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da FAZIO DEGLI UBERTI, Dittamondo, a cura di Giuseppe Corsi, Bari, Laterza, 1952

I I 1-6 (Inizio del poema)


Non per trattar gli affanni, chio soffersi
nel mio lungo cammin, n le paure,
3 di rima in rima tesso questi versi;

ma per voler contar le cose oscure
chio vidi e chio udio, che son s nove,
6 cha crederle parranno forti e dure.


I I 19-21 (motivo del viaggio)
quando maccorsi chogni vita cassa
salvo che quella che contempla in Dio
21 o chalcun pregio dopo morte lassa.



III I 16-18; 22-24 (Lazio e Circeo)
Soavi colli e piacevoli piani
noi passammo e trovammo molte selvi
18 di pomi ranci e daltri frutti strani.
[...]
Vidi quel monte, ove stette digiuna
Circes pi volte a far suoi incantamenti
24 al lume de le stelle e de la luna.



III VII 37-39 (Firenze)
Cos parlando tra que bei tragetti,
giungemmo a la citt che porta il fiore,
39 degna di ci per li molti diletti.



III XIV 25-27 (Sicilia ratto di Proserpina)
Nel prato fummo, dove fior da fiore
Proserpina scegliea, quando Pluto
27 subitamente ne la trasse fore.



III XIX 76-78 (Grecia Atteone e Diana)
Pi qua, in quella selva, la fontana
dove Atteon si trasform in cervo,
78 per guardar le bellezze di Diana.



IV IV 79-84 (monte Olimpo)
Ma poi chio fui al sommo del gran monte,
dove posar credea e prender lena,
81 io mi sentio gravar gli occhi e la fronte,

e l sangue spaventar per ogni vena,
tremare il cuore, e venni freddo e smorto
84 come chi giunge a lultima sua pena.
IV XXIII 52-54 (Londra)
Noi fummo a Londres e vidi la torre
dove Genevra il suo onor difese,
54 e l fiume di Tamis, che presso corre.



V I 1 (Africa)
La vela data al vento e volti a lAfrica,

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