi a terra. "Per quanto riguarda Eliot
non lo so. Immagino che lui abbia paura di impegnarsi o qualcosa del
genere. C' un sacco di gente che ha paura di impegnarsi al giorno d'oggi."
"Ti stai riprendendo?" chiese Owen.
"S" disse Philip. "Ma sono sempre triste."
A questo punto avevano raggiunto l'East Side, e Rose si gir su se stessa,
come se il confine del parco fosse anche il confine della loro passeggiata
insieme, il confine del terreno comune tra le loro due parti della citt, le loro
vite opposte.
"Be, sei giovane" disse a Philip mettendogli una mano sulla spalla
bagnata. "So che adesso stai male. Ma ti passer. Credimi."
"Immagino di s" fece lui. La guard, per un momento un po implorante,
come se sperasse che potesse invitarlo a cena.
"Grazie per aver accompagnato i tuoi vecchi genitori attraverso il parco"
disse Rose. "Lo apprezziamo davvero."
E gli porse la guancia da baciare.
"Mi siete mancati" disse Philip. "Ho l'impressione che non ci vediamo
quasi pi. Ricordi quando venivo sempre a casa la domenica sera a cena?"
"Oh, questa sera ci sarebbero solo degli avanzi" disse Rose, stentando a
credere alla sua cattiveria. "Ma possiamo fare cos. Perch non vieni a cena
domenica prossima? Non sarebbe una buona idea, Owen?"
"S, certo" disse Owen. "Un'idea fantastica."
Philip sorrise. "Mi piacerebbe" disse. "Mi spiace solo di non poter portare
Eliot. Lo sai che sono stato a cena da suo padre putativo, Derek Moulthorp?
E gli ho raccontato che tu hai redatto i manoscritti di alcuni dei suoi libri. E
lui ne era molto compiaciuto."
"Ne sono sicura, caro. Un meraviglioso scrittore, un meraviglioso
scrittore per bambini."
"Arrivederci, figliolo" disse Owen. Strinse la mano a Philip. Era un gesto
che emanava conclusivit, come se Philip stesse partendo per l'Europa o per
la guerra.
Ma stava soltanto tornando al West Side, nel suo appartamento.
"Arrivederci" disse. "Ci sentiamo durante la settimana."
Poi si allontan di corsa, lontano da loro, veloce, come se non desiderasse
altro che allontanarsi il pi possibile. Owen lo guard.
Sembrava attraente, coi suoi pantaloncini e la maglietta larga.
Owen era stato alto e dinoccolato da giovane, e la somiglianza gli fece
piacere. "Sai" disse a Rose, mentre uscivano dal parco, "corre ancora in
"Be, che bella cosa" disse Philip, "proprio bella. Sono molto felice che tu
abbia deciso di farlo." Si sistem scomodamente su una seggiola. "E
allora... Stai bene?" chiese.
"Non parliamo di me" disse Owen sbrigativo. "Ti ho chiamato per dirti be, volevo farti sapere che il fatto che sei gay... a me sta bene.
Voglio dire, non c' niente di sbagliato, ti pare?"
Era ubriaco? Philip affond ancor di pi nella seggiola. Non poteva dire
per certo se era ubriaco o no. Suo padre non beveva mai molto, almeno per
quel che ne sapeva lui.
L'acqua saponata gli gocciolava lungo il corpo, come sudore freddo, e lui
si rese conto che doveva dare una risposta. "Be" disse, "per quel che mi
riguarda, l'unica cosa sbagliata nascondere la verit. Questo quel che
penso io."
"Esattamente" disse Owen. "Quindi dico bravo."
"Bravo?"
"S. Bravo."
Era proprio ubriaco. "Pap" disse Philip, "questa proprio una sorpresa
per me. Voglio dire, che non mi mai venuto in mente che avresti potuto
dirmi una cosa cos. Sono molto commosso, molto felice."
"Ne sono lieto" disse Owen. "Perch l'ho fatto proprio per questo."
"Per me molto importante avere la tua approvazione. Lo sempre stato.
Ma sai... se la mamma sta prendendo un po meglio questa storia?"
"Oh, tua madre" fece Owen, e Philip chiuse gli occhi. "La conosci tua
madre. Creatura lunatica. Sono sicuro che presto le passer."
Philip rimase zitto per un momento.
"S" disse. "Immagino di s."
Poi ci fu una certa confusione dalla parte del telefono di Owen - una
specie di scroscio, un rantolo.
"Pap?" disse Philip. "Pap? Ci sei?
Stai bene?"
"Cosa? Ah s, benissimo, figliolo" disse Owen. "Ottimamente. Mi solo
sfuggito il telefono di mano per un istante. Senti adesso, voglio che tu mi
dica una cosa. Riesci sempre a riconoscere un gay, lo capisci subito?"
Philip boccheggi di nuovo. "Be" fece, "insomma... difficile da dire.
Delle volte, immagino..."
"Be, da cosa lo capisci?"
"Be, lo capisco, perch la gente gay d dei segnali ad altra gente gay,
immagino - piccoli segnali che, individualmente, forse non sono osservabili,
o non sono osservabili per chi non sintonizzato per coglierli. Insomma,
come se emettessero un piccolo ronzio sessuale per gli uomini ma non per
le donne.
Capisci cosa intendo?" Lui stesso stentava a capire cosa stesse dicendo.
"Il motivo per cui te lo chiedo" disse Owen, " perch c' un giovane
insegnante inglese qui - be, per venire al dunque, non so esattamente che
cosa sia." Rise in modo strano.
"Ma molto affascinante, molto simpatico, e... be, se per caso ...
insomma se gay... be, penso che ti piacerebbe."
Philip non rispose.
"Philip?" disse Owen. "Philip? Tutto a posto? Ho detto qualcosa che non
avrei dovuto dire?" La sua voce all'improvviso si abbass. "Oddio, lo
sapevo che era un errore" disse.
"Dimenticalo, dimentica che ho chiamato."
"No, no" disse Philip. " solo che... be, non una sorpresa da poco che
mio padre mi presenti dei possibili candidati. Mi hai preso alla sprovvista,
pap." Rise, pronunciando effettivamente le sillabe: "Ah, ah." "lo sapevo
che era un errore" disse Owen. "Dimenticalo e basta." Sembrava sul punto
di piangere.
"No, pap, non voglio affatto dimenticarmene" disse Philip. "Io... io
apprezzo molto che tu abbia pensato a me." Cerc di respirare pi
regolarmente. "Cos'altro puoi dirmi di lui?" chiese.
"Non molto" disse tristemente Owen. "Si chiama Winston Penn. del
Sud, penso. Molto attraente, affascinante - cio, per lo meno questa la mia
impressione, voglio dire, le donne qui ne vanno pazze, ma pare che lui non
abbia una ragazza, e questo il motivo per cui ho i miei dubbi..."
"Be, non si pu mai dire" disse Philip.
"No" convenne Owen. "Non si pu mai dire."
Di nuovo, ci fu una qualche catastrofe sulla linea di Owen.
"Senti, pap" disse Philip, "apprezzo davvero che tu pensi a me - ma,
insomma, se non gay, potrebbe essere imbarazzante, molto imbarazzante,
sia per te che per me - e comunque, anche se lo , se cos attraente e
meraviglioso, sono sicuro che ha gi un ragazzo."
"Hai ragione" disse Owen, tirando ancora un po su col naso. "Ed per
questo che non voglio fare niente di troppo scoperto. Ma non deve essere un
appuntamento ufficiale. Stavo solo pensando che forse potrei invitarlo a
pranzo una domenica, quando vieni anche tu - be, chi lo sa, mi piacerebbe
fare questo per te. Questo giovanotto mi piace molto, e... be, sarei felice
piacesse anche a te.
Comunque ci penser. Vedremo."
"Be, non ho mai sentito di un genitore che fa una cosa del genere."
"Perch? Pensi che i tuoi genitori non lo farebbero per te?" Brad parlava
spesso e volentieri dei suoi genitori.
"Morirei d'imbarazzo se mai provassero ad appiopparmi qualcuno" disse
Brad. "E credo che morirebbero d'imbarazzo anche loro. Il che,
semplicemente, significa che hanno i loro limiti, e che sono felici di
approfittare del mio imbarazzo per non dover mai uscire da questi limiti."
"In effetti c' qualcosa di strano in questa storia" disse Philip.
"Forse tuo padre segretamente gay e ha una vita omosessuale scatenata"
disse Brad, e rise.
"Brad!" rise Philip. " mio padre. sposato con mia madre."
"Forse una di quelle cose da mezza et" disse Brad. "Forse
semplicemente affascinato dall'omosessualit perch si annoia, perch una
cosa diversa e non ne sa assolutamente niente."
"S" disse Philip. "Dev'essere proprio cos."
Owen pensava a Winston Penn mentre usciva dalla Harte School nelle
luci della sera. Si imbatteva in Winston ogni giorno, se non nella sala
mensa, fuori all'aperto, durante le ore dello sport. Per lo pi il pomeriggio
era tenuto a guidare i futuri allievi e i loro genitori in un giro della scuola, e
talvolta ai campi da gioco su Randall's Island, dove Winston faceva
l'allenatore di lacrosse. "Ecco la nostra squadra di lacrosse" diceva, con
scherzoso stupore. "L'allenatore quest'anno Winston Penn, uno degli
insegnanti pi giovani del nostro dipartimento d'inglese. Generalmente, i
docenti si offrono come allenatori per gli sport che conoscono meglio."
Allora i genitori guardavano con approvazione quei ragazzi atletici e
rubicondi e il loro attraente e giovane allenatore. I ragazzi seguivano
Winston come cagnolini.
Owen pranzava spesso con Winston. La maggior parte dei docenti pi
giovani, tutti compresi della propria giovinezza, stavano in una cricca a
parte, ma Winston si sedeva a pranzare persino con il vecchio Herr Klappert
del dipartimento di germanistica, e ascoltava i suoi ricordi strazianti,
attendendo con pazienza che gli passassero gli attacchi di tosse. Non era un
segreto che alcuni dei membri pi finocchi del corpo docente (Owen
continuava a pensare a loro in questi termini) fossero rincretiniti per
Winston. In particolare l'insegnante di calcolo, Stan Hedersheim, non aveva
pudori. Owen provava un certo ribrezzo per Stan, coi suoi baffetti alla Don
Ameche e i foulard intorno al collo e neanche per un momento si era
sognato di fare un parallelo tra la sua infatuazione patente e chiassosa per
Winston e la propria ammirazione pi repressa. Spesso quando arrivava in
sala mensa rimaneva costernato nello scoprire che Stan era arrivato prima di
Rose ha una riunione fino a tardi stasera, e... be, mi piacerebbe invitare a
cena mio figlio."
Philip sembro di nuovo sorpreso, ma non aveva progetti per la serata. Per
suo suggerimento, si incontrarono in un ristorante giapponese in Columbus
Avenue. La vetrina era piena di sushi e di tempura laccati. Anche le cibarie
vere sembravano giocattoli, piatti destinati a degli alieni, ma Philip afferm
che ultimamente non si nutriva d'altro.
In fondo al ristorante buio, dove si sedettero, delle piccole scaglie di
pesce secco si contorcevano e si arricciavano in cima a un brodo fumante,
quasi fossero vive. Uova di sperlano illuminavano il sushi come lampadine
in miniatura. A Owen parve tutto strano ed esotico. Cautamente assaggi i
cibi. "Vacci piano con il wasabi" disse Philip, " molto piccante."
Finalmente si misero a discorrere.
"Sin da quando hai fatto la tua dichiarazione a tua madre e a me" disse
Owen a Philip, "be, figliolo ci sono cose su cui ho riflettuto e che vorrei
chiederti. Mi interessa molto, capisci, lo sviluppo della tua esperienza,
immagino che sia perch non ne abbiamo mai parlato prima. So che tu devi
pensare che sono stato un padre distante, per niente presente, in realt, ma la
verit che io ti ho sempre osservato, ho sempre avuto interesse per te,
anche se talvolta tu non potevi accorgertene.
Fondamentalmente, immagino, di essere molto... riservato." Si tormentava
le mani sotto la tavola. "Non sono stato molto bravo nell'esprimere affetto, e
ancor meno nel far domande personali, Philip. Ed ecco che tu te ne vieni a
casa con questa notizia che per me era davvero una grossa novit, anche se
non avrebbe dovuto esserlo, e ho pensato, accidenti, basta con questa storia.
Basta. Sono stufo di essere cos... represso. Dovrei chiedere quello che
voglio sapere. Dovrei interessarmi di mio figlio." Sorrise e si abbandon a
un respiro di sollievo, come se avesse superato una prova molto difficile.
Philip ricambi il suo sorriso.
"Sono contento che tu la pensi cos, pap" disse. "E davvero non mi
spiace.
Chiedimi qualsiasi cosa."
