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Titolo: Le cose, le cose, le cose. Le cose.

Svuotamento e stallo nella poesia recente Autore: Davide Castiglione Edizione a cura di: In realt, la poesia Anno: 2013 Vol.: 15

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Le cose, le cose, le cose


Le cose. Svuotamento e stallo nella poesia recente di Davide Castiglione

In realt, la poesia 2013

Premessa

Si parla spesso di un ritorno alla realt - nel senso comune di concretezza, quotidianit, importanza dellesterno nella giovane poesia, quella scritta dai nati negli anni 70 e 80. Questo , per esempio, uno dei cardini attorno ai quali ruota lintroduzione allantologia La generazione entrante (Ladolfi, 2011), ma la situazione generalizzabile, dato che pochi difendono apertamente un paradigma antagonista (con tensioni orfiche o enfasi su un astrattismo anti-sentimentale). davvero questo il caso? Se per una volta interrogassimo i testi poetici piuttosto che le intenzioni o le razionalizzazioni dei loro autori, ci renderemmo conto che la situazione pi sfaccettata.

Ci renderemmo conto che la realt pi inseguita che raggiunta, e spesso si presenta nella forma debole di un minimalismo senza ambizioni n peso, non a torto avversato da Giorgio Linguaglossa (ma solo da lui, a quanto pare). Un sintomo di questa debolezza generale luso del sostantivo generico cose, assolutizzato dallarticolo determinativo e quasi sempre a fine verso: questo termine esemplare perch da un lato indice di realt, di legame con la cosalit della Linea Lombarda; dallaltro ha ascendenze filosofiche, e sembra riassumere limmateriale. Nella pratica scrittoria, tuttavia, il suo uso insistito e spesso ornamentale lo trasforma in uno stilema estenuato, un indice del poetico che assolve a una funzione contraria, di pigro lirismo; un estetismo spesso gratuito, uno specchietto per le allodole insomma (altre parolechiave che andrebbero studiate sono corpo, parola, respiro e adesso anche casa, anche e forse soprattutto in area sperimentale per via di una perdurante ascendenza heideggeriana?). Senza pretese di esaustivit (molti altri testi potrebbero essere inclusi nellanalisi) ma in un tentativo di sistematicit, il presente saggio si propone di studiare questo fenomeno, nella persuasione che nei testi, in

particolare nelle loro strutture o minuzie pi inavvertite agli autori stessi, stia il sintomo di uninerzia compositiva che a volte non risparmia nemmeno i migliori. Mi propongo cio di identificare ed analizzare un problema, non di dare o togliere una patente di qualit agli autori che analizzo - alcuni dei quali, anzi, stimo molto. Proceder nel seguente modo: 1) costruir e contraster alcuni concetti di realt, mutuandoli dal modello dei mondi di Karl Popper; 2) inquadrer il sostantivo cose allinterno di questi concetti; 3) analizzer alcune ricorrenze in cinque maestri pi o meno in ombra del Novecento di diverse tendenze (Calogero, Sereni, Cattafi, Spatola, Balestrini); 4) analizzer le ricorrenze in una dozzina di autori successivi, soprattutto delle ultime generazioni; 5) valuter il cambiamento in atto, articolando i nodi gi presentati in questa sinossi.

0. Quale realt per la poesia?

Il recente e pervasivo dibattito sulla realt in letteratura soffre di un limite intrinseco: un malcelato culto dellirrazionale. Poco di cui meravigliarsi, se teniamo conto del debito contratto dalla critica italiana pi in vista dallanti-positivismo crociano prima e dai vari poststrutturalismi poi; e, per converso, la sua indifferenza se non ostilit verso le tradizioni analitiche: fino a che punto lallarme lanciato da Cesare Segre in Notizie dalla crisi gi nel 1993 stato accolto? E i dovuti omaggi a Contini sono pi formali che sostanziati in una pratica critica che osi ripartire da l?. Tradizioni, queste, che fondano alcune delle punte deccellenza dellaccademia italiana, tra filologia, stilistica, storia della lingua e semiotica strutturale (Pavia, Padova, Siena, Pisa).

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Il problema tutto nella fallacia ontologica in cui cade, prima di cominciare, qualsiasi dibattito critico proprio in quanto dibattito divenuto indipendente dalle analisi e dai risultati delle analisi: sembra anzi che lidea stessa di dibattito fatichi a sussistere senza tale fallacia. Per fallacia ontologica intendo la tendenza a trattare i concetti come fossero delle essenze, degli assoluti. Il paradosso questo: nella teoria della letteratura si ha acuta coscienza del fatto che i concetti (come quello di realt, ma anche le definizioni estetiche di realismo, influenza, poetica, ecc.) sono delle variabili, storicamente e socialmente costruite; eppure vengono gettate nellagone del dibattito facendole passare per immanenti, per reali; per costitutive, anzich per derivate. C una scollatura astuta tra premesse tacite e pratiche scritte. Lirrazionale segue con la certezza di un corollario: se i concetti di cui dibattere in letteratura sono delle essenze precostituite, allora sono inconoscibili, o conoscibili parzialmente e forse solo per deduzione o sensibilit personale! Avranno quindi sempre un residuo dirrisolto, di mistero - un residuo teologico anche quando si traveste laicamente, mi verrebbe da dire. Questo consente di accapigliarsi senza fine, con acribia argomentativa ma spesso senza esplicitare limiti e premesse.

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Con inappuntabilit tautologica, vince lidea vincente e retoricamente pi persuasiva, non quella di maggiore coerenza interna e potere esplicativo. Tanto la datit del materialismo quanto lastrattezza della formalizzazione sono accantonati in unabile mossa. Non era cos in Fortini, e in molta della pratica critica tra anni 60 e 70, alla quale mi richiamo. In questo saggio, e nella mia pratica in generale, propongo un correttivo di cui si parla poco: il senso del limite, del rinunciare tatticamente allontologia (senza per questo negarne lesistenza) come punto di partenza di ogni indagine. Pi a mio agio nelle premesse della filosofia analitica che di quella continentale, mi propongo cio di concentrarmi su quanto possibile conoscere in maniera soddisfacente. Il punto allora non pi affermare che la realt inconoscibile e complessa (cosa scontatamente condivisibile, ma inutile in vista di una qualsiasi prassi); il punto diventa proporre uno o pi modelli di realt che resistano schematizzazioni troppo estreme e che per siano al tempo stesso abbastanza intuitivi da essere accolti senza troppi problemi dalla maggior parte dei lettori, preferibilmente non specialistici.

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Penso a una rivalutazione del senso comune, del dato di fatto sensoriale, e anche a una rivalutazione della facolt di pensare a un livello pi astratto. Bench fondato sullepistemologia, il modello pluralista e interattivista dei tre mondi di Karl Popper in Objective Knowledge (1994 [1979]) mi offre la piattaforma teorica di cui ho bisogno. Cerco di delinearlo qui sotto in breve, adattandolo al concetto (costruzione) di realt a cui cercher di restare fedele, nella pratica analitica, qui cos come nei saggi futuri. Popper postula tre mondi che interagiscono tra loro e che sono gerarchicamente organizzati: 1) il primo mondo, conoscibile con i nostri sensi, ovvero la datit, gli oggetti (il buon senso dellempirismo); 2) il secondo mondo, quello della mente soggettiva (consciousness) fino ad allora a fondamento di ogni epistemologia e del dualismo corpomente; 3) il terzo mondo, quello oggettivo (nel senso di pubblicamente discusso dato a questa parola da Popper), ovvero linsieme delle teorie, opere darte e prodotti del genere umano a fondamento della nostra conoscenza, al di l del sapere limitato del singolo. Le biblioteche, ma anche internet, sono incarnazioni di questo terzo mondo. La gerarchia dei tre livelli biunivoca: da un lato, il primo mondo interagisce col secondo e il secondo col terzo;

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dallaltro, il terzo interagisce col secondo e ha impatti sul primo (come una scoperta scientifica ha un impatto sulla tecnologia che viene prodotta, e questa sugli effetti psicologici e fisici che pu causare).

