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Il Poeta e il Clandestino

Racconto breve

Maggio 2008
Incipit da un commento di Giuliana Argenio

Il numero delle muse e il campo dell'arte in cui esse agivano venne precisato intorno al IV
secolo a.C. I loro nomi erano:

• Calliope, dalla bella voce, la Poesia epica, con una tavoletta ed un libro;
• Clio, colei che rende celebri, la Storia, seduta e con una pergamena in mano;
• Erato, che provoca desiderio, la Poesia amorosa, con la lira;
• Euterpe, colei che rallegra, la Poesia lirica, con un flauto;
• Melpomene, colei che canta, la Tragedia, con una maschera, una spada ed il bastone di
Eracle;
• Polimnia, dai molti inni, il Mimo, senza alcun oggetto;
• Talia, festiva, la Commedia, con una maschera, una ghirlanda d'edera ed un bastone;
• Tersicore, che si diletta della danza, la Danza, con plettro e lira;
• Urania, la celeste, l'Astronomia, con un bastone puntato al cielo.

Le poesie inserite nel racconto sono dell’autore.

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Capitolo 1 – Il Clandestino

“Il clandestino che hai a bordo e segue ogni tuo viaggio, che non vedi, ma avverti,
sottocoperta, si aggira come una spia per la nave, sale e scende dai boccaporti, fruga in
cambusa, s'intrufola in tutte le cabine, lascia impronte ovunque. Viaggiate insieme, per
mari scarlatti, per isole verdi.
Mi sono abituata alla tua occulta presenza. Narratore o poeta. Non posso fare nulla. Tu
guidi la nave dove vuoi. Ma chi è Lei?”
Così la Musa parlava a Lui, che teneva uno spazio tutto suo nel web.
Lui non capiva come fanno tutti i poeti che per finzione poetica liberano le onde della
fantasia sulla carta, come la risacca si infrange sulla spiaggia deserta.
“Perché la Musa mi chiede chi è Lei?” rimbalzava la domanda nella mente di Lui “Ma non
v’è dubbio, né incertezza: è la Musa ispiratrice, Colei che da una vita mi accompagna nella
buona e nella cattiva sorte”.
E Lui si alzò dalla sedia, abbandonò il Pc al suo destino, che sarebbe diventato uno
screensaver colorato da immagini di Van Gogh, mentre dalla finestra osservava il mondo.
Il cielo era imbronciato di nuvole scure, che di lì a poco avrebbero riversato sulla terra il
loro carico di acqua. I campi di erba medica erano di un bel verde smeraldo luccicante di
umidità, pronti a fiorire di un azzurro lilla e a profumare l’aria con la fragranza di un
morbido profumo. L’albicocco sfiorito mostrava le sue foglie tenere e sensuali agli sguardi
del merlo, che con occhio attento cercava qualcosa da ingoiare.
La gazza nella sua livrea blu serica e bianca volava tra i giardini in fiore e i tetti umidi di
pioggia.
Lui, che ora metteva il berretto da poeta, ora quello di narratore di storie impossibili, sentì
l’ispirazione sgorgare netta e limpida dalla visione di tanta pace.

E’ tornato il sereno.
E’ tornato dopo la pioggia,
che ha smesso.
E tutti ne provano gioia.
E’ tornato il sereno.
E’ tornata una tenue felicità,
velata dalle gocce di pioggia,
che battevano sulla strada assonnata.
E’ tornato il sereno.
E’ tornata la calma
nel mio cuore spaurito
per l’improvvisa oscurità che s’era fatta.
(da “Dopo la pioggia, torna il sereno” di Gian Paolo Marcolongo)

Così scriveva nella mente, Lui, parole intinte di inchiostro simpatico che presto sarebbe
sparito.
Però Lui sapeva che Lei non era una clandestina, ma una dolce realtà che si aggirava
silenziosa e discreta nella sua vita.
Si, ecco ora sapeva cosa doveva fare: scrivere il romanzo che si era interrotto, riannodare
i fili dei ricordi, volare con la fantasia verso lidi lontani.

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Capitolo 2 – Il romanzo ricomincia

Lui con fare misterioso si mise alla scrivania, ignorando quello che appariva e scompariva
dal oblò della nave. Non voleva essere distratto da sirene e onde spumeggianti, aveva
necessità di stare concentrato, perché Calliope, Καλλιόπη "colei che ha bella voce", era
molto esigente nei confronti dei poeti e non amava che la poesia epica fosse disturbata da
altri pensieri.
Calliope stava corrucciata seduta sull’angolo destro della scrivania sorreggendo con la
sinistra la tavoletta su cui scriveva l’epica e con la destra il libro che Lui stava scrivendo.
Erato ed Euterpe stavano in disparte, pronte ad intervenire quando il Poeta si avventurava
tra amori, sentimenti ed emozioni.
Lui era conscio di essere un osservato speciale, perché percepiva l’anelito leggero come
un soffio di Lei, che lieve si aggirava tra le stanze.
Il Poeta tornò indietro nel tempo tra ricordi sbiaditi e corrosi per gli anni trascorsi, ma
sentiva che l’ispirazione era lì latente e pronta ad uscire dalla mente.
Aprì il quaderno rosso dai fogli mobili ingialliti dal tempo e cominciò a leggere tra le righe.
La scrittura rotonda col nero di china spiccava netta sulle linee azzurrine.

Hai gli occhi azzurri


di un azzurro meraviglioso
che invitano a ricordare.
Quanti ricordi si destano in me,
ricordi che mai potrò dimenticare,
perché mi consentono di vivere felice ora.
Il ricordo è un sogno
e come tale voglio viverlo!
Vorrei vivere per ricordare
tutti quei ricordi belli
e vorrei scacciare
tutti quei ricordi amari.
Ah! Se potessi.
(da “Poesie di Marzo” – Gian Paolo Marcolongo)

Era una calda giornata di giugno quando Lui, il Poeta, vide per la prima volta Lei, il
Clandestino. Subito ci fu una scintilla, che nessuno dei due percepì in quel momento, ma
che accese il fuoco dentro di loro.
Si erano conosciuti per interposta persona, che affidò il messaggio al telefono, perché loro
erano incerti e dubbiosi.
Cominciarono a parlare dapprima sommessamente, poi sempre più fitto ad alta voce fino a
diventare un suono squillante.
Cosa si dicevano mentre sotto il sole del pomeriggio inoltrato andavano per strade
deserte, incuranti del caldo e della luce accecante?
Il Poeta cercava di rammentare inutilmente quel primo dialogo fatto di frasi incerte e
esitanti, che si scambiarono allora. Però ricordava gli occhi luccicanti che lo osservavano e
lo scrutavano per carpire i sentimenti.
Ancora telefonate, allora era un epoca antica senza SMS e mail, arrivarono nei giorni
successivi per lunghe chiacchierate a capire se era possibile avviare un discorso serio.
Poi Lui decise: “Si, va bene. E’ quella che fa per me” e l’aspettò alle 17 e 30 fuori dal
portone dove Lei lavorava. Era sorpresa, ma non troppo, così dava da intendere, quando
lo vide lì con i pantaloni bianchi e la maglietta carota intenso.
Lei era vestita leggera con un abitino azzurro a fiori bianchi e disse: “Ciao” mettendosi al

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fianco del Poeta.
Sull’angolo della strada una venditrice di lupini offrì loro due imbuti di carta gialla con
dentro piccoli semi gialli, bagnati e salati, che piluccarono tra una chiacchiera e l’altra.
Passò il tempo fino al momento del distacco, che preannunciava un arrivederci a domani
non detto ma trasmesso in silenzio. Ecco la forza del pensiero e della voglia di rivedersi.

