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HONOR DE BALZAC

EUGNIE GRANDET

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In copertina: Artist Name: Pierre Gustave Eugene (Gustave) Staal Charles Grandet and Nanon, illustration from Eugenie Grandet by Painting Title: Honore de Balzac 1799-1850, 19th century Museum: Bibliothque Nationale, Paris, France

A MARIA Che il vostro nome, voi il cui ritratto il pi bell'ornamento di quest'opera, sia come un ramo benedetto, preso da non si sa quale albero, ma di certo santificato dalla religione, rinnovato, sempre verde, da mani pie, per proteggere la casa. DE BALZAC In certe citt di provincia si trovano delle case la cui vista ispira una malinconia pari a quella che suscitano i chiostri pi cupi, le lande pi squallide o i ruderi pi tristi. Forse in queste case ci sono insieme il silenzio dei chiostri e l'aridit delle lande, e gli scheletri dei ruderi; la vita e il movimento vi sono cos sopiti che un estraneo le crederebbe disabitate, se all'improvviso non gli capitasse di incontrare lo sguardo vacuo e freddo di una persona il cui volto quasi monastico si sporge, al rumore di un passo sconosciuto, oltre il davanzale della finestra. Questi tratti malinconici si ritrovano nell'aspetto di una casa situata a Saumur, in cima alla strada in salita che attraverso la parte alta della citt, mena al castello. Questa strada, oggi poco frequentata, calda d'estate, fredda d'inverno, buia in certi punti, notevole per la sonorit del selciato, sempre pulito e asciutto, per la strettezza della carreggiata tortuosa, per il silenzio delle case che appartengono alla citt vecchia e sulle quali incombono i bastioni. Vi sono abitazioni tre volte centenarie ancora solide nonostante siano costruite in legno e le loro diverse caratteristiche concorrono a quell'originalit che raccomanda questa parte di Saumur all'attenzione degli antiquari e degli artisti. difficile passare davanti a queste case senza ammirare le enormi travi alle cui estremit sono scolpite bizzarre figure e che nella maggior parte dei casi incorniciano con un bassorilievo nero il pianterreno. Qui, delle centine di legno trasversali, coperte di ardesia, tracciano linee blu sulle fragili mura di una casa che culmina in un tetto a falde piegato dagli anni e i cui travicelli marciti si sono imbarcati per l'azione ora della pioggia ora del sole. L, si scorgono davanzali consunti, anneriti; le loro delicate sculture sono appena visibili, ed essi non paiono abbastanza robusti per il vaso di terracotta dal quale si levano i garofani e il rosaio di una povera lavorante. Pi in l, ci sono porte decorate da borchie enormi sulle quali l'inventiva dei nostri avi ha tracciato geroglifici personali il cui significato
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perduto per sempre. Qui un protestante vi ha proclamato la sua fede, l un leghista vi ha maledetto Enrico IV. Qualche borghese vi ha inciso le insegne della sua nobilt di toga, la gloria di un antico scabinato. C' tutta intera la storia della Francia. Accanto alla casa malferma a spigoli rustici dove l'artigiano ha fatto della sua pialla una divinit, si erge il palazzetto di un gentiluomo; sull'arco del portale di pietra si scorgono ancora i contorni dello stemma, spezzato dalle varie rivoluzioni che dopo il 1789 hanno sconvolto il paese. In questa strada, i pianterreni adibiti al commercio non sono n botteghe n magazzini; gli amanti del Medioevo vi ritroverebbero l'operosit dei nostri padri in tutta la sua ingenua semplicit. Questi locali bassi senza esposizione, senza mostra, senza vetrine, sono profondi, bui e disadorni all'esterno come all'interno. La porta, grossolanamente ferrata, si apre nel senso della larghezza con due battenti; quello superiore si ripiega verso l'interno, mentre l'inferiore, in continuo movimento, provvisto di un campanello a molla. L'aria e la luce penetrano in quella specie di antro umido o dall'alto della porta, o attraverso l'apertura che si trova fra la volta, il piancito e il muretto basso nel quale vanno a incastrarsi delle solide imposte, che vengono tolte il mattino e rimesse la sera assicurandole con sbarre di ferro bullonate. Quel muretto serve a esibire le mercanzie del negoziante. L, niente ciarlatanerie. A seconda di ci che vi si vende, il campionario esposto consta di due o tre barilotti di sale e di merluzzo, di qualche rotolo di tela per vele, di ottone appeso ai correnti del soffitto, di cerchi appoggiati alle pareti e di qualche pezza di stoffa sugli scaffali. Entrate, una ragazza linda, fresca e giovane, con uno scialletto bianco, le braccia arrossate, interromper il lavoro a maglia, chiamer il padre o la madre, che verranno e vi venderanno, flemmatici, premurosi o arroganti, secondo il loro carattere, quello che chiedete, siano venti soldi o ventimila franchi di merce. Vedrete un commerciante di legname per doghe seduto sull'uscio, che gira i pollici mentre chiacchiera con il vicino; in apparenza non ha che dei brutti scaffali per bottiglie e due o tre fasci di listelli; ma sul porto il suo magazzino stracolmo fornisce tutti i bottegai dell'Angi; egli sa, tavola pi tavola meno, quante botti pu fare se l'annata buona; un colpo di sole lo arricchisce, un rovescio di pioggia lo manda in rovina; in una mattinata il prezzo dei barili pu passare da venti franchi a sei lire. In questo paese, come in Turenna, le vicissitudini del clima condizionano le attivit commerciali. Vignaioli, proprietari, mercanti di legname, locandieri, marinai, tutti sono alla merc di un raggio di sole; la sera si coricano con il
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timore di apprendere l'indomani mattina che durante la notte ha gelato; temono la pioggia, il vento, la siccit e vorrebbero che l'acqua, il caldo, le nuvole obbedissero ai loro desideri. C' una lotta continua fra il cielo e gli interessi terreni. Il barometro di volta in volta incupisce, rasserena, allieta le facce. Da un capo all'altro di questa strada, l'antica Grand-Rue di Saumur, queste parole: " un tempo d'oro!" vengono soppesate di porta in porta. E ognuno risponde al vicino: "Piovono luigi!" sapendo ci che gli frutter un raggio di sole, una pioggia al momento giusto. Durante la bella stagione, il sabato verso mezzogiorno, non riuscirete a ottenere da questi bravi commercianti nemmeno un soldo di mercanzia. Ciascuno ha una vigna, un podere e va a passare due giorni in campagna. Poich l tutto previsto, le compere, le vendite, i profitti, i commercianti si trovano ad avere dieci ore su dodici da impiegare in lieti intrattenimenti, in un continuo osservare, commentare, spiare. Se una massaia compra una pernice, i vicini chiederanno senza fallo al marito se stata ben cucinata. Se una ragazza mette il capo alla finestra, sar notata da tutti i crocchi di sfaccendati. L, dunque, le coscienze sono alla luce del giorno, cos come quelle case impenetrabili, nere e silenziose non hanno misteri. La vita si svolge quasi sempre all'aria aperta: ogni famiglia si siede davanti alla porta, vi pranza, vi cena, vi litiga. Non passa persona per la strada che non venga studiata. Similmente, un tempo, quando un forestiero arrivava in una citt di provincia, gli tagliavano i panni addosso di porta in porta. Di qui gli aneddoti ameni, di qui l'appellativo di burloni dato agli abitanti di Angers, che eccellevano in queste facezie cittadine. Gli antichi palazzotti della citt vecchia sono situati in capo a questa strada, una volta abitata dai gentiluomini del paese. La casa, malinconica, dove sono accaduti gli eventi della nostra storia, era precisamente una di queste, resti venerabili di un secolo in cui le cose e gli uomini avevano quella semplicit che i costumi francesi vanno perdendo di giorno in giorno. Dopo aver seguito le curve di questa strada pittoresca, dove la pi piccola irregolarit suscita ricordi e il cui effetto generale quello di farvi piombare automaticamente in una sorta di fantasticheria, scorgete una rientranza piuttosto buia, al centro della quale si trova, un po' nascosta, la porta di casa Grandet. impossibile comprendere tutto il valore di questa espressione, se non si fornisce la biografia di M. Grandet. M. Grandet godeva a Saumur di una reputazione le cui cause e i cui effetti non possono essere valutati appieno da chi non abbia vissuto, poco o
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molto, in provincia. M. Grandet, che ancora alcuni, ma il numero di questi vegliardi diminuiva sensibilmente, chiamavano pap Grandet, nel 1789 era un agiato bottegaio che sapeva leggere, scrivere e far di conto. Quando la repubblica francese mise in vendita, nel distretto di Saumur, i beni del clero, il bottegaio, che aveva allora quaranta anni, si era appena sposato con la figlia di un ricco commerciante di tavolame. Grandet, munito di tutto il suo denaro liquido e della dote, munito di duemila luigi d'oro, and al distretto dove, grazie all'esborso di duecento doppi luigi, offerti dal suocero allo scorbutico repubblicano che sovrintendeva alla vendita dei beni demaniali, per un pezzo di pane ebbe legalmente, se non legittimamente, i pi bei vigneti del circondario, una vecchia abbazia e alcune cascine. Poich gli abitanti di Saumur non erano certo dei rivoluzionari, pap Grandet si fece la fama di uomo audace, di repubblicano, di patriota, di persona che teneva in conto le nuove idee, mentre i bottai di solito tenevano in conto le vigne. Fu nominato membro dell'amministrazione del distretto di Saumur, e il suo spirito conciliante fece sentire la sua influenza sia sul piano politico sia su quello commerciale. Sul piano politico, protesse gli aristocratici e imped, usando tutto il suo potere, la vendita dei beni degli emigrati; sul piano commerciale, forn alle armate repubblicane un migliaio o due di fusti di vino bianco, facendosi dare in cambio dei meravigliosi prati compresi fra le terre di una comunit religiosa femminile che erano state riservate come ultimo lotto. Durante il Consolato, il bravo Grandet divent sindaco, amministr bene, vendemmi meglio; sotto l'impero, fu M. Grandet. Napoleone non amava i repubblicani: sostitu M. Grandet, del quale si diceva che avesse portato il berretto frigio, con un latifondista, un uomo con la particella nobiliare, un futuro barone dell'impero. M. Grandet lasci la carica municipale senza alcun rimpianto. Nell'interesse della citt aveva fatto costruire ottime strade che conducevano alle sue propriet. Sulla sua casa e sulle sue terre, grazie a vantaggiose iscrizioni catastali, gravavano imposte molto contenute. Dopo la classificazione dei suoi diversi poderi, i suoi vigneti, grazie alle cure costanti, erano diventati classici della zona, espressione tecnica usata per indicare le vigne che producevano la migliore qualit di vino. Avrebbe potuto chiedere la croce della Legion d'onore. La qual cosa accadde nel 1806. M. Grandet aveva allora cinquantasette anni e sua moglie circa trentasei. La figlia, unico frutto dei loro legittimi amori, aveva dieci anni. M. Grandet, che la Provvidenza volle senza dubbio
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consolare del fatto di essere caduto in disgrazia come amministratore, durante quell'anno raccolse, a breve distanza l'una dall'altra, l'eredit di Mme de la Gaudinire, nata de la Bertellire, madre di Mme Grandet; poi quella del vecchio M. de la Bertellire, padre della defunta; infine quella di Mme Gentillet, nonna materna: tre eredit la cui consistenza rimase sconosciuta a tutti. L'avarizia dei tre vegliardi era tale che da anni essi tesaurizzavano il loro denaro per poterlo contemplare in segreto. Il vecchio M. de la Bertellire definiva prodigalit un investimento, trovando pi interesse nella vista dell'oro che negli utili dell'usura. La citt di Saumur valut dunque l'ammontare delle economie in base alle rendite dei beni al sole. M. Grandet ottenne allora quel nuovo titolo di nobilt che la nostra mania per l'uguaglianza non riuscir mai a cancellare, divent il pi tassato del distretto. Possedeva cento arpenti a vigneto, che, nelle annate buone gli davano sette o ottocento barili di vino. Possedeva tredici cascine, una vecchia abbazia, dove, da quell'uomo economo che era, aveva fatto murare, preservandole in tal modo, finestre, ogive e vetrate: e poi centoventi arpenti di terra dove crescevano e si irrobustivano tremila pioppi piantati nel 1793. Infine la casa nella quale abitava era sua. Questo per ci che riguardava i beni visibili. Quanto ai suoi capitali, due sole persone erano in grado di valutarne, sia pure in modo approssimativo, la consistenza: una era M. Cruchot, notaio, che si occupava dei prestiti a interesse di M. Grandet; l'altra era M. des Grassins, il pi ricco banchiere di Saumur, ai cui utili il vignaiolo partecipava a sua discrezione e segretamente. Sebbene il vecchio Cruchot e M. des Grassins possedessero quella totale discrezione che suscitano, in provincia, la fiducia e il denaro, entrambi manifestavano in pubblico un tale rispetto per M. Grandet che agli osservatori era possibile valutare la consistenza dei capitali dell'ex sindaco in base alla ossequiosa considerazione di cui egli era oggetto. A Saumur tutti erano convinti che M. Grandet possedesse un tesoro, un nascondiglio pieno di luigi, e che nottetempo si abbandonasse alle ineffabili gioie che procura la vista di una grande massa d'oro. Gli avari ne avevano quasi la certezza vedendo gli occhi del brav'uomo ai quali il giallo metallo sembrava aver trasmesso il suo colore. Gli occhi di un uomo abituato a ricavare dai suoi capitali un interesse enorme prendono necessariamente, come negli individui sensuali, nei giocatori o nei cortigiani, certe abitudini indefinibili, dei battiti furtivi, avidi, misteriosi che non sfuggono a quelli come lui. Questo linguaggio segreto forma in qualche modo la massoneria delle
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passioni. M. Grandet ispirava dunque la stima rispettosa alla quale ha diritto un uomo che non deve nulla a nessuno, che, esperto bottegaio e vignaiolo, indovina con la precisione di un astronomo quando per la sua vendemmia bisognava fabbricare mille barili o appena cinquecento; che non si lasciava sfuggire una sola speculazione, aveva sempre delle botti da vendere quando la botte valeva pi del raccolto, che poteva conservare nelle sue cantine il prodotto della vendemmia e aspettare di vendere il barile a duecento franchi mentre i piccoli proprietari dovevano cederlo a cinque luigi. La sua famosa vendemmia del 1811, oculatamente conservata, venduta a poco a poco, gli aveva fruttato pi di duecentoquarantamila lire. Dal punto di vista finanziario, M. Grandet aveva della tigre e del boa: sapeva accovacciarsi, rannicchiarsi, studiare a lungo la preda e alla fine balzarle addosso, poi spalancava le fauci della borsa, ingoiava una massa di scudi, e si acciambellava tranquillo, come il serpente che digerisce, impassibile, freddo, metodico. Nessuno lo vedeva passare senza provare un senso di ammirazione nel quale entravano il rispetto e il terrore. Chi a Saumur non aveva provato i graffi cortesi dei suoi artigli di acciaio? A quello, il notaio Cruchot aveva procurato il denaro occorrente per l'acquisto di un fondo, ma all'undici per cento; a questo, M. des Grassins aveva scontato delle tratte, ma computandogli un interesse spaventoso. Erano pochi i giorni in cui non venisse fatto il nome di M. Grandet, vuoi al mercato vuoi durante le conversazioni serali in citt. Per qualcuno, la fortuna del vecchio vignaiolo era motivo di orgoglio campanilistico. Cos pi di un negoziante, pi di un locandiere diceva ai forestieri, con una certa soddisfazione: "Signore, noi abbiamo qui due o tre famiglie milionarie; ma quanto a M. Grandet, nemmeno lui conosce le sue ricchezze!". Nel 1816, i pi abili calcolatori di Saumur stimavano i beni immobili del brav'uomo a quattro milioni; ma poich dal 1793 al 1817 le sue rendite fondiarie potevano essere valutate, in media, sui centomila franchi l'anno, era presumibile che in denaro liquido possedesse una somma quasi uguale al valore degli immobili. Perci, quando, dopo una partita di boston o dopo aver parlato di vigneti, saltava fuori il nome di M. Grandet, quelli che se ne intendevano dicevano: "Pap Grandet? ... pap Grandet deve avere qualcosa come cinque o sei milioni." "Lei pi bravo di me, io non sono mai riuscito a sapere l'ammontare preciso", rispondevano M. Cruchot o M. des Grassins, quando capitava loro di sentire questi discorsi. C'erano dei parigini che parlavano dei Rothschild o di M. Laffitte e quelli di Saumur
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chiedevano se fossero ricchi quanto M. Grandet. Se il parigino, sorridendo, lo affermava con una certa aria di commiserazione, quelli si guardavano fra loro e scuotevano la testa increduli. Una fortuna di tale entit copriva con un mantello d'oro tutte le azioni di quell'uomo. Se dapprima alcuni episodi della sua vita avevano dato esca al ridicolo e alla canzonatura, canzonatura e ridicolo avevano finito col logorarsi. In ogni suo comportamento, fin nel pi trascurabile, M. Grandet aveva dalla sua l'autorevolezza della cosa giudicata. La sua parola, il suo modo di vestire, i suoi atteggiamenti, l'ammiccare degli occhi facevano testo in un paese dove ognuno, dopo averlo studiato come un naturalista studia gli effetti dell'istinto negli animali, aveva dovuto riconoscere la profonda e laconica saggezza di ogni suo pur minimo gesto. L'inverno sar duro, si diceva, pap Grandet ha messo i guanti foderati: bisogner vendemmiare. Pap Grandet sta comperando parecchio legno per doghe, avremo vino quest'anno. M. Grandet non comprava mai n carne n pane. I suoi fittavoli ogni settimana, come quota in natura, gli portavano provviste sufficienti di capponi, polli, uova, burro e grano. Egli possedeva un mulino il cui locatario, oltre a corrispondergli il canone d'affitto, doveva ritirare una certa quantit di grano e riportargli la crusca e la farina. Ogni sabato Nanon, un donnone che era la sua unica domestica, sebbene non fosse pi giovane, faceva il pane per la casa. M. Grandet si era accordato con gli ortolani, suoi affittuari, affinch gli fornissero le verdure. Quanto alla frutta ne raccoglieva tanta che una buona parte la faceva vendere al mercato. La legna da ardere era tagliata dalle sue siepi o presa dai vecchi alberi mezzi marci che egli faceva togliere dai bordi dei campi, e i fittavoli gliela trasportavano in citt bella e segata, gliela sistemavano per cortesia nella legnaia e ricevevano i suoi ringraziamenti. Le sue uniche spese note erano quelle per il pane benedetto, per gli abiti della moglie e della figlia e per l'affitto delle loro sedie in chiesa; per la luce, per il salario di Nanon, per la stagnatura delle casseruole; per il pagamento delle tasse, per le riparazioni dei fabbricati e per la conduzione dei fondi. Aveva acquistato da poco seicento arpenti di bosco che faceva sorvegliare dalla guardia di un vicino, al quale prometteva un indennizzo. Solo dopo questo acquisto aveva preso a mangiare selvaggina. Le maniere di quest'uomo erano molto semplici. Parlava poco. In genere, esprimeva le sue idee mediante brevi frasi sentenziose pronunciate con voce dolce. Dopo la Rivoluzione, epoca durante la quale si era fatto notare, se doveva parlare a lungo o sostenere
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una discussione, il brav'uomo cominciava a balbettare in modo penoso. Quel suo balbettare, l'incoerenza del discorso, il flusso di parole in cui annegava il suo pensiero, l'apparente mancanza di logica, attribuiti a scarsa istruzione, erano simulati, come verr sufficientemente chiarito da alcuni fatti di questa storia. Del resto, quattro frasi, esatte come formule algebriche, gli servivano di norma ad affrontare, a risolvere tutte le difficolt della vita e degli affari: "Non so, non posso, non voglio, si vedr." Non diceva mai s o no, e non scriveva. Quando gli parlavano, ascoltava impassibile, appoggiando il mento sulla mano destra e il gomito destro sul dorso della mano sinistra, e su ogni faccenda si formava delle opinioni sulle quali non tornava pi. Rifletteva a lungo sul pi piccolo affare. Quando, dopo una accorta conversazione, il suo interlocutore finiva per rivelargli le sue mire segrete credendo di averlo in pugno, egli rispondeva: "Non posso concludere senza aver consultato mia moglie." La moglie, che egli aveva ridotto a una completa soggezione, in affari era il suo paravento pi comodo. Non andava mai a trovare nessuno, non voleva ricevere n avere gente a cena, non faceva mai rumore e sembrava economizzare su tutto, anche sui movimenti. Quando era in casa d'altri non toccava nulla per un rispetto innato della propriet. Eppure, malgrado la dolcezza della voce, malgrado i modi prudenti, il linguaggio e le abitudini da bottaio venivano fuori, soprattutto quando era in casa, dove si controllava meno che altrove. Fisicamente, Grandet era alto uno e sessantacinque, tozzo, quadrato, con dei polpacci di trentasei centimetri di circonferenza, rotule nodose e spalle larghe; la faccia era tonda, abbronzata, butterata; il mento era diritto, le labbra tutt'altro che marcate, i denti bianchi; gli occhi avevano quell'espressione immobile e di fuoco che il popolino attribuisce al basilisco; la fronte, solcata da rughe trasversali, non mancava di protuberanze significative; i capelli, giallastri e brizzolati, erano, a detta di qualche giovane che ignorava quanto fosse grave fare lo spiritoso su M. Grandet, bianchi e oro. Sul naso, grosso in punta, c'era una verruca gonfia di venuzze che il volgo reputava, non senza ragione, piena di malizia. Quel volto rispecchiava una scaltrezza pericolosa, una probit senza trasporto e l'egoismo di un uomo che riponeva ogni suo sentimento nel piacere dell'avarizia e nell'unico essere che per lui contasse davvero qualcosa, la figlia Eugnie, sua unica erede. Del resto, atteggiamento, modo di fare e di muoversi, tutto in lui dimostrava quella fiducia in se stesso che viene dall'abitudine al successo in ogni impresa. Perci, anche
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se appariva bonario e conciliante, M. Grandet aveva un carattere di ferro. Vestiva sempre nello stesso modo e chi lo vedesse oggi lo vedrebbe come era gi nel 1791. Le scarpe robuste erano allacciate con stringhe di cuoio; in qualsiasi stagione portava calze di lana tessuta, pantaloni corti di pesante stoffa marrone con fibbie d'argento, un gil di velluto a righe color giallo e pulce, abbottonato fino al collo, un'ampia giubba marrone a falde larghe, una cravatta nera e un cappello da quacchero. I guanti, solidi come quelli dei gendarmi, gli duravano venti mesi, e, per non sporcarli, egli soleva posarli, con un gesto abituale, sulla tesa del cappello. Altro a Saumur non si sapeva su questo personaggio. Soltanto sei cittadini avevano diritto di entrare in casa sua. Fra i primi tre il pi considerevole era il nipote di M. Cruchot. Dopo la nomina a presidente del tribunale di prima istanza di Saumur, questo giovanotto aveva aggiunto al nome Cruchot quello di Bonfons, e faceva di tutto perch Bonfons prevalesse su Cruchot. Ormai si firmava C. de Bonfons. Se una parte in causa fosse stata tanto sconsiderata da chiamarlo "M. Cruchot" avrebbe avuto modo di l a poco, in udienza, di accorgersi della propria stupidaggine. Il magistrato aveva un occhio di riguardo per quelli che lo chiamavano "signor presidente" , ma era tutto sorrisi per gli adulatori che gli davano del "Monsieur de Bonfons". Il signor presidente aveva trentatr anni, possedeva la tenuta di Bonfons (Boni Fontis), che dava una rendita di settemila lire; contava sulla successione dello zio notaio e su quella di un altro zio, padre Cruchot, dignitario del capitolo di Saint-Martin di Tours, entrambi reputati uomini piuttosto ricchi. Questi tre Cruchot, appoggiati da un buon numero di cugini, legati a una ventina di famiglie della citt, formavano un partito, come un tempo i Medici a Firenze; e come i Medici, anche i Cruchot avevano i loro Pazzi. Mme des Grassins, madre di un figlio di ventitr anni, veniva spesso a giocare a carte con Mme Grandet, nella speranza di far sposare il suo caro Adolphe con Mlle Eugnie. M. des Grassins appoggiava con impegno le manovre della moglie facendo continui, discreti favori al vecchio avaro, e si trovava sempre al momento opportuno sul campo di battaglia. I tre des Grassins avevano a loro volta partigiani, cugini, alleati fedeli. Dalla parte dei Cruchot, il sacerdote, il Talleyrand della famiglia, ben sostenuto dal fratello notaio, disputava con tenacia il terreno alla banchiera, e cercava di assicurare la ricca eredit al nipote presidente. Questa guerra segreta fra i Cruchot e i des Grassins, che aveva come posta la mano di Eugnie Grandet, appassionava tutti i circoli
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di Saumur. Mlle Grandet avrebbe sposato il signor presidente o M. Adolphe des Grassins? A questa domanda alcuni rispondevano che M. Grandet non avrebbe dato la figlia n all'uno n all'altro. L'ex bottaio, roso dall'ambizione, voleva, dicevano, come genero un pari di Francia al quale trecentomila lire di rendita avrebbero fatto chiudere un occhio su tutte le botti passate, presenti e future dei Grandet. Altri replicavano che M. e Mme des Grassins erano nobili, molto ricchi, che Adolphe era un cavaliere a modo, e che a meno di avere nella manica un nipote del papa, un simile matrimonio doveva pi che soddisfare gente di bassa estrazione, un uomo che tutta Saumur aveva visto con l'ascia da bottaio in mano e che, del resto, aveva portato il berretto frigio. I pi avveduti facevano notare che M. Cruchot de Bonfons era ammesso in casa a qualsiasi ora, mentre il rivale veniva ricevuto solo le domeniche. Taluno sosteneva che Mme des Grassins, pi legata dei Cruceot alla donne di casa Grandet, poteva inculcare in queste delle idee che, prima o poi, le avrebbero dato la vittoria. Talaltro rispondeva che padre Cruchot era l'uomo pi insistente del mondo e che fra una donna e un prete la partita era ad armi pari. "Sono sottana a sottana", diceva un bello spirito di Saumur. Pi accorti, gli anziani del paese sostenevano che i Grandet non erano cos sciocchi da lasciar uscire dalla famiglia i loro beni, e che Mlle Eugnie Grandet, di Saumur, sarebbe stata maritata con il figlio di M. Grandet, di Parigi, ricco grossista di vini. A questo i cruchottiani e i grassinisti rispondevano: "Innanzi tutto, i due fratelli in trenta anni non si sono visti due volte. Poi M. Grandet, di Parigi, ha grandi ambizioni per il figlio. sindaco di un distretto, deputato, colonnello della guardia nazionale, giudice del tribunale di commercio; rinnega i Grandet di Saumur, e aspira grazie a Napoleone a imparentarsi con una famiglia ducale." Che cosa non si diceva di un'ereditiera di cui la gente parlava per venti leghe all'intorno e addirittura nelle diligenze, compresa quella fra Angers e Blois! All'inizio del 1818, i cruchottiani segnarono un grosso punto a loro vantaggio nei confronti dei grassinisti. La tenuta di Froidfond, notevole per il parco, il bel castello, le fattorie, i fiumi, gli stagni, le foreste, una propriet che valeva tre milioni, fu messa in vendita dal giovane marchese di Froidfond, costretto a realizzare i suoi beni. Il notaio Cruchot, il presidente Cruchot, padre Cruchot, con l'aiuto dei loro aderenti, riuscirono a impedirne la vendita a piccoli lotti. Il notaio concluse un affare d'oro con il giovanotto persuadendolo che sarebbe stata necessaria una sequela di procedimenti contro gli aggiudicatari prima di
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poter incassare il prezzo dei singoli lotti; era meglio allora vendere a M. Grandet, che non solo era solvibile, ma poteva addirittura pagare la terra in denaro contante. Il bel marchesato di Froidfond fu cos convogliato verso l'esofago di M. Grandet, che, con grande stupore di Saumur, lo pag, ottenendo uno sconto, subito dopo espletate le formalit. Di questo affare si parl fino a Nantes e a Orlans. Sfruttando l'occasione di un carrettiere che doveva tornarci, M. Grandet and a visitare il suo castello. Dopo aver gettato sulla propriet un colpo d'occhio da padrone, torn a Saumur, sicuro di aver investito il suo denaro al cinque per cento, e infatuato dalla grandiosa idea di arrotondare il marchesato di Froidfond riunendo a esso tutti i suoi beni. Poi, per rimpolpare il peculio quasi esaurito, decise di tagliare i suoi boschi, le sue foreste e di sfruttare i pioppeti delle sue terre. ora facile intendere che cosa significhi: casa Grandet, quell'edificio slavato, freddo, silenzioso, situato in cima alla citt e circondato dalle rovine dei bastioni. I due pilastri e la volta che formavano il portale d'ingresso erano stati costruiti, come tutta la casa, in tufo, una pietra bianca tipica della valle della Loira e cos tenera che la sua durata media di appena duecento anni. I buchi, ineguali e numerosi, che le intemperie vi avevano aperto in modo bizzarro, davano all'arco e ai pilastri l'apparenza delle pietre scanalate dell'architettura francese e una certa rassomiglianza con il vestibolo di un carcere. Sopra l'arco spiccava un lungo bassorilievo in pietra dura che rappresentava le quattro stagioni, con le figure ormai corrose e tutte annerite. Questo bassorilievo era sormontato da un plinto sporgente sul quale vegetavano diverse piante di quelle che crescono a caso, parietarie gialle, vilucchi, convolvoli, piantaggini e un piccolo ciliegio gi abbastanza alto. La porta di quercia massiccia, bruna, risecchita, piena di fenditure, in apparenza fragile, era ben rinforzata da un sistema di borchie che formavano dei disegni simmetrici. Una griglia quadrata, piccola, ma a barre strette e rossa di ruggine, occupava il centro del portello e fungeva, per cos dire, da motivo ornamentale a un battaglio appeso a essa mediante un anello e che andava a cadere sulla testa grinzosa di una grossa borchia. Questo battaglio, di forma oblunga e simile a quelli che i nostri antenati chiamavano picchiotti, sembrava un grosso punto esclamativo; esaminandolo con attenzione un antiquario vi avrebbe scoperto le tracce della sembianza sostanzialmente grottesca che un tempo vi era rappresentata e che il lungo uso aveva cancellato. Attraverso la piccola griglia, destinata, al tempo delle guerre civili, a riconoscere gli
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amici, chi sbirciava poteva scorgere in fondo a un androne a volta oscuro e verdastro, dei gradini smozzicati che salivano verso un giardino chiuso in modo pittoresco da mura spesse e umide, coperte di scoli e di arbusti striminziti. Queste mura erano quelle dei bastioni sui quali si trovavano i giardini di alcune case vicine. Al pianterreno dell'edificio, il locale pi ragguardevole era una sala la cui entrata si trovava sotto la volta della porta cocchiera. Poche persone conoscono l'importante funzione di una sala nelle cittadine dell'Angi, della Turenna e del Berry. La sala insieme anticamera, salotto, studio, boudoir, stanza da pranzo; il palcoscenico della vita domestica, il locale comune; qui il parrucchiere del quartiere veniva due volte l'anno a tagliare i capelli di M. Grandet; qui entravano i fittavoli, il parroco, il sottoprefetto, il garzone del mugnaio. Questo ambiente, le cui due finestre davano sulla strada, aveva il piancito di legno; le pareti erano tutte ricoperte da pannelli grigi con vecchie modanature; sul soffitto c'erano travi a vista, pure dipinte di grigio, e gli spazi fra trave e trave erano intonacati con calce ingiallita dal tempo. Un vecchio orologio da muro di rame, incrostato da arabeschi in tartaruga, ornava la cappa del camino di pietra bianca, mal tagliata, sulla quale c'era uno specchio verdastro, i cui bordi, molati per farne risaltare lo spessore, riflettevano una lama di luce sulla specchiera gotica di acciaio damaschinato. Le due girandole di rame dorato che abbellivano ciascun angolo del camino erano a doppio uso: togliendo le rose che servivano da padelline e il cui ramo principale andava a incastrarsi nel piedestallo di marmo bluastro decorato di rame antico, il piedestallo stesso diventava un candeliere per tutti i giorni. Le sedie, di foggia antica, erano ricoperte da una tappezzeria che rappresentava le favole di La Fontaine; ma bisognava saperlo per riconoscerne i soggetti, i colori stinti e le figure tutte rammendi si distinguevano molto male. Ai quattro angoli della sala c'erano delle cantoniere, specie di buffet che terminavano con dei ripiani bisunti. Addossato alla parete che separava le due finestre, un vecchio tavolino da gioco intarsiato il cui ripiano formava una scacchiera. Sopra il tavolino c'era un barometro ovale con una cornice nera, abbellita da nastri di legno dorato, sui quali le mosche avevano folleggiato con tale smodatezza da renderne problematica la doratura. Sulla parete opposta al camino, due ritratti a pastello si supponeva raffigurassero il nonno di Mme Grandet, il vecchio M. de la Bertellire, in divisa di tenente delle guardie francesi, e la defunta Mme Gentillet, in abito da pastora. Le due finestre erano
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incorniciate da tende di gr di Tours rosso, tenute aperte da cordoni di seta a ghiande. Questo arredamento lussuoso, cos poco intonato alle abitudini di M. Grandet, era stato incluso nell'acquisto della casa al pari della specchiera, dell'orologio, delle sedie ricoperte e delle cantoniere in legno di rosa. Accanto alla finestra pi vicina alla porta c'era una sedia di paglia con le gambe montate su zoccoli cos da portare Mme Grandet a un'altezza che le permettesse di vedere i passanti. Il vano era occupato da un tavolino da lavoro in legno di ciliegio selvatico, e accanto c'era la poltroncina di Eugnie Grandet. Erano quindici anni che, dal mese di aprile fino al mese di novembre, madre e figlia passavano tranquillamente, intente al lavoro, le giornate in quel luogo. Il primo di novembre potevano trasferirsi nel loro quartiere d'inverno accanto al camino. Quel giorno, e solo quel giorno, Grandet dava licenza di accendere nella sala il fuoco, che faceva spegnere il 31 marzo, senza curarsi degli ultimi freddi di primavera n dei primi dell'autunno. Uno scaldapiedi, alimentato con la brace della cucina che la grande Nanon si ingegnava di tenere da parte, aiutava Mme e Mlle Grandet a sopportare le mattinate e le serate pi rigide dei mesi d'aprile e di ottobre. La madre e la figlia tenevano in ordine tutta la biancheria di casa e si applicavano a questa fatica da vere e proprie lavoranti con tale scrupolo che, se Eugnie voleva ricamare un collarino per la madre, doveva per forza rubare le ore al sonno e la luce al padre. Da tempo, l'avaro distribuiva personalmente la candela alla figlia e alla grande Nanon, cos come ogni mattino distribuiva il pane e le derrate necessarie per i pasti quotidiani. La grande Nanon era forse la sola creatura umana capace di accettare il dispotismo del padrone. Tutta la citt la invidiava a M. e a Mme Grandet. La grande Nanon, cos chiamata perch era alta un metro e ottantaquattro, apparteneva a Grandet da trentacinque anni. Sebbene avesse un mensile di sole sessanta lire, passava per una delle serve pi ricche di Saumur. Quelle sessanta lire tesaurizzate durante trentacinque anni, le avevano permesso alla fine di costituirsi con quattromila lire un vitalizio presso il notaio Cruchot. Il risultato delle lunghe e tenaci economie della grande Nanon parve enorme. Ogni domestica, sapendo che la povera sessantenne si era assicurata il pane per la vecchiaia, provava gelosia, ma non pensava alla dura servit con la quale tutto ci era stato ottenuto. A venticinque anni, la povera figliola non era riuscita a trovare un servizio, tanto il suo viso era repellente; una ingiustizia, senza dubbio: la sua faccia avrebbe suscitato ammirazione se fosse stata sulle spalle di un granatiere della guardia; ma,
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come si dice, ogni cosa a suo luogo. Costretta, dopo un incendio, a lasciare una fattoria dove custodiva le vacche, and a Saumur e l cerc di mettersi a servizio, animata da quel robusto coraggio che non rifiuta nulla. A quel tempo M. Grandet stava pensando di sposarsi e voleva gi organizzare la propria vita domestica. Not quella ragazza, respinta da ogni casa. Buon giudice, in quanto bottaio, della forza fisica, intu l'utile che si sarebbe potuto ricavare da una creatura femminile di taglia erculea, piantata sui piedi come una quercia di sessanta anni lo sulle radici, forte di fianchi, dalla schiena robusta, con mani da carrettiere e una onest solida come la sua intatta virt. N le verruche che ornavano quel viso marziale n l'incarnato scuro n le braccia muscolose n gli stracci della Nanon spaventarono il bottaio, ancora in et da provare certi trasalimenti. Egli quindi rivest, calz, nutr la povera figlia, le diede un mensile, e la impieg al suo servizio senza trattarla troppo rudemente. Davanti a questa accoglienza, la grande Nanon pianse di gioia in segreto, e si attacc con tutta sincerit al bottaio che, per parte sua, la sfrutt come un feudatario. Nanon faceva tutto: faceva da mangiare, faceva la liscivia, andava a lavare nella Loira la biancheria e se la riportava sulle spalle; si alzava all'alba, si coricava tardi; preparava i pasti per i braccianti al tempo della vendemmia, teneva d'occhio quelli che andavano nelle vigne a raspollare; difendeva, come un cane fedele, gli averi del suo padrone; infine, avendo in lui una fiducia cieca, obbediva senza batter ciglio alle sue fantasie pi assurde. Nella famosa annata del 1811, in cui la vendemmia cost fatiche inaudite, Grandet decise di regalare a Nanon, dopo vent'anni di servizio, il suo vecchio orologio, unico dono che ella ricevette mai da lui. Sebbene egli le passasse le sue scarpe vecchie (che andavano bene per i piedi di lei), impossibile considerare l'uso delle scarpe di Grandet come un regalo, tanto erano consunte. La necessit rese quella povera ragazza cos avara, che Grandet aveva finito per amarla come si ama un cane, e Nanon si era lasciato mettere un collare guarnito di punte delle quali non sentiva pi le punture. Se Grandet tagliava il pane con un po' troppa parsimonia, ella non se ne lamentava; partecipava di buon animo ai vantaggi igienici che derivavano dal regime severo della casa, dove nessuno era mai malato. Eppoi Nanon faceva parte della famiglia: rideva quando rideva Grandet, si rattristava, gelava, si scaldava, lavorava con lui. Quale dolce compenso in questa uguaglianza! Mai il padrone aveva rinfacciato alla serva la pesca duracina o la pesca di vigna o le prugne o le pesche noci mangiate sotto
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l'albero. "Avanti, serviti, Nanon", le diceva nelle annate in cui i rami si piegavano sotto il peso dei frutti, che i fittavoli erano costretti a gettare ai porci. A una contadina che in giovent aveva ricevuto solo maltrattamenti, a una poveretta accolta per carit, le risate equivoche di pap Grandet sembravano veri raggi di sole. Del resto, il cuore semplice, il cervello corto di Nanon potevano contenere solo un sentimento e solo un'idea. Da trentacinque anni, ella si rivedeva arrivare a piedi nudi, vestita di stracci, davanti alla fabbrica di M. Grandet e sentiva sempre il bottaio che le diceva: "Che cosa volete, cocca?" e la sua riconoscenza era sempre giovane. A volte, Grandet, pensando che quella povera creatura non aveva mai inteso una parola lusinghiera, che ignorava i dolci sentimenti ispirati dalla donna e che un giorno avrebbe potuto comparire davanti a Dio pi casta della stessa vergine Maria, Grandet, preso da piet, diceva guardandola: "Povera Nanon!" E questa esclamazione era sempre seguita da uno sguardo indefinibile che gli rivolgeva la vecchia serva. La frase, pronunciata di tanto in tanto, formava da tempo una ininterrotta catena d'amicizia alla quale ogni esclamazione aggiungeva una maglia. La compassione, che albergava nel cuore di Grandet e che la vecchia zitella accettava di buon grado, aveva un qualcosa di orribile. Quella atroce compassione da avaro, che risvegliava mille piaceri nel cuore del vecchio bottaio, era per Nanon tutta la felicit. Chi non ripeterebbe: "Povera Nanon!" Dio riconoscer i suoi angeli dalle inflessioni della voce e dai misteriosi rimpianti. A Saumur c'erano molte famiglie dove i domestici erano trattati meglio, senza per questo che i padroni ne ricevessero maggiore soddisfazione. Di qui un'altra frase corrente: "Ma che cosa faranno i Grandet a Nanon perch sia tanto affezionata? Per loro camminerebbe sul fuoco!" La cucina di Nanon, le cui finestre inferriate davano sul cortile, era sempre pulita, in ordine, fredda, la vera cucina di un avaro dove niente doveva andare perduto. Quando Nanon aveva rigovernato, chiuso in dispensa gli avanzi della cena, spento il fuoco, lasciava la cucina, che un corridoio separava dalla sala, e andava a filare canapa accanto ai padroni. Alla famiglia bastava una sola candela per tutta la serata. La serva dormiva in fondo a quel corridoio, in un vano rischiarato da una finestrella aperta sul fondo del vicino. La salute di ferro le permetteva di vivere senza danno in quella specie di buco, da dove, grazie al silenzio che regnava notte e giorno nella casa, riusciva a percepire il

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minimo rumore. Come un cane da guardia dormiva con un occhio solo e si riposava vegliando. La descrizione delle altre parti della casa si trover unita a quella degli avvenimenti di questa storia; comunque, ci che s' detto della sala, in cui rifulgeva tutto il lusso della famiglia, pu far intuire in anticipo la nudit dei piani superiori.