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Realt come immanenza dei realia

Semplificando, non difficile rileggere il concetto di realt seguendo queste coordinate. Il primo livello corrisponde, sul piano letterario, alla mimesi dei referenti esterni (per es. il fatto che in una poesia riconosciamo degli ambienti, un senso di concretezza dato dalluso di realia come rubinetti o monete). In questo quadro, chi prende parola sono personaggi riconoscibili (come in Pagliarani) o un alterego del poeta (si pensi a Raboni o Giudici), oppure lio empirico che coincide con lio biografico (per esempio Sereni). Comune a questi maestri - tutti non a caso riconducibili alla Linea Lombarda - limmanenza del soggetto, il suo essere in situazione, quasi scolpito in tre

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dimensioni: di comune vi un resistere alla trascendenza, che per viene comunque, e per fortuna, raggiunta in qualche forma1 - altrimenti anche i maestri scadrebbero in un diarismo fine a s stesso, che non potrebbe pretendere lo status di grande poesia, di poesia che rimane e viene tramandata. Solo un tale intendimento riduttivo del concetto di realt farebbe coincidere questultima, tout-court, con il mondo sensibile esperito dal soggetto; e tanto pi limitante sarebbe farlo per la poesia, che naturalmente aspira, nei suoi momenti maggiori, a uno stato di permanenza, di universalit (anche gli effimeri palloncini delio di Pietro Manzoni sono ricordati dalla storia dellarte, e vedo difficile che un artista si auguri di essere dimenticato). I poeti autentici condividono questa insoddisfazione, questa tendenza verso una qualche forma delloltre: cos Montale scrive, negli Xenia n pi mi occorrono / le coincidenze, le prenotazioni, / le trappole, gli scorni di chi crede / che la realt sia quella che si vede. Una negazione netta, questultima, del paradigma naturalistico e mimetico cui ho accennato sopra. Pi radicale, e - se posso permettermi - pi potente laccusa amara allo stesso
Per esempio, semplificando al massimo: il coincidere di soggetto empirico e soggetto storico, nonch il senso del tragico, in Sereni; lironia di Giudici, che recita consapevolmente; laffresco psicologico e sociale di Pagliarani; i conti con lirrazionale (i morti, il desiderio) nellurbanissimo Raboni.
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paradigma, affermato con rabbia trattenuta da questi versi di Fortini, tratti appunto dalla poesia La realt, ne Lospite ingrato (1966): Le dattilografe mettono la copertina sulla contabile. / I gatti si occupano dei fatti loro. / Nel garage puliscono carburatori. Questa / la realt. Se lasci cadere un giornale / esso volteggia e raggiunge le ortensie. Se la realt come datit che deve passare per un soggetto sensibile fosse accettata come lunica via possibile, allora per paradosso - ci di cui non abbiamo diretta esperienza risulterebbe irreale: e quindi, per propriet transitiva e radicalizzando, non esisterebbe. Sarebbe come dire che le guerre mondiali sono esistite solo per i milioni di persone che le hanno subite, e non per noi (qui c una tangenza con il concetto di simulacro come realt mediatizzata in Baudrillard, in riferimento alla guerra del Golfo). Una poesia che cercasse di ridurre la realt che rappresenta alla sola datit esperita da un unico soggetto o uno sparuto gruppo di soggetti sarebbe debole e non potrebbe parlare al di l di se stessa e del suo autore. Sarebbe, insomma, una poesia realista o verista nel senso riduttivo del termine, ma non una poesia adeguata a porsi in modo maturo di fronte alla realt - agli altri due livelli della realt (vd. 1.2 e 1.3). E per unillusione che

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funziona perch inseparabile dai nostri meccanismi percettivi: ci che abbiamo esperito ci sembra, di regola, pi reale di quanto abbiamo sentito in differita; e ci di cui non abbiamo mai avuto notizia ci sembra irreale. In questo senso dovremmo far nostra la massima fortiniana del mutare in coscienza la maggior quota possibile di esperienza. E con laccenno alla coscienza, il momento di passare al secondo livello: quello della realt come esperienza soggettivamente attraversata.

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1.2 Realt come coscienza del soggetto

La realt non dunque solo quella che si vede: c un passo ulteriore che allontana dal fenomenologico. Questo passo fu programmaticamente compiuto dai maggiori modernisti (Eliot, Joyce, Woolf, Faulkner) che propugnarono questa scelta come loro vessillo, nel deciso distacco rispetto ai modi naturalistici ottocenteschi. La realt diventa questione di percezione individuale, mescolata a impulsi, al non detto, a desideri in conflitto (linfluenza consciousness, di Freud fu per inestimabile il ritratto in questo mutamento). Ecco allora il monologo interiore, lo stream of linteresse psicologico, lincarnarsi del narratore in voci dagli stili molto diversi.

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In questa estensione delle possibilit autoriali c una forte tensione alla totalit, c il ragionamento che la realt complessa e irriducibile a un'unica versione onnisciente. Di qui la polifonia bakhtiniana delle voci spesso in conflitto, le possibilit offerte dagli accostamenti analogici e ai meccanismi di incompatibilit semantica esplorati dal surrealismo. La lezione modernista stata assorbita molto tardi in Italia, probabilmente per via del tappo dellermetismo prima e del neorealismo (pi incline alla prima mimesi che alla seconda) poi. Perfino in Montale, ammiratore e traduttore di Eliot, non troviamo nulla di simile alla complessit e alle rifrazioni, al gioco dei personaggi, che costituiscono il tessuto lacerato di The Waste Land: gli Ossi sono poco complessi al confronto, e Le occasioni tornano a un monolinguismo petrarchesco che non fu certo del primo Eliot. Bisogner, a mio parere, aspettare gli anni 60 con i poemetti purgatoriali di Sereni e Luzi (da Gli strumenti umani e Nel magma) per ritrovare una simile variet tonale e una simile drammatizzazione della scena, che Eliot a sua volta mutu probabilmente da Browning. Il dialogismo in Sereni - spesso un monologo interiore drammatizzato - e la variet ritmica e tonale, mimetica dei moti psicologici (il ghigno, il risentimento, la

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tenerezza), lasciano intendere che egli non , non pu essere, semplicemente il poeta attento alle cose, il poeta della domesticit, come vuole la vulgata addomesticante e vincente, gi presagita da Fortini quando afferm che la poesia di Sereni doveva essere difesa dai suoi stessi ammiratori. Che cos, ad esempio, il capolavoro Un posto di vacanza (1971) se non anche la mimesi della mente e del processo creativo? E cosa dire dei risvolti gnomici, a un passo dal religioso, della poesia La spiaggia a sigillo de Gli strumenti? A volte ho il sospetto che molti giovani, quando si richiamano a Sereni, si arrendano a quella vulgata riduttiva di cui sopra, al dogma delle famigerate cose. Da qui a un minimalismo che rinuncia a interrogare e interrogarsi, il passo breve, ed Sereni stesso a sentirsi soffocato dalletichetta di poeta delle cose:
Non mi garbava per niente, eppure ho finito col tirarmi dietro quelletichetta quasi fossi stato io a premere per averla addosso. Proprio il mio dissenso ha parecchio raffreddato allora i miei rapporti con Anceschi; eppure per molti io sono ancora quello della linea lombarda 2.

Sereni a Bertolucci, lettera del 22 aprile 1965, Una lunga amicizia, Garzanti 1994, p. 222.
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1.3 Realt come stato oggettivo

Il terzo livello quello pi complesso da catturare e pi vicino, anche, alla concezione corrente e indipendente dalle ridefinizioni teoriche: realt come oggettivo stato di cose, come entit complessa in cui siamo immersi e agiamo (e da cui siamo agiti). In Popper il mondo oggettivo, la somma dei prodotti della mente umana che hanno rilevanza collettiva (teorie scientifiche, opere darte). Siccome per Popper si occupa di epistemologia, occorre forse allargare il concetto fino a coprire, virtualmente, tutto ci che fino ad ora stato esperito, intuito o creato da qualcuno e i cui effetti sono percepiti (per es. internet) e anche tutti i processi e state of affairs non prodotti, neanche indirettamente, dalluomo.

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Mi ha colpito molto, leggendo Popper, la nozione che il terzo mondo autonomo, che va oltre il controllo del suo stesso creatore (sia egli scienziato o poeta); possibile che i meccanismi finanziari del tardo capitalismo si siano resi autonomi allo stesso modo, siccome verosimile che chi li cavalca ne sia anche cavalcato, non ne abbia pieno controllo. Un po come un incendio che necessita di una dose iniziale di agenza umana (la classica sigaretta gettata ancora accesa) per poi svilupparsi indipendentemente. La realt cos concepita inconoscibile non perch abbia una misteriosa essenza (culto dellirrazionale) ma semplicemente perch troppo per le nostre facolt cognitive, non solo individuali. Non si oppone, strettamente parlando, alla finzione (lo farebbe la realt del primo livello): opposizione che ci ha dato un capolavoro amarissimo e divertente come il Don Quijote. L la creazione letteraria era smentita dalla pi bieca realt fenomenica; ma al terzo livello la creazione (letteraria e non) a plasmare la realt fenomenica, come il marxismo una dottrina, quindi una creazione concettuale - ha reso possibile lesistenza di un modello alternativo, per quanto misinterpretato e a volte brutalmente imposto sulla societ.

