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posto ai tavoli del locale, una vineria ristorante e gli edifici del governo, che si affacciano sul
fiume, una distesa di neve secca. C molta gente, o almeno c sufficiente gente da riempire
tutti i posti disponibili. C nellaria un clima di aspettativa, infatti presente anche Carlo Petrini,
per i tavoli rimbalza il suo ultimo libro dal titolo Buono pulito giusto. Come questa triade di
aggettivi suoni alle orecchie dei tedeschi del Quadratisch, praktisch, gut, me lo sono chiesto, ma
non ho trovato risposta. Queste persone osservano un rigoroso silenzio, qua e l vengono
recapitati dei piatti, sotto il volto affilato di Petrini atterra un piatto di wrst su un materasso di
cavoli. La vita troppo corta per bere vino cattivo, sta scritto sullarchitrave di una porta,
Petrini ha ordinato una birra. Dopo alcune formalit che riguardano le burocrazie
dellassociazione, come un collaudato rituale, le votazioni etc. che si svolgono sempre in
unatmosfera di religioso silenzio, il traduttore gli fa cenno che arrivato il momento di rivolgere
la parola ai fedeli. A Petrini chiarissima la situazione, lui lofficiante di un rito religioso, il locale
stesso una catacomba da cui bisogna uscire con volont e coscienza di affermare quella
bont pulizia e correttezza di cui qui si parla. Petrini parla, il corpo magro asseconda le fasi del
discorso, la faccia si atteggia a maschera comica e tragica, davanti a peperonate che non sanno di
nulla preparate con peperoni olandesi trasportati nel regno del nostrano peperone in cassette
da 32 peperoni e bada bene, non 31 e non 33, mentre bulbi di tulipano coltivati in Piemonte
prendono per fiorire la via di Amsterdam. Dai piatti fumanti dei presenti salgono dei vapori
soporiferi. I fedeli ascoltano impassibili. Troppo. Viva! arriva una telecamera seguita da una troupe.
Intervista, intervista! Il tentativo di inscenare il Petrini come Ernesto Calindri nella pubblicit del
Cynar fallisce miseramente. Lintervistatrice prova lintervista in italiano e gli piazza di fronte un
bicchiere di vino rosso pieno a met, una bottiglia di vino chiusa e una candela accesa. Intanto
tolga questa candela, dice Petrini mentre il povero cameraman prova a far stare in piedi un
riflettore puntato sulla sua testa, trafelato, si sbraccia talmente che le chiappe gli escono dai
jeans, e ogni volta che si riprende il riflettore si accascia illuminando il cranio di Petrini come
laureola di unicona russa. Perch vuole togliere candela che fa atmosfera? Petrini promette:
Tolga la candela che latmosfera gliela faccio io, e poi via anche la bottiglia che nel frattempo
nessuno si preso cura di aprire.
Ora siamo nella Haus der Kulturen der Welt, dove si svolge il Talent campus, il tema The
case for taste. Un armadio tedesco giornalista modera in inglese, accanto a lui Juan Pittaluga, Il
coproduttore di Mondovino, un simpatico allampanato spagnolo e Michael Ballhaus,
cameraman di Fassbinder, direttore della fotografia di Scorsese: al fianco di Petrini una
traduttrice che cerca di stenografare le circonvoluzioni della vulgata petriniana, lui non esita a
riprenderla: Ma lei proprio non ce la fa a non scrivere?. Sullo schermo passano sequenze dei
film: Ballhaus impassibile davanti alle sue riprese che passano in rassegna fiori e piatti della
tavola imbandita borghese de I giorni dellinnocenza, le mani grasse e pelose del mafioso di
Goodfellas intente ad affettare con precisione chirurgica uno spicchio di aglio con una lametta
da barba. E mentre Petrini spiega che la mafia ossia la Famiglia cucina come una famiglia in un
rito mafioso ma tuttavia conviviale, Michael Ballhaus che lo guarda fisso gi fin dal primo istante,
come se avesse una telecamera invisibile incollata agli occhi, lo applaude con ammirazione. Tutto
attorno un brulichio di ragazzi e ragazze, una puzza di purea di patate e pesce lesso, nelle
lounges i ragazzi dormono su dei sof a questo predisposti o lavorano sui laptop. Questa
immagine giovanile di intellettuale telematico errante cos diffusa a Berlino che lultimo
numero di Zitty, un giornale quindicinale di costume e programmi, ne ha fatto una copertina.
Giovane seduto a scrivania locchio diretto allo schermo del Mac aperto, a fianco al quale una
birra a met; dal soffitto pende una lampadina a risparmio energetico, sullo sfondo un
termosifone (una volta ci sarebbe stata una stufa a carbone). Il titolo: LA MIA POVERT MI FA
VOMITARE -Nessun soldo, ma mille idee: i mendicanti urbani sono la pi sottovalutata, creativa
lite di Berlino-.
Al sedicesimo piano di un caseggiato della Stresemannstrae tre dei quattro criminali del
romanzo suddetto siedono su dei sof attorno ad un tavolo. Le loro espressioni sono pi
stremate di quelle che avevano nel film dopo il sequestro di un barone, qualche strage di bisca,
un paio di regolamenti di conti, e ripetuti anni di galera. Sono il Libanese, il Freddo e il Dandy.
Favino, Rossi Stuard, Santamaria. Belli, bravi, gentili, molto simpatici, molto giovani. Molto pi
eleganti negli abiti anni 70 che indossano nel film. Quello che gli rimasto del ritmo serrato
della prima parte del film la parlata romana, bella anche lei. Intraducibile nel significato e nel
significante. Intorno si aggirano tra i tavoli di arrosti e peperonate attach di ambasciata,
organizzatori, guardiani microfonati, Inge Feltrinelli, il produttore, e altri giovani, tantissimi. Prendo
una limousine navetta con il regista Michele Placido, che perfettamente sveglio dopo che ha
appreso che a Berlino spendere 250.000 euro per una casa di 120 mq in centro cifra
esosissima ed pi che mai intenzionato a comprar casa qui, e lautore del libro, il giudice De
Cataldo, un Perry Mason fumante sigaro e desideroso di non finire la notte senza parlare dei
casi giudiziari pi intriganti oggetto dei suoi libri e della sua vita professionale davanti a quello
che dovrebbe essere lultimo whisky delle 4 del mattino, sprofondati nelle poltrone del Marriot il
16 febbraio 2006 a Berlino.