Nel 1819, a met del mese di novembre, la grande Nanon al cader della sera accese per la prima volta il fuoco. L'autunno era stato molto bello. Quel giorno cadeva una festa ben nota ai cruchottiani e ai grassinisti. Cos i sei antagonisti si preparavano, con tutte le armi di cui disponevano, a incontrarsi nella sala e a gareggiare in dimostrazioni di amicizia. La mattina, tutta Saumur aveva visto Mme e Mlle Grandet, accompagnate da Nanon, andare in parrocchia per ascoltarvi la messa, e ognuno ricord che quel giorno cadeva l'anniversario della nascita di Mlle Eugnie. Calcolando quindi l'ora in cui la cena doveva terminare, il notaio Cruchot e M. C. de Bonfons fecero in modo di arrivare prima dei des Grassins a festeggiare Mlle Grandet. Tutti e tre portavano enormi mazzi di fiori colti nelle loro piccole serre. I gambi dei fiori che il presidente voleva offrire erano ingegnosamente tenuti insieme da un nastro di satin bianco con frange d'oro. Quel mattino, M. Grandet, seguendo una sua costumanza per i giorni memorabili del compleanno e dell'onomastico di Eugnie, era andato a salutarla quando ancora la ragazza si trovava a letto, e le aveva offerto solennemente il regalo paterno che consisteva, da tredici anni, in una insolita moneta d'oro. Mme Grandet di regola donava alla figlia un abito invernale o estivo, a seconda della circostanza. Questi due abiti, le monete d'oro che ella riceveva a capodanno e per la festa del padre, fruttavano alla giovane un piccola rendita di quasi cento scudi, che a Grandet piaceva vedere accumulare. Era come travasare il proprio denaro da una cassa in un'altra, come, per cos dire, dare spago all'avarizia della sua erede, alla quale talvolta egli chiedeva conto di quel peculio, gi rimpinzato dai la Bertellire, dicendole: "Sar il tuo dozzeno di nozze." Il dozzeno un'antica usanza ancora in vigore e religiosamente rispettata in qualche paese della Francia centrale. Nel Berry, nell'Angi, quando una ragazza si
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marita, la famiglia o quella dello sposo deve regalarle una borsa nella quale si trovano, secondo le possibilit economiche, dodici monete o dodici dozzine di monete o milleduecento monete d'argento o d'oro. La pi povera delle pastorelle non si sposerebbe senza il suo dozzeno, magari formato solo da soldoni. Si parla ancora a Issoudun di un certo dozzeno offerto a una ricca ereditiera e che conteneva centoquarantaquattro portoghesi d'oro. Il papa Clemente VII regal alla nipote Caterina dei Medici che andava sposa a Enrico II una dozzina di medaglie antiche di grandissimo valore. Durante la cena, il padre, felice di vedere la sua Eugnie ancor pi bella in un vestito nuovo, aveva esclamato: "Poich la festa di Eugnie, accendiamo il fuoco! sar di buon augurio." "La signorina si sposer entro l'anno, sicuro," disse la grande Nanon portando via gli avanzi di un'oca, il fagiano dei bottai. "Non vedo un partito per lei a Saumur," rispose Mme Grandet guardando il marito con una timidezza, che, considerata la sua et, lasciava intuire tutta la soggezione maritale sotto la quale la povera donna languiva. Grandet contempl la figlia ed esclam allegramente: "La piccina fa oggi ventitr anni; presto bisogner occuparsi di lei." Eugnie e la madre scambiarono in silenzio uno sguardo d'intesa. Mme Grandet era una donna risecchita e magra, gialla come una cotogna, goffa, lenta; una di quelle donne che sembrano fatte apposta per essere tiranneggiate. Aveva ossa grandi, naso grande, occhi grandi e, al primo sguardo, faceva pensare a un frutto stopposo senza pi sapore n sugo. Aveva i denti scuri e radi, la bocca grinzosa, e il mento era, come si dice, a ciabatta. Era una donna eccellente, una vera la Bertellire. Padre Cruchot non perdeva occasione per dirle che non era stata niente male e lei gli credeva. La dolcezza angelica, la rassegnazione dell'insetto torturato dai bambini, una devozione rara, un umore costante, il buon cuore, la facevano compatire e rispettare da tutti. Per le piccole spese il marito non le dava mai pi di sei franchi alla volta. Sebbene ridicola in apparenza, questa donna che, fra la dote e le eredit aveva portato a M. Grandet pi di trecentomila franchi, si era sempre sentita umiliata dalla dipendenza e dalla soggezione contro le quali la mitezza d'animo le impediva di rivoltarsi, e non aveva mai chiesto un soldo n mai aveva avuto a che dire sugli strumenti che il notaio Cruchot le portava da firmare. Una fierezza sciocca e segreta, una nobilt d'animo costantemente misconosciuta e offesa da Grandet, regolavano la condotta di questa donna. Mme Grandet indossava
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sempre un abito di levantina verdastra, che si era abituata a far durare circa un anno; portava un grande scialle di cotonina bianca, un cappello di paglia cucita, e un grembiule di taffett che non toglieva quasi mai. Poich usciva poco, consumava poche scarpe. In conclusione, per s non voleva mai niente. Cos Grandet, preso talora dal rimorso allorch ricordava quanto tempo fosse passato dal giorno in cui aveva elargito sei franchi alla moglie, al momento di vendere i raccolti dell'annata chiedeva sempre una regalia per lei. I quattro o cinque luigi offerti dall'olandese o dal belga che acquistava la vendemmia Grandet rappresentavano la rendita annuale pi certa di Mme Grandet. Ma, dopo che ella aveva intascato i suoi cinque luigi, spesso il marito le diceva, come se avessero la borsa in comune: "Hai qualche soldo da prestarmi?" E la povera donna, felice di poter fare qualcosa per un uomo che il confessore le diceva essere il suo signore e padrone, finiva, durante il corso dell'inverno, per restituire al marito qualche scudo di quelli delle regalie. Grandet, quando tirava fuori di tasca la moneta da cento soldi destinata alle piccole spese mensili, il filo, gli aghi e la toeletta della figlia, non mancava mai, dopo aver abbottonato il taschino, di dire alla moglie: "E tu, mamma, vuoi qualcosa?". "Amico mio," rispondeva Mme Grandet, spinta da un sentimento di dignit materna, "vedremo." Dignit sprecata! Grandet era convinto di essere molto generoso con la moglie. I filosofi che incontrano delle Nanon, delle Mme Grandet, delle Eugnie, non hanno forse il diritto di pensare che, in fondo, nella Provvidenza ci sia una buona dose di ironia? Terminata quella cena durante la quale per la prima volta si parl del matrimonio di Eugnie, Nanon and a prendere una bottiglia di cassis nella camera di M. Grandet e mentre scendeva manc poco cadesse. "Bestiona," le disse il padrone, "adesso ti metti anche a cadere?". "Signore, quel gradino delle scale che non regge pi." "Ha ragione," disse Mme Grandet. "Avreste dovuto farlo accomodare gi da un pezzo. Ieri per poco Eugnie non si faceva male a un piede." "Tieni," disse Grandet a Nanon vedendola sbiancata in volto, "perch il compleanno di Eugnie e tu sei stata per cadere, bevi un bicchierino di cassis; ti far bene." "In fede mia, me lo sono guadagnato," disse Nanon. "Al mio posto, un'altra avrebbe rotto la bottiglia; ma io pur di salvarla mi sarei rotto il gomito."
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"Povera Nanon!" disse Grandet versandole il cassis. "Ti sei fatta male?" le chiese Eugnie guardandola con interesse. "No, perch mi sono bloccata facendo forza sulle reni." "Ebbene, poich il compleanno di Eugnie," disse Grandet, "vado ad aggiustare quel vostro scalino. Voialtre non sapete mettere il piede nell'angolo ancora solido." Grandet prese la candela, lasci la moglie, la figlia e la serva senza altra luce che il riflesso della fiamma che ardeva nel camino, e and nel locale del forno a prendere tavole, chiodi e attrezzi. "Avete bisogno di aiuto?" gli grid Nanon sentendolo battere sulla scala. "No! no! so fare da solo," rispose il vecchio bottaio. Mentre Grandet era intento ad aggiustare con le proprie mani la scala tarlata, e fischiava a tutto spiano in ricordo dei suoi verdi anni, i tre Cruchot bussarono alla porta. "Siete voi, signor Cruchot?" chiese Nanon guardando attraverso la piccola griglia. "S," rispose il presidente. Nanon apri la porta, e il bagliore del camino, che riverberava sotto la volta, permise ai tre Cruchot di scorgere l'entrata della sala. "Ah! siete venuti per la festa," disse loro Nanon sentendo l'odore dei fiori. "Scusate, signori," grid Grandet che aveva riconosciuto le voci dei suoi amici, "sono subito da voi! Non che voglia darmi delle arie, sto rabberciando un gradino della scala." "Fate, fate, signor Grandet! Il carbonaio signore in casa sua," disse con tono sentenzioso il presidente, ridendo fra s dell'allusione che nessuno afferr. Mme e Mlle Grandet si alzarono. Il presidente, approfittando allora dell'oscurit, disse a Eugnie: "Mi permettete, signorina, di augurarvi, nel giorno in cui nasceste, tanti anni felici e la conservazione della salute di cui godete?" Le porse un grosso mazzo di fiori rari a Saumur; poi, prendendo l'ereditiera per i gomiti, la baci sui lati del collo, con un compiacimento che riemp di vergogna Eugnie. Il presidente, che sembrava un grosso chiodo arrugginito, credeva in tal modo di farle la corte.

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"Non disturbatevi," disse Grandet rientrando. "Come correte nei giorni di festa, signor presidente!". "Ma con la signorina," rispose padre Cruchot, armato del suo mazzo di fiori, "tutti i giorni sarebbero per mio nipote giorni di festa." Il prete baci la mano di Eugnie. Quanto al notaio Cruchot, baci con tutta semplicit la ragazza sulle guance e disse: "Come ci si sente invecchiare! Ogni anno dodici mesi." Mentre rimetteva la candela davanti all'orologio, Grandet, che quando aveva una battuta che gli sembrava divertente non finiva mai di ripeterla, disse: "Poich la festa di Eugnie, accendiamo le luminarie!". Tolse con cura i bracci dei candelabri, mise la padellina su ciascun piedestallo, prese dalle mani di Nanon una candela nuova avvolta alla base in un pezzo di carta, la infil nel buco, la fiss bene, l'accese, e and a sedersi accanto alla moglie, passando con lo sguardo dagli amici alla figlia e alle due candele. Padre Cruchot, un ometto paffuto, grassottello, con la parrucca rossa e liscia, con una faccia da vecchia gaudente, disse allungando i piedi ben calzati in scarpe robuste con fibbie d'argento: "I des Grassins non sono venuti?". "Non ancora," rispose Grandet. "Ma devono venire?" domand il vecchio notaio atteggiando a una smorfia la faccia bucherellata come una schiumarola. "Penso di s," rispose Mme Grandet. "Avete gi finito la vendemmia?" chiese il presidente Bonfons a Grandet. "Dappertutto," rispose il vecchio vignaiolo, alzandosi e mettendosi a camminare su e gi per la sala, mentre gonfiava il torace con un atteggiamento che traboccava orgoglio come la parola: dappertutto! Dalla porta del corridoio che menava in cucina, vide la grande Nanon, seduta accanto al braciere e con una candela, che si accingeva a filare in quel posto per non mescolarsi alla festa. "Nanon," disse Grandet inoltrandosi nel corridoio, "vuoi spegnere il fuoco e la candela e venire con noi? Perdiana! La sala abbastanza grande perch ci si possa stare tutti." "Ma, signore, avrete visitatori di riguardo." "E tu sei da meno? Vengono tutti dalla costola d'Adamo come te." Grandet torn vicino al presidente e gli disse: "Voi avete venduto il raccolto?".

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"No, davvero, io lo conservo. Se ora il vino buono, fra due anni sar migliore. I proprietari, lo sapete, hanno giurato di attenersi al prezzo convenuto e, quest'anno, i belgi non la spunteranno con noi. Se se ne vanno, ebbene, torneranno." "S, ma bisogna che ci stiano tutti," disse Grandet con un tono che fece fremere il presidente. "Che sia in trattative?" pens Cruchot. In quel momento un colpo alla porta annunci la famiglia des Grassins il cui arrivo interruppe una conversazione fra Mme Grandet e il prete. Mme des Grassins era una di quelle donne piccine, vivaci, paffute, bianche e rosa, che, grazie alle abitudini claustrali della provincia e a una vita virtuosa, si conservano giovani anche a quaranta anni. Sono come le ultime rose di fine stagione che fa piacere guardare, ma i cui petali hanno una certa freddezza e il cui profumo affievolito. Si vestiva piuttosto bene, faceva venire i modelli da Parigi, dava il tono alla citt di Saumur, e offriva dei ricevimenti. Suo marito, ex quartier-mastro della guardia imperiale, ferito gravemente ad Austerlitz e andato in congedo, conservava, nonostante la sua considerazione per Grandet, i modi schietti del militare. "Buongiorno, Grandet," disse al vignaiolo porgendogli la mano e affettando una certa aria di superiorit sotto la quale schiacciava sempre i Cruchot. "Signorina," disse a Eugnie dopo aver salutato Mme Grandet, "voi siete sempre bella e giudiziosa, in verit, non so che cosa vi si possa augurare." Poi offr una cassetta portata dal domestico che conteneva un'erica del Capo, pianta da poco importata in Europa e assai rara. Mme des Grassins baci con molto affetto Eugnie, le strinse la mano e le disse: "Adolphe si preso l'incarico di offrirvi un mio ricordino." Un giovanotto alto, biondo, pallido ed esile, di modi cortesi, timido in apparenza, ma che a Parigi, dove era andato a studiare diritto, aveva speso otto o diecimila franchi in pi del suo appannaggio, avanz verso Eugnie, la baci sulle guance e le offr una scatola da lavoro i cui utensili erano tutti in vermeil, una cosa davvero dozzinale, anche se lo stemma sul quale era finemente inciso in caratteri gotici il monogramma E.G. poteva far pensare a un oggetto di buona fattura. Quando la apr, Eugnie prov una di quelle gioie insperate e complete che fanno arrossire, trasalire e tremare di felicit le fanciulle. Volt gli occhi verso il padre, come per sapere se le era permesso accettare, e M. Grandet disse "Prendilo, figlia mia!" con un tono di voce degno di un grande attore.
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I tre Cruchot rimasero stupefatti vedendo lo sguardo lieto e vivace che l'ereditiera, cui simili tesori parevano inauditi lanci ad Adolphe des Grassins. M. des Grassins offr a Grandet una presa di tabacco, ne prese una per s, scosse via i bricioli caduti sul nastro della Legion d'onore infilato nella bottoniera della marsina blu, poi guard i Cruchot con l'aria di dire: "Paratemi questa botta!" Mme des Grassins gett un'occhiata ai vasi turchini dov'erano i mazzi di fiori dei Cruchot come se cercasse i loro regali con una finta buona fede che era tutta una canzonatura. In quella situazione delicata padre Cruchot lasci che gli altri sedessero in cerchio davanti al fuoco e and a passeggiare con Grandet sul fondo della sala. Quando i due vecchi furono nel vano della finestra pi lontana dai des Grassins: "Quella gente," disse il prete all'orecchio dell'avaro, "getta i soldi dalla finestra." "E che importa, se finiscono nella mia cantina?" rispose il vecchio vignaiolo. "A voi non mancherebbero i mezzi, se voleste regalare delle forbici d'oro a vostra figlia," disse il prete. "Le do qualcosa di meglio delle forbici," rispose Grandet. "Mio nipote uno sciocco," pens il reverendo e guard il presidente nel quale l'impressione sgradevole dell'incarnato scuro era accentuata dai capelli arruffati. Non poteva venirgli in mente una sciocchezzuola di qualche pregio? "Vogliamo fare la solita partita, Mme Grandet?" chiese Mme des Grassins. "Ma siamo in tanti, ci vorrebbero due tavoli ...". "Poich la festa di Eugnie, giocate tutti a tombola," disse pap Grandet, "anche i due ragazzi." L'ex bottaio, che non giocava mai, accenn a sua figlia e ad Adolphe. "Su, Nanon, sistema i tavoli." "Vi diamo una mano, signorina Nanon," disse con tono allegro Mme des Grassins, tutta felice della felicit che aveva procurato a Eugnie. "In vita mia non sono mai stata cos contenta," le disse l'ereditiera. "Non avevo mai visto niente di tanto bello." "L'ha portata Adolphe da Parigi ed lui che l'ha scelta," le disse in un orecchio Mme des Grassins. "Fai, fai pure, maledetta intrigante!" pens il presidente; "se mai avrete una causa in tribunale, tu o tuo marito, sar difficile che riusciate a vincere."
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Il notaio, seduto in un angolo, guard con calma il reverendo e si disse: "I des Grassins hanno voglia a fare, il mio patrimonio, quello di mio fratello e quello di mio nipote assommano a un milione e centomila franchi. I des Grassins arriveranno tutt'al pi alla met, e hanno una figlia; regalino pure ci che vogliono! ereditiera e regali un giorno verranno a noi." Alle otto e mezzo di sera erano stati preparati due tavoli. La deliziosa Mme des Grassins era riuscita a mettere suo figlio accanto a Eugnie. Gli attori di questa commedia interessante, seppure in apparenza volgare, muniti di cartelle colorate, numerate e di gettoni di vetro blu, sembravano ascoltare le piacevolezze del vecchio notaio, il quale faceva un commento a ogni numero che estraeva; ma tutti pensavano ai milioni di M. Grandet. Il vecchio bottaio contemplava, tutto tronfio, le piume rosa, l'abito inappuntabile di Mme des Grassins, la testa marziale del banchiere, quella di Adolphe, il presidente, il reverendo, il notaio, e diceva dentro di s: "Sono qui per i miei scudi. Vengono ad annoiarsi qui per mia figlia. Eh! mia figlia non toccher n agli uni n agli altri, tutti costoro mi servono solo come ami per pescare!". Quella allegria casalinga nel vecchio salone grigio male illuminato da due candele; quelle risate, accompagnate dal rumore del filatoio della grande Nanon, e che erano sincere solo sulle labbra di Eugnie o di sua madre; quella meschinit legata a interessi tanto grandi; quella fanciulla che, simile a certi uccelli vittime ignare del loro prezzo elevato, era braccata, incalzata dalle dimostrazioni di amicizia con le quali la abbindolavano: tutto contribuiva a rendere la scena tristemente comica. Del resto non era una scena d'ogni tempo e d'ogni luogo, ma riportata alla sua espressione pi semplice? La figura di Grandet che sfruttava il falso attaccamento delle due famiglie, traendone enormi vantaggi, dominava e chiariva il dramma. Non era forse quello il solo dio moderno nel quale si abbia fede, il Denaro in tutta la sua potenza, espresso da una sola fisionomia? I dolci sentimenti della vita occupavano col solo un posto di secondo piano; albergavano in tre cuori schietti, quelli di Nanon, di Eugnie e di sua madre. E ancora, quanta ignoranza nella loro ingenuit! Eugnie e la madre non sapevano nulla del patrimonio di Grandet, esse valutavano le cose della vita in base alle loro vaghe idee, e non apprezzavano n disprezzavano il denaro, abituate com'erano a farne a meno. I loro sentimenti, offesi senza che esse lo sapessero, ma vivaci, ne facevano delle curiose eccezioni in quella accolta di persone la cui vita era
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solo materiale. Terribile condizione dell'uomo! non una delle sue felicit che non nasca dall'ignoranza. Nel momento in cui Mme Grandet vinceva una posta di sedici soldi, la pi considerevole che si fosse mai vista in quella sala, e mentre la grande Nanon rideva di contentezza vedendo la signora intascare quella bella somma, un colpo di battaglio rimbomb alla porta di casa facendo un tale fracasso, che le donne sobbalzarono sulle sedie. "Non pu essere uno di Saumur a bussare in questo modo," disse il notaio. "Che maniera di picchiare!" disse Nanon. "Vogliono sfasciarci la porta?". "Chi diavolo ?" esclam Grandet. Nanon prese una delle due candele e and ad aprire, accompagnata da Grandet. "Grandet! Grandet!" grid la moglie, che, spinta da un vago senso di paura, si precipit verso la porta della sala. Tutti i giocatori la guardarono. "Se ci andassimo anche noi?" disse Mme des Grassins. "Quel colpo di martello non mi dice niente di buono." M. des Grassins riusc appena a scorgere il viso di un giovanotto accompagnato dal fattorino delle messaggerie, che portava due enormi bauli e trascinava delle sacche da viaggio. Grandet si volt bruscamente verso la moglie e le disse: "Signora Grandet, tornate alla vostra tombola. Devo parlare con il signore." Poi chiuse con decisione la porta della sala, e i giocatori inquieti ripresero i loro posti, ma non continuarono a giocare. " qualcuno di Saumur, signor des Grassins?" gli chiese la moglie. "No, un viaggiatore." "Non pu venire che da Parigi." "In effetti," disse il notaio tirando fuori il suo vecchio orologio spesso due dita e che somigliava a un vascello olandese, "sono le nove. Accidenti! la diligenza non mai in ritardo." " giovane quel signore?" chiese padre Cruchot. "S," rispose M. des Grassins. "Ha un bagaglio che deve pesare almeno trecento chili." "Nanon non torna," disse Eugnie. "Pu essere solo qualcuno della vostra famiglia," disse il presidente.

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"Cominciamo a puntare," sugger piano Mme Grandet. "Dal tono della voce ho capito che M. Grandet era contrariato forse non sarebbe contento se si accorgesse che parliamo dei suoi affari." "Signorina," disse Adolphe alla sua vicina, "sar senza dubbio vostro cugino Grandet, un bel giovanotto che ho visto al ballo di M. de Nucingen." Adolphe tacque perch la madre gli aveva rifilato un pestone; poi, chiedendogli ad alta voce due soldi per la puntata: "Vuoi star zitto, pezzo di babbeo?" gli disse in un orecchio. In quel momento Grandet rientr senza la grande Nanon, i cui passi insieme con quelli del fattorino echeggiarono sulle scale; Grandet era seguito dal viaggiatore che da qualche istante suscitava tanta curiosit e occupava a tal punto la fantasia di tutti, che il suo arrivo in quella casa e il suo apparire in mezzo a quella gente potrebbero essere paragonati alla comparsa di una lumaca in un alveare, o all'ingresso di un pavone in un oscuro cortile di villaggio. "Sedetevi accanto al fuoco," gli disse Grandet. Prima di sedersi, il giovane forestiero salut con grazia i presenti. Gli uomini si alzarono per rispondere con un cortese inchino, le donne fecero una cerimoniosa riverenza. "Avrete certo freddo, signore," disse Mme Grandet, "arrivate forse da...". "Ecco le donne!" disse il vecchio vignaiolo interrompendo la lettura di una lettera che aveva in mano; "lasciate riposare il signore." "Ma, padre mio, forse il signore ha bisogno di qualcosa," disse Eugnie. "Ha la lingua," rispose asciutto il vignaiolo. Solo lo sconosciuto rimase sorpreso da questa scena. Gli altri erano abituati alle maniere dispotiche del brav'uomo. Nondimeno, dopo quelle due domande e quelle due risposte, lo sconosciuto si alz, volt la schiena verso il fuoco, alz un piede per scaldare la suola dello stivale, e disse a Eugnie: "Cara cugina, vi ringrazio, ho cenato a Tours." E, aggiunse guardando Grandet, "non ho bisogno di nulla e non sono nemmeno stanco." "Il signore viene dalla capitale?" chiese Mme des Grassins. M. Charles, cos si chiamava il figlio di M. Grandet, di Parigi, sentendosi interpellare, prese l'occhialino che portava appeso con una catenina al collo, se lo port all'occhio destro per esaminare ci che stava
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sul tavolo e le persone che vi erano sedute intorno, scrut con molta impertinenza Mme des Grassins e le disse, dopo aver visto ci che voleva: "S, signora. Vedo che giocate a tombola, cara zia," aggiunse; "per favore, continuate, un gioco troppo divertente per interromperlo...". "Ero sicura che fosse il cugino," pens Mme des Grassins sogguardando il nuovo arrivato. "47," disse forte il vecchio prete. "Segnatelo, Mme des Grassins, non ce l'avete nella vostra cartella?". M. des Grassins mise un gettone sulla cartella della moglie, che, in preda a tristi presentimenti, guardava ora il cugino di Parigi ora Eugnie, senza pensare alla tombola. Di tanto in tanto, la giovane ereditiera gettava al cugino degli sguardi furtivi, nei quali la moglie del banchiere riusc a scorgere un Crescendo di stupore e di curiosit. M. Charles Grandet, bel giovane di ventidue anni, offriva nella circostanza un singolare contrasto con quei bravi provinciali che si sentivano piuttosto urtati dai suoi modi aristocratici, e che lo stavano studiando per potersi poi burlare di lui. Ci esige una spiegazione. A ventidue anni i giovani sono ancora abbastanza vicini all'infanzia per cedere agli infantilismi. Cos, forse, su cento di loro se ne potrebbero trovare novantotto che si sarebbero comportati come Charles Grandet. Alcuni giorni prima, il padre gli aveva detto di andare a stare per qualche mese da suo fratello a Saumur. Forse M. Grandet, di Parigi, pensava a Eugnie. Charles, che capitava in provincia per la prima volta, ebbe l'idea di darsi un tono di superiorit da giovane alla moda, di sconcertare il circondario con il suo lusso, di farvi scalpore e di importarvi le novit della vita parigina. Insomma, per dirla in poche parole, intendeva, a Saumur, impiegare pi tempo di quanto ne impiegasse a Parigi per lucidarsi le unghie, ed esibire quell'eccessiva ricercatezza nel vestire che a volte un giovane elegante trascura in favore di una negligenza che non manca di grazia. Charles, dunque, si port dietro il pi bel vestito da caccia, il pi bel fucile, il pi bel coltello, il pi bel fodero di Parigi. Port una collezione di gil fra i pi fantasiosi: ce n'erano grigi, bianchi, neri, color scarabeo, con riflessi dorati, ornati di lustrini, variegati, a doppio petto, sciallati e non, col collo rivoltato, abbottonati fino in alto, con i bottoni d'oro. Port tutti i tipi di colletti e di cravatte che erano di moda in quel momento. Port due marsine di Buisson e la sua biancheria pi fine. Port il suo bel ncessaire da toeletta in oro, regalo della madre. Port tutti i suoi
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ammennicoli da dandy, senza dimenticare un delizioso piccolo servizio per scrivere dono della donna pi amabile, almeno per lui, di una gran dama che egli chiamava Annette e che stava viaggiando col marito, annoiandosi, in Scozia, vittima di certi sospetti ai quali per il momento era giocoforza sacrificare la felicit; e poi una gran quantit di carta finissima per scriverle una lettera ogni quindici giorni. Insomma un carico di futilit parigine dei pi completi e nel quale, dal frustino che serve per provocare un duello fino alle belle pistole cesellate che lo concludono, erano compresi tutti gli attrezzi di cui un giovane ozioso si serve per arare il terreno della vita. Poich il padre gli aveva detto di viaggiare da solo e modestamente, era venuto con una diligenza affittata tutta per lui, ben contento di non dover sciupare una deliziosa vettura da viaggio ordinata per andare a raggiungere la sua Annette, la gran dama che... ecc., che egli doveva incontrare in giugno alle terme di Baden. Charles pensava di trovare un centinaio di persone in casa di suo zio, di cacciare a cavallo nelle foreste di suo zio, insomma di vivere come in un castello; non sapeva che lo zio fosse a Saumur, dove, arrivando, si era limitato a chiedere la strada per Froidfond; poi, avendo appreso che era in citt, pens di trovarlo in un grande palazzo. Per comparire nel modo pi acconcio in casa dello zio, fosse a Saumur, fosse a Froidfond, si era messo un abito da viaggio civettuolo, semplice e ricercato, adorabile, per usare una parola che a quei tempi compendiava le particolari perfezioni di una cosa o di un uomo. A Tours, si era fatto rinfrescare da un parrucchiere l'arricciatura dei bei capelli castani; si era cambiata la biancheria e aveva messo una cravatta di satin nero su un colletto tondo in modo da incorniciare gradevolmente il viso candido e sorridente. Una redingote da viaggio abbottonata a met gli serrava la vita e lasciava vedere un gil sciallato di cachemire sotto il quale c'era un secondo gil bianco. L'orologio, infilato negligentemente in un taschino, era attaccato con una catena d'oro alla bottoniera. I pantaloni grigi si chiudevano sui fianchi, dove ricami in seta nera abbellivano le cuciture. Impugnava con disinvoltura un bastone il cui pomo d'oro sbalzato non lasciava la minima ombra sui guanti grigi immacolati. Per concludere, il berretto era di un gusto eccellente. Solo un parigino, un parigino del ceto pi elevato, poteva abbigliarsi cos senza apparire ridicolo, anzi dando una fatua armonia a tutte queste quisquilie, sostenute del resto da un'aria spavalda, l'aria del giovanotto che ha due belle pistole, la mira sicura e Annette. Ora, se volete comprendere appieno la sorpresa sia di quelli di
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Saumur sia del giovane parigino, vedere con chiarezza il riverbero abbagliante che l'eleganza del viaggiatore proiettava sulle ombre grigie della sala e sulle figure che formavano il quadro di famiglia, cercate di immaginarvi i Cruchot. Tutti e tre tabaccavano e ormai da un pezzo non si curavano pi delle goccioline di moccio o delle macchioline scure che costellavano le pettorine delle camicie strinate, con i colletti spiegazzati e piene di segni giallastri. Le cravatte molli, una volta annodate, si intorcinavano come fossero corde. L'enorme quantit di biancheria che conservavano in fondo agli armadi, permetteva a loro di fare la liscivia ogni sei mesi e al tempo di imprimere sui capi un colore grigio e vecchio. Erano insieme e in egual misura sgraziati e senili. Le loro facce avvizzite come gli abiti frusti, spiegazzate come i pantaloni, sembravano consunte, incartapecorite e contorte. La generale sciatteria degli altri capi, tutti spaiati, stazzonati, come lo sono gli abiti in provincia, dove a poco a poco si giunge a non vestirsi pi gli uni per gli altri e a far caso al prezzo di un paio di guanti, si accordava con la trascuratezza dei Cruchot. L'orrore per la moda era il solo punto sul quale grassinisti e cruchottiani si intendessero perfettamente. Appena il parigino prendeva l'occhialetto per esaminare il singolare arredo della sala, le tavole del piancito, il colore dei pannelli o le macchioline che le mosche vi avevano lasciato in quantit tale che sarebbero state sufficienti per punteggiare l'Encyclopdie mthodique o "Le Monitour", ecco che i giocatori di tombola alzavano il naso e lo osservavano con la stessa curiosit che avrebbero dimostrato per una giraffa. M. des Grassins e il figlio, per i quali un uomo alla moda non era un personaggio sconosciuto, si unirono ci nondimeno allo stupore dei vicini o perch subivano l'indefinibile influenza del sentimento generale o perch erano d'accordo, dicendo ai loro concittadini, con occhiate cariche di ironia: "Ecco come sono a Parigi." Del resto, tutti a loro piacimento potevano osservare Charles, senza tema di irritare il padrone di casa. Grandet era assorbito dalla lunga lettera che teneva in mano, e per leggerla aveva preso l'unica candela del tavolo senza preoccuparsi degli ospiti e del loro gioco. Eugnie, cui era del tutto sconosciuto un tale tipo di perfezione, tanto nell'abito quanto nella persona, credette di vedere nel cugino una creatura scesa da una sfera angelica. Ella respirava deliziata i profumi che si sprigionavano da quella capigliatura cos lucente, cos ben arricciata. Avrebbe voluto poter toccare la pelle satinata di quei guanti graziosi. Invidiava a Charles le mani piccole, l'incarnato, la freschezza e la
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delicatezza dei tratti. Insomma, se in qualche modo un'immagine pu riassumere l'impressione che il giovane alla moda produsse su una fanciulla ignorante sempre occupata a rammendare calze, a rattoppare il guardaroba del padre, e la cui vita era trascorsa fra quei luridi pannelli di legno senza veder passare nella via silenziosa pi di una persona l'ora, si pu dire che la vista del cugino suscit nel cuore di lei gli stessi fremiti di sottile volutt che suscitano in un giovane le fantastiche figure di donne disegnate da Westall nei keepsakes inglesi, e incise dai Finden con tale abilit, che si ha paura, soffiando sulla velina, di far volare via quelle apparizioni celestiali. Charles tir fuori di tasca un fazzoletto ricamato dalla gran dama che in quel momento viaggiava in Scozia. Vedendo quel piccolo capolavoro, fatto con amore nelle ore perdute per l'amore, Eugnie guard il cugino per capire se avesse davvero l'intenzione di usarlo. Le maniere di Charles, i gesti, il modo in cui prendeva l'occhialetto, la sua impertinenza affettata, il disprezzo per la scatola da lavoro che poco prima aveva colmato di piacere la ricca ereditiera e che egli giudicava evidentemente o senza valore o ridicola; insomma, tutto ci che urt i Cruchot e i des Grassins le piacque tanto che prima di addormentarsi fantastic a lungo su questa fenice dei cugini. L'estrazione dei numeri procedeva a rilento, ma di l a poco la tombola venne interrotta. La grande Nanon entr e disse ad alta voce: "Signora, mi occorrono le lenzuola per fare il letto a questo signore." Mme Grandet usc con Nanon. Allora Mme des Grassins disse a bassa voce: "Riprendiamoci i nostri soldi e lasciamo perdere la tombola." Ciascuno riprese i suoi due soldi dalla vecchia sottocoppa sbreccata dove li aveva deposti; poi tutti si mossero all'unisono e fecero un quarto di giro verso il fuoco. "E allora avete finito?" chiese Grandet senza smettere di leggere la lettera. "S, s," rispose Mme des Grassins andando a sedere vicino a Charles. Eugnie, spinta da uno di quei pensieri che nascono nel cuore delle ragazze quando un sentimento vi prende stanza per la prima volta, lasci la sala per andare ad aiutare la madre e Nanon. Se fosse stata interrogata da un abile confessore, avrebbe ammesso senza dubbio che non pensava n alla madre n a Nanon, ma che era in preda all'acuto desiderio di ispezionare la camera del cugino per potersi occupare di lui, per mettervi una cosa qualsiasi, per rimediare a una dimenticanza, per prevedere tutto
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ci che occorresse a renderla, nei limiti del possibile, elegante e accogliente. Eugnie era ormai convinta di essere la sola capace di comprendere i gusti e le idee del cugino. In effetti, arriv a tempo per dimostrare alla madre e a Nanon, le quali stavano venendo via sicure di aver fatto tutto, che tutto era ancora da fare. Sugger alla grande Nanon di riscaldare le lenzuola con la brace; copr lei stessa il vecchio tavolo con un centrino e raccomand a Nanon di cambiarlo tutte le mattine. Convinse la madre della necessit di accendere un bel fuoco nel camino e indusse Nanon a portare di sopra, nel corridoio, un po' di legna senza dir nulla al padre. Lei stessa corse a prendere in una cantoniera della sala un vecchio vassoio laccato che veniva dalla successione del defunto M. de la Bertellire, prese anche un bicchiere di cristallo a sei facce, un cucchiaino con fregi, una bottiglietta antica sulla quale erano impressi degli amorini e con aria trionfale deposit il tutto su un angolo del camino. Aveva avuto pi idee in un quarto d'ora di quante ne avesse avute dal giorno in cui era venuta al mondo. "Mamma," disse, "mio cugino non sopporter mai l'odore di una candela di sego. Se comperassimo una candela di cera?". Leggera come un uccello, and a prendere nella sua borsa lo scudo da cento soldi che aveva ricevuto per le spese mensili. "Tieni, Nanon," disse, "vacci subito." "Ma che dir tuo padre?" Questa terribile obiezione fu sollevata da Mme Grandet che vide fra le mani della figlia una vecchia zuccheriera di Svres presa da Grandet nel castello di Froidfond. "E dove prenderai lo zucchero? Sei impazzita?". "Mamma, Nanon comprer insieme con la candela anche un po' di zucchero." "E tuo padre?". "Sarebbe forse decoroso che suo nipote non potesse bere un bicchiere di acqua zuccherata? Eppoi, non ci far caso." "Tuo padre vede tutto," disse Mme Grandet scuotendo il capo. Nanon, che conosceva il padrone, esitava. "Vai dunque Nanon, dal momento che la mia festa." Nanon sbott a ridere sentendo la prima spiritosaggine che la padroncina avesse mai detto, e le obbed. Mentre Eugnie e la madre si sforzavano di abbellire la stanza che M. Grandet aveva destinato al nipote, Charles era oggetto delle attenzioni di Mme des Grassins che gli faceva parecchie moine.
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"Siete molto coraggioso, signore," gli disse, "ad abbandonare i piaceri della capitale durante l'inverno per venire a Saumur. Ma, se non vi facciamo troppa paura, vedrete che ci si pu divertire anche qui." Gli scocc una di quelle occhiate da provinciale, in cui le donne per abitudine mettono tanta riservatezza e cautela da dare ai loro occhi la ghiotta concupiscenza tipica degli occhi degli ecclesiastici ai quali ogni piacere sembra un furto o una colpa. Charles si sentiva cos spaesato in quella sala, tanto diversa dall'immenso castello e dall'esistenza fastosa che aveva attribuito allo zio, che, guardando bene Mme des Grassins, gli parve di scorgere la copia un po' sbiadita dei volti parigini. Rispose con gentilezza a quella specie di invito che gli era stato rivolto, e si impegn con naturalezza in una conversazione, durante la quale Mme des Grassins abbass poco per volta la voce per intonarla con il carattere delle sue confidenze. E sia lei che Charles avevano lo stesso bisogno di confidenze. Cos, dopo qualche minuto di conversazione frivola e di piacevolezze serie, l'accorta provinciale, credendo di non essere ascoltata dagli altri, che parlavano della vendita del vino, una faccenda in quel momento all'ordine del giorno a Saumur, riusc a dirgli: "Signore, se ci farete l'onore di venire a trovarci, certamente sar un grande piacere per mio marito e per me. Il nostro salotto l'unico a Saumur dove troverete riuniti i grossi commercianti e i nobili: noi apparteniamo a entrambi i ceti e questi vogliono incontrarsi solo da noi, perch da noi ci si diverte. Mio marito, e lo dico con orgoglio, tenuto in grande considerazione sia dagli uni che dagli altri. Perci faremo di tutto per alleviare la noia del vostro soggiorno qui. Se non usciste da casa Grandet, che sarebbe di voi, mio Dio! Vostro zio un avaraccio che pensa solo alle vigne; vostra zia una pia donna che non sa mettere insieme due idee, e vostra cugina un'ochetta senza educazione, ordinaria, senza doti e che passa la vita a rammendare stracci." " in gamba questa donna," si disse Charles Grandet, rispondendo alle moine di Mme des Grassins. "Moglie mia, mi sembra che tu voglia accaparrarti il signore," disse ridendo quel pezzo d'uomo del banchiere. Udendo ci, il notaio e il presidente fecero delle battute pi o meno maliziose; ma il reverendo li guard con aria astuta e riassunse il loro pensiero mentre prendeva una presa di tabacco e offriva in giro la tabacchiera: "Chi meglio di Mme des Grassins," disse, "potrebbe fare gli onori di Saumur al signore?".
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"Che cosa intendete dire, reverendo?" chiese M. des Grassins. "Intendo dire, signore, la cosa pi lusinghiera per voi, per la signora, per la citt di Saumur e per il signore," aggiunse l'astuto vegliardo voltandosi dalla parte di Charles. Senza dare a vedere che vi prestasse la minima attenzione, padre Cruchot era riuscito a intuire il tenore della conversazione fra Charles e Mme des Grassins. "Signore," disse allora Adolphe a Charles con un'aria che avrebbe voluto essere disinvolta, "non so se vi ricordiate di me; ho avuto il piacere di incontrarvi a un ballo del signor barone di Nucingen, e...". "Perfettamente, signore, perfettamente," rispose Charles, sorpreso di vedersi l'oggetto delle attenzioni di tutti. "Il signore vostro figlio?" chiese a Mme des Grassins. Il reverendo guard la madre con aria maliziosa. "S, signore," disse lei. "Eravate dunque molto giovane quando stavate a Parigi?" riprese Charles rivolgendosi ad Adolphe. "Che volete, signore," disse il prete, "li mandiamo a Babilonia appena svezzati." Mme des Grassins rivolse al reverendo uno sguardo interrogativo di una sorprendente profondit. "Bisogna venire in provincia," continu il prete, "per trovare delle donne di trenta e passa anni fresche come la signora, anche se hanno dei figli laureandi in legge. Mi sembra di essere tornato al giorno in cui i giovani e le dame montavano sulle sedie per vedervi ballare, signora," aggiunse voltandosi verso la sua avversaria. "Per me, i vostri successi sono cosa di ieri...". "Oh! vecchio scellerato!" disse fra s Mme des Grassins, "possibile che mi abbia capito?". "Sembra che avr molto successo a Saumur," si diceva Charles sbottonando la redingote, infilando una mano nel gil e lasciando vagare lo sguardo nel vuoto per imitare la posa in cui Chantrey aveva ritratto lord Byron. La disattenzione di pap Grandet, o, per meglio dire, la preoccupazione che gli suscitava la lettura della missiva, non sfuggi n al notaio n al presidente, i quali cercarono di indovinarne il contenuto attraverso gli impercettibili movimenti del viso del brav'uomo, che si trovava a essere ben illuminato dalla candela. Al vignaiolo riusciva difficile mantenere
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l'impassibilit abituale della sua fisionomia. Del resto, ognuno potr immaginare quale fosse l'espressione di quell'uomo mentre leggeva la terribile lettera che segue: "Fratello mio, fra poco saranno ventitr anni che non ci vediamo. L'ultima volta parlammo del mio matrimonio e poi ci separammo contenti l'uno dell'altro. Certo, non potevo prevedere che un giorno saresti stato l'unico sostegno della famiglia, della cui prosperit allora ti rallegravi. Quando avrai fra le mani questa lettera, io non ci sar pi. Data la mia posizione non ho voluto sopravvivere alla vergogna di un fallimento. Mi sono tenuto in equilibrio sull'orlo del precipizio fino all'ultimo momento, sperando di sopravvivere. Ora necessario cadere. La bancarotta del mio agente di cambio e quella di Roguin, il mio notaio, hanno divorato le ultime risorse e mi hanno lasciato senza niente. Ho il dolore di avere debiti per circa quattro milioni, e non posso offrire pi del venticinque per cento di attivo. I vini che ho immagazzinato subiscono ora il disastroso calo di prezzo provocato dall'abbondanza e dalla qualit dei vostri raccolti. Di qui a tre giorni, si dir a Parigi: "M. Grandet era un lestofante!" Io, uomo onesto, finir avvolto in un sudario d'infamia. Derubo mio figlio del nome che macchio e della fortuna di sua madre. Quell'infelice ragazzo che idolatro non sa nulla di ci. Ci siamo detti addio con tenerezza. Per fortuna, ignorava che in quell'addio c'erano gli ultimi palpiti della mia vita. Chiss se mi maledir un giorno? Fratello mio, fratello mio, la maledizione dei figli spaventosa! contro la nostra essi possono appellarsi, ma la loro irrevocabile. Grandet, tu sei il mio fratello maggiore, tu mi devi la tua protezione: fa' che Charles non pronunci parole amare sulla mia tomba! Fratello mio, se ti scrivessi con il sangue e le lacrime, il dolore che riverso in questa lettera sarebbe minore; perch piangerei, sanguinerei, sarei morto e non soffrirei pi; ma io soffro e contemplo la morte con occhi asciutti. Eccoti dunque padre di Charles! egli non ha parenti dal lato materno, e tu sai perch. Perch non ho rispettato i pregiudizi sociali? Perch ho ceduto all'amore? Perch ho sposato la figlia naturale di un gran signore? Charles non ha pi una famiglia. O sfortunato figlio! figlio mio!... Ascolta, Grandet, io non ti supplico per me; del resto, il tuo patrimonio non forse tanto grande da poter sopportare un'ipoteca di tre milioni; ma per mio figlio! Sappi, fratello, che le mie mani supplici si sono congiunte nel pensare a te. Grandet, in punto di morte io ti affido Charles. Ora guardo la mie pistole senza dolore, perch so che gli farai da padre. Mi amava molto,
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Charles; io ero buono con lui, non lo contrariavo mai: non mi maledir. Del resto, lo vedrai tu stesso: dolce, ha preso dalla madre, non ti dar mai un dispiacere. Povero ragazzo! abituato alle gioie del lusso, non conosce le privazioni alle quali la nostra miseria giovanile costrinse te e me... Ed eccolo rovinato, solo! S, tutti gli amici lo eviteranno, e sar stato io la causa delle sue umiliazioni. Ah! vorrei avere braccia abbastanza forti per scagliarlo in cielo, accanto a sua madre. Follia! torno alla mia sfortuna, a quella di Charles. L'ho mandato da te perch tu lo informi come si conviene della mia fine e della sua sorte futura. Sii un padre per lui, ma un buon padre. Non strapparlo di colpo alla sua vita oziosa, lo uccideresti. Io gli chiedo in ginocchio di rinunciare ai crediti che quale erede di sua madre potrebbe accampare verso di me. Ma una preghiera superflua; egli ha il senso dell'onore e capir che non deve unirsi ai miei creditori. Fa' che rinunci alla mia successione in tempo utile. Attenuagli le dure condizioni di vita nelle quali lo lascio, e, se ha ancora dell'affetto per me, digli a mio nome che non tutto perduto per lui. S, il lavoro, che ha salvato noi due, pu restituirgli quel patrimonio che io gli sottraggo; e che se vuole ascoltare la voce del padre, che per lui vorrebbe uscire un attimo solo dalla tomba, parta, vada nelle Indie! Fratello mio Charles un giovane onesto e coraggioso; mettigli insieme una paccottiglia, ed egli morirebbe piuttosto che non restituirti i primi fondi che gli presterai; perch tu glieli presterai, Grandet! altrimenti avrai dei rimorsi. Ah! se mio figlio non trovasse in te n aiuto n affetto, per l'eternit chiederei vendetta a Dio della tua durezza. Se avessi potuto salvare qualcosa, avrei avuto il diritto di rimettergli una somma in conto del patrimonio materno; ma i pagamenti di fine mese hanno prosciugato tutte le mie risorse. Non avrei voluto morire dubitando della sorte di mio figlio; avrei voluto sentire delle solenni promesse nel calore della tua mano, che mi avrebbe riscaldato; ma il tempo mi manca. Mentre Charles in viaggio, devo compilare il bilancio. Cerco di provare grazie alla buona fede che regola i miei affari, che nel mio disastro non c' n colpa n disonest. Anche questo non un modo di occuparmi di Charles? Addio, fratello mio. Che tu possa ricevere tutte le benedizioni di Dio per la generosa tutela che ti affido, e che tu, non ne dubito, accetterai. Ci sar una voce che pregher senza posa per te nel mondo dove tutti un giorno devono andare, e dove io sono gi. Victor-Ange-Guillaume GRANDET."

