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La Regola del Maestro
Le tre introduzioni
(Prologo, Tema, Capitolo I)
Tra le virtù che si sono appena enumerate, tuttavia, ve ne sono tre che si
distinguono per la loro importanza incomparabile: l'obbedienza, la
taciturnità e l'umiltà. Ciascuna di esse diverrà oggetto di una lunga
esposizione. Il monaco obbedisce per due ragioni principali, tutte e due
inscritte nel Vangelo: obbedendo al rappresentante di Cristo, obbedisce
al Cristo stesso («Chi ascolta voi, ascolta me»), e inoltre imita Cristo che
ha fatto la volontà del Padre fino alla morte. In questo mistero di
obbedienza Gesù appare ad un tempo come il Signore che comanda e il
Figlio che obbedisce. E' insieme colui al quale si obbedisce e il modello
dell'obbedienza.
La taciturnità si impone prima di tutto perché essa soltanto permette di
evitare i peccati della lingua. Inoltre conviene al discepolo che è il
monaco, umilmente attento ad ascoltare piuttosto che a parlare e
religiosamente rispettoso del suo maestro, l'abate. Questo secondo
aspetto del silenzio dà luogo a tutta una casistica: vengono dettate alcune
regole precise a seconda che l'abate sia presente o assente, a seconda che
il monaco sia più o meno avanzato nella perfezione. Del resto, la
distinzione tra «perfetti» e «imperfetti» svolgeva già un ruolo definito in
materia di obbedienza.
Infine l'umiltà appare come la strada sicura che conduce dritta al cielo:
«Chiunque si umilia sarà esaltato». Questa salita paradossale mediante
l'abbassamento è raffigurata dalla scala che Giacobbe vide in sogno. Su
questa scala celeste. il Maestro distingue dodici scalini, descritti in modo
molto ineguale: il primo, che è il timore del Signore, occupa diverse
pagine, mentre i seguenti, che consistono nell'obbedienza e nella
pazienza, nell'abbassamento e nel silenzio, si limitano a volte a poche
righe. Sfociando quaggiù nella carità perfetta che scaccia il timore,
l'ascensione termina nell'aldilà con le gioie del paradiso descritte per una
seconda volta in termini molto immaginifici e seducenti.
Questa scala dell'umiltà che Benedetto riprodurrà quasi
integralmente, il Maestro la prende da Cassiano, che aveva già attribuito
all'abate Pinufio un itinerario dal timore alla carità passando attraverso la
rinuncia ai beni di questo mondo e l'umiltà. Questa era stata evocata, alla
fine del quarto libro delle Institutiones, per mezzo di dieci «indizi»: tre
di obbedienza e due di pazienza, poi tre di abbassamento e due di
silenzio. Per mezzo di alcune aggiunte e spostamenti, il Maestro ha
cambiato questo ritratto del monaco umile in una via di umiltà in cui i
dieci indizi diventano dodici gradi.
Cominciando dai gradi di obbedienza e terminando con i gradi di
silenzio, questa analisi dell'umiltà è la matrice da cui il Maestro ha preso
i due trattati precedenti. Le due estremità della scala con le loro citazioni
caratteristiche della Scrittura, gli hanno fornito la materia dei suoi grandi
trattati «Dell'obbedienza» e «Della taciturnità». Attraverso il capitolo
«Dell'umiltà», tutta questa dottrina deriva dunque da Cassiano e più
precisamente dal discorso dell'abate Pinufio riportato nel quarto libro
delle Istituzioni.
Da parte sua, l'abbiamo detto, l'ultima delle introduzioni del Maestro - il
suo capitolo «Delle quattro specie di monaci» - è modellato sulla
conferenza XVIII di Cassiano, attribuita all'abate Piamun. Poiché questa
presentazione dell'abate sfocia in un programma di insegnamento
spirituale che contiene tra le altre la trilogia delle virtù dell'obbedienza,
della taciturnità e dell'umiltà, si può dire che tutta la parte dottrinale
della Regola del Maestro è compresa tra due «prestiti» di Cassiano, da cui
dipende nel suo insieme. Piamun e Pinufio, l'oratore delle Conferenze e
quello delle Istituzioni, hanno prodotto questi due lunghi brani di
dottrina monastica, la cui fusione operata dal Maestro formerà la
sostanza dei sette primi capitoli di san Benedetto.
Le principali differenze