Il Poeta si rilassò sulla sedia osservando l’oblò, dal quale scorse i delfini che saltando sulle
onde dei ricordi accompagnavano allegri la nave della memoria.
Calliope, severa ed accigliata, era moderatamente soddisfatta del comportamento di Lui e
lo lasciò distrarre prima di richiamarlo ai suoi doveri.

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Capitolo 3 – La nave va

Sembrava l’atlante della Luna o di Marte il mare su cui correva la nave del Poeta, ma non
era un luogo inospitale e remoto, sassoso e polveroso, perché percorreva la rotta dei
ricordi.
Seguiva l’onda della memoria ora avanti ora indietro secondo l’estro del momento.
Calliope lo guardava severa, la pausa era finita: era tempo di ricominciare.
Tutto era iniziato per caso mentre Lui ricordava avvenimenti recenti. Era una fredda sera
di dicembre tra Natale e Capodanno, il Poeta era stanco per la lunga giornata, mentre si
sedeva al tavolo ripensando agli ultimi tempi.
Ormai erano diversi mesi che la sera lo coglieva affaticato e non sempre, anzi quasi mai,
poteva sedersi al suo tavolo a pensare e rilassarsi con le occupazioni preferite.
Abitava ora in una bella casa, silenziosa e nuova, dopo essere tornato nella città da cui
era partito tanti anni prima con la valigia piena di speranze e di illusioni. Stava pian piano
riscoprendo le radici, riallacciando i ricordi sfilacciati dal tempo.
Considerava e aveva presente questi ultimi mesi, così intensi e snervanti. Dapprima la
preparazione del trasloco dei mobili e degli oggetti e con essi delle memorie, che si
trascinavano appresso. La vecchia casa era piena di contenitori di cartone anonimi vuoti
da riempire. Con metodicità si toglievano gli oggetti dai mobili, si incartavano e si
riponevano negli scatoloni, avendo cura di numerare gli stessi ed indicare sull’esterno la
provenienza dal mobile: libri dalla libreria nera, piatti dal mobile nero, vestiti dall’armadio
bianco.
Sembrava un rituale e di sera Lui si toglieva la polvere dai vestiti e dalla bocca, secca e
arida, stanco ed assonnato. Così andò avanti per diverse settimane mentre gli scatoloni
sembravano sempre insufficienti a contenere tutto e crescevano di numero. “Dove li
metterò nella nuova casa?”, pensava preso dallo sconforto, “Non c’è posto per tutto, dovrò
eliminare molte cose e con loro anche i ricordi associati!”
Con molta tristezza il Poeta caricava nella macchina tutto quello che non intendeva
portare con sé e lo depositava nella discarica pubblica. Ogni viaggio era una sofferenza,
un volere non ricordare quello che veniva inghiottito negli enormi contenitori divisi per
tipologia di rifiuto conferito.

Si fermò un attimo, guardando Calliope un po’ di traverso perché lo costringeva a


guardare dentro di sé con severità e senza recriminazioni.
Però la Musa era corrucciata ed inquieta per il comportamento del Poeta, che si fermava
in continuazione ad osservare l’oblò della nave, che saliva veloce sulla cresta dell’onda
per poi inabissarsi tra spuma bianca e spruzzi di salsedine.
A Lui costava fatica ricordare quegli istanti e il dolore non ancora sopito, ma riprese a
scrivere di malavoglia e concentrato sui quei ricordi.

Quanti viaggi! Quanta fatica! Quanto dolore nel disfarsi dei ricordi! Quale gioia nel ritrovare
il vecchio quaderno di poesie, scritte tanti anni prima, quando era ancora ragazzo pieno di
illusioni! E le vecchie tempere ancora belle e brillanti, che sembravano uscite dalle
pennellate di ieri, tanto erano attuali e colorate!
Arrivò il gran giorno. La mattina di buon ora gli uomini del trasloco vennero a smontare i
mobili, a imballare le ultime cose, a raccogliere la moltitudine di scatoloni, che erano lì
silenziosi e malinconici durante l’attesa di essere trasportati altrove lontano da questo
edificio.
Il trasloco fu veloce e si consumò frettolosamente, mentre Lui chiuse il portone dei ricordi
alle sue spalle; prese la macchina e si diresse verso la nuova casa, dove avrebbe atteso
le reminiscenze che viaggiavano stipate nel camion.

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La vecchia abitazione era ormai deserta. Era un immobile nel centro storico della città,
nella piazza più bella circondata da alberi maestosi e carichi di storia. Aveva soffitti alti.
Quanto erano alti! Che sofferenza quando si doveva cambiare una lampadina, appendere
una nuova luce! L’ingresso dava su una stanza enorme dal soffitto affrescato con decori
invernali, dai pavimenti a mosaico in stile veneziano colorati con un bellissimo disegno
centrale. Di fronte alla porta faceva bella mostra un camino di marmo bianco. Sulla sinistra
si accedeva ad un’altra stanza, anch’essa ampia e spaziosa come la precedente. Questa
ultima aveva un’acustica particolare e l’avevano chiamata “la stanza della musica”.
A Lei piaceva, anche se vi trovava mille difetti. Era buia, tanto che le piante dopo poco
appassivano e morivano. La vista dava su case con intonaco ormai scolorito e fatiscente,
che si potevano toccare con mano. La strada stretta mandava molti rumori di sera e di
giorno. Poi i piccioni sporcavano i davanzali.
A Lei piaceva però stare in quella casa, perché la sentiva sua, come una parte di se.
Dalle finestre si vedeva la torre, simbolo della città ed aveva il pregio di essere al centro
della città: si scendeva e si era subito a passeggiare fra piazze e portici. Non c’erano molti
servizi, ma tutti quelli che servivano erano comodi e vicini.
Una volta l’anno, per il patrono della città, erano sommersi da mille rumori festanti, da mille
odori, che si mescolavano tra loro in un guazzabuglio di sensazioni ora piacevoli ora
sgradevoli. La gente si accalcava fra le bancarelle a comprare qualcosa di inutile, da
accatastare insieme con quelli degli anni passati: era una tradizione e guai a non
osservarla! Anche Lei e il Poeta sull’ora di mezzogiorno passavano in rassegna le
bancarelle variopinte ed odorose, quando la calca umana era intenta a mangiare.
Nell’ultimo anno Lei aveva comprato quattro cuscini rosso fuoco da portare nella nuova
casa, mentre Lui aveva acquistato da una cinesina, che parlava a gesti, un bonsai che non
era riuscito a resistere fino al trasloco come tutte le altre piante. Poi erano andati per la
consueta visita nella Cattedrale a pregare il Santo Patrono e ricevere l’ultima benedizione.
In quella abitazione dagli alti soffitti affrescati non potevano più restare: era troppo
costosa. Non era loro e desideravano acquistarne una dove trascorrere i restanti anni
della vita da lasciare in eredità come ricordo.

