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di Michele Mari
scelte da lui medesimo
di Michele Mari
L’illuminista 238
Le 30 pagine più belle di Michele Mari scelte da lui medesimo
Il pesce ottativo.
243 L’illuminista
Michele Mari
L’illuminista 252
Le 30 pagine più belle di Michele Mari scelte da lui medesimo
assottiglino in uno”.
E Conrad disse: “Poiché di polacco facendomi
inglese m’ebbi gli scrittori di quell’isola a compagni e
con ciò stesso a rivali, non mi dispiacerebbe trovarmi
di fronte al signor Stevenson, al quale vi sarei grato se
a tale scopo faceste avere mie notizie”.
“Il signor Stevenson” – osservai – “ora si chiama
Tusitala, che significa Colui che racconta le storie, e la
sua patria è nelle isole Samoa, in un posto chiamato
Vailima cioè I Cinque Fiumi”.
“Allora riferite al signor Tusitala che Joseph Conrad
sarebbe onorato di essere ricevuto nella Casa dei Cin-
que Fiumi, perché l’uno si provi nell’altro”.
Così cercai Tusitala e gli dissi: “Raccontatore ama-
to che come una pioggia sottile illuminata dal sole vela-
te il mondo di un malinconico incanto, voi che nella cul-
la dovete essere stato accarezzato da un dio perché
adoperate la penna come un flauto e riempite di strug-
gimento i cuori degli uomini; voi che dell’avventura fate
incubo e fiaba e che nella vostra delicatezza di pallido
selenita nascondete la violenza dell’astro infuocato,
come oltre a quella famosissima storia di doppiezza e
di trasformazione mostruosa dimostra l’odio che legò
per la vita e per la morte Durrisdeer e Ballantrae; voi
che siete stato capace di scrivere L’isola del tesoro,
libro che fra i mille suoi pregi ha quello di rallentare la
crescita di chi ha avuto la fortuna di leggerlo nell’ado-
lescenza, ch’è l’età vostra eterna, libro saturo di miste-
ro eppure plastico e sodo, libro irreale eppur legnoso e
salmastro, libro spettacoloso ch’io non esito a definire
il più bel libro d’avventura che sia mai stato scritto, se
in proposito mi vengon dei dubbî mi basta pensare a
personaggi come Silver o Cane Nero per non averne
più; insomma voi, che io qui voglio ancora chiamare
con il musicalissimo nome di Robert Louis Stevenson
per riallacciarmi a tutte le volte in cui mi chiesero qua-
li fossero i miei scrittori preferiti ed io pur rispondendo
in vario modo a seconda dell’età e della conoscenza
non mancai mai di includervi nell’eletta sempre pro-
L’illuminista 256
Le 30 pagine più belle di Michele Mari scelte da lui medesimo
ebbe fine.
“Dai miei personaggi”, suonò piena di garbo la voce
di Conrad, “ho sempre preteso che sapessero trarre le
conseguenze… non importa di cosa, le conseguenze.
Penso che andrò a trovare il vecchio Kurtz laggiù in
Africa, almeno per qualche tempo. Quanto a voi, caro
Tusitala, vi faccio il mio augurio più profondo, perché
ne avrete bisogno. Addio, è stato un onore”.
E Stevenson disse: non ero più degno di voi, ma
poiché il destino ha voluto così, accetto di gran cuore
il vostro augurio.
E all’orizzonte si vide il getto d’acqua di una balena,
e quello era il saluto e l’omaggio di Melville.
Così Robert Louis Stevenson ed Herman Melville si
erano divisi il mondo come il giorno e la notte, e dove
finiva il regno dell’uno incominciava il regno dell’altro,
e le rotte delle loro navi non potevano più incontrarsi:
perché uno era la giovinezza e l’altro era la maturità, e
uno era la grazia e l’altro la potenza, ma uno era il
romanzo e l’altro era il romanzo. E quella loro scissio-
ne era così grave che gli oceani non potevano più
sostenerla, e da tutti i porti del globo salparono dele-
gazioni di marinai per chiedere ai due massimi scritto-
ri di por fine in un modo o nell’altro a una situazione
che impediva a tutti i bravi uomini di mare di continua-
re a fare serenamente il loro lavoro, perché i pesche-
recci non gettavano più le reti, e i mercantili non tra-
sportavano più, e i legni corsari non andavano più
all’arrembaggio, e le navi da guerra non cannoneggia-
vano più, e le baleniere non inseguivano più le balene,
e le golette, i clipper, le fregate, i brigantini, le feluche,
i sampàn e tutti gli altri tipi di naviglio intristivano
ormeggiati nei porti o all’ancora nelle baie. Così un
giorno Robert Louis Stevenson, che essendo il più
sensibile dei due avvertiva maggiormente il peso di
quella universale angoscia e sospensione, si decise a
malincuore a mandare i testimoni a Herman Melville, e
volendo far cosa gentile scelse per quella missione il
compìto ragazzo Jim Hawkins e l’onesto vegliardo Ben
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