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Il terzo mondo popperiano, intermediato dal secondo, ha effetti sul primo: con una mossa che si libera dal meccanicismo materialista a senso unico (le idee nascono da uno stato di contingenza, che le plasma ma dalle quali non viene plasmato) e si ripristinano nientemeno che alcuni aspetti dellidealismo platonico: il fatto che il mondo fenomenologico controllato dal mondo delle idee, come il disegno architettonico di un edificio dirige la costruzione materiale delledificio stesso. Questo terzo livello di realt costituito dalle strutture soggiacenti alla societ, alleconomia, alla conoscenza stessa. Forse da questa maggiore complessit che deriva il maggior grado di scientificit delle discipline applicate al primo e meno complesso livello di realt (per es. fisica, biologia, geologia, zoologia) rispetto a quelle applicate al secondo livello (per es. psicologia, linguistica) e al terzo (storia, antropologia, economia, filosofia). La poesia, ovviamente, non una disciplina, ma in quanto prodotto cosciente eppure non utilitaristico delluomo pu svelare qualcosa di ogni livello: le poesie che incorporano e problematizzano il processo creativo e percettivo (per es. Un posto di vacanza o lintera opera di Wallace Stevens) oscillano tra il secondo e il terzo livello, essendo creazione individuale ma capace di interrogarsi

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sullintorno che ha permesso al soggetto di esprimersi, fino a sostituire lo stimolo iniziale (fenomenico) con la realt costruita dallopera stessa, che in Stevens (ma al contrario in Sereni) si vuole indipendente e assoluta. Col terzo livello si sono confrontate le opere pi apertamente ambiziose, dai Cantos di Pound alla Belt di Zanzotto: centrale in queste opere la riflessivit sulla forma stessa dellespressione, che non dunque necessariamente un vezzo, un estetismo. Si capisce allora limportanza data da Fortini al metro e alle forme chiuse, come convenzioni che per, proprio in quanto tali, regolano la tradizione e salvano dallo psicologismo (che non mancava di rimproverare a Sereni) e quindi da una epistemologia fondata sullespressivit individuale. Lordine prefigurato dal sistema del testo, in Fortini, un modello che anticipa lordine nuovo da fondare (il comunismo), come argomenta Balicco (2011). Quindi c una convergenza tra il profetico (lavvento del nuovo) e lo scientifico (la messa a punto di modelli scientifici passibili di applicazioni future, non prevedibili con gli strumenti oggi a disposizione). Sembrerebbe dunque che la formalizzazione abbia una fortissima potenzialit conoscitiva: questa a rendere, ad esempio, alcune delle

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poesie di Giovenale (quelle in cui il radicalismo sintattico non copre il fondo tragico e non diventa da questo indipendente) tra le pi promettenti (e rischiose) di questi tempi, almeno in Italia e secondo il mio gusto personale. Questo livello solo abbozzato, ovviamente; e non mi sento allaltezza, al momento, di capire e mostrare in che modo la poesia lo possa affrontare nel corpo del proprio testo (per usare una parola oggi di moda - corpo, non testo, ovviamente). Pertanto, dopo questa piattaforma teorica, nel resto del saggio mi dedicher a indagare in che modo il primo livello (i realia) sia gestito dalle nuove generazioni, per vedere se limmanenza viene evocata come fine a s stante oppure nellesplicito tentativo di trascenderla.

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2. Le cose

Rassicuro potenziali detrattori e apostoli della fallacia ontologica sul fatto che quello sopra delineato un modello euristico per la realt; come qualsiasi modello, una finzione utile e non la definizione di unessenza. Come accennato nella premessa, analizzer varie ricorrenze del sostantivo cose in poesia. Avrei potuto scegliere altre parole, ma cose effettivamente sta diventando ( gi) un problema espressivo (uno stilema fine a se stesso) nonch una parola bifronte, indice di referenzialit nel linguaggio corrente ma con profonde implicazioni in quello filosofico.

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A proposito, recensendo il libro di Remo Boidei La vita delle cose (Laterza 2009: ecco loccorrenza gi nel titolo!), Stefania Pietroforte esplicita la distinzione netta tra oggetti e cosa:
Litaliano cosa (e i suoi correlati nelle lingue romanze) la contrazione del latino causa, ossia di ci che riteniamo talmente importante e coinvolgente da mobilitarci in sua difesa (come mostra lespressione combattere per la causa) Cosa , per certi versi, lequivalente concettuale del greco pragma, della latina res o del tedesco Sache (dal verbo suchen, cercare), parole che non hanno niente a che vedere con loggetto fisico in quanto tale 3

Senza addentrarmi in un discorso filosofico che non mi compete, comunque evidente che dietro alla parola cose c molto di pi che un indice di referenzialit: c tutta una tradizione filosofica, e verrebbe da chiedersi quanto la poesia sia influenzata da questa matrice. Il titolo del libro di Bodei finisce con cose come il celebre libro di Foucault Le parole e le cose e come molti versi dei poeti (e titoli di libri di poesia: Il mondo delle cose di Nadia Agustoni, Umane cose di Veronica Fallini, Le cose senza storia di Pusterla).

Stefania Pietroforte, recensione a La vita delle cose

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Il punto che mi interessa vedere che significato contestuale e che implicazioni di poetica assume questa parola nei passaggi poetici che analizzer presto. En passant, pu non essere un caso che lultimo libro di Giovenale si intitoli proprio In rebus (nelle cose, nelle cause, con anche il significato di enigma che rebus comporta: polivalenza tipica della tradizione poetica, quindi al di qua, nellelemento ordinatore del titolo, di un nuovo paradigma ancora tutto da verificare); e, per restare al latino, In re ipsa di Giulio Marzaioli e, prima nel tempo, Res amissa di Giorgio Caproni. Su tuttaltro versante, le cose unespressione ricorrente nel linguaggio parlato: bisogna cambiare le cose, le cose non mi stanno andando granch bene, e cos via. In questo caso, per, luso di cose convenzionale, fossilizzato, un escamotage del discorso che fa della vaghezza la sua stessa bandiera: faccio cose, vedo gente, come recita la celebre battuta di Ecce Bombo. Potremmo dunque a ragione aspettarci che nella poesia pi fenomenologica, pi mimetica, il termine venga usato in questa accezione. Le cose, comunque le si intenda, sembrano dettare una forte direttiva alla poesia odierna. Prima di iniziare lanalisi dei casi singoli, una premessa: gli esempi sono tratti quasi

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a caso dalle letture che ho fatto di recente, e sono - per cos dire - venuti a me senza che io mi impegnassi particolarmente a cercarli; questo indicativo dellepidemia stilistica in corso (parecchie occorrenze le ho trovate anche in Gabriel Del Sarto e in chiss quanti altri autori se ne potrebbero trovare!) Per chiarezza espositiva, il sintagma nominale le cose (o i corrispettivi preposizionali nelle cose o delle cose) evidenziato con sottolineatura. In verit, per una discussione veramente esaustiva occorrerebbe utilizzare un software per lanalisi testuale (come Wordsmith Tools), caricare i testi di tutte le raccolte ritenute significative di questi ultimi anni, e analizzare ogni occorrenza automaticamente trovata della parola cercata. Non escludo che si possa farlo in futuro; tuttavia, decidere quali sono i libri pi rappresentativi dovrebbe essere un compito di squadra, dovrebbe derivare da un comitato di specialisti della letteratura italiana dellultimo decennio (fatto su cui sono poco fiducioso a giudicare dallattitudine di specialisti di generazioni precedenti la mia: vedi questa discussione sulle aspirazioni scientifiche della filologia dautore, su Le parole e le cose).