Un pizzico di nostalgia prese alla gola il Poeta, che interruppe questi ricordi recenti,
congedando le Muse.

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Capitolo 4 - Va a ritroso nel tempo

La nave solcava il mare dei ricordi, andando a ritroso nel tempo. Flashback, immagini
sfocate e ricordi impalliditi nel tempo scorrevano veloci sulla parete, mentre la prua
andava innaturale all’indietro.
Il Poeta ripercorreva quei momenti con Lei felici e spensierati tra cartocci di susine e pezzi
di ceci, che piluccavano tra una chiacchiera, un bacio ed un abbraccio.
Lunghe camminate facevano sotto il sole, la pioggia e la neve mano nella mano, mentre
parlavano di loro, dei sogni e dei desideri futuri per costruire un mondo che sarebbe stato
realizzato dopo molti anni.
Il Poeta conduceva una vita semplice costellata di viaggi per raggiungere l’università, di
fiori rubati dalle aiuole da donare a Lei, che scandalizzata li accettava con grande gioia, di
incontri serali dopo l’uscita dal lavoro, di studio per finire in fretta il corso di laurea.
Un sorriso apparve sulla bocca di Lui, mentre rivedeva il film di quegli anni ruggenti,
spensierati e felici.

Calliope, vedendo il Poeta indugiare nei suoi pensieri del tempo passato, scosse la testa
per ammonirlo di non perdersi in mille ricordi piacevoli. Lui doveva sapere che lei non
permetteva di indugiare troppo a lungo sui propri pensieri. Però non disse nulla, mentre
Erato lo incitava a leggere un’altra poesia d’amore.
Il Poeta non aveva scritto molte poesie per Lei e si trovava in difficoltà nell’accontentarla.
Però ci poteva provare, mente un tumulto di ricordi affioravano e si addensavano dentro di
Lui.

All’aria
era esposta con tutto il suo corpo,
al vento
affidava i suoi capelli.
Era bella,
la più bella di tutte.
Come poteva fermarsi
qui, accanto a me,
simile bellezza?
Chi riuscirà a trattenerla?
Andava sola col vento,
che scorre veloce,
percorrendo valli e sentieri,
ovunque il capriccio
la portasse.
(da “Poesie di Marzo” – Gian Paolo Marcolongo)

Ora Erato era soddisfatta dalla bellezza dei versi che celebravano quel sodalizio tra il
Poeta e Lei.
Lui riprese a vagabondare con la fantasia sui sentieri dei ricordi, che sgorgavano
incessanti dai suoi occhi.
Era una giornata di Luglio calda e ventosa, quando il Poeta prese la macchina per
raggiungerla sulla spiaggia. Arrivò all’improvviso sul far della sera tra il canto delle cicale
per il gran caldo ed il ronzio incessante delle zanzare a caccia di uomini ed animali da
succhiare.
Lei lo accolse sorridente, perché non l’aspettava, e si sentiva felice tra le braccia di Lui,
che la stringevano con calore. Camminarono a lungo sulla spiaggia ormai deserta, mentre

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il sole scendeva sull’acqua, tingendola di rosso. Parlavano fitto con il sottofondo dello
sciabordio del mare che quietamente si infrangeva sulla sabbia umida e tiepida. Quante
parole dovevano scambiarsi per raccontare la loro lontananza che durava da una
settimana. Quanti sguardi dolci si scambiarono per trasmettere quello che percepivano
dentro di loro.
La luce del giorno lasciava il posto ai lampioni che illuminavano in distanza le case delle
vacanze, mentre loro abbracciati tornavano verso la macchina.
“E’ tempo di tornare” sussurrava una voce al Poeta, che avrebbe voluto rimanere ancora.
Una piccola lacrima scese sul volto di Lui, ripensando a quei giorni: una lacrima non di
dolore, ma di gioia nel ricordare quei momenti.
Lui amava fare piccoli regali nei momenti più strani ed insospettabili. Ogni tanto le
regalava un tulipano giallo ‘colto’ di nascosto nei giardini pubblici. Questo segretamente le
faceva piacere, anche se diceva che il Poeta era matto nel fare questo. Lui ricordava con
piacere il primo regalo: una collana di pietre gialle che ancora Lei conserva con cura.
Lui, sfumato quest’ultimo ricordo nella penombra della sera, guardò Calliope, Erato ed
Euterpe, dando loro appuntamento a domani, mentre la nave continuava veloce la sua
corsa.

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Capitolo 5 – Vista dall’oblò

Il Poeta rimase un po’ di tempo sottocoperta, anche dopo la partenza delle tre Muse.
Aveva necessità di raccogliere le idee sparse tra la nave che andava seguendo il filo dei
pensieri e l’etereo web, che virtualmente lo immaginava come un orso bianco di aspetto e
candido di pelo.
Si domandava incerto e dubbioso se la sua vita virtuale doveva cessare con l’eutanasia
del suo blog oppure no. L'eutanasia - letteralmente buona morte (dal greco ευθανασία,
composta da ευ-, bene e θανατος, morte) - era la pratica che consisteva nel procurare la
morte nel modo più indolore, rapido e incruento possibile a un essere umano ipotetico, che
desiderava sparire dal web e dal mondo non reale del blog.
“Perché?” si domandava Lui “Perché devo rimanere nel blog? E se rimango, quale gioia
ne trarrò?”
Domande e risposte, che evocavano altre domande, frullavano nella testa del Poeta, che
per oltre un anno aveva allevato il proprio avatar, mentre lo guidava tra i meandri ora stretti
ora larghi del mondo immaginario di Internet.
Era un bel rompicapo, perché lì aveva conosciuto altri fantasmi come lui desiderosi di
parlare, di scrivere, di immaginare mondi e persone che prendono forme e sembianze
fantasiose e reali.
Tutto questo accendeva la fantasia del Poeta mentre veniva stimolata la vena poetica per
emulazione e raffronto con tanti altri.
Lui poteva lasciare libera la mente di vagare senza mete precise e di cullarsi nei suoi
pensieri, ora che la severa Calliope se ne era andata.
Non si sentiva libero di esprimersi come avrebbe voluto, perché lo spirito della Musa
aleggiava minaccioso sottocoperta. Si aggirò come animale in gabbia osservando lo
spettacolo visto dall’oblò. Cosa vedeva di tanto interessante? Spruzzi di acqua salata
simili a lacrime che copiose rigavano il viso, squarci di vita che avevano visto Lui come
protagonista, gli amori giovanili dei quali aveva scordato il viso e i nomi.
Era un caleidoscopio di ricordi che si componevano colorati davanti agli occhi della mente,
per poi sparire un istante dopo e ricomparire in altre forme.
Il poeta doveva mettere ordine ai pensieri che fluttuavano liberi per la stanza per essere
pronto domani a riprendere il filo del discorso interrotto dalla pausa notturna. Quale
argomento doveva trattare, quando le Muse si sarebbero presentate dalla scala che
attraverso il boccaporto conduceva sottocoperta.
Doveva parlare del presente o del passato prossimo o remoto? “Bella domanda!” si disse
Lui pensando alla risposta che sicuramente gli avrebbero chiesto. “La risposta è incerta”
proseguì Lui nel dialogo immaginario con Calliope, che reggeva sempre il libro che stava
scrivendo.
Continuò a camminare inquieto ed incerto su quello che doveva fare o non fare, mentre
riapriva il libro dei ricordi.
Altre immagini, altre sensazioni cominciarono a ripopolare la mente senza un filo logico,
né un canovaccio su cui poteva operare.
Cosa doveva fare? Cosa poteva ricordare? I pensieri fuggivano di mano, si
sparpagliavano sul tavolo ancora ingombro di penne, di carta, di colori, lasciati lì senza
ordine pronti al loro riuso.
In un angolo stava la cuccetta dove avrebbe riposato cullato dalle onde, che facevano
sobbalzare la nave, mentre la luce si spegneva e con essa anche i rumori esterni.
Lui udiva solo lo sciabordio dell’acqua sulla fiancata di legno umido, tutti dormivano dopo
la giornata intensa trascorsa.
Però non decideva di andare e di mettere a tacere la mente che continuava a borbottare
immagini e sensazioni, che apparivano e scomparivano veloci come fulmini nel cielo

