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A VOLER CITARE KUNDERA

di Fabrizio Gabrielli

C!è chi ha scritto che un avvenimento è tanto più significativo e privilegiato quanti più casi
fortuiti intervengono a determinarlo.
Perciò non vi stupirete quando vi racconterò come, per una meravigliosa serie di
congiunture astrali, mi trovai a vivermelo tutto, il giorno dello show - uno show che andavo
a vedere volentieri ma a tratti anche no -, dall!arrivo dell!autobus - rigorosamente ad
impatto ambientale zero - al montaggio del palco - anch!esso eco-friendly.
E poi ero là quando si cominciò a vociferare che Lui era arrivato, anche se noi l!avevamo
visto mica, ed ancora là quando le prime note suonarono rotonde.
Poi fu lo show vero e proprio, ed infine accendini ed abbracci mentre nell!aere si spargeva
quella hit che fa “la vertigine non è, paura di cadere, ma voglia di volare... mi fido di te”.
E come si fidavano, di Lui, che con la faccia simpatica provava ad intessere futuri diversi...

Che poi ci ritrovammo a riflettere, io -che a quello show non che ci volessi poi andare a
tutti i costi- e lei con gl!occhi da mantide che mi ci aveva trascinato, che se proprio
l!avesse voluta far bene, Jovanotti, la paruccata kundérica, avrebbe dovuto cantare "La
vertigine non è paura di cadere, ma DESIDERIO DI CADERE", solo che sulla sdrucciola
“de-si-de-rio” avrebbe avuto problemi metrici, si sa come son 'sti cantanti. E allora
"desiderio" s!era fatto "voglia", e vabbè, poi "cadere" era diventato "volare" che non è
proprio la medesima cosa, ma insomma, a Jovanotti noi gli vogliamo bene e lo
perdoniamo, e perdoniamo pure chi - per convincerci, per convincerli, a fidarsi di lui -
aveva voluto citare Jovanotti che a sua volta aveva citato Kundera.

Che poi, Lui, quello dello show, l!avrebbe scoperto da solo che LA LEGGEREZZA
DELL!ESSERE, il più delle volte, è INSOSTENIBILE.
E quando certe situazioni si fanno insostenibili, quando non riesci a vincere nemmeno con
genialate tipo quella di non pronunziare mai il nome dell!avversario, né tenendo fuori certe
correnti anacronistiche, forse, e revanchiste, senza dubbio, ecco, quando LUI aveva
scoperto il fantastico mondo dell!insostenibilità, ecco, che aveva fatto?
Aveva MOL-LA-TO.

Se è vero che chi molla è perduto, di certo non si può dire perduta Margherita Cassaro.
Ooooops. Ho detto il nome?
Fate finta sia un nome di fantasia.
Margherita Cassaro la diresti un osso duro.
Lei, imperterrita, continua ad inviare mails alla redazione di Prospektiva. Ogni dannato
maledetto numero, una mail.
Scambia il suo contributo per una partecipazione, e la Rivista Letteraria per un concorso.
Dàgli a spiegarglielo.
Il fatto è che non basta mica inserire la parola “vertigine” in un racconto, in un saggio, in
una poesia per declinare il concetto di Vertigine.

E poi, diamine, un po! d!amor proprio!


Come chi s!ostina a voler citare Kundera ad ogni costo.
Che poi, a volerlo citare, Kundera, forse bisognerebbe sapere con precisione com!è che si
dice, Kùndera o Kundèra.

(Per inciso, mi ci metto anch!io che per tagliare la testa al toro una volta accentuerò la U,
l!altra la E, e che Dio c!abbia in gloria).
Io, la mia prima volta (che “ho avuto le vertigini”, non che “ho citato Kùndera”), me la
ricordo come fosse ieri, ero a San Marino.
Me ne stavo sulla rocca ed ho buttato l!occhio sulla vallata. Uno strappo visivo, come la
pupilla fosse sul bungee jumping. Ma mica ho provato l!istinto di buttarmi giù, né
tantomeno quello di diventare una popstar, e neppure quello di prendere in mano le redini
d!una sinistra che cita Jovanotti quando cita Kundèra.

Però, quello sì, ho preso coscienza d!un!altra, l!ennesima mia debolezza.


La debolezza di non saper osare.
Perché la vertigine è un deterrente. Mica un incentivo.