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2.1 Le cose in Calogero, Sereni, Cattafi, Spatola e Balestrini

La mia attenzione per questi poeti duplice: oltre al fatto di essere relativamente trascurati dallattenzione critica (soprattutto Calogero, Cattafi, Balestrini e Spatola), costituiscono un continuum di allontanamento dalla linea lombarda: da uno dei capostipiti pi illustri (Sereni, malgrado il suo fastidio per letichetta) a un poeta assai pi metaforico e per legato dallamicizia per i maestri lombardi (Cattafi), a un poeta pi marcatamente filosofico (Calogero) fino due avanguardisti del Gruppo 63, successivi di due generazioni rispetto a Sereni. Ben quattro dei sei stralci tratti dai cinque poeti vengono da raccolte coeve: Gli strumenti umani, di Sereni, del 1965;

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Losso, lanima di Cattafi del 1964; Lebreo negro di Spatola del 1966; Come si agisce, di Balestrini, copre gli anni 19611963: un confronto dovrebbe dunque essere altamente significativo delle diverse tendenze di unepoca, anche ricordando la freddezza o distanza di Sereni rispetto al Gruppo 63 (tra parentesi, ironico che questanno ricorra sia il cinquantennale del gruppo sia il centenario della nascita di Sereni). In ordine cronologico, per, la prima occorrenza che ho trovato in Calogero, dalla raccolta del 1956 In dittico:
[1] La lievit commosse le cose. Nell'infingardo spazio l'acredine scorre, fitto nudo nodo di gioia, e appena mosse le vene e le onde. (Lorenzo Calogero, 1956)

Riconosciamo in [1] i referenti astratti in funzione di soggetto, quelli di circostanza decontestualizzati (quale infingardo spazio? Di chi le vene, dove le onde?). Le cose qui paziente semantico di un nome astratto (lievit) e come tale non interpretabile nel senso realista di una poesia degli oggetti. Qui interpreterei le cose come uno sfocato insieme di elementi sensoriali e visivi, preferibilmente non fisici, e

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insomma possibile antecedente di tutto ci che viene dopo (lo spazio, lacredine, il nodo di gioia, le vene, le onde). Le marche stilistiche di [1] sono di matrice smaccatamente ermetica, anche se meridionale la sensorialit che invece mancherebbe in un Luzi (scorre, nudo, mosse). La datazione di [1] ne fa un (attardato) esempio di lirismo, quando il neorealismo era ormai in ascesa (accuse di tradizionalismo furono perfino rivolte al coevo La bufera e altro di Montale!). Nellarco per di pochi anni, Sereni restringe il campo semantico di cose a una referenzialit fisica e concreta, come in questo passaggio tratto dalla poesia Il muro, ne Gli strumenti umani (1965):
[2] Scagliano polvere e fronde scagliano ira quelli di l dal muro e tra essi il pi caro. Pap - faccio per difendermi puerilmente - pap. Non c molto da opporgli, il tuffo di carit il soprassalto in me quando leggo di fioriture in pieno inverno sulle alture che lo cerchiano l nel suo gelo al fondo, se gli porto notizia delle sue cose se le sento tarlarsi (la duplice la subdola fedelt delle cose:

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capaci di resistere oltre una vita duomo e poi si sfaldano trasognandoci anni o momenti dopo) su qualche mensola in Via Scarlatti 27 a Milano. (Vittorio Sereni, 1965)

Come in altri luoghi del libro, lincontro con i morti in stato di dormiveglia o sogno si trasforma in accusa richiamo alla responsabilit, senso di colpa storico ed esistenziale - nei confronti del vivo. La prima occorrenza di cose appartiene a quelluso della lingua corrente a cui ho accennato nella sezione precedente: non infrequente dire frasi del tipo puoi dare unocchiata alle mie cose, di tanto in tanto?. Questo perch cose specificato dallaggettivo possessivo sue, e pertanto il possibile spettro di referenti di cose in [2] assai pi ristretto che in [1]. Questo esempio dunque una spia della mimesi del parlato che costituisce il pi deciso rinnovamento formale della maggiore poesia del secondo novecento. Qualcosa per gi cambia nella seconda occorrenza di [2]: le cose sono generalizzate, di primo acchito allontanate dallimmanenza, appartenenti non pi soltanto al padre. Eppure, con una mossa che le riavvicina a chi le possiede, acquisiscono qualit umane: fedelt, capacit di resistere.

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Attributi, per inciso, che bene si adatterebbero al Sereni uomo e poeta, tanto da poterle leggere come un correlativo oggettivo di unideale perseguito dal poeta stesso. Inoltre, bene sottolinearlo, queste cose sono cose fenomeniche: sono oggetti tridimensionali, non res. Vero, mancano referenti precisi: e per la menzione della mensola e dellindirizzo dove abitava il poeta (Via Scarlatti anche il titolo della poesia che apre Gli Strumenti umani), fanno intendere che le cose hanno funzione di antecedente di oggetti materici, tanto pi che possibile sentirli tarlarsi (verbo usato in genere per il legno del mobilio, infatti menzionato mediante iponimo: mensola). Questa analisi ha rivelato come in Sereni ci sia effettiva immanenza e individuabilit dei referenti: una vicinanza che permane anche nei momenti pi gnomici, come in In una casa vuota, dove il nostro sostantivo nel verso che spero io pi smarrito tra le cose si riferisce testualmente alla scena di inerzia tratteggiata nei versi precedenti. E passiamo ora a due estratti da Cattafi - il primo da Come vanno le cose (in Losso, lanima, 1964), il secondo lintera Nebbia a Cimbro (in Chiromanzia dinverno, 1983, postumo):

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[3] Ti spiattello in faccia come vanno le cose: vanno male. Bench abbia perso lo spirito e la lettera della fede in quella sfera che tu conosci, sono ancora inquieto. (Cattafi, 1964)

[4] Scende densa la nebbia su cimbro frazione di vergiate provincia ai varese via aprile venticinque al numero diciotto la nebbia nidifica in lunghezza profondit larghezza VARESE CIMBRO VERGIATE assieme assegna APRILE coi numeri DICIOTTO VENTICINQUE sono per cos disincarnato da svincolarmi pago dun paio di cose confuse larvali innominate. (Cattafi, 1983)

In [3] - un testo coevo al precedente analizzato di Sereni le cose viene usato nel senso pi comune, di linguaggio corrente: la mimesi del parlato ancora pi esibita che in Sereni.

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Il soggetto poetico sceglie una dizione rasoterra, e svuota cose del residuo psicologico che ancora resiste in Sereni: le cose sono solo un vizio del discorso comune, una scorciatoia di comodo richiesta dalleconomia della lingua. Nel senso che ha in [3] alla luce di quanto scritto dopo, cose corrisponde alla totalit del conoscibile, allo stato delle cose: al terzo livello di realt (bench svuotata dalla convenzionalit bruta dellespressione), mentre le due ricorrenze di Sereni si attestano, rispettivamente, al primo livello (fenomenico) e al secondo (personale, psicologico). In Calogero lindeterminazione tanta che cose pu qui corrispondere sia al primo che al secondo mondo (fenomenico e psicologico), donde il suo sentore filosofico. In [3] le cose sono elusive, privatissime, e addirittura decostruiscono il fenomenologico: lespediente la nebbia che annulla i contorni e rende anche il personaggio poetico disincarnato. Da qui luso iconico dellassenza di interpunzione e la rinuncia alle maiuscole in varese, cimbro e vergate. Tra parentesi, utile ricordare che anche Sereni, in una poesia dove protagonista la nebbia (qui una mia lettura testuale) rinuncia allinterpunzione, bench i confini della

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citt in Sereni rimangano comunque pi netti, meno concettuali, di questi in Cattafi. A differenza delluso per me un po ornamentale in Calogero [1], la vaghezza di cose in [3] felicemente funzionale al testo, una precisa scelta rinforzata dalla triade aggettivale con climax ascendente confuse larvali innominate. Cattafi rovescia un luogo comune della poesia, qui: quello per cui le cose (ma quali cose?), per essere, hanno bisogno di essere nominate. Solo il non nominarle, limpossibilit di conoscerle per intero, le preserva. C un senso del limite, del rispetto quasi religioso per linconoscibile, che d conto dellultima fase della poesia di Cattafi, pi apertamente spirituale. Siamo ben lontani da un estetico culto dellirrazionale: non c esaltazione, c invece una calma accettazione, c un arrendersi consapevole parole. Il rammarico di Sereni (freddati nel nome che non / la cosa ma la imita soltanto, in Un posto di vacanza, 1971) diventa dunque possibilit per Cattafi: sono le cose, adesso, che si affannano per imitare le parole e i concetti che le sottendono. e finemente giocoso allirrelatezza riconquistata dai referenti, che approssimano ora le

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Non , ripeto, apoteosi della sparizione del reale come nel paradigma decostruzionista: nel Cattafi di Nebbia a Cimbro levento che rende possibile questa libert epifanico come la nebbia, non costitutivo del nostro modo di vivere e di conoscere. C unetica modernista che lo rende compatibile al se stesso di [3], dove il contrasto apparente con [4] non potrebbe essere maggiore: dopo aver spiattellato in faccia le cose, ora il poeta le preserva inconoscibili con la complicit della nebbia, cio di una situazione presentata come irreale ed eccezionale, quasi salvifica (di nuovo, c un che di religioso, eppure non teleologico). Le cose in [4] potrebbero appartenere, simultaneamente, a tutti i livelli di realt: potrebbero essere oggetti concreti, referenti intravisti o immaginati dietro la nebbia a Cimbro (un gatto, una rosa, una finestra); sono senzaltro interiorizzati dal poeta, che se ne dice pago - e quindi appartengono al secondo livello; infine, potrebbero riferirsi allepifania stessa in atto nella poesia, ovvero nella trasformazione delle cose in concetti, del minuscolo in maiuscolo, quasi verso lidea platonica: un processo fondante del reale (la nostra capacit di astrarre e di immaginare, che ci ha portato, volenti o meno, al