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stellato. Bagliori e lampi squarciavano e squassavano la fantasia, che riluttante non
cessava di ripercorrere la vita del poeta alla ricerca del tempo passato e di quello presente
che scorreva veloce fino a diventare solo pallido ricordo.
Ormai tutto taceva così che anche il Poeta si calmò e fuggì nell’oblio della notte.

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Capitolo 6 - La ricerca

Il sole faceva capolino attraverso l’oblò, illuminando di sbieco la cuccetta dove il Poeta
dormiva inquieto tra sogni silenziosi ed visioni agitate.
Un leggero ticchettio si udiva sulla coperta: erano i passi leggeri delle Muse, che dopo
l’oblio della notte ritornavano silenziose da Lui.
Lo trovarono ancora lì immerso nei sogni, illuminato dai raggi del sole e distaccato dallo
spazio-tempo in cui era sprofondato.
Non era molto propenso a riprendere il filo dei ricordi interrotto ieri con la loro partenza, ma
la giornata si preannunciava intensa ed odorosa della memoria recente.
A malincuore si sedette alla scrivania e rammentò quello che era successo non molti mesi
fa: la ricerca di una nuova casa.
Il Poeta si sistemò meglio sulla poltroncina davanti alla scrivania, da dove si poteva
ammirare l’oblò e tutta la stanza, mentre riordinava con cura tutti i pensieri che stavano
affluendo liberi nella mente.

La ricerca non era stata molto facile: la disponibilità di immobili era buona, non altrettanto
la qualità.
“Cosa cercavamo senza trovare il giusto?” si domandava Lui, perché ora che la scelta era
stata eseguita non gli erano chiare le motivazioni di tanti scarti.
Centro città o in prossimità? Giardino privato o condominiale? Soluzione indipendente o
appartamento in condominio? Abitazione nuova o da ristrutturare? Queste e tante altre
domande avevano monopolizzato i loro discorsi senza mai giungere a conclusioni
definitive o condivise.
Tanti spostamenti, tante visite e tanti “No, grazie. Non è quello che cerchiamo” avevano
condito quei lunghi mesi dell’esistenza del Poeta.
Poi due possibili soluzioni si erano affacciate alla loro vista: erano similari, ma
economicamente differenti.
A Lei piaceva una casa ricavata dalla ristrutturazione di una vecchia abitazione colonica
con annessa chiesetta e fienile. Il Poeta non era molto convinto per qualche misteriosa
intuizione. Non era disposta male, su due livelli, ma l’ingresso era angusto e secondo Lui
doveva essere modificato. I due bagni non lo convincevano: erano stretti e lunghi ed uno
era cieco. A Lei piaceva la chiesetta prospiciente la casa, era sconsacrata e sarebbe stata
trasformata nel tempo in un ufficio o un monolocale.
Avevano trovato in alternativa una casa immersa nel verde, molto particolare, situata
vicino alla città. Dalle finestre si poteva osservare la campagna ben curata, coltivata ad
erba medica e frumento: un autentico spettacolo. La posizione era tranquilla e priva di
rumori, non sembrava nemmeno che a pochi chilometri scorresse un traffico caotico e
convulso. Nel periodo invernale gabbiani, aironi bianchi e cinerini svernavano nei campi.
A Lui piaceva molto, per Lei c’erano troppi insetti ed animali.
Il Poeta ricordava bene quei momenti non tanto lontani nel tempo, ma remoti nella mente
per le lunghe discussioni sui vantaggi e svantaggi delle due soluzioni.
Si risistemò sulla sedia con le mani dietro la nuca per meglio raccogliere le idee e
l’ispirazione, mentre osservava con cura Calliope, la severa.
Era strano che tre Muse lo accompagnassero in questo viaggio a zig zig nel tempo: “Cosa
le aveva colpite per stare lì immobili ed arcigne a guidare la mano e la mente nell’Oceano
dei Ricordi?”
Dall’oblò scorreva veloce il tempo mentre apparivano e scomparivano immagini e suoni
che lo avevano scortato in questi anni.
Perché ricordava questi episodi recenti, quando molti altri erano lì a premere per uscire
dalla mente?

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La ricerca proseguì tra alti e bassi, come rammentava bene il Poeta, mentre la trattativa
per la casa rustica languiva per il prezzo troppo elevato. Sembrava un elastico che si
allungava e si accorciava immediatamente, ma Lui ruppe gli indugi e la trattativa, perché
non riteneva sensate le proposte.
Più spedita fu la contrattazione per l’altra soluzione tanto che nel giro di poco tempo fu
conclusa.
Si interrogava se la scelta fosse stata oculata, ma senza trovare una risposta razionale.
Era ovvio che ogni soluzione presentava lati positivi e lati negativi difficilmente
quantificabili. Solo il tempo avrebbe sancito se avevano trovato quello che cercavano.
Adesso era inutile pensarci troppo, perché erano altri i problemi da affrontare.
La parte più faticosa del trasferimento doveva ancora venire. Si doveva svuotare cantina e
garage, pieni zeppi di altri sei o sette traslochi. Sembravano un pozzo di San Patrizio, non
finivano mai di vomitare qualcosa.
Poi la fatica di vuotare gli scatoloni nella nuova casa, di riempire i mobili vuoti, di riordinare
tutto quanto. Le soluzioni studiate a tavolino non andavano bene, si dovevano trovare
nuove disposizioni. Sembrava la tela di Penelope: si creava, si disfava e si ricreava.
Quante volte le cose riposte si prendevano e poi si riponevano di nuovo. Erano tutti
stanchi, troppo stanchi.
Non sembrava di finire mai, come se per incanto continuassero ad uscire oggetti, libri,
piatti dai contenitori che invadevano prepotenti la casa.
Ora il ricordo diventava presente, quindi Lui lo abbandonò per tuffarsi con la poppa
nell’oceano per tornare indietro nel tempo.