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"Allora, fate conversazione?" disse pap Grandet piegando meticolosamente la lettera secondo le pieghe originali e riponendola nella tasca del gil. Guard il nipote con un'aria umile e timorosa, sotto la quale nascondeva emozioni e calcoli. "Vi siete scaldato?". "A perfezione, mio caro zio." "Ma dove sono le nostre donne?" disse lo zio, avendo gi dimenticato che il nipote dormiva in casa sua. In quel momento, Eugnie e Mme Grandet rientrarono. " tutto in ordine di sopra?" chiese loro il brav'uomo ritrovando la calma. "S, padre mio." "Ebbene, caro nipote, se siete stanco, Nanon vi accompagner nella vostra stanza. Cribbio, non certo un appartamento da zerbinotti! ma vorrete scusare dei poveri vignaioli sempre squattrinati. Il fisco ci mangia tutto." "Non vorremmo essere indiscreti, Grandet," disse il banchiere. "Forse vorrete discorrere con vostro nipote, perci vi auguriamo la buona sera. A domani." A queste parole, tutti si alzarono, e ognuno fece la riverenza a modo suo. Il vecchio notaio and a prendere la lanterna che aveva lasciato sotto la porta, e torn per accenderla offrendosi di accompagnare i des Grassins. Mme des Grassins non aveva previsto l'incidente che doveva far terminare la serata anzitempo, per questo il suo domestico non era ancora arrivato. "Volete farmi l'onore di accettare il mio braccio, signora?" disse padre Cruchot a Mme des Grassins. "Grazie, reverendo. Ho mio figlio," rispose lei seccamente. "Le signore non vogliono compromettersi con me," disse il prete. "Via, da' il braccio a padre Cruchot," le disse il marito. Il prete condusse la graziosa dama a passo svelto in modo da precedere gli altri. " proprio a posto quel giovane, signora," le disse stringendole il braccio. "Addio speranze: i giochi sono fatti! Dovrete dire addio a Mlle Grandet, Eugnie andr al parigino. A meno che il cugino non sia innamorato di una parigina, vostro figlio Adolphe trover in lui il rivale pi...". "Lasciate stare, reverendo. Quel giovane non tarder ad accorgersi che Eugnie una sciocca, una ragazza senza freschezza. Non l'avete veduta? Stasera era gialla come una cotogna."
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"L'avete gi fatto notare al cugino, per caso?". "E non mi sono fatta scrupolo...". "State sempre accanto a Eugnie, signora, e non avrete da dire molto a quel giovane contro la cugina, far da solo un confronto che...". "Tanto per cominciare, mi ha promesso di venire a cena da me dopodomani." "Ah! se voi voleste, signora..." disse il prete. "E che cosa volete che voglia, reverendo? Intendete forse darmi dei cattivi consigli? Non sono arrivata a trentanove anni con una reputazione senza macchia, grazie a Dio, per comprometterla, anche se si trattasse dell'impero del Gran Mogol. Abbiamo un'et, l'uno e l'altra, in cui si sa che cosa significa parlare. Devo dire che per essere un ecclesiastico, avete delle idee proprio sconvenienti. Vergogna! Tutto questo degno di Faublas." "Avete letto Faublas?". "No, reverendo, volevo dire Le relazioni pericolose." "Ah! questo un libro molto pi morale," disse ridendo il prete. "Ma voi mi ritenete perverso come un giovane d'oggi. Volevo solo dire...". "Osereste dire che non intendevate consigliarmi qualche infamia? Non chiaro? Se quel giovane, che molto a posto, ne convengo, mi facesse la corte, non penserebbe alla cugina. Lo so che a Parigi ci sono delle brave madri che si comportano cos per la felicit e la fortuna dei loro figli; ma qui siamo in provincia, reverendo." "S, signora." "E," riprese lei, "io rifiuterei, Adolphe medesimo rifiuterebbe cento milioni ottenuti a quel prezzo." "Signora, io non ho parlato di cento milioni. Forse la tentazione avrebbe potuto essere troppo forte per l'uno e per l'altra. Solo, credo che una donna onesta possa permettersi, senza far nulla di male e rispettando il proprio onore, delle piccole civetterie di poco conto, che fanno parte dei suoi doveri in societ, e che...". "Voi credete?". "Non dobbiamo, signora, cercare di piacerci gli uni agli altri? ...Permettete che mi soffi il naso. Vi assicuro, signora," riprese, "che vi guardava con un'aria un po' pi lusinghiera di quella che aveva nel guardare me; ma gli perdono di preferire alla vecchiaia la bellezza...". " chiaro," diceva il presidente col suo vocione, "che M. Grandet di Parigi manda il figlio a Saumur con intenti decisamente matrimoniali...".
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"Ma, allora, l'arrivo del cugino non stato un fulmine a ciel sereno," rispondeva il notaio. "Questo non vuol dire niente," osserv M. des Grassins, "il nostro brav'uomo un tipo misterioso." "Des Grassins, amico mio, quel giovanotto l'ho invitato a cena. Bisogner che tu vada a invitare M. e Mme de Larsonnire e i du Hautoy, con la bella signorina Hautoy, ben inteso; sperando che almeno quel giorno si vesta bene! Per gelosia la madre la manda sempre in giro infagottata! Spero, signori, che ci farete l'onore di venire," aggiunse fermando il corteo per voltarsi verso i due Cruchot. "Eccovi arrivata, signora," disse il notaio. Dopo aver salutato i tre des Grassins, i tre Cruchot se ne tornarono verso le loro case, mettendo a profitto il genio analitico tipico dei provinciali per studiare sotto tutti gli aspetti gli avvenimenti di quella serata, che mutava le posizioni sia dei cruchottiani sia dei grassinisti. L'ammirevole buon senso che regolava le azioni di questi grandi calcolatori fece sentire agli uni e agli altri la necessit di una temporanea alleanza contro il nemico comune. Non dovevano forse di comune accordo impedire che Eugnie si innamorasse del cugino, e che Charles pensasse alla cugina? Il parigino avrebbe saputo resistere alle perfide insinuazioni, alle calunnie zuccherose, alle maldicenze infarcite di elogi, agli ingenui dinieghi che gli avrebbero fatto ronzare di continuo nelle orecchie per ingannarlo? Quando i quattro parenti furono rimasti soli nella sala, M. Grandet disse al nipote: "Sar meglio andare a letto. troppo tardi per parlare delle faccende che vi portano qui, troveremo domani il momento opportuno. Noi facciamo colazione alle otto. A mezzogiorno, mangiamo senza cerimonie un frutto e un pezzetto di pane e beviamo un bicchiere di vino bianco poi ceniamo, come fanno i parigini, alle cinque. Ecco gli orari. Se volete vedere la citt o i dintorni, siete libero come l'aria. Mi scuserete se gli affari non mi permetteranno sempre di accompagnarvi. Forse vi sentirete dire da tutti che sono ricco: "M. Grandet di qui, M. Grandet di l!" Io li lascio dire, le loro chiacchiere non nuociono per nulla alla mia reputazione. Ma la verit che non ho un soldo e alla mia et lavoro come un giovane garzone i cui unici beni sono una cattiva pialla e due buone braccia. Forse voi stesso capirete presto che cosa vale uno scudo quando bisogna sudarselo. Suvvia, Nanon, le candele!"
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"Spero, nipote mio, che troverete tutto ci di cui avete bisogno," disse Mme Grandet; "ma, se vi occorresse qualcosa potrete chiamare Nanon." "Cara zia, sar difficile; credo di aver portato tutto ci che mi serve! Permettetemi di augurare una buona notte a voi e anche alla mia giovane cugina." Charles prese dalle mani di Nanon una candela accesa, una candela di cera, ma rimasta tanto a lungo in negozio da aver preso una tinta giallastra cos simile a quella delle candele di sego che M. Grandet, non potendo sospettarne l'esistenza in casa sua, non si accorse di tanto lusso. "Vi faccio strada," disse il brav'uomo. Invece di uscire per la porta della sala che dava sull'andito, Grandet fece la scena di passare dal corridoio che separava la sala dalla cucina. Una porta a vento con un vetro ovale chiudeva il corridoio dalla parte delle scale per attenuare il freddo che vi si annidava. Ma d'inverno gli spifferi erano tali che, nonostante i parafreddo sistemati sotto le porte della sala, a stento il calore riusciva a mantenersi a un livello conveniente. Nanon mise il chiavistello al portone, chiuse la sala e and nella stalla a sciogliere un cane lupo che abbaiava con voce roca come se avesse una laringite. Quest'animale, di una notevole ferocia, non riconosceva che Nanon. Erano due creature campagnole che si capivano. Quando Charles vide le pareti giallastre e affumicate della tromba della scala dove i gradini e la ringhiera tarlata tremavano sotto il passo pesante dello zio, si sent sempre pi preso dallo sgomento. Gli parve di trovarsi su un posatoio per i polli. La zia e la cugina, verso le quali si volt per interrogare i loro visi, erano tanto abituate a quella scala che, non indovinando il motivo del suo stupore, pensarono si trattasse di un'espressione amichevole, e risposero con un bel sorriso. "Che diavolo mi manda a fare qui mio padre?" si chiedeva. Arrivato sul primo pianerottolo, vide tre porte dipinte in rosso etrusco e senza stipiti, che sembravano confondersi con l'intonaco polveroso ed erano guarnite da strisce di ferro bullonate, in bella vista, che avevano ciascuna estremit foggiata a mo' di fiamma come lo erano le estremit della lunga mascherina della serratura. Quella delle tre porte che si trovava proprio in capo alle scale e che avrebbe dovuto dare accesso al locale situato sopra la cucina, era chiaramente murata. In realt si entrava solo passando dalla camera di Grandet al quale quella stanza serviva come studio. L'unica finestra da cui l'ambiente prendeva luce dava sul cortile ma era sbarrata da una pesante griglia di ferro. Nessuno, nemmeno Mme
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Grandet, aveva il permesso di entrare, perch il brav'uomo voleva restarci solo, come un alchimista davanti al suo fornello. Senza dubbio in quella stanza era stato creato un qualche nascondiglio, l venivano stipati i titoli di propriet, l c'erano le bilance per pesare i luigi, l di notte e in segreto venivano fatte le quietanze, le ricevute, i conti; di modo che chi era in affari vedendo Grandet sempre pronto a ogni evenienza era indotto a credere che avesse ai suoi ordini una fata o un demone. L, senza dubbio, quando Nanon russava da spaccare il piancito, quando il cane lupo vegliava e sbadigliava in cortile, quando Mme e Mlle Grandet erano addormentate ben bene, il vecchio bottaio andava a coccolare, a carezzare, a covare, a far lievitare, a imbottare il suo oro. Le pareti erano spesse, le imposte impenetrabili. Lui solo aveva la chiave di questo laboratorio, dove, si diceva, consultava delle mappe sulle quali erano disegnati i suoi alberi da frutta e dove calcolava i suoi prodotti fino all'ultimo arbusto, fino all'ultima fascina. L'ingresso della stanza di Eugnie era di fronte a questa porta murata. Poi, in fondo al pianerottolo, c'era l'appartamento degli sposi, che prendeva tutta la facciata della casa. Mme Grandet aveva una camera vicina a quella di Eugnie nella quale era possibile entrare da una porta vetrata. La camera del padrone era separata da quella della moglie mediante un tramezzo e dal misterioso studio mediante uno spesso muro. Pap Grandet aveva fatto sistemare il nipote al secondo piano, nell'alta mansarda sopra la sua camera, cos da poterlo sentire se gli fosse venuto l'uzzolo di andare in giro. Quando Eugnie e la madre furono in mezzo al pianerottolo si scambiarono il bacio della buona notte; poi, dopo aver rivolto a Charles qualche parola di congedo, fredda sulle labbra ma certo calorosa nel cuore della ragazza, entrarono nelle rispettive stanze. "Eccovi nella vostra camera, nipote mio," disse pap Grandet a Charles aprendogli la porta. "Se aveste bisogno di uscire, chiamate Nanon. Se non c' lei, mio caro, il cane vi sbranerebbe senza dire una parola. Dormite bene. Buona notte. Ah! ah! le signore vi hanno acceso il fuoco," riprese. In quel momento arriv la grande Nanon armata di uno scaldaletto. "Eccone un'altra," disse M. Grandet. "Credi che mio nipote sia una donna incinta? Porta via quella brace, Nanon!". "Ma, signore, le lenzuola sono umide, e questo signore proprio carino come una donna."

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"E va bene dal momento che te lo sei messo in testa," disse Grandet spingendola per le spalle, "ma sta' attenta a non appiccare un incendio." Poi l'avaro scese borbottando parole incomprensibili. Charles rimase senza fiato in mezzo ai suoi bagagli. Dopo aver gettato un'occhiata sulle pareti della stanza a mansarda tappezzate con quella carta gialla a fiori che si vede nelle osterie dei sobborghi, su un camino di pietra calcarea scanalata che metteva freddo solo a guardarlo, su certe sedie di legno giallo guarnite di giunco verniciato che sembravano avere pi di quattro angoli, su un tavolo da notte aperto che avrebbe potuto contenere un piccolo sergente di cavalleria, sul misero tappeto di cimosa steso ai piedi di un letto a baldacchino il cui drappeggio tremava come se stesse per cadere, roso dalle tarme, guard con molta seriet la grande Nanon e le disse: "Ah, beh! Ragazza mia, sono proprio in casa di M. Grandet, ex sindaco di Saumur, fratello di M. Grandet di Parigi?". "S, signore, siete in casa di un signore amabilissimo, dolcissimo, perfettissimo. Volete che vi aiuti a disfare i bagagli?" "Ma certo, mio veterano! Per caso non avete servito fra i marinai della guardia imperiale?". "Oh! oh! oh! oh!" disse Nanon, "che cosa sono i marinai della guardia? roba salata? E va per mare?". "Tenete, prendete la vestaglia che in quella valigia. Questa la chiave." Nanon rimase piena di meraviglia nel vedere una vestaglia di seta verde a fiori d'oro e con disegni antichi. "Vi mettete questa per coricarvi?" chiese. "S." "Santa Vergine, sarebbe un bel paliotto per l'altare della parrocchia. Mio caro e bel signore, regalatela alla chiesa, vi salverete l'anima, mentre tenendola la perderete. Oh, come state bene cos. Vado a chiamare la signorina perch vi ammiri." "Suvvia, Nanon, poich Nanon siete, volete stare zitta? Lasciatemi andare a letto, sistemer domani le mie cose; e se la mia vestaglia vi piace tanto, vi dar il modo di salvare l'anima. Sono troppo buon cristiano per non regalarvela quando partir, e voi potrete farne tutto quello che vorrete." Nanon rimase impietrita a guardare Charles senza riuscire a credere alle sue parole.
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"Regalarmi quel capo!" disse uscendo. "Il signorino sta gi sognando. Buona notte." "Buona notte, Nanon." "Che cosa sono venuto a fare qui?" si chiese Charles mentre prendeva sonno. "Mio padre non uno sciocco, questo viaggio deve avere uno scopo. Bah! A domani le questioni serie come diceva non ricordo pi quale imbecille d'un greco." "Santa Vergine! come bello mio cugino!" si disse Eugnie interrompendo le preghiere che per quella sera rimasero a met. Mme Grandet mentre si coricava non pensava a nulla. Attraverso la porta di comunicazione che si trovava al centro del tramezzo, sentiva l'avaro che camminava in lungo e in largo nella sua stanza. Come fanno tutte le mogli timide, ella aveva studiato il carattere del suo signore. Se il gabbiano prevede la tempesta, ella, da segni impercettibili, intuiva la tempesta interiore che agitava Grandet, e di conseguenza, per usare un'espressione sua, faceva la morta. Grandet guardava la porta dello studio foderata all'interno di lamiera, e si diceva: "Che idea assurda ha avuto mio fratello di lasciarmi in eredit il figlio! Bella successione! Non ho nemmeno venti scudi da dargli. E che sono poi venti scudi per quel vagheggino, che guardava il mio barometro come se avesse voluto buttarlo nel fuoco?". Pensando alle conseguenze di quel doloroso testamento, Grandet era forse pi agitato di quanto lo fosse stato suo fratello al momento di scriverlo. "Mi lascer davvero quell'abito d'oro?..." diceva Nanon, che si addorment abbigliata con il suo paliotto, e sogn fiori, tappeti, damaschi per la prima volta in vita sua, proprio come Eugnie sognava l'amore. Nella casta e monotona vita delle fanciulle arriva un momento in cui il sole riscalda con i suoi raggi la loro anima, in cui il fiore acquista un significato, in cui le palpitazioni del cuore comunicano al cervello un calore fecondo, e amalgamano le idee in un vago desiderio; giorno di innocente melanconia e di gioia soave! Quando i bambini cominciano a vedere, sorridono; quando una fanciulla intravede il sentimento nella natura, ella sorride come sorrideva da bambina. Se la luce il primo amore della vita, l'amore non la luce del cuore? Per Eugnie era arrivato il momento di veder chiaro nelle cose di questo mondo. Mattiniera come tutte le ragazze di provincia, si alz di buon'ora, disse le preghiere, e fece
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la toeletta, un'occupazione che, adesso, cominciava ad avere un senso. Per prima cosa si spazzol i capelli castani, li avvolse in un grosso chignon sul capo con molta attenzione per evitare che le trecce si sciogliessero, e mise nella sua acconciatura una simmetria che accentu il timido candore del viso, armonizzando la semplicit della pettinatura con l'ingenuit dei tratti. Mentre si lavava pi volte le mani con acqua pura e semplice che le induriva e le arrossava la pelle, guardava le sue belle braccia rotonde e si chiedeva che cosa facesse il cugino per avere le mani di un bianco cos tenero, le unghie cos ben modellate. Mise delle calze nuove e le sue scarpe pi belle. Si abbotton ben bene senza saltare nemmeno un'asola. Infine desiderando per la prima volta in vita sua di far bella figura, conobbe la felicit di indossare un abito in ordine, ben fatto, e che la rendeva attraente. Quando ebbe terminato la toeletta, sent suonare l'orologio della parrocchia e si stup di udire solo sette rintocchi. Il desiderio di avere tutto il tempo per vestirsi con cura l'aveva fatta alzare troppo presto. Non conoscendo l'arte di aggiustare e riaggiustare dieci volte un ricciolo, Eugnie incroci le braccia in santa pace e sedette alla finestra a contemplare il cortile, il piccolo giardino e le alte terrazze che lo sovrastavano; una veduta melanconica, limitata, ma non priva di quella misteriosa bellezza che dei luoghi solitari o della natura selvaggia. Accanto alla cucina c'era un pozzo con la vera e la carrucola era attaccata a un braccio di ferro curvo che una vite avviluppava con i pampini risecchiti, arrossati, bruciati dalla stagione; di l, il tralcio tortuoso raggiungeva il muro, vi si abbarbicava, correva lungo la casa e finiva in una legnaia dove i ciocchi erano sistemati in bell'ordine come i libri nella libreria di un bibliofilo. Il selciato del cortile presentava quelle sfumature nerastre che col passare del tempo sono causate dai muschi, dalle erbe e dallo scarso passaggio. I muri spessi erano velati di verde con lunghe strisce ondulate di color bruno. Infine, gli otto gradini che spiccavano sul fondo del cortile e conducevano alla porta del giardino erano malconci e sepolti dalla vegetazione come la tomba di un cavaliere sotterrato dalla vedova al tempo delle crociate. Sopra un filare di pietre tutte corrose si levava un cancello di legno fradicio, mezzo sgangherato per la vecchiaia, ma al quale si aggrappavano a capriccio delle piante rampicanti. Su un lato e sull'altro della porta a graticcio si protendevano i rami contorti di due meli rinsecchiti. Tre viali paralleli, in terra e separati da aiuole delimitate da siepi di bosso, formavano il giardino che, in fondo alla terrazza, terminava sotto la chioma di alcuni tigli. A un
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capo, dei cespugli di lamponi; all'altro, un enorme noce che protendeva i rami fin sullo studio del bottaio. La giornata limpida e il bel sole frequenti in autunno sulle rive della Loira cominciavano a dissipare il velo lasciato dalla notte sugli oggetti pittoreschi, sui muri, sulle piante del giardino e del cortile. Eugnie scopr un fascino del tutto nuovo in quelle cose che prima per lei erano cos comuni. Mille pensieri confusi le nascevano nell'animo, e vi crescevano man mano che fuori i raggi del sole si facevano pi vivi. Ella prov infine quel senso di piacere vago, inesplicabile, che avviluppa lo spirito, come una nube avvilupperebbe il corpo. Le sue riflessioni si accordavano con i particolari di quell'ambiente singolare, e le armonie del suo cuore si sposarono con le armonie della natura. Quando il sole raggiunse un tratto del muro da cui scendevano dei capelvenere dal fogliame folto con i colori cangianti come la gola dei piccioni, raggi celesti di speranza illuminarono l'avvenire per Eugnie, che ormai era immersa nella contemplazione di quel muro, dei fiori pallidi, delle campanule azzurre e delle erbe appassite, cui si mescolava un ricordo dolce come quelli dell'infanzia. Il fruscio che in quel cortile sonoro produceva ogni foglia che si staccava dal ramo dava una risposta agli interrogativi segreti della fanciulla, che sarebbe rimasta l tutta la giornata senza accorgersi del trascorrere delle ore. Poi vennero i moti tumultuosi dell'animo. Ella si alzava spesso si poneva davanti allo specchio e si guardava, come un autore onesto contempla la propria opera per criticarsi e ingiuriarsi. "Non sono abbastanza bella per lui." Tale era il pensiero di Eugnie, un pensiero umile e fertile di sofferenze. La povera fanciulla non si rendeva giustizia; ma la modestia, o meglio la paura, una delle prime virt dell'amore. Eugnie apparteneva, vero, a quel tipo di ragazze ben piantate, come se ne trovano nella piccola borghesia, e le cui attrattive sembrano volgari; ma, se ella non rassomigliava alla Venere di Milo, le sue forme erano nobilitate da quel soave sentimento cristiano che purifica la donna e le d una distinzione sconosciuta agli scultori antichi. Aveva la testa grande, la fronte mascolina, ma delicata, del Giove di Fidia, e gli occhi grigi ai quali la castit della vita, riversandovisi tutta intera, conferiva una particolare luminosit. I tratti del viso rotondo, un tempo fresco e rosa, erano stati appesantiti da un vaiolo abbastanza benigno da non lasciare tracce, ma che aveva distrutto il vellutato della pelle, rimasta tuttavia ancora cos delicata e fine, che il tenero bacio della madre vi lasciava per
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un attimo un segno rosso. Il naso era un po' troppo marcato, ma si accordava con la bocca color rosso di minio, le cui mille increspature erano piene d'amore e di bont. Il collo era di una rotondit perfetta. Il seno pieno, accuratamente velato, attirava lo sguardo e faceva sognare; mancava forse un poco di quella grazia che conferisce l'abito, ma, per gli intenditori, la non flessibilit di quel busto sostenuto costituiva un'attrattiva. Eugnie, grande e forte, non aveva dunque quella bellezza che piace alle masse; ma era bella di quella bellezza cos facile da riconoscere e della quale si invaghiscono soltanto gli artisti. Il pittore che avesse cercato su questa terra un tipo con la celeste purezza di Maria, che avesse chiesto alla natura femminile tutta intera quegli occhi modesti e fieri intuiti da Raffaello, quelle linee verginali spesso dovute alla casualit della concezione, ma che solo una vita cristiana e pudica pu conservare o fare acquistare; quel pittore, innamorato di un s raro modello, avrebbe trovato nel viso di Eugnie la nobilt innata e inconsapevole; avrebbe visto sotto la fronte serena un mondo d'amore, e, nel taglio degli occhi, nei movimenti abituali delle palpebre, un non so che di divino. I suoi tratti, i contorni del viso, che l'espressione del piacere non aveva mai n alterato n stancato, somigliavano alla linea dell'orizzonte che si delinea dolcemente in lontananza sulle acque dei laghi tranquilli. Quella fisionomia calma, colorita, aureolata di luminosit come un bel fiore sbocciato, riposava l'animo, trasmetteva il fascino della coscienza che vi si rifletteva e attirava lo sguardo. Eugnie era ancora sulla sponda della vita dove fioriscono le illusioni infantili, dove si colgono le margherite con una gioia pi tardi sconosciuta. Perci, guardandosi nello specchio si disse, senza sapere ancora che cosa fosse l'amore: "Sono troppo brutta, non far caso a me!". Poi apr la porta della camera che dava sulle scale, e allung il collo per ascoltare i rumori della casa. "Ancora non si alza," pens udendo la tosse mattutina di Nanon, e la brava donna che andava, veniva, spazzava la sala, accendeva il fuoco, legava il cane e parlava alle bestie nella scuderia. Allora Eugnie scese e corse da Nanon che stava mungendo la vacca. "Nanon, cara Nanon, fa' un po' di panna per il caffe di mio cugino." "Ma, signorina, bisognava pensarci ieri," disse Nanon, scoppiando a ridere. "Non posso fare la panna. Vostro cugino carino, carino, veramente carino. Voi non l'avete veduto con la vestaglia di seta e d'oro. Io s che l'ho visto, io. Porta della biancheria fine come la cotta del signor parroco." "Allora, Nanon, fai una focaccia."
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"E chi mi dar la legna per il forno, e la farina, e il burro?" disse Nanon, che, nella sua qualit di primo ministro di Grandet, assumeva a volte un'importanza enorme agli occhi di Eugnie e della madre. "C' bisogno di derubarlo, quell'uomo, per far festa a vostro cugino? Chiedetegli il burro, la farina, la legna, vostro padre, pu darvi tutto ci che vuole. Guardate, ecco che scende per occuparsi delle provviste...". Sentendo tremare la scala sotto il passo del padre, Eugnie fugg in giardino, tutta spaventata. Ella provava gi gli effetti di quel profondo pudore e di quella particolare consapevolezza della felicit che ci fa supporre, forse non senza ragione, di avere i pensieri stampati sulla fronte e quindi ben esposti agli sguardi di tutti. Rendendosi conto alla fine che la casa paterna era fredda e spoglia, la povera ragazza prov la rabbia di non poterla sistemare in armonia con l'eleganza del cugino. Sent un bisogno irrefrenabile di fare qualcosa per lui: ma che cosa? Non ne aveva la minima idea. Ingenua e schietta, ella si abbandonava alla propria natura angelica senza diffidare n delle sue impressioni n dei suoi sentimenti. La sola vista del cugino aveva svegliato in lei le inclinazioni naturali della donna, tanto pi forti in quanto, avendo raggiunto il ventitreesimo anno, ella era nella pienezza dell'intelligenza e dei desideri. Per la prima volta il cuore le si riemp di terrore alla vista del padre, lo consider come l'arbitro del suo destino, e si sent in colpa perch gli taceva una parte dei suoi pensieri. Si mise a camminare di buon passo, meravigliandosi di respirare un'aria pi pura, di sentire pi vivificanti i raggi del sole e di trarne un calore morale, una vita nuova. Mentre ella cercava il modo e la maniera per ottenere la focaccia, fra la grande Nanon e Grandet scoppi una disputa, cosa rara fra i due quanto le rondini d'inverno. Munito di chiavi, il brav'uomo era venuto a misurare i viveri necessari per i pasti della giornata. " avanzato pane da ieri?" disse a Nanon. "Nemmeno una briciola, signore." Grandet prese una grossa pagnotta rotonda, ben infarinata, modellata in una di quelle ceste piatte che nell'Angi si usano per panificare, e stava per tagliarla, quando Nanon gli disse: "Oggi siamo in cinque, signore." " vero," rispose Grandet, "ma la pagnotta pesa sei libbre, ne avanzer. Del resto, i giovanotti di Parigi, lo vedrai, non mangiano pane." "E che," disse Nanon, "mangiano solo il lecchetto?". Il lecchetto, parola del lessico popolare, indica ci che si accompagna al pane, dal burro spalmato, lecchetto volgare, fino alle marmellate di
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pesca duracina, il pi raffinato dei lecchetti; e tutti coloro che da bambini hanno leccato il lecchetto e lasciato il pane capiranno tutto il significato della parola. "No," rispose Grandet, "non mangiano n lecchetto n pane. Sono come delle ragazze da marito." Infine, dopo aver ordinato con parsimonia il menu quotidiano, il brav'uomo si stava dirigendo verso il frutteto, non senza aver prima chiuso i battenti della dispensa, quando Nanon lo ferm per dirgli: "Signore, datemi un po' di farina e di burro, preparer una focaccia per i ragazzi." "Hai intenzione di saccheggiare la casa perch arrivato mio nipote?". "Non pensavo a vostro nipote pi che al vostro cane, e non pi di quanto ci pensiate voi stesso... Lo vedete? Mi avete dato solo sei zollette di zucchero! ce ne vogliono otto." "Ah, beh! Nanon, non ti avevo mai vista cos. Si pu sapere che ti passa per la testa? Sei forse la padrona, qui? Non ti dar pi di sei zollette di zucchero." "E allora, vostro nipote con che cosa inzuccherer il caffe?". "Con due zollette; io ne far a meno." "Voi farete a meno dello zucchero, alla vostra et! Preferirei comperarvelo con i miei soldi." "Occupati di ci che ti riguarda." Malgrado il ribasso dei prezzi, lo zucchero rimaneva, agli occhi del bottaio, la pi preziosa fra le derrate coloniali, per lui valeva sempre sei franchi la libbra. L'impegno di contenerne il consumo, preso sotto l'impero, era diventata la pi irrinunciabile delle sue abitudini. Ogni donna, anche la pi sciocca, sa usare l'astuzia per arrivare ai suoi scopi: Nanon lasci cadere il problema dello zucchero per ottenere la focaccia. "Signorina," grid attraverso la finestra, " vero che volete la focaccia?". "No, no," rispose Eugnie. "E va bene, Nanon," disse Grandet sentendo la voce della figlia, "prendi." Apr la madia dove c'era la farina, gliene diede una misura, e aggiunse qualche oncia di burro al pezzo che aveva gi tagliato. "Ci vorr della legna per scaldare il forno," disse l'implacabile Nanon. "Prendine quanta te ne serve," rispose malinconicamente Grandet; "per, se farai una torta di frutta e cuocerai tutta la cena al forno, cos non dovrai accendere due fuochi."

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"Senti un po'!" esclam Nanon, "non avete certo bisogno di dirmelo." Grandet lanci al suo fedele ministro un'occhiata quasi paterna. "Signorina," grid la cuoca, "avremo la focaccia." Pap Grandet torn carico di frutta e ne sistem una prima vassoiata sul tavolo di cucina. "Avete visto, signore," gli disse Nanon, "che begli stivali ha vostro nipote? Che cuoio, e che buon odore! Con che cosa bisogner pulirli? Devo dargli quel vostro lucido all'uovo?". "Nanon, credo che l'uovo sciuperebbe quel cuoio l. Eppoi, digli che non sai come lucidare il marocchino... si, marocchino; si comprer lui a Saumur e ti porter il lucido adatto ai suoi stivali. Ho sentito dire che aggiungono dello zucchero al lucido per renderli brillanti." " buono da mangiare?" disse la serva, avvicinando gli stivali al naso. "Senti, senti! odorano come l'acqua di Colonia della signora! Ah! buffo." "Buffo!" disse il padrone, "trovi buffo che un paio di stivali costino pi di quel che vale colui che li porta?". "Signore," disse Nanon al secondo viaggio del padrone, che aveva chiuso la dispensa della frutta, "che ne direste di fare una o due volte la settimana un po' di lesso per via di vostro...?". "S." "Bisogner che vada dal macellaio." "Non ce n' bisogno; fai brodo di gallina, te la daranno i fittavoli. Dir a Cornoiller di uccidere dei corvi. una selvaggina, quella, che fa il miglior brodo del mondo." " vero, signore, che i corvi mangiano i morti?". "Sei una stupida, Nanon! Mangiano, come tutti, quello che trovano. Forse che anche noi non viviamo di morti? Che altro sono le eredit?" Pap Grandet, non avendo altri ordini da impartire, cav di tasca l'orologio, e, vedendo che poteva disporre ancora di una mezz'ora prima di colazione, prese il cappello, and ad abbracciare la figlia e le disse: "Vuoi venire a fare due passi sui miei prati lungo la Loira? Ho qualcosa da fare laggi." Eugnie and a mettersi il cappello di paglia cucita, foderato di taffett rosa; poi padre e figlia scesero la strada tortuosa fino alla piazza. "Dove ve ne andate cos di buon mattino?" chiese il notaio Cruchot, incontrando Grandet. "A vedere certe cose," rispose il brav'uomo per nulla convinto della passeggiata mattutina del suo amico.

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Il notaio sapeva per esperienza che quando pap Grandet andava a vedere certe cose c'era sempre da guadagnarci a tenergli dietro. Perci, lo accompagn. "Venite, Cruchot?" disse Grandet al notaio. "Voi siete mio amico; ora vi dimostrer quale stupidaggine sia piantare pioppi su dei buoni terreni...". "Ma allora non ricordate pi i sessantamila franchi che avete ricavato da quelli dei vostri prati sulla Loira?" disse Cruchot spalancando gli occhi per lo stupore. "Avete avuto una bella fortuna!... tagliare agli alberi quando a Nantes scarseggiava il legno dolce e venderli a trenta franchi!". Eugnie ascoltava senza sapere di essere nel momento pi importante della sua vita, e senza sapere che il notaio stava per far pronunciare nei suoi confronti una sentenza paterna e sovrana. Grandet era arrivato ai bellissimi prati che possedeva lungo la Loira, e dove trenta braccianti erano occupati a ripulire, colmare, livellare il terreno sul quale un tempo sorgevano i pioppi, "Notaio Cruchot, guardate quanto terreno prende un pioppo," disse Grandet. "Jean," grid a un bracciante, "mi...mi...misura con la tesa in tu...tu...tutti i sensi!" "Quattro volte otto piedi," rispose il bracciante dopo aver prese le misure. "Trentadue piedi perduti," disse Grandet a Cruchot. "Su questo filare avevo trecento pioppi, cos? Ora...tre ce...ce...ce...nto volte trentad...ue pie...piedi me ne ru...ru...ru...ru...bavano cin...quecento di fieno; aggiungetene due volte tanto sui lati, millecinquecento; i filari di mezzo altrettanto. Dunque, di...di...diciamo mille balle di fieno." "Va bene," disse Cruchot per aiutare l'amico, "mille balle di fieno valgono circa seicento franchi." "Di...di...diciamo mi...ii...lle duecento con i tre o quattrocento franchi del secondo taglio. Ora, ca...ca...ca...calcolate qua...qua...quanto re...re...rendono mi...lleduecento franchi l'anno du...du...durante quaranta anni con gli in...in...interessi com...com...composti che...che...che...le...i sa." "Vada per sessantamila franchi," disse il notaio. "D'accordo! Sa...sa...saranno so...so...solo sessantamila franchi." Ebbene, riprese il vignaiolo senza balbettare, "duemila pioppi di quaranta anni non mi renderebbero cinquantamila franchi. C' remissione. E questo l'ho scoperto io," disse Grandet gonfiando il petto d'orgoglio. "Jean," continu, "riempi le buche tranne che dalla parte della Loira, dove
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pianterai i pioppi che ho comperato. Piantandoli lungo il fiume si nutriranno a spese del governo," aggiunse voltandosi verso Cruchot e imprimendo alla verruca del naso un lieve movimento che equivaleva al pi ironico dei sorrisi. " chiaro: i pioppi vanno piantati solo su terreni magri," disse Cruchot, sbalordito dai calcoli di Grandet. "Siiis...signore," rispose con ironia il bottaio. Eugnie che contemplava il bellissimo paesaggio della Loira senza ascoltare i calcoli del padre, sentendo Cruchot dire qualcosa al suo cliente prest orecchio alle parole del notaio: "E cos avete fatto venire un genero da Parigi; in tutta Saumur non si parla che di vostro nipote. Avr presto un contratto da preparare, pap Grandet?". "Vo...vo...voi siete u...u...uscito di bu...buon'ora pe...per dirmi questo," riprese Grandet accompagnando le parole con un movimento della verruca. "Ebbene, mio vecchio came...rata, sar franco e vi dir quello che vo...lete sa...sapere. Vedete, preferirei ge...gettare mia fi...fi...figlia nella Loira piuttosto che da...rla a suo cu...u...ugino; po...po...tete di...dirlo a tutti. Anzi no, lasciate che la ge...nte chi...acchieri." Questa risposta fece venire le vertigini a Eugnie. Le vaghe speranze che cominciavano a germogliare nel suo cuore, fiorirono all'improvviso, si realizzarono e formarono un fascio di fiori che ella vide recisi e gettati a terra. Dal giorno innanzi aveva cominciato ad attaccarsi a Charles con tutti quei legami di felicit che uniscono le anime; ormai dunque la sofferenza le avrebbe nutrite. Non forse nel nobile destino della donna essere pi colpita dalle tristezze della miseria che dagli splendori della ricchezza? Come aveva potuto il sentimento paterno estinguersi in fondo al cuore del padre? Di quale mai delitto era colpevole Charles? Mistero! Il suo amore nascente, che era un mistero tanto profondo, si avvolgeva gi nei misteri. Torn con le gambe tremanti, e, arrivando nella vecchia strada buia cosi allegra per lei, la trov triste e respir la malinconia che il tempo e le cose vi avevano impresso. Non le mancava alcuno degli insegnamenti dell'amore. A qualche passo da casa precedette il padre e lo attese sulla porta dopo aver bussato. Ma Grandet che aveva notato in mano al notaio un giornale ancora con la fascetta, gli aveva detto: "A quanto stanno i titoli?". "Voi non volete darmi retta, Grandet," gli rispose Cruchot.

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"Comprateli alla svelta, c' ancora da guadagnarci un venti per cento in due anni a parte gli interessi a un tasso eccellente, cinquemila lire di rendita per ottantamila franchi. I titoli stanno a ottanta franchi e cinquanta centesimi." "Si vedr," rispose Grandet massaggiandosi il mento. "Mio Dio!" disse il notaio, che aveva aperto il giornale. "E allora?" esclam Grandet nel momento in cui Cruchot gli metteva il giornale sotto gli occhi dicendo: "Leggete quest'articolo." M. Grandet, uno dei commercianti pi stimati di Parigi, si bruciato le cervella ieri, dopo aver fatto la sua solita apparizione alla Borsa aveva inviato al presidente della Camera dei deputati le dimissioni e si era anche dimesso dalla carica di giudice del tribunale di commercio. stato rovinato dal fallimento dei signori Roguin e Souchet, il suo agente di cambio e il suo notaio. La considerazione di cui godeva M. Grandet e il suo credito erano comunque tali che avrebbe senza dubbio trovato aiuti sulla piazza di Parigi. doloroso che un uomo onorato abbia ceduto a un momento di disperazione ecc. "Lo sapevo," disse il vecchio vignaiolo al notaio. Queste parole gelarono Cruchot, che, sebbene come notaio fosse abituato a essere impassibile, sent un brivido nella schiena al pensiero che il Grandet di Parigi aveva forse mendicato invano i milioni del Grandet di Saumur. "E suo figlio, cos felice ieri...?". "Non sa ancora niente," rispose Grandet con la stessa calma. "Addio, signor Grandet," disse Cruchot, che cap tutto e and a rassicurare il presidente de Bonfons. Entrando in casa, Grandet trov la colazione pronta. Con quel trasporto che ci procura un dolore segreto Eugnie salt, per baciarla, al collo di Mme Grandet, che, gi seduta sulla sua sedia rialzata, si stava facendo delle maniche di maglia per l'inverno. "Potete mangiare," disse Nanon, che scendeva gli scalini a quattro a quattro, "il ragazzo dorme come un cherubino. Come carino con gli occhi chiusi! Sono entrata, l'ho chiamato. Beh, niente!". "Lascialo dormire," disse Grandet, "oggi si sveglier sempre troppo presto per apprendere le cattive notizie che lo aspettano." "Che cosa successo?" chiese Eugnie mettendo nel caffe due zollette di zucchero pesanti non si sa quanti grammi, che il brav'uomo si divertiva a
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tagliare lui stesso nei momenti liberi. Mme Grandet, che non aveva osato fare quella domanda, guard il marito. "Suo padre si fatto saltare le cervella." "Mio zio?..." disse Eugnie. "Povero giovane!" esclam Mme Grandet. "S, povero," riprese Grandet, "non ha pi un soldo." "E dire che dorme come se fosse il re della terra," osserv Nanon con voce dolce. Eugnie smise di mangiare. Il cuore le si strinse come quando la compassione, suscitata dalla sventura dell'uomo amato, invade tutto il corpo di una donna. La fanciulla scoppi a piangere. "Nemmeno conoscevi tuo zio, perch piangi?" le disse il padre lanciandole una di quelle occhiate da tigre affamata che senza dubbio lanciava ai suoi mucchi d'oro. "Ma, signore," disse la serva, "chi non proverebbe piet per quel povero giovane che dorme come un ciocco e ignora il suo destino?". "Non sto parlando con te, Nanon! tieni a freno la lingua." Eugnie apprese in quel momento che la donna che ama deve sempre dissimulare i propri sentimenti. Non rispose. "Fino al mio ritorno non gli direte nulla, spero, signora Grandet," continu il vecchio. "Devo andare a far sistemare il fossato dei miei prati lungo la strada. Torner a mezzogiorno per la seconda colazione, e parler con mio nipote dei suoi affari. Quanto a te, signorina Eugnie, se per quel vagheggino che piangi, puoi anche smettere, ragazza mia. Partir al pi presto per le Indie. Non lo vedrai pi...". Il padre prese i guanti dalla tesa del cappello, li infil con la calma abituale, li calz ben bene incrociando fra loro le dita delle due mani, e usc. "Ah! mamma, soffoco!" grid Eugnie quando fu rimasta sola con la madre. "Non ho mai sofferto tanto." Mme Grandet, vedendo impallidire la figlia, apr la finestra e le fece respirare una boccata d'aria fresca. "Mi sento meglio," disse dopo un po' Eugnie. Questa reazione nervosa in un carattere fino ad allora apparentemente calmo e freddo colp Mme Grandet che osserv la figlia con quella intuizione e comprensione che hanno le madri per l'oggetto della loro tenerezza, e indovin tutto. Ma, in verit, la vita delle famose sorelle ungheresi, attaccate l'una all'altra a causa di un errore della natura, non era
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stata pi intimamente unita di quella di Eugnie e della madre, sempre insieme in quel vano di finestra, insieme in chiesa, insieme quando dormivano respirando la medesima aria. "Povera piccola!" disse Mme Grandet prendendo la testa di Eugnie per appoggiarsela sul seno. A queste parole, la fanciulla alz il capo, interrog con lo sguardo la madre, ne scrut i pensieri pi riposti e le disse: "Perch mandarlo nelle Indie? Se infelice, non dovrebbe restare qui? non il nostro parente pi prossimo?". "Si, bambina mia, sarebbe naturale; ma tuo padre ha le sue ragioni, noi dobbiamo rispettarle." Madre e figlia rimasero in silenzio sedute, una sulla sedia rialzata, l'altra sulla poltroncina; e, tutte e due, ripresero il loro lavoro. Piena di riconoscenza per l'ammirevole comprensione che le aveva dimostrato la madre, Eugnie le baci una mano dicendo: "Come sei buona, mamma mia cara!" Queste parole illuminarono il vecchio volto materno segnato da lunghi dolori. "Ti piace?" chiese Eugnie. Mme Grandet rispose con un sorriso; poi, dopo un attimo di silenzio, disse a bassa voce: "Dunque lo ami di gi? male." "Male," riprese Eugnie, "perch? A te piace, piace a Nanon, perch non dovrebbe piacere a me? Vieni, mamma, prepariamo la tavola per la sua colazione." Pos il lavoro e la madre fece altrettanto dicendole: "Sei pazza!" Ma era felice di giustificare la follia della figlia condividendola. Eugnie chiam Nanon. "Che altro vuole, signorina?". "Nanon, farai un po' di panna per mezzogiorno?". "Ah! per mezzogiorno, si," rispose la vecchia domestica. "Bene, fagli del caffe molto forte, ho sentito dire da M. des Grassins che a Parigi il caffe lo fanno molto forte. Metticene parecchio." "E dove vuole che lo prenda?". "Compralo." "E se il padrone mi incontra?". " sui campi." "Corro. Ma M. Fessard quando mi ha dato la candela mi ha chiesto se avevamo in visita i tre magi. Tutta la citt verr a sapere le nostre sregolatezze."

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"Se tuo padre si accorge di qualcosa," disse Mme Grandet " capace di picchiarci." "Ci batta pure, riceveremo i suoi colpi in ginocchio." Per tutta risposta Mme Grandet alz gli occhi al cielo. Nanon prese la cuffia e usc. Eugnie tir fuori della biancheria candida, and a prendere qualche grappolo d'uva che si era divertita ad appendere a delle funi in granaio; cammin con passo leggero nel corridoio per non svegliare il cugino, e non seppe trattenersi dall'ascoltare attraverso la porta il respiro che gli usciva dalle labbra con cadenza regolare. "Mentre lui dorme l'infelicit veglia," si disse. Prese le foglie di vite pi verdi, sistem i suoi grappoli con l'arte di un esperto capo dispensiere, e li port trionfalmente in tavola. In cucina, fece man bassa delle pere contate dal padre, e le dispose a piramide in mezzo alle foglie. Andava, veniva, trottava, saltava. Se avesse potuto avrebbe prosciugato la casa del padre; ma questi aveva le chiavi di tutto. Nanon torn con due uova fresche. Vedendo le uova, Eugnie prov l'impulso di saltarle al collo. "Il fittavolo della Lande le aveva nel paniere, io gliele ho chieste e lui me le ha date per farmi piacere, il tesoruccio." Dopo aver trafficato per due ore, durante le quali Eugnie interruppe venti volte il lavoro per andare a veder bollire il caffe, per andare a sentire se il cugino si stesse alzando, ella riusc a preparare una colazione molto semplice, poco costosa, ma che si scostava di gran lunga dalle abitudini inveterate della casa. La colazione di mezzogiorno veniva consumata in piedi. Ognuno prendeva un pezzo di pane, un frutto o un po' di burro, e un bicchiere di vino. Guardando la tavola sistemata accanto al fuoco, la poltrona accanto al coperto del cugino, guardando i due vassoi di frutta, il porta-uovo, la bottiglia di vino bianco, il pane, le zollette di zucchero ammucchiate in un piattino, Eugnie fu scossa da un tremito allorch le venne fatto di pensare, e solo allora, alle occhiatacce che le avrebbe lanciato il padre se fosse rientrato in quel momento. Non faceva quindi che guardare la pendola per calcolare se il cugino sarebbe riuscito a fare colazione prima del ritorno del brav'uomo. "Stai tranquilla, Eugnie; se tuo padre arriva, mi prender io la responsabilit di tutto," disse Mme Grandet. Eugnie non riusc a trattenere una lacrima. "Oh! mia buona madre," esclam, "non ti ho amata mai abbastanza!".