Owen prese la piccola brocca di sak dall'altra parte del tavolo e se ne
vers un po nella tazzina. "Bene" disse, "come hai incominciato?"
"Come ho incominciato cosa?"
"La tua... vita sessuale."
Philip si port le mani alla bocca pensosamente. " difficile dirlo" disse.
"Comunque, se devo essere franco, per quel che mi ricordo mi sono sempre
masturbato con delle fantasie sessuali gay." Si blocc, e guard cautamente
suo padre. " troppo per te?" chiese.
"No, no" disse Owen, anche se in realt lo era. "Lo fanno tutti." Rise
goffamente, e Philip distolse lo sguardo, soffocando una risata nervosa.
"Non sto ridendo per nessun motivo particolare" disse rapidamente.
"Solo che mi succede delle volte - mi metto a ridere nei momenti meno
appropriati. come se il mio cervello tirasse i fili sbagliati. Mi spiace."
"Non preoccuparti" disse Owen. "Mi ricordo come era difficile per me
immaginare che i miei genitori avessero una vita sessuale. perfettamente
naturale. Non posso aspettarmi che tu parli di queste cose con me senza
alcun imbarazzo." Esit.
"Lo sa Dio" aggiunse, "se non sono imbarazzato anch'io a parlarne."
Philip rimest il suo riso per qualche secondo, annu. "Be, comunque"
disse, "come stavo dicendo, non c' stato un vero e proprio inizio. Immagino
di avere avuto la mia prima esperienza sessuale con un uomo - ma no."
Sbatt le mani sulla tavola, tir un profondo sospiro. "Capisci, dipende da
come definisci la verginit" disse. "Voglio dire, Gerard e io facevamo un
sacco di stupidaggini quando eravamo bambini, ma in realt non era proprio
niente. E dopo, la prima esperienza adulta vera e propria - non lo so, pap,
vuoi sentirlo davvero? Non poi cos carino."
Owen annu.
Philip tir un profondo respiro. "Va bene" disse, "ho avuto un'esperienza
diciamo cos sessuale con un uomo molto pi vecchio in un cinema porno
della Lower East Side, quando avevo diciassette anni. Niente di speciale, in
realt. Solo dei palpeggiamenti.
Sono uscito dal cinema il pi in fretta possibile, ero cos spaventato - e
poi non e successo niente fino al college."
Gli occhi di Owen sembravano di vetro. Fissava Philip, annuendo
lentamente, pensando: la stessa fila, o una fila pi gi, e chiedendosi se
Philip l'avesse mai visto - ma naturalmente non l'aveva visto. Non era
successo niente.
"Ho avuto un'esperienza sessuale con uno studente di medicina durante il
mio primo anno di college" disse Philip. "Poi niente per un lungo periodo.
Poi qualche altra cosetta - niente di importante. E poi all'ultimo anno,
Dmitri - ti ricordi il mio amico Dmitri? L'hai conosciuto alla laurea."
Owen annu.
"Lui e io eravamo amanti - amichetti, dovrei dire - non so mai che parola
usare. Siamo stati insieme per sei mesi o qualcosa del genere, ma non
regolarmente; non abbiamo mai rotto ufficialmente. C'era una specie di
patto, immagino - la cosa sarebbe praticamente finita da s. A lui piaceva
dire che non eravamo amanti, che eravamo solo degli amici che facevano
del sesso. Salvo che in realt non eravamo amici." Fece una pausa. "Non so
Dopo che ebbero pagato il conto, Owen accompagn Philip fino alla
metropolitana. Incespicava un po, e non riusciva a tenere il passo con suo
figlio, e quando Philip lo guard, preoccupato, si strinse nelle spalle.
" solo il sak" disse.
Era felice che avessero fatto questa chiacchierata, disse Owen a Philip.
Sentiva che il loro rapporto era migliore di quanto non fosse stato da anni.
Con una certa esitazione, Philip ne convenne. Era una buona cosa.
Avrebbero dovuto farlo di nuovo.
Davanti alla metropolitana, Philip disse: "Pap? Puoi abbracciare la
mamma da parte mia?"
Owen sorrise. "Ma certo" disse.
"Mi manca tantissimo" disse Philip.
"Non mi telefona mai. Pare proprio che non abbia voglia di vedermi.
Questo mi intristisce molto. A volte la chiamo - ma sembra cos nervosa,
non sembra neanche lei."
"Be" fece Owen, "forse con le madri ci vuole pi tempo. Ma le passer.
Deve risolvere solo un sacco di problemi. Dalle tempo."
"Lo far" disse Philip. "O per lo meno ci prover."
Poi scomparve dentro la metropolitana. Owen aspett qualche minuto,
guardandolo scendere. Da Broadway, cammin qualche isolato fino
all'autobus che attraversava la citt.
L'aria di fine marzo era frizzante. I fiori erano in boccio in vasi di
terracotta sulle scale antincendio.
L'autobus era pieno di coppie - coppie vecchie e coppie giovanissime,
coppie di mezz'et, coppie nere e coppie bianche, coppie giapponesi, coppie
cinesi, coppie coreane. Tra loro Owen riconobbe un paio di ex ragazzi della
Harte con le loro ragazze, ma nessuno dei due parve notarlo. Quando si
iscrivono, io sono un re, pens amaramente Owen, ma una volta che
riescono a entrare... Rise, perch era ubriaco, anestetizzato, il suo dolore
ancora palpabile, ma attutito, esercitava soltanto un pressione vaghissima.
Da qualche parte in fondo al cervello una voce gli chiedeva se Rose si
sarebbe preoccupato di lui, ma questa voce era impercettibile, esercitava
solo una pressione vaghissima. L'autobus si ferm sulla Seconda Avenue.
Era una bella notte, una notte fatta per camminare, e lui cammin.
Philip si sarebbe salvato. Philip avrebbe preso Winston Penn e si sarebbe
salvato, e avrebbe salvato anche suo padre. Sorrise pensandoci, e in qualche
modo l'idea di Philip, come un prolungamento di se stesso, un
prolungamento del proprio desiderio, gli sembr perfettamente sensata.
Potevano aiutarsi a vicenda o ferirsi a vicenda. Sarebbe stato facile in
entrambi i casi. E improvvisamente si chiese: Philip lo sa? Pu aver capito?
"S."
Frank abbass gli occhi a terra, si avvicin, in modo che le loro cosce si
toccarono. "Allora, come ho detto prima, ho questo posto per stanotte.
Vuoi venirci con me? Voglio dire, potrebbe essere davvero carino. Sai,
come in quella canzone, "Abbiamo stanotte, che importa domani?""
Sorrise. Owen sorrise a sua volta.
"Non la conosco quella canzone" disse Owen. "Ma afferro senz'altro
l'idea."
"Vado un attimo a prendere il cappotto in guardaroba" disse Frank e si
allontan. Owen si appoggi al muro, respirando normalmente. Era
enormemente rilassato. Non aveva la sensazione che stava per fare qualcosa
di fuori dall'ordinario. Sapeva solo che moriva dalla voglia che Frank
tornasse dal guardaroba il pi presto possibile, e quando lo fece, Owen si
accorse che anche Frank aveva fretta.
Il posto che aveva per la notte era un appartamento nella Novantesima
Est, gli disse. Owen annu. Si mise la giacca, e uscirono insieme dal bar,
sulla pubblica via piena di gente che Owen avrebbe potuto conoscere. Frank
ferm un taxi. Durante il tragitto, nel taxi, tenne la mano di Owen.
Era un piccolo appartamento in una casa senza ascensore, arredato con
semplicit, come la stanza di un motel. Appena arrivati, Frank accese il
lampadario centrale, e Owen si tolse il cappotto nella luce brillante. Fuori
dal bar buio, Frank risult avere la faccia un po butterata, un po di
pancetta, e qualcosa di vagamente sporco nei vestiti e nei capelli, e
all'improvviso l'aspettativa da sogno di questo momento, alimentata nel bar,
lasci posto a qualcosa di diverso - due uomini di mezza et, entrambi
sposati, entrambi un po gi di forma, si incontravano per fare l'amore, per
toccarsi a vicenda e farsi star meglio a vicenda. Una prospettiva per niente
sgradevole. Inoltre, Owen aveva fatto il pieno di fantasia. Adesso voleva
qualcosa di reale.
Tuttavia, quando Frank abbracci Owen e lo baci, Owen fu sopraffatto.
Caddero sul pavimento e fecero l'amore, e come tanti altri uomini che
facevano all'amore quella sera, furono attenti e rispettosi delle regole. Non
fecero quello che forse avrebbero voluto fare. A un certo punto Frank tolse
piano piano un preservativo dal suo involucro di plastica, gett il pacchetto
stracciato dall'altra parte della stanza, e se lo infil. Parve la cosa pi
naturale del mondo.
Dopo che ebbero finito, Owen, puntellandosi sui gomiti, si mise a sedere
sul letto. "Devo tornare a casa" disse. "Rose probabilmente sta impazzendo
di preoccupazione."
Frank giaceva sdraiato sul letto, con le mani dietro la nuca, e Owen fu
improvvisamente sconcertato dai due ciuffi di peli neri sotto le sue braccia.
Lo fissavano apertamente, denudati, come un altro paio d'occhi.
"Cosa pensi di dirle?" chiese Frank.
Owen croll la testa mentre si tirava su i pantaloni.
Frank scese dal letto. Al tavolo di cucina scribacchi qualcosa su un
pezzo di carta che diceva "P and R.
Impresari edili. Frank J. Picone, Presidente" "Ecco il mio numero
d'ufficio" disse. "Mi telefoni?"
"D'accordo" disse Owen.
Si baciarono una volta, poi Frank lo accompagn alla porta.
Fuori in strada, il cielo era sorprendentemente immobile. Dei ragazzini
gironzolavano sul marciapiede. Fu allora che Owen si rese conto di essere
solo a due isolati dalla Harte, il che, tutt'a un tratto, gli parve buffo. Come
dopo ogni cambiamento atteso tanto a lungo, non si sentiva minimamente
cambiato.
La Harte School si profilava minacciosa come sempre. Si era stagliata
cos per anni prima che lui la conoscesse, e si sarebbe stagliata cos anche in
seguito, incurante della sua momentanea presenza. Ma stasera, in qualche
modo, riusc a sorpassarla con pi facilit. Se non altro, si sentiva
alleggerito di un peso. Lo aveva fatto. Aveva fatto l'amore - amore vero con un altro uomo. Non era pi un ostacolo da superare. E per questo si
sentiva riconoscente.
Inoltre, pens calmo tra s, la mia vita continuer come sempre immutata. Continuer a essere quello che sono. Immutato.
Guard l'orologio e vide che erano le due e mezzo. Chiss se Rose era
andata a letto? Preg che ci fosse andata mentre fermava un taxi, si chiese
che cosa le avrebbe detto se la trovava ancora alzata. Ovviamente quando
torn a casa la finestra era illuminata. Diede una mancia eccessiva al
conducente, salut il portiere, sal sull'ascensore. Rose stava leggendo in
soggiorno, con indosso l'accappatoio. Non si alz quando Owen entr.
"Ciao, tesoro" disse Owen.
"Ciao" disse Rose.
La baci sulla guancia. Lei non alz gli occhi dal libro.
"Ero preoccupata per te" disse piano.
Philip and verso la finestra, la apr. Non disse una parola. Passarono
alcuni secondi di silenzio, e Owen sapeva che Rose li stava contando.
Aveva gli occhi chiusi, le mani intrecciate; il libro le cadde in grembo.
Niente libro; niente bugie; niente scuse.
A letto, allung una mano per toccarle la spalla. Al suo tocco uno spasmo
le scosse il corpo, e non cess. Rose rimase l tremante, ma non alz gli
occhi a guardarlo.
"Rose" disse lui.
Lei pianse piano, non rispose, e continu a non guardarlo.
La primavera era arrivata in ritardo, e l'anello di ghiaccio intorno al cuore
di Philip finalmente si incrin.
Allora fu come se qualcosa in lui venisse liberato - anche se contro la sua
volont o contro il suo buon senso. Si svegliava la mattina senza pi star
male; non poteva farci niente. Sembrava che i piccoli piaceri del mondo,
elusivi per tutto l'inverno, adesso stessero cospirando per assalirlo, per
cacciare a forza l'infelicit fuori da lui, e per quanto lui si sforzasse, non
riusc ad allontanarli. Il sole sulla faccia, mentre aspettava l'autobus al
mattino presto, o la vista della moglie del portiere che portava a scuola la
bambina, con un cestino della merenda stretto in mano - queste cose gli
suscitavano un sorriso inatteso, persino indesiderato, nelle mattinate ventose
di fine marzo - un sorriso piccolissimo, impercettibile per chiunque salvo
che per lui, ma sufficiente per fargli capire che forse si stava riprendendo,
che lo spettro di Eliot era svanito.