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Capitolo 7 – La nave va retrograda nella corrente

Le Muse si disposero come il giorno precedente. Calliope stava in silenzio sull’angolo


destro della scrivania con fare incerto tra la soddisfazione dello snodarsi del racconto e il
mantenere il viso severo. Erato con la lira abbandonata ai suoi piedi era immobile come
una sfinge nell’angolo sinistro del sottocoperta, ma non era soddisfatta della giornata
trascorsa. Euterpe suonava dolcemente il flauto, ingannando l’attesa e rallegrando il
Poeta.
Erato desiderava più afflato amoroso nel racconto, perché si sentiva trascurata. Però per il
Poeta questo era buffo, perché stava scavando dentro di sé con i sentimenti e le emozioni
che affioravano come le sorgenti di un fiume. Però volle accontentarla.
Abbandonò i ricordi più vicini per lanciarsi nel mare della gioventù, quando frequentava il
Liceo.
“Cosa ricordare?” si domandò inquieto, ripensando all’incontro con Monica di qualche
giorno fa del tutto fortuito ed inaspettato.
Per qualche giorno non aveva ricordato quel colloquio, che gli aveva fatto piacere e
riaffiorare tanti ricordi, preso com’era dalla sistemazione della nuova casa.
Poi una sera in un angolo della scrivania ricolma di libri, oggetti e cartacce, che lasciavano
un minuscolo spazio per il Poeta, trovò sepolto sotto fogli ed appunti un quaderno dalla
copertina rossa, mentre nella mente cominciarono a frullare mille ricordi.
Era il quaderno delle poesie scritte tanti anni fa, quando il Poeta sperava di oscurare la
fama del poeta prediletto: Leopardi.
Lui si fermò un attimo a guardare Erato, che aveva ripreso la lira in mano per
accompagnare la lettura dei fogli ingialliti ricoperti dalla grafia ordinata e precisa di Lui.
Non era ancora venuto il momento di aprire il quaderno, perché era indeciso tra quali
ricordi doveva cercare.
Lì c’erano i primi amori, le prime delusioni, i molti rimpianti, ma c’era una parte di sé che
aveva sepolto per non ricordare, perché ora esisteva solo Lei.

Il primo pensiero fu per ... non ricordava il nome delle due sorelle che aveva frequentato in
un estate lunga ed assolata per poi sparire nel vortice dell’oblio. Si stava sforzando a
richiamare alla memoria quel nome perso nei meandri del silenzio. A poco a poco riaffiorò
dal buio dove era stato riposto la parola cercata: Manca.
”Come si chiamavano?”, disse tra sé facendo uno sforzo per ripescare dal fondo del mare
il nome, ”Una si chiamava Maria Elisa. No, solo Elisa, era la più grande e mi piaceva, ma
io non piacevo a lei. Aveva la mia età. Ora sarà come me. Chissà dove sarà adesso? Si
sarà sposata? Avrà avuto dei figli? Chissà!”
Il viso era indefinito, sfumato nei contorni senza occhi e bocca. Nemmeno era bella,
almeno così gli sembrava ora, tanto da domandarsi cosa gli piaceva di lei.
Dai fogli ingialliti scaturì la poesia, che le aveva dedicato

Tu assomigli al mare
quando il vento con infinita tenerezza
ne agita la calma distesa verde
e accarezza delicatamente
la sua superficie lievemente increspata,
quasi temendo di fare del male.
(da “Poesie di marzo” – Gian Paolo Marcolongo)

che incontrò il muto plauso di Erato.


Era la sorella che ricordava visivamente, ma non il nome. Ancora sforzi fece per estrarre

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dal nero pozzo dei ricordi quel nome, finché chiusi gli occhi non apparve nitido di fronte a
sé “Domizia”. Non era bella anzi molto meno bella di Elisa, era molto giovane, forse tredici
o quattordici anni, quando in quell’estate magica la conobbe. Era magra con il naso che
non era dei migliori. Aveva un bel caratterino deciso e volitivo, testarda e tenace.
A Domizia piaceva il Poeta che ricambiava senza troppi entusiasmi. Si punzecchiavano e
più che due innamorati sembravano cane e gatto perché era sempre pronti a baruffare.
Pian piano nella mente si ricomponevano le immagini di quella estate: la loro casa, le feste
che si tenevano sulla grande terrazza illuminata per lo più dalla luna, le passeggiate nel
buio dell’enorme giardino tenendosi per mano, i primi baci furtivi.
Risuonavano nella mente le dolci note dei vinili a 45 giri cantate da Neil Sedaka, Paul
Anka e The Platters o i ritmi indiavolati dei primi rock o delle cadenze caraibiche.
Quanti ricordi! Un autentico fiume stava sommergendo il Poeta, che a stento riusciva a
tenere in linea di galleggiamento la nave, mentre Le Muse lo osservavano curiose di
conoscere quello che aveva da narrare.
Erano state le prime esperienze d’amore per entrambi, i primi baci strappati di nascosto,
anche se era certo che i genitori li osservano non visti e in un certo senso contenti perché
metteva le briglie al puledrino inquieto di Domizia.
Però il Poeta si sentiva attratto verso Elisa, sorniona e tranquilla, che aveva occhi solo per
un ragazzo più vecchio di loro, e soffriva.
Nelle orecchie di Lui risuonavano “Oh! Carol” di Neil Sedaka, che ballava stretto stretto
nella terrazza debolmente illuminata da una piccola lampada in un angolo. Non era mai
stato un gran ballerino: non sentiva il tempo ed non era coordinato nei movimenti. Si era
sempre sentito fuori dal suo elemento durante le feste domenicali, perché era ben conscio
che le ragazze erano atterrite quando Lui le invitava.
Quali sensazioni stava provando mentre riascoltava ‘Diana’ o ‘The great pretender’, che
aveva trovato su vecchie cassette, retaggio di un tempo che non c’è più. Il brivido
maggiore l’aveva avuto quando aveva sentito il mitico Paul Anka cantare la canzone che
cominciava così “You are my destiny, you are …”.
Non minore era stata l’emozione nell’udire il ritmo indiavolato di “Speedy Gonzales” che
era cantata da ... Un vuoto era nella memoria, perché non ricordava il nome del cantante.
Un attimo di panico prese il Poeta per quella amnesia, poi la frenetica ricerca per
rintracciare il nome: Pat Boone, il bello degli anni sessanta.
Si rilassò e riprese a vagabondare coi ricordi di quei giorni e le poesie dedicate a Domizia.

Tu sei selvaggia e spinosa,


tu sei indomita e fiera:
non t’appassire ora,
perché bella è per te la vita ora.
Fiore di serra incolto,
fiore di campo disadorno
rifiorisci alla dolce aria
della fresca e odorosa primavera.
(da “Poesie di marzo” – Gian Paolo Marcolongo)

Erato annuiva mentre pizzicava la lira, ascoltando la poesia con la quale iniziava il
quaderno rosso.

