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Il Quotidiano della Basilicata, domenica 26 febbraio 2012, Risorgimento definito malato e incompiuto. Spunti anche sul mito del brigante e su una rivoluzione passiva.
Se è vero che nomina sunt consequentia rerum, il nome risorgimento è conseguenza di cosa? Della rinascita dai tempi bui post-restaurazione e di liberazione delle genti italiche ? Un risorgere verso un nuovo e luminoso periodo?
Ma questa presunta lucentezza è sopratutto il riflesso di un grande poema epico composto da narrazioni, da racconti, da leggende, da imprese di grandi e piccoli eroi che hanno contribuito a creare il mito di fondazione della nazione/stato Italia.
Una storia/saga del Risorgimento tramandata con la volontà
e il disegno di costruire il culto della patria e che in seguito il fascismo non ha avuto intenzione di metterne in discussione i
valori e i sentimenti dell’amor patrio convertendoli in culto verso il regime e la nazione.
Con la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia era alle prese con problemi maggiori di una rilettura e analisi critica del Risorgimento che per certi versi cementificarono e diedero forza ad un paese in macerie economiche e morali.
Oggi, però, a sentire o leggere alcuni revisionisti del risorgimento, sembra che il Regno delle Due Sicilie con i Borboni fosse una specie di Eldorado e che i briganti fossero dei combattenti/partigiani pronti al sacrificio supremo. E’ chiaro che l’unità d’Italia, non è stata un’unità in senso stretto del termine ma si è trattata di un’annessione … politicamente scorretta e i Savoia si sono comportati da conquistatori scatenando una guerra civile con atti di violenza inaudita che sono ancora una ferita aperta nella storia italiana; ma i Savoia si sono comportati, più o meno, come altri prima di loro.
Per sintetizzare un pensiero del lucano Carlo Alianello, autore del troppo spesso dimenticato L’eredità della Priora, lo stato sabaudo usò i territori invasi più o meno come avevano fatto i vecchi Viceré spagnoli, sfruttando il territorio conquistato fino all’osso e lasciando gli abitanti nei loro problemi atavici, semmai aggravati.
Ad alimentare la confusione, tra presunti buoni e presunti cattivi, contribuisce anche l’immaginario romantico del “brigante”, termine introdotto dai francesi nei primi dell’800 come sinonimo di banditismo. Il più celebrato tra i briganti è sicuramente il generalissimo Carmine Crocco del quale Raffaele Nigro dice : “Sarebbe potuto diventare un eroe positivo della storia, ma Crocco era un pastore che sapeva a malapena leggere e scrivere, un'idea precisa di quello che stava facendo non ce l'aveva”
Si descrive spesso di un brigantaggio come sinonimo di lotta partigiana contro l’invasore piemontese a difesa dei Borboni.
Un invasore desiderato visto che la realtà ci dice che i fantomatici Mille di Garibaldi nulla avrebbero potuto senza l’aiuto delle popolazioni locali e il volere delle potenti famiglie del tempo. Lo stesso Crocco, inizialmente, si aggregò ai garibaldini illuso dalle promesse delle terre per tutti.
Senza la collaborazione delle genti locali, i garibaldini avrebbero subito la stessa sorte del rivoluzionario Carlo Pisacane e dei suoi “ Trecento giovani forti e son tutti morti”, ammazzati dalla Guardia Nazionale nel 1857, nei pressi di Lagonegro, subito dopo lo sbarco a Sapri.
Il brigantaggio post-unitario reagì con violenza alle promesse tradite; i briganti vennero soprattutto usati come pedine dai latifondisti agrari e dalla nobiltà meridionale per ottenere vantaggi e mantenere antichi privilegi che il nuovo stato unitario sembrava volere eliminare. Il brigante Crocco nelle sue memorie scrisse a proposito: "...Che le plebi ammirassero e amassero Angiolillo, è naturale; ma alquanto strano può sembrare ch’egli destasse simpatie anche nella classi colte… ch’egli presentava, del tipo del buon ladrone, del brigante umanitario...”
Quando la grande borghesia agraria capì che nulla sarebbe cambiato abbandonarono i briganti al loro destino di deli
Il Quotidiano della Basilicata, domenica 26 febbraio 2012, Risorgimento definito malato e incompiuto. Spunti anche sul mito del brigante e su una rivoluzione passiva.
Se è vero che nomina sunt consequentia rerum, il nome risorgimento è conseguenza di cosa? Della rinascita dai tempi bui post-restaurazione e di liberazione delle genti italiche ? Un risorgere verso un nuovo e luminoso periodo?
Ma questa presunta lucentezza è sopratutto il riflesso di un grande poema epico composto da narrazioni, da racconti, da leggende, da imprese di grandi e piccoli eroi che hanno contribuito a creare il mito di fondazione della nazione/stato Italia.
Una storia/saga del Risorgimento tramandata con la volontà
e il disegno di costruire il culto della patria e che in seguito il fascismo non ha avuto intenzione di metterne in discussione i
valori e i sentimenti dell’amor patrio convertendoli in culto verso il regime e la nazione.
Con la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia era alle prese con problemi maggiori di una rilettura e analisi critica del Risorgimento che per certi versi cementificarono e diedero forza ad un paese in macerie economiche e morali.
Oggi, però, a sentire o leggere alcuni revisionisti del risorgimento, sembra che il Regno delle Due Sicilie con i Borboni fosse una specie di Eldorado e che i briganti fossero dei combattenti/partigiani pronti al sacrificio supremo. E’ chiaro che l’unità d’Italia, non è stata un’unità in senso stretto del termine ma si è trattata di un’annessione … politicamente scorretta e i Savoia si sono comportati da conquistatori scatenando una guerra civile con atti di violenza inaudita che sono ancora una ferita aperta nella storia italiana; ma i Savoia si sono comportati, più o meno, come altri prima di loro.
Per sintetizzare un pensiero del lucano Carlo Alianello, autore del troppo spesso dimenticato L’eredità della Priora, lo stato sabaudo usò i territori invasi più o meno come avevano fatto i vecchi Viceré spagnoli, sfruttando il territorio conquistato fino all’osso e lasciando gli abitanti nei loro problemi atavici, semmai aggravati.
Ad alimentare la confusione, tra presunti buoni e presunti cattivi, contribuisce anche l’immaginario romantico del “brigante”, termine introdotto dai francesi nei primi dell’800 come sinonimo di banditismo. Il più celebrato tra i briganti è sicuramente il generalissimo Carmine Crocco del quale Raffaele Nigro dice : “Sarebbe potuto diventare un eroe positivo della storia, ma Crocco era un pastore che sapeva a malapena leggere e scrivere, un'idea precisa di quello che stava facendo non ce l'aveva”
Si descrive spesso di un brigantaggio come sinonimo di lotta partigiana contro l’invasore piemontese a difesa dei Borboni.
Un invasore desiderato visto che la realtà ci dice che i fantomatici Mille di Garibaldi nulla avrebbero potuto senza l’aiuto delle popolazioni locali e il volere delle potenti famiglie del tempo. Lo stesso Crocco, inizialmente, si aggregò ai garibaldini illuso dalle promesse delle terre per tutti.
Senza la collaborazione delle genti locali, i garibaldini avrebbero subito la stessa sorte del rivoluzionario Carlo Pisacane e dei suoi “ Trecento giovani forti e son tutti morti”, ammazzati dalla Guardia Nazionale nel 1857, nei pressi di Lagonegro, subito dopo lo sbarco a Sapri.
Il brigantaggio post-unitario reagì con violenza alle promesse tradite; i briganti vennero soprattutto usati come pedine dai latifondisti agrari e dalla nobiltà meridionale per ottenere vantaggi e mantenere antichi privilegi che il nuovo stato unitario sembrava volere eliminare. Il brigante Crocco nelle sue memorie scrisse a proposito: "...Che le plebi ammirassero e amassero Angiolillo, è naturale; ma alquanto strano può sembrare ch’egli destasse simpatie anche nella classi colte… ch’egli presentava, del tipo del buon ladrone, del brigante umanitario...”
Quando la grande borghesia agraria capì che nulla sarebbe cambiato abbandonarono i briganti al loro destino di deli
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Il Quotidiano della Basilicata, domenica 26 febbraio 2012, Risorgimento definito malato e incompiuto. Spunti anche sul mito del brigante e su una rivoluzione passiva.
Se è vero che nomina sunt consequentia rerum, il nome risorgimento è conseguenza di cosa? Della rinascita dai tempi bui post-restaurazione e di liberazione delle genti italiche ? Un risorgere verso un nuovo e luminoso periodo?
Ma questa presunta lucentezza è sopratutto il riflesso di un grande poema epico composto da narrazioni, da racconti, da leggende, da imprese di grandi e piccoli eroi che hanno contribuito a creare il mito di fondazione della nazione/stato Italia.
Una storia/saga del Risorgimento tramandata con la volontà
e il disegno di costruire il culto della patria e che in seguito il fascismo non ha avuto intenzione di metterne in discussione i
valori e i sentimenti dell’amor patrio convertendoli in culto verso il regime e la nazione.
Con la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia era alle prese con problemi maggiori di una rilettura e analisi critica del Risorgimento che per certi versi cementificarono e diedero forza ad un paese in macerie economiche e morali.
Oggi, però, a sentire o leggere alcuni revisionisti del risorgimento, sembra che il Regno delle Due Sicilie con i Borboni fosse una specie di Eldorado e che i briganti fossero dei combattenti/partigiani pronti al sacrificio supremo. E’ chiaro che l’unità d’Italia, non è stata un’unità in senso stretto del termine ma si è trattata di un’annessione … politicamente scorretta e i Savoia si sono comportati da conquistatori scatenando una guerra civile con atti di violenza inaudita che sono ancora una ferita aperta nella storia italiana; ma i Savoia si sono comportati, più o meno, come altri prima di loro.
Per sintetizzare un pensiero del lucano Carlo Alianello, autore del troppo spesso dimenticato L’eredità della Priora, lo stato sabaudo usò i territori invasi più o meno come avevano fatto i vecchi Viceré spagnoli, sfruttando il territorio conquistato fino all’osso e lasciando gli abitanti nei loro problemi atavici, semmai aggravati.
Ad alimentare la confusione, tra presunti buoni e presunti cattivi, contribuisce anche l’immaginario romantico del “brigante”, termine introdotto dai francesi nei primi dell’800 come sinonimo di banditismo. Il più celebrato tra i briganti è sicuramente il generalissimo Carmine Crocco del quale Raffaele Nigro dice : “Sarebbe potuto diventare un eroe positivo della storia, ma Crocco era un pastore che sapeva a malapena leggere e scrivere, un'idea precisa di quello che stava facendo non ce l'aveva”
Si descrive spesso di un brigantaggio come sinonimo di lotta partigiana contro l’invasore piemontese a difesa dei Borboni.
Un invasore desiderato visto che la realtà ci dice che i fantomatici Mille di Garibaldi nulla avrebbero potuto senza l’aiuto delle popolazioni locali e il volere delle potenti famiglie del tempo. Lo stesso Crocco, inizialmente, si aggregò ai garibaldini illuso dalle promesse delle terre per tutti.
Senza la collaborazione delle genti locali, i garibaldini avrebbero subito la stessa sorte del rivoluzionario Carlo Pisacane e dei suoi “ Trecento giovani forti e son tutti morti”, ammazzati dalla Guardia Nazionale nel 1857, nei pressi di Lagonegro, subito dopo lo sbarco a Sapri.
Il brigantaggio post-unitario reagì con violenza alle promesse tradite; i briganti vennero soprattutto usati come pedine dai latifondisti agrari e dalla nobiltà meridionale per ottenere vantaggi e mantenere antichi privilegi che il nuovo stato unitario sembrava volere eliminare. Il brigante Crocco nelle sue memorie scrisse a proposito: "...Che le plebi ammirassero e amassero Angiolillo, è naturale; ma alquanto strano può sembrare ch’egli destasse simpatie anche nella classi colte… ch’egli presentava, del tipo del buon ladrone, del brigante umanitario...”
Quando la grande borghesia agraria capì che nulla sarebbe cambiato abbandonarono i briganti al loro destino di deli
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