Era meno solo di come era stato - oppure, forse, per essere pi precisi,
aveva imparato a star solo. Si scopriva a considerare con piacere la
prospettiva di una serata a casa sua con il manoscritto di Rapsodia dell'isola
e un contenitore di stagnola con spaghettini giapponesi al sesamo. Altre sere
vedeva Brad.
Cenavano insieme, andavano al cinema.
"Tutto quello che voglio" disse Brad, mentre erano appoggiati insieme
contro una parete del Boy Bar, "tutto quello che ho sempre voluto,
qualcuno con cui accasarmi" e Philip ne convenne, entrambi senza
accorgersi fino a che punto si erano gi accasati l'uno con l'altro. Stavano
spesso cos, con gli occhi piantati nelle scure profondit dei bar puzzolenti
di piedi, a frugare la stanza alla ricerca di facce, cercando di scegliere quelle
di cui avrebbero potuto innamorarsi. Ma le facce erano ormai familiari e
sembravano stanche quanto loro di guardare. Forse queste facce stavano
rimpiangendo i vecchi giorni dell'acchiappa-acchiappa, dell'amore libero,
dell'estasi senza colpa, i giorni in cui bastava strizzare l'occhio a qualcuno,
sorridere, ed era fatta: ti ritrovavi in una stanza da qualche parte a far
l'amore. Adesso era di moda la monogamia, ma aveva assunto il ruolo di
una tattica di sicurezza, di una misura poco appetitosa ma necessaria contro
suo appartamento, Philip poteva ancora recitare tra s l'esatta sequela degli
spettacoli. Se solo avesse avuto un televisore a colori, pensava; se solo
avesse avuto il raffreddore. Ma poi si ricordava che nessun raffreddore
ormai poteva essere un piacere a cui abbandonarsi.
Un raffreddore significava una conta angosciosa di quante volte si era
ammalato quell'anno e una frenetica ricerca di ghiandole sul collo. E
ricordando quest'angoscia dei raffreddori, ricordando la minaccia di dolore,
di rapido declino e di morte, saltava gi dal letto, pieno di gratitudine per
sentirsi bene, balzava nella doccia, e praticamente correva al lavoro.
Un pomeriggio torn a casa dal lavoro e trov una lettera di Eliot nella
cassetta della posta. Sulle prime la pos sulla sua scrivania e cerc di
ignorarla, ma alla fine non ce la fece pi e apr la busta e lesse quello che
c'era dentro. La lettera, spedita da Parigi, era scritta su carta da lettera aerea
azzurra.
Lesse in fretta i primi due paragrafi. Arrivo in Italia, buffe pensioncine,
una chiesa medioevale sbucata dal nulla. Bellezze ancora da scoprire, una
campagna per niente turistica. Poi Parigi, e Roland Leclerc, un fotografo
amici di Derek, "un bohmien della vecchia scuola" scriveva Eliot, "sempre
vestito con camicie a disegni cashmere e foulard intorno al collo. Vive in un
grande e brutto appartamento del Quinto, soffitti alti e mobili orribili, tutto
polveroso. Ma meraviglioso. La mattina mi accorgo che Parigi ha un
odore, caff e croissant, marmellata e sigari e scarichi di macchine che
salgono al cielo." C'era stata una festa pomeridiana, un t a cui avevano
partecipato dei gay molto, molto vecchi, e una donna che Roland insisteva
nell'indicare come una vecchia amante di Colette. "Penso di doverti una
spiegazione per la mia partenza improvvisa" continuava la lettera, "per non
averti detto addio.
Hai perfettamente ragione a considerarmi crudele. Ma stato molto duro
per me, Philip. Per quanto ti possa sembrare ridicolo che te lo dica a questo
punto, io ti amavo davvero, nel mio modo tutto particolare. Il problema
che amare qualcuno non la stessa cosa che voler passare la vita con questa
persona. Questo tipo di compatibilit una cosa rara, e francamente, io non
l'approvavo. crudele da parte mia dirlo? Forse. Ma penso che tu meriti la
verit da me. I miei forti sentimenti per te mi rendevano ancor pi difficile
semplificare le cose. Pi io allentavo la presa, pi tu la stringevi. E l'ho
detto altre volte: il tuo bisogno mi opprimeva. Incominciai a sentire che era
una cosa a cui dovevo sfuggire, e quando incominciai a pensare in questi
termini - be, il passo breve verso le bugie, la crudelt. Non volevo
spingermi cos in l, Philip, ma sembrava che non ci fosse altro modo per
non ferirti. Volevo che tu avessi, se non altro, il beneficio di essere
arrabbiato con me, di odiarmi un po, perch so che questo rende le cose pi
facili.
Qui mi sento rinnovato, rivivificato. Ho la sensazione di poter
ricominciare la vita daccapo. Ho conosciuto un giovane francese, uno
studente - ha gli occhi all'ingi ed attraente e incline a crisi di depressione,
e penso che siamo fatti l'uno per l'altro. Ho preso dei contatti, ho alcune
possibilit di lavorare. Thierry abita dall'altra parte della citt, vicino al
metr Alesia, e probabilmente andr a stare da lui qualche settimana mentre
cerco un appartamento.
E tu - sono sicuro che la tua vita sta andando bene. Se c' una cosa che so
su di te, Philip, che tu sei, che ti piaccia o no, incurabilmente ottimista. Per
quanto tu possa desiderare di rimanere intontito dalla depressione, te ne
tirerai fuori.
Talvolta penso che tu sia condannato alla felicit.
Per favore scrivimi presso Thierry. Mi manchi. Eliot"
Philip rilesse la lettera due volte, percorrendo a grandi passi i piccoli
confini della sua stanza. Poi la pieg accuratamente in tre, la rimise nella
sua busta e la ficc nel cassetto della scrivania. Fuori dalla finestra aperta,
all'estremit di un vicolo pieno di pattumiere, un gruppetto di bambine
saltava alla corda, cantando in spagnolo. And a osservarle. Pens: anch'io
mi accorgo che New York ha un odore: grasso fritto e olio di sesamo,
frattaglie e fagioli e tubi di scappamento di autobus. Pens: lo conoscevo
appena. Alcune piccole schegge di vecchia vernice erano ficcate
nell'intelaiatura della finestra - frammenti bianco sporco, rossi e azzurri del
passato dell'appartamento - e metodicamente Philip ne raccolse un po nella
mano, una polvere fine inframmezzata da scheggette dagli orli frastagliati,
come pezzi di un puzzle. Per un po li esamin, curioso sulla loro et, la
loro durezza. Poi, sperimentalmente, ne lasci cadere un po fuori dalla
finestra. I pezzi pi grossi planarono fino a terra e finirono silenziosamente
al suolo. Quando apr la mano la polvere vol nel vento, turbinando per
qualche secondo prima di cadere come un'ultima neve tardiva sul paesaggio
sottostante disseminato di pattumiere.
Qualche giorno dopo, Jerene chiam Philip al lavoro. " un bel po che
non ci sentiamo" disse. "L'ultima volta che abbiamo parlato sembravi cos
arrabbiato, cos turbato. Stai meglio adesso?"
Dietro la sua scrivania, Philip sorrise. "S" disse. "Molto meglio."
Rimase zitto per un momento. "L'ho detto ai miei genitori" disse.
"Oh, Philip" disse Jerene. "Come l'hanno presa?"
"Non lo so" disse Philip. "Questa settimana ho visto mio padre, ed
piuttosto strano. Aveva bevuto, penso, e mi ha fatto ogni sorta di domande
"S" disse infine, "un po. Ma non troppo." Non aveva ancora accennato
alla lettera di Eliot - in realt non vedeva alcuna ragione per farlo.
Ultimamente aveva praticato il riserbo come politica generale, e aveva quasi
dimenticato la lettera, salvo l'ultima fastidiosa osservazione che Eliot aveva
fatto a proposito del suo essere "condannato alla felicit" Cosa poteva
significare essere condannati alla felicit? La frase faceva pensare che la
felicit fosse una specie di bugia che imprigiona, una forma di lavaggio del
cervello; come se una vita valorosa resa infelice dalla conoscenza fosse
necessariamente migliore di una vita felice ma ignorante. Lo mandava in
bestia la tirannia implicita nel tono saputo e cinico di Eliot, con i suoi
acriptici accenni di prescienza, il suo contorto spirito psicoanalitico.
Tuttavia non poteva negare che per lui non ci fosse vita pi piacevole di
quella vissuta entro i confini protettivi di un telefilm da mezz'ora, e che
desiderava veramente che ogni giorno della sua vita precipitasse in una
bella goccia di luce, finisse come finisce un episodio di "Happy Days" dove
ogni cosa torna al suo posto e tutti i delicati e lievi conflitti vengono
accantonati o ficcati sotto il letto, o spianati come la glassa su un dolce di
compleanno.
Il caseggiato di Eliot era immutato quando ci arrivarono, eccetto che il
nome sulla cassetta delle lettera era stato cambiato, e sulla targhetta si
leggeva Finley/Parks invece di Abrams/Parks. Rimasero l in piedi per un
attimo, mentre Philip esaminava i muri di linoleum rosa pallido dell'atrio, lo
sporco impastato sulle cassette delle lettere. E Brad osservava Philip, alla
ricerca di segni premonitori di un turbamento emotivo. Ma Philip si limit a
sospirare rumorosamente. Suonarono il citofono e furono debitamente fatti
entrare. In cima alle scale, la nuova amica di Jerene, Laura, li aspettava
sulla porta.
Era straordinariamente pallida, con capelli cos sottili e impalpabili che
sembravano tessuti con granelli di sabbia. "Allora, vediamo se ho ragione"
disse, e anche la sua voce era granulosa, sabbiosa. "Tu sei Philip" disse
indicando Philip. "E tu sei Brad."
"Giusto" disse Philip.
Lei sorrise e tese la mano. "Bene, sono contenta di non aver sbagliato"
disse. "Io sono Laura Finley. Entrate pure."
All'interno l'appartamento era molto cambiato. Alle finestre pendevano
tende nuove con disegni di mirtilli.
Una tovaglia con lo stesso disegno copriva il tavolo, e un divano chiaro,
superimbottito, era appollaiato dove un tempo c'era stata la brandina
spartana di Jerene. "Sono contenta che tu ce l'abbia fatta" disse Jerene,
a galla. Non era rimasto niente. Tutte le cose del passato erano state sepolte
sotto l'accentuata leziosit della presenza di Laura.
Quest'ultima raccont loro ogni cosa. Era come se sperasse che,
sommergendoli con i suoi casini tutti in una volta, loro sarebbero rimasti
colpiti, quasi senza volerlo, da quel che c'era di buono anche se mescolato
con una serie di sciocchezze. "Da quando ho lasciato l'Universit del New
Hampshire non ho fatto che viaggiare" spieg, mentre Jerene si
affaccendava a mettere spezie sui cibi, a portare sale e pepe. "Sono stata in
Marocco, a Parigi, a Tangeri. Poi ho vissuto per un po a San Francisco. L
lavoravo nell'industria della musica femminile.
Conoscevo un po di linguaggio gestuale, per cui avevo trovato un lavoro
come interprete di questa cantante che si chiama Melissa Swallow - sapete,
per i sordi?" Rise. "Avreste dovuto vedermi. Non portavo altro che maglioni
a collo alto e stivaloni, con grande disappunto dei miei genitori newyorkesi
e tres sophistiques, e vivevo in questa comune femminile a Mill Valley e
fumavo un sacco d'erba.
Era divertente, ma non faceva per me, per cui me ne tornai a est, e mia
madre - quel cuor d'oro di mia madre - mi trov un lavoro al negozio di
Laura Ashley, immaginando che se c'era un posto dove ero al sicuro era
quello.
Ma non sapeva" disse alzando gli occhi su Jerene, "chi sarebbe entrato l
dentro."
Jerene arross.
"Sapete" disse Laura, "quando gliel'ho detto lei ha commentato, "Non
riesco a crederci. Sono stata proprio io a spianarti la strada. Ma perch ti ho
trovato quel lavoro?" Come se fosse colpa sua. E sapete cosa? Talvolta le
credo. Vengo talmente risucchiata dalla sua paranoia che incomincio a
pentirmi io stessa e a dar la colpa a lei. Vedete, io fondamentalmente sono
una persona molto insicura, ancora alla ricerca di uno scopo, ed
esattamente questo che stavo facendo allora, a San Francisco, e che sto
facendo ancora adesso, immagino, ed per questo che mia madre ha
un'influenza cos tremenda sulla mia vita. Ma con Jerene mi sento molto
felice, molto sicura, come se mi fossi accasata." Spense una sigaretta sul
piatto, si sporse confidenzialmente verso Philip, e disse: "Allora, hai avuto
notizie di Eliot ultimamente?"