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Charles, dopo aver fatto, canticchiando, mille andirivieni nella sua stanza, alla fine scese. Per fortuna non erano ancora le undici. Il solito parigino! Si era vestito con civetteria come se fosse stato al castello della nobile dama che viaggiava in Scozia. Entr con quell'aria affabile e sorridente che ben si addice alla giovinezza, e che provoc in Eugnie una triste gioia. Aveva preso allegramente il crollo dei suoi immaginari castelli d'Angi, e si rivolse tutto gaio alla zia. "Avete passato bene la notte, cara zia? E voi, cugina?". "Bene; e voi?" disse Mme Grandet. "Io magnificamente." "Dovete aver fame, cugino mio," disse Eugnie; "mettetevi a tavola." "Non faccio mai colazione prima di mezzogiorno, cio quando mi alzo. Tuttavia, il viaggio stato cosi cattivo che far uno strappo alla regola. Del resto..." Tir fuori dal taschino il pi delizioso orologio piatto che Brguet avesse mai fabbricato. "Toh, ma sono le undici, sono stato mattiniero." "Mattiniero?..." disse Mme Grandet. "S, il fatto che volevo sistemare le mie cose. E va bene, manger volentieri qualcosa, un nonnulla, un pollo, una pernice." "Santa Vergine!" esclam Nanon udendo quelle parole. "Una pernice," ripeteva fra s Eugnie che sarebbe stata disposta a pagare una pernice con tutto il suo peculio. "Mettetevi a sedere," gli disse la zia. Il dandy si accomod sulla poltrona come una bella donna si siede sul suo divano. Eugnie e la madre presero due sedie e si sistemarono accanto a lui davanti al fuoco. "Vivete sempre qui?" chiese Charles che alla luce del giorno trovava la sala ancora pi brutta che al lume di candela. "Sempre," rispose Eugnie guardandolo, "tranne che al tempo della vendemmia. Allora andiamo ad aiutare Nanon e abitiamo tutti nell'abbazia di Noyers." "Non andate mai a passeggio?". "Qualche volta la domenica, dopo i vespri, se bel tempo," disse Mme Grandet, "andiamo sul ponte o a veder falciare il fieno." "Avete un teatro qui?". "Andare a teatro!" esclam Mme Grandet, "a vedere i commedianti! Ma non lo sapete che un peccato mortale?".

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"Ecco, mio caro signore," disse Nanon portando le uova, "le daremo dei polli alla coque." "Oh! uova fresche," disse Charles, che, come tutte le persone abituate al lusso, non pensava gi pi alla sua pernice. "Ma una delizia! Non avreste per caso del burro, ragazza mia?". "Ah! del burro! Allora rinunciate alla focaccia?" disse la domestica. "Insomma, Nanon, porta il burro!" esclam Eugnie. La fanciulla osservava il cugino, intento a tagliare bastoncini di pane, e provava lo stesso piacere che prova la pi sentimentale sartina di Parigi nel vedere un melodramma in cui trionfa l'innocenza. vero che Charles, allevato da una madre piena di grazia, perfezionato da un'amica chic, aveva gesti carini, eleganti, misurati, come quelli di una donna di classe. La tenerezza e la comprensione di una fanciulla emanano un influsso davvero magnetico. Cos Charles, vedendosi oggetto delle attenzioni della cugina e della zia, non pot sottrarsi all'influenza dei sentimenti che convergevano verso di lui sommergendolo, per cos dire. Lanci a Eugnie uno sguardo pieno di bont, di carezze, uno sguardo che sembrava fatto di sorrisi. Not, osservando Eugnie, la squisita armonia dei tratti di quel volto puro, l'atteggiamento innocente, la limpidezza magica degli occhi, dove scintillavano giovani pensieri d'amore, e dove il desiderio ignorava la volutt. "Davvero, cara cugina, se voi foste in un palco e in abito da sera all'Opra, vi garantisco che mia zia avrebbe ragione perch fareste commettere peccati di desiderio agli uomini e di gelosia alle donne." Questo complimento diede una stretta al cuore di Eugnie e lo fece palpitare di gioia, per quanto ella non vi capisse nulla. "Oh! cugino mio, volete burlarvi di una povera piccola provinciale." "Se mi conosceste, cugina, sapreste che detesto le canzonature: inaridiscono il cuore e sciupano ogni sentimento..." E inghiott di gusto il suo bastoncino di pane imburrato. "No, forse non ho abbastanza spirito per burlarmi degli altri, e questo un difetto che non mi giova. A Parigi, si trova modo di distruggere un uomo dicendo: "Ha buon cuore." Il che vuol dire: "Il povero ragazzo stupido come un rinoceronte." Ma, siccome sono ricco, ed risaputo che so colpire d'acchito un fantoccio a trenta passi, all'aperto e con ogni specie di pistola, le canzonature non mi toccano." "Ci che dite, nipote mio, dimostra che avete buon cuore."

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"Avete un bell'anello," disse Eugnie; "vi dispiace se vi chiedo di farmelo vedere?". Charles tese la mano togliendosi l'anello ed Eugnie arross nello sfiorare con la punta delle dita le unghie rosa del cugino. "Guarda, mamma, che bel lavoro." "Oh! c' parecchio oro," disse Nanon portando il caffe. "Che cos' quella roba?" chiese Charles ridendo. E indicava un recipiente oblungo, di terracotta scura, verniciato, maiolicato all'interno, orlato da una frangia di cenere, e sul fondo del quale si depositava il caffe dopo essere salito alla superficie del liquido bollente. " caffe bollito," disse Nanon. "Ah! cara zia, se non altro lascer una traccia benefica del mio passaggio qui. Siete molto arretrati! Vi insegner a fare del buon caffe in una caffettiera alla Chaptal." Cerc di spiegare come funzionasse una caffettiera alla Chaptal. "Ah, beh, se c' tutto questo traffico da fare," disse Nanon, "bisognerebbe passarci la vita. Non far mai un caffe cos. Ci mancherebbe! E chi taglier l'erba per la vacca mentre io faccio il caffe?". "Lo far io," disse Eugnie. "Figliola!" disse Mme Grandet guardando sua figlia. A questa parola, quasi un richiamo al dolore che stava per colpire quell'infelice giovane, le tre donne tacquero e lo fissarono con un'aria di commiserazione che lo colp. "Che cosa avete, cugina?". "Ssst!" disse Mme Grandet a Eugnie che stava per rispondere. "Figlia mia, sai che tuo padre si assunto il compito di parlare al signore...". "Dite Charles," fece il giovane Grandet. "Ah! vi chiamate Charles? un bel nome," esclam Eugnie. Le disgrazie presagite arrivano quasi sempre. A quel punto, Nanon, Mme Grandet e Eugnie, che non potevano pensare senza rabbrividire al ritorno del vecchio bottaio, udirono bussare alla porta con un colpo che era a loro ben noto. "Ecco pap," disse Eugnie. Tolse il piattino con lo zucchero lasciandone qualche zolletta sulla tovaglia. Nanon port via il piatto con le uova. Mme Grandet si drizz come una cerva spaventata. Era un vero e proprio timor panico, del quale Charles si stup senza riuscire a spiegarselo.
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"Ma insomma, che cosa avete?" chiese loro. "C' mio padre," disse Eugnie. "E allora?...". M. Grandet entr, gett il suo sguardo acuto sulla tavola, su Charles, vide tutto. "Ah! ah! hai fatto festa a tuo nipote, bene, benissimo, benone!" disse senza balbettare. "Quando il gatto non c', i topi ballano." "Festa?..." si disse Charles, incapace di sospettare il tenore di vita e le abitudini di quella casa. "Dammi il mio bicchiere, Nanon," disse il brav'uomo. Eugnie port il bicchiere. Grandet tir fuori dal taschino un coltello con l'impugnatura di corno e la lama larga, tagli una fetta di pane, prese un po' di burro, lo spalm con cura, e si mise a mangiare sempre restando in piedi. In quel momento, Charles inzuccherava il suo caffe. Pap Grandet not le zollette di zucchero, scrut la moglie, che impallid e arretr di qualche passo; si chin sull'orecchio della povera vecchia e le disse: "Si pu sapere dove hai preso tutto quello zucchero?" "Nanon andata a prenderlo da Fessard, non ce n'era pi." impossibile immaginare l'interesse che questa scena muta suscitava nelle tre donne; Nanon era uscita dalla cucina e guardava verso la sala per vedere come si mettessero le cose. Charles, dopo aver assaggiato il suo caffe, trovandolo troppo amaro, cerc lo zucchero che Grandet aveva gi fatto sparire. "Che cosa volete, nipote mio?" gli disse il brav'uomo. "Lo zucchero." "Mettete un po' di latte," rispose il padrone di casa, "e il caffe si addolcir." Eugnie riprese il piattino dello zucchero che Grandet aveva tolto di mezzo, e lo mise sulla tavola guardando il padre con tutta calma. Senza dubbio la parigina che, per facilitare la fuga dell'amante, regge con le deboli braccia una scala di seta non ha pi coraggio di quanto ne dimostr Eugnie riportando in tavola lo zucchero. L'amante ricompenser la sua parigina che gli mostrer orgogliosa il bel braccio martoriato dove ogni livido verr cosparso di lacrime e di baci e guarito dal piacere; per Charles invece era impossibile penetrare il segreto dei profondi turbamenti che travagliavano il cuore della cugina, fulminata in quel momento dallo sguardo del vecchio bottaio.
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"Tu non mangi, moglie mia?". La povera schiava si fece avanti, si tagli con aria remissiva un pezzo di pane e prese una pera. Eugnie ebbe l'audacia di offrire al padre dell'uva, dicendogli: "Assaggia quest'uva che ho conservato, pap! - Ne mangerete anche voi, vero cugino? Sono andata a prenderli apposta per voi, questi bei grappoli." "Oh! se qualcuno non le ferma, per voi, caro nipote, metteranno a sacco Saumur. Quando avrete finito, andremo a fare due passi in giardino, devo dirvi qualcosa di poco gradevole." Eugnie e la madre gettarono a Charles un'occhiata, sul significato della quale il giovane non pot avere dubbi. "Che cosa significano queste parole, caro zio? Dopo la morte della mia povera mamma..." nel pronunciare quelle parole la sua voce si incrin, "non ci sono pi sventure possibili per me...". "Nipote mio, chi pu conoscere le afflizioni attraverso le quali Dio vuole metterci alla prova?" gli disse la zia. "Ta ta ta ta!" disse Grandet, "non cominciamo a dire sciocchezze. Mi dispiace di vedere, nipote, che avete mani bianche e delicate." E gli mostr quella specie di spalla di montone che la natura gli aveva messo in fondo alle braccia. "Queste sono mani fatte per rastrellare scudi! Voi siete stato abituato a tenere i piedi nella stessa pelle con la quale si fabbricano i portafogli nei quali custodiamo i nostri biglietti di banca. Male! male!". "Che cosa volete dire, zio? Vorrei essere impiccato se ci capisco una parola." "Venite," disse Grandet. L'avaro chiuse con uno scatto la lama del coltello, fin di bere il vino e apr la porta. "Cugino mio, siate coraggioso!". Il tono di voce della fanciulla aveva gelato Charles, che segui il suo terribile parente in preda a mortali inquietudini. Eugnie, la madre e Nanon andarono in cucina, prese dalla invincibile curiosit di spiare i due attori della scena che stava per svolgersi nel piccolo giardino umido, dove lo zio a tutta prima cammin in silenzio a fianco del nipote. Grandet non era imbarazzato dal fatto di dover comunicare a Charles la morte del padre, ma provava una specie di compassione perch lo sapeva senza un soldo e cercava le parole per addolcirgli questa crudele verit. "Avete perduto vostro padre!" era facile da dire. I padri muoiono prima dei figli. Ma: "Non
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avete pi niente!" tutte le sventure della terra erano compendiate in queste parole. E intanto il brav'uomo faceva per la terza volta, con la terra che scricchiolava sotto la suola delle sue scarpe, il giro del viale di mezzo. Nei momenti importanti della vita, l'anima si abbarbica ai luoghi nei quali abbiamo provato piaceri o dolori. Cos Charles esaminava con un'attenzione particolare i cespugli di quel piccolo giardino, le foglie ingiallite che cadevano, i muri sconnessi, la forma strana degli alberi da frutta, tutti particolari che il processo mnemonico tipico delle passioni avrebbe impresso nel suo ricordo, mescolati per sempre a quell'ora fatale. " una giornata bella e calda," disse Grandet aspirando una grossa boccata d'aria. "S, zio... Ma perch... ?". "Ebbene, ragazzo," riprese lo zio, "ho da darvi brutte notizie. Vostro padre sta molto male...". "Perch sono qui?" disse Charles. "Nanon," grid, "dei cavalli di posta! Ci sar pure una carrozza in citt," aggiunse voltandosi verso lo zio che rimaneva immobile. "I cavalli e la carrozza non servono," rispose Grandet guardando Charles che rimase muto e con gli occhi sbarrati. "S, povero ragazzo, avete indovinato. morto. Ma questo niente, c' qualcosa di peggio, si fatto saltare le cervella...". "Mio padre?..." "Si. Ma questo niente. I giornali ne parlano come se avessero il diritto di farlo. Prendi, leggi." Grandet, che si era fatto lasciare il giornale da Cruchot, mise il tremendo articolo sotto gli occhi di Charles. A quel punto, il povero giovane, ancora fanciullo, ancora in un'et in cui i sentimenti sgorgano con ingenuit, scoppi in lacrime. "Meglio cos," si disse Grandet. "I suoi occhi mi spaventavano. Se piange, salvo." "E questo ancora niente, mio povero nipote," riprese Grandet ad alta voce, senza nemmeno sapere se Charles lo ascoltasse, "questo niente, ve ne farete una ragione; ma...". "Giammai! Giammai! Padre mio! padre mio!". "Vi ha rovinato, non avete pi un soldo." "Che me ne importa? Dov' mio padre; mio padre?".

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I pianti e i singhiozzi echeggiavano fra quelle mura in un modo straziante. Le tre donne, commosse, piangevano: le lacrime sono contagiose come il riso. Charles, senza ascoltare ci che gli diceva lo zio, fugg nel cortile, trov la scala, sal nella sua camera e si gett di traverso sul letto affondando il viso nelle lenzuola per sfogarsi a piangere lontano dai parenti. "Bisogna lasciar passare la prima burrasca," disse Grandet rientrando nella sala, dove Eugnie e la madre si erano affrettate a riprendere i loro posti, e lavoravano con mani tremanti dopo essersi asciugati gli occhi. "Ma questo giovanotto non buono a niente, si preoccupa pi dei morti che del denaro." Eugnie rabbrivid sentendo il padre che parlava in questo modo del pi sacro dei dolori. Da quel momento, cominci a giudicare il padre. In quella casa piena di echi si sentivano, per quanto attenuati, i singhiozzi di Charles; e i suoi profondi lamenti, che sembravano uscire da sotto terra, non cessarono che verso sera, dopo essersi a poco a poco affievoliti. "Povero giovane!" disse Mme Grandet. Non l'avesse mai detto! Pap Grandet guard la moglie, Eugnie e la zuccheriera; si ricord della colazione eccezionale preparata per il parente sfortunato e and a piazzarsi in mezzo alla sala. "Ah cosi! spero," disse con la solita calma, "che non continuerai con queste prodigalit, signora Grandet. Non ti do il MIO denaro per rimpinzare di zucchero questo bricconcello." "Mia madre non c'entra," disse Eugnie. "Sono io che...". " perch sei maggiorenne," riprese Grandet interrompendo la figlia, "che vuoi contraddirmi? Bada, Eugnie...". "Padre, il figlio di tuo fratello, non doveva mancare in casa tua di...". "Ta ta ta ta!" disse il bottaio su quattro toni cromatici, "il figlio di mio fratello di qui, mio nipote di l. Charles non niente per noi, non ha il becco di un quattrino; suo padre fallito; e quando quello zerbinotto avr finito di piangere, se ne andr di qui; non voglio che metta a soqquadro la mia casa." "Che cosa significa, padre mio, fare fallimento?" chiese Eugnie. "Fare fallimento," riprese il padre, " commettere l'azione pi disonesta fra tutte quelle che possono disonorare l'uomo." "Deve essere un gran peccato," disse Mme Grandet, "e nostro fratello sar dannato."
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"Smettila con queste litanie," disse Grandet alla moglie alzando le spalle. "Il fallimento, Eugnie," riprese, " un furto protetto purtroppo dalla legge. Certe persone hanno dato le loro merci a Guillaume Grandet, confidando nella sua reputazione di uomo onorato e onesto; ma poi lui si preso tutto e ha lasciato loro solo gli occhi per piangere. Il bandito di strada preferibile al bancarottiere; quello ti attacca, tu puoi difenderti, lui rischia la testa; ma l'altro... insomma Charles disonorato." Queste parole rintronarono nel cuore della povera ragazza, opprimendolo con tutto il loro peso. Onesta quanto delicato un fiore di bosco, ella non conosceva n le massime del mondo n i suoi ragionamenti capziosi n i suoi sofismi; accett dunque l'atroce spiegazione che il padre le aveva dato, senza dirle per che c' una differenza tra fallimento involontario e fallimento calcolato. "Ma tu, padre mio, non hai potuto evitare questa sciagura?". "Mio fratello non si consigliato con me; eppoi il suo debito ammonta a quattro milioni." "Che cosa un milione, padre?" chiese lei con l'ingenuit di un fanciullo che crede di poter trovare subito ci che desidera. "Un milione," disse Grandet. "Ma un milione di pezzi da venti soldi, e ci vogliono cinque pezzi da venti soldi per fare cinque franchi." "Mio Dio! mio Dio!" esclam Eugnie, "come poteva mio zio avere quattro milioni? C' qualcun altro in Francia che possa avere tanti milioni?" (Pap Grandet si accarezz il mento, sorrise, e parve che la sua verruca si dilatasse). "Che cosa accadr a mio cugino Charles?". "Partir per le Indie, dove, secondo il desiderio del padre, cercher di fare fortuna." "E ha il denaro per arrivarci?" "Gli pagher io il viaggio... fino a... ma si, fino a Nantes." Eugnie salt al collo del padre. "Ah! padre mio, come sei buono, tu!". Le sue effusioni fecero quasi vergognare Grandet, che provava qualche rimorso di coscienza. "Ci vuole molto tempo per mettere insieme un milione?" gli chiese Eugnie. "Diamine," disse il bottaio, "tu sai che cosa un napoleone; ebbene, ce ne vogliono cinquantamila per fare un milione." "Mamma, faremo dire delle novene per lui."
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"Ci avevo pensato," rispose la madre. "Ecco, sempre a spendere soldi," esclam il padre. "Ma che cosa credete, che qui ci siano soldi a palate?". In quel preciso istante, un lamento sordo, pi lugubre degli altri, risuon nella soffitta e agghiacci di terrore Eugnie e la madre. "Nanon, va' a vedere che non si ammazzi," disse Grandet. "Badate bene voi due," riprese voltandosi verso la moglie e la figlia, che erano impallidite, "niente sciocchezze. Vi lascio. Vado a dare un'annusata ai nostri olandesi che oggi partono. Poi andr a trovare Cruchot per parlare con lui di tutta questa faccenda." Usc. Appena Grandet ebbe chiuso la porta, Eugnie e la madre tirarono un respiro di sollievo. Prima di quella mattina, mai la figlia si era sentita a disagio in presenza del padre; ma, da qualche ora, ella cambiava d'attimo in attimo sentimenti e idee. "Mamma, quanti luigi vale una botte di vino?". "Tuo padre vende le sue a cento o centocinquanta franchi, a volte duecento, da quel che ho sentito dire." "E quanto fa millequattrocento botti di vino...?". "In fede mia, figliola, non so cosa fruttino; tuo padre non mi parla mai dei suoi affari." "Ma allora, pap deve essere ricco." "Pu darsi. Ma M. Cruchot mi ha detto che due anni fa ha acquistato Froidfond. Deve essergli costato parecchio." Eugnie, non comprendendo pi niente della ricchezza di suo padre, smise di fare calcoli. "Non mi ha nemmeno visto, quel tesorino!" disse Nanon rientrando. " steso sul letto come un vitello, e piange come una Maddalena, da strappare le benedizioni! Che cosa addolora tanto quel povero caro giovane?". "Andiamo subito a consolarlo, mamma e, se sentiamo bussare, scenderemo." Mme Grandet si sent disarmata di fronte alla voce armoniosa della figlia. Eugnie era sublime, era donna. Entrambe, col cuore che batteva, salirono in camera di Charles. La porta era aperta. Il giovane non vedeva e non udiva nulla. In preda alle lacrime, si lamentava in un modo incomprensibile. "Quanto ama il padre!" disse Eugnie a bassa voce.

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Era impossibile non riconoscere nel tono di queste parole le speranze di un cuore che ignorava di essere colmo di passione. Perci Mme Grandet lanci alla figlia uno sguardo pieno di amor materno; poi, le sussurr all'orecchio: "Sta' attenta, finirai per amarlo," disse. "Amarlo!" riprese Eugnie. "Ah! se tu sapessi quello che ha detto mio padre!". Charles si volt, vide la zia e la cugina. "Ho perduto mio padre, il mio povero padre! Se mi avesse confidato il segreto della sua disgrazia, avremmo lavorato insieme per metterci riparo. Mio Dio! mio buon padre! ero cosi sicuro di rivederlo, che credo di averlo abbracciato con freddezza..." I singhiozzi gli spezzarono la voce. "Pregheremo per lui," disse Mme Grandet. "Rassegnatevi alla volont di Dio." "Cugino mio," disse Eugnie, "fatevi coraggio! la vostra perdita irrimediabile, perci adesso dovete pensare a salvare l'onore...". Con quell'istinto, quell'acume della donna che pone intelligenza in ogni cosa, anche quando consola, Eugnie voleva alleviare il dolore al cugino, inducendolo a occuparsi di se stesso. "Il mio onore?..." esclam il giovane scostandosi i capelli dal viso con un movimento brusco. E sedette sul letto a braccia conserte. "Ah! vero. Lo zio diceva che mio padre fallito." Gett un grido straziante e nascose il volto fra le mani. "Lasciatemi, cugina, lasciatemi! Mio Dio! mio Dio! perdonate mio padre, chiss quanto ha sofferto." C'era qualcosa di indicibilmente penoso nell'espressione di quel dolore giovane, vero, senza calcolo, senza secondi fini. Era un dolore pudico che i cuori semplici di Eugnie e della madre compresero quando Charles con un gesto chiese loro di lasciarlo solo. Scesero, ripresero in silenzio i loro posti accanto alla finestra e lavorarono per circa un'ora senza scambiare una parola. Eugnie aveva notato, con l'occhiata furtiva data agli oggetti del giovane, una di quelle occhiate con le quali le fanciulle vedono tutto in un attimo, i begli ammennicoli della sua toeletta, le forbici, i rasoi ornati d'oro. Questa visione di lusso attraverso il dolore le rese Charles ancor pi interessante, forse per contrasto. Mai un avvenimento cos grave, mai uno spettacolo tanto drammatico aveva colpito l'immaginazione di quelle due creature, sprofondate di continuo nella calma e nella solitudine.
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"Mamma," disse Eugnie, "porteremo il lutto per lo zio." "Questo lo decider tuo padre," rispose Mme Grandet. Rimasero di nuovo in silenzio. Eugnie cuciva con la regolarit di un automa e questo avrebbe svelato a un osservatore la folla di pensieri che popolava la sua mente. Il primo desiderio di quella fanciulla adorabile era di condividere il lutto del cugino. Verso le quattro, un forte colpo di battaglio fece sobbalzare il cuore di Mme Grandet. "Che cosa ha tuo padre?" disse alla figlia. Il vignaiolo entr tutto allegro. Dopo essersi sfilati i guanti, si strofin le mani con tanta energia da strapparsi la pelle, se l'epidermide non fosse stata conciata come cuoio di Russia, ma senza l'odore di larice e di incenso. Cammin avanti e indietro, guard il tempo. Alla fine tir fuori il segreto. "Cara moglie," disse senza balbettare, "li ho messi tutti nel sacco. Gli olandesi e i belgi partivano questa mattina, io sono andato a passeggiare sulla piazza davanti al loro albergo, facendo il finto tonto. Chose, che tu conosci, mi si avvicinato. I proprietari di tutti i buoni vigneti hanno messo in cantina il vino e vogliono aspettare, io non gliel'ho impedito. Il nostro belga era disperato. Me ne sono accorto. Affare fatto, compra il nostro vino a duecento franchi la botte, met in contanti. Mi paga in oro. Abbiamo scritto i pagher, ed eccoti i tuoi sei luigi. Fra tre mesi, il prezzo del vino caler." Queste ultime parole furono pronunciate con un tono pacato ma cos carico di ironia, che la gente di Saumur, raccolta in quel momento sulla piazza e interdetta dalla notizia della vendita appena conclusa da Grandet, avrebbe avuto un fremito se le avesse udite. Il panico avrebbe fatto diminuire il prezzo del vino del cinquanta per cento. "Hai fatto mille botti quest'anno, padre mio?" chiese Eugnie. "S, figlietta." Questa parola era la massima espressione di gioia del vecchio bottaio. "Vuol dire duecentomila pezzi da venti soldi?". "S, signorina Grandet." "Allora, padre, non ti sar difficile aiutare Charles." Lo sbalordimento, la collera, lo stupore di Baldassarre quando vide il Mane-Tekel-Fares non possono nemmeno essere paragonati al freddo corruccio di Grandet, che, essendosi dimenticato completamente del nipote, lo ritrovava nel cuore e nei calcoli della figlia.

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"Ah! cos! da quando quel vagheggino ci ha messo piede, in casa mia va tutto storto. Sembra che vogliate comperare confetti, fare nozze e banchetti. Non voglio nemmeno sentirne parlare. Alla mia et so come comportarmi, direi! E poi non devo prendere lezioni da mia figlia n da nessun altro. Far per mio nipote quello che sar opportuno e voi non dovete metterci il naso. - Quanto a te, Eugnie," aggiunse voltandosi verso la ragazza, "non parlarne pi, se non vuoi che ti spedisca all'abbazia di Noyers con Nanon, fuori dai piedi; e se brontoli ti ci mando domani stesso. Dov' quel ragazzo. sceso?". "No, amico mio," rispose Mme Grandet. "Insomma che cosa fa?". "Piange suo padre," rispose Eugnie. Grandet guard la figlia senza trovare parole. Era un po' padre anche lui. Dopo aver fatto una o due volte il giro della sala, sal in fretta nello studio per riflettere su un investimento nei titoli di stato. I duemila arpenti di bosco tagliato gli avevano reso seicentomila franchi; aggiungendo a questa somma il denaro dei pioppi, le rendite dell'anno precedente e di quello in corso, oltre ai duecentomila franchi dell'affare appena concluso, poteva mettere insieme novecentomila franchi. Guadagnare in poco tempo il venti per cento sui titoli, che stavano a sessanta franchi e dieci, lo tentava. Fece i calcoli della speculazione sul giornale dove era annunciata la morte del fratello, udendo, senza ascoltarli, i gemiti del nipote. Nanon and a bussare al muro per invitare il padrone a scendere, la cena era in tavola. Sotto l'andito e all'ultimo scalino, Grandet stava dicendo fra s e s: "Visto che i miei interessi arriveranno all'otto, far l'affare. In due anni avr un milione e mezzo di franchi, che ritirer da Parigi in oro buono." "E allora, dov' mio nipote?". "Dice che non vuole mangiare," rispose Nanon. "Non gli far bene." "Tanto di risparmiato," le rispose il padrone. "Diamine s," rispose la donna. "Bah! non pianger per sempre. La fame fa uscire il lupo dal bosco." La cena fu insolitamente silenziosa. "Mio buon amico," disse Mme Grandet quando fu tolta la tovaglia, "bisogner che prendiamo il lutto." "In verit, signora Grandet, non sai che inventare per spendere denaro. Il lutto nel cuore e non negli abiti." "Ma il lutto per un fratello un lutto stretto e la Chiesa ci ordina...".
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"Comprati gli abiti da lutto con i tuoi sei luigi. A me una fascia nera baster." Eugnie alz gli occhi al cielo senza fiatare. Per la prima volta i suoi impulsi generosi addormentati, repressi, ma poi improvvisamente risvegliati, venivano offesi a ogni momento. In apparenza quella serata fu simile a mille serate della loro monotona esistenza, ma fu certo la pi orribile. Eugnie lavor senza mai alzare la testa, e non si serv del ncessaire che Charles aveva disprezzato la sera prima. Mme Grandet continu a fare le sue maniche di maglia. Grandet gir i pollici per quattro ore, sprofondato in calcoli i cui risultati avrebbero l'indomani stupito Saumur. Quel giorno non ci furono visite. In tutta la citt non si parlava che dell'impresa di Grandet, del fallimento di suo fratello e dell'arrivo del nipote. Per obbedire al bisogno di parlare degli interessi comuni, tutti i grossi e medi proprietari di vigneti di Saumur si erano ritrovati da M. des Grassins, dove vennero scagliate terribili imprecazioni contro l'ex sindaco. Nanon filava, e il rumore del suo filatoio era l'unico che si sentisse sotto le travi grigiastre della sala. "Non si pu dire che consumiamo troppo la lingua," disse, mostrando i denti bianchi e grossi come mandorle sbucciate. "Non bisogna consumare niente," riprese Grandet scuotendosi dalle sue meditazioni. Vedeva in prospettiva otto milioni in tre anni, e navigava su questo fiume d'oro. "Corichiamoci. Andr da mio nipote a dargli la buona notte per tutti e a vedere se vuole mangiare qualcosa." Mme Grandet rest sul pianerottolo del primo piano per ascoltare la conversazione fra Charles e il brav'uomo. Eugnie, pi audace della madre, sal due scalini. "E allora, nipote mio, soffrite molto? S, piangete, naturale. Un padre un padre. Ma bisogna sopportare con pazienza il nostro dolore. Mentre piangete io mi occupo di voi. Sono un buon parente come vedete. Volete un po' di vino? Il vino non costa niente a Saumur; lo si offre come nelle Indie offrono una tazza di t. Ma," continu Grandet, "qui non c' luce. Male! male! bisogna veder chiaro ci che si fa." Grandet si avvicin al camino. "Toh!," esclam, "una candela di cera. Dove diavolo l'hanno pescata? Quelle l sarebbero capaci di demolirmi le travi di casa per cuocere due uova a questo ragazzo."

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Sentendo queste parole, madre e figlia entrarono nelle loro camere e si ficcarono a letto con la velocit di due topi spaventati che si nascondono nei loro buchi. "Signora Grandet, possedete forse un tesoro?" disse il marito entrando nella camera della moglie. "Amico mio, aspettate, ora sto pregando," rispose la povera madre con voce alterata. "Che il diavolo si porti il tuo buon Dio!" bofonchi Grandet. Gli avari non credono a una vita futura, il presente tutto per loro. Questa riflessione getta una luce orribile sull'epoca attuale, nella quale, pi che in qualsiasi altro tempo, il denaro domina le leggi, la politica, i costumi. Istituzioni, libri, uomini e dottrine, tutto congiura per minare la credenza in una vita futura sulla quale si fonda da milleottocento anni l'edificio sociale. Il futuro, che ci attendeva dopo il requiem, stato trasferito nel presente. Tutti pensano solo ad arrivare per fas et nefas nel paradiso terrestre del lusso e dei vani godimenti, a indurire il proprio cuore, a macerarsi il corpo per il possesso di beni effimeri, come un tempo si pativa il martirio della vita per il possesso di beni eterni! Questo concetto del resto scritto ovunque, persino nelle leggi che chiedono al legislatore: "Che cosa paghi?" invece di chiedergli: "Che cosa pensi?" Quando questa dottrina si sar diffusa dalla borghesia al popolo, che diventer la nazione? "Signora Grandet, hai finito?" domand il vecchio bottaio. "Amico mio, prego per te." "Benone! Buona notte. Parleremo domattina." La poveretta si addorment come lo scolaro che, non avendo fatto i compiti, teme di trovarsi davanti, al risveglio, la faccia corrucciata del maestro. Nel momento in cui, impaurita, si avvolgeva nelle coperte per non sentire pi niente, Eugnie le scivol accanto, in camicia, a piedi nudi, e la baci sulla fronte. "Oh! buona madre," disse, "domani gli confesser che sono stata io." "No, ti manderebbe a Noyers. Lasciami fare, non mi manger." "Senti, mamma?". "Che cosa?". "Piange sempre." "Vai a coricarti, figliola. Prenderai freddo ai piedi: il pavimento umido."

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Pass cos l'importante giornata che doveva pesare sulla vita della ricca e povera ereditiera, il cui sonno non fu pi profondo e sereno come era stato fino ad allora. Abbastanza spesso, certe azioni umane sembrano, letterariamente parlando, inverosimili, anche se sono vere. Ma non forse perch trascuriamo di illuminare le nostre decisioni spontanee con una certa qual luce psicologica, non spiegando quindi le misteriose ragioni che le hanno determinate? Forse la profonda passione di Eugnie dovrebbe essere analizzata nelle sue fibre pi delicate; perch essa divenne, direbbe un burlone, una malattia e influenz tutta la sua vita. Molti preferiscono negare le conclusioni piuttosto che misurare la forza dei legami, dei nodi, degli agganci che saldano segretamente un fatto a un altro nell'ordine morale. In questo caso il passato di Eugnie garantirebbe, per coloro che studiano la natura umana, l'ingenuit della sua mancanza di riflessione e i repentini trasporti della sua anima. Proprio perch la sua vita era stata tranquilla, la piet femminile, il pi ingegnoso dei sentimenti, matur nell'animo suo con tanto vigore. Perci, turbata dagli avvenimenti della giornata, si svegli parecchie volte per ascoltare il cugino, convinta di averne udito i sospiri che dal giorno prima le echeggiavano nel cuore: ora lo vedeva sfinito dal dolore, ora lo sognava morto di fame. Verso la mattina, fu certa di aver udito un grido terribile. Si vest subito e accorse, nella luce dell'alba, in punta di piedi, accanto al cugino, che aveva lasciato la porta aperta. La candela si era consumata sul piattino del candeliere. Charles, vinto dalla natura, si era addormentato vestito, seduto su una poltrona, la testa rovesciata sul letto; sognava come sogna chi ha lo stomaco vuoto. Eugnie pot piangere con tutto il suo agio; pot ammirare quel volto giovane e bello, pietrificato dal dolore, quegli occhi gonfi di pianto e che, sebbene addormentati, sembrava continuassero a versare lacrime. Charles sent la presenza di Eugnie, apr gli occhi e la vide tutta commossa. "Scusatemi, cugina," disse, non rendendosi conto evidentemente n dell'ora n del luogo. "Ci sono dei cuori che vi ascoltano, cugino, e noi abbiamo creduto che aveste bisogno di qualcosa. Dovreste mettervi a letto, vi stancherete a restare cos." " vero." "Allora, addio."

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Eugnie usc, vergognosa e felice di essere andata. Solo l'innocenza osa certe audacie. Istruita, la virt fa i suoi calcoli come il vizio. Eugnie, che accanto al cugino non aveva tremato, una volta tornata nella sua stanza riusciva appena a tenersi in piedi. La sua vita ignorante fin di colpo, ella ragion, si rimprover. "Che idea si far di me? Creder che io l'ami." Era precisamente ci che pi di tutto desiderava di vedergli credere. L'amore schietto ha una sua prescienza e sa che l'amore chiama l'amore. Quale avvenimento era stato per quella fanciulla solitaria essere entrata furtivamente nella camera di un giovane! Non ci sono forse pensieri, gesti, che, in amore, equivalgono, per certe anime, a un solenne fidanzamento? Un'ora pi tardi, ella entr da sua madre, e come d'abitudine la aiut a vestirsi. Poi le due donne andarono a sedersi ai loro posti davanti alla finestra, e attesero Grandet con quell'ansia che, quando ci si aspetta una scenata, una punizione, gela il cuore o lo riscalda, lo stringe o lo gonfia, a seconda dei caratteri: reazione del resto cos naturale che gli animali domestici gridano per il lieve dolore di una punizione, ma tacciono allorch per caso si feriscono. Il brav'uomo scese, ma parl alla moglie con aria distratta, baci Eugnie e si mise a tavola senza pensare, cos pareva, alle minacce del giorno prima. "Che ne di mio nipote? Non si pu dire che il ragazzo dia fastidio." "Signore, dorme," rispose Nanon. "Tanto meglio, non avr bisogno di candele," disse Grandet con un tono ironico. Questa insolita clemenza, questa amara allegria colpirono Mme Grandet, che guard il marito con molta attenzione. Il brav'uomo... (Qui forse opportuno far notare che in Turenna nell'Angi, nel Poitou, in Bretagna, le parole brav'uomo, gi impiegate spesso per designare Grandet, sono usate per indicare tanto i pi crudeli quanto i pi bonaccioni fra gli uomini, non appena hanno raggiunto una certa et. Questo appellativo non ha nulla a che vedere con la mansuetudine della singola persona...) Il brav'uomo, dunque, prese il cappello, i guanti e disse: "Vado a fare un giretto in piazza per incontrare i nostri Cruchot." "Eugnie, certo che tuo padre ha qualcosa...". In effetti, Grandet, che aveva bisogno di poco sonno, impiegava la met delle notti in quei calcoli preliminari che davano ai suoi punti di vista, alle sue osservazioni, ai suoi progetti una stupefacente precisione e garantivano loro quel successo immancabile di cui tutti si meravigliavano a
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Saumur. Ogni potere umano fatto di pazienza e di tempo. Le persone potenti vogliono e vegliano. La vita dell'avaro un continuo esercizio della potenza umana messa al servizio della personalit. L'avaro si basa su due soli sentimenti: l'amor proprio e l'interesse; ma essendo l'interesse in certo qual modo un amor proprio concreto e bene inteso, la continua dimostrazione di una superiorit reale, l'amor proprio e l'interesse finiscono per essere due parti di un tutto unico, l'egoismo. Da ci deriva probabilmente l'enorme curiosit che suscita il carattere dell'avaro quando sia portato sulla scena con abilit. Ognuno legato, sia pure con un filo, a questi personaggi che se la prendono con tutti i sentimenti umani, riassumendoli tutti. Dov' l'uomo senza desideri, e quale desiderio sociale si pu soddisfare senza denaro? Grandet aveva davvero qualcosa secondo l'espressione della moglie. In lui c'era, come in tutti gli avari, il bisogno costante di misurarsi con gli altri uomini, di vincere legalmente il loro denaro. Imporsi agli altri, non forse una manifestazione di potere, un attribuirsi sempre il diritto di disprezzare quelli che, essendo troppo deboli, sono destinati quaggi a essere divorati? Oh! chi mai ha capito fino in fondo il mansueto agnello accovacciato ai piedi di Dio, il simbolo pi toccante di tutte le vittime terrene, del loro futuro, insomma la glorificazione della sofferenza e della debolezza? Quell'agnello, l'avaro lo lascia ingrassare, lo macella, lo cuoce, lo mangia e lo disprezza. Il pascolo degli avari fatto di denaro e di disprezzo. Durante la notte le idee del brav'uomo avevano preso un altro indirizzo: di qui la sua clemenza. Aveva concepito una trama per beffarsi dei parigini, per strizzarli, prenderli in giro, tormentarli, farli andare e venire, sudare, sperare, impallidire; per divertirsi con loro, lui, ex bottaio, nella sua sala grigia, con la sua scala tarlata della casa di Saumur. Si era occupato del nipote. Voleva salvare l'onore del fratello morto senza che ci costasse un soldo n al nipote n a lui. Stava per investire i suoi capitali a tre anni, e ormai non doveva fare altro che amministrare le sue terre; occorreva dunque uno scopo alla sua attivit maligna, e l'aveva trovato nel fallimento del fratello. Non avendo nulla da pestare sotto i piedi, voleva pestare i parigini a vantaggio di Charles e dimostrare, a buon mercato, di essere un eccellente fratello. L'onore della famiglia entrava cos poco nel progetto, che la sua buona volont poteva essere paragonata al bisogno che hanno i giocatori di veder giocare bene una partita anche se non vi hanno messo alcuna posta. E i Cruchot gli erano necessari, ma non volendo andare a cercarli, aveva
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deciso di farli venire da lui, e di cominciare quella sera stessa la commedia di cui aveva appena concepito la trama, allo scopo di essere l'indomani, senza che questo gli costasse un soldo, oggetto di ammirazione nella sua citt. Durante l'assenza del padre, Eugnie ebbe la felicit di potersi occupare senza sotterfugi del suo beneamato cugino, di profondere su di lui senza timore i tesori della sua piet, una delle sublimi superiorit della donna, la sola che ella voglia far sentire, la sola per cui sia disposta a perdonare l'uomo che gliela riconosce. Tre o quattro volte, Eugnie and ad ascoltare il respiro del cugino, a sentire se dormiva, se si stava svegliando; poi, quando egli si alz, la panna, il caffe, le uova, la frutta, i piatti, il bicchiere, tutto ci che faceva parte della colazione, la occuparono in qualche misura. Sali svelta la vecchia scala per andare ad ascoltare i rumori che venivano dalla stanza del cugino. Si stava vestendo? piangeva ancora? Si avvicin fino alla porta. "Cugino!". "Cugina!". "Volete fare colazione in sala o nella vostra camera?". "Dove volete." "Come vi sentite?". "Cara cugina, mi vergogno di avere fame." Questa conversazione attraverso la porta era per Eugnie un episodio da romanzo. "Allora, vi porteremo la colazione in camera, per non irritare mio padre." Eugnie scese in cucina con la leggerezza di un uccellino. "Nanon, vai a rifargli la stanza." Quella scala tanto spesso salita e discesa, dove il pi piccolo rumore rimbombava, sembr a Eugnie che avesse perso la sua aria vetusta; la vedeva luminosa, le pareva che parlasse, che fosse giovane come lei, giovane come l'amore al quale serviva. Alla fine sua madre, quella madre buona e indulgente, accondiscese alle fantasie del suo amore, e, quando la stanza di Charles fu riordinata, and con la figlia a tener compagnia all'infelice: la carit cristiana non ordinava forse di consolarlo? Le due donne scovarono nella religione un buon numero di piccoli sofismi per giustificare il loro comportamento. Charles Grandet si vide dunque fatto oggetto delle attenzioni pi affettuose e pi tenere. Il suo cuore dolente sent tutta la dolcezza di questa amabile amicizia, della
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squisita comprensione che quelle due anime sempre represse seppero dispiegare trovandosi per un momento libere nella regione delle sofferenze, la loro sfera naturale. Autorizzata dal rapporto di parentela, Eugnie si mise a riordinare la biancheria, gli oggetti da toeletta che il cugino aveva portato con s ed ebbe agio di meravigliarsi di ogni lussuosa bazzecola, dei ninnoli di argento e d'oro lavorato che le capitavano sotto mano e che ella teneva a lungo tra le dita con la scusa di esaminarli. Charles not non senza provare una profonda tenerezza l'interesse generoso che mostravano per lui la zia e la cugina; conosceva abbastanza la societ parigina per sapere che, nella sua situazione, vi avrebbe trovato solo cuori indifferenti o gelidi. Eugnie gli apparve in tutto lo splendore della sua singolare bellezza, da quell'istante ammir i suoi modi ingenui dei quali si era burlato la sera prima. Cos quando Eugnie prese dalle mani di Nanon il recipiente di porcellana pieno di caff con panna per servire il cugino, gettandogli una lunga occhiata, gli occhi del parigino si gonfiarono di lacrime, le prese la mano e gliela baci. "Suvvia, che cosa c' ancora?" chiese lei. "Oh! sono lacrime di riconoscenza," rispose il giovane. Eugnie si volt di scatto verso il camino per prendere i candelieri. "Nanon, prendete, portateli via," disse. Quando torn a guardare il cugino era ancora rossa, ma se non altro i suoi occhi riuscirono a mentire e a non tradire la gioia infinita che le traboccava dal cuore; ma i loro sguardi espressero un medesimo sentimento, cos come le loro anime si fusero in un unico pensiero: l'avvenire era loro. Questa dolce emozione fu tanto pi deliziosa per Charles, sprofondato in quel dolore immenso, in quanto era del tutto inattesa. Un colpo di battaglio richiam le due donne ai loro posti. Per fortuna, riuscirono a scendere le scale abbastanza in fretta da essere di nuovo al lavoro quando Grandet entr; per attizzare i suoi sospetti sarebbe bastato che le avesse incontrate nell'andito. Dopo la seconda colazione, che il brav'uomo fece all'inpiedi, arriv da Froidfond il guardiano, al quale non era stato ancora corrisposto il compenso promesso, recando una lepre, delle pernici uccise nel parco, delle anguille e due lucci dovuti dai mugnai. "Eh! eh! il nostro povero Cornoiller arriva come il pesce in quaresima. buona da mangiare questa?". "S, mio caro e generoso signore, stata uccisa due giorni fa."