Che c!entra, poi avrei imparato a gestirle, col tempo, le mie debolezze, le mie vertigini, i
deterrenti, ed avrei cominciato ad abbatterli.
Sparando panzane, ad esempio.
Che anche la menzogna è un!arte, la più mirabile forse, e lo sa bene Tomasz Kuciewski
quando ci racconta, in questo numero di Prospektiva, come Jerzy Kosinski, suo
connazionale, ne avesse fatto nientepopodimenoché una raison-d!etre.

In-fin-gi-men-to.
Se ne è servito Marco Mazzucchelli, sempre qua, indirizzando una missiva a Yukio
Mishima, o alla di lui testa, che chissà che risposta gl!avrebbe saputo dare, il nipposuicida,
avesse potuto scartarla, quella missiva.
E me ne sono servito anch!io, ancora una volta qua, scribacchiando dichiarazioni
d!impotenza amatoria ad una Madame Cloros odorosa di jazzici assoli di Thelonious
Monk, citazioni Borgesiane, balletti di cronopios cortazariani.

Con l!infingimento riesci, riusciamo, riuscite, ad alterare ed incrinare lo spazio ed il tempo,


che d!amblé si contorcono su sé stessi, si riavvolgono, s!annodano un po! come quelle
deviazioni obtorto collo del cuoio capelluto, che matupénsa, matuguàrda, indovina come si
chiamano? Vertigini.
Che ti viene quasi da voler che cadano tutti giù, i tuoi capelli, per non vederle più, quelle
obbrobriose e rivoltanti abnormalità capélliche.

Cadere giù. Volare su.


Tutte le ambizioni del mondo racchiuse in due tautologie.
Che per cader su, o volare giù, ci sarebbe bisogno di rivoltarlo, il mondo, una volta tanto, e
metterlo sottosopra.

Ora, guardarla sottosopra, quest!altra rivista qua che si chiama Interstizi, è un gran
peccato, oltre che un!innegabile perdita di tempo.
A sfogliarla nel verso giusto, invece, haivoglia le suggestioni.
Che poi (ci pensavo mentre sragionavo su questa questione della vertigine) Interstizi
sembra fatta apposta per implementare, in un certo senso completare, le uscite di
Prospektiva.
Noialtri che parliamo di Diversità e loro che t!estraggono? la Crisi.
Noi a scrivere di “desiderio di cadere”, kunderica vertigine, e loro? “voglia di volare”,
travisata kunderica citazione, l!etereo.
Sembra quasi mossa ponderata, premeditata.
Ed invece, ricordate l!apertura?, è uno di quei casi fortuiti che rendono un avvenimento
significativo. MUSS ES SEIN? ES MUSS SEIN!, verrebbe d!aggiungere. “DEVE ESSERE?
DEVE ESSERE!”. Ed è sempre Kùndera, eh.
Cari miei, il fatto è che per tirar sempre dentro fino alla NAUSEA lo scrittore ceco, quello
che non si sa come si pronunci il cognome, ce ne vuole, di faccia tosta.

E mi dava ragione lei, “bella faccia come il culo a citare sempre sto Kùndera”, diceva,
quando un!altra sera, poi, per una meravigliosa serie di congiunture astrali, mi trovai a
vivermelo tutto, lo show, uno show che andavo a vedere volentieri ma a tratti anche no,
dall!arrivo dell!autobus - rigorosamente ad impatto ambientale zero - al montaggio del
palco - anch!esso eco-friend.

Sbuffava, quando si cominciò a vociferare che LUI era arrivato, anche se noi l!avevamo
visto mica, ed ancora segni d!insofferenza quando le prime note suonarono rotonde.
Ma poi fu il momento dello show, e non ci pensammo più fin quando con accendini ed
abbracci accogliemmo quella hit che fa “la vertigine non è, paura di cadere, ma voglia di
volare... mi fido di te”.

Io, di lei, di lei con gli occhi da mantide che m!ha trascinato là, mi fido davvero.
Perché è bella come Tereza, e come lei sembra uscita da un brontolio di stomaco.
Ma soprattutto perché non si fa prendere dalle vertigini quando, ogni qualvolta me se ne
presenti l!occasione, m!ostino a voler citare a tutti i costi, Kùndera, o Kundèra che dir si
voglia.

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