Parlava con accenti cos intimi di Eliot che per un attimo Philip dimentic
quello che gli aveva detto al telefono Jerene: che Laura aveva incontrato
Eliot soltanto una volta per cinque minuti circa. Adesso sorrideva
desiderosa delle sua confidenza. Era come se, con questa intimit, sperasse
di farsi strada a forza in quello che doveva aver percepito come un gruppo
di amici preesistente - lui, Eliot, Brad e Jerene. Bench la sua idea su di loro
come gruppo non potesse essere pi lontana dalla verit, il suo desiderio di
non esserne tagliata fuori commosse Philip.
"Be, ho ricevuto una lettera" le disse.
"Davvero?" chiese Brad. "Perch non me lo hai detto?"
Philip si strinse nelle spalle. "Non volevo dare troppa importanza alla
cosa, tutti qui" disse Philip. "Non una cosa di grande importanza. Dice
soltanto che ha viaggiato un po, ma adesso si stabilito a Parigi. Dice che
ha un ragazzo simpatico e depresso con un nome strano, che non riesco a
ricordare."
Laura ingoi un boccone di couscous per poter parlare. "Thierry" disse.
"S" disse Philip. "Proprio cos.
Come fai a saperlo?"
Lei sorrise. "Li ho messi insieme io" disse.
Philip la fiss. "Tu?"
"Be, quasi" disse lei. "Ti ricordi che ti ho detto che a Parigi abitavo con
un gruppo di algerini? Be, Thierry per un po stato l'amante di uno di loro,
Moustaf. Viveva con sua madre a Neuilly o in un posto del genere,
comunque, diventammo amici, e rimanemmo amici anche dopo che lui e
Moustaf ruppero, e che io me ne andai dall'appartamento. Cos quando
Eliot mi disse che stava andando a Parigi, naturalmente gli diedi il numero
di Thierry, senza immaginare neanche lontanamente..." Fece un gesto vago
con le mani e ingoi un altro boccone di couscous.
"Oh" fece Philip. Fiss il tavolo, e Jerene, vedendo la sua espressione
abbattuta, aggiunse: "Non credo che sia davvero una cosa seria, Philip.
Voglio dire , penso che Eliot non sappia neanche quanto tempo star a
Parigi" Lo guard con affetto. Lui apprezz il suo interessamento.
Tuttavia, lo imbarazz essere sorpreso a rimuginare cos. Non desiderava
pi richiamare l'attenzione sul suo vecchio dispiacere, adesso che
finalmente lo stava superando - soprattutto di fronte a Brad.
"Jerene" disse, "sei molto cara a essere cos gentile con me. Ma non
proprio il caso. Anche se mi dici la verit, non flippo mica. Me l'ha detto
Eliot stesso che sarebbe andato ad abitare con Thierry per un po, e credo
che vada benissimo. Spero che siano molto felici, e che funzioni.
Eliot sta costruendo la sua vita, e mi rendo conto, adesso, che bisogna che
io incominci a costruire la mia."
"Be, mi sembra che tu lo stia gi facendo" disse Laura. Lanci un'occhiata
significativa a Philip, poi a Brad, poi di nuovo a Philip.
"La vita matrimoniale" disse Laura, " la migliore." Prese la mano di
Jerene, e la tenne stretta sul tavolo.
Jerene era seduta rigida nella sua seggiola, con la schiena dritta come un
asse. Sembrava l'uomo di latta di Oz. "Per Jerene e me stato una specie di
processo di guarigione" disse. "Per esempio - sto cercando di convincerla ad
andare a parlare con i suoi genitori. Abbiamo fatto qualche ricerca.
Raccontaglielo, Jerene."
Jerene rise nervosamente. "Be," disse, "sono andata a trovare mia nonna
l'altro giorno - era la prima volta dopo anni."
"Oh, Jerene" disse Philip. " meraviglioso. andata bene? Voglio dire,
stata una bella cosa, era contenta di vederti?"
Jerene annu. " stato molto triste" disse. "Naturalmente lei non sapeva
niente. completamente all'oscuro di tutto. E inoltre, praticamente non parla
ai miei genitori, e non si pu dire che abbia con loro un rapporto pi intenso
di quello che ho io. Ormai sta da tanto tempo in questo ricovero, che non
sapeva pi niente di me. Non un brutto posto, ma penso che si senta sola."
Jerene sorrise. "Non puoi immaginare come ero spaventata mentre ci
andavo" disse. "Era la prima volta in sei anni che avevo un contatto con la
mia famiglia."
"Il passo successivo" disse Laura, "sar una lettera, di Jerene ai genitori,
per dire loro che frequenta la nonna e pregarli di andarla a trovare. Perch,
capite, in questo caso, non si tratter solo di Jerene e dei suoi genitori, ma di
tutta la famiglia. Tutta una storia di disconoscimenti, di figli che ripudiano i
genitori e di genitori che ripudiano i figli. Ci penso moltissimo a questo,
perch sto pensando di tornare all'universit l'anno prossimo, per
specializzarmi come consulente familiare. Ultimamente ho fatto molte
letture sulla teoria dei sistemi, e penso che sia davvero interessante. Voglio
dire, quello che successo a Jerene - be, fa parte di un sistema familiare
assolutamente unico; alla mia famiglia per esempio, non sarebbe neanche
passato per la testa di ripudiarmi. Ma accidenti, eccomi qui a blaterare
ancora una volta su me stessa. Per favore scusatemi. Posso chiedervi una
cosa: avete mai avuto paura di essere ripudiati?"
"Oh, no" disse Philip. E Brad disse: "Certamente non nel mio caso. I miei
genitori mi sostengono molto"
"Bene" disse Laura, "allora noi dovremo sostenere molto Jerene in tutto
questo, perch non ha alcun appoggio. E ne ha bisogno."
Guardarono tutti Jerene, che si alz, and in cucina e torn con una grossa
insalata multicolore. Laura la cond e la serv. "E voi due da quanto tempo
state insieme?" chiese casualmente quando ebbe finito, e Brad e Philip
restarono entrambi a bocca aperta.
"Be...'"
"Insomma, ci conosciamo..."
"La verit che non stiamo proprio insieme, non in modo tradizionale.
Siamo solo buoni amici" disse Philip.
"Ah, ah." Laura si appoggi alla seggiola, accese una sigaretta, li fiss.
"Amici" disse Philip.
"Capisco" disse Laura.
"Naturalmente. Ma... Forse amici romantici?" Quest'ultima frase la
pronunci con un ironico accento inglese, sbattendo le palpebre, e stirando
le labbra in una linea sottile.
"Forse si potrebbe dire cos" disse Philip.
Laura spense la sigaretta nel piatto. "A proposito" disse Jerene, "qualcuno
ha sentito il nuovo disco di Ferron?"
L'avevano sentito tutti. Ne discussero per una mezz'ora circa, mentre la
cena giungeva alla fine. Fu come un giro in un parco di divertimenti, lungo
corridoi stretti pieni di frenetiche apparizioni, alla fine del quale si
ritrovarono catapultati fuori, abbacinati nella strada fredda, con il capogiro,
e lo stomaco stretto.
"Certo che un bel tipo quella Laura" disse Brad.
Philip annu.
"Per la tua amica Jerene sembra simpatica, bench non abbia avuto
modo di parlare molto, mi pare."
"Oh, lei fatta cos" disse Philip.
" sempre molto silenziosa in compagnia. Senti, vuoi bere una tazza di
caff o qualcos'altro?"
Brad rimase silenzioso, e Philip sprofond ancor di pi le mani in tasca.
Alla luce dell'interrogatorio intimo di Laura, qualsiasi cosa poteva suonare
come una proposta. Qualsiasi cosa. E, disgraziatamente, Philip ricord la
sera del mese scorso in cui aveva cercato di dire "qualsiasi cosa" in modo
seducente, facendo la figura dello sciocco.
"Volevo dire al Kiev" aggiunse.
Brad si strinse nelle spalle. "Temo di essere tropo stanco" disse. "Mi sa
che preferisco andare a casa."
"Capisco" disse Philip. "Sono stanco anch'io." Fece una pausa. "Sai, non
riesco a credere che ci abbia chiesto da quanto tempo stiamo insieme. Mi
sono sentito molto imbarazzato. Se te ne parlo solo perch non voglio che
tu pensi che io le ho detto qualcosa, che le ho lasciato credere..."
"Philip" disse Brad. "Certo che no.
Non preoccuparti." Sembr infastidito.
Philip scosse la testa. "No" disse.
"Certo che no. Non avrei dovuto dire proprio niente."
Non mi sembra il caso che tu vada uptown quando qui c' un sacco di
spazio"
A Philip si imporporarono le guance.
"Be...' Va bene" disse, e rise; era cos sorpreso, cos grato, cos nervoso!
Chiaramente anche Brad era nervoso. "Va bene, allora" disse Brad, e
inciamp in uno scalino, e aveva il fiato corto mentre saliva le scale verso il
suo appartamento. C'era voluto solo un momento perch tutto cambiasse.
Una volta dentro, Brad accese la luce, si tolse la giacca, e and dritto
verso la segreteria telefonica, che palpitava rossa di entusiasmo, pronta a
dire quello che aveva da dire. C'erano dei messaggi di sua madre, di Sally,
della collega Gwen, di cui prese nota piuttosto deluso.
"Il ragazzo dei miei sogni non ha chiamato" disse, e Philip si volt, non
abbastanza coraggioso per chiedere: "Posso farne io le veci?"
Brad stava cercando le lenzuola nell'armadio. "Preferisci il letto di sopra o
quello di sotto?" chiese.
"Oh, non importa" disse Philip.
"Scegli tu."
"In realt preferisco dormire di sopra, quindi ti sistemer di sotto" disse
Brad. Inginocchiato nello spazio ristretto della cuccetta inferiore, stese un
lenzuolo. Philip si sedette alla scrivania bianca di Brad, con le gambe che
gli tremavano. Per una volta, sembrava che non avessero niente da dirsi.
Si svestirono pudicamente, ciascuno cercando di non osservare il corpo
dell'altro. Mentre si infilava nella cuccetta di sotto, Philip pens a tutto ci
che era implicitamente sensuale in questo rito di ragazzi che si spogliano,
tutto ci che si nascondeva sotto quella accurata affettazione di disinteresse.
Poi Brad spense la luce. I lampioni stradali brillavano attraverso la sottile
tenda velata alla finestra. Da dove era sdraiato sulla cuccetta di sotto, Philip
osservava Brad, anche lui in mutande, sulla scaletta del lettino di sopra,
guard le sue gambe agitarsi per un secondo prima di scomparire. Ci fu un
tonfo morbido quando atterr.
Rimasero in silenzio. Nell'oscurit dell'appartamento gli unici rumori
venivano dalla strada - macchine che sfrecciavano, risate, urla occasionali.
Philip sentiva Brad respirare sopra di lui, sentiva il suo corpo che si
sistemava sulla cuccetta.
Questo stesso anonimato lo aveva solleticato al college; talvolta si
masturbava silenziosamente mentre fantasticava che il suo compagno di
stanza, assolutamente regolare, facesse la stessa cosa proprio sopra di lui.
Adesso si sent come allora - sospettoso nell'oscurit, timoroso di venir
sorpreso a fare qualcosa o a dire qualcosa che potesse offendere Brad o
essere da lui frainteso.
acquatica citt che aveva visitato soltanto una volta e non ricordava neanche
pi. A Venezia la luce brillava attraverso persiane come queste? si chiese.
C'erano luci che brillavano su Eliot a Venezia? Finse di essere a Venezia
adesso, e che sotto la finestra ci fosse un canale su cui passavano le
gondole.
Poi not la mano di Brad, che ciondolava dalla cuccetta di sopra,
apparentemente senza intenzione.
Illuminata dalla luna, sembrava brillare.
Cautamente alz il braccio e prese la mano. Le dita di Brad erano calde,
come aveva immaginato che sarebbero state, e Philip ricord quanto tempo
era passato da quando aveva toccato qualcuno. Con gratitudine la strinse, e
Brad ricambi la stretta.
Rimasero cos, tenendosi le mani, per parecchi minuti finch Brad disse:
"Sai, probabilmente non riusciremo a dormire in questo modo"
"Lo so" disse Philip. Diede un'altra stretta alla mano di Brad. Poi
lasciarono la presa e, augurandosi la buona notte, si girarono ciascuno verso
la parete e si addormentarono.
A notte tarda, a letto, Laura restava appicciata a Jerene, non riusciva a
dormire finch appoggiava la testa al seno della sua amante e, quando era
sicura che Jerene dormisse, sussurrava come un incantesimo: "Non
lasciarmi mai, non lasciarmi mai, non lasciarmi mai" Tutto la spaventava: i
supermercati, i cani grossi, gli uomini. Per non parlare dei telefoni.
