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(http://domenicomaione.blogspot.com/2009/08/usain-bolt-terrestre-per-caso.html)
Correva il 16 agosto 2009 a Berlino. Correvano sei uomini velocissimi, più uno veloce
da paura. Quarantuno passi di oltre 2 metri, lì fino alla leggenda. Lui col
destino scritto nel nome: Bolt in inglese è “il lampo”, nel atletica una maledetta
verità: la legge del più forte. Una volta c’era il figlio del vento, Jessie Owens, adesso
il vento si sposta e lo lascia passare. Spavaldo e irrequieto, esulta già prima di partire,
con la faccia di chi sà che vincerà con i mortali, e con la motivazione di battere il
migliore dei suoi rivali: se stesso . L’unico al mondo che anche solo per cento metri è
capace di realizzare il sogno più ardito dell’uomo: sfuggire al tempo.
Io fiero membro del “clan dei terrestri”, modestamente, in 9”58’ tiro su la zip dei
pantaloni, lavo le mani, e via con lo sciaccuone. Vivendo, comunque e nonostante
tutto, nel perenne incubo di farla fuori dalla tazza. Lui dall’alto dei suoi 196 cm per
86 Kg (il foppapedretti con le ruote) si prende il mondo a 23 anni e visto che avanza
un po’ di tempo ti spara la posa spocchiosa mentre gli avversari ancora sbuffano alla
ricerca del loro millesimo in meno. Vivendo, comunque e nonostante tutto, nella
perenne frenesia di infrangere la barriera del suono.
Nativo di Trelawny, autentico scioglilingua più che città, Usain indossa orgoglioso la
casacca gialla della sua Giamaica, e guai a dire che attira i moscerini, perché non lo
prenderanno mai. Da piccolo lavorava nel suo paesino dove ancora valeva
l’equazione nero uguale schiavo. Poco male perché è nei campi di canna da
zucchero che l’acerrimo nemico degli autovelox incontra l’amore della sua vita: la
corsa. Ebbene in quello sport l’equazione cambia: nero equivale a vincente.
Quando lo vedevano sfrecciare a tutto gas in paese gli domandavano: “Ma dove vai?”.
Lui metteva la freccia e rispondeva: “Che importa dove vado. Sto correndo non vedi?”.
domenicomaione@hotmail.it
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