Passarono tutta l’estate insieme tra piccole feste e passeggiate romantiche nella via
alberata, tenendosi per mano.
Il Poeta era stato sempre romantico, gli piaceva sussurrare parole dolci, che sgorgavano
dal cuore, ma era difficile che dicesse ‘Ti amo’. Si sentiva impacciato come nel ballo,

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perché gli sembrava retorica.
Così si affidava ad un fiore, ad un complimento, allo sfiorare con delicatezza il viso, a
guardarla negli occhi per trasmettere quel messaggio ‘Ti amo’.
Scrisse poesie senza mai dirlo in incognito. Aveva degli strani pudori, era per certi
atteggiamenti timido ed impacciato.
Poi con l’autunno cominciarono a calare le prime nebbie sul loro rapporto e si persero di
vista.
Di Domizia restarono solo le poesie e qualche brandello di ricordi sbiaditi dal tempo, che il
Poeta aveva riposto in un qualche angolo della mente senza troppi rimpianti.
Un’altra giornata volgeva al termine col sole declinante sull’orizzonte, tingendo di rosso
l’oceano che scorreva retrogrado.

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Capitolo 8 – La nave incontra il passato

Passarono altri giorni, mentre il Poeta scriveva e le Muse osservavano in silenzio la sua
opera.
Altri ricordi, altre immagini, altre sensazioni uscivano silenziose per depositarsi fisse sulla
carta.
La nave procedeva a zig zag fra onde e bonaccia, fra sussulti spumeggianti e pacifico
incedere, tra passato prossimo e passato remoto in un guazzabuglio di emozioni.

I giorni della sistemazione della nuova casa si susseguivano uguali tra loro tra fatica e
sudore, tra polvere e scatoloni.
Un sabato nebbioso il Poeta e Lei andarono in centro per distrarsi un po’ dopo l’ennesima
settimana di fatiche. La città era illuminata ed addobbata a festa, perché tra qualche
giorno sarebbe stato Natale, mentre le luminarie occhieggiavano sfumate nel grigiore della
mattina.
Il traffico era caotico come al solito nelle giornate precedenti la festa e trovare un
parcheggio era problematico, così Lui la lasciò sull’angolo della via che portava nella
piazza più bella della città, quella prospiciente la cattedrale, mettendosi alla ricerca di un
posto.
Lo trovò distante dal punto di incontro, ma si doveva portare pazienza, bisognava aver
pazienza, perché non sempre era possibile parcheggiare vicino. Con passo svelto si avviò
verso il luogo, dove si erano dati appuntamento. Faceva freddo, perché la nebbia
penetrava nelle ossa col suo carico di umidità, ma Lui non sentiva nulla.
Camminava svelto immerso nei pensieri che svolazzavano leggeri nel capo senza una
meta precisa. Entravano, sostavano e poi in silenzio se ne andavano senza lasciare
nessun ricordo.
Il poeta si sentì inseguito da qualcuno che lo chiamava per nome. Si girò ed vide una
signora che con lo sguardo un po’ ansioso ed incredulo lo cercava. Non riusciva ad
inquadrare quel viso, quella voce perché non gli dicevano nulla, ma il nome con cui era
stato contattato, la parlata gli erano familiari.
“Sei tu M….?” disse timorosa con un filo di voce. “Si”, rispose il Poeta, che non ricordava
né il viso e né la voce.
“Sono Monica. Monica S…, ti ricordi di me?” Pronunciava quelle poche parole con ansia e
speranza. Un flash rischiarò la memoria, un tuffo nel passato remoto di quarantacinque
anni fa! Ora ricordava, anzi un fiume di ricordi gli tornarono alla mente, mentre lo sguardo
di lei da ansioso divenne felice e sereno.
“Si!” rispose sicuro, mentre lei lo incalzava con più sicurezza rinfrancata da non essersi
confusa.
“Dove sei stato?” e prosegui con una raffica di domande, mentre Lui doveva in pochi
istanti raccontare quarantacinque anni della sua vita! E mentre guardava la mano di Lui,
lei vide la fede. Domandò, mentre il viso si incupì nuovamente: “Sei sposato?”
“Ho girato per l’Italia ed ora sono tornato definitivamente a casa.” disse e dopo una breve
pausa riprese “Si, sono sposato ed ho una figlia ormai grande”. Lui pronunciava queste
poche frasi, mentre nella sua mente ricordava lei, ragazza con cui aveva avuto una
intensa storia molti anni prima. Erano erano passati tanti anni che aveva perso il conto o
meglio non era in grado contarli con esattezza. “E tu?”, proseguì ben sapendo che si era
sposata tanti anni fa, poco tempo dopo che la loro relazione era terminata.
Sugli occhi scese un velo di grande tristezza. “Sono divorziata. Ho avuto un figlio dal quel
romagnolo”, disse con tono carico di rancore “ e sono nonna. E tu?”
“No, non sono nonno” il Poeta, che avvertiva nelle parole di lei un misto di delusione e di
rimpianto, voleva concludere in fretta il colloquio. Si strinsero la mano salutandosi.

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Il Poeta si sistemò sulla sedia meditando sull’incontro, mentre le Muse erano impazienti ad
origliare i sussurri di Lui per quello incontro inaspettato che lo riportava nel passato
remoto.
Lui le guardò accigliato per la loro invadenza a conoscere tutta la storia presente e quella
passata. Però si domandava incerto e dubbioso se sarebbe riuscito a soddisfare la loro
curiosità.
Riprese il racconto del passato presente.

Poeta raggiunse Lei che stava osservando la scena, mentre Monica percorse pochi metri
all’interno del grande magazzino, fingendo di interessarsi a borse ed altri articoli. In realtà
osservava dove andava e chi incontrava. Lo osservò con un pizzico di invidia e poi uscì,
dopo aver guardato per l’ultima volta con molta attenzione. Si sentiva sola e forse avrebbe
voluto riannodare quel vecchio contatto, che le ricordava tempi dell’adolescenza.
Lei chiese chi era quella signora con la quale aveva parlato a lungo e fittamente. Il Poeta
le disse che era Monica. Lo aveva riconosciuto dopo oltre quaranta anni di lontananza e
pensò un po’ vanitosamente che forse non era cambiato molto nell’aspetto.
Il Poeta rifletteva che proprio la sera prima di questo incontro fortuito aveva aperto il
quaderno delle vecchie poesie dove sicuramente c’erano anche quelle che aveva scritto
per Monica.

Ora era il tempo di passare al passato remoto.