Quando Jerene - finalmente convinta a cercare sua nonna - aveva chiesto
a Laura se per favore poteva fare lei la prima telefonata alla lavanderia
Briteway di Bensonhurst per chiedere che fine avesse fatto la proprietaria
precedente, Mrs. Nellie Parks, Laura scosse la testa violentemente, e si
sciolse in un balbettio di scuse e di autodisprezzo. Era un disastro al
telefono, spieg. Jerene dovette rimangiarsi i suoi venticinque anni di paura
e fare da s la telefonata. Fu sollevata quando rispose una bambina.
"Posso parlare con la proprietaria?" chiese.
"Non facciamo consegne a domicilio" disse la bambina.
"No, non sto telefonando per questo" disse Jerene. "Vorrei
un'informazione sulla proprietaria precedente e ho bisogno di parlare con la
proprietaria attuale."
Allora ci fu silenzio sulla linea, seguito da una severa voce femminile con
un accento giamaicano.
"Non so niente della signora che era qui prima. Sono qui da tre anni, e
non so mica niente" disse la donna. "Si chiamava Nellie Parks" disse Jerene.
"La prego. importante. Sono sua nipote, e devo trovarla."
"Ho da fare" disse la donna. "Non ho tempo. Perch lo vuol sapere?"
"Sono sua nipote" ripet Jerene. " successo qualcosa di grave in famiglia
e devo mettermi in contatto con lei."
La signora sospir rumorosamente.
Sullo sfondo Jerene pot udire il turbinio della lavatrici. "Be, forse ho
qualcosa" disse infine la donna.
"Resti in linea."
Lasci Jerene attaccata alla cornetta per almeno cinque minuti, poi torn e
disse: "Diciotto-cinquanta-quattro Quarantacinquesima Sud, tutto quello
che so. Arrivederci,"
"C' anche il numero del telefono?"
C'era. La donna lo scand e riattacc.
"Mi spiace proprio" disse Laura, "non riesco a crederci, ma sono in preda
al panico, al solo pensiero.
Senti il mio cuore." Sedeva paralizzata sul sof.
Jerene compose il numero. Una voce che le ricordava il computer di "Star
Trek" rispose e disse: "Casa di Riposo Pinebrook"
Jerene tir un profondo respiro e fece la domanda.
Mr. Norton Parks, la voce era spiacente di annunciare, era morto l'anno
scorso, ma Mrs. Parks era ancora l.
Jerene le chiese quali erano le ore di visita. Tutti i giorni dalle dieci alle
cinque, disse la voce.
"Grazie" disse Jerene, e riattacc.
Ci and un venerd, attraversando Queens sulla linea ferroviaria di Long
Island fino alla primissima frangia dei sobborghi. Era una giornata fresca e
soleggiata - il tipo di tempo marzolino che sembra in qualche modo
fraudolento, un trucco, che sottintende la possibilit di una tempesta nel
pomeriggio. I bambini saltavano la corda e sbiciclettavano entusiasti nelle
stradine che Jerene percorse a piedi verso la casa di riposo. C'era persino
della gente che prendeva il sole allungata sulle sdraio nei giardinetti di casa,
con la pelle bianca per il freddo, rattrappita per via della brezza, decisa a
godersi questa prima giornata di sole anche a costo di morirne. La sorprese
trovarsi a camminare in un quartiere residenziale. Erano passati tanti anni da
quando era tornata a casa l'ultima volta, tanti mesi da quando era uscita
dall'isola di Manhattan, che aveva praticamente dimenticato quell'odore di
erba che stava sentendo adesso, la tenera verde dolcezza di un sobborgo
dopo le ore di scuola: bambini che giocavano al volano nei vicoli ciechi,
genitori che chiacchieravano al di sopra delle canne degli annaffiatoi. Qui le
strade residenziali formavano un reticolato con i grandi viali pieni di
supermercati e piccoli centri commerciali, e niente era pi alto di qualche
piano. Case di mattoni rossi, tutte uguali, fiancheggiavano la
mai aspettata di rivederti. Sam telefona soltanto l'ultimo sabato del mese, e santo cielo, non ricordo neanche l'ultima volta che lui e Maggie sono venuti
a trovarmi."
Jerene non aveva mai sentito chiamare sua madre Maggie.
"Pensavo che tu fossi andata via" disse Nellie. "Pensavo - oh, sono passati
dei secoli - che tu fossi andata in Africa, ti fossi arruolata nel Peace Corps.
E poi mi hanno detto che avevi sposato qualcuno l e che non saresti
tornata."
Jerene sorrise. "Be, adesso sono tornata" disse.
"Ti sei divertita in Africa?" chiese Nellie.
Jerene annu.
"E come stanno i tuoi bambini?" chiuse gli occhi. "Non dirmelo - lascia
che me lo ricordi da sola. So che Maggie mi ha scritto tutto di loro,
vediamo: Sam Jr. E qual era il nome della bambina? Elizabeth?" Jerene
ricacci a forza le lacrime, croll la testa.
"Sono con te?" chiese Nellie.
"No, sono laggi" disse Jerene. "In Africa."
"Con il padre?"
Jerene annu. "S. Se ne occupa lui."
"Be, un vero peccato. Mi sarebbe piaciuto conoscere i miei pronipoti.
Oh" fece Nellie, "io... io vorrei tanto poterti offrire qualcosa.
Una tazza di t, dei biscotti. Ma non tengo granch qui, da quando Sam se
n' andato. Lo sai, certo, che tuo nonno se n' andato lo scorso maggio,
vero?"
"S" disse Jerene. "L'ho saputo. Mi dispiaciuto molto."
"Era cos malato" disse Nellie, "che stata davvero una benedizione. Ma
dimmi, come stanno tuo padre e tua madre? Non mi vengono a trovare da
chiss quanto tempo, e quando vengono, come se non fossero neanche
qui. A dirti la verit" disse, sporgendosi confidenzialmente verso Jerene,
"ho la sensazione di non conoscerli pi da anni. Da quando si sono trasferiti
a Eastport, o come si chiama." Guard Jerene dritta negli occhi. "Quando
stata l'ultima volta che ti ho visto?
Non ti avrei mai riconosciuta. Quel taglio di capelli che hai - di moda in
Africa?"
Jerene annu.
Sul televisore una coppia si stava baciando appassionatamente. "Ecco il
mio programma" disse Nellie, e allung una mano verso gli occhiali. "Ce li
avete gli sceneggiati in Africa?" chiese.
"No, non guardo molto la televisione."
offerta alla pira del passato, la sua parte in una contrattazione che avrebbe
salvaguardato la figlia da tutto ci che quel nome si portava appresso.
Quando torn a casa, Laura la stava aspettando sul sof in cucina,
masticando gomma, con una gamba ripiegata sotto le natiche. "c' del t"
disse. "Ho fatto anche dei biscotti davvero meravigliosi."
"Mi basta il t" disse Jerene.
Si vers da sola il t e si sedette silenziosamente sul sof.
"Cosa successo?" chiese Laura.
"L'ho vista."
"Fantastico" disse Laura. " andata bene?"
Jerene sorrise e si tocc i capelli che, naturalmente, avevano un taglio
tanto di moda in Africa.
"S" disse. " andata bene." Sembr sul punto di piangere. "Oh tesoro,
vieni qui" disse Laura, e prese Jerene fra le braccia, e la tenne stretta in
silenzio, mentre il pomeriggio scivolava via.
Nell'oscurit del pomeriggio domenicale nel suo soggiorno (che ben
presto non sarebbe pi stato suo), fresco dietro le tende chiuse, Rose cerc
sull'atlante un'isola indonesiana di sei lettere nota per i suoi varani: vuoto vuoto - vuoto - O - vuoto - vuoto. Fino adesso aveva trovato "Tidore" e
"Misool", ma entrambi, una volta messi nel cruciverba avevano creato pi
problemi di quanti non ne avessero risolto. Ma c'erano ancora tante piccole
isolette da esplorare verso nord. Si ostin. Si immaginava come un piccolo
capitano da cartoni animati che guidava il suo bastimento a riquadri bianchi
e non come un cruciverba attraverso un mare di parole. Aveva finito le
parole crociate normali e adesso stava facendo le acrostiche. Lentamente,
man mano che lavorava, incominciava ad apparire una citazione nel
diagramma, come una fotografia che emerga dalle soluzioni in camera
oscura. Parole che un attimo prima non avevano senso stavano sbocciando
alla comprensibilit, come quando la G di George Eliot aveva trasformato
M--pi in Magpie. Alla fine, lo sapeva, le sarebbe stata offerta in regalo una
cosa completa, una citazione coerente, di cui avrebbe trovato titolo e autore
allineando le prime lettere di tutte le risposte alle domande - ed era proprio
questo che desiderava tanto.
La mescolanza di significato, l'intreccio di un insieme di parole nell'altro;
tutto aveva senso come principio curativo, e, all'improvviso, si chiese se
tutti i revisori, gli enciclopedisti, i cartografi, e i redattori di cruciverba non
fossero gente che si era imbattuto nelle proprie carriere perch aveva un
bisogno disperato e continuo di dimenticare le cose. "Gli avvoltoi del
mondo pensante", li aveva definiti una volta Owen, che si nutrivano degli
avanzi del pensiero, di ci che rimaneva dopo che grandi documenti storici
prov quell'ondata classica di apprezzamento per le cose pi insignificanti per un albero che si piegava verso il sole in un quadrato d'erba sul
marciapiede, per una donna che attraversava il viale con dei gemelli in una
carrozzella. Ma non dur a lungo. Quei momenti del pi intenso piacere,
quei momenti dei quali aveva gi nostalgia nell'istante stesso in cui li viveva
- furono davvero brevi. Ben presto il mestiere di vivere si mise al passo con
lei, la cattur. Passarono gli anni. Fu come se avesse dormito. Guard
ancora una volta il libro dei sintomi. E ancora una volta ricord chi era, che
era entrato dalla sua porta in una notte normale, pieno di notizie, impaziente
di svegliarla.
Furtivamente, perch sapeva che ormai stava diventando un vizio, avanz
verso la sezione contrassegnata "Giochi e Cruciverba" Sull'ultimo scaffale
c'erano impilati ordinatamente dei libri di acrostica.
Sfogli il primo che le capit in mano. Le definizioni includevano:
"Antropologo francese, autore di Tristi tropici (due parole.)" e "Rimuginare,
riflettere, considerare"
Rose pens: "levi-Strauss" Poi pens: "Ruminare"
Era un buon inizio.
Poco pi in l, dall'altra parte della libreria, le due ragazze erano ancora
tutte prese da Metticela tutta. Probabilmente lavoravano per agenzie
immobiliari, leggevano "Cosmopolitan" o "Mademoiselle" durante l'ora di
colazione e riempivano fedelmente in tutta onest i test psicologici. Non
prov piet per loro. Al momento avrebbe dato qualsiasi cosa per avere le
loro vite.
Afferr il suo libro di acrostica, e si precipit verso la cassa per pagarlo.
Quando Philip arriv nell'appartamento dei suoi genitori, bench nessuno
fosse a casa, la televisione era accesa per scoraggiare eventuali scassinatori.
Fred Flintstone galleggiava in un mare di riso cotto che traboccava dalle
finestre sul prato. Quel giorno lui e Wilma avevano capovolto i ruoli per
scommessa. Parve impressionante a Philip che il programma rumoreggiasse
allegramente a beneficio dell'appartamento vuoto, delle poltrone e del
divano sistemati in cerchio davanti al televisore. Guard Fred battagliare
con il riso finch non comparve una pubblicit: un uomo dall'aria infelice
stava cercando freneticamente di illuminare una torta di compleanno, ma le
candele continuavano ad affondare nella glassa come dei periscopi.
Poi ci fu un piccolo trambusto alla porta, e Rose entr, portando dentro le
provviste dal pianerottolo.
"Ciao, mamma" disse Philip.
"Philip" fece lei. "Che sorpresa!"
Philip si strinse nelle spalle. "So dove vanno le cose in questa cucina."
"S" disse Rose, "ma come fai a sapere che non cambiato niente da
quanto tu te ne sei andato? Come fai a sapere che tuo padre e io non
abbiamo completamente riorganizzato la cucina?"
"Non lo so" disse Philip. "Davo per scontato che... ma perch me lo
chiedi?"
Rose fece un sorriso teso. "Stavo solo scherzando" disse. "Grazie per
l'aiuto."
Incominci a preparare padelle, pentole e taglieri per cucinare, e Philip
torn in soggiorno. Wilma Flintstone stava affermando pomposamente che
il posto pi adatto per una donna in realt la cucina. Lui la guard per
qualche istante, poi spense l'apparecchio. In cucina, sua madre stava
tritando l'aglio con un coltellino.
"Mi ferisci quando sei cos fredda con me" disse lui.
Rose smise di colpo di tritare, poi riprese. "Fredda con te?" disse.
"Vengo a trovarti, un po che non ti vedo, e tu mi tratti come se
preferissi vedermi saltare gi dalla finestra" disse Philip. "Dai, mamma.