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"Forza, Nanon, alza i tacchi," disse il brav'uomo. "Prendila, la mangeremo a cena, voglio invitare due Cruchot." Nanon spalanc un paio di occhi inebetiti e si guard in giro. "Va bene," disse, "ma dove vado a prendere il lardo e le spezie?". "Moglie mia," disse Grandet, "dai sei franchi a Nanon, e ricordami di andare in cantina a prendere del buon vino." "Gi che ci sono, signor Grandet," riprese il guardiano che si era preparato un discorsetto per venire a capo della faccenda del suoi compensi, "signor Grandet...". "Ta ta ta ta," disse Grandet; "so gi quello che vuoi dire; tu sei un buon diavolo: ne parleremo domani, oggi sono troppo occupato. Moglie mia, dagli cento soldi," disse a Mme Grandet. E se ne usc. La povera donna fu ben felice di comperare la pace a undici franchi. Sapeva che Grandet, dopo essersi ripreso, soldo su soldo, il denaro che le aveva dato, non avrebbe aperto bocca per quindici giorni. "Tieni, Cornoiller," disse mettendogli in mano dieci franchi; "un giorno o l'altro i tuoi servizi saranno riconosciuti." Cornoiller non trov niente da dire e se ne and. "Signora," disse Nanon che si era messa la cuffia nera e aveva preso il paniere, "mi bastano tre franchi, il resto lo tenga. Vedr che andr bene lo stesso." "Prepara una buona cena, Nanon, mio cugino scender a mangiare," disse Eugnie. "Sono sicura che sta succedendo qualcosa di straordinario," disse Mme Grandet. " la terza volta, da quando siamo sposati, che tuo padre invita qualcuno a cena." Verso le quattro, nel momento in cui Eugnie e la madre finivano di apparecchiare la tavola per sei persone e dopo che il padrone di casa aveva portato su dalla cantina alcune bottiglie di quei vini squisiti che i provinciali conservano con amore, Charles entr nella sala. Il giovane era pallido. I suoi gesti, il suo contegno, il suo sguardo e il suono della sua voce erano improntati a una tristezza piena di grazia. Non recitava la parte dell'addolorato, ma soffriva davvero, e il velo che la pena aveva steso sui tratti del suo volto gli dava quell'aria interessante che piace tanto alle donne. Eugnie lo am ancora di pi. Forse anche perch l'infelicit lo aveva avvicinato a lei. Charles non era pi il giovanotto ricco e bello che si muoveva in una sfera per lei inabbordabile, ma un parente colpito da una
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spaventosa disgrazia. La sventura ci rende uguali. La donna ha questo in comune con gli angeli, che i sofferenti le appartengono. Charles e Eugnie si compresero e si parlarono solo con gli occhi; infatti il povero dandy avvilito, l'orfano si mise in un angolo e vi rimase silenzioso, calmo e fiero; ma di quando in quando lo sguardo dolce e carezzevole della cugina si posava su di lui, lo costringeva ad abbandonare i suoi tristi pensieri, e a inoltrarsi con lei sulle vie della speranza e del futuro, dove ella voleva incamminarsi con lui. In quello stesso momento, la citt di Saumur era sconvolta dalla cena che Grandet offriva ai Cruchot pi di quanto lo fosse stata il giorno prima dalla vendita della vendemmia, che costituiva un delitto di alto tradimento verso la viticoltura. Se il furbo vignaiolo avesse offerto quella cena con la stessa intenzione che cost la coda al cane di Alcibiade, sarebbe stato forse un grand'uomo; ma, troppo superiore a una citt della quale egli si beffava di continuo, Grandet non faceva alcun caso a Saumur. I des Grassins vennero a sapere ben presto la morte violenta e il probabile fallimento del padre di Charles; decisero di andare la sera stessa a trovare il loro cliente per porgergli le condoglianze e attestargli la loro amicizia, e anche per scoprire i motivi che potevano averlo indotto, in simili circostanze, a invitare a cena i Cruchot. Alle cinque precise, il presidente C. de Bonfons e suo zio il notaio arrivarono tutti tirati a lucido. I convitati si misero a tavola e cominciarono un'ottima cena. Grandet era serio, Charles silenzioso, Eugnie muta, Mme Grandet non parl pi del solito, di modo che quel desinare fu un vero pasto di condoglianze. Al levar delle mense, Charles disse alla zia e allo zio: "Permettetemi di ritirarmi. Devo sbrigare una lunga e triste corrispondenza." "Fate pure, nipote mio." Dopo la sua uscita, il brav'uomo, quando ritenne che Charles non potesse pi ascoltare e fosse immerso nelle sue lettere, guard con aria sorniona la moglie. "Signora Grandet, ci che dobbiamo dire sarebbe latino per voi; sono le sette e mezzo, dovreste andare a chiudervi in camera vostra. Buona notte, figlia mia." Baci Eugnie e le due donne uscirono. Allora cominci la scena, nella quale pap Grandet, pi che in qualsiasi altro momento della sua vita, spieg l'abilit che aveva acquistato nel commercio con gli uomini, e che spesso gli valeva, da parte di coloro che egli mordeva un po' troppo forte, il soprannome di vecchio cane. Se il sindaco di Saumur avesse avuto
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ambizioni pi grandi, se qualche circostanza fortunata, facendolo arrivare vicino alle sfere superiori della societ, lo avesse portato nei congressi dove si trattano gli affari delle nazioni, e se egli avesse impiegato il talento che aveva messo al servizio del suo interesse personale, non v' dubbio che avrebbe potuto essere meravigliosamente utile alla Francia. per anche probabile che, una volta uscito da Saumur, il brav'uomo avrebbe fatto solo una meschina figura. Forse ci sono dei cervelli simili a certi animali che perdono la fertilit una volta trasferiti lontano dall'ambiente in cui sono nati. "Si...i...i...i...gnor pre...pre...pre...presidente, voooi di...di...di...dicecevaaate che il faaallimento...". Il balbettio che il brav'uomo simulava da tanto tempo e che passava per essere naturale, come la sordit di cui si lagnava nelle giornate di pioggia, divent, in quella circostanza, cos stancante per i due Cruchot, che ascoltando il vignaiolo senza accorgersene torcevano la bocca, facendo degli sforzi come se volessero completare le parole sulle quali egli si impuntava a suo piacimento. A questo punto, diventa forse necessario fornire la storia della balbuzie e della sordit di Grandet. Nessuno, nell'Angi, aveva un udito migliore e una pronuncia pi scorrevole del furbo vignaiolo. Una volta, malgrado la sua astuzia, era stato raggirato da un israelita, che, durante la discussione, portava una mano all'orecchio a mo' di cornetto acustico, con il pretesto di sentire meglio, e tartagliava cos bene nel cercare la parole, che Grandet, vittima della propria umanit, si senti in dovere di suggerire allo scaltro ebreo le parole e le idee che quello sembrava cercare, di completare lui stesso i ragionamenti del detto ebreo, di parlare come doveva parlare quel dannato ebreo, di essere insomma l'ebreo e non Grandet. Per il bottaio il risultato di questo strano duello fu quello di concludere il solo affare di cui ebbe a pentirsi nella sua vita di commerciante. Ma, se egli perse, dal punto di vista pecuniario, ci guadagn dal punto di vista morale una buona lezione, e, pi tardi, ne raccolse i frutti. Cos il brav'uomo fin per benedire l'ebreo che gli aveva insegnato l'arte di far spazientire il proprio antagonista in affari, e, impegnandolo a esprimere meglio il suo pensiero, di fargli perdere continuamente di vista il proprio. Ora, nessuna faccenda esigeva pi di quella che era in ballo, il ricorso alla sordit, alla balbuzie e alle ambagi incomprensibili nelle quali Grandet avviluppava le sue idee. Innanzi tutto egli non voleva addossarsi la

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responsabilit delle proprie idee; e poi non voleva impegnarsi a fondo, bens lasciare dubbi sulle sue vere intenzioni. "Si...gnor de Bon...Bon...Bonfons." Era la seconda volta, in tre anni, che Grandet chiamava Cruchot nipote signor de Bonfons. Il presidente fu sul punto di credersi scelto come genero da quel contorto brav'uomo. "Vooooi di...di...di...dicevate dunque che i faaallimenti po...po...po...possono, i...in ce...certi casi, essere impe...pe...pe...diti d...da...". "Dagli stessi tribunali di commercio. cosa di tutti i giorni," disse M. C. de Bonfons, sposando l'idea di pap Grandet o credendo di indovinarla e volendogliela cortesemente spiegare. "Ascoltate". "Ascol...to," rispose umilmente il brav'uomo assumendo la maliziosa espressione di un fanciullo che dentro di s rida del suo professore mentre sembra prestargli la pi grande attenzione. "Quando un uomo considerevole e considerato, come lo era, per esempio, il defunto vostro signor fratello a Parigi...". "Mio...o fratello, si." "Corre il pericolo di un dissesto...". "Si...iii chi...chiama di...di...dissesto?". "S. Vale a dire quando la dichiarazione di fallimento imminente, il tribunale di commercio, dal quale egli dovr essere giudicato (seguitemi bene), ha facolt di nominare, con una sentenza, alcuni liquidatori della sua ditta. Liquidare non significa fallire, capite? Quando fa fallimento, un uomo disonorato; ma quando liquida, rimane un onest'uomo." "C' una bella di...di...di...differenza, se que...e...sto non co...o...o...sta pi caro," disse Grandet. "Ma una liquidazione si pu fare anche senza l'intervento del tribunale di commercio. Infatti," disse il presidente annusando una presa di tabacco, "come si dichiara un fallimento?". "Gi, non ci avevo mai pe...pe...pe...pensato," rispose Grandet. "In primo luogo," riprese il magistrato, "con il deposito del bilancio nella cancelleria del tribunale, eseguito dal commerciante stesso o da un suo procuratore debitamente nominato. In secondo luogo dietro richiesta dei creditori. Ora, se il commerciante non deposita il bilancio, se nessun creditore chiede una sentenza del tribunale che dichiari il suddetto commerciante in stato fallimentare, che succede?".
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"S......i, ve...ve...vediamo." "Allora, la famiglia del defunto, i suoi rappresentanti, il suo erede diretto, o il commerciante, se non morto, o i suoi amici, se si nasconde, liquidano. Volete forse liquidare la ditta di vostro fratello?" domand il presidente. "Ah! Grandet!" esclam il notaio, "sarebbe una buona cosa. C' ancora il senso dell'onore nelle nostre province. Se voi salvaste il vostro nome, perch il vostro nome, sareste un uomo...". "Sublime!" disse il presidente interrompendo lo zio. "Ce...certo," rispose il vecchio vignaiolo; "mi...mio frrr...fra...fratello si chia...chia...chia...mava Grandet co...come me. Que...que...que...questo pi che sicuro. I...i...io non dico di...di no. E...e...e...questa li...li...li...liquidazione potrebbe in ogni caaaso essere soootto tuuutti gli a...a...aspetti molto va...va...vantaggiosa per gli i...i...i...interessi di mio ni...ni...nipote, che io a...a...amo. Ma bisogna vedere. Io non co...co...conosco quei furbi di Parigi. Io...sto a Sau...au...aumur, io, lo sapete. I miei iiinnesti, i miei fooossati, e po...poi ho i miei affari. Non ho mai firmato una ca...ca...cambiale. Che cos' una cambiale? Ne...ne...ne ho ricevute mo...molte, ma non ne ho mai fi...fi...firmate. Si...iii incassano, si scontano. Ecco tuuutto quello ch...ch...che so. Ho se...se...se...sentito di...di...dire che siii po...po...possono gi...gi...girare le ca...ca...ca...". "S," disse il presidente, " possibile acquistare le cambiali su piazza, pagando un tanto per cento. Capite?". Grandet port una mano all'orecchio come un cornetto acustico, e il presidente ripet ci che aveva detto. "Ma," rispose il vignaiolo, "in que...queste cose bisogna stare attenti. Io...io...io non so niente, alla mia et, di tuuutte que...que...queste faccende. Io de...devo ri...manere qu...qu... qui per ba...ba...badare al grano. Il grano va imma...gazzinato, ed ...... cooon il grano che si pa...paga. Priiima di tutto, occorre ba...ba...badare ai...ai ra...ra...raccolti, ho affari pi i...i...importanti e inte...te...teressanti a Froidfond. Io non posso a...a...abbandonare la mi...mi...mi...mia casa perch degli i...i...imbrogli de...de...del di...di...diavolo in cui non ci capi...pisco niente. Voooi dite che...che dovrei, per li...li...liquidare, per fermare la dichiarazione di fallimento essere a Parigi. Non ci si pu trooo...vare nello stesso tempo i...i...in due posti a meno di essere un u...u...u...uccellino e...".

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"Io vi capisco," esclam il notaio. "Ebbene, mio vecchio amico, voi avete degli amici, dei vecchi amici che vi sono devoti." "Benone!" pensava fra s il vignaiolo, "decidetevi allora!". "E se qualcuno partisse per Parigi, vi cercasse il pi grosso creditore di vostro fratello Guillaume, gli dicesse...". "Un mi...mi...minuto," riprese il brav'uomo; "gli dicesse...che cosa? U...una co...cosa co...co...come questa: M. Grandet...det di Saumur di...di...di... qua, M. Grandet...det di Saumur di l. Ama suo fratello, ama suo ni...ni...nipote. Grandet un buon pa...pa...parente, ha delle ottime intenzioni. Ha venduto bene la sua ve...ve...vendemmia. Non dichiarate il fa...fa...fa...fallimento, riiiunitevi, no...no...nominate dei li...li...liquidatori. Aaallora Grandet ve...ee...rr. Voooi o...o....otterrete di pi liquidando che mettendoci di me...mezzo il tribunale. Non cos?". "Giusto!" disse il presidente. "Perch, vedete, signor de Bon...Bon...Bon...fons, bisogna riflettere prima di de...decidere. Chi no...no...non pu, no...non pu. In ogni a...a...affare ooone...neroso, peeer non ro...ro...ro...rovinarsi, bisogna conoscere le risorse e le spese. Non cos?". "Certamente," disse il presidente. "Io sono del parere che nel giro di qualche mese sar possibile riscattare i debiti per una certa somma e pagare tutto addivenendo a un accordo. Ah! ah! si riesce a far correre parecchio i cani mostrando loro un pezzo di lardo. Una volta che non ci sia stata dichiarazione di fallimento e che voi abbiate in mano i titoli di credito, diverrete bianco come la neve." "Come la ne...ne...neve?" ripet Grandet tornando a portarsi una mano all'orecchio. "Non capisco la ne...ne...neve." "Ma," esclam il presidente, "ascoltatemi dunque!". "A...a...ascolto." "Un effetto una merce che pu avere i suoi alti e bassi. Questo si deduce dalla teoria di Geremia Bentham sull'usura. Questo scrittore ha dimostrato che i pregiudizi contro gli usurai sono una sciocchezza." "Gi!" fece il brav'uomo. "Dato che in via di principio, secondo Bentham, il denaro una merce, e che ci che rappresenta il denaro diviene a sua volta merce," riprese il presidente; "poich noto che, soggetta alle normali oscillazioni che si verificano negli scambi, la merce-cambiale, recante la tale o tal'altra firma, esattamente come il tale o tal altro articolo, abbonda o scarseggia sulla
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piazza, e quindi il suo prezzo va alle stelle o cade a zero, il tribunale ordina... (toh! che bestia sono, scusate...), io sono del parere che possiate riscattare vostro fratello per un venticinque per cento." "Voooi lo avete chi...chi...chiamato Ge...Ge...Ge...Geremia Ben...?". "Bentham, un inglese." "Quel Geremia l ci risparmier un sacco di noie negli affari," disse ridendo il notaio. "Questi inglesi hanno a vo...vo...volte del bu...on senso," disse Grandet. "Cos, se...se...se...secondo Ben...Ben...Ben Bentham, se gli effetti di mio fratello va...va...va...va...valgono...non valgono! S. Di...di...dico bene, non cosi? Questo mi sembra chiaro...I creditori sarebbero...no, non sarebbero...ho capito." "Lasciate che vi spieghi tutto," disse il presidente. "In linea di diritto, se voi possedete i titoli di tutti i debiti della ditta Grandet, vostro fratello o i suoi eredi non devono niente a nessuno. Bene." "Bene," ripet il brav'uomo. "In linea di equit, se gli effetti di vostro fratello vengono negoziati (negoziati, comprendete bene questo termine?) su piazza con la perdita di un tanto per cento; se un vostro amico si trova a passare di l e li acquista, non avendoli i creditori ceduti sotto alcuna coercizione, la successione del defunto Grandet di Parigi si trova onestamente in pari." " vero, gli a...a...a...affari sono affari," disse il bottaio. "Ci pooosto... Ma, tuttavia, voi co...co...co...mprendete che di...di...di...difficile. I...i...io non ho denaro n...n...n tempo, n tempo n...". "Si, voi non potete disturbarvi. Mi offro di andare io a Parigi (mi rimborserete solo le spese di viaggio, una miseria). Incontrer i creditori, parler con loro, li ammansir e tutto si sistemer con un esborso supplementare che aggiungerete al valore della liquidazione, allo scopo di rientrare in possesso dei titoli di credito." "Veeedremo; io no...no...non posso, no...no...non voglio i...i...impegnarmi senza...senza... che... Chi...chi...chi... no...non pu, non pu. Caaapite?". " giusto!". "Ho la testa fra...fra...frastornata da que...quello che voooi...voi mi a...a...a...avete detto. la...la...la prima volta in vita mia che i...io sono costretto a pe...pensare a...". "Certo voi non siete un giureconsulto."
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"I...io sono un po...po...povero vignaiolo e non so niente di ci che vo...vo...voi avete detto; bi...bi...bisogna che ci stu...stu...studi sopra." "Ebbene..." riprese il presidente come se volesse riassumere la discussione. "Caro nipote!..." lo interruppe il notaio con un tono di rimprovero. "Che cosa c', zio?" rispose il presidente. "Lascia che M. Grandet ti spieghi le sue intenzioni. Si tratta di un mandato importante. Il nostro caro amico lo deve definire in modo preci...". Un colpo di martello che annunciava l'arrivo della famiglia des Grassins, l'ingresso di costoro e i saluti impedirono a Cruchot di completare la frase. Il notaio fu contento di questa interruzione; Grandet lo guardava gi di traverso e la verruca indicava una tempesta interiore. Ma innanzi tutto, il prudente notaio non trovava opportuno che un presidente di tribunale di prima istanza andasse a Parigi per ridurre alla ragione dei creditori, per prestarsi a un maneggio che urtava contro i principi di una rigorosa probit; poi, non avendo sentito esprimere da pap Grandet la minima intenzione di pagare quel che ci fosse da pagare, temeva istintivamente di vedere il nipote impegolato in questa faccenda. Approfitt dunque del momento in cui i des Grassins entravano per prendere sottobraccio il presidente nel vano della finestra. "Tu ti sei esposto a sufficienza, nipote; ma basta con questo tipo di devozione. Il desiderio di avere la figlia ti acceca. Diavolo! Non bisogna buttarcisi a capofitto come una cornacchia sulle noci. Lascia a me il timone della barca e tu aiutami solo nella manovra. Hai forse il dovere di compromettere la tua dignit di magistrato in una simile...". Non termin la frase; ascoltava M. des Grassins che diceva al vecchio bottaio porgendogli la mano: "Grandet, abbiamo saputo della terribile disgrazia capitata nella vostra famiglia, il disastro della ditta Guillaume Grandet e la morte di vostro fratello; siamo venuti per esprimervi la nostra partecipazione a questo triste evento." "L'unica disgrazia," disse il notaio interrompendo il banchiere, " la morte di M. Grandet junior. E comunque non si sarebbe ucciso se avesse pensato di chiedere aiuto al fratello. Il nostro vecchio amico che ha il senso dell'onore fin nella punta delle unghie, conta di liquidare i debiti della ditta Grandet di Parigi. Mio nipote il presidente, per risparmiargli i fastidi di una faccenda di carattere giudiziario, si offerto di partire subito per Parigi,

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allo scopo di concludere una transazione con i creditori e di soddisfarli in modo conveniente." Queste parole, confermate dall'atteggiamento del vignaiolo, che si accarezzava il mento, sorpresero non poco i tre des Grassins, i quali strada facendo avevano imprecato contro l'avarizia di Grandet, accusandolo quasi di fratricidio. "Ah! lo sapevo!" esclam il banchiere guardando la moglie. "Che ti dicevo per via, signora des Grassins? Grandet ha l'onore fin sulla punta dei capelli, e non accetter che il suo nome possa essere anche solo leggermente scalfito! Il denaro senza onore una piaga. Nelle nostre province l'onore esiste! una buona, ottima cosa, Grandet. Io sono un vecchio soldato e non so dissimulare il mio pensiero; parler senza ambagi: per mille fulmini! un gesto sublime." "Aaallora il su...su...sublime costa ca...caro," rispose il brav'uomo mentre il banchiere gli scuoteva calorosamente la mano. "Ma questa, mio caro Grandet, non dispiaccia al signor presidente," riprese des Grassins, " una questione puramente finanziaria, ed esige una persona molto esperta nel ramo. Non si tratta forse di saperla lunga sui conti di restituzione, di anticipazione, sul calcolo degli interessi? Devo andare a Parigi per i miei affari, e quindi potrei incaricarmi di..." "Vedremo dunque di ce...ce...cercare di accordarci no...noi due nelle rispettive po...po...po...possibilit e senza i...i...impegnarmi in qualcosa che io...io...io...non voooo...rrei fare," disse Grandet balbettando; "perch, vedete, il signor presidente mi chiedeva come naturale le spese di viaggio." Pronunciando queste ultime parole il brav'uomo non balbettava pi. "Eh!" disse Mme des Grassins, " un tale piacere stare a Parigi. Pagherei volentieri per andarci io." E fece un segno al marito come per incoraggiarlo a soffiare a ogni costo, quell'incarico ai loro avversari; poi gett uno sguardo carico di ironia ai due Cruchot, che avevano un'aria delusa. Grandet afferr allora il banchiere per un bottone della marsina e lo attir in un angolo. "Ho pi fiducia in voi che nel presidente," gli disse. "Eppoi c' dell'altro," aggiunse muovendo la verruca. "Vorrei investire nei titoli; penso di comperare titoli per qualche migliaio di franchi, ma non vorrei pagarli pi di ottanta franchi. Mi dicono che le quotazioni scendono a fine mese. Voi ve ne intendete, vero?".
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"Perdiana! Dovrei dunque acquistare qualche migliaio di lire di titoli per vostro conto?". "Poca roba per cominciare. Mosca! Vorrei giocare a quel gioco senza che se ne sappia nulla. Concluderete l'acquisto per fine mese, ma non dite nulla ai Cruchot, potrebbero indispettirsi. Dal momento che andate a Parigi, vedremo al tempo stesso, per il mio povero nipote, come stanno le cose." "D'accordo. Partir domani con la diligenza," disse ad alta voce des Grassins, "e verr a prendere le vostre ultime istruzioni alle... A che ora?". "Alle cinque, prima di cena," disse il vignaiolo fregandosi le mani. I due avversi schieramenti rimasero ancora qualche istante uno di fronte all'altro. Dopo una pausa, des Grassins disse battendo su una spalla di Grandet: " bello avere dei buoni parenti cosi...". "S, s, anche se non lo do a vedere," rispose Grandet, "sono un buon pa...parente. Volevo bene a mio fratello e lo dimostrer se...se non...non costa...". "Noi vi lasciamo, Grandet," disse il banchiere, interrompendolo per fortuna prima che completasse la frase. "Se anticipo la partenza, ho bisogno di sistemare alcune faccende." "Bene, bene. Anche io, rii...guardo a ci che sa...pete, va...vado a ritirarmi in ca...mera di co...consiglio, come dice il presidente Cruchot." "Accidenti! Non mi chiama pi M. de Bonfons," pens tristemente il magistrato, sul cui viso si dipinse l'espressione del giudice annoiato da un'arringa. I capi delle due famiglie rivali se ne andarono insieme. N gli uni n gli altri pensavano pi al tradimento di cui si era macchiato quella mattina Grandet nei confronti della viticoltura locale, e cercarono, ma invano, di conoscere i rispettivi punti di vista sulle reali intenzioni del brav'uomo in questo nuovo affare. "Venite con noi da Mme d'Orsonval?" chiese des Grassins al notaio. "Ci verremo pi tardi," rispose il presidente. "Se mio zio permette, ho promesso di fare un salutino a Mme de Gribeaucourt, e pensiamo di passare da lei." "Arrivederci dunque, signori," disse Mme des Grassins. E, quando i des Grassins si furono allontanati di qualche passo dai Cruchot, Adolphe disse al padre: "Sono imbuggerati niente male, eh?". "Sta' zitto, figliolo," lo rimbecc la madre, "possono ancora sentirci. Eppoi queste espressioni sono di cattivo gusto e puzzano di universit."
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"Hai visto, zio?" esclam il magistrato quando vide che i des Grassins erano abbastanza lontani, "ho cominciato con l'essere il presidente de Bonfons e ho finito come un semplice Cruchot." "Mi sono accorto che eri contrariato; ma il vento spirava a favore dei des Grassins. Con tutta la tua intelligenza ti comporti da stupido! Lascia che cavalchino un vedremo di pap Grandet, e stai calmo, ragazzo mio: non per questo Eugnie non sar tua moglie." Nel giro di pochi minuti la notizia della magnanima decisione di Grandet fu conosciuta contemporaneamente in tre case, e in tutta la citt non si parl pi che di questo attaccamento fraterno. Tutti avevano perdonato a Grandet la vendita conclusa in dispregio del solenne accordo fra viticoltori, e ammiravano il suo senso dell'onore, lodavano la generosit di cui non lo avevano ritenuto capace. proprio del carattere francese entusiasmarsi, andare in collera, appassionarsi per l'astro del momento, per l'effimero. Le collettivit, i popoli non hanno dunque memoria? Dopo aver chiuso la porta, pap Grandet chiam Nanon. "Non sciogliere il cane e non andare a dormire, dobbiamo lavorare insieme. Alle undici, Cornoiller deve trovarsi alla porta con la carrozza di Froidfond. Sta' attenta a quando arriva in modo che non bussi, e digli di entrare in silenzio. Le leggi di polizia vietano gli schiamazzi notturni. Eppoi, non c' bisogno di far sapere a tutto il vicinato che mi metto in viaggio." Detto ci, Grandet torn nel suo laboratorio, e Nanon lo sent trafficare, frugare, andare, venire, ma tutto con circospezione. Evidentemente non voleva svegliare n la moglie n la figlia, e soprattutto non voleva attirare l'attenzione del nipote, che stava gi maledicendo perch aveva visto luce nella sua camera. A met notte, Eugnie preoccupata per il cugino, credette di aver sentito il rantolo di un moribondo, e per lei quel moribondo era Charles: lo aveva lasciato cos pallido e disperato! forse si era ucciso. Si butt addosso una specie di mantello di pelo con cappuccio e decise di uscire. A tutta prima un forte bagliore che trapelava dalla fessura della porta le fece temere che ci fosse un incendio; poi si rassicur udendo i passi pesanti di Nanon e la sua voce che si confondeva con un nitrire di cavalli. "Che mio padre voglia portar via mio cugino?" si disse socchiudendo la porta con precauzione per non farla cigolare, ma in modo da poter vedere ci che accadeva nel corridoio.
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D'un tratto i suoi occhi incontrarono quelli del padre, il cui sguardo, per quanto vago e indifferente, la fece rabbrividire di terrore. Il brav'uomo e Nanon tenevano ciascuno sulla spalla destra le due estremit di una pertica alla quale era attaccato mediante una fune un barilotto simile a quelli che pap Grandet si divertiva a fabbricare nel locale del forno quando aveva dei momenti liberi. "Santa Vergine! signore, come pesa!" disse a bassa voce Nanon. "Purtroppo sono solo soldoni!" rispose il brav'uomo. "Attenta a non urtare il candeliere." Questa scena era illuminata da una sola candela sistemata fra due sbarre della ringhiera. "Cornoiller," disse Grandet al suo guardiano in partibus , "hai preso le pistole?". "No, signore. Cribbio! che c' da temere per i vostri soldoni?...". "Oh! niente," disse pap Grandet. "Del resto, andremo svelti," riprese il guardiano, "i fittavoli hanno scelto per voi i cavalli migliori." "Bene, bene. Hai detto forse dove vado?". "Non lo so nemmeno." "Bene. La vettura solida?". "Questa, padrone? Ah beh, questa potrebbe portare tremila libbre. Ma quanto pesano questi vostri barilacci?". "Quanto a questo," disse Nanon, "lo so ben io! Quasi mille e ottocento." "Vuoi tacere, Nanon? Di' a mia moglie che sono andato in campagna e torner per cena. - Va' alla svelta, Cornoiller, dobbiamo essere ad Angers prima delle nove." Partita la carrozza, Nanon mise il chiavistello al portone, sciolse il cane, and a letto con una spalla indolenzita, e nessuno nel quartiere sospett n la partenza di Grandet n lo scopo di quel viaggio. La segretezza del brav'uomo era assoluta. Nessuno vedeva mai un soldo in quella casa piena d'oro. Dopo aver saputo in mattinata, dalle chiacchiere che si facevano sul porto, che il prezzo dell'oro era raddoppiato per via delle numerose navi che si stavano armando a Nantes, e che ad Angers erano arrivati degli speculatori che intendevano acquistare oro, il vecchio vignaiolo, facendosi semplicemente prestare dei cavalli dei fittavoli, fu in grado di andare a vendere il suo oro e di riportare a casa in buoni del ricevitore generale del
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Tesoro la somma necessaria, aumentata dal plusvalore, per acquistare i suoi titoli. "Mio padre se ne va," disse Eugnie che dall'alto della scala aveva sentito tutto. Il silenzio era tornato nella casa, e il lontano rumore della carrozza, che svaniva a poco a poco, non si udiva gi pi in una Saumur addormentata. In quel momento Eugnie sent col cuore, prima di udirlo con le orecchie, un lamento che trapass le pareti, e che veniva dalla camera del cugino. Una striscia luminosa, sottile come il taglio di una sciabola, passava dalla fessura della porta e fendeva orizzontalmente la ringhiera della vecchia scala. "Sta soffrendo," disse lei salendo due scalini. Un secondo gemito la fece arrivare fino al pianerottolo della camera. La porta era socchiusa, ella la spinse. Charles dormiva con la testa che penzolava fuori della vecchia poltrona; la mano dalla quale era sfuggita la penna toccava quasi per terra. Il respiro irregolare del giovane dovuto alla posizione fece spaventare Eugnie, che entr subito. "Deve essere molto stanco", si disse guardando una decina di lettere chiuse. Ne lesse gli indirizzi: Ai signori: Farry, Breilman e C., carrozzieri - Al signor Buisson, sarto ecc. "Deve aver sistemato tutti i suoi affari per poter lasciare al pi presto la Francia," pens Eugnie. Gli occhi le caddero su due lettere aperte. Le parole con cui cominciava una lettera: "Mia cara Annette..." le provocarono un capogiro. Il cuore le batteva in petto, i piedi sembravano inchiodati al pavimento. La sua cara Annette! Egli ama, amato! Non c' pi speranza!... Che cosa le dice? Questi pensieri le trapassarono la testa e il cuore. Vedeva quelle parole fiammeggiare dappertutto, perfino sul piancito. "Devo gi rinunciare a lui! No, non legger quella lettera. Devo andarmene... Ma dopo tutto, se la leggessi?" Guard Charles, gli prese dolcemente la testa e la pos sulla spalliera della poltrona, mentre lui si lasciava fare come un bambino che, pure dormendo, riconosce la madre e accetta, senza svegliarsi, le sue premure e i suoi baci. Come una madre Eugnie sollev la mano che stava penzoloni, e, come una madre, gli baci con dolcezza i capelli. "Cara Annette!" Un demone le urlava queste due parole nelle orecchie. "So che forse faccio male, ma questa lettera la legger," disse. Eugnie volt la testa perch la sua nobile onest le faceva rimordere la coscienza. Per la prima volta nella vita il bene e il male erano uno di fronte all'altro nel suo cuore. Fino a quel momento, non aveva dovuto arrossire di nulla. La passione, la curiosit ebbero il sopravvento. A ogni frase, il cuore le si
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gonfiava sempre pi, e il bruciore che la invase durante la lettura le rese ancor pi gustosi i piaceri del primo amore. "Mia cara Annette, niente avrebbe dovuto separarci, se non la disgrazia che mi travolge e che la prudenza umana non avrebbe potuto prevedere. Mio padre si ucciso, la sua fortuna e la mia sono completamente perdute. Mi ritrovo orfano a un'et in cui, data la mia educazione, potrei passare per un ragazzo; e tuttavia devo risalire da uomo il precipizio nel quale sono caduto. Ho impiegato una parte di questa notte a fare conti. Se voglio lasciare la Francia da onest'uomo, e non c' da dubitarne, non possiedo nemmeno cento franchi per andare a fare fortuna nelle Indie o in America. S, mia povera Anna, andr a tentare la sorte nei climi pi malsani. Sotto quei cieli, mi hanno detto, essa sicura e rapida. Restare a Parigi non potrei. N la mia anima n il mio viso sono fatti per sopportare gli affronti, la freddezza, il disprezzo che attendono l'uomo rovinato, il figlio del fallito! Buon Dio! Essere debitore di due milioni!... Finirei ucciso in duello nel giro di sette giorni. Per questo non vi torner. Nemmeno il tuo amore, il pi tenero e il pi devoto che abbia mai nobilitato il cuore di un uomo riuscirebbe ad attirarmi col. Ahim! mia adorata, non ho abbastanza denaro per venire dove sei tu, per dare e ricevere un ultimo bacio, un bacio dal quale trarrei la forza necessaria per quello che devo intraprendere...". "Povero Charles, ho fatto bene a leggere! Ho un po' d'oro, glielo dar," disse Eugnie. Dopo essersi asciugata le lacrime, riprese la lettura. "Non avevo mai pensato all'infelicit della miseria. Se ho i cento luigi indispensabili per pagare il passaggio, non mi rester un soldo per mettere insieme una paccottiglia. Macch, non ho n cento luigi n un luigi, sapr quanto denaro mi resta solo dopo che saranno stati pagati i miei debiti a Parigi. Se non mi rimane nulla, me ne andr tranquillamente a Nantes, mi imbarcher come mozzo, e comincer dal basso come hanno cominciato gli uomini forti che, da giovani, non avevano un soldo e sono tornati ricchi dalle Indie. Da questa mattina guardo con freddezza il mio avvenire. pi brutto per me che per chiunque altro, perch io sono stato coccolato da una madre che mi adorava, amato dal migliore dei padri e perch, al mio ingresso nel mondo, ho incontrato l'amore di una Anna! Ho conosciuto solo i fiori della vita: questa felicit non poteva durare. E tuttavia, mia cara Annette, ho pi coraggio di quanto dovrebbe averne un giovane fatuo, soprattutto un giovane abituato ai vezzi della donna pi deliziosa di Parigi,
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cullato nelle gioie della famiglia, cui tutto sorrideva in casa, e i cui desideri erano legge per un padre... Oh! Annette, mio padre, mio padre morto... "Ebbene, ho riflettuto sulla mia situazione, e ho riflettuto anche sulla tua. Sono invecchiato molto in ventiquattro ore. Cara Anna, se, per tenermi vicino a te, a Parigi, tu sacrificassi tutti i tuoi piaceri del lusso, i tuoi vestiti, il palco all'Opera, non arriveremmo ancora alla cifra necessaria per la mia vita dissipata; eppoi io non potrei accettare tanti sacrifici. Quindi oggi noi ci lasciamo per sempre." "Egli la lascia, Santa Vergine! O felicit!". Eugnie fece un salto di gioia. Charles si mosse, ed ella si sent gelare dal terrore; ma il giovane non si svegli, fortunatamente per lei. Eugnie riprese la lettura: "Quando torner? Non lo so. Il clima delle Indie fa invecchiare precocemente un europeo e soprattutto un europeo che lavora. Diciamo da qui a dieci anni. Fra dieci anni tua figlia avr diciotto anni, sar la tua compagna, la tua spia. Per te il mondo sar crudele, tua figlia lo sar ancora di pi. Abbiamo avuto esempi di questi giudizi mondani, di queste ingratitudini delle ragazze; mettiamoli a profitto. Conserva in fondo al tuo animo, come io lo conserver, il ricordo di questi quattro anni di felicit e sii fedele, se puoi, al tuo povero amico. Per non potrei esigerlo, perch, vedi mia cara Annette, devo adattarmi alla mia situazione, vedere la vita da borghese e valutarla per ci che . Quindi, devo pensare a sposarmi, il che sar una necessit della mia nuova esistenza; e ti confesser che ho trovato qui, a Saumur, in casa di mio zio, una cugina della quale le maniere, il viso, l'intelligenza e il cuore ti piacerebbero, e che, inoltre, mi pare abbia...". "Doveva essere molto stanco per aver smesso di scrivere," si disse Eugnie vedendo che la lettera era interrotta a met di quella frase. Ella lo giustificava! Era dunque impossibile che quella innocente fanciulla si accorgesse della freddezza che c'era nella lettera? Per le giovani educate religiosamente, ignoranti e pure, tutto amore dal momento in cui mettono piede nelle regioni incantate dell'amore. Vi avanzano circondate dalla luce celeste che la loro anima proietta e che si irraggia sul loro amante; esse lo colorano con le tinte accese dei propri sentimenti e gli prestano i loro bei pensieri. Gli errori della donna nascono quasi sempre dal suo credere nel bene, o dalla sua fiducia nel vero. Queste parole: "Mia cara Annette, mia adorata" risuonavano nel cuore di Eugnie come il pi bel linguaggio d'amore e le carezzavano l'anima come, da
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bambina, le note divine del Venite adoremus, suonate dall'organo, le carezzavano le orecchie. Del resto, le lacrime che bagnavano ancora gli occhi di Charles dimostravano quella nobilt del cuore che non pu non sedurre una fanciulla. E come poteva ella sapere che, se Charles amava tanto il padre e lo piangeva sinceramente, questa tenerezza proveniva non tanto dalla bont del suo cuore quanto dalla bont del padre? M. e Mme Guillaume Grandet, assecondando sempre i capricci del figlio, concedendogli tutte le soddisfazioni della ricchezza, gli avevano impedito di fare quegli orribili calcoli di cui sono pi o meno capaci, a Parigi, molti figli, quando, davanti ai piaceri parigini, nutrono desideri e concepiscono progetti continuamente rinviati o ritardati dall'esistenza dei genitori. La prodigalit del padre giunse quindi a far nascere nel cuore del figlio un amore filiale vero, senza secondi fini. Ci nondimeno, Charles era un ragazzo di Parigi, abituato dai costumi di Parigi, dalla stessa Annette, a calcolare tutto, un vecchio sotto la maschera del giovane. Aveva ricevuto la spaventosa educazione di un mondo in cui, in una serata, si commettono con i pensieri, con le parole pi delitti di quanti la giustizia ne punisca nelle corti d'assise, in cui le battute di spirito assassinano le pi grandi idee, in cui si passa per essere in gamba quando si vede giusto; e, l, vedere giusto significa non credere a nulla, n ai sentimenti n agli uomini e nemmeno agli avvenimenti; l si montano falsi avvenimenti. L, per vedere giusto, bisogna ogni mattina, pesare la borsa di un amico, sapersi mettere politicamente al di sopra di ogni eventualit; non ammirare nulla di slancio, n le opere d'arte n le azioni nobili, e dare come fine ad ogni cosa l'interesse personale. Dopo mille follie, la gran dama, la bella Annette, costrinse Charles a pensare seriamente; gli parlava della sua posizione futura, passandogli fra i capelli una mano profumata; mettendogli a posto un ricciolo, gli faceva calcolare la vita: lo effemminava e lo rendeva materialista. Doppia corruzione, ma corruzione elegante e di buon gusto. "Siete ingenuo, Charles", gli diceva. "Far fatica a insegnarvi come va il mondo. Vi siete comportato malissimo con M. des Lupeaulx. Lo so che un uomo poco rispettabile; ma aspettate che non sia pi al potere, allora lo disprezzerete quanto vorrete. Sapete che cosa ci diceva Mme Campan? Ragazzi miei, finch un uomo al governo, adoratelo; se cade, aiutate a trascinarlo nel pattume. Quando potente, come un Dio; quando distrutto, in una situazione peggiore di Marat nella sua tinozza, perch lui vivo mentre Marat era morto. La vita un seguito di combinazioni, e
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bisogna studiarle, seguirle, per riuscire a mantenersi sempre in una buona posizione." Charles era un uomo troppo alla moda, era stato reso sempre troppo felice dai genitori, era stato troppo adulato dal mondo, per avere grandi sentimenti. La pepita d'oro che la madre gli aveva messo nel cuore era diventata duttile passando per la trafila parigina; egli l'aveva impiegata superficialmente e l'avrebbe consumata con l'attrito. Ma Charles aveva allora solo ventuno anni. A quell'et, la freschezza della vita sembra inseparabile dal candore dell'anima. La voce, lo sguardo, il volto, sembravano rispecchiare i sentimenti. Perci il giudice pi severo, l'avvocato pi incredulo, l'usuraio pi incallito esitano sempre a credere alla vecchiezza del cuore, alla corruzione dei calcoli, quando gli occhi nuotano ancora in un fluido puro e sulla fronte non ci sono rughe. Charles non aveva mai avuto occasione di applicare le massime della morale parigina e fino a quel giorno l'inesperienza lo rendeva bello. Ma, a sua insaputa, gli era stato inoculato l'egoismo. I germi dell'economia politica a uso del parigino, latenti nel suo cuore, non dovevano tardare a moltiplicarsi, non appena da spettatore passivo, fosse diventato attore nel dramma della vita. Quasi tutte le fanciulle cedono alle dolci promesse di queste apparenze; ma, se Eugnie fosse stata prudente e osservatrice quanto lo sono certe ragazze di provincia, avrebbe potuto diffidare del cugino, dato che in lui i modi, le parole e le azioni erano ancora in armonia con le aspirazioni del cuore? Un caso, per lei fatale, le fece sperimentare le ultime effusioni di schietta sensibilit di quel giovane cuore, e ascoltare, per cosi dire, gli ultimi sospiri della coscienza. Lasci quella lettera, ai suoi occhi piena d'amore, e si mise a contemplare con uno sguardo gentile il cugino addormentato: per lei le fresche illusioni della vita erano ancora dipinte su quel volto; giur a se stessa di amarlo per sempre. Poi gett gli occhi sull'altra lettera senza provare molti rimorsi per questa indiscrezione; e, se cominci a leggerla, fu per avere altre conferme delle nobili qualit che, simile in ci a tutte le donne, attribuiva a colui che aveva scelto. "Mio caro Alphonse, quando leggerai questa lettera io non avr pi amici; ma ti confesso che se dubito delle persone di mondo abituate a usare con facilit questa parola, non ho dubitato della tua amicizia. Perci do a te l'incarico di sistemare i miei affari, e conto su di te per ricavare il meglio da tutto ci che possiedo. Ora bisogna che tu conosca la mia situazione. Non ho pi niente e voglio partire per le Indie. Ho appena scritto a tutte le
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persone alle quali credo di dovere del denaro, e tu ne troverai qui unito l'elenco, completo per quanto possibile dovendo affidarmi solo alla memoria. La mia biblioteca, i miei mobili, le mie carrozze, i miei cavalli ecc. dovrebbero bastare a pagare i debiti. Tengo per me solo le quisquilie senza valore che potrebbero servirmi per cominciare a mettere insieme una paccottiglia. Mio caro Alphonse, ti spedir da qui, per questa vendita, una regolare procura, onde evitare ogni contestazione. Mandami tutte le mie armi. Tieni per te Briton. Nessuno sarebbe disposto a pagare il prezzo di quella ammirabile bestia, preferisco offrirtela, come l'anello che il moribondo lascia per consuetudine al suo esecutore testamentario. Farry, Breilman e C. mi hanno costruito una comodissima vettura da viaggio, ma non me l'hanno consegnata; convincili a tenersela senza pretendere indennizzi: se rifiutassero, evita tutto ci che potrebbe, nelle circostanze in cui mi trovo, macchiare la mia probit. Devo all'isolano sei luigi, persi al gioco, non mancare di...". "Caro cugino", disse Eugnie posando la lettera e tornando a piccoli passi in camera sua con una delle candele accese. E l, non senza un vivo senso di piacere apri il cassetto di un vecchio mobile di quercia, una bella opera dell'epoca chiamata Rinascimento, e sul quale si vedeva ancora, un po' consunta, la famosa salamandra reale. Eugnie ne tir fuori una grossa borsa di velluto rosso con ghiande d'oro, orlata da una canutiglia consumata, proveniente dall'eredit della nonna. Poi soppes piena di orgoglio quella borsa, e si mise a rifare il conto ormai dimenticato del piccolo peculio. Dapprima mise da parte venti portoghesi ancora nuovi, coniati nel 1725 sotto il regno di Giovanni V e che valevano al cambio reale cinque lisbonine o centosessantotto franchi e sessantaquattro centesimi ciascuno, cosi le aveva detto il padre, ma il cui valore convenzionale era di centottanta franchi, data la rarit e la bellezza di quelle monete, che splendevano come soli. Item, cinque genovine o pezzi da cento lire di Genova, altra moneta rara che al cambio valeva ottantasette franchi, ma per gli amatori cento franchi. Le venivano dal vecchio M. de la Bertellire. Item, tre quadruple d'oro spagnole di Filippo V, coniate nel 1729, regalate da Mme Gentillet, che, offrendogliele, le diceva sempre la stessa frase: "Questo canarino, questa piccola moneta d'oro, vale novantotto lire! Custoditela bene, carina mia, sar il fior fiore del vostro tesoro." Item, ci che suo padre stimava di pi (l'oro di queste monete era a ventitr carati e una frazione) cento ducati d'Olanda, coniati nel 1756, e che
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valevano quasi tredici franchi. Item, una grande curiosit!... alcune medaglie preziose per gli avari, tre rupie col segno della Bilancia, e cinque rupie col segno della Vergine, tutte di oro puro a ventiquattro carati, la splendida moneta del Gran Mogol, ciascuna delle quali valeva trentasette franchi e quaranta centesimi a peso, ma almeno cinquanta franchi per gli intenditori che amano maneggiare l'oro. Item, il napoleone da quaranta franchi ricevuto due giorni prima e che ella aveva messo senza farci tanto caso nella borsa rossa. Questo tesoro comprendeva delle monete nuove e vergini, delle vere opere d'arte che a volte pap Grandet chiedeva di rivedere, per spiegarne alla figlia i pregi intrinseci come la bellezza della cornice, la lucentezza delle facce, la preziosit delle lettere i cui spigoli vivi non erano ancora smussati. Ma ella non pensava n a queste rarit n alla mania del padre n al pericolo che correva dando via un tesoro a lui tanto caro; no, ella pensava al cugino, e alla fine giunse a capire, dopo qualche calcolo sbagliato, che possedeva circa cinquemila ottocento franchi in valori reali, che, convenzionalmente, si potevano vendere a quasi duemila scudi. Alla vista di queste ricchezze, Eugnie si mise a battere le mani, come un fanciullo che scarichi l'eccesso di gioia con movimenti inconsulti del corpo. Cos padre e figlia avevano contato ciascuno la propria fortuna: lui, per andare a vendere il suo oro; Eugnie, per gettare il suo in un oceano di affetto. Ripose le monete nella vecchia borsa, e con questa risal le scale senza esitazioni. La miseria segreta del cugino le faceva dimenticare la notte, le convenienze; eppoi si sentiva forte della propria coscienza, del proprio attaccamento, della propria felicit. Nel momento in cui apparve sull'uscio, tenendo in una mano la candela, nell'altra la borsa, Charles si svegli, vide la cugina e rimase a bocca aperta per la sorpresa. Eugnie si fece avanti, pos il candeliere sul tavolo e disse con voce commossa: "Cugino, devo chiedervi perdono di una grave colpa che ho commesso verso di voi; ma se voi vorrete cancellarla, Dio me lo perdoner, questo peccato." "Di che si tratta?" chiese Charles strofinandosi gli occhi. "Ho letto quelle due lettere." Charles arross. "Come successo?" riprese lei; "perch sono salita? In verit, adesso non lo so pi. Ma sono tentata di non pentirmi troppo per aver letto quelle due lettere, perch esse mi hanno fatto conoscere il vostro cuore, la vostra anima e...".
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"E che altro?" domand Charles. "I vostri progetti, la necessit in cui vi trovate di poter disporre di una somma...". "Mia cara cugina...". "Ssst, ssst, cugino! parlate piano, o sveglieremo qualcuno. Ecco," disse aprendo la borsa, "i risparmi di una povera ragazza che non ha bisogno di nulla. Charles, accettateli. Questa mattina, ignoravo che cosa fosse il denaro, voi me lo avete insegnato, non che un mezzo, ecco tutto. Un cugino quasi un fratello, quindi potete benissimo prendere in prestito la borsa di vostra sorella." Eugnie, tanto donna quanto fanciulla, non aveva previsto un rifiuto, e suo cugino non diceva nulla. "Volete forse rifiutare?" chiese Eugnie; i battiti del suo cuore risuonavano in quel silenzio profondo. L'esitazione del cugino la umili; ma lo stato di bisogno nel quale egli si trovava ebbe il sopravvento nel suo animo, ed ella pieg un ginocchio. "Non mi rialzer prima che abbiate preso quest'oro!" disse. "Cugino mio, di grazia, una risposta!... voglio sapere se mi onorate, se siete generoso, se...". Udendo quel grido di nobile disperazione, Charles bagn di lacrime le mani della cugina, che aveva afferrato per impedirle di inginocchiarsi. Sentendo quelle lacrime calde, Eugnie afferr la borsa e la rovesci sul tavolo. "Allora, s, non vero?" disse piangendo di gioia. "Non temete, cugino, voi diventerete ricco. Questo oro vi porter fortuna; un giorno me lo restituirete; e poi, noi due saremo in societ; insomma accetter tutte le condizioni che mi imporrete. Ma non dovreste attribuire tanto valore a questo dono." Charles riusc alla fine a dare sfogo ai propri sentimenti. "S, Eugnie, avrei un animo ben meschino, se non accettassi. Tuttavia, niente per niente, fiducia per fiducia." "Che cosa volete?" disse lei spaventata. "Ascoltate, cara cugina, ho qui..." Si interruppe per indicare sul comodino una cassetta quadrata chiusa in una custodia di cuoio. "Ho qui, vedete, una cosa che mi cara come la vita. Quella cassetta un regalo di mia madre. Dopo questa mattina, ho pensato che, se potesse uscire dalla tomba, lei stessa venderebbe l'oro che la tenerezza le fece
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prodigare in questo ncessaire, ma se lo facessi io, mi parrebbe un gesto sacrilego." Udendo queste parole Eugnie serr con forza la mano del cugino. "No," riprese Charles dopo una breve pausa, durante la quale si scambiarono uno sguardo inumidito dalle lacrime, "no, non voglio distruggerla n voglio metterla in pericolo nei miei viaggi. Cara Eugnie, voi ne sarete la depositaria. Mai amico ha confidato qualcosa di pi sacro all'amico. Giudicate voi." And a prendere la cassetta, la tolse dalla custodia, l'apr e mostr con aria triste alla cugina sbalordita un ncessaire dove la lavorazione conferiva all'oro un valore di molto superiore a quello del peso. "Quello che ammirate niente," disse spingendo una molla che fece scattare un doppio fondo. "Ecco ci che, per me, vale il mondo intero." Tir fuori due ritratti, due capolavori di Mme de Mirbel, inquadrati in due cornici di perle. "Oh! che bella persona! non la signora alla quale voi scri...?". "No," disse sorridendo Charles. "Questa donna mia madre, e questo mio padre, vale a dire vostra zia e vostro zio. Eugnie, devo supplicarvi in ginocchio di conservarmi questi tesori. Se morissi perdendo la vostra piccola fortuna, quest'oro vi indennizzerebbe; e, a voi sola, io posso lasciare i due ritratti; voi siete degna di custodirli; ma distruggeteli, affinch dopo di voi non vadano in altre mani..." Eugnie taceva. "E allora, si, non vero?" aggiunse lui con grazia. Udendo le parole appena pronunciate dal cugino, ella gli lanci il suo primo sguardo di donna innamorata, uno di quegli sguardi in cui c' tanta civetteria quanta profondit; Charles le prese la mano e gliela baci. "Angelo di purezza, fra noi il denaro non significher mai niente, vero? Conter solo il sentimento che al denaro d un senso." "Somigliate a vostra madre. Aveva la voce dolce come la vostra?". "Oh! molto pi dolce...". "S, per voi," disse Eugnie abbassando le palpebre. "Suvvia, Charles, coricatevi, lo voglio, siete stanco. A domani." Liber dolcemente la mano dalla stretta di quelle del cugino, che la riaccompagn facendole lume. Quando furono tutti e due sull'uscio: "Ah! perch sono rovinato?" disse lui. "Bah! mio padre ricco, credo," rispose Eugnie. "Povera piccola," riprese Charles allungando un piede verso l'interno della stanza e appoggiandosi con le spalle al muro, "se cos fosse non
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avrebbe lasciato morire mio padre; non vi farebbe condurre una vita tanto misera, insomma vivrebbe in altro modo." "Ma ha Froidfond." "E che cosa vale Froidfond?". "Non lo so; ma ha Noyers." "Qualche pessima fattoria!". "Ha delle vigne e dei prati...". "Miserie," disse Charles con tono sprezzante. "Se vostro padre avesse solo ventiquattromila lire di rendita, forse che voi vivreste in questa camera fredda e spoglia?" aggiunse spostando in avanti il piede sinistro. "L staranno dunque i miei tesori," disse accennando al vecchio cassone per mascherare i suoi pensieri. "Andate a dormire," disse Eugnie impedendogli di entrare in una stanza in disordine. Charles si ritrasse ed entrambi si dissero buona notte con un sorriso. Tutti e due si addormentarono con lo stesso sogno e da quel momento Charles cominci a gettare qualche rosa sul suo lutto. L'indomani mattina, Mme Grandet trov la figlia che passeggiava, prima di colazione, in compagnia di Charles. Il giovane era ancora triste come deve esserlo un infelice sceso, per cosi dire, fin sul fondo dei suoi dolori, e che, misurando la profondit dell'abisso in cui era precipitato, aveva sentito tutto il fardello della propria vita futura. "Mio padre torner solo per cena," disse Eugnie vedendo l'inquietudine dipinta sul volto della madre. Era facile vedere nei modi, sul volto di Eugnie e nella singolare dolcezza che trapelava dalla voce, un'armonia di pensieri fra lei e il cugino. Le loro anime si erano sposate con foga forse ancor prima di aver provato la forza dei sentimenti che li univano l'uno all'altra. Charles rimase nella sala, e la sua malinconia fu rispettata. Ognuna delle tre donne ebbe il suo da fare. Poich Grandet aveva dimenticato le sue faccende ci fu un grande va e vieni di gente. Il lattoniere, lo stagnaio, il muratore, gli sterratori, il carpentiere, degli ortolani, dei fittavoli, gli uni per rimanere d'accordo su certe riparazioni, gli altri per pagare i fitti o incassare del denaro. Mme Grandet e Eugnie stettero perci sempre in movimento, dovettero rispondere agli interminabili discorsi degli operai e dei campagnoli. In cucina Nanon riceveva le prestazioni in natura. Ella aspettava sempre gli ordini del padrone per sapere ci che andava tenuto in casa e ci che
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doveva essere venduto al mercato. Il brav'uomo aveva l'abitudine, come molti gentiluomini di campagna, di bere il suo cattivo vino e di mangiare la sua frutta guasta. Verso le cinque di sera, Grandet torn da Angers, dove aveva incassato quattordicimila franchi per il suo oro, e avendo nel portafoglio dei buoni di stato che gli avrebbero fruttato un interesse fino al giorno in cui avesse dovuto pagare i titoli. Ad Angers aveva lasciato Cornoiller, perch si prendesse cura dei cavalli mezzo sfiancati, e li riportasse con calma dopo averli fatti riposare per bene. "Torno da Angers, moglie mia," disse. "Ho fame." Nanon gli grid dalla cucina: "Non avete mangiato niente da ieri?". "Niente," riprese il brav'uomo. Nanon port la zuppa. Des Grassins venne a prendere gli ordini dal suo cliente mentre la famiglia era a tavola. Pap Grandet non aveva neppure visto il nipote. "Mangiate con calma, Grandet," disse il banchiere. "Intanto chiacchiereremo, Sapete quanto vale l'oro ad Angers, dove sono venuti a farne incetta per Nantes? Ho intenzione di mandarne anch'io." "Non ne mandate," rispose il brav'uomo, "ce n' di gi a sufficienza. Siamo troppo buoni amici perch non vi risparmi una perdita di tempo." "Ma laggi l'oro vale tredici franchi e cinquanta centesimi." "Dite piuttosto: valeva." "E da dove diavolo arrivato?". "Stanotte sono andato ad Angers," gli rispose Grandet a bassa voce. Il banchiere trasal per la sorpresa. Poi fra i due si avvi una conversazione sussurrata nelle orecchie, durante la quale des Grassins e Grandet guardarono pi volte Charles. Nel momento in cui senza dubbio l'ex bottaio disse al banchiere di comperargli centomila lire di titoli, des Grassins si lasci andare a un gesto di stupore. "Signor Grandet," disse a Charles, "parto per Parigi; se aveste delle commissioni da affidarmi...". "Nessuna, signore. Vi ringrazio," rispose Charles. "Ringraziatelo con pi calore, nipote mio. Il signore ci va per sistemare gli affari della ditta Guillaume Grandet." "C' forse qualche speranza?" domand Charles. "Insomma," esclam il bottaio con un orgoglio ben recitato, "non siete mio nipote? Il vostro onore il nostro. Non vi chiamate anche voi Grandet?".
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Charles si alz, abbracci pap Grandet, lo baci, impallid e usc. Eugnie guardava il padre piena di ammirazione. "Allora, addio, mio buon des Grassins, tutto nelle vostre mani, incastratemi bene quella gente!" I due diplomatici si strinsero la mano; l'ex bottaio riaccompagn il banchiere fino alla porta; poi, dopo averla chiusa, torn, e disse a Nanon lasciandosi andare sulla poltrona: "Dammi un po' di cassis!" Ma, troppo agitato per rimanersene fermo, si alz, guard il ritratto di M. de la Bertellire e si mise a cantare, facendo quelli che Nanon chiamava dei passi di danza: Nelle guardie francesi Avevo un buon pap... Nanon, Mme Grandet, Eugnie si scambiarono uno sguardo in silenzio. Si spaventavano sempre quando l'allegria del vignaiolo arriva al culmine. Di l a poco la serata fin. Prima di tutto pap Grandet volle coricarsi di buon'ora; e, quando lui si coricava, tutti in casa dovevano dormire: cosi come quando Augusto beveva, tutta la Polonia era ubriaca. In secondo luogo, Nanon, Charles e Eugnie non erano meno stanchi del padron di casa. Quanto a Mme Grandet, lei dormiva, mangiava, beveva, camminava secondo i desideri del marito. Nondimeno. durante le due ore accordate alla digestione il bottaio, pi faceto di quanto fosse mai stato, pronunci parecchie delle sue massime, una sola delle quali dar la misura del suo carattere. dopo aver bevuto il cassis guard il bicchiere: "Non si fa a tempo a portare alle labbra un bicchiere che gi vuoto! Ecco il nostro destino. Non si pu essere ed essere stati. Gli scudi non possono girare e rimanere nella borsa, senn la vita sarebbe troppo bella." Fu gioviale e magnanimo. Quando Nanon arriv con il suo filatoio: "Devi essere stanca," le disse. "Lascia stare la tua canapa." "Ah beh!... ma finir per annoiarmi," rispose la domestica. "Povera Nanon! Vuoi un po' di cassis?". "Ah! quando si tratta di cassis, non dico di no; la signora lo fa molto meglio dei farmacisti. Quello che vendono una schifezza." "Ci mettono troppo zucchero, e cos non sa pi di niente," disse il brav'uomo. L'indomani, la famiglia, riunita alle otto per la colazione, offriva per la prima volta il quadro di una vera intimit. La sventura aveva subito stabilito un rapporto fra Mme Grandet, Eugnie e Charles; la stessa Nanon
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simpatizzava con loro senza saperlo. Tutti e quattro cominciarono a formare una sola famiglia. Quanto al vecchio vignaiolo, poich la sua avarizia era soddisfatta e aveva la certezza di veder partire presto il vagheggino senza dovergli sborsar altro che il prezzo del viaggio fino a Nantes, la presenza del nipote in casa gli era quasi indifferente. Lasci i due ragazzi, cos chiamava Charles e Eugnie, liberi di fare ci che volevano sotto l'occhio di Mme Grandet, nella quale del resto egli aveva la pi completa fiducia per ci che concerneva la morale pubblica e religiosa. La sistemazione dei prati e dei fossati lungo la strada i pioppeti sulla Loira e i lavori invernali nelle vigne e a Froidfond lo tenevano del tutto occupato. Da quel momento cominci per Eugnie la primavera dell'amore. Dopo l'incontro notturno durante il quale la cugina aveva dato il suo tesoro al cugino, il cuore di lei segu il tesoro. Legati dal medesimo segreto, esprimevano con gli sguardi una reciproca comprensione, che approfondiva i loro sentimenti e glieli rendeva pi comuni a entrambi, pi intimi, mettendoli, per cos dire, tutti e due al di fuori della vita ordinaria. La parentela non giustificava forse una certa dolcezza nel tono di voce, una tenerezza negli sguardi? Cos Eugnie si lasci andare al piacere di attutire i dolori del cugino con le gioie infantili di un amore nascente. Non ci sono tanti bei punti in comune fra gli inizi di un amore e quelli della vita? Non si culla il neonato con dolci nenie e sguardi gentili? Non gli si raccontano storie meravigliose che indorano l'avvenire? Per lui, la speranza non spiega di continuo le sue ali radiose? Non versa egli di volta in volta lacrime di gioia e di dolore? Non fa le bizze per dei nonnulla, per delle pietre con le quali cerca di costruirsi un palazzo che non sta in piedi, per dei mazzolini di fiori dimenticati non appena tagliati? Non avido di afferrare il tempo, di procedere nella vita? L'amore la nostra seconda trasformazione. L'infanzia e l'amore furono la stessa cosa fra Eugnie e Charles: fu la prima passione con tutti i suoi infantilismi, tanto pi cari ai loro cuori in quanto erano avviluppati nella malinconia. Dibattendosi fin dalla nascita sotto i veli neri del lutto, questo amore finiva per essere ancor pi in armonia con la semplicit provinciale di quella casa malandata. Scambiando qualche parola con la cugina accanto alla vera del pozzo, in quel cortile silenzioso; restando in quel giardinetto, seduti su una panchina coperta di muschio fino all'ora in cui il sole tramontava, impegnati a dirsi dei grandi nonnulla, o assorti nella calma che regnava fra il bastione e la casa, come ci si sente assorti nelle navate di una chiesa, Charles cap la santit dell'amore; la sua
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gran dama, la sua cara Annette, infatti, non gliene aveva fatto conoscere che le tempeste. In quel momento egli abbandonava la passione parigina, civettuola, vanitosa, sfolgorante, per l'amore puro e vero. Amava quella casa, le cui abitudini non gli sembravano pi tanto ridicole. Scendeva di prima mattina, per poter parlare qualche istante con Eugnie prima che Grandet venisse a consegnare le razioni per la giornata; e, quando sulla scala si sentivano i passi del brav'uomo, Charles se la svignava in giardino. Il piccolo crimine di questo incontro mattutino, che anche la madre di Eugnie ignorava, e che Nanon faceva finta di non vedere, dava all'amore pi innocente del mondo il gusto dei piaceri proibiti. Poi, quando, dopo colazione, pap Grandet usciva per andare a badare alle sue propriet e ai suoi investimenti, Charles restava con la madre e la figlia, e provava un piacere sconosciuto a porgere loro le mani per dipanare le matasse, a guardarle lavorare, a sentirle chiacchierare. La semplicit di quella vita quasi monastica, che gli rivel le bellezze di quelle due anime alle quali il mondo era sconosciuto, lo colp vivamente. Aveva creduto che quel modo di vivere fosse impossibile in Francia; ne aveva ammesso l'esistenza in Germania, ma solo letterariamente e nei romanzi di Auguste Lafontaine. In breve, per lui, Eugnie fu l'immagine ideale della Margherita di Goethe, ma senza la colpa. Insomma, di giorno in giorno, i suoi sguardi, le sue parole sedussero la povera ragazza, che si abbandon, deliziata, alla corrente dell'amore; ella si afferrava alla propria felicit come un nuotatore si afferra al ramo di salice per uscire dal fiume e riposarsi sulla sponda. Il dispiacere di un prossimo distacco non rattristava di gi le ore pi liete di quelle giornate fugaci? Ogni giorno, un piccolo avvenimento ricordava loro la separazione imminente. Per esempio, tre giorni dopo la partenza di des Grassins, Charles fu condotto da Grandet al tribunale di prima istanza con la solennit che la gente di provincia attribuisce a tali atti, per firmare la rinuncia alla successione del padre. Terribile ripudio! una specie di apostasia familiare. And dal notaio Cruchot a far stendere due procure, una per des Grassins, l'altra per l'amico incaricato di vendere i suoi beni mobili. Poi bisogn adempiere alle formalit necessarie onde ottenere un passaporto per l'estero. Infine, quando arrivarono i modesti abiti da lutto che Charles aveva chiesto a Parigi, il giovane fece venire un sarto di Saumur, e gli vendette i capi inutili del suo guardaroba. Questa iniziativa piacque molto a pap Grandet.