Un’infinitudine silenziosa
popolata dai silenzi più strani
s’estende sopra di me.
In questa infinitudine
ci sono quegli spettrali silenzi,
nei quali t’avvolgo.
Attraverso questa infinitudine
odo la voce del mondo,
di cui tu ne sei l’aspetto esteriore,
una voce del mondo
più silenziosa della morte.
Eppure s’è stabilita
fra noi una corrente
animata da questo
meraviglioso silenzio.
(da “Poesie di Marzo” – Gian Paolo Marcolongo)

Erato riprese la lira pizzicando dolcemente le corde, mentre una melanconica melodia si
spargeva nel sottocoperta.
Il Poeta si sentì smarrito da quel suono, faticando a riordinare la memoria, che era invasa
da molte immagini vecchie e scolorite e da ricordi confusi e disordinati.
Erato comprese lo smarrimento e cessò di suonare, riponendo la lira ai suoi piedi.
Come d’incanto tutto prese forma e i pensieri iniziarono a fluire come l’acqua che scende
allegra in primavera.
La relazione con Monica era stata strana, perché come all’improvviso era nata, così
misteriosamente era cessata.
Calliope si aggiustò meglio sulla scrivania, perché voleva giudicare la storia di Monica per
via dei tanti tentennamenti del Poeta.

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Lui aveva diciasette anni e Monica uno di meno e frequentavano l’uno il liceo scientifico,
l’altra il liceo classico.
I due ingressi erano vicino, li divideva un cortile. Così per gioco cominciò la storia, come
tante altre in quei tempi. Una mattina si fece avanti con un’amica comune per conoscere il
Poeta, che rimase sorpreso di essere oggetto di tanto interesse.
Lui in quell’epoca remota era timido ed insicuro, si sentiva come il brutto anatroccolo.
Monica non era alta, aveva un bel viso regolare, era una ragazza disinvolta e vivace.
Economicamente stava bene, tanto che si diceva che era ‘un bel partito’. Abitava in una
bella villa lontana dal centro città con i genitori e la sorella più giovane.
Il Poeta non aveva mai capito quale molla avesse fatto scattare l’innamoramento di lei,
perché non era alto ed atletico e non era niente.
La famiglia di Lui viveva dignitosamente con molti sacrifici. Come tanti altri ragazzi nel
periodo estivo faceva piccoli lavori stagionali per pesare meno ed avere qualche soldo in
più nel periodo scolastico.
Però si sentiva felice anche se non poteva permettersi troppi lussi come molti dei
compagni che frequentava.
Per Lui fu una bella storia e forse anche importante, perché dopo tante storie durate lo
spazio di un mattino questa lo vide coinvolto per tutto l’anno scolastico. Si vedevano
all’ingresso primo dell’inizio delle lezioni, perché l’uscita era sfalsata con gli orari.
Di cosa parlavano, il Poeta non ricordava nulla, ma immaginava che fosse quello che due
ragazzi di sedici e diciasette anni potevano dirsi.
Rammentava con un pizzico di nostalgia che, quando veniva in centro, passeggiavano in
disparte dagli altri parlando fitto fitto sottovoce. Se non era possibile, passavano lunghi
momenti al telefono alla sera prima di cena. Allora il telefono in casa era un lusso, così Lui
la chiamava dal posto pubblico posto all’interno di un porticato sotto lo sguardo severo di
Savonarola che controllava le conversazioni.
Era romantico allora come lo era ancora adesso. Percepiva che non era cambiato molto.
Gli piaceva fare piccoli regali nei momenti più strani ed insospettabili. Non ricordava con
precisione cosa, perché i ricordi erano confusi o forse perché era stati sovrascritti da quelli
di Lei.
Poi scriveva per lei poesie che gliele leggeva al telefono oppure di persona quando erano
insieme. Lei pretendeva che delle più belle le trascrivesse in bella calligrafia con caratteri
larghi ed armoniosi perché voleva conservarne il ricordo. Il Poeta però ne aveva
preservato solo due nel quaderno, cestinando tutte le altre.
Passò l’anno scolastico. Monica partì come il solito per Milano Marittima, dove aveva la
casa delle vacanze. Si erano dati appuntamento a settembre al rientro. Purtroppo non fu
così.
Lui aveva capito che era finita, ma non si capacitava per quale motivo fosse terminata
senza una spiegazione. Il comportamento gli fece male tanto che pianse in silenzio. Poi
cominciò a dimenticarla, perché conobbe altre ragazze, che comunque non lasciarono un
segno tangibile su di Lui.
Si iscrisse all’Università, ma non era più come prima. I ragazzi del gruppo si erano dispersi
e le festicciole erano sempre più rare. Altri amori effimeri, altre sensazioni non appaganti
caratterizzarono quegli anni, finché non conobbe Lei.
Tutto cambiò mentre la vita del Poeta prese un’altra piega.
Monica non era nemmeno un ricordo, anche quando apriva il quaderno delle poesie e
trovava quelle che aveva scritto per lei.
E tutto fu sommerso dal silenzio, ora c’era solo la luce di Lei.
Il Poeta distese le gambe e terminò di scrivere, era ora che le Muse andassero.

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Capitolo 9 – La nave va incontro alla torre

Ora era nuovamente solo coi suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue emozioni.
Ancora scampoli di memorie passate passavano veloci dall’oblò mentre Lui riprese il
quaderno con tutte le poesie scritte tanti, troppi anni fa.
Ogni poesia era un ricordo bello e piacevole, brutto e sgradevole, che riaffioravano alla
mente come una risorgiva si faceva strada tra i sassi della montagna.
Lui voleva stare solo coi suoi pensieri senza sentirsi oggetto della curiosità delle Muse,
che con la loro presenza lo mettevano a disagio.
Ancora una volta la nave lo stava conducendo indietro nel tempo, quando era un ragazzo
che sognava guardando fuori dalla finestra del liceo, mentre Lui osservava dall’oblò il
retrocedere dell’età.
Adesso compariva la torre di arenaria rossa sporcata dallo smog e dall’uomo mentre
l’immagine nel oblò diventò stabile.

Cara torre, incrostata dal tempo,


che protendi la tozza cima
verso l’infinito cielo,
segna per me l’ora.
Le lancette del tuo orologio
con misurata lentezza
avanzano implacabili
nel loro lungo giro,
mentre fiocchi di neve
inscenano una meravigliosa danza
tutt’intorno a te.
Cara torre, non dirmelo,
lasciami nell’illusione:
dolce è sognare!
Il tuo cupo risuono
m’ammonisce altrimenti:
“E’ la fine! E’ la fine!”
Addio sogni di gloria!
Addio sogni di giovani!
La morte mi porta via.
(da “Conosci il mio intimo” – Gian Paolo Marcolongo)

Quante volte assorto nei pensieri aveva osservato quella torre con l’orologio ormai fermo a
segnare un’ora assurda. Quanti ricordi erano associati a quella visione.
Dal banco guardava attentamente quell’emblema costruito in un tempo quando l’arte era il
simbolo del potere, squadrato, pesante e senza fantasia. Dicevano che era architettura
‘razionale’, ma per il Poeta era un mondo grigio senza immaginazione.
La osservava nel corso delle stagioni mentre mutavano le condizioni della visione.
In autunno era avvolto dalla nebbia, che allora veniva presto a settembre a rendere
indefiniti i contorni, mentre le foglie ingiallivano e cadevano dolcemente a terra.
La parete visibile diventava un grigio sporco che colava in mille rivoli verso la base, mentre
il colore rossastro della pietra spariva ricoperto di nero fuliggine.
Quella torre aveva accolto il Poeta a sei anni e per cinque lunghi anni aveva suonato le
ore. Ora la osservava attraverso il vetro opaco dell’aula.
Quando nevicava i fiocchi bianchi si stagliavano netti sulle pareti, mentre volteggiavano
nell’aria. E Lui disattento scrutava le mille forme che si disegnavano nella sua fantasia,

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finché si riscuoteva dal sogno e tornava a farsi attento.
Altre distrazioni venivano dalla pioggia o dal sole mentre Lui si sdoppiava tra fantasia e
concentrazione. Il Poeta ricordava questa sua capacità di seguire più avvenimenti
contemporaneamente, mentre sembrava assente e disattento.
Ora era venuto il momento di chiudere la pagina dei ricordi per abbandonarsi tra le braccia
del sogno, mentre le immagini svanivano sfumate in lontananza.

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Capitolo 10 – La nave continua il suo viaggio

La nave continuava il suo viaggio tra tempeste e bonacce, mentre il Poeta ogni giorno si
soffermava ad osservare l’oblò dalla scrivania.
Le Muse lo accompagnavano nel tempo, che scandiva il passaggio tra le varie età senza
malinconie o rimpianti di ciò che era stato.

Il cielo è terso di un azzurro pallido,


il campo di grano di un verde smeraldo s’increspa sinuoso e morbido
sotto la sferza di un un vento gelido,
come il mare d’inverno.
La mente vaga leggera,
l’occhio spazia intorno.
E’ una bella mattina d’inverno.
(da “La campagna” – Gian Paolo Marcolongo)

Attraverso il vetro dell’oblò Lui vedeva una distesa verde increspata dal vento che
disegnava motivi sempre nuovi tra l’ondeggiare dei flutti in piccole spume.
Il tempo era vicino, molto prossimo a quello che scorreva lento ora.
Il Poeta era affascinato da quello che l’occhio vedeva, mentre la fantasia metabolizzava le
sensazioni di tranquillità e di bellezza della natura dormiente. Si sedette di nuovo per
mettere sulla carta quello che percepiva come poesia dopo un lungo letargo durato
quaranta anni.
Riaprì quel mondo incantato sotto lo sguardo vigile e benevolo delle Muse, che avevano
aspettato con pazienza questo momento.
Sarebbe stato capace di ridare vita a quei fogli ingialliti dal tempo? Si domandava inquieto
il Poeta non sicuro di riuscire nell’impresa.
Qualche fantasma era riemerso dalle tenebre dell’oblio, che ricopriva tutto con la polvere
sottile della dimenticanza.
Era venuto il tempo di cercare, di frugare nella memoria con l’aiuto del ricordo, ma il Poeta
era restio ad aprire quell’armadio chiuso ed impolverato.
La ricerca aveva dato altri frutti casuali ed a volte succosi tra mondi diversi dal suo, del
quale non immaginava l’esistenza.
Erano sensazioni ed emozioni diverse da quelle intense provate quando incontrò Lei. Però
servivano per riaccendere i motori della fantasia assopita e distratta da diverse attese.
Si fermò a rifiatare per riandare al passato remoto, quando con Lei partì verso terre
lontane per rincorrere il miraggio dei sogni.
Avevano lasciato le certezze di un mondo, che conoscevano da quando erano nati per
affrontare le insicurezze fatte da visi sconosciuti, da luoghi conosciuti per interposta
persona, perché dovevano fare affidamento solo alle loro forze.
Non si persero d’animo e con l’incoscienza di chi era certo di superare tutti gli ostacoli si
ricrearono un nuovo mondo ritagliato come un vestito sulla loro persona.
Viaggiarono in altri posti, mentre lasciavano dietro di sé ricordi e rimpianti sempre col
miraggio della fata Morgana davanti ai loro occhi.
Col tempo i ritorni alle origini divennero sempre più rarefatti, perché la stanchezza del
lungo viaggiare si faceva sentire con gli anni che trascorrevano lenti e diversi.
La voglia di conoscere le novità era molto forte e stimolava il Poeta a comprendere cosa si
celavano dietro i sogni.
Le stagioni si susseguivano intense ed interessanti, mentre il bagaglio delle memorie
diventava un fardello sempre più pesante, ma lieve da gestire.
Gli spostamenti non erano metafore, ma reali e consistenti per approfondire la conoscenza

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di città e paesi, che il Poeta avrebbe trovato solo un segno sulle carte geografiche.
Lei lo seguiva ricominciando daccapo le conoscenze, mentre lasciava altrove le vecchie.

Il Poeta fermò il fiume dei ricordi diventato troppo impetuoso: era tempo di tornare al
presente, congedare le Muse e chiudere il quaderno rosso.

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Capitolo 11 – La storia si conclude

Il Poeta guardò le Muse che si stavano avviando verso la coperta e chiese: “Quale giudizio
esprimete?”
Calliope a nome delle altre due rispose: “Ti senti a tuo agio nell'arte, purché tu riesca a
conservare i tuoi ideali e non si senta costretto a perseguire la fama a tutti i costi. Devi
trovare una nicchia in cui non stai continuamente. L'armonia e la bellezza sono molto
importanti per te. Anche se non riesci a trovarli con facilità nel lavoro quotidiano, hai
bisogno di introdurle nella tua vita per poterti sentire contento e soddisfatto. Può darsi che
tu abbia un talento per la pittura. Potresti anche essere attratto da attività in campo
turistico, purché possa contribuire ad accrescere la conoscenza della gente e non debba
soltanto procurare loro una spiaggia dove arrostire al sole. Irrequietezza non significa che
tu sia pigro o incapace di impegnarti, ma indica la tua voglia di novità. Il tuo limite
principale, per quanto riguarda il lavoro, nasce dalla risorsa più importante: la scarsa
relazione con il mondo materiale. Il tuo interesse per i piani più sottili della realtà è indice
di un'ottima capacità d'immaginazione e di un coinvolgimento interiore. Possiedi risorse
eccezionali a livello immaginativo e intuitivo che meritano di essere attuate in forme utili
agli altri. Ma forse esiti perché temi l'isolamento e ti senti in colpa se ottieni più
riconoscimento o compensi materiali di altre persone meno fortunate di te”.
“Sono lusingato” replicò il Poeta “ma temo che abbiate ragione per quanto riguarda i beni
materiali. Con loro bisticcio sempre”.
Le Muse leggere salirono i gradini che portavano in coperta e in breve sparirono alla vista
di Lui, che rimase in silenzio, mentre la nave entrava lieve nel porto.
Mentre rifletteva, lesse un’ultima poesia

Nella fresca mattina di settembre


relitti fumanti
affiorano
dalla memoria
come frammenti
del passato.
Nella nebbia del mattino
si ricompongono
lentamente
come mosaico della vita.
Sono lì,
vividi e lucidi
che aspettano
un nome.
(da “La campagna” – Gian Paolo Marcolongo)

Ora anche il Poeta poteva lasciare la nave andando alla ricerca di Lei.

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