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Seneca

Le tragedie (Octavia)
Seneca uno dei pochi autori di cui abbiamo ereditato delle tragedie: ce ne sono pervenute dieci, di cui una la famosa Octavia (detta spuria perch non si attribuisce a Seneca; una praetexta ambientazione latina, deriva dalla toga -, le altre si dicono coturnatae deriva dalla latinizzazione del sandalo greco-). Le Coturnatae sono caratterizzate dalla presenza della figura del tiranno. NellOctavia la figura del tiranno poteva essere sia tradotta come unavversione a Nerone, sia, come propone lo studioso Traina, dubita che si tratti di uninvettiva velata contro Nerone, ma piuttosto che si tratti di una finalit educativa: un tipo di educazione particolare, cio per mezzo di esempi negativi, che devono suscitare lavversione alle forme di malvagit e spronare ad agire nel bene. Ma il vero fine delle opere quello di essere fine a s stesse: essere rappresentate a teatro, o, pi probabilmente, secondo Traina, essere scritte per le recitaziones (opere prive di scenografia, davanti allimperatore, fine unico il diletto del sovrano), infatti se fossero state pubblicate, i detrattori di Nerone e Seneca avrebbero potuto chiaramente vedere nel tiranno la figura dellimperatore, e non era certo questo lintento di Seneca. La persona del tiranno definita come Luomo dominato dal furor ed il vero protagonista/vincitore, ma anche alla fin fine vittima di s stesso; viene sfruttato da Seneca per manifestare gli effetti della crudelt tirannica, descrivendo puntigliosamente le scene di squartamento, che vennero poi riprese dagli scrittori Romantici, e quindi in forma pi descrittiva che dialogica, e quindi Tragedie destinate alla lettura.

Apokolokyntosis
Si tratta di unoperetta satirica, basata quindi sul genere della satira menippea ( famosa per essere mista di prosa e versi con lintento di provocare vivacit nella messa in scena). La traduzione letterale del termine sarebbe zucchificazione e sarebbe una satira contro Claudio imperatore, poich si riferisce alla trasformazione di un Dio in una zucca, argomento per dimostrare labilit nel comporre poesia.

LEpistola Agli Schiavi (n47, p.714)


Affrontiamo solo i primi dieci paragrafi della lettera, analizzando da 1 a 4 e il 10, il resto leggere la traduzione del prof. Si tratta di una lettera che ha fatto nascere una leggenda: che sia esistito un carteggio tra Seneca e S. Paolo. collocata nella seconda parte della raccolta delle Epistole e dichiara lamentevolmente il trattamento che ricevono gli schiavi, e quindi di riflesso tratta il concetto di essere liberi. Viene considerata una lettera cristiana dal momento che prende le difese degli schiavi, condannando il metodo rozzo e incivile con cui vengono trattati, ma parte da un diverso punto, cio quello che gli schiavi potremmo essere anche noi. Si tratta di una visione innovativa, riconosce la dignit degli schiavi; ma non vuole labolizione della schiavit, perch questa faceva parte della moralit romana che egli stesso condivide. Si congratula con Lucilio per la sua umanit nellapproccio con gli schiavi.

La lettera si apre con lavverbio libenter, che introduce il tema della lettera; con gioia, indica un atteggiamento positivo. Familiariter deriva dallantica concezione di famuli, schiavi che erano parte integrane della famiglia, non cerano ribellioni, che iniziarono, infatti, quando Roma si espanse e vennero considerati alla pari di un histrumentum, quindi sfruttati come bestie nei campi etc. Infatti si rallegra con per il suo modo familiare di trattare gli schiavi ritenendo loro una dignit umana: sono amici, conschiavi insieme a noi. La sorte talvolta ha potere egualmente su entrambi: la sorte un domani potrebbe trasformare anche noi in schiavi. Rido di costoro che ritengono vergognoso cenare con i propri servi. Che senso ha che un padrone che cena comodo sia circondato da servi in piedi?, la frase costruita sullantitesi tra seduto ed in piedi. citato anche il paradosso di vomitare per tornare nuovamente a mangiare (pi di quanto capace di contenere, impersonificazione vera e propria di un atto di avidit), davanti agli schiavi afamati. Lo schiavo viene quindi descritto nella sua miseria (nel senso di infelicit). La punizione: ogni mormorio viene punito col bastone e neppure vengono trascurate le situazioni fortuite: tosse, sternuto etc.. Variatio tra virga e verberibus. con una grave punizione viene compensato un atto infimo. per tutta la notte devono rimanere fermi, di giuni, in piedi. Il paragrafo si apre con il verbo mangiare della persona del padrone, e si chiude con lo stare fermi e digiuni degli schiavi. Nela 4 paragrafo Seneca presenta il clima della delazione della corte di Nerone: molti schiavi parlavano male del padrone alle sue spalle. Ma alcuni erano addirittura pronti ad offrire la loro vita per difendere il padrone, lo proteggevano sotto tortura (descrizione sfruttata per esaltare lelevata statura morale dello schiavo e la bassezza del padrone). Tanti nemici, quanti schiavi, attualuizzabile al rapporto con limmigrato; pensiero nato dallespansione di Roma, quindi lo schiavo diventava instrumentum. Descrive poi gli incarichi degli schiavi durante il banchetto. La vendita di Callisto (PARADOSSO), introduce al paragrafo 10, a cui si pu attribuire una lettura cristiana: la fortuna da liberto pu portarti a schiavo. La filosofia stoica gli ha suggerito il punto di vista scientifico: siamo tutti biologicamente uguali, quindi ci che ci diversifica la condizione sociale, che per viene dettata solamente dalla fortuna. Quindi che cos la libert? solo quella interiore. Questo percorso viene seguito attraverso un episodio storico preciso. Ortum eseminibus: Seneca parte dal punto di vista della nascita, che lo stesso per tutti. Nasce, vive e muore, come la bora che nasce, pasce e muore, Tu, uomo libero, puoi vedere quello, libero, quanto quello pu vedere te schiavo, tutto dipende dalla condizione della fortuna o dalla situazione storica. La sconfitta di Varo (lotta contro i Germani), la sorte (protagonista), molti nati da nobili stirpi e aspiravano al senato attraverso la milizia (liberi e anche fortunati perch ricchi) condann luno a far il pastore e laltro il custode. In sostanza: spesso disprezziamo, ma bisogna pensare che potremmo capitare in quella situazione. Noi dipendiamo dalla nostra sorte, ma possiamo essere liberi solo liberando noi stessi.

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