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"Ah! ora si che sembrate un uomo che deve imbarcarsi e che vuol fare fortuna," gli disse vedendolo con una redingote di pesante stoffa nera. "Bene, molto bene!". "Vi prego di credere, signore," gli rispose Charles, "che sapr immedesimarmi nella mia situazione." "E questo che cos'?" chiese il brav'uomo, i cui occhi si erano accesi alla vista della manciata d'oro che gli mostrava Charles. "Signore, ho messo insieme i miei bottoni, gli anelli, tutte le cose superflue che possiedo e che potrebbero avere qualche valore; ma, non conoscendo nessuno a Saumur, volevo pregarvi questa mattina di...". "Di comperarli?" lo interruppe Grandet. "No, zio, di indicarmi un onest'uomo che...". "Datemi quella roba, nipote mio; andr di sopra a stimarla e verr a dirvi quanto vale, centesimo pi centesimo meno. Oro da gioielleria," disse esaminando una lunga catena, fra i diciotto e i diciannove carati. Il brav'uomo tese la sua manona e si port via quel mucchio d'oro. "Cugina," disse Charles, "permettetemi di offrirvi questi due bottoni, che potrebbero servirvi per attaccare dei nastri ai polsi. un braccialetto molto di moda in questo momento." "L'accetto volentieri, cugino," gli disse lei con un'occhiata d'intesa. "Zia, ecco il ditale di mia madre, lo conservavo gelosamente nel mio ncessaire da viaggio", disse Charles offrendo un bellissimo ditale d'oro a Mme Grandet, che da dieci anni ne desiderava uno. "Non so come ringraziarvi, nipote mio," disse la vecchia madre, mentre gli occhi le si inumidivano di pianto. "Sera e mattina, alle mie preghiere ne aggiunger una per voi, pi fervida di tutte, quella per i viaggiatori. Se io morissi, Eugnie conserver per voi questo gioiello." "Tutto questo vale novecento ottantanove franchi e settantacinque centesimi, nipote mio," disse Grandet aprendo la porta. "Ma, per risparmiarvi il disturbo di andarlo a vendere, vi dar l'equivalente... in lire." L'espressione in lire significa nella regione della Loira che gli scudi da sei lire devono essere accettati per il valore di sei franchi senza deduzioni. "Non osavo proporvelo," rispose Charles; "ma mi ripugnava andare a vendere i miei gioielli nella citt dove voi abitate. Bisogna lavare i panni sporchi in famiglia, diceva Napoleone. Vi ringrazio per la vostra comprensione." Grandet si gratt l'orecchio e ci fu un attimo di silenzio.
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"Mio caro zio," riprese Charles guardandolo un po' preoccupato, come se temesse di offendere la sua suscettibilit, "mia cugina e mia zia hanno accettato un piccolo ricordo di me; vogliate anche voi accettare questi gemelli che a me non servono pi: vi ricorderanno un povero ragazzo che, lontano da voi, penser a coloro che ormai sono tutta la sua famiglia." "Ragazzo mio, ragazzo mio, non devi privarti di tutto in questo modo... - Tu che cosa hai avuto, moglie?" chiese voltandosi con avidit verso di lei. "Ah! un ditale d'oro. - E tu, figlietta? Ma guarda, dei bottoni di diamanti. E va bene, prendo i tuoi gemelli, ragazzo mio," riprese stringendo la mano di Charles. "Ma...tu mi permetterai di...pagare...il tuo s...il tuo passaggio per le Indie. S, voglio pagarti il passaggio. Tanto pi, vedi, ragazzo mio, che stimando i tuoi gioielli, ho calcolato solo l'oro, mentre forse si pu ricavare qualcosa anche dalla lavorazione. Insomma, quel che detto detto. Ti dar millecinquecento franchi...in lire, che mi far prestare da Cruchot: perch qui non ho neppure un soldo di rame, a meno che Perrotet, che in ritardo con l'affitto, non mi paghi. A proposito, a proposito, voglio proprio andare a vedere." Prese il cappello, mise i guanti e usc. "Dunque ve ne andrete?" chiese Eugnie gettandogli uno sguardo fatto di tristezza e di ammirazione. " necessario," rispose lui abbassando la testa. Da qualche giorno, il contegno, le maniere, le parole di Charles erano diventati quelli di un uomo profondamente afflitto, ma che, sentendo il peso di obblighi immensi, trova nuovo coraggio nella sua disgrazia. Non sospirava pi, si era fatto uomo. Perci Eugnie apprezz meglio il carattere del cugino quando lo vide scendere con gli abiti di pesante stoffa nera, che ben si addicevano al volto pallido e all'atteggiamento triste. Quel giorno presero il lutto anche le due donne che assistettero con Charles a un Requiem celebrato in parrocchia per l'anima del defunto Guillaume Grandet. Alla seconda colazione Charles ricevette delle lettere da Parigi e le lesse. "E allora, cugino, siete soddisfatto dei vostri affari?" chiese Eugnie a bassa voce. "Non fare domande del genere, figlia mia," osserv Grandet, Che diavolo! io non parlo dei miei affari, perch vuoi ficcare il naso in quelli di tuo cugino? Lascialo in pace, questo ragazzo."
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"Oh! io non ho segreti," disse Charles. "Ta ta ta ta! Nipote mio, imparerai che nel commercio bisogna tenere la lingua a freno." Quando i due amanti furono soli in giardino, Charles disse a Eugnie, attirandola verso la vecchia panchina sotto il noce: "Avevo giudicato bene Alphonse, si comportato a meraviglia. Ha curato i miei affari con prudenza e lealt. Non ho pi debiti a Parigi, il mio mobilio stato venduto bene, ed egli mi comunica che, dopo essersi consigliato con un capitano di lungo corso, ha impiegato tremila franchi che gli restavano per comperare una paccottiglia composta da curiosit europee che nelle Indie si possono vendere con un eccellente profitto. Ha spedito i miei bagagli a Nantes, dove si trova sotto carico una nave che partir per Giava. Fra cinque giorni, Eugnie, dovremo dirci addio forse per sempre, comunque per molto tempo. La mia paccottiglia e diecimila franchi che mi mandano due amici sono un modesto inizio. impossibile che io pensi al ritorno prima di parecchi anni. Cara cugina, non mettete sulla bilancia la mia vita e la vostra, io potrei morire, forse voi troverete da accasarvi bene...". "Voi mi amate?..." disse lei. "Oh! s, molto," rispose il giovane con una profondit di accento che rivelava una uguale profondit di sentimenti. "Aspetter, Charles. Dio! c' mio padre alla finestra," disse respingendo il cugino, che le si avvicinava per baciarla. Eugnie and nell'androne, Charles la raggiunse; vedendolo, ella arretr fino ai piedi della scala e apr la porta battente; poi, senza sapere bene dove andasse, si trov accanto alla tana di Nanon, nel punto pi scuro del corridoio; e l, Charles che l'aveva seguita, le prese una mano, l'attir sul suo cuore, l'afferr per la vita e la strinse dolcemente a s. Eugnie non resistette pi, ricev e diede il pi puro, il pi soave, ma anche il pi completo dei baci. "Cara Eugnie, un cugino meglio di un fratello, perch pu sposarti," le disse Charles. "Cos sia!" esclam Nanon aprendo la porta del suo bugigattolo. I due amanti, spaventati, corsero in sala, dove Eugnie riprese il lavoro, e dove Charles si mise a leggere le litanie della Vergine sul libro da messa di Mme Grandet. "Guarda un po'!" fece Nanon, "diciamo tutti le preghiere."

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Dopo che Charles ebbe annunciato la sua partenza, Grandet si mise in movimento allo scopo di far credere che nutriva un grande interesse per il giovane; si mostr generoso quando esserlo non gli costava nulla, si incaric di trovargli un imballatore, ma poi disse che costui vendeva troppo care le sue casse; volle allora a tutti i costi fabbricarle lui stesso, usando delle vecchie tavole; si alz presto la mattina per piallare, aggiustare, levigare, inchiodare i suoi travicelli e farne delle bellissime casse nelle quali imball tutti gli effetti di Charles; pens lui a spedirle per battello sulla Loira, ad assicurarle, e a fare in modo che arrivassero in tempo utile a Nantes. Dopo il bacio scambiato nel corridoio, le ore fuggirono, per Eugnie, con spaventosa velocit. A volte, pensava di seguire il cugino. Chi ha provato la pi intensa delle passioni, la cui durata soggetta ogni giorno al rischio dell'et, del tempo, di una malattia mortale, di uno qualsiasi degli inevitabili casi che capitano agli uomini, comprender i tormenti di Eugnie. Spesso piangeva mentre passeggiava in quel giardino, ora troppo stretto per lei, al pari del cortile, della casa, della citt: e con la fantasia si lanciava sulla grande distesa dei mari. Alla fine arriv la vigilia della partenza. La mattina, approfittando dell'assenza di Grandet e di Nanon, il prezioso cofanetto nel quale si trovavano i due ritratti, fu trasferito nell'unico tiretto del cassone che si potesse chiudere a chiave e dove si trovava gi la borsa vuota. La consegna di quel tesoro fu accompagnata da baci e lacrime. Quando Eugnie ripose la chiave in seno, non ebbe il coraggio di impedire a Charles di baciare quel posto. "Non uscir mai di qui, amico mio." "Ebbene, ci star sempre anche il mio cuore." "Ah! Charles, non sta bene," disse lei con un lieve tono di rimprovero. "Ma noi non siamo sposati?" rispose lui; "io ho la tua parola, tu ricevi la mia." "Ti appartengo per sempre!" fu detto due volte dall'uno e dall'altra. Nessuna promessa al mondo fu pi pura di quella; il candore di Eugnie aveva momentaneamente santificato l'amore di Charles. L'indomani mattina, la colazione fu triste. Malgrado la vestaglia d'oro e una crocetta che le aveva regalato Charles, anche Nanon, libera di esprimere i propri sentimenti, aveva le lacrime agli occhi. "Quel povero signorino, che se ne va per mare... Che Dio lo accompagni!".
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Alle dieci e mezzo, la famiglia si mise in cammino per accompagnare Charles alla diligenza di Nantes. Nanon aveva sciolto il cane, chiuso la porta e aveva voluto portare la sacca da viaggio di Charles. Tutti i negozianti della vecchia strada erano sulle soglie delle loro botteghe per veder passare quel corteo al quale si un sulla piazza il notaio Cruchot. "Non metterti a piangere, Eugnie," le disse la madre. "Nipote mio," disse Grandet sotto la porta della locanda baciando Charles sulle guance, "partite povero, tornate ricco, troverete salvo l'onore di vostro padre. Ne rispondo io, Grandet; perch, allora, toccher solo a voi di..." "Ah! caro zio, voi addolcite l'amarezza della partenza. il pi bel regalo che avreste potuto farmi." Non comprendendo le parole del vecchio bottaio, che aveva interrotto, Charles vers sul viso cotto dal sole dello zio lacrime di riconoscenza, mentre Eugnie stringeva con tutte le forze la mano del cugino e quella del padre. Solo il notaio sorrideva ammirando l'astuzia di Grandet, perch lui solo aveva capito il brav'uomo. I quattro, circondati da diverse persone, rimasero accanto alla vettura finch questa part, poi, quando disparve sul ponte e se ne sent il rumore in lontananza: "Buon viaggio!" disse il vignaiolo. Per fortuna il notaio Cruchot fu il solo a sentire questa esclamazione. Eugnie e la madre erano andate in un punto del lungofiume dal quale potevano ancora scorgere la diligenza, e agitavano i fazzoletti bianchi, un saluto al quale Charles rispose agitando il suo fazzoletto. "Madre mia, vorrei avere per un momento la potenza di Dio," disse Eugnie nell'attimo in cui non vide pi il fazzoletto di Charles. Per non interrompere il corso degli eventi che si verificarono in seno alla famiglia Grandet, necessario gettare in anticipo un'occhiata sulle operazioni che il brav'uomo fece a Parigi per il tramite di des Grassins. Un mese dopo la partenza del banchiere, Grandet possedeva un'iscrizione per centomila lire di titoli acquistati a ottanta franchi netti. Le informazioni che si ebbero dall'inventario dei beni al momento della sua morte non hanno mai chiarito come mai la sua diffidenza gli avesse suggerito di scambiare il prezzo dell'iscrizione contro l'iscrizione stessa. Il notaio Cruchot pens che Nanon fosse stata, senza saperlo, lo strumento fidato di questo trasferimento di fondi. Intorno a quell'epoca, la domestica si assent per cinque giorni col pretesto di dover andare a sistemare certe cose a Froidfond, come se il brav'uomo fosse il tipo da lasciare qualcosa in
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sospeso. Per quel che riguarda gli affari della ditta Guillaume Grandet, tutte le previsioni del bottaio si avverarono. Presso la Banca di Francia si trovano, come ognuno sa, informazioni precise sui grandi patrimoni di Parigi e dei dipartimenti. I nomi di des Grassins e di Flix Grandet vi erano conosciuti, e vi godevano la stima accordata ai grossi capitalisti che hanno come base immense propriet fondiarie libere da ipoteche. L'arrivo del banchiere di Saumur, incaricato, si diceva, di liquidare onorevolmente la ditta Grandet di Parigi, fu sufficiente per risparmiare alla memoria del commerciante l'onta dei protesti. I sigilli furono tolti in presenza dei creditori, e il notaio della famiglia procedette regolarmente all'inventario della successione. In breve des Grassins riun i creditori, i quali, all'unanimit, nominarono liquidatori il banchiere di Saumur e Franois Keller, capo di una ricca famiglia, uno dei maggiori interessati, e diedero ai due tutti i poteri necessari per salvare al tempo stesso l'onore della famiglia e i crediti. Il credito del Grandet di Saumur, la speranza che egli mise nel cuore dei creditori per il tramite di des Grassins resero pi facili le transazioni; non ci fu nessuno che recalcitrasse. Nessuno pensava di trasferire il suo credito sul conto profitti e perdite, e ognuno si diceva: "Il Grandet di Saumur pagher!" Trascorsero sei mesi. I parigini avevano ritirato gli effetti in circolazione e li conservavano in fondo ai loro portafogli. Era il primo risultato che il bottaio voleva ottenere. Nove mesi dopo la prima riunione, i due liquidatori distribuirono a ciascun creditore il quarantasette per cento. Tale somma veniva dalla vendita dei valori, possessi, beni, e cose di ogni genere appartenute al defunto Guillaume Grandet, vendita che fu fatta con scrupolosa seriet. L'onest pi rigida presiedeva a questa liquidazione. I creditori si compiacquero di riconoscere l'onorabilit ammirevole e incontestabile dei Grandet. Quando queste lodi ebbero circolato a sufficienza, i creditori chiesero il resto del loro denaro. Dovettero scrivere una lettera collettiva a Grandet. "Ci siamo," disse l'ex bottaio gettando la lettera nel fuoco; "pazienza, amichetti miei." Rispondendo alle proposte contenute in quella lettera, il Grandet di Saumur chiese il deposito presso un notaio di tutti i titoli di credito esistenti nei confronti dell'asse ereditario del fratello e insieme delle ricevute liberatorie dei pagamenti gi fatti, adducendo il pretesto di dover verificare i conti e valutare correttamente lo stato della successione. Questa
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operazione di deposito cre molte difficolt. In genere, il creditore una specie di maniaco. Oggi disposto a transigere, domani vuol mettere tutto a ferro e fuoco; dopodomani, diventa pi conciliante. Oggi la moglie di buon umore, il suo ultimo nato ha messo i denti, in casa tutto va bene e lui non vuole rimetterci un soldo; domani, piange, non si sente di uscire, malinconico, dice di s a ogni proposta che possa essere risolutiva; dopodomani, ci vogliono delle garanzie; alla fine del mese, pretende di fare gli atti esecutivi, il carnefice! Il creditore somiglia al passerotto sulla coda del quale si sfidano i bambini a mettere un granello di sale; ma il creditore ritorce questa immagine sul suo credito, dal quale non riesce a ricavare nulla. Grandet aveva osservato le variazioni atmosferiche dei creditori in genere, e quelli di suo fratello non fecero eccezione. Alcuni se la presero a male e rifiutarono nettamente di eseguire il deposito. "Benone," diceva Grandet fregandosi le mani quando leggeva le lettere che des Grassins gli scriveva a questo proposito. Altri accettarono il detto deposito solo a condizione che fossero chiaramente riconosciuti i loro diritti, nessuno escluso, compreso quello di far dichiarare il fallimento. Nuovo scambio di corrispondenza, dopo il quale il Grandet di Saumur accett tutte le riserve avanzate. Grazie a questa concessione i creditori pi malleabili fecero intendere ragione a quelli pi duri. Il deposito venne eseguito, non senza qualche lamentela. "Quel brav'uomo," disse qualcuno a des Grassins, "si burla di voi e di noi." Ventitr mesi dopo la morte di Guillaume Grandet, molti commercianti, assorbiti dal movimento degli affari di Parigi, avevano dimenticato i loro crediti verso Grandet, o ci pensavano solo per dirsi: "Comincio a pensare che il quarantasette per cento sia tutto quello che riuscir a cavarne." Il bottaio aveva fatto assegnamento sul tempo che, diceva lui, un buon diavolo. Alla fine del terzo anno, des Grassins scrisse a Grandet che, con un dieci per cento dei due milioni e quattrocentomila franchi ancora dovuti dalla ditta Grandet, aveva convinto i creditori a restituirgli i titoli di credito. Grandet rispose che il notaio e l'agente di cambio i cui spaventosi fallimenti avevano provocato la morte di suo fratello vivevano, loro! potevano esser diventati solvibili e quindi bisognava citarli in giudizio allo scopo di tirarne fuori qualcosa e diminuire l'ammontare del deficit. Alla fine del quarto anno, il deficit fu debitamente fissato nella somma di un milione e duecentomila franchi. Ci furono discussioni che durarono sei mesi fra i liquidatori e i creditori, fra Grandet e i liquidatori. In breve, invitato energicamente a prendere una decisione, il
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Grandet di Saumur rispose ai liquidatori, verso il nono mese di quell'anno, che suo nipote, che aveva fatto fortuna nelle Indie, gli aveva manifestato l'intenzione di pagare integralmente i debiti del padre; pertanto egli non poteva prendersi la responsabilit di saldare di nascosto senza averlo consultato; era in attesa di una risposta. I creditori, verso la met del quinto anno, erano ancora tenuti in scacco dalla parola integralmente, tirata fuori di quando in quando dal sublime bottaio, che rideva sotto i baffi, e non diceva mai, senza lasciarsi sfuggire un sorrisetto furbo e un'imprecazione: Questi PARIGINI!... Ma ai creditori era riservata una sorte inaudita nei fasti del commercio. Nel momento in cui gli eventi di questa storia li obbligheranno a riapparire, si ritroveranno nella stessa situazione in cui li aveva tenuti Grandet. Quando i titoli raggiunsero quota centoquindici, pap Grandet vendette, incass da Parigi circa due milioni quattrocentomila franchi in oro, che andarono a raggiungere nei suoi barili i seicentomila franchi di interessi composti frutto delle iscrizioni. Des Grassins rimase a Parigi; ecco perch: innanzi tutto fu eletto deputato; poi ebbe una relazione, lui padre di famiglia, ma annoiato dalla noiosa vita di Saumur, con Florine, una delle attrici pi graziose del teatro di Madame, e nel banchiere ci fu una resipiscenza del vecchio quartier-mastro. inutile parlare della sua condotta; a Saumur fu giudicata profondamente immorale. La moglie fu ben felice che i suoi beni fossero separati da quelli del marito ed ebbe abbastanza cervello per mandare avanti l'impresa di Saumur, i cui affari continuarono sotto il suo nome, allo scopo di mettere un riparo alle brecce aperte nel patrimonio dalle follie di M. des Grassins. I cruchottiani seppero sfruttare cos bene la sua ambigua situazione di quasi vedova, che ella dovette maritare molto male la figlia e fu costretta a rinunciare al matrimonio del figlio con Eugnie Grandet. Adolphe raggiunse des Grassins a Parigi, dove divent, si dice, un pessimo soggetto. I Cruchot trionfarono. "Vostro marito non ha buon senso," disse Grandet una volta che prest una certa somma a Mme des Grassins, contro garanzie sicure. "Vi compiango molto, voi siete una brava donnina." "Ah! signore," rispose la povera donna, "chi avrebbe detto che il giorno in cui usc da casa vostra per andare a Parigi sarebbe corso incontro alla sua rovina?".