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progresso scientifico) pienamente compatibile col terzo livello, o mondo, popperiano. Passiamo ora in area avanguardistica, con Balestrini e Spatola, per vedere come cose viene trattato da loro. Comincio da questo estratto da Sterilit e metamorfosi di Spatola (in Lebreo negro, 1966), gi discusso da Guido Guglielmi qui:
[5] riga che cresce e che sale sul foglio fuoco che danza nel volto contro se stesso mentre distesa sul fianco la citt saddormenta e semino capelli e dita nel ventre che arai e il ventre questa parete che scivola sopra di me e come sappiamo da sempre da tempo bambini gridano in piazza luce che si consuma nel pesce che ruota dentro la testa tela bianca che strappo con lunghia affilata unghie spezzate contro la tenera carne la tua colpa colomba rossa che sale dallintestino la mia colpa dispersa nel ventre di alcune madri e nel tuo ventre il nodo che lega alle cose pesce che salza nellaria e che laria consuma (Spatola, 1966)

Linfluenza del surrealismo di [5] nella sequenza di immagini irrelate, alcune violentemente anti-referenziali (pesce che ruota dentro la testa che rimanda al De Angelis di il grembiule rinchiuso nella testa, in Distante un padre, 1989), ciascuna delle quali occupa un verso che

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anche unit tonale in s compiuta: le immagini sono assolutizzate e quindi svincolate dalla referenzialit: riga, foglio, fuoco, volto, citt e cos via sono solo parole, resistono lintegrazione nel discorso. Ogni verso inaugura un nuovo soggetto che subito lascia il posto ad altri soggetti, cos che lio poetico non ha statuto di controllo, a differenza che in Sereni [2] e Cattafi [3] e [4], e si ricollega invece pi alla presa esterna di Calogero [1]. Forse prematuro per dirlo, ma alla luce di ci (paradossalmente) possibile che certi tratti della neoavanguardia si richiamino allontologia ermetica: se l la visione era, per cos dire, trascendente al poeta, qui interiorizzata in un demiurgismo ncciano; o la si affidi a un tutto pi grande di cui essere parte come in [1], o alle proprie pulsioni psichiche come in [5], in ambo i casi sempre di visione svincolata dalla coscienza individuale e dalla situazione. Nel contesto di [5], le cose rimangono non-specificate, svincolate da tutto, forse vittime di una lettura ideologica della famigerata autonomia del significante di Saussuriana memoria e nella pratica superato da decenni nella linguistica teoretica che i nostri critici non si premurano nemmeno per sbaglio di leggere.

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Le cose in Spatola non hanno possibilit generica di incarnazione come in Calogero [1], non sono affatto oggetti specifici come in Sereni [2], n il loro occorrere qui regolato da un modo di dire corrente, come in Cattafi [3], n preparata dallatmosfera di quanto detto prima, come Cattafi [4]. Al pi, qui cose pu riferirsi al gioco interno al testo (i referenti elencati alla rinfusa nellimpeto creativo) oppure restare totalmente indeterminato. Le cose sfugge a tutti e tre i livelli, semplicemente perch non un sintomo di realt, sia essa fisica, mentale o collettiva. Sotto appunto linfluenza possibile di Saussure e poi di Wittgenstein (meaning is use, il significato uso, massima spesso travisata), le cose sono un segno linguistico svuotato, senza giustificazione estrinseca n funzionalit apparente. A rischio (militante) di sembrare impopolare o ingiusto, direi che da questa matrice avanguardistica e da tutta la filosofia della liberazione dalle cose a cui essa fa capo (Derrida, la metafisica della presenza e le sue semplificazioni) che le cose diventano pura parola, orfismo sotto mentite spoglie e, per estensione, ornamento estetico (gi Fortini ammoniva

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sullestetizzazione precoce e quasi costitutiva delle avanguardie). Mi pare che sia da questa matrice che si origina una buona parte del tipo di ricorrenza di tale parola a fine verso nella giovane poesia, che analizzo nella sezione seguente. Ed risolutamente contro questo tipo di ricorrenze - che emergeranno dalla mia lettura - che il presente saggio intende porsi. A riprova di quanto detto, questo uso meno giustificato, direi estetizzato, lo ritroviamo in due occorrenze di Balestrini, la prima del 1963 e la seconda del recentissimo 2010:
[6] la didattica formica dialettalmente la mosca insieme per caso nella nebbia delle cose con compassione spietata riconoscenza ricatta come 120.000 pecore automatiche (Balestrini, 1963)

[7] luguaglianza del comportamento nei confronti di tutte le cose costruire cio riunire ci che esiste allo stato disperso immaginiamo una strada con molta gente (Balestrini, 2010)

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In [6] lespressione - ormai divenuta grammaticalizzata - la nebbia delle cose pu essere intesa come un prelievo dal linguaggio prefabbricato che ha caratterizzato in parte la neoavanguardia, e che da questo punto di vista non superficialmente lontano dal Cattafi di [3]. La differenza profonda negli intenti: mimetico in Cattafi e di riciclo indifferente in Balestrini. Si noti anche, per inciso, come proprio lespressione la nebbia delle cose sia una possibile matrice (una frase ipotizzata dalla quale lintera poesia sarebbe generata: vd. Riffaterre 1978) della poesia di Cattafi Nebbia a Cimbro prima analizzata. Le cose [6] ha anche un sapore (parodicamente) filosofico, in quanto i soggetti animali (mosca, pecore, senza contare la conversione funzionale di formica usato come verbo) sono tipici della favola didattica da Esiodo in poi. La riprova nelluso didattico o illustrativo del linguaggio, uso da questo punto di vista assai diverso da quello matericovisionario in Spatola. La liberazione del significante in entrambi gli autori sottost a regole diverse: in Spatola esplosione del rimosso, in Balestrini discorso meccanizzato e parodia dello stile giornalistico; allattitudine neoromantica e affermativa del primo si oppone quella corrosiva e critica (Scuola di Francoforte?) del secondo.

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Mezzo secolo pi tardi, Balestrini riutilizza le cose in fine verso [7]. incredibile come le due occorrenze abbiano tratti comuni: in entrambi sono immerse in un discorso didattico, velatamente edificante (una volta tolta la patina della parodia) e stanno a indicare la totalit delle cose, lo stato delle cose, ricollegandosi cos al terzo mondo, come in Cattafi [3]. La differenza che in Cattafi la prospettiva interna al soggetto enunciante, in Balestrini il soggetto enunciante pantomima daltro: di conseguenza, le cose sono investite da un tono filosofeggiante, non lontanissimo dal Calogero di [1] e dal Sereni di [2]; la differenza che nel primo le cose sono paziente semantico, nel secondo agente semantico, e in Balestrini semplice dato circostanziale: vale a dire che in questultimo il soggetto enunciante le relega sullo sfondo, come (in modo per diverso) avviene in Spatola. Ecco perch nei due avanguardisti le cose sono effettivamente ornamento: la loro importanza o nella possibile denotazione (Balestrini) o nel fatto di essere un mero elemento testuale (Spatola), ma mai nellessere investito dal soggetto poetico. Ecco perch ho la sgradevole impressione, leggendo la neoavanguardia, di un divorzio irrimediabile tra parole e cose, di una de-

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automatizzazione del soggetto che per purtroppo diventa (fuorviante) automatizzazione del sistema linguistico.

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2.2 Le cose nella poesia recente

Con Balestrini siamo arrivati ad anni a noi recenti, e abbiamo esplorato uno spettro possibile di significati (contestuali) di cose come indice ora di mimesi dei referenti, ora del parlato, ora del discorso filosofico, ora come semplice elemento testuale. In questa sezione mi propongo di analizzare la poesia recente, sia di poeti affermati (Cepollaro e Dal Bianco) ma soprattutto di giovani, nati dal 70 in poi: lordine cronologico, in base alla data di nascita degli autori piuttosto che alla data di pubblicazione dellestratto analizzato. Infatti, se le cose un indice non solo di poetica ma anche, per cos dire, socio-linguistico, un termometro dei

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tempi, pi verosimile che le continuit e i cambiamenti siano pi apprezzabili se si prende in considerazione la data di nascita dei poeti (e quindi, indirettamente, la temperie culturale nella quale si sono formati). Lo scopo di vedere se possibile iniziare una qualche genealogia stilistica e di poetica; genealogia che altri dovranno continuare e affinare, o anche confutare ma (e questo ma importante) sempre appoggiandosi ai testi, come ho continuamente fatto e come far.
[8] questione di proporzione ed meglio abituare lo sguardo al grande per non credere che il piccolo basti e che sia tutto: la forza del fragile stare dentro una certa verit delle cose (Cepollaro, 2011)

[9] Quando vedo linfame paffuto fidarsi Del senso delle cose, essere tutto nello sguardo a cercare la stessa fiducia nel nostro, nel mio, (Dal Bianco, 2013)

[8] tratto da uninedito di Cepollaro, in continuit stilistica con la raccolta Le qualit (2008) gi analizzata in questo sito da Luigi Bosco (qui).