Non ha senso menare il can per l'aia, o fingere che non stia succedendo
quello che sta succedendo."
Lei smise di tritare. Pos il coltello, attravers la cucina, si appoggi la
mano sulla fronte. " questa l'impressione che ti do?" disse.
Philip non disse niente.
"Mi spiace, Philip" disse lei, "ma sto attraversando un brutto momento.
Non puoi aspettarti che sia sempre tutta dolcezza e calore materno.
Talvolta c' anche la mia vita che mi preoccupa. Ed essere cordiali pu
risultarmi troppo difficile." Si strofin le dita, and al lavandino e si lav le
mani. "Sei adulto adesso" disse. "Non puoi pretendere da me che ti tratti
ancora come un bambino, o che finga di star bene quando non sto bene."
Philip chiuse gli occhi. "Mamma" disse, "mi sembra che qui si tralasci di
dire qualcosa. Quello che non viene detto che sei infuriata con me da
quando sono venuto a casa e ti ho detto che ero gay. Non riesci ad accettarlo
e sei furiosa. Per cui penso che dovresti dirmelo in faccia invece di
fingere..."
"Non mettermi delle parole in bocca, giovanotto" esplose Rose.
"Non ti sto mettendo delle parole in bocca. Ti sto dicendo quello che ho
osservato."
"Allora non dare per scontato di essere al centro di tutto" disse Rose.
"Ci sono un sacco di altre cose nella mia vita oltre a te." Torn all'aglio,
lo sminuzz come se fosse qualcosa che voleva uccidere.
Philip tacque un momento. "Senti, mamma" disse infine, "io so solo che
qualunque sia la cosa che ti preoccupa, sembra che tu scarichi la tua rabbia
su di me. Ormai sono settimane che ti chiamo, che cerco di parlarti. Quando
ti vedo, ti comporti come se preferissi essere ovunque piuttosto che con
me."
"Se ci pensassi un attimo" disse lei, "ti renderesti conto che non ti ho fatto
proprio niente, Philip. Mi pare che tu non ti stia lamentando per quello che
ho fatto, ma piuttosto per quello che non ho fatto. Mi pare che tu sia
arrabbiato perch non mi sono comportata come la classica madre
permissiva dei manuali, che parte in quarta e aderisce a qualche
organizzazione, o perch non ho voluto parlare tutto il tempo con te della
tua vita sessuale, o consumare tutta la mia energia mentale per cercare di
capirti. Non sono affettuosa con te.
Non sono gentile, dici - be, adesso come adesso non mi sento n molto
gentile n molto affettuosa. E ho gi abbastanza problemi nella vita per
essere disposta a tirar fuori tutta l'energia che ci vuole per alleviare il tuo
senso di colpa."
Stancamente gett l'aglio in una padella. "La mia colpa?" disse Philip.
"S" disse Rose. "Tu mi telefoni, e non vuoi sentirti dire altro che, "Va
bene, va bene, tutto dimenticato, ti voglio bene" Be, non cos semplice.
Non affatto cos semplice."
Philip si sedette a tavola. "Non c' bisogno che tu sia crudele" disse.
"Se non ti piace, piantala di tormentarmi."
Accese un fornello. L'aglio sfrigol e liber un aroma acuto mentre
incominciava a friggere.
"Mamma, mi spiace che tu abbia dei problemi" disse Philip. "E hai
ragione. egoista da parte mia credere di esserne la causa. Per, be, forse se
tu mi dicessi che cosa sta succedendo, che cos' che ti turba tanto..."
"Sembri convinto che parlarne migliori necessariamente le cose" sbott
Rose. "Sembri convinto che confessare e aprirsi sia sempre la risposta
giusta. Ma io non ne sono cos sicura." Torn al bancone, dove alcune
cipolle aspettavano di essere affettate.
"Speravo solo di poterti aiutare" disse piano Philip.
Rose rise.
" per via di pap?" disse lui.
Rose smise di affettare. Si blocc silenziosamente sopra le cipolle.
"Mamma" disse Philip. "Se ci sono dei problemi tra te e pap, forse se me
ne parlassi, potrei... fare qualcosa."
Lei pos il coltello e lo guard dritto negli occhi. "Ti ho detto che non
voglio parlarne adesso" lo apostrof. "Ti spiacerebbe lasciarmi in pace?" Si
Poi pass. "Va tutto bene" disse lei, col labbro tremante. "Va tutto bene.
Devo preparare questo pasto.
Bisogna che sia pronto." Si soffi il naso e ritorn all'insalata.
"Mamma" disse Philip, "adesso chiamiamo pap e gli diciamo di non
portare Winston Penn."
"Ormai troppo tardi" disse Rose.
"Saranno gi per strada." Strapp un pezzo di carta da cucina da un
rotolo, si asciug gli occhi. "Comunque, va benissimo. Star bene. Adesso,
per favore, Philip, quello di cui ho veramente bisogno di rimanere sola
almeno un po. Perch non vai in soggiorno e metti un po di musica?"
Lui esit. "D'accordo" disse. "Se sei sicura di star bene."
Lei annu. Philip entr in soggiorno e si accucci davanti allo stereo.
Tutti i dischi della sua infanzia che era troppo imbarazzato per ammettere
di possedere erano l - dischi dei Carpenters o della Partridge Family che
aveva comprato quando aveva otto o nove anni. Ne guard uno
nervosamente - i membri della Partridge Family in uniforme nera,
sull'autobus, con la bella mamma santificata, Shirley Partridge - poi decise
per il disco dei Natale dei Chipmunks.
"Philip" grid Rose dalla cucina, "non mi sembra proprio il caso!"
"D'accordo!" grid lui. Tolse il disco. Non era abituato a vedere Rose
esibire forti emozioni in sua presenza, non l'aveva mai vista in vita sua
oltrepassare i confini di un'ordinaria preoccupazione o di un'arrabbiatura.
Perch lui dava tanta importanza alla rivelazione? Gli aveva chiesto.
Davvero, perch?
Si sent un rumore di chiavi alla porta, il mormorio di una conversazione.
"...se possiamo ottenere il mutuo" stava dicendo Owen, ed entr
rumorosamente, portandosi appresso l'odore del mondo esterno - lana
bagnata e tubi di scappamento.
"Salve, figliolo" disse Owen, e il suo sorriso era ampio, troppo ampio.
"Ciao, pap" disse Philip.
Dietro di lui un giovane alto con un cappotto impermeabile sorrise
salutando.
"Philip" disse Owen, "questo Winston Penn. Winston, mio figlio
Philip."
Winston Penn lanci a Philip un sorriso pieno di grandi denti bianchi.
"Philip" disse, "sono molto lieto di conoscerti" e gli afferr la mano in
una stretta decisa. Aveva gli occhi piccoli e intensamente azzurri. Fitti
riccioli di capelli biondi sembravano formargli un elmetto sulla testa.
"Mio padre parla sempre di te, Winston" disse Philip.
"Non sono sicuro di volere sapere quello che dice" rispose Winston,
ridendo.
"Oh, no" disse Owen. "Per te solo le pi alte lodi, Winston. Ma dovresti
sentire quello che dico del resto del corpo docente! Ah!" Diede una pacca
sulla spalla di Philip, facendolo tossire. Aveva un sorriso terribile, tagliato
dall'odore di liquore; sembrava lievemente trasandato, aveva la barba lunga,
la cravatta allentata, e teneva la giacca sulla spalla. Anche Winston rise quella stessa risata da spogliatoio poco familiare per Philip, la risata di
uomini con altri uomini, che si danno pacche sulle spalle, convalidando
l'affetto per la violenza. Winston era perfettamente rasato, impeccabile,
Portava un papillon e una camicia a righe abbastanza stretta da lasciar
capire il tono e la forma del suo corpo, il tipo di corporatura che nelle
palestre di lower Manhattan gli uomini faticavano anni per ottenere, ma nel
suo caso, un po indolente, un po morbida, per far capire chiaramente che
era stata acquisita in modo naturale durante un'adolescenza dura e vivace, e
non comperata insieme a costosi attrezzi per il sollevamento pesi.
"Vuoi qualcosa da bere?" chiese Philip.
"A me basta una Coca-Cola" disse Winston. Si sedette sul divano. "Vado
a prenderla" disse Philip prima che suo padre avesse la possibilit di
prevenirlo.
In cucina, suo madre stava scuotendo con violenza un vasetto di
condimento per l'insalata.
"Sono arrivati" disse Philip.
Rose fece un sorriso teso. "Bene, bene" disse. Lui prese un bicchiere e
una Coca-Cola dal frigorifero e la segu in soggiorno.
"Salve" disse Rose. "Sono Rose Benjamin."
Winston si alz per stringerle la mano.
"Rose" disse Owen dal divano dove sedeva vicino a Winston. "Rose..."
Lei distolse lo sguardo da lui, si asciug di nuovo gli occhi. "Cipolle"
disse. "Solo cipolle."
Owen stava conquistando Winston. Da Frank, il suo amante di una notte,
aveva imparato ad affettare le pose di un cameratismo maschile e con sua
grande sorpresa aveva scoperto che Winston, trattato cos, reagiva con
grande entusiasmo. Quel pomeriggio, dopo le riunioni coi genitori, erano
andati a bere in un bar irlandese molto affollato che a Winston piaceva, "un
posto da operai", aveva detto, dove la televisione trasmetteva notizie
sportive, e tutti si conoscevano tra loro, incluso il vecchio barista irlandese,
che fece generosi cenni di saluto a Winston e gli porse immediatamente una
birra.
facevano l'amore, in quei primi anni, e lei si era sempre chiesta cosa volesse
dire.
Adesso, naturalmente, capiva. Voleva che lei lo guidasse verso il tipo di
vita che desiderava tanto avere, una famiglia, dei bambini. Ma come poteva
saperlo lei allora? L'omosessualit per lei era un'anomalia, una condizione
da curare in ospedale, non uno stile di vita da abbracciare e da cui essere
salvati. Aveva attraversato la navata, e ora le sembrava una bell'ironia aver
visto nella faccia di Owen una rassicurazione, un segno che stava prendendo
la decisione giusta, mentre invece stava facendo il primo e il pi grosso di
una serie di errori che l'avrebbero trascinata nella vita come una corrente
sotterranea, per poi venir meno, lasciandola come una naufraga, a
cinquantadue anni, con niente alle spalle se non una catena di decisioni
sbagliate prese con molta cura, prese ciecamente, un esame fallito perch lo
studente ha fatto ripetutamente un unico, essenziale, insensato errore. Oh,
perch non glielo aveva detto? Perch non glielo aveva fatto sapere? Forse
immaginava che quei sentimenti segreti che nutriva se ne sarebbero andati,
sarebbero svaniti col tempo; forse pensava di potersi curare, o che lei
potesse curarlo. No, anche se glielo avesse detto, si rese conto (ed era una
ben vaga consolazione), lo avrebbe sposato comunque, avrebbe creduto,
come aveva creduto lui, che il matrimonio avrebbe fornito una cura per la
malattia. Il segreto fu cos sepolto, ma anche da sotto terra continu a
esercitare la sua influenza. Un'unica bugia torceva, conservava e minava al
tempo stesso il tessuto delle loro vite, come un difetto nella seta, tale per cui
un singolo strappo poteva sfondare tutto.
Loro non erano, e non erano mai stati, quel che sembravano; questo in
qualche modo lo aveva sempre saputo. Ma che vergogna aver vissuto questa
vita per pi di vent'anni, senza mai sapere, nemmeno segretamente,
cos'erano loro in realt.
Lei era la madre. Sedeva a capo tavola, con le mani aggrappate l'una
all'altra, e osservava suo figlio e suo marito danzare intorno alla fiamma di
Winston Penn. Serv, e li guard mangiare una macedonia di frutta col
gelato. Poi si alz e incominci a sparecchiare. "Lasci che l'aiuti, Mrs.
Benjamin" disse immediatamente Winston, e con sua stessa sorpresa lei
rispose: "Certo, sarebbe carino" Lo precedette in cucina, e Winston la segu.
Rose sorrise tra s, godendosi la loro frustrazione nel vedersi tolto Winston.
Ammassarono i piatti nella lavastoviglie. "Io lavo e lei asciuga" lo istru. E,
toltasi gli anelli, si infil i guanti di gomma, e riemp il lavandino di acqua
calda. "Che bell'anello" disse Winston, indicando il suo anello romano, un
oggetto delicato ed elaborato che aveva trovato in un negozio di antiquario
dalle parti di via Cavour. "Oh, questo?" fece lei. "Ricordo la mattina in cui
"S, il tuo turno. Su, dai, dimmi a che punto stanno i tuoi rapporti, come
dicono nel West. Non divertente se non lo fai anche tu."
Philip guard fuori dal finestrino.
"Be" disse. "Sono stato con qualcuno molto seriamente per un po. Ma
finita."
"Davvero?"
"Uh, uh."
"Bene" fece Winston, "coraggio, raccontami qualcosa." Si schiar di
nuovo la gola.
"Non c' molto da raccontare" disse Philip. "Lui ha chiuso ed andato a
vivere a Parigi."
"Delle volte lo fanno" disse Winston. "Come si chiamava il tipo?
Cos gliele suono. Ehi, mangia merda, stronzo" grid a un altro taxi che
stava cercando si superarlo all'imbocco del ponte George Washington.
Sorrise, e Philip si rilass visibilmente sul sedile.
"Avanti, continua" disse Winston.
Incoraggiato, Philip continu.
Adesso stavano attraversando il ponte George Washington, un infuriare di
luci alte sopra il fiume scuro. "Forse l'ho allontanato io" disse Philip.
"Oppure era solo stufo del rapporto.
Oppure era davvero uno stronzo egoista. Non lo so."
Sospir rumorosamente, e Winston croll la testa. "Non si pu mai dire"
disse. "Stupidamente, si finisce sempre con l'avere sia ragione che torto
entrambi, tutte le volte, in modo diverso." Sorrise. "Ecco" disse, "ecco,
adesso siamo nel New Jersey."
Come un indemoniato, si guard intorno con gli occhi infiammati da
quello che stavano assorbendo, ma nell'oscurit Philip non pot distinguere
un singolo dettaglio. Immagin che stessero passando sotto gli alberi.
"In New Jersey ci si sente proprio meglio" disse Winston, pigiando forte
il pedale dell'acceleratore. "E si pu guidare come dei veri americani... in
fretta." Rise di nuovo. Allungando un braccio, prese una cassetta dalla
scatola sul sedile posteriore e la infil nello stereo. Bruce Springsteen cant
"Born in the USA", la voce un urlo gutturale di rabbia. Accelerarono,
arrivando pericolosamente vicini a un camion.
Come per caso, Winston lo super con una sterzata all'ultimo momento e
Philip chiuse gli occhi e fece una smorfia, preparandosi a morire.
Winston ridacchi. "Ti ho spaventato?"
"Un po" ammise Philip.
"Mi spiace. Mi accaloro quando ascolto il Boss." Stavano rallentando a un
semaforo rosso. Ora sembrava che avessero raggiunto una zona pi
di punto in bianco. "Philip, tesoro, che succede?" aveva chiesto sua madre,
girandosi allarmata e allungando una mano verso il sedile posteriore per
consolarlo. Ma lui non voleva essere consolato. Questa volta non ci fu
alcuna attesa.
Attraversarono velocemente il tunnel emergendo all'improvviso dalla sua
verde luminosit nella scura, fredda, notte di Canal Street. "Rieccoci a
Manhattan" disse Philip, e Winston sorrise. "S" disse. "Me ne sono accorto.
Quella fantastica sensazione del New Jersey" schiocc le dita, "sparita.
Cos." Sospir. "Dove hai detto che devi andare nell'East Village?"
"Decima Strada" disse Philip.
Girarono verso nord. Il vento sembrava pi violento qui che non nel
quartiere dei suoi genitori. Fuori da un nightclub senza insegne, ronzava una
fila di bianche limousine e Mercedes, mentre una folla si accalcava per
riuscire a entrare.
"Sono davvero contento che tu sia venuto a cena, e che ci siamo
conosciuti" disse Philip a Winston.
"Mio padre era molto ansioso che noi due ci conoscessimo, sai. Pensava
che saremmo diventati amici."
"Me l'ha detto" disse Winston.
Philip tacque per un momento. "Mio padre... be, talvolta sono un po
imbarazzato, sai, per come prova ad affibbiarmi dei nuovi amici." Rise
nervosamente. "Spero solo... spero solo che tu non abbia l'impressione..."
"Di essere andato a un appuntamento cieco?" disse Winston. "No, non
l'ho presa per niente cos. Mi sono divertito un sacco. Owen mi piace
veramente, un tipo in gamba, e credimi, non ce ne sono mica molti tra gli
insegnanti. Ma dove sulla Decima Strada?"
"Vicino alla Seconda Avenue" disse Philip, sollevato. "Comunque prima
non mi riferivo tanto a un appuntamento cieco quanto alla storia del
gentiluomo che va a far visita a una famiglia nello Zoo di vetro. Ho pensato
che dovevi sentirti proprio come quell'uomo, sai voglio dire, come una
persona normale che finisce in una gabbia di matti."
"Davvero?" disse Winston, e rise.
"Del resto" aggiunse, "credo che tutte le famiglie vagamente intellettuali
temano segretamente di essere i Wingfields. una condizione americana
universale."
"Forse" disse Philip.
"Comunque la mia famiglia" disse Winston, "la mia famiglia proprio
l'articolo genuino." Ma prima di avere la possibilit di spiegare oltre, erano
arrivati sotto casa di Brad.
Riuscivo a capire benissimo che sotto il suo sorriso, mia madre mi stava
guardando come un falco, e guardava pap, e allo stesso tempo continuava a
far finta di non esserci."
Brad si sollev su un fianco appoggiando la testa alla mano. "Ma non mi
hai raccontato la parte migliore" disse. "Non mi hai detto di Winston, o
della sua visita."
"Ah" fece Philip. "Be, Winston era brillante, e molto simpatico. E un po
bizzarro. Si lanciato in uno sproloquio in cui sosteneva che il New Jersey
il centro dell'universo, o qualcosa del genere, e capivo che pensava fosse
divertente, ma, a un certo livello credo che ne fosse anche convinto. Quello
che mi piace di lui che sembra perpetuamente incantato dal mondo. Per
esempio - ti mai capitato da bambino, quando finivano le vacanze estive e
ricominciavano le trafile del ritorno a scuola, di voler sbattere la testa contro
il muro perch le vacanze erano passate cos in fretta, e non te le eri neanche
godute? E di desiderare di avere almeno qualche settimana ancora, in modo
che potevi startene l nella tua stanza, sapendo di avere pi di un mese
prima dell'inizio della scuola, e assaporarti questo fatto, star l
semplicemente a godertela?"
"Certo" disse Brad. "Ma non avresti mai potuto farlo. Siamo di nuovo al
paradosso di Zenone."
"Forse" disse Philip. "Ma penso che Winston sia proprio cos. Voglio
dire, sembra che si assapori ogni momento che vive come il resto di noi pu
apprezzare dei momenti soltanto quando li ricorda. E questo un vero
talento, devo dire."
Brad sorrise. "Come no" disse. Si agit impaziente. "era davvero cos
attraente, come aveva detto tuo padre?"
Philip sbadigli. "S" disse. "Era molto attraente, e molto, molto regolare.
Per venire qui mi ha fatto fare un giro nel New Jersey, il che non aveva
nessun senso dato che era buio. Poi ha fatto un bel po di scena imprecando
con un tassista e guidando troppo forte. stato divertente."
Per qualche momento rimasero sdraiati l senza parlare, poi Brad disse:
"Credo che andr a spegnere la luce adesso" Fece una pausa. "Vuoi passare
la notte qui, Philip?"
"Se non ti spiace" disse Philip.
"No, affatto."
Questa volta non ci fu alcun accenno alla cuccetta di sopra. Philip chiuse
gli occhi e sent Brad alzarsi dal letto e spegnere la luce. Piano piano, nel
buio, Philip si tolse camicia e jeans e and sotto le coperte, godendosi
l'estraneit di nuove lenzuola. Dopo qualche secondo sent un tramestio, e
Brad entr nel letto accanto a lui. Per un po rimasero sdraiati senza
toccarsi, poi Brad cautamente mise il braccio sul petto di Philip, e Philip gli
prese la mano e la tenne stretta. Il cuore di Brad batteva violentemente, cos
violentemente da farlo quasi tremare, e Philip dolcemente gli massaggi la
pelle sulle nocche e sui polsi per calmarlo. "Sai" disse Brad alla fine, dopo
essersi rilassato un po, "una volta ero innamorato di un regolare.
Al college."
"Davvero?" disse Philip. "Chi?"
"Non credo che tu lo conoscessi" disse Brad. "Si chiamava Richard, e
frequentava un seminario di storia dell'arte insieme a me. Si era appena
trasferito dall'Universit della Virginia, e all'inizio non aveva neanche un
amico." Brad rise. "Dio, come lo amavo" disse. "Mi confidava sempre le
sue preoccupazioni perch non era bravo come alcuni degli altri giocatori
della squadra di calcio. La sera stavamo nella sua stanza, e lui mi leggeva ad
alta voce dei passaggi omosessuali di Proust!"
"Brad!" disse Philip. "Non ne ho mai saputo niente."
"Non che tu mi conoscessi molto al college" gli ricord Brad.
"Comunque, puoi immaginare come ero eccitato. Ma allora ero cos
ingenuo, cos insicuro di me, che non sapevo proprio come fare. Ma la parte
migliore - ed per questo che mi sono ricordato la storia - era la sua
macchina. Aveva una macchina, e una volta o due alla settimana mi
telefonava prima di cena e andavamo verso la periferia della citt dove c'era
questo fantastico ristorante cinese, talvolta da soli, talvolta con pochi altri.
Comunque, tornando al ristorante cinese - il parcheggio era in cima a una
collina, e scendendo dalla collina bisognava passare per questa cunetta
creata da un avvallamento nella strada. Era come un otto volante. Dopo
mangiato, gli dicevo sempre: "Richard, vai piano, lo sai che quella cunetta
mi spaventa" E lui rideva, e naturalmente la prendeva al massimo della
velocit, al punto che la macchina sobbalzava e scricchiolava, e noi
venivamo sbalzati dai sedili, e quanto io gridavo lui rideva istericamente e
poi guidava come un pazzo per tutto il ritorno, per spaventarmi ancora di
pi. Credo che in fondo mi piacesse."
"Ma certo" disse Philip. Era sdraiato immobile, e con un dito tracciava
delicatamente dei disegni sulla schiena di Brad. "Successe qualcosa?"
Brad sospir. "Un giorno non ce la feci pi. Ricordo che ero seduto nella
mia stanza ad ascoltare questa canzone dei Tom-Tom Club, e - giuro che
vero - proprio mentre cantavano la strofa, "fai la tua mossa", suonarono alla
porta. Era Richard. Disse che passava di l e aveva pensato di farmi un
saluto. Vide che ero turbato, e mi chiese cosa avevo. E io glielo dissi.
Mi alzai e dissi: "sono innamorato di te""
"Stai scherzando" fece Philip.
invitato Winston che volevo far qualcosa di carino per Philip, aiutarlo. Gli
avrebbe fatto bene trovare qualcuno, non credi?"
Rose era cupamente silenziosa.
Sembrava totalmente concentrata su qualcosa fuori dalla finestra, bench
ci fosse ben poco da vedere - una donna che lavava i piatti
nell'appartamento di fronte; traffico, cielo.
"Vuoi che te ne parli?" disse Owen.
Lei si strinse nelle spalle.
"Immagino che significhi di s" disse Owen. "D'accordo. Immagino che
dovrei incominciare spiegandoti di quella domenica in cui ci incontrammo.
Dicendoti dove stavo andando quella domenica, e tutte le domeniche.
Io..."
"Preferirei che tu non lo facessi" lo interruppe Rose. "Non credo proprio
che abbia senso che tu divida con me tutti i dettagli pi cruenti, Owen.
Davvero, non capisco come questo potrebbe farci del bene."
"Mi spiace. Pensavo solo che avrei dovuto chiarire le cose una volta per
tutte. Stiamo parlando di ventisette anni di segreti, Rose. Cose che ho tenuto
imbottigliate per tutta la vita."
"Il fatto che tu abbia voglia di raccontarmele non significa che io le voglia
sentire." La sua voce era esile e calma. Lui alz gli occhi e la vide davanti
alla finestra, non di fronte a lui, con il fazzoletto ridotto a un mucchietto di
polvere azzurra nella mano.
Owen chiuse gli occhi e deglut.
"D'accordo" disse. "Questo posso accettarlo. Ma allora di che cosa vuoi
che parliamo? Dobbiamo parlare dell'appartamento? Ho un appuntamento
alla banca marted, per informarmi su un mutuo. Devo andarci?"
"Perch ti comporti come se dipendesse da me?" chiese Rose.
"Perch cos."
Con aria torva, lei si stacc una pellicina dal pollice.
"Puoi lasciarmi, Rose, se questo che vuoi" disse Owen. "Oppure me ne
andr io. Se questo che vuoi. Lo far."
"E se non fosse quello che voglio?" chiese Rose.
"Allora, naturalmente, resterei."
"E che cosa significa?"
"Significa esattamente quel che ho detto" disse Owen. "Io vorrei restare,
Rose, sa Dio se lo vorrei. Non sto attraversando una crisi di mezza et; non
voglio la libert. Tutto quello che conosco, tutto quello che mi fa sentire
sicuro al mondo qui, con te.
Ma penso di essere onesto. Per quanto cerchi di convincermi che posso
farla finita, per quanto provi a non pensare agli uomini..." scosse la testa.
"E come credi che star io?" disse Rose, girandosi a guardarlo. "Pensa
anche a me una volta tanto. Un matrimonio che un'impostura, una
finzione. Mio marito e mio figlio, tutti e due, tutti e due - santo Dio, la mia
vita sembra la battuta finale di una barzelletta stupida."
Inavvertitamente, incominci a ridere, e rise anche Owen. Poi si
interruppero di colpo. Ancora una volta, Owen abbass cupamente gli
occhi. "Rose" disse, "scusa se te lo faccio notare, ma tu non mi sei stata
esattamente fedele."
Lei alz la testa.
"Mi dispiace tirare in ballo l'argomento adesso" disse Owen. "Non avrei
mai voluto farlo. So che tu pensavi che io non lo sapessi. Ma lo sapevo. Non
che mi dispiacesse. La verit , che mi faceva stare un po meglio, mi
faceva sentire un po meno colpevole di averti rovinato la vita.
Perch pensavo che tu te lo meritassi - l'amore vero di un uomo che
provava quello che gli uomini dovrebbero provare per le donne. Io sono
stato in disparte e non ho detto una parola; non ti ho mai imposto nessun
ultimatum, nemmeno quando ero geloso.
Pensavo che avevo quel che mi meritavo... una punizione."
Lei rimase in silenzio. "Tutto qui?" domand infine.
"S"
Poi, molto piano: "Non penso che il fatto di avere avuto dei rapporti con
altri uomini, sia in qualche modo paragonabile...".
"Al mio avere dei rapporti con gli altri uomini?"
"Non interrompermi. No. E non per le stupide ragioni che tu mi stai
attribuendo. Ma perch io sono stata molto attenta, Owen. Ho cercato in
tutti i modi di non rovinare la nostra vita insieme. Era una cosa a s, una
cosa di cui avevo bisogno, per ragioni che adesso sono chiare e evidenti. Ma
per quel che mi riguarda, tu stai dicendo che la premessa stessa del nostro
matrimonio stata una menzogna, un'impostura. E questo molto peggio
che tradire con qualcun'altro. Perch significa che per te era proprio il
nostro matrimonio l'impostura, e la tua... altra vita era la cosa vera." La sua
voce divenne improvvisamente pi dolce, strascicata. "Per me" disse Rose,
"la cosa vera sei sempre stato tu."
"Non so che cosa vuoi da me" disse piano Owen. "Delle scuse?
D'accordo.
Mi spiace di averti sposata. Mi spiace di averti rovinato la vita."
Lei rise, e si gir a guardarlo.
"Sei deciso a gettarmi addosso la tua colpa, vero?" disse. "Sei deciso a
trasformarmi nell'imputato colpevole.
Benissimo. Vuoi piet? Ti dar piet.
"Separati!"
" quel che ho detto anch'io."
"Ges."
Philip si tir su i pantaloni, allung la mano per prendere la camicia.
"Senti" disse Brad, "vengo con te."
"Brad, non necessario che tu lo faccia."
"Non m'importa, vengo con te."
"Credo" disse Philip infilandosi calze e scarpe, "credo che dovrei andarci
da solo."
Brad torn a sedere sul letto, contro la parete, e chiuse gli occhi, Philip
prese dal ripiano del comodino il portafoglio, gli spiccioli e le chiavi, e se li
ficc in tasca. "Hai bisogno di soldi per il taxi?" chiese Brad.
"No, li ho."
Brad si alz in piedi, si infil l'accappatoio, e accompagn Philip alla
porta.
"Be" fece Philip, "arrivederci" e rise, senza riuscire ancora a credere che
dieci minuti dopo essersi svegliato stava gi lasciando Brad per andare
uptown a salvare suo padre.
"Arrivederci" disse Brad.
Spontaneamente, senza pensarci, si baciarono per la prima volta, a lungo
e appassionatamente, poi rimasero l sulla soglia, abbracciati, a occhi chiusi.
"Non voglio andarmene" disse Philip. "Mi sento al sicuro qui. Ti assicuro
che la cosa che desidero di pi restare qui con te, Brad."
"Io sar qui" disse Brad.
"Grazie" disse Philip. "Bene, ci siamo, vado a tuffarmi nel gelido ignoto."
Si allacci la cerniera della giacca a vento; e baci di nuovo Brad.
Poi tolse il catenaccio alla porta e sgusci fuori dalla fessura. Sulle scale,
scese lentamente, non volendo svegliare nessuno.
Fuori la strada era vuota, buia a eccezione della luce di un unico
lampione.
Nel taxi che sfrecciava veloce uptown, Philip si sent stranamente
stordito, quasi drogato. Si raggomitol su se stesso alla ricerca di calore
appoggiandosi contro il sedile macchiato, e costringendosi a tenere gli occhi
spalancati per tenersi sveglio. Ricordava una notte della sua prima infanzia
in cui si era svegliato tutto sudato e con la nausea, e i suoi genitori avevano
dovuto portarlo al pronto soccorso.
Fuori era appena nevicato, e ora seduto nel taxi ricord vividamente come
si era sentito strano mentre veniva strappato dal sonno e trascinato nel
mondo, ancora in pigiama, avvolto nelle coperte. Rose, che indossava la
camicia da notte sotto il cappotto, lo tenne in braccio sotto la tettoia di casa
erano una specie di cura per me. Tutti pensano che la pornografia sia
allettante, e immagino che lo sia, ma per un uomo spaventato come lo ero
io, be, mi dicevo che quel che provavo non era poi cos sbagliato, e che non
ero il solo a provarlo. Questi uomini dicevano: Non scacciarlo dalla tua
mente. Goditelo.
Festeggialo." Sorrise. "Quando quegli uomini facevano l'amore" disse,
"avevano la ribellione negli occhi, e questo ha voluto dire molto per me,
Philip, davvero. Cos divenni pi coraggioso, incominciai a incontrare degli
uomini al Bijou, ad avere degli scambi sessuali con loro. Non molto, sulle
prime. Ma poi, col passare del tempo, sempre di pi, finch non feci tutto o per le meno, tutto quel che si pu fare in un posto pubblico. E tutto senza
una parola, senza uno scambio di nomi, non incredibile?
Neanche una volta. Dopo mi sentivo cos colpevole che mi precipitavo
fuori dal cinema e giuravo che non ci sarei pi tornato. Ci andavo ogni
domenica, e ogni domenica tornavo a casa e vedevo Rose e avrei voluto
uccidermi, tanto mi sentivo male per quello che le stavo facendo. Ogni
settimana giuravo che non ci sarei tornato. Ma poi arrivava di nuovo la
domenica, e non riuscivo a controllarlo. Lo capisci?" chiese.
"Davvero non riuscivo a controllarlo.
Per questo ero cos curioso quando tu mi hai raccontato che eri andato al
Bijou. Ho pensato, e se ci fossimo andati nello stesso momento? Se ti avessi
incontrato l, Philip, be, non so proprio cosa avrei fatto. Sono sempre stato
certo che tu mi avresti odiato, mi avresti ripudiato come padre se lo avessi
scoperto. Forse per questo in tutti questi anni sono stato cos distante come
padre. Forse pensavo: Se non mi conosce bene, per lui non sar un colpo
troppo duro quando sapr la verit." Rise amaramente. "Era orribile,
davvero, quello che provavo, la sensazione che avevo di correre un rischio
terribile ogni minuto della mia vita - di rischiare di perdere la mia famiglia,
la mia carriera, senza riuscire a farne a meno; senza riuscire proprio a farne
a meno. Ogni giorno pensavo che dovevo cambiare vita, che non potevo
continuare cos; ma sapevo anche che pi ci pensavo, pi mi allontanavo da
dove avrei dovuto essere. Era come se stessi combattendo contro la cosa
sbagliata, contro la mia vita con Rose mentre avrei dovuto combattere
contro l'omosessualit. Ma ormai mi era sfuggita di mano. Pi pensavo alla
possibilit di amare un uomo, meno mi era possibile tornare alla mia vita
con Rose, e nemmeno il Bijou riuscivo pi a sopportarlo, non riuscivo
proprio pi a sopportarlo. E poi sei venuto a casa tu, con la tua notizia."
Sorrise. "Ero cos sconvolto" disse.
"Non avrei mai immaginato che tu potessi essere gay, probabilmente
perch ero tanto preso dalla preoccupazione di come avrei fatto a raccontare
al mio figlio regolare la verit sul mio conto. Tutto quello che tu dicesti mi
spavent a morte, ma mi illumin anche, immagino, mi diede un incentivo.
Quella sera, mi resi conto che non avrei pi potuto lasciare le cose
com'erano. Bene o male, mi ero spinto troppo in l. Dopo d'allora - be, era
solo una questione di tempo perch Rose lo capisse. Abbassai la guardia.
Immagino che inconsciamente devo aver desiderato che lei lo scoprisse,
perch smisi di prendere precauzioni. Era cos facile, non dover prendere
delle precauzioni. Cos beatamente facile."
Tacque per un attimo. "Mi spiace di parlar tanto" disse. "So che molto
tardi. Probabilmente tu devi andare a letto. Non parler pi."
"Non essere sciocco, pap" disse Philip. Guard la sveglia e vide che
erano quasi le tre. Ormai di dormire non se ne parlava pi comunque.
Cautamente si gir a guardare suo padre. "C' qualcosa che posso fare per
te?" chiese. "Posso aiutarti in qualche modo?"
Owen si strinse nelle spalle.
"L'altra sera ho conosciuto un uomo" disse, "e penso che probabilmente lo
rivedr. Anche lui sposato. Pi giovane di me, ma non molto. Mi piace
tantissimo."
"Questo bello" disse Philip. E di nuovo, enfatizz: "Questo bello. Ma
la mamma?"
Owen sospir. "Non lo so" disse.
"Non lo so proprio."
"Sono sicuro che tutto andr bene" disse Philip. Si allontan dalla finestra
e si diresse verso l'armadio, sapendo che suo padre stava guardandolo con la
coda dell'occhio, senza per azzardare uno sguardo diretto. Prese coperte e
lenzuola e incominci a preparare il letto di Owen sul pavimento. "Temo
che non sar troppo comodo per te" disse. "Sei sicuro che non vuoi il mio
letto?
Posso dormire io sul pavimento."
"Non ha molta importanza" disse Owen. Si alz e cammin verso la
finestra. "Ges" disse. "Non riesco a credere che stia succedendo proprio a
me."
"Pap" disse Philip, "stai facendo la cosa giusta parlandone. Di questo
non devi mai dubitare."
"Lo so" disse Owen. " strano, tremo tutto, come nel giorno del mio
matrimonio. Mi sento cos strano, cos solo e tagliato fuori, come se avessi
fatto qualcosa di irreversibile, e le cose non potessero pi essere le stesse, e
niente potesse pi essere normale, e non potesse esserci pi niente di bello."
E di nuovo fu sull'orlo delle lacrime.
"Sembra cos stanotte" disse Philip.
"Ma domani sar diverso." Desider con tutte le sue forze di poter
raccogliere il coraggio necessario ad abbracciare suo padre e cap che non
ce l'avrebbe fatta. "Ti sentirai di nuovo bene. Te lo assicuro. Dai tempo al
tempo." E Owen annu.
Aveva appoggiato le lenzuola e le coperte sul pavimento. "Sei pronto a
dormire?" chiese, e Owen si gir, asciugandosi gli occhi. "Grazie" disse,
guardando il letto improvvisato che aveva allestito Philip. "Ha un'aria molto
comoda." Distrattamente incominci a sbottonarsi la camicia, e Philip si
allontan, spense la luce.
Ma l'appartamento era illuminato dalla luna, e nell'ombra riusciva ancora
a vedere il petto di suo padre, i suoi piccoli capezzoli marrone, col loro
anello di peli grigi. Guard per qualche secondo, poi distolse gli occhi.
Owen si slacci la cintura, abbass la cerniera dei pantaloni che, con un
tonfo di chiavi, caddero a terra e Owen ne usc fuori. Aveva un'aria sperduta
nei suoi boxer shorts bianchi. Cautamente, si spost sul pavimento, si sdrai
sul nido di coperte, si raggomitol in una palla.
Il lenzuolo non era abbastanza lungo per coprirgli i piedi. Tremava
visibilmente, roteando gli occhi mentre cercava di costringersi a quel po di
sonno che una notte gli poteva offrire.
Philip gli pass accanto per andare in cucina. Si lav i denti, guardando lo
spazzolino andare su e gi nello specchio. Per un momento pens di
chiamare Brad, poi cambi idea. Si sciacqu la bocca e rimase sulla soglia
della cucina davanti al corpo prono di suo padre. Sarebbe rimasto sveglio a
lungo, lo sapeva, a guardare le bianche caviglie di Owen al chiaro di luna.