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"Il cielo mi testimone, signora, che ho fatto di tutto fino all'ultimo istante per impedirgli di partire. Il signor presidente voleva andarci a tutti i costi in sua vece; ma, se teneva tanto ad andarci, adesso sappiamo perch." Cos Grandet si era scaricato di ogni obbligo verso des Grassins. In ogni circostanza, le donne hanno pi motivi di dolore di quanti ne abbia l'uomo, e soffrono pi di lui. L'uomo ha la sua forza, e l'esercizio del suo potere: agisce, si muove, si occupa, pensa, contempla l'avvenire e vi trova delle consolazioni. Cos faceva Charles. Ma la donna non si muove, rimane faccia a faccia con il dolore dal quale nulla la distrae, scende sino al fondo dell'abisso che l'uomo ha aperto, lo misura e spesso lo colma con i suoi voti e le sue lacrime. Questo ci che faceva Eugnie. Ella si stava avviando verso il suo destino. Sentire, amare, soffrire, dedicarsi, questo sar sempre il tessuto della vita delle donne. Eugnie doveva essere in tutto e per tutto una donna, senza ci che la consola. La sua felicit, come i chiodi conficcati in un muro, secondo la sublime immagine di Bossuet, non le avrebbe nemmeno riempito il cavo della mano. I dispiaceri non si fanno mai attendere, e per lei arrivarono presto. L'indomani della partenza di Charles, casa Grandet riprese la sua fisionomia per tutti, tranne che per Eugnie, che di colpo la trov vuota. All'insaputa del padre, volle che la camera di Charles rimanesse nello stato in cui egli l'aveva lasciata. Mme Grandet e Nanon furono ben volentieri complici di questo status quo. "Chi sa che non torni prima di quanto crediamo," disse Eugnie. "Ah! vorrei vederlo gi qui," rispose Nanon. "Mi ero abituata bene a lui! Era un signore dolce e perfetto, quasi grazioso, tutto ricci come una nuvola." Eugnie guard Nanon. "Santa Vergine, signorina, con quegli occhi vi dannerete l'anima! Non guardate in quel modo." Dopo quel giorno, la bellezza di Mlle Grandet prese un nuovo aspetto. I gravi pensieri d'amore dai quali il suo animo era invaso a poco a poco, la dignit della donna amata, diedero ai suoi tratti quella specie di luminosit che i pittori raffigurano con l'aureola. Prima dell'arrivo del cugino, Eugnie poteva essere paragonata alla Vergine prima della concezione; dopo la partenza di lui, ella rassomigliava alla Vergine madre: ella aveva concepito l'amore. Queste due Marie, tanto differenti e cos ben rappresentate da certi pittori spagnoli, sono figure delle pi luminose fra le tante che abbondano nel cristianesimo. Tornando dalla messa, dove and il giorno dopo la partenza di Charles, e dove aveva fatto voto di andare tutti i giorni, acquist dal libraio della citt un mappamondo che inchiod alla parete
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accanto allo specchio, per poter seguire il cugino nel viaggio verso le Indie, per sentirsi un po', sera e mattina, nel vascello che lo trasportava, per vederlo, per rivolgergli mille domande, per dirgli: "Stai bene? Non soffri? Pensi a me quando guardi quella stella di cui mi hai fatto conoscere le bellezze e l'utilit?" Poi, la mattina, rimaneva pensosa sotto il noce, seduta sulla panchina di legno tarlato e coperta di muschio grigio dove si erano detti tante cose belle, tante piccole sciocchezze, dove avevano costruito i castelli in aria della loro dolce unione. Pensava all'avvenire guardando il piccolo spazio di cielo che le mura le permettevano di abbracciare; poi il vecchio muro e il tetto sotto il quale si trovava la camera di Charles. Insomma era l'amore solitario, l'amore vero che continua, che si insinua in ogni pensiero, e diventa la sostanza, o, come avrebbero detto i nostri padri, la stoffa della vita. Quando la sera i cosiddetti amici di pap Grandet venivano a fare la partita, ella era allegra, dissimulava; ma, durante tutta la mattinata, parlava di Charles con la madre e Nanon. Nanon aveva capito che poteva immedesimarsi nelle sofferenze della padroncina senza venir meno ai propri doveri verso il vecchio padrone, e diceva a Eugnie: "Se avessi avuto un uomo mio, l'avrei...seguito all'inferno. L'avrei...non so... Insomma, mi sarei uccisa per lui; ma...niente. Morir senza sapere che cosa la vita. Lo credereste, signorina, che il vecchio Cornoiller, che del resto un buon uomo, mi gira attorno alle sottane per via della mia rendita, proprio come tutti quelli che vengono qui a farvi la corte ma annusano il malloppo del signore? Me ne accorgo, perch sono ancora fine, sebbene sia grossa come una torre; ebbene, signorina, ci mi fa piacere, anche se non amore." Trascorsero cos due mesi. La vita domestica, un tempo tanto monotona, era animata dall'immenso interesse che legava intimamente le tre donne. Per loro, sotto le travi grigiastre della sala, Charles c'era ancora, ancora andava e veniva. Sera e mattina, Eugnie apriva il ncessaire e contemplava il ritratto della zia. Una domenica mattina, fu sorpresa dalla madre mentre era intenta a ritrovare i lineamenti di Charles in quelli del ritratto. Mme Grandet venne a sapere allora il terribile segreto dello scambio fatto dal viaggiatore contro il tesoro di Eugnie. "Gli hai dato tutto!" disse la madre spaventata. "Che dirai a tuo padre, il primo dell'anno, quando vorr vedere il tuo oro?" Lo sguardo di Eugenie divent fisso, e le due donne, per mezza mattinata rimasero preda di un terrore mortale. Furono cos turbate da
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perdere la messa cantata, e andarono solo alla messa dei militari. Di l a tre giorni finiva l'anno 1819. Di l a tre giorni sarebbe cominciato un dramma terribile, una tragedia borghese senza veleni, senza pugnali, senza spargimento di sangue; ma, per i protagonisti, pi crudele di tutti i drammi che si compirono nella illustre famiglia degli Atridi. "Che sar di noi?" disse Mme Grandet alla figlia poggiando il lavoro sulle ginocchia. La povera madre era talmente turbata da due mesi, che le maniche di lana di cui aveva bisogno per l'inverno non erano ancora finite. Questo incidente domestico, trascurabile in apparenza, ebbe per lei delle tristi conseguenze. Non avendo maniche si raffredd malamente durante una sudata provocata da uno spaventoso accesso di collera del marito. "Pensavo, povera figlia mia, che se mi avessi confidato il tuo segreto, avremmo avuto il tempo di scrivere a Parigi a M. des Grassins. Avrebbe potuto mandarci delle monete d'oro simili alle tue; e, sebbene Grandet le conosca bene, forse...". "Ma dove avremmo preso tanto denaro?". "Ci avrei messo il mio. Del resto, M. des Grassins avrebbe certo...". "Non c' pi tempo," rispose Eugnie, interrompendo la madre con voce sorda e alterata. "Domani mattina, non dobbiamo andare ad augurargli buon anno in camera sua?". "Figlia mia, e se andassi a trovare i Cruchot?". "No, no, significherebbe consegnarmi a loro e metterci alla loro merc. Eppoi, ho deciso. Ho fatto bene e non mi pento di nulla. Dio mi protegger. Sia fatta la sua santa volont. Ah! se aveste letto la sua lettera, non avreste pensato che a lui, madre mia." L'indomani mattina, 1 gennaio 1820, il terrore di cui erano preda la madre e la figlia sugger alle due donne la pi naturale delle scuse per evitare il solenne ingresso nella camera di Grandet. L'inverno fra il 1819 e il 1820 fu uno dei pi rigidi di quell'epoca. I tetti delle case erano coperti di neve. Mme Grandet quando sent il marito che si muoveva nella sua stanza, gli disse: "Grandet, di' a Nanon di accendere un po' di fuoco in camera mia; il freddo cos pungente che sto gelando sotto le coperte. Sono arrivata a un'et in cui si ha bisogno di certi riguardi. Del resto," continu dopo una breve pausa, "Eugnie verr a vestirsi qui. Con un tempo simile, se lo

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facesse in camera sua, quella povera ragazza potrebbe prendersi un malanno. Verremo dopo in sala ad augurarti il buon anno." "Ta ta ta ta, che lingua! Cominci bene l'anno, signora Grandet! Non ti ho mai sentita parlare tanto. Eppure, non credo che tu abbia fatto la zuppetta col vino." Ci fu un momento di silenzio. "E va bene," riprese il brav'uomo, senza dubbio la proposta della moglie gli andava a genio, "far quello che volete, signora Grandet. Tu sei davvero una brava donna, e non voglio che ti capiti qualcosa alla tua et, per quanto in generale i la Bertellire sono fatti di cemento. Eh! non cos?" disse dopo una pausa. "In fin dei conti, da loro abbiamo ereditato e li perdono." E toss. "Siete allegro questa mattina, signore," disse con tono grave la povera donna. "Sono sempre allegro, io... "Allegro, bottaio, aggiusta il tuo tino!". aggiunse entrando in camera della moglie tutto vestito. "S, per dindirindina, fa proprio freddo. Faremo una eccellente colazione, moglie mia. Des Grassins mi ha mandato un pat di fegato d'oca tartufato! Vado a prenderlo alla diligenza. Ci deve essere anche un doppio napoleone per Eugnie," le disse il bottaio all'orecchio. "Io non ho pi oro, moglie mia. Avevo ancora qualche vecchia moneta, lo dico a te; ma ho dovuto spenderle per gli affari." E, per festeggiare il primo giorno dell'anno, la baci sulla fronte. "Eugnie," disse ad alta voce la brava madre, "non so su quale fianco abbia dormito tuo padre, ma questa mattina di buon umore. Bah! riusciremo a cavarcela." "Che cos'ha il nostro padrone?" chiese Nanon entrando in camera della padrona per accendere il fuoco. "Come mi ha visto, mi ha detto: "Buon giorno, buon anno, bestiona! Vai ad accendere il fuoco da mia moglie che ha freddo." M' quasi venuto un colpo quando ha allungato una mano per darmi uno scudo da sei franchi quasi nuovo! Ecco, signora, guardatelo. Oh! che brav'uomo. Comunque sia, un degno uomo. Ce ne sono tanti che pi invecchiano e pi diventano scorbutici; lui invece diventa dolce come il vostro cassis e pi buono. Come uomo proprio perfetto, proprio buono...". La spiegazione di tutta quella allegria era nella completa riuscita della speculazione di Grandet. M. des Grassins, dopo aver dedotto ci che gli doveva il bottaio per lo sconto di centocinquantamila franchi di cambiali
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olandesi, e per l'anticipo che gli aveva fatto per completare la somma necessaria ad acquistare centomila lire di titoli, gli mandava con la diligenza, trentamila franchi in scudi a completamento degli interessi semestrali, e gli annunciava il rialzo dei titoli di stato. Erano arrivati a ottantanove, i pi grossi capitalisti li comperavano, per fine gennaio, a novantadue. Grandet guadagnava, in due mesi, il dodici per cento sui suoi capitali, aveva sistemato i conti, e ormai avrebbe incassato cinquantamila franchi ogni sei mesi senza dover pagare n imposte n ammortamenti. Insomma egli aveva capito che cosa fossero i titoli, un investimento per il quale i provinciali hanno una ripugnanza invincibile, e si vedeva padrone, nel giro di cinque anni, di un capitale di sei milioni accumulato senza molta fatica, e che, sommato al valore delle propriet immobiliari, avrebbe costituito una fortuna colossale. I sei franchi dati a Nanon erano forse il pagamento di un immenso servizio che la domestica senza saperlo aveva reso al suo padrone. "Oh! oh! dove va pap Grandet cos di corsa a quest'ora del mattino?" si dissero i negozianti che stavano aprendo bottega. Poi, quando lo videro tornare dal porto seguito da un fattorino delle Messaggerie che spingeva una carretta piena di sacchi: "L'acqua va sempre al fiume, il brav'uomo andava ai suoi scudi," diceva uno. "Gliene arrivano da Parigi, da Froidfond, dall'Olanda," diceva un altro. "Finir per comperare tutta Saumur," esclamava un terzo. "Lui se ne infischia del freddo, si d sempre da fare," diceva una donna al marito. "Ehi! ehi! signor Grandet, se questa roba vi d fastidio" gli disse un negoziante di stoffe, suo vicino, "ci penso io a sbarazzarvene." "Come no! sono soldi," rispose il vignaiolo. "D'argento," disse il fattorino a bassa voce. "Se vuoi la mancia, chiudi il becco," disse il brav'uomo al fattorino mentre apriva la porta. "Ah! vecchia volpe, credevo fosse sordo," pens il fattorino; "sembra che, quando fa freddo, ci senta." "Eccoti venti soldi come strenna, e mosca! Fila!" gli disse Grandet. "Nanon ti riporter il carretto. Nanon, quelle svampite sono a messa?". "S, signore." "Avanti, muovi le zampe! al lavoro," grid caricandola di sacchi. In poco tempo gli scudi furono trasportati in camera sua dove egli li chiuse a
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chiave. "Quando sar pronta la colazione, bussa al muro. Riporta la carretta alle Messaggerie." La famiglia fece colazione alle dieci. "Tuo padre non ti chieder adesso di vedere il tuo oro," disse Mme Grandet alla figlia mentre rientravano dalla messa. "Comunque tu di' che sei tutta infreddolita. Troveremo il modo di ricostruire il tuo tesoro per il tuo compleanno..." Grandet scese la scala pensando a come poter trasformare i suoi scudi parigini in oro buono, e alle sue meravigliose speculazioni sui titoli di stato. Era deciso a investire cosi le sue rendite fino a quando i titoli non avessero raggiunto il costo di cento franchi. Riflessioni funeste per Eugnie. Appena entr, le due donne gli augurarono buon anno, la figlia saltandogli al collo e facendogli delle moine, Mme Grandet gravemente e con dignit. "Ah! ah! ragazza mia," disse baciando la figlia sulle guance, "lavoro per te, vedi!... voglio la tua felicit. Ci vuole denaro per essere felici. Senza denaro, nisba. Toh, ecco un napoleone bello nuovo, l'ho fatto venire da Parigi. Per dindirindina, non c' un grano d'oro in questa casa. Non ci sei che tu ad avere dell'oro. Mostramelo il tuo oro, figlietta." "Bah! fa troppo freddo; pranziamo," gli rispose Eugnie. "Ebbene, a dopo, eh? Ci aiuter tutti quanti a digerire. - Quel pezzo d'uomo di des Grassins, ci ha mandato anche tutto questo," riprese. "Perci, mangiate, ragazze mie, non costa niente. Funziona bene, des Grassins, sono contento di lui. Il furbacchione rende un servizio a Charles, e gratis per di pi. Sta sistemando molto bene gli affari del povero defunto Grandet. -Uuuh! uuuh!" fece con la bocca piena, dopo una pausa, "come buono! Suvvia mangiane, moglie! questo nutre almeno per due giorni". "Non ho fame. Mi sento un po' indisposta, lo sai." "Ah! gi! Ma puoi rimpinzarti senza paura di far scoppiare la carcassa; sei una la Bertellire, una donna robusta. Sei un tantinello giallina, ma a me piace il giallo." L'attesa di una morte ignominiosa e pubblica forse meno orribile, per un condannato, di quanto lo fosse per Mme Grandet e la figlia l'attesa degli eventi con i quali si sarebbe concluso quel pranzo di famiglia. Pi il vecchio vignaiolo mangiava e parlava allegramente, pi le due donne si sentivano stringere il cuore. La figlia per lo meno in quella situazione aveva un sostegno: ella traeva forza dal suo amore.
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"Per lui, per lui," diceva fra s e s, "sarei disposta a patire mille morti." A quel pensiero, gett alla madre degli sguardi pieni di coraggio. "Togli tutto," disse Grandet a Nanon quando, verso le undici, il pranzo fu terminato; "ma lasciaci la tavola. Staremo pi comodi per dare un'occhiata al tuo piccolo tesoro," disse guardando Eugnie. "Piccolo! direi proprio di no. Tu possiedi, in valore intrinseco, cinquemila novecento cinquantanove franchi, e con i quaranta di questa mattina, fanno seimila franchi meno uno. Ebbene, te lo dar io il franco che manca per fare cifra tonda, perch, vedi, figlietta... Si pu sapere perch stai ad ascoltare? Alza i tacchi, Nanon, e va' a fare il tuo lavoro," disse il brav'uomo. Nanon spar. "Ascolta, Eugnie, bisogna che tu mi dia il tuo oro. Non lo rifiuterai al paparino, figliettina mia, eh?" Le due donne non parlavano. "Io non ho pi oro. Ne avevo e non ne ho pi. Ti dar in cambio seimila franchi in lire, e tu li investirai come ti dir io. Non bisogna pensare pi al dozzeno. Quando ti mariter, il che avverr presto, ti trover un promesso sposo che potr offrirti il pi bel dozzeno di cui si sia mai parlato nella provincia. Ascolta dunque, figlietta. Si presenta una bella occasione: puoi investire i tuoi seimila franchi in titoli di stato, e ne ricaverai ogni sei mesi circa duecento franchi di interessi, senza imposte, senza riparazioni, n grandine, n gelate, n mareggiate, n niente di tutto quello che mette a repentaglio le rendite. Forse non ti va di separarti dal tuo oro, eh, figlietta? Portamelo lo stesso. Ti trover delle monete d'oro, delle olandesi, delle portoghesi, delle rupie del Mogol, delle genovine; e, con quelle che ti dar per le tue feste, in tre anni avrai rimesso insieme la met del tuo bel gruzzoletto in oro. Che ne dici, figlietta? Alza la faccia. Su, va' a prenderla quella delizia. Dovresti baciarmi sugli occhi per averti detto i segreti e i misteri della vita e della morte degli scudi. vero, gli scudi vivono e si muovono come gli uomini: vanno, vengono, sudano, producono." Eugnie si alz, ma, dopo aver fatto qualche passo verso la porta, si volt bruscamente, guard il padre e gli disse: "Non ho pi il mio oro." "Non hai pi il tuo oro!" grid Grandet rizzandosi sulle gambe come un cavallo che senta sparare il cannone a dieci passi di distanza. "No, non ce l'ho pi." "Tu ti sbagli, Eugnie." "No".
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"Per la roncola di mio padre!". Quando il bottaio imprecava cos, le travi tremavano. "Dio misericordioso! La signora diventata bianca come un cencio," esclam Nanon. "Grandet, queste tue collere mi faranno morire," disse la povera donna. "Ta ta ta ta! voialtri, non morrete mai voi della vostra famiglia! Eugnie, che cosa avete fatto delle vostre monete?" grid precipitandosi verso di lei. "Signore," disse la figlia che si era inginocchiata accanto a Mme Grandet, "mia madre sta soffrendo molto... vedete... non uccidetela." Grandet si spavent vedendo che il volto della moglie, poco prima giallastro, era diventato pallido. "Nanon, aiutatemi a coricarmi," disse la madre con un filo di voce. "Mi sento morire." Subito Nanon porse il braccio alla padrona, e altrettanto fece Eugnie, e con gran fatica riuscirono a farla salire in camera, perch a ogni scalino la poveretta si sentita venir meno: Grandet rimase solo. Tuttavia, dopo qualche momento, sal sette o otto scalini, e grid: "Eugnie, quando vostra madre sar a letto, scendete." "S, padre." Eugnie, dopo aver rassicurato la madre, non tard a scendere. "Figlia," le disse Grandet, "ora mi direte dov' il vostro tesoro." "Padre, se mi fate dei regali di cui non sono interamente padrona, riprendeteveli," rispose freddamente Eugnie prendendo il napoleone che stava sul camino e porgendoglielo. Grandet afferr subito il napoleone e lo cacci nel taschino. " certo che non ti dar pi niente! Niente di niente!" disse facendo scattare l'unghia del pollice contro i denti davanti. "E cosi voi disprezzate vostro padre? non avete fiducia in lui? non lo sapete che cosa un padre? Se per voi non tutto, non niente. Dov' il vostro oro?". "Padre, io vi amo e vi rispetto, malgrado la vostra collera; ma devo farvi rispettosamente osservare che ho ventidue anni. So di essere maggiorenne perch me lo avete detto voi stesso pi volte. Ho fatto col mio denaro quello che ho voluto, e state sicuro che ben investito...". "Dove?". " un segreto inviolabile," disse lei. "Voi non avete i vostri segreti?".

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"Ma io non sono forse il capo della famiglia? E non posso avere i miei affari?". "E questo un mio affare." "Deve essere un cattivo affare, se non potete dirlo a vostro padre, signorina Grandet." " un affare eccellente, ma non posso dirlo a mio padre." "Ditemi almeno quando avete dato via il vostro oro." Eugnie rispose di no con un cenno del capo. "L'avevate ancora il giorno del vostro compleanno, eh?" Eugnie, divenuta scaltra per amore quanto il padre lo era per avarizia, ripet il medesimo cenno col capo. "Non si era mai vista una simile testardaggine n un furto simile," disse Grandet con una voce che and in crescendo e che a poco a poco fece vibrare tutta la casa. "Ma come! qui, in casa mia, da me, qualcuno avrebbe preso il tuo oro! il solo oro che c'era! e io non devo sapere chi ? L'oro una cosa cara. Le ragazze pi oneste possono commettere degli errori, dare non so che, succede nelle famiglie nobili e anche in quelle borghesi; ma dare via l'oro, perch voi l'avete dato a qualcuno, no?" Eugnie rimase impassibile. "Si mai vista una figlia simile? E sono io vostro padre? Se l'avete investito, dovete avere una ricevuta...". "Ero libera si o no, di farne ci che mi piaceva? Era o non era mio?". "Ma tu sei una bambina!". "Maggiorenne." Basito dalla logica della figlia, Grandet impallid, pest i piedi, bestemmi; poi, trovando finalmente le parole, grid: "Maledetto serpente di una figlia! ah! erba cattiva, tu sai che ti amo e ne approfitti. Costei scanna il proprio padre! Perdio! Tu hai gettato la nostra fortuna ai piedi di quello squattrinato che se ne va in giro con degli stivali di marocchino. Per la roncola di mio padre! non posso diseredarti, corpo di un barile! ma ti maledico, te, tuo cugino, e i tuoi figli! Non te ne verr niente di buono, capisci? Se stato a Charles che... Ma no, non possibile. Dico! quello zerbinotto da quattro soldi mi avrebbe svaligiato..." Guard la figlia, che rimaneva muta e fredda. "Non fa una piega, non muove un sopracciglio, una Grandet pi di quanto sia Grandet io. Non avrai dato il tuo oro per niente, almeno. Vediamo, che dici?" Eugnie guard il padre con un'espressione ironica che lo fer. "Eugnie, voi siete in casa mia, in casa di vostro padre. Per
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restarci, dovete sottomettervi ai suoi ordini. Anche i preti vi ordinano di obbedirmi." Eugnie abbass il capo. "Voi mi offendete in quello che ho di pi caro," riprese il padre, "vi rivedr solo quando sarete sottomessa. Andate nella vostra camera. Vi rimarrete finch non vi permetter di uscirne. Nanon vi porter pane e acqua. Avete sentito, andate!". Eugnie scoppi in lacrime e corse in camera della madre. Dopo aver fatto parecchie volte il giro del giardino coperto di neve, senza accorgersi del freddo, Grandet fu colto dal sospetto che la figlia fosse nella stanza della moglie; allettato dall'idea di sorprenderla in flagrante disubbidienza, sal le scale con l'agilit di un gatto, e arriv in camera di Mme Grandet nel momento in cui costei carezzava i capelli di Eugnie, che aveva il viso affondato nel seno materno. "Fatti coraggio, mia povera piccola, tuo padre si calmer." "Costei non ha pi un padre," disse il bottaio. " da voi e da me, signora Grandet, che nata una figlia cos disobbidiente? Bella educazione, e religiosa per giunta! E allora, non siete ancora nella vostra camera? Via, in prigione, in prigione, signorina." "Volete privarmi di mia figlia, signore?" disse Mme Grandet con il volto arrossato dalla febbre. "Se la volete presso di voi, portatela via, sgomberatemi la casa tutte e due... Per tutti i fulmini, dov' l'oro? che ne stato dell'oro?". Eugnie si alz, gett uno sguardo carico di orgoglio sul padre, e si ritir nella sua stanza, che il brav'uomo chiuse a chiave. "Nanon," grid, "spegni il fuoco in sala." E and a sedersi su una poltrona accanto al caminetto della moglie, dicendole: "Senza dubbio lo ha dato a quel miserabile seduttore di Charles, che mirava solo al nostro denaro." Mme Grandet trov, nel pericolo che minacciava la figlia e nel suo sentimento per lei, abbastanza forza per rimanere in apparenza fredda, muta e sorda. "Non sapevo niente di tutto ci," rispose e si volt dalla parte del muro per non subire gli sguardi infuocati del marito. "Soffro tanto per la vostra violenza, che, se devo credere ai miei presentimenti, uscir di qui solo con i piedi in avanti. Avreste dovuto risparmiarmi in questo momento, signore, risparmiare una che non vi ha mai dato un dispiacere, almeno lo credo. Vostra figlia vi ama, per me innocente come un bambino appena nato; perci non fatela soffrire, revocate il vostro ordine. Il freddo intenso e voi potreste essere la causa di qualche malattia grave."
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"Non voglio vederla n parlarle. Rester nella sua camera a pane e acqua finch non avr dato soddisfazione a suo padre. Che diavolo! Il capo di una famiglia ha diritto di sapere dove va l'oro di casa sua. Possedeva forse le sole rupie che ci fossero in Francia, poi delle genovine, dei ducati d'Olanda...". "Signore, Eugnie la nostra unica figlia, e, se anche le avesse gettate in acqua....". "In acqua," grid il brav'uomo, "in acqua! Voi siete pazza, signora Grandet. Quando ho detto una cosa quella, voi lo sapete. Se volete avere la pace in casa, fate confessare vostra figlia, fatele sputare il rospo; le donne sanno farle meglio queste cose di noialtri. Qualsiasi cosa abbia potuto fare, non la manger. Ha forse paura di me? Anche se avesse ricoperto d'oro suo cugino dalla testa ai piedi, ormai in alto mare, no? non possiamo correre dietro...". "Ebbene, signore..." Spinta dalla crisi nervosa in cui si trovava, o dalla sventura della figlia che ingigantiva il suo affetto e la sua intelligenza, la perspicacia di Mme Grandet le fece notare un movimento terribile della verruca del marito nel momento in cui stava per rispondere; ella cambi idea senza cambiare tono: "Ebbene, signore, ho io pi autorit su di lei di quanta ne avete voi? A me non ha detto nulla, ha preso da voi." "Perdio! che lingua lunga avete questa mattina! Ta ta ta ta! credo che mi prendiate in giro. Forse ve la intendete con lei." Guard fisso la moglie. "In verit, signor Grandet, se volete uccidermi, non dovete fare altro che continuare cos. Ve lo dico, signore, e dovesse costarmi la vita, ve lo ripeter ancora: avete torto nei confronti di vostra figlia, ella pi ragionevole di voi. Quel denaro le apparteneva, ne avr fatto di certo buon uso, e Dio solo ha il diritto di conoscere le nostre opere buone. Signore, ve ne supplico, ridate a Eugnie la vostra benevolenza!... In questo modo attenuerete l'effetto del colpo che mi ha inferto la vostra collera e forse mi salverete la vita. Mia figlia, signore! restituitemi mia figlia." "Me ne vado," disse Grandet. "In casa mia non si resiste, madre e figlia ragionano come se... Brrr! Puah! Mi avete fatto una strenna crudele, Eugnie!" grid. "S, s, piangete! Ci che fate vi dar dei rimorsi, capite? A che vi serve mangiare il buon Dio sei volte ogni tre mesi, se date di nascosto l'oro di vostro padre a un fannullone che vi divorer il cuore quando non avrete pi altro da dargli? Vedrete che cosa vale il vostro
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Charles, con i suoi stivali di marocchino e la sua aria da non mi toccate. Non ha n cuore n anima, se osa portarsi via il tesoro di una povera ragazza senza il consenso dei genitori." Quando sent chiudere la porta di strada, Eugnie usc dalla sua stanza e and dalla madre. "Avete avuto molto coraggio per vostra figlia," le disse. "Vedi, figlia mia, dove ci portano le cose illecite!... Mi hai fatto dire una bugia." "Oh! chieder a Dio di punire solo me." " vero," disse Nanon arrivando tutta sbigottita, "che la signorina deve mangiare pane e acqua per il resto dei suoi giorni?". "Che importa, Nanon?" disse con calma Eugnie. "Ah! figurarsi se manger il companatico quando la figlia di casa mangia pane secco... No, no." "Non una parola di pi, Nanon," disse Eugnie. "Che mi si secchi la bocca, ma vedrete!". Grandet cen solo per la prima volta da ventiquattro anni. "E cos eccovi vedovo, signore," gli disse Nanon. " spiacevole essere vedovo con due donne in casa." "Con te non parlo. Chiudi il becco o ti caccio. Che cosa c' nella casseruola che la sento bollire sul fuoco?". " del grasso che sto facendo squagliare...". "Verr gente stasera, accendi il fuoco." I Cruchot, Mme des Grassins e il figlio arrivarono alle otto, e si stupirono di non vedere n Mme Grandet n la figlia. "Mia moglie un po' indisposta, Eugnie la assiste," rispose il vecchio vignaiolo, il cui viso non trad alcuna emozione. Dopo un'ora impiegata in conversazioni insignificanti, Mme des Grassins che era salita a trovare Mme Grandet, scese, e tutti le chiesero: "Come sta Mme Grandet?". "Per niente bene, per niente," disse lei. "Il suo stato di salute mi pare davvero preoccupante. Alla sua et, bisogna prendere tutte le precauzioni, pap Grandet." "Si vedr," rispose il vignaiolo con un tono distratto. Ognuno gli augur la buona notte. Quando i Cruchot furono in strada, Mme des Grassins disse loro: "C' qualcosa di nuovo dai Grandet. La

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madre sta peggio di quanto creda. La figlia ha gli occhi rossi come se avesse pianto a lungo. Che vogliano maritarla contro la sua volont?". Quando il vignaiolo fu andato a letto, Nanon in pantofole e senza far rumore and da Eugnie e le port un pat fatto in casseruola. "Tenete, signorina," disse la brava donna, "Cornoiller m'ha dato una lepre. Voi mangiate cos poco che questo pat vi durer otto giorni; e col freddo che fa non c' pericolo che vada a male. Almeno, non rimarrete a pane secco. Non affatto sano." "Povera Nanon!" disse Eugnie stringendole la mano. "L'ho fatto proprio buono, delicato, e lui non se ne accorto. Ho comprato il lardo, l'alloro, tutto con i miei sei franchi; sono miei dopo tutto." Poi la domestica se ne and perch le era parso di sentire Grandet. Per qualche mese, il vignaiolo and sempre a trovare la moglie in ore diverse, senza pronunciare il nome della figlia, senza vederla, senza fare la minima allusione a lei. Mme Grandet non lasciava la stanza, e, di giorno in giorno, il suo stato peggiorava. Niente fece piegare il vecchio bottaio. Rimase irremovibile, freddo e duro come un masso di granito. Continu ad andare e venire secondo le sue abitudini, ma non balbett pi, parl di meno, e si mostr in affari pi duro di quanto fosse mai stato. Spesso, facendo i conti gli sfuggiva qualche errore. "In casa Grandet deve essere successo qualcosa," dicevano i cruchottiani e i grassinisti. "Che cosa successo in casa Grandet?" fu la domanda di rito che si sentiva generalmente in tutti i salotti di Saumur. Eugnie andava in chiesa accompagnata da Nanon. All'uscita, se Mme des Grassins le rivolgeva qualche parola, ella rispondeva in maniera evasiva e senza soddisfare la curiosit dell'altra. Nondimeno, in capo a due mesi risult impossibile tener nascosto, sia ai tre Cruchot, sia a Mme des Grassins, il segreto della reclusione di Eugnie. Arriv un momento in cui vennero meno i pretesti per giustificare la sua continua assenza. Poi, senza che si potesse sapere da chi era stato svelato il segreto, tutta la citt venne a sapere che, dal primo dell'anno, Mlle Grandet era rinchiusa, per ordine del padre, nella sua stanza a pane e acqua e senza fuoco; che Nanon le preparava delle ghiottonerie e gliele portava nottetempo; e si sapeva anche che la giovane poteva vedere e assistere la madre solo quando il padre non era in casa. Allora la condotta di Grandet fu giudicata molto severamente. Tutta la citt lo mise per cos dire fuori legge, si ricord dei suoi tradimenti, delle sue durezze, e lo scomunic. Quando passava, la gente lo mostrava a dito bisbigliando.
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Quando la figlia scendeva la strada tortuosa per andare a messa o ai vespri, accompagnata da Nanon, tutti gli abitanti si mettevano alle finestre per esaminare con curiosit l'atteggiamento della ricca ereditiera e il suo viso, sul quale erano dipinte una malinconia e una dolcezza angeliche. La reclusione, l'ostilit del padre, erano niente per lei. Continuava a vedere il mappamondo, la panchina, il giardino, il muro, e risentiva sulle labbra il miele che vi avevano lasciato i baci dell'amore. Per qualche tempo ella ignor le conversazioni della gente delle quali era l'argomento, proprio come le ignorava suo padre. Religiosa e pura davanti a Dio, la propria coscienza e l'amore l'aiutavano a sopportare la collera e la vendetta paterne. Ma un dolore profondo faceva tacere tutti gli altri dolori. Sua madre, dolce e tenera creatura che si abbelliva con la luce che proiettava la sua anima avvicinandosi alla tomba, sua madre deperiva di giorno in giorno. Spesso, Eugnie si rimproverava di essere stata la causa involontaria della crudele, della lenta malattia che la divorava. Questi rimorsi, per quanto placati dalla madre, la legavano ancor pi strettamente al suo amore. Tutte le mattine, appena il padre usciva, ella accorreva al capezzale della madre, e, l, Nanon le portava la colazione. Ma la povera Eugnie, triste e sofferente per le sofferenze della madre, ne indicava il volto a Nanon con un cenno piangeva e non osava parlare di suo cugino. Mme Grandet era costretta a dirle per prima: "Dov'? Perch non scrive?". Madre e figlia ignoravano del tutto le distanze. "Pensiamo a lui, madre mia," rispondeva Eugnie, "e non ne parliamo. Voi soffrite, voi venite prima di tutti." Tutti, significava lui. "Figli miei," diceva Mme Grandet, "Non rimpiango la vita, Dio mi ha protetto facendomi considerare con gioia la fine delle mie miserie." Le parole di quella donna erano sempre parole sante e cristiane. Quando, al momento di far colazione accanto a lei, il marito veniva a passeggiare nella sua stanza, ella gli fece nei primi mesi dell'anno, gli stessi discorsi, ripetuti con una dolcezza angelica, ma con la fermezza di una donna alla quale la morte prossima dava il coraggio che le era mancato durante la vita. "Signore, vi ringrazio dell'interesse che prendete alla mia salute," rispondeva quando lui le rivolgeva la pi banale delle domande; "ma se volete addolcire l'amarezza dei miei ultimi istanti e alleviare le mie sofferenze, perdonate nostra figlia; mostratevi cristiano, sposo e padre."
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Sentendo queste parole, Grandet sedeva accanto al letto e si comportava come un uomo che, vedendo arrivare un temporale, si mette al riparo sotto una porta cocchiera; ascoltava in silenzio la moglie, e non rispondeva. Dopo che gli erano state rivolte le pi commoventi, le pi tenere, le pi fervide suppliche, diceva: "Sei un po' pallidina oggi, povera moglie mia." L'oblio totale della figlia sembrava stampato su quella fronte terrea, su quelle labbra strette. Non si commoveva nemmeno per le lacrime che le sue risposte vaghe facevano calare sul viso sbiancato della moglie. "Che Dio vi perdoni, signore," diceva lei, "come io vi perdono. Un giorno anche voi avrete bisogno di indulgenza." Dalla malattia della moglie, non aveva pi osato servirsi del suo terribile ta ta ta ta! ma il suo dispotismo non era stato disarmato da quell'angelo di dolcezza, la cui bruttezza spariva di giorno in giorno, cancellata dall'espressione delle qualit morali, che fiorivano sul suo volto. Ella era tutta anima. Il genio della preghiera sembrava purificare, annullare i tratti pi grossolani del viso, e la faceva risplendere. Chi non ha osservato questo fenomeno di trasfigurazione su dei santi volti dove le abitudini dell'anima finiscono per avere ragione dei lineamenti pi rozzi, imprimendo loro quella particolare animazione dovuta alla nobilt e alla purezza di pensieri elevati? Lo spettacolo di questa trasformazione compiuta dalle sofferenze che in quella donna consumavano i brandelli dell'essere umano agiva, anche se debolmente, sul vecchio bottaio, che tuttavia restava irremovibile. Se il suo modo di parlare non fu pi sdegnoso, il suo comportamento era dominato da un silenzio imperturbabile, che metteva al riparo la sua superiorit di padre di famiglia. Quando la fedele Nanon andava al mercato, subito le fischiavano alle orecchie lazzi e critiche sul suo padrone; ma, sebbene la pubblica opinione condannasse unanimemente pap Grandet, la domestica lo difendeva per amore della casa. "E che," diceva ai detrattori del brav'uomo, "forse non diventiamo tutti pi duri quando invecchiamo? E perch anche lui non dovrebbe indurirsi un po'? Smettetela con le vostre bugie. La signorina vive come una regina. Sta da sola perch questo le piace. E poi, i miei padroni hanno i loro buoni motivi." Una sera, verso la fine della primavera, Mme Grandet, divorata dal dispiacere ancor pi che dalla malattia, non essendo riuscita, malgrado le

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sue preghiere, a riconciliare Eugnie e il padre, confid le sue pene segrete ai Cruchot. "Tenere una figlia di ventitr anni a pane e acqua!..." esclam il presidente de Bonfons, "e senza nessun motivo; ma qui si tratta di sevizie, contro le quali ella non pu invocare sia in che su...". "Via, nipote," disse il notaio, "lasciate perdere il vostro gergo giudiziario. - State tranquilla, signora, far in modo che sia posto termine a questa reclusione fin da domani." Sentendo che parlavano di lei, Eugnie usci dalla sua camera. "Signori," disse facendosi avanti con un incedere pieno di fierezza, "vi prego di non occuparvi di questa faccenda. Mio padre padrone in casa sua. Finch vivr qui, gli devo ubbidire. La sua condotta non pu essere soggetta all'approvazione o alla disapprovazione della gente, egli deve renderne conto solo a Dio. Io esigo dalla vostra amicizia il pi profondo silenzio in merito. Biasimare mio padre, significherebbe attaccare la nostra stessa reputazione. Vi sono grata, signori, dell'interesse che mi dimostrate; ma vi sar ancor pi obbligata se vorrete far cessare le voci offensive che corrono per la citt e delle quali sono venuta a conoscenza per caso." "Ha ragione," disse Mme Grandet. "Signorina, il modo migliore per impedire alla gente di chiacchierare quello di farvi restituire la libert," le rispose rispettosamente il vecchio notaio, colpito dalla bellezza che l'isolamento, la malinconia e l'amore avevano dato a Eugnie. "Ma s, figlia mia, lascia che M. Cruchot si occupi di sistemare questa faccenda, dal momento che egli garantisce un buon esito. Conosce tuo padre e sa come bisogna prenderlo. Se vuoi vedermi felice nel poco tempo che mi resta da vivere, bisogna, a tutti i costi, che tu e tuo padre vi riconciliate." L'indomani Grandet, secondo un'abitudine che aveva preso dopo la reclusione di Eugnie, and a fare quattro passi nel giardinetto. Aveva scelto per questa passeggiata il momento in cui Eugnie si pettinava. Quando il brav'uomo arrivava al grande noce, si nascondeva dietro il tronco dell'albero, restava qualche minuto a contemplare i lunghi capelli della figlia, e ondeggiava senza dubbio fra i pensieri che gli suggeriva la sua testardaggine e il desiderio di baciare la figlia. Spesso, se ne rimaneva seduto sulla panchina di legno marcio dove Charles e Eugnie si erano giurati eterno amore, mentre anche lei guardava il padre di sfuggita o attraverso lo specchio. Se lui si alzava e ricominciava a passeggiare, lei si
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sedeva tranquilla alla finestra e si metteva a guardare il pezzo di muro dal quale pendevano i fiori pi belli, dalle cui crepe uscivano il capelvenere, i convolvoli e una pianta grassa, gialla o bianca, un sedo, che abbonda nelle vigne di Saumur e di Tours. Un bel giorno di giugno, il notaio Cruchot arriv di buon'ora e trov il vecchio vignaiolo seduto sulla panchina, la schiena appoggiata al muro divisorio, intento a guardare la figlia. "In che cosa posso servirvi, Cruchot?" chiese, vedendo il notaio. "Vengo a parlarvi di affari." "Ah! ah! avete da darmi un po' d'oro contro scudi?". "No, no, non si tratta di denaro, ma di vostra figlia Eugnie. Tutti parlano di lei e di voi." "Di che cosa ci si impiccia? Il carbonaio padrone in casa sua." "D'accordo, il carbonaio anche padrone di uccidersi, e, quel che peggio, di gettare il denaro dalla finestra." "Che cosa significa?". "Eh, vostra moglie molto malata, amico mio. Dovreste consultare M. Bergerin, ella in pericolo di morte. Se morisse senza essere stata curata come si deve, voi non sareste tranquillo, credo." "Ta ta ta ta! sapete bene quello che ha mia moglie. Questi medici, una volta che hanno messo il piede in casa, vengono cinque o sei volte il giorno." "Insomma, Grandet, fate come volete. Noi siamo vecchi amici: non c', in tutta Saumur, un uomo cui stia di pi a cuore ci che vi riguarda; perci ho sentito il dovere di dirvi queste cose. Ora, succeda quel che vuol succedere, voi siete maggiorenne, sapete come comportarvi, fate voi. Ma non per questo che sono venuto. Si tratta di qualcosa di pi serio per voi, forse. Dopo tutto, voi non desiderate la morte di vostra moglie, vi troppo utile. Pensate dunque alla situazione in cui verrete a trovarvi di fronte a vostra figlia, se Mme Grandet morisse. Voi dovreste rendere dei conti a Eugnie, perch con vostra moglie siete in regime di comunione dei beni. Vostra figlia avr il diritto di reclamare la divisione del patrimonio e di far vendere Froidfond. Insomma, lei succede alla madre, dalla quale voi non potete ereditare." Queste parole furono un fulmine a ciel sereno per il brav'uomo, che non era forte in materia legale quanto lo era nel commercio. Non aveva mai pensato a una licitazione.