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Il tono di [8] filosofico-didattico, assertivo, e la presa esterna al soggetto enunciante (manca la persona poetica): tutti tratti che apparentano [8] a [6] e ancor pi a [7] (che cronologicamente segue di due anni); o detto altrimenti, tratti che apparentano Balestrini e Cepollaro, come a marcare un passaggio di testimone dal Gruppo 63 al Gruppo 93 - con lovvia importante differenza del venir meno della parodia nellultimo Cepollaro come nellultimo Balestrini. In entrambi gli estratti, cose al massimo grado di generalizzazione: tutte le cose, e verit delle cose. In entrambi i casi, quindi, le cose sono assolutizzate (= indifferenziate) nello spettro dei referenti, ma nella frase hanno comunque valore circostanziale. Una occorrenza simile in [9], un estratto non particolarmente felice dallultimo libro di Dal Bianco (qui una mia nota). Lovvia differenza che in Dal Bianco, memore della lezione sereniana, ci sono persone poetiche nel testo (vedo, nostro, mio); e per le cose, contenute nel sintagma trito senso delle cose (senso, di nuovo una parola carica, comera verit in Cepollaro). Mi sembra significativo che in questi ultimi estratti (da [5] a [9]) le cose siano sempre divorziate sia dai referenti sia dallinvestimento del soggetto poetico.

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Per rovesciare questa situazione (= per dare peso, funzionalit alla scelta) bisogner aspettare uno dei poeti pi rigorosi della generazione successiva, Giovenale. [10] viene dalla raccolta Shelter del 2010; eppure, sembra assai distante da suoi amici e maestri riconosciuti come Balestrini e Cepollaro:
[10] Fuori intanto bello: le cose si spargono e si deformano, per il nastro che le trascina. Locchio non segue quanto vietato. Se legato giusto. (Giovenale, 2010)

Anzitutto, la presa interna: non c una persona poetica (un io grammaticale), ma c un discorso diretto a cui sono state tolte le virgolette. Losservazione del tempo che fa fuori appartiene verosimilmente a un soggetto umile (un recluso, uno sconfitto, giusta lorganizzazione macro-tematica della raccolta), non a una voce, per cos dire, superiore e ordinante. In [10] le cose sono prive di referente esplicito, ma solo perch non ci dato di vederle: esse infatti si spargono e si deformano, e quindi sarebbe sbagliato definirle con antecedenti testuali. Quasi a ribadire il concetto, locchio 50

non segue quanto vietato: le cose non si possono nominare con precisione, ma questo sembra il desiderio taciuto, la spinta. La mano di chi scrive qui pietosa, perch queste cose diventano soggetto (si spargono e si deformano) poi oggetto (le trascina) e sono implicitamente presenti nellaffermazione seguente, segnalate da quanto. Per questo, forse con scorno del Giovenale teorico - che spesso non condivido nel cosa e nel come - il Giovenale poeta mi sembra qui pi ricollegarsi alla lezione di Sereni e Cattafi, dove le cose sono investite da un soggetto e sono, per cos dire, portate avanti nel discorso, quasi accompagnate. Non la neoavanguardia, non il postmodernismo: ma un modernismo umanista, quello che affiora negli autori che ritengo migliori. Non si pu proprio dire lo stesso del seguente estratto [11] della quasi coetanea Lella De Marchi:
[11] Cos la sostanza delle cose? la forza della gravit, il peso che quella forza imprime su tutte le cose per spingerle a terra, il peso che le cose stesse espandono ai lati per stringersi al peso di tutte le cose (De Marchi, 2010)

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Qui i sintagmi le cose e delle cose riprendono il generico uso filosofico degli estratti dal [6] al [9]. C di pi: le cose ricorrono ben altre due volte (quattro in totale), diventano cio una ossessione verbale per cos dire tematizzata. C uno sforzo quasi barocco nel nominarle e definirle, come per un horror vacui: tanto che nessuna scena referenziale costruita e il desiderio di cosalit (parlo di desiderio perch questa insistenza e la domanda iniziale sembrano segnalarlo), di ricerca di una sostanza rimane insoddisfatto. Il tono filosofico dato da le cose con referente generico, continua in due autori quasi coetanei di Giovenale e De Marchi, ovvero Federici e Benigni. I loro estratti si prestano per a considerazioni un po diverse:

[12] lascia che a dire siano le cose gli abitatori del mondo addossati alla cruna dellago, le lingue impresse a memoria lelencazione dei nomi dei morti toglie il respiro tempo di dare le mani nellandirivieni dei vivi fermare gli occhi, lo sguardo a chi trema (Federici, 2009)

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[13] Ognuno custodisce un male sceglie un nome alle cose e patteggia inconsapevole la sua pena, perch perch come una voce inquirente la memoria ci insegue. (Benigni, 2012)

I due brani (il primo soprattutto) hanno unimpronta pi decisamente lirica, e tematizzano il rapporto tra cosa e nominazione che avevamo visto esplicito solo in Cattafi [4]. Il tono lirico di [12] si deve anche al tu autoriflesso (comune in Montale e Sereni, tra gli altri: Montale stesso vi ha beffardamente dedicato la poesia che apre Satura, Il tu). Le cose dunque, bench non determinate (non c nessun referente esplicito), diventano soggetto logico e sono investite dal soggetto poetico, tanto che sembrano prendere corpo per via dei referenti successivi accostati per apposizione (gli abitatori, le lingue) e richiamanti una realt archetipica, non certo mimetica dellesistente come lo conosciamo oggi. Stessa tematizzazione in Benigni: [13] pi deangelisiano nellassolutezza della dizione (ognuno, che in De Angelis ricorre spesso, parola carica come mai, sempre, nessuno, tutto una marca del tragico 53

insomma), ma cose solo paziente (riceve lazione senza a sua volta iniziarne una) e ugualmente, se non pi, indeterminato, senza referenti a cui appigliarsi. Una referenzialit tenue, a met tra Giovenale e Federici, in questo estratto di Erika Crosara:
[14] le lodi rimbalzano fra cannule e strisce ventose, netto e mondato cammina. c fresco sotto le instabili mura, muore ogni discorso davanti al serraglio. oggi che il campo nudo e un falco si annuncia nelle cose minori, nei laghetti, per strada (Crosara, 2010)

Altrove ho analizzato per intero la splendida poesia da cui [14] tratta. Di simile al Giovenale di [10] c il fatto che un personaggio sconfitto, uno altri che il poeta, prende parola; di simile al Federici di [12] c luso dellapposizione dopo cose, a dare un indizio di referenzialit. In [14] questo pi evidente che in [12], dato che qui i referenti sono concreti e in minore (laghetti, per strada). proprio questa aggiunta, questa nominazione di referenti concreti, a dare allo sguardo di chi scrive una pietas: come di chi segga paziente a osservare ed elencare ci che vede, piuttosto che menzionare di fretta e passare ad altro.

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Unaltra ottima poetessa e coetanea di Crosara, Veronica Fallini (qui una mia recensione al libro da cui sono tratti i versi:), in [15] usa le cose in un modo che ricorda da vicino il Sereni di [2]: le cose sono legate a manufatti umani (subito dopo si menzionano pagine di libri) e di questi si predica la durevolezza che ricorda al soggetto poetico la propria finitezza, la propria morte:
[15] uno scompenso la durevolezza delle cose imprendibili pagine mi fermo a sfogliare di libri e oltre al dovuto, oltre linaudito si produce loffesa pi stupefacente. (Fallini, 2011)

Nuovamente in bilico tra generalizzazione filosofica e potenziale richiamo a referenti concreti il nostro prossimo estratto [16] da Piero Simon Ostan:
[16] ma pi che altro la stessa la mandibola che balla quando la cena sa di poco e la camicia non stirata lapprensione dei giorni che fa lo stomaco compresso con la tensione continua dei nervi raccolta nelle giunture la sua sintassi quando dico le frasi che non vengono preciso il lampo nello sguardo che ricuce le cose rif buono il tempo. (Ostan)

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[16] una sorta di monologo interiore, dove si susseguono iponimi del corpo e accenni a interni (mandibola, cena, camicia, stomaco, nervi, sguardo): topoi oggi in voga come quelli del corpo, della casa e del dire (a ben vedere, tutti heideggeriani, votati al lirismo) sono ben filtrati e agiscono da sfondo, senza tematizzazioni sfacciate: cos le cose sono nuovamente in bilico tra tensione assolutizzante e i referenti concreti che precedono e a cui grammaticalmente le cose possono essere legate (ma un queste cose sarebbe stato pi esplicito in questo senso). In Tommaso Di Dio [17] torna il nesso (tematizzato) tra cose e nominazione (di nuovo, heideggeriano) visto in Federici [13]; c per una concretezza leggermente maggiore (cortili, vette degli alberi), che avvicina [17] a Crosara [14]:
[17] E questa lingua falsa sembra tenerci, trattenerci sul piano sicuro delle cose; dare fiato aria sopra i cortili, nelle vette gli alberi la luce che l s'incurva e piega secondo la mano che prende, la mano che lascia. (Di Dio, )

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Inoltre, per la prima volta in questa rassegna, [17] ci presenta un noi collettivo che finora non era stato tentato: presto per dire se il noi di matrice deangelisiana (come in Benigni ognuno), ma certo il noi di Di Dio e lognuno di Benigni stanno in una relazione complementare: somma di solitudini in Benigni [13] e unit o solitudine collettiva in Di Dio. Nel primo caso, la solitudine civile (si ricordi la tematizzazione del tribunale); nel secondo esistenziale, quasi antropologica. Antonio Bux invece riprende il nesso cose-vista che finora abbiamo incontrato in Giovenale [10] e Ostan [16]:
[18] Come curare langelo allinterno: separare la crescita delle cose guardarle con occhio di vetro e immaginarsi rotti, a dilatare specchi da infrangere guardando della vista lintermittenza futura

(Bux) A differenza di entrambi, tuttavia, non c una persona poetica (esplicita in Ostan, mediata in Giovenale), perch il tono - assertivo ma allinfinito - pi vicino allimpersonalit di un Cepollaro [8] mentre una spiccata sensibilit barocca (il doppio, gli specchi) avvicinano Bux [18] a De Marchi [11].

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Il manierismo (togliendo laccezione negativa del termine) di [18] nel gioco del linguaggio che si auto-genera, con isotopie che si sviluppano per metonimia dal nesso vistavetro-dispersione (occhio di vetro, specchi; guardando, vista; separare, rotti, infrangere, intermittenza). Le cose rimane filosofico, non determinato: il divorzio dal referente un portato naturale di una sensibilit barocca, dove i vuoti contano pi dei pieni, come avevamo anche notato a proposito di De Marchi [11]. Personalmente, penso che questa sensibilit pi di altre sia a rischio di disimpegno, vista la spinta giocosa e interna al linguaggio: forse una poesia pi dialetticamente sporcata dai referenti (penso a Giovenale, Crosara, Ostan, Fallini, tra gli altri) pi adatta alla transizione dal postmoderno a un nuovo modernismo critico che sembra mancare in De Marchi e nel Bux di [18] (la raccolta inedita The Nothing Family prende una direzione radicalmente diversa). I prossimi tre esempi li discuto insieme, perch mi sembrano pi di altri il sintomo di una crisi da interinfluenza (fenomeno quasi sociologico, come sono le spinte epigoniche discusse da Willie van Peer in un articolo del 2002 su stilistica e evoluzionismo): tutti gli autori (Bini, Corsi, Frison) sono miei coetanei (classe 85)

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e tutti usano lo stesso sintagma delle cose in modo pericolosamente simile:


[19] Ti chiedo questa cosa: riuscirai a non farti prendere dal panico, intendo alla prospettiva delle cose che domani tiene in serbo per noi? (Bini)

[20] guardiamo dal vano che si attarda la linea di apertura delle cose scegliendo da un angolo di strada le rose lasciate in via rossini: (Corsi)

[21] Ci lasciavano raccogliere camelie sulla strada del Sempione cos rosse che potevano dividere lerba o ancora di pi, nel fondo, nella radice nella delusione delle cose nella costernazione. (Frison)

Prospettiva delle cose, apertura delle cose, delusione delle cose: in questi tre esempi le cose dato circostanziale

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generico, e forse segno di una stanchezza stilistica che sembra infittirsi a partire dagli autori nati negli anni 80 ma con prodromi nella generazione precedente. In tutti e tre gli estratti c infatti una genuina volont di aderenza al fenomenico, segnalata dalla presenza di un interlocutore (in [19]) o da un noi pi paucale che in Di Dio [17], e da riferimenti topografici, da via rossini al Sempione. Unascendenza da Linea Lombarda (ricordiamo il Via Scarlatti di Sereni!) ma forse esautorata, incerta se cedere al filosofico e allindeterminatezza dominanti in altri autori: come se il fenomenico stia lasciando il passo al generico, allineffabile, al rigurgito lirico. In [19], [20] e [21] si aggrava una tendenza gi presente in Ostan [16] e Di Dio [17]: il motivo - di sociologia della letteratura, diciamo cos - pu essere dovuto alla conoscenza reciproca di questi autori, al loro coinvolgimento in festival e iniziative culturali - non mi sorprenderebbe allora se il maggiore isolamento di autrici quali Fallini e Crosara, e un maggiore grado di resistenza di Giovenale al suo stesso (diverso) fare gruppo, possano portare a una (mia) percezione di maggiore autenticit nella loro pratica scrittoria.

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Si sbaglierebbe a pensare che lepidemia di le cose a fine verso sia limitata a un verseggiare dopotutto tradizionale: non solo perch la rassegna si soffermata anche su autori che fanno parte della, o proseguono la, neoavanguardia (Spatola, Balestrini, Cepollaro) ma anche di coloro che forse la proseguono anche se se ne professano distanti (Giovenale). Con laccenno a Giovenale veniamo dunque ad alcune delle scritture di ricerca di giovani che sembrano seguire - se non addirittura intensificare - il suo operato: Fabio Teti e Daniele Bellomi, coi quali questa rassegna si chiude. Ecco qui sotto i loro estratti:
[22] se hai scritto necessario sparire per questo, risponde laltro, che non sta impresso sulle cose e freon del frigo altre lancette. torto; buio visto; e quando detto ipotenusa (Teti)

[23] se stiamo parlando puoi vedere come tutto gira, se gira ancora, e gira, ci costringe ad indossare occhiali, a lasciarli fluttuare su sfondi pi chiari, se la vista gira e vuole convergenza, se dicendo piano la riga o il verso appena ricomposto, con la vista che rigira le cose, (Bellomi, 2013)

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Anzitutto, possibile notare che i due estratti sono stilisticamente molto diversi: dallestremo balbettio di [22] alla fluidit copiosa di [23]. Sono in effetti gli estremi di due possibilit aperte alla scrittura di ricerca: da un lato, linterruzione quasi analitica, millimetrica, del discorso, come in Teti [22], spessissimo nel Giovenale di Shelter e Criterio dei vetri; dallaltra lindifferenziazione - il continuum dove tutto sullo stesso piano - di certo Balestrini, o - per uscire dallItalia - di certe sequenze di Jeremy Prynne (qui una mia lettura) in Inghilterra o di Susan Howe negli Stati Uniti. A dire il vero, [23] non nemmeno estremo (come invece in altri luoghi sa essere Bellomi): la sintassi rispettata, addirittura c una persona poetica collettiva e un interlocutore (stiamo parlando, puoi vedere). Il tema inizialmente quello dello scambio comunicativo in situazione (se stiamo parlando) ma subito dopo si sposta a quello a met tra vista (vedere, occhiali, vista) e metapoesia (dicendo, riga, verso) che si riallacciano probabilmente al Magrelli di Ora serrata retinae, e agli sviluppi in Giovenale; tema anche molto frequente in Bux come visto in [18]. Pi incentrato invece sul dialogo, sul dire (altro cardine della poesia contemporanea: da un lato locchio, dallaltro la lingua) [22]. C un brandello di dialogo (risponde

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laltro) dove la locuzione (il verbiage, usando la precisissima nomenclatura tecnica della linguistica funzionale di Halliday) contiene la quotazione di uno scritto, marcata dal corsivo, e che come tema ha la necessit della sparizione (cf. Giovenale: chi manca pi limpido, / si prende la ragione) forse di marca derridiana e poststrutturalista, nel paradosso di scrittura e presenza/assenza (buio visto poco dopo sviluppa il paradosso riallacciandosi alla vista e allassenza). Dunque, convergenze tematiche ma differenze stilistiche sostanziali in [22] e [23]. Ma come viene trattato le cose? In [22], sotto sotto, c la stessa tensione per il concreto, i dettagli di interni (frigo, lancette) che abbiamo trovato nel pure diversissimo Ostan [16]: in [22] sulle cose resta a met tra referente e marca filosofica, in poesia sempre astratta perch tolta dal contesto delle opere filosofiche di riferimento o dal bacino pi generico di un insieme di opere o correnti di pensiero (per es. le cose per come tratteggiate da Foucault in Le parole e le cose). Certamente, lintenso lavorio versale e sintattico di Teti che ricorda quello di Giovenale per il rifiuto di moduli estenuati, nei quali invece sembrano ancora adagiarsi molti altri autori - gli permette di evitare le cose a fine verso, con laggiunta di congiunzione e subito dopo, in

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funzione

di

spezzatura

(gli

enjambement

estremi,

grammaticali, tipici ad esempio di Williams e del tardo Sereni, usati tantissimo da Cristina Annino, sono generalmente evitati dal mainstream poetico, tutto preso da una rassicurante e consolatoria comunicativit diretta). In [23] le cose sono (stranamente, dato che di vista si parla) divorziate dai loro referenti, in maniera simile che in Bux [18] e forse sulla scia comune di Spatola [5]. Insomma, difficile trovare chi si salva, dallinconscio collettivo messo a nudo dal proliferare delle cose (che credo - mai fu utilizzato da Montale, per dire; ma sono nel tardo Fortini, nella poesia Molto chiare si vedono le cose in Paesaggio con serpente). Come una marca di unestenuazione, un divorzio prossimo dal mondo, le cose a fine verso naviga di testo in testo indifferente alle correnti, e - al di l delle premure degli autori per differenziarsi in tutto e per tutto dai predecessori o da altri contemporanei - sta l a ricordare il bacino comune, la (non) eredit culturale comune da cui veniamo, la difficolt o lincapacit di proporre una poesia dialettica, che leghi materialismo (referenti, processi) e pensiero astrattizzante basato su quelli: una poesia che ricorra allallegoria, anzich attestarsi a una mimesi estenuata e neppure pi mimetica, o a una sfrenata deriva dellastratto.

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3. Conclusione

tempo di sintesi, di bilanci, di riannodare i fili molteplici del discorso. Avevo promesso, nella prima sezione, di collegare le cose ai livelli di realt popperiani. La tabella qui sotto e il mio commento a seguire cerca di mantenere quella promessa iniziale.
Tav. 1. Le cose: livello di realt nel contesto di ogni estratto

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Come tutte le categorizzazioni di fenomeni complessi, anche questa mia pu ovviamente essere messa in discussione: le categorie sono - per statuto intrinseco riduttive, ma utili, poich permettono unidea quantitativa dopo la mia discussione qualitativa. Daltronde, spesso un fenomeno pu appartenere - a seconda di come lo si analizzi - a vari livelli, e in effetti alcuni poeti ricorrono contemporaneamente in pi categorie (e spesso sono i testi pi ricchi, pi pensati). Credo che le categorie rendano sufficientemente conto delle macro-differenze riscontrate: oltre ai tre livelli popperiani, stato necessario aumentare il grado di precisione del livello tre, in effetti il pi complesso da gestire. Una premessa necessaria, a questo punto, per capire in che modo vanno lette (contestualizzate) le categorie: il livello 1 (prima colonna a sinistra) raggruppa esempi che usano cose come semplice pronome riassuntivo di oggetti concreti gi citati o citati subito dopo. Attuano cio una generalizzazione a partire dai dati testuali gi presenti, e interpretano cose come oggetti: la poesia di questi estratti cio una vera e propria poesia in re, referenziale.

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Il livello 2 raggruppa gli estratti che investono le cose di una importanza per il soggetto poetico e/o la voce enunciante: anche se spesso non ci dato conoscere con esattezza i referenti di cose, evidente che qui le cose si riferiscono potenzialmente a oggetti (o entit, idee ipoteticamente non generiche) con cui chi parla si pone in relazione dialettica, o almeno ne avverte intimamente limpatto linguistico). Il livello 3 attiene a tutte le occorrenze in cui cose fa parte del discorso: dunque riciclato dalla lingua corrente ma pu avere, nei testi, funzioni assai diverse. Queste funzioni sono essenzialmente quattro: funzionale nel testo (quando lastrattezza, genericit di cose, si lega anche ad altri livelli ed giustificabile in base al contesto della poesia); marca colloquiale (mimesi del parlato, come quando diciamo vorrei che le cose cambiassero); generico filosofico (quando le cose si possono parafrasare come res e causa, e indicano la totalit di quanto esiste); generico accessorio (quando le cose sembrano usate per pigrizia, stanchezza stilistica, e sarebbero con pi profitto sostituibili con altre parole: come si fa nella didattica, dove un amico insegnamente mi ha detto che un esercizio utile quello di farcire un testo (questo anche dimostrabile a livello

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di cose e chiedere poi agli studenti di trovare dei sinonimi pi adeguati). Chiaramente, c una certa comunicazione tra i sottolivelli della colonna di destra: vuoi perch non sempre facile stabilire fino a che punto un uso giustificato dal contesto linguistico della poesia in questione, vuoi perch spesso e volentieri il generico filosofico una specie di maschera che fatica a nascondere un uso ornamentale come quello della sotto-colonna pi a destra. Occorre ribadire che tutto quanto ho scritto e scriver in questa sede unicamente basato sugli estratti analizzati: condizione necessaria ma non sufficiente per capire un poeta, ma forse sufficiente per capire una certa tendenza. Bisogna evitare lerrore di ricondurre il giudizio su un brano testuale allintera opera dellautore, dato che un simile salto induttivo richiederebbe un focus ben pi cospicuo sul singolo autore: tuttavia, in questa sede, a me interessa la poesia come discorso, ovvero nella sua realizzazione inter-autoriale. Guardando la tabella dallalto, la cosa che impressiona di pi la scarsit di esempi del livello 1 e del sotto-livello marca colloquiale: entrambe le colonne indicano un nesso diretto e robusto tra parola e cosa, una capacit di concretezza visiva e di messa in situazione. Pochi poeti

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sembrano in grado di soddisfare questo requisito: dopo Sereni, il pi esplicito, solo Crosara, Fallini e Teti - sia pure tutti in maniera morbida o ellittica, sembrano creare un nesso tra nome e cosa, per quanto problematico. Sono, queste, poesie che pi di altre - allaccorrere della magica parolina cose - mettono in situazione, permettono in qualche modo a chi legge di entrare nella scena. Il sotto-livello marca colloquiale occupato solo da Cattafi [3] (a dire il vero, un estratto qui non analizzato di Matteo Fantuzzi andrebbe a occupare la stessa casella). La diagnosi simile a quella fatta per la colonna 1: la maggior parte dei poeti non insegue con convinzione un ancoraggio (per quanto precario e problematizzato, vd. Teti) con il mondo contingente, sensoriale. Il livello 2 - quello che permette di spiare nello stato danimo e nella mente della persona poetica o di un suo intermediario - quasi parimenti spoglio: dopo il naturalismo della prima colonna, e il modernismo di questa seconda, sembra che i poeti cerchino altre soluzioni. Ma sar vero? A volte ho pi limpressione che la scelta verso una certa inconsistenza (sia essa mascherata o no da tono filosofeggiante) sia dovuto a una poesia parassitaria verso

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forme esterne di filosofia, forse un facile lirismo ereditato da una vulgata heideggeriana. La stessa pigrizia, passando al livello 3, evidente nella poca voglia o dimestichezza nel rendere un termine carico come cose veramente funzionale al suo contesto: non molti sono i poeti che, facendo propria la lezione modernista, intrecciano organicamente forma e contenuto. Sereni, Cattafi, Giovenale e Teti (linclusione di Ostan pi problematica, dato che cose solo flebilmente giustificato dai riferimenti concreti dei versi precedenti, e si legherebbe comunque al solo primo livello) sono gli unici che ri-semantizzano cose in maniera sostanziale, costruendo il giusto contesto per esse. Non sorprendentemente, i due sotto-livelli pi a destra (generico filosofico e generico svuotato, che poi sono pericolosamente intercambiabili a volte) sono anche i pi affollati e recenti, e riguardano soprattutto autori giovani. Si badi bene, non condanno a priori le scelte di chi usa cose in modo filosofico: c una certa differenza tra luso pi appropriato che ne fanno Federici, Di Dio e Teti, e quello pi ornamentale di Dal Bianco, Bux e De Marchi. Gli altri autori stanno un po in mezzo tra questi due poli.

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Lultima sotto-colonna mostra usi non giustificati, in cui davvero cose appare perch probabilmente una parola che piace, una sorta di vademecum poetico, come poteva essere notte in epoca romantica: forse in questi casi la patina di cosalit e modernit (e la risonanza facile) di questa parola, usata in luogo di perifrasi e costrutti pi rischiosi e faticosi, che invece proprio in una maggiore precisione, in un veto al laissez-faire, troverebbe una via duscita alla situazione ad alto gradiente epigonico di (almeno) un aspetto della poesia italiana contemporanea.

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