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La Stampa 26 gennaio 2000

Nascer una nuova razza di schiavi?


Il problema bioetico posto dalla possibilit - che per ora rimane tale - di creare in laboratorio cellule viventi da materiali inanimati non ha niente o quasi niente a che fare con quelli a cui la bioingegneria si trova di fronte quando si tratta di intervenire su embrioni umani. Non possiamo per esempio applicare a questa eventuale cellula, o all'organismo che essa potrebbe contribuire a costituire, l'idea di un'anima infusa direttamente da Dio al momento del concepimento - idea che sta alla base della sacralit della vita come la pensa la teologia cattolica. La quale anche quando si tratta della clonazione di animali come la pecora Dolly si preoccupa solo in quanto si prospetta la possibilit che la stessa tecnica riproduttiva possa applicarsi all'uomo. Noi per ora non sappiamo se l'organismo vivente costruito in laboratorio o il clone umano prodotto con il metodo Dolly avrebbero o no un'anima. Tendiamo a credere che ci sia pi probabile nel caso dell'eventuale clone, che se nascesse sarebbe solo una specie di gemello, a cui dovremmo riconoscere tutti i diritti di un essere umano "vero". Soprattutto rispetto a una possibilit come questa, occorre ovviamente procedere con estrema prudenza; che per richiesta anche nel caso della cellula creata da zero nel laboratorio. Quel che suscita pi perplessit e problemi di fonte a ipotesi come queste non tanto lo sgomento di toccare le radici della vita o di oltrepassare i limiti umani, esponendoci al destino di dannazione di Faust. Sono piuttosto questioni concrete come quella della "propriet" di questi viventi, e dei brevetti industriali che si dovrebbero stabilire su di loro. Produrremo forse una nuova razza di schiavi? Speriamo solo che, se nasceranno, anche in laboratorio, questi schiavi abbiano un giorno la forza di ribellarsi: cos dimostreranno senza dubbio di avere un'anima. GIANNI VATTIMO

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