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"Perci vi raccomando di trattarla con dolcezza," disse Cruchot concludendo. "Ma sapete che cosa ha fatto, Cruchot?". "Che cosa?" disse il notaio, incuriosito di ricevere una confidenza da pap Grandet e di sapere il motivo della disputa. "Ha dato via il suo oro." "E allora, era suo?" domand il notaio. "Tutti mi dicono la stessa cosa!" fece il brav'uomo lasciando cadere le braccia con un gesto tragico. "E voi, per una miseria," riprese Cruchot, "volete mettere a repentaglio le concessioni che dovrete chiederle di farvi alla morte della madre?". "Ah! voi seimila franchi d'oro li chiamate una miseria?". "Eh! vecchio mio, sapete che cosa verranno a costare l'inventario e la divisione dell'eredit di vostra moglie, se Eugnie lo esiger?". "Quanto?". "Due o tre o quattrocentomila franchi forse! Non necessario mettere all'incanto e vendere per conoscere il vero valore? Invece mettendovi d'accordo...". "Per la roncola di mio padre!" esclam il vignaiolo, che impallid e si mise a sedere, "vedremo, Cruchot." Dopo un momento di silenzio o di agonia, il brav'uomo guard il notaio e gli disse: "La vita ben dura! Ce ne sono di dolori. Cruchot," riprese con un tono solenne, "voi non volete ingannarmi, datemi la vostra parola d'onore che ci che mi dite nella legge. Mostratemi il Codice, voglio vedere il Codice!". "Mio povero amico," rispose il notaio, "credete che non conosca il mio mestiere?". " dunque vero? Sar spogliato, tradito, ucciso, divorato da mia figlia." " l'erede della madre." "A che servono dunque i figli? Ah! voglio bene a mia moglie. Per fortuna robusta; una la Bertellire." "Non ha un mese di vita." Il bottaio si batt la fronte, fece qualche passo, torn indietro, e, gettando uno sguardo spaventoso a Cruchot: "Che cosa si pu fare?" gli chiese. "Eugnie potr rinunciare puramente e semplicemente alla successione della madre. Voi non volete diseredarla, vero? Ma, se volete ottenere una
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concessione del genere, non trattatela male. Ci che vi dico, vecchio mio, contro il mio interesse. Qual il mio lavoro? ...liquidazioni, inventari, vendite, divisioni...". "Vedremo, vedremo. Non parliamone pi, Cruchot. Voi mi strizzate le budella. Avete ricevuto dell'oro?". "No; ma ho qualche vecchio luigi, una diecina, e ve li dar. Mio buon amico, fate la pace con Eugnie. Vedete, tutti a Saumur vi danno addosso." "Buffoni!". "Evvia, i titoli stanno a novantanove. Siate contento almeno una volta nella vostra vita." "A novantanove, Cruchot?". "S." "Eh! eh! novantanove!" disse il brav'uomo riaccompagnando il notaio fino alla porta di strada. Poi, troppo agitato da ci che aveva sentito per restarsene a casa, sal dalla moglie e le disse: "Coraggio, mamma, puoi passare la giornata con tua figlia, io vado a Froidfond. Fate le brave tutte e due. l'anniversario del nostro matrimonio, mia cara moglie: tieni, ecco dieci scudi per il tuo repositorio del Corpus Domini. un pezzo che ne volevi uno, regalatelo, siate allegre, e state bene. Viva la gioia!" Gett dieci scudi da sei franchi sul letto della moglie e le prese la testa per baciarla sulla fronte. "Cara moglie, stai meglio, non vero?". "Come potete pensare di ricevere nella vostra casa il Dio che perdona, quando tenete vostra figlia lontana dal cuore?" disse lei con impeto. "Ta ta ta ta!" disse il padre con voce carezzevole, "vedremo." "Bont del cielo! Eugnie," grid la madre arrossendo di gioia, "vieni ad abbracciare tuo padre, egli ti perdona!" Ma il brav'uomo era scomparso. Se ne and di buon passo verso i vigneti cercando di riordinare le idee scombussolate. A quel tempo Grandet era entrato nel settantaseiesimo anno. Specialmente da due anni, la sua avarizia si era accresciuta come si accrescono tutte le passioni radicate nell'uomo. Secondo un'osservazione fatta sugli avari, sugli ambiziosi, su tutte le persone la cui vita stata dominata da un'idea, egli si era fissato soprattutto su un simbolo della sua passione. La vista dell'oro, il possesso dell'oro erano diventati per lui una monomania. La sua tendenza al distpotismo era aumentata in proporzione con l'avarizia, e abbandonare la disponibilit della minima parte delle sue terre alla morte della moglie gli pareva una cosa contro natura. Dichiarare il suo patrimonio alla figlia,
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inventariare la totalit dei beni mobili e immobili per metterli all'incanto?... "Sarebbe come tagliarsi la gola," disse ad alta voce fra i filari mentre esaminava le viti. Alla fine si decise, torn a Saumur all'ora di cena, risoluto a piegarsi davanti a Eugnie, a coccolarla, ad ammansirla per poter morire regalmente, tenendo fino all'ultimo respiro le redini dei suoi milioni. Nel momento in cui il brav'uomo, che stranamente aveva con s la chiave di casa, saliva la scala a passi di lupo per andare dalla moglie, Eugnie aveva portato sul letto della madre il bel ncessaire. Entrambe, quando Grandet non c'era, si concedevano il piacere di guardare il ritratto di Charles osservando quello della madre. "Ha la sua fronte e la sua bocca!" stava dicendo Eugnie quando il vignaiolo apr la porta. Vedendo lo sguardo che il marito gett sull'oro, Mme Grandet grid: "Mio Dio, abbiate piet di noi!". Il brav'uomo si gett sul ncessaire come una tigre balza su un bambino addormentato. "Che cos' questo?" disse prendendo il tesoro e andando vicino alla finestra. "Oro buono! oro!" esclam. "Molto oro! Questo qui pesa due libbre. Ah! ah! Charles ti ha dato questo in cambio delle tue belle monete eh? Perch non dirmelo? un buon affare, figlietta! Sei mia figlia, ti riconosco." Eugnie tremava come un fuscello."Questo di Charles, nevvero?" riprese il brav'uomo. "S, padre, non mio. Questo oggetto un deposito sacro." "Ta ta ta ta! egli ha preso la tua ricchezza, bisogna che ricostituisci il tuo piccolo tesoro." "Padre mio!...". Il brav'uomo tir fuori il coltello per far saltare una placca d'oro, e per far questo dovette posare il ncessaire su una sedia. Eugnie si slanci per riprenderlo; ma il bottaio, che teneva d'occhio contemporaneamente la figlia e il cofanetto, tese un braccio e la respinse con tanta violenza, che la ragazza and a cadere sul letto della madre. "Signore! signore!" grid la madre tirandosi a sedere sul letto. Grandet aveva aperto il coltello e si accingeva a scalzare l'oro. "Padre mio," esclam Eugnie gettandosi ginocchioni e avvicinandosi al padre in questa positura con le mani alzate verso di lui; "padre mio in nome di tutti i santi e della Vergine, in nome di Cristo, morto in croce; per la vostra salute eterna, per la mia vita, non toccatelo! Quel ncessaire non n vostro n mio; di un congiunto infelice che me l'ha confidato, e io devo restituirglielo intatto."
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"Perch lo guardavi, se un deposito? Guardare, peggio che toccare." "Padre mio, se lo distruggete, sar disonorata! Mi ascoltate?". "Signore, vi supplico!" disse la madre. "Padre!" grid Eugnie con voce cos forte, che Nanon, spaventata, sal. Con un balzo Eugnie afferr un coltello che trov a portata di mano. "E allora?" le disse tranquillamente Grandet con un sorriso gelido. "Signore, signore, voi mi assassinate!" disse la madre. "Padre, se il vostro coltello scalfisce anche solo una particella di quell'oro, io mi trafigger con questo. Avete gi reso mia madre mortalmente malata, ucciderete anche vostra figlia. Avanti dunque, ferita per ferita!". Grandet tenne il coltello sul ncessaire e guard la figlia esitando. "Ne saresti davvero capace, Eugnie?" chiese. "S, signore," disse la madre. "Far quello che ha detto," esclam Nanon. "Siate ragionevole, signore, almeno una volta nella vostra vita." Per un momento il bottaio fece passare lo sguardo dall'oro alla figlia. Mme Grandet perse i sensi. "Guardate, signore, la padrona muore!"grid Nanon. "E va bene, figlia, non litighiamo per un cofanetto. Prendi!" esclam con veemenza il bottaio gettando il ncessaire sul letto. "Tu, Nanon, va' a chiamare M. Bergerin. Su, mamma," disse baciando la mano della moglie, "non nulla, via; abbiamo fatto la pace. - Vero, figlietta? Niente pi pane secco, mangerai quello che vorrai... Ah! riapre gli occhi. - Ebbene, mamma, mammina, mammetta, coraggio! Ecco, vedi, bacio Eugnie. Ella ama suo cugino, lo sposer se vuole, gli custodir il cofanetto. Ma tu vivi ancora a lungo, mia povera moglie. Suvvia, fa' un gesto! Ascolta, avrai il pi bel repositorio che sia mai stato fatto a Saumur." "Mio Dio, come potete trattare cos vostra moglie e vostra figlia!" disse con un filo di voce Mme Grandet. "Non lo far pi, pi!" esclam il bottaio. "Vedrai, povera moglie mia." And nello studio e torn con una manciata di luigi che sparpagli sul letto. "Tieni, Eugnie, tieni, moglie mia, sono per voi," disse passando le dita fra le monete. "Su, rallegrati, moglie mia; cerca di star bene, non mancherai di nulla e nemmeno Eugnie. Ecco cento luigi d'oro per lei. Questi non li darai via, Eugnie, eh?".
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Mme Grandet e la figlia si guardarono, sbalordite. "Riprendeteli, padre; noi abbiamo bisogno solo della vostra tenerezza." "Bene, e sia," disse rimettendosi in tasca i luigi, "viviamo da buoni amici. Scendiamo tutti in sala a cenare, a giocare a tombola tutte le sere con due soldi per posta. Scherzate pure! Che ne dici, moglie?". "Ahim! lo vorrei, perch potrebbe essere piacevole," disse la moribonda; "ma non ce la faccio ad alzarmi." "Povera mamma," disse il bottaio, "tu non sai quanto ti amo. - E anche te, figlia mia!" La abbracci e la baci. "Oh! quanto bello baciare la propria figlia dopo uno screzio! la mia figlietta! - Ecco, vedi, mammina, adesso siamo una persona sola. - Vai a riporlo," disse a Eugnie indicandole il cofanetto. "Va', non temere. Non te ne parler mai pi." M. Bergerin, il pi celebre medico di Saumur, arriv di l a poco. Terminata la visita, disse chiaro e tondo a Grandet che sua moglie stava molto male, ma che con molta tranquillit, dolcezza e cure scrupolose sarebbe stato possibile ritardare il momento della morte fin verso la fine dell'autunno. "Coster caro?" chiese il brav'uomo; "ci vogliono medicine?". "Poche medicine, ma molte cure," rispose il dottore che non riusc a trattenere un sorriso. "Insomma, signor Bergerin," rispose Grandet, "voi siete un uomo d'onore, non cos? Mi affido a voi, venite a vedere mia moglie tutte lo volte che lo riterrete opportuno. Conservatemi la mia buona moglie; l'amo molto, vedete, anche se non lo do a vedere, perch io sono fatto cos, mi tengo tutto dentro e mi rodo l'anima. Sono pieno di dispiaceri. Il dolore entrato in casa mia con la morte di mio fratello, per il quale spendo, a Parigi, delle somme... un occhio della testa, insomma! e non ancora finita. Addio, signore. Se possibile salvare mia moglie, salvatela, anche se per questo si dovessero spendere cento o duecento franchi." Malgrado i fervidi auguri che Grandet faceva per la salute della moglie, la cui successione era per lui una prima morte; malgrado la compiacenza che dimostrava in ogni occasione per i pi piccoli desideri di una madre e di una figlia sbalordite; malgrado le cure pi affettuose prodigate da Eugnie, Mme Grandet si avviava rapidamente alla morte. Ogni giorno, si indeboliva e deperiva come deperisce la maggior parte delle donne colpite, a quell'et, dalla malattia. Era fragile come le foglie degli alberi in autunno. La luce del cielo la faceva risplendere come quelle foglie quando il sole le
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attraversa e le indora. Fu una morte degna della sua vita, una morte tutta cristiana; non come dire sublime? Nel mese di ottobre 1822 rifulsero in modo particolare le sue virt, la sua pazienza d'angelo e l'amore per la figlia; ella si spense senza essersi lasciato sfuggire il pi piccolo lamento. Agnello senza macchia, saliva in cielo, e non rimpiangeva quaggi che la dolce compagna della sua fredda vita, alla quale i suoi ultimi sguardi sembravano predire mille mali. Tremava all'idea di dover lasciare quella pecorella, candida come lei, sola in un mondo egoista che voleva strapparle il vello, i suoi tesori. "Figlia mia," le disse prima di spirare, "la felicit solo in cielo, un giorno lo saprai." All'indomani di quella morte, Eugnie trov nuovi motivi per affezionarsi a quella casa dove era nata, dove aveva tanto sofferto, dove sua madre era appena morta. In sala non riusciva a guardare la finestra e la sedia rialzata senza sciogliersi in lacrime. Credette di aver mal giudicato l'animo del padre vedendosi oggetto delle sue pi affettuose attenzioni: veniva a darle il braccio per scendere a colazione; per ore intere restava a guardarla con occhi quasi buoni; insomma, la covava come se fosse stata d'oro. Il vecchio bottaio somigliava cos poco a se stesso, tremava a tal punto davanti alla figlia, che Nanon e i cruchottiani, testimoni di questa sua debolezza, la attribuirono all'et avanzata, e pensarono perci a un infiacchimento delle sue facolt; ma, il giorno in cui la famiglia prese il lutto, dopo la cena, alla quale era stato invitato il notaio Cruchot, che conosceva, lui solo, il segreto del suo cliente, la condotta del brav'uomo divent chiara. "Mia cara figliola," disse a Eugnie quando la tavola fu sparecchiata e le porte accuratamente chiuse, "ora tu sei l'erede di tua madre e noi due dobbiamo sistemare qualche affaruccio. Non vero, Cruchot?". "S." " proprio necessario occuparsene oggi, padre?". "S, s, figlietta. Non potrei resistere nell'incertezza in cui mi trovo. Non credo che tu voglia darmi un dispiacere." "Oh! padre mio...". "Ebbene, bisogna sistemare tutto questa sera." "Che cosa volete dunque che faccia?". "Ma, figlietta, questo non riguarda me. - Ditelo voi, Cruchot."

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"Signorina, il vostro signor padre non vorrebbe n dividere n vendere i suoi beni n pagare enormi diritti di successione per il denaro contante che egli si trovasse a possedere. A tale scopo, dunque, bisognerebbe evitare di fare l'inventario di tutto il patrimonio che oggi non diviso fra voi e il vostro signor padre...". "Cruchot, siete ben sicuro di questo, per parlarne cos davanti a una bambina?". "Lasciatemi dire, Grandet." "S, s, amico mio. N voi n mia figlia vorrete spogliarmi. Vero, figlietta?". "Ma, signor Cruchot, che cosa dovrei fare?" domand Eugnie spazientita. "Beh," disse il notaio, "bisognerebbe firmare quest'atto con il quale voi rinunciate alla successione della vostra signora madre, e lasciate a vostro padre l'usufrutto di tutti i beni indivisi fra voi, e dei quali egli vi garantisce la nuda propriet...". "Io non capisco niente di tutto quello che mi dite," rispose Eugnie; "datemi l'atto e ditemi dove devo firmare." Pap Grandet guardava ora il documento ora la figlia e provava delle emozioni cos violente da doversi asciugare le gocce di sudore che gli imperlarono la fronte. "Figlietta," disse, "invece di firmare questo documento che a farlo registrare ci costerebbe molto, preferirei che tu rinunciassi puramente e semplicemente alla successione della tua povera, cara, mamma defunta, e far conto su di me per il futuro. Io ti passerei tutti i mesi una bella e consistente rendita di cento franchi. Vedi, potresti pagare a quelli, cui le fai dire, quante messe vorrai... Eh! cento franchi al mese, in lire?". "Far quello che vorrai, padre mio." "Signorina," disse il notaio, " mio dovere farvi osservare che voi vi private...". "Eh! mio Dio," fece lei, "che cosa me ne importa?". "Taci, Cruchot. - detto, detto," esclam Grandet prendendo la mano della figlia e battendoci sopra con la sua, "Eugnie, tu non cambierai idea, tu sei una ragazza onesta, eh?". "Oh! padre mio...". Egli la baci con trasporto, la strinse fra le braccia fin quasi a soffocarla.
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"Figlia mia, tu dai la vita a tuo padre; per gli restituisci quello che lui ti ha dato: siamo pari. Ecco come devono farsi gli affari. La vita un affare. Io ti benedico! Tu sei una ragazza virtuosa, che vuol bene al suo pap. E ora fa' quello che vuoi. - A domani, Cruchot," disse guardando il notaio allibito. "Ci vedremo per l'atto di rinuncia alla cancelleria del tribunale." L'indomani, verso mezzogiorno, venne firmata la dichiarazione con la quale Eugnie decideva di privarsi di tutto. Tuttavia, nonostante la parola data, il vecchio bottaio, alla fine del primo anno, non aveva ancora sborsato un soldo dei cento franchi mensili solennemente promessi alla figlia. Perci, quando Eugnie gliene parl senza dare importanza alla cosa, non pot fare a meno di arrossire; sal in fretta nel suo studio, torn, e le present circa un terzo dei gioielli che aveva preso al nipote. "Tieni, piccola," disse con un tono ironico, "vuoi questi per i tuoi mille e duecento franchi?". "Oh! padre mio, davvero me li dai?". "Te ne dar altrettanti l'anno prossimo," disse gettandoglieli nel grembiule. "Cos, in poco tempo, avrai tutti i suoi ciondoli," aggiunse fregandosi le mani, felice di poter speculare sui sentimenti della figlia. Nondimeno, il vecchio, sebbene ancora robusto, sent la necessit di mettere la ragazza a parte dei segreti della famiglia. Per due anni consecutivi, volle che fosse lei a ordinare in sua presenza i pasti, e ricevere gli affitti. Le insegn poco per volta i nomi e l'estensione delle vigne e dei poderi. Intorno al terzo anno, l'aveva abituata cos bene a tutte le sue avarizie, gliele aveva inculcate cos bene, che le affid senza timore le chiavi della dispensa, e ne fece la padrona di casa. Passarono cinque anni senza che alcun avvenimento segnasse l'esistenza monotona di Eugnie e del padre. Sempre gli stessi gesti compiuti con la regolarit cronometrica della vecchia pendola. La profonda malinconia di Mlle Grandet non era un mistero per nessuno; ma, se chiunque poteva intuirne la causa, mai una parola pronunciata da lei giustific i sospetti che tutti a Saumur nutrivano sui sentimenti della ricca ereditiera. La sua sola compagnia era formata dai tre Cruchot e da qualche amico che essi avevano senza parere introdotto nella casa. Le avevano insegnato a giocare a whist, e venivano tutte le sere a fare la partita. Nell'anno 1827, il padre, sentendo il peso delle sue infermit, fu costretto a iniziarla ai segreti del suo patrimonio immobiliare, e le diceva di rivolgersi, in caso di difficolt, al notaio Cruchot, di cui egli conosceva la probit. Poi,
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verso la fine di quell'anno, il brav'uomo, che aveva ottantadue anni, venne finalmente colpito da una paralisi che fece rapidi progressi. Grandet fu condannato da M. Bergerin. Pensando che di l a poco sarebbe rimasta sola al mondo, Eugnie si strinse, per cos dire, pi vicino al padre e rinsald quell'ultimo anello di affetto. Nei suoi pensieri, come in quelli di tutte le donne che amano, l'amore era il mondo intero, e Charles non era l. Ella fu sublime nelle premure e nelle attenzioni per il vecchio padre, le cui facolt cominciavano a scemare, ma la cui avarizia era sostenuta dall'istinto. Perci la morte di quell'uomo non sconvolse la sua vita. La mattina, egli si faceva mettere fra il camino della camera e la porta del suo studio, senza dubbio pieno d'oro. Restava l incapace di muoversi, ma guardava con ansia quelli che venivano a trovarlo e la porta rinforzata di ferro. Voleva sapere la cagione dei pi piccoli rumori che udiva; e, con grande stupore del notaio, sentiva gli sbadigli del cane in cortile. Si riscuoteva da quello stato di apparente stupore nel giorno e nell'ora in cui bisognava incassare gli affitti, fare i conti con i vignaioli, o rilasciare delle ricevute. Allora spostava la poltrona a rotelle in modo da trovarsi davanti alla porta dello studio. La faceva aprire dalla figlia, e si accertava che ella stessa collocasse i sacchi di denaro gli uni sugli altri e che poi chiudesse bene la porta. Poi tornava in silenzio al suo posto non appena la figlia gli aveva restituito la preziosa chiave, che teneva sempre nel taschino del gil, dove di quando in quando la tastava. D'altra parte, il suo vecchio amico, il notaio, convinto che la ricca ereditiera non avrebbe potuto non sposare il presidente suo nipote, se Charles Grandet non tornava, raddoppi le premure e le attenzioni: tutti i giorni veniva a mettersi a disposizione di Grandet, e quando questi glielo chiedeva andava a Froidfond, sulle terre, sui prati, nei vigneti, vendeva i raccolti, e tramutava tutto in oro e in argento che andavano a raggiungere i sacchi ammucchiati nello studio. Arrivarono poi i giorni dell'agonia, durante i quali la forte struttura del brav'uomo lott contro la distruzione. Volle rimanere seduto accanto al fuoco, davanti alla porta del suo studio. Attirava a s e arrotolava tutte le coperte che gli mettevano addosso, e diceva a Nanon: "Chiudi, chiudi, non voglio che mi derubino." Quando riusciva ad aprire gli occhi, l'unica parte viva di lui, li voltava subito verso la porta dello studio dov'erano i suoi tesori e diceva alla figlia: "Ci sono? ci sono?" e nel tono della voce si avvertiva una specie di timor panico. "S, padre mio."
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"Sorveglia l'oro!... mettimi qui davanti dell'oro!". Eugnie gli sciorinava dei luigi su un tavolo, e lui rimaneva per ore intere con gli occhi fissi sui luigi, come un bambino che, nel momento in cui comincia a vedere, rimane inebetito a guardare sempre la stessa cosa; e, proprio come un bambino, accennava un sorriso penoso. "Questo mi riscalda!" diceva talvolta mentre sul suo viso appariva un'espressione beata. Quando il parroco venne a somministrargli i sacramenti, i suoi occhi, in apparenza spenti da qualche ora, si rianimarono alla vista della croce, dei candelieri, dell'acquasantiera d'argento che guard a lungo, e mosse per l'ultima volta la sua verruca. Quando il prete gli avvicin alle labbra il crocifisso dorato per fargli baciare l'immagine del Cristo, egli fece un gesto spaventoso per afferrarlo e quest'ultimo sforzo gli cost la vita. Chiam Eugnie, che non vedeva, bench fosse inginocchiata davanti a lui e bagnasse di lacrime una mano gi fredda. "Padre mio, beneditemi," chiese lei. "Abbi cura di tutto! Me ne renderai conto laggi," dimostrando con quest'ultima parola che il cristianesimo deve essere la religione degli avari. Eugnie Grandet si trov dunque sola in quella grande casa e non avendo altri che Nanon cui gettare uno sguardo con la certezza di essere intesa e compresa, Nanon, il solo essere che l'amasse per se stessa e con la quale poteva parlare dei suoi dolori. La grande Nanon era una provvidenza per Eugnie. Cos non fu pi una serva, ma un'umile amica. Dopo la morte del padre, Eugnie apprese dal notaio Cruchot che possedeva trecento mila lire di rendita terriera nel circondario di Saumur, sei milioni investiti al tre per cento in titoli acquistati a sessanta franchi e che valevano in quel momento settantasette franchi; pi due milioni in oro e centomila franchi in scudi, senza contare i canoni arretrati da riscuotere. La stima totale dei suoi beni era di diciassette milioni. "Dov' mio cugino?" si chiedeva Eugnie. Il giorno in cui il notaio Cruchot consegn alla sua cliente un rapporto sull'eredit, divenuta chiara e non soggetta a contestazioni, Eugnie rimase sola con Nanon, sedute l'una e l'altra ai due lati del camino in quella sala cos vuota, dove tutto era un ricordo, dalla sedia rialzata sulla quale si sedeva sua madre al bicchiere nel quale aveva bevuto il cugino. "Siamo sole, Nanon!". "S, signorina; se sapessi dov' quel tesorino, andrei a cercarlo a piedi." "C' il mare fra di noi," disse lei.
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Mentre la povera ereditiera piangeva in compagnia della vecchia domestica, in quella casa fredda e scura che per lei era tutto l'universo, da Nantes a Orlans non si parlava d'altro che dei diciassette milioni di Mlle Grandet. Uno dei suoi primi atti fu quello di assegnare una rendita vitalizia di milleduecento franchi a Nanon, la quale, poich possedeva altri seicento franchi, divent un bel partito. In meno di un mese, pass dalla condizione di ragazza a quella di donna, sotto la protezione di Antoine Cornoiller, che fu nominato sorvegliante generale delle terre e propriet di Mlle Grandet. Mme Cornoiller aveva sulle sue coetanee un grande vantaggio. Sebbene avesse cinquantanove anni non ne dimostrava pi di quaranta. I suoi lineamenti grossolani avevano resistito agli attacchi del tempo. Grazie a un regime di vita monastica, ella sfidava la vecchiaia con un bel colorito e con una salute di ferro. Aveva i vantaggi della bruttezza, e appariva grossa, grassa, forte, con sul viso un'aria di felicit che indusse qualcuno a indiviare la sorte di Cornoiller. "Ha un bel colorito," diceva il drappiere. " ancora capace di fare dei figli," disse il mercante di sale; "si conservata come in salamoia, con rispetto parlando." " ricca, e Cornoiller ha fatto un bel colpo," diceva un altro vicino. Uscendo dalla vecchia casa, Nanon che era amata da tutto il vicinato, ricevette solo complimenti mentre scendeva la strada tortuosa per andare in parrocchia. Come regalo di nozze, Eugnie le diede tre dozzine di posate. Cornoiller, sorpreso da tanta generosit, parlava della padrona con le lacrime agli occhi: si sarebbe fatto squartare per lei. Divenuta la confidente di Eugnie, Mme Cornoiller ebbe da allora una felicit uguale a quella di possedere un marito. Aveva finalmente una dispensa da aprire e chiudere, delle provviste da prendere al mattino, come faceva il suo defunto padrone. Poi dovette dirigere due domestiche, una cuoca e una cameriera, incaricata di tenere in ordine la biancheria di casa e di confezionare gli abiti della signorina. Cornoiller cumul le funzioni di sorvegliante e di intendente. Inutile dire che la cuoca e la cameriera scelte da Nanon erano delle vere perle. Mlle Grandet ebbe cos quattro servitori la cui devozione era illimitata. I fittavoli non notarono alcuna differenza dopo la morte del brav'uomo, poich costui aveva stabilito rigidi usi e costumi nella amministrazione, che fu continuata con scrupolo da M. e Mme Cornoiller. A trentatr anni Eugnie non conosceva ancora le felicit dell'esistenza. La sua infanzia, sbiadita e triste, era trascorsa accanto a una madre il cui cuore misconosciuto, offeso, aveva sempre sofferto. Abbandonando con
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gioia la vita, questa madre compianse la figlia che doveva vivere, e le lasci nell'animo lievi rimorsi e rimpianti eterni. Il primo, il solo amore era per Eugnie un motivo di malinconia. Dopo aver intravisto il suo amante per qualche giorno, gli aveva dato il proprio cuore fra due baci furtivamente accettati e resi; poi egli era partito, frapponendo fra loro due il mondo. Questo amore, maledetto dal padre, le era quasi costato la madre, e le procurava solo dolore mescolato a qualche fragile speranza. Perci, fino ad allora, ella aveva rincorso la felicit consumando le sue forze senza rinnovarle. Nella vita spirituale, come in quella fisica, esiste un'inspirazione e un'espirazione: l'anima ha bisogno di assorbire i sentimenti di un'altra anima, di assimilarli per poi restituirli arricchiti. Senza questo bel fenomeno umano, il cuore non ha vita; gli manca l'aria, soffre e deperisce. Eugnie cominciava a soffrire. Per lei la ricchezza non significava potere e neppure consolazione; ella poteva esistere solo grazie all'amore, alla religione, alla fede nell'avvenire. L'amore le faceva capire l'eternit. Il cuore e il Vangelo le mostravano due mondi che l'attendevano. Notte e giorno era immersa in due pensieri infiniti, che per lei forse erano un tutto unico. Si ritirava in se stessa, amando e credendosi amata. Dopo sette anni, la sua passione aveva invaso tutto. I suoi tesori non erano i milioni i cui interessi si accumulavano, ma il cofanetto di Charles, ma i due ritratti appesi sul suo letto, ma i gioielli ricomprati al padre, e disposti orgogliosamente su uno strato di ovatta in un tiretto del cassone; ma il ditale della zia usato da sua madre, e che, tutti i giorni, ella prendeva religiosamente per lavorare a un ricamo, una tela di Penelope, intrapreso solo per poter infilare al dito quell'oggetto d'oro carico di ricordi. Non sembrava verosimile che Mlle Grandet decidesse di sposarsi durante il lutto. La sua profonda piet era nota. Perci la famiglia Cruchot, la cui politica era saggiamente orchestrata dal vecchio sacerdote, si accontentava di circuire l'ereditiera con le premure pi affettuose. Tutte le sere, la sala della sua casa si riempiva con una compagnia formata dai pi ferventi e devoti cruchottiani del paese, i quali non facevano che cantare su tutti i toni le lodi dell'ospite. Ella aveva il medico personale, il grande elemosiniere, il ciambellano, la prima dama di compagnia, il primo ministro, e soprattutto il cancelliere, un cancelliere che voleva consigliarla su ogni cosa. Se l'ereditiera avesse desiderato un caudatario, gliene avrebbero trovato uno. Era una regina, e la pi abilmente adulata di tutte le regine. L'adulazione non viene mai dalle anime grandi ma appannaggio di quelle meschine,
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che riescono a rimpicciolirsi ancora di pi per entrare meglio nella sfera vitale della persona attorno alla quale gravitano. L'adulazione presuppone un interesse. E cos le persone che ogni sera andavano ad affollare la sala di Mlle Grandet, che loro chiamavano Mlle de Froidfond, riuscivano meravigliosamente bene a ricoprirla di lodi. Questo concerto di elogi, nuovo per Eugnie, dapprima la fece arrossire; ma a poco a poco, anche se certi complimenti erano smaccati, le orecchie le si abituarono cos bene a sentir vantare la sua bellezza, che se un nuovo venuto l'avesse trovata brutta, ella sarebbe stata pi sensibile a questa critica di quanto avrebbe potuto esserlo otto anni prima. Poi Eugnie fin per amare queste dolcezze che segretamente deponeva ai piedi del suo idolo. Si abitu quindi per gradi a essere trattata come una sovrana e a vedere la sua corte affollata tutte le sere. Il signor presidente de Bonfons era l'eroe di questo piccolo circolo, dove si vantavano senza posa il suo spirito, la sua persona, la sua istruzione, la sua amabilit. Uno faceva notare che, negli ultimi sette anni, egli aveva accresciuto di molto il suo patrimonio; che Bonfons valeva almeno diecimila franchi di rendita e le terre erano, come tutte quelle dei Cruchot, circondate da quelle dell'ereditiera. "Sapete, signorina," diceva un visitatore abituale, "i Cruchot dispongono di rendite per quarantamila lire!" "E delle loro economie," soggiungeva una vecchia cruchottiana, Mlle de Gribeaucourt. "Un signore di Parigi venuto nei giorni scorsi a offrire a M. Cruchot duecentomila franchi per il suo studio. Deve venderlo, per esser nominato giudice di pace." "Vuole succedere a M. de Bonfons nella presidenza del tribunale, e quindi deve fare i suoi passi," rispose Mme d'Orsonval; "perch il signor presidente diventer consigliere, e poi presidente di corte d'appello; ha troppi meriti per non arrivarci." "S, un uomo notevole," diceva un altro. "Non trovate, signorina?" Il signor presidente era costretto a mettersi all'altezza del ruolo che voleva sostenere. Malgrado i quaranta anni, malgrado il viso scuro e arcigno, appassito come lo sono quasi tutte le facce dei magistrati, si vestiva da giovanotto, giocherellava con un bastoncino, non tabaccava in casa di Mlle de Froidfond, vi arrivava sempre in cravatta bianca, e con una camicia la cui pettorina gli conferiva una certa rassomiglianza con le creature del genere tacchino. Parlava con un tono familiare all'ereditiera, e le diceva: "La nostra cara Eugnie." Insomma, a parte il numero delle persone, se si sostituisce alla tombola il whist, se si eliminano i volti di M.
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e Mme Grandet, la scena con cui cominci questa storia era press'a poco la stessa. La muta braccava sempre Eugnie e i suoi milioni; ma, pi numerosa, abbaiava meglio e circondava la preda con maggior abilit. Se Charles fosse tornato dalle lontane Indie, avrebbe ritrovato gli stessi personaggi e gli stessi interessi. Mme des Grassins, per la quale Eugnie era una perfezione di grazia e di bont, continuava a tormentare i Cruchot. Ma allora, come un tempo, la figura di Eugnie dominava il quadro, come un tempo Charles sarebbe stato ancora il sovrano. Tuttavia, c'era un progresso. Il mazzo di fiori che una volta il presidente offriva a Eugnie per il compleanno era diventato una regola. Tutte le sere, egli portava alla ricca ereditiera un grande e magnifico mazzo che Mme Cornoiller metteva ostentatamente in un vaso, e gettava di nascosto in un angolo del cortile non appena i visitatori se ne erano andati. All'inizio della primavera, Mme des Grassins cerc di turbare la felicit dei cruchottiani parlando a Eugnie del marchese di Froidfond, il cui casato in rovina avrebbe potuto risollevarsi se l'ereditiera avesse voluto restituirgli le terre attraverso un contratto di matrimonio. Mme des Grassins sbandierava il titolo di pari e il marchesato, e, prendendo il sorriso sdegnoso di Eugnie per un'approvazione, andava dicendo che il matrimonio del signor presidente Cruchot non era cos fatto come si credeva. "Sebbene M. de Froidfond abbia cinquant'anni" diceva, "non sembra pi vecchio di M. Cruchot; vedovo, ha figli, vero, ma marchese, sar pari di Francia, e, con i tempi che corrono, trovatemi un partito di questo calibro. So per certo che pap Grandet, quando riun le sue terre a quelle di Froidfond, aveva intenzione di imparentarsi con i Froidfond. Me l'ha detto spesso. Era furbo il brav'uomo." "Come mai, Nanon," disse una sera Eugnie coricandosi, "non mi ha scritto una volta in sette anni?...". Mentre a Saumur accadevano queste cose, Charles faceva fortuna nelle Indie. Innanzi tutto era riuscito a vendere bene la sua paccottiglia. In breve tempo aveva realizzato una somma di seimila dollari. Il battesimo dell'equatore gli aveva fatto perdere molti pregiudizi, si rese conto che il modo migliore per raggiungere la ricchezza nelle regioni equatoriali, come del resto in Europa, era quello di acquistare e vendere uomini. And cos sulle coste dell'Africa e fece la tratta dei negri, unendo al commercio d'uomini quello delle mercanzie pi vantaggiose da scambiare sui diversi mercati dove lo portavano i suoi interessi. Si dedicava agli affari con un
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impegno che non gli lasciava un momento libero. Era ossessionato dall'idea di riapparire a Parigi nello splendore di una immensa ricchezza, e di conquistare una posizione ancora pi brillante di quella dalla quale era precipitato. A forza di frequentare uomini e paesi, di osservarne i costumi contrastanti, le sue idee si modificarono ed egli divent scettico. Non ebbe pi un'idea precisa sul giusto e l'ingiusto, vedendo reputare crimine in un paese ci che era virt in un altro. Sempre a contatto con l'interesse, il suo cuore si fece gelido, chiuso, arido. Il sangue dei Grandet non ment, Charles divent duro, avido di guadagni. Vendette cinesi, negri, nidi di rondine, bambini, artisti; pratic l'usura in grande. L'abitudine a frodare i diritti di dogana lo rese meno scrupoloso sui diritti degli uomini. Andava a Saint-Thomas a comperare a basso prezzo le merci depredate dai pirati e le portava sulle piazze dove scarseggiavano. Se la nobile e pura immagine di Eugnie lo accompagn durante il primo viaggio, come l'immagine della Vergine che i marinai spagnoli collocano sulle navi, e se attribu i primi successi alla magica influenza dei voti e delle preghiere di quella dolce fanciulla, pi tardi, le negre, le mulatte, le bianche, le giavanesi, le almee, le orge di ogni colore e le avventure che ebbe in diversi paesi cancellarono completamente il ricordo della cugina, di Saumur, della casa, della panchina, del bacio carpito nel corridoio. Ricordava solo il giardinetto chiuso da vecchi muri, perch l era incominciato il suo rischioso destino; ma rinnegava la famiglia: lo zio era un vecchio cane che lo aveva derubato dei gioielli; Eugnie non occupava n il suo cuore n i suoi pensieri, occupava solo un posto negli affari come creditrice della somma di seimila franchi. Questo genere di vita e queste idee spiegano il silenzio di Charles Grandet. Nelle Indie, a Saint-Thomas, sulla costa dell'Africa, a Lisbona e negli Stati Uniti, lo speculatore aveva assunto, per non compromettere il suo nome, lo pseudonimo di Sepherd. Carl Sepherd poteva senza rischio mostrarsi ovunque infaticabile, audace, avido, come un uomo che, deciso a fare fortuna quibuscumque viis, abbia fretta di finirla con l'infamia per rimanere un'onest'uomo durante il resto dei suoi giorni. Con questo sistema la sua fortuna fu rapida e brillante. Nel 1827 quindi, torn a Bordeaux sul bel brigantino MarieCaroline, appartenente a una ditta commerciale realista. Possedeva un milione e novecentomila franchi in tre solidi barili pieni di polvere d'oro, dalla vendita dei quali a Parigi contava di guadagnare un sette o otto per cento. Su quel brigantino viaggiava anche un gentiluomo onorario di camera di
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Sua Maest il re Carlo X, M. d'Aubrion, un buon vecchio che aveva fatto la sciocchezza di sposare una donna di mondo, e il cui patrimonio era nelle Antille. Per sopperire alle prodigalit di Mme d'Aubrion, era andato a vendere i suoi terreni. M e Mme d'Aubron, della casa d'Aubrion di Buch, il cui ultimo signore era morto prima del 1789, ridotti a una ventina di migliaia di lire di rendita, avevano una figlia piuttosto brutta che la madre voleva maritare senza dote, poich le sue entrate le consentivano a mala pena di vivere a Parigi. Era un'impresa il cui successo sarebbe sembrato problematico a tutte le persone di un certo ambiente, malgrado l'abilit che si attribuisce alle donne di mondo. Perci la stessa Mme d'Aubrion quasi disperava, guardando la figlia, di riuscire ad affibbiarla a qualcuno, fosse anche un uomo con la mania della nobilt. Mlle d'Aubrion era una signorina lunga, magra, gracile, con una bocca sdegnosa, sulla quale scendeva un naso troppo lungo, grosso in punta, colorito allo stato normale, ma completamente rosso dopo i pasti, una specie di fenomeno vegetale che era tanto pi sgradevole in quanto quel naso si trovava in mezzo a un viso pallido e annoiato. Insomma, Mlle d'Aubrion era come poteva desiderarla una madre di trentotto anni che, ancora bella, continuava ad avere delle pretese. Ma, per controbilanciare simili svantaggi la marchesa d'Aubrion aveva dato alla figlia un'aria molto distinta, l'aveva sottoposta a un regime che per il momento conservava il naso su una gradazione di colorito ragionevole, le aveva appreso l'arte di abbigliarsi con gusto, l'aveva dotata di modi piacevoli, le aveva insegnato quegli sguardi malinconici che interessano un uomo e gli fanno credere di essere sul punto di incontrare l'angelo vanamente cercato; le aveva mostrato come muovere il piede per farne ammirare la piccolezza nel momento in cui il naso aveva l'impertinenza di arrossire; insomma Mme d'Aubrion aveva fatto sulla figlia un buon lavoro. Grazie a maniche larghe, corsetti mentitori, abiti gonfi e ben guarniti, e a un bustino strettissimo, ella aveva ottenuto dei prodotti femminili cos insoliti che, per l'istruzione delle madri, avrebbe dovuto esporli in un museo. Charles si leg molto a Mme d'Aubrion, precisamente come Mme d'Aubrion voleva legarsi a lui. Molte persone sostengono addirittura che, durante la traversata, la bella Mme d'Aubrion non trascur alcun mezzo per catturare un genero cos ricco. Quando sbarcarono a Bordeaux, nel giugno del 1827, M., Mme e Mlle d'Aubrion e Charles scesero nello stesso albergo e partirono insieme per Parigi. Il palazzo d'Aubrion era pieno di ipoteche, Charles doveva liberarlo. La
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madre aveva detto che sarebbe stata felice di cedere il suo piano rialzato al genero e alla figlia. Non condividendo le fisime di M. d'Aubrion sulla nobilt, ella aveva promesso a Charles Grandet di ottenere dal buon Carlo X un'ordinanza reale che lo autorizzasse, lui Grandet, a portare il nome d'Aubrion, a prenderne il blasone, e a succedere, in cambio della costituzione di un maggiorasco con trentaseimila lire di rendita, ad Aubrion nel titolo di signore di Buch e marchese d'Aubrion. Riunendo le loro fortune, vivendo in buon accordo, grazie ad alcune sinecure, si potevano mettere insieme a palazzo d'Aubrion oltre centomila lire di rendita. "E quando si hanno centomila lire di rendita, un nome, una famiglia, quando si va a corte poich io vi far nominare gentiluomo di camera, si diventa ci che si vuole," diceva Mme d'Aubrion a Charles. "Perci potrete diventare, a vostra scelta, relatore al consiglio di stato, prefetto, segretario d'ambasciata, ambasciatore. Carlo X ama molto d'Aubrion, si conoscono fin da bambini." Inebriato di ambizione da questa donna, Charles, durante la traversata aveva accarezzato tutte queste speranze che gli erano state presentate da una mano abile e sotto forma di confidenze da cuore a cuore. Convinto che gli affari di suo padre fossero stati sistemati dallo zio, si vedeva installato nel faubourg Saint-Germain, l'aspirazione di tutti, dove all'ombra nel naso paonazzo di Mlle Mathilde, sarebbe riapparso quale conte d'Aubrion. Esaltato dalle fortune della Restaurazione, che aveva lasciato vacillante, conquistato dallo smalto delle idee aristocratiche, la sua ebbrezza cominciata sul battello continu a Parigi, dove decise di fare il possibile per arrivare a quell'alta posizione che la suocera egoista gli faceva intravedere. Sua cugina non era quindi per lui che un punto nello spazio di questa brillante prospettiva. Rivide Annette. Da donna di mondo, Annette gli consigli vivamente di contrarre quel matrimonio, e gli garant il proprio appoggio in tutte le sue ambiziose imprese. Annette era felice di far sposare una signorina brutta e noiosa a Charles, che il soggiorno nelle Indie aveva reso molto seducente: il colorito era pi abbronzato, i modi erano diventati pi decisi, arditi, come lo sono quelli degli uomini abituati a risolvere, a dominare, a riuscire. Charles respirava meglio a Parigi vedendo che poteva sostenervi un ruolo. Des Grassins avendo saputo del suo ritorno, del suo imminente matrimonio, della sua ricchezza, and a trovarlo per parlargli dei trecentomila franchi con i quali avrebbe potuto saldare i debiti del padre. Trov Charles in compagnia del gioielliere al quale aveva ordinato il regalo di nozze per
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Mlle d'Aubrion, e che era venuto a fargli vedere i disegni. Malgrado i magnifici diamanti che Charles aveva portato dalle Indie, le montature, l'argenteria, i gioielli solidi e futili della giovane coppia ammontavano a pi di duecentomila franchi. Charles ricevette des Grassins, che non riconobbe, con l'impertinenza del giovane di mondo che, nelle Indie, aveva ucciso quattro uomini in quattro differenti duelli. M. des Grassins era gi venuto tre volte. Charles lo ascolt con distacco; poi gli rispose, senza aver ben capito ci che gli aveva detto: "Gli affari di mio padre, non sono i miei. Vi sono obbligato, signore, per l'interesse che vi avete dedicato ma del quale non posso approfittare. Non ho messo insieme col sudore della fronte quasi due milioni per gettarli in pasto ai creditori di mio padre." "E se, di qui a qualche giorno, il vostro signor padre fosse dichiarato fallito?". "Signore, di qui a qualche giorno io mi chiamer conte d'Aubrion. Capite bene che la cosa mi sarebbe del tutto indifferente. Del resto, voi sapete meglio di me che, quando un uomo ha centomila lire di rendita, suo padre non fallisce mai," aggiunse spingendo cortesemente il signor des Grassins verso la porta. All'inizio del mese di agosto di quell'anno, Eugnie era seduta sulla panchina di legno dove il cugino le aveva giurato eterno amore, e dove ella veniva a fare colazione quando era bel tempo. La povera fanciulla si compiaceva in quei momenti, nell'aria fresca e lieta del mattino, di riandare con la memoria ai grandi, ai piccoli avvenimenti del suo amore, e alle catastrofi che lo avevano accompagnato. Il sole rischiarava il bel muro tutto crepato, quasi in rovina, che per ordine della bizzarra ereditiera non si poteva toccare, anche se Cornoiller ripeteva spesso alla moglie che prima o poi qualcuno ci sarebbe rimasto sotto. In quel momento il fattorino della posta buss, consegn una lettera a Mme Cornolller, che and in giardino gridando: "Signorina, una lettera!" La porse alla padrona dicendole: " quella che aspettavate?". Queste parole risuonarono con tanta forza nel cuore di Eugnie, da echeggiare davvero fra le mura del cortile e del giardino. "Parigi! sua! tornato!". Eugnie impallid, e per un momento tenne fra le mani la lettera senza aprirla. Era troppo turbata per riuscire a dissuggellarla e a leggerla. La grande Nanon rimase in piedi, le mani sulle anche, e la gioia sembrava le uscisse come una fumata dalle pieghe del volto bruno.
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"Avanti, leggete, signorina...". "Ah! Nanon, perch torna a Parigi, quando partito da Saumur?". "Leggete e lo saprete." Eugnie apri la lettera tremando. Ne cadde un mandato sulla banca Madame des Grassins e Corret, di Saumur. Nanon lo raccolse. "Mia cara cugina...". "Non sono pi Eugnie," pens lei; e sent una stretta al cuore. "Apprenderete...". "Mi dava del tu!". Incroci le braccia, senza aver pi la forza di leggere, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. " morto?" chiese Nanon. "Non avrebbe scritto!" disse Eugnie. E lesse tutta la lettera che segue: "Mia cara cugina, apprenderete, credo, con piacere, il successo delle mie imprese. Voi mi avete portato fortuna, sono tornato ricco, e ho seguito i consigli di mio zio. Ho appena appreso da M. des Grassins la notizia della sua morte e di quella della zia. La morte dei genitori nell'ordine naturale, e a noi tocca succedergli. Spero che ormai vi siate fatta una ragione. Niente resiste al tempo, io ne sono una prova. Si, mia cara cugina, purtroppo per me il tempo delle illusioni passato. Che volete! viaggiando attraverso molti paesi, ho riflettuto sulla vita. Sono partito che ero un ragazzo, ritorno uomo. Oggi penso a molte cose alle quali un tempo non pensavo. Voi siete libera, cugina, e io sono ancora libero; nulla impedisce, in apparenza, la realizzazione dei nostri progetti; ma sono troppo leale per nascondervi la mia situazione. Non ho dimenticato che non mi appartengo; mi sono sempre ricordato, durante le mie lunghe traversate, della panchina di legno...". Eugnie si alz come se fosse stata su dei carboni ardenti, e and a sedersi sui gradini del cortile. "... Della panchina di legno sulla quale abbiamo giurato di amarci per sempre; del corridoio, della sala grigia, della mia camera nella mansarda, e della notte in cui, con delicatezza, mi avete reso pi facile l'avvenire. S, questi ricordi mi hanno dato coraggio, e mi sono detto che voi pensavate sempre a me, come io pensavo a voi, nell'ora stabilita fra di noi. Avete guardato le nuvole alle nove? S, vero? Perci, non voglio tradire un'amicizia che per me sacra; no, non devo ingannarvi. Si tratta, in questo
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momento, per me, di un'unione che soddisfa tutte le idee che mi sono fatto sul matrimonio. L'amore, nel matrimonio, una chimera. Oggi, l'esperienza mi dice che bisogna sottostare alle leggi della societ e riunire nel matrimonio tutte le convenienze volute dal mondo. Ora, c' fra noi una differenza d'et che, forse, potrebbe pesare di pi sul vostro avvenire, cara cugina, che sul mio. Non voglio parlare dei vostri costumi n della vostra educazione n delle vostre abitudini che sono quanto mai lontani dalla vita di Parigi e non si accorderebbero per nulla con i miei progetti. Ho in mente di tenere un elevato tenore di vita, di ricevere molta gente, e credo di ricordare che voi amate una vita dolce e tranquilla. No, sar franco, e lascer a voi giudicare la mia situazione; avete diritto di conoscerla e di giudicarla. Oggi, possiedo ottantamila lire di rendita. Questa fortuna, mi permette di imparentarmi con la famiglia d'Aubrion, la cui erede, una giovane di diciannove anni, mi porta in dote il suo nome, un titolo, la carica di gentiluomo onorario di camera di Sua Maest e una posizione fra le pi brillanti. Vi confesser, cara cugina, che non amo affatto Mlle d'Aubrion, ma con questo matrimonio assicuro ai miei figli una posizione sociale i cui vantaggi saranno un giorno incalcolabili: le idee monarchiche riacquistano sempre pi favore. Perci, fra alcuni anni, mio figlio, divenuto marchese d'Aubrion, con un maggiorasco di quarantamila lire di rendita, potr prendere nello stato quel posto che riterr pi conveniente. Abbiamo il dovere di pensare ai nostri figli. Vedete, cugina mia, con quanta schiettezza vi espongo lo stato del mio cuore, delle mie speranze, della mia fortuna. possibile che, da parte vostra, voi abbiate dimenticato le nostre puerilit dopo sette anni di lontananza; io non ho dimenticato n la vostra indulgenza n le mie parole; me le ricordo tutte, anche quelle dette con leggerezza, alle quali un giovane meno coscienzioso di me, con un cuore meno giovane e meno onesto, non dedicherebbe nemmeno un pensiero. Dicendovi che intendo solo fare un matrimonio di convenienza, e che mi ricordo ancora dei nostri amori da ragazzi, penso di rimettermi interamente a vostra discrezione, di rendervi arbitra della mia sorte, e di dirvi che, se dovessi rinunciare alle mie ambizioni sociali mi contenterei volentieri di quella pura e semplice felicit di cui mi avete offerto immagini tanto toccanti...". "Tan ta ta. - Tan ta ti. Tin ta ta. - Tun! - Tun ta ti. - Tiun ta ta... ecc." aveva canticchiato Charles Grandet sull'aria di Non pi andrai, mentre firmava:
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"Vostro devoto cugino, CHARLES." "Per mille fulmini! questo significa comportarsi bene," si disse. Poi aveva preso il mandato, e aveva aggiunto queste righe: "P.S. - Unisco alla lettera un mandato sulla banca des Grassins di ottomila franchi all'ordine vostro, pagabile in oro e comprendente capitale e interessi della somma che avete avuto la bont di prestarmi. Aspetto da Bordeaux una cassa contenente degli oggetti che mi permettete di offrirvi a testimonianza della mia eterna riconoscenza. Potete spedirmi con la diligenza il mio ncessaire a palazzo d'Aubrion, rue HillerinBertin." "Con la diligenza!" disse Eugnie. "Una cosa per la quale avrei dato mille volte la vita!". Disastro spaventoso e totale. La nave affondava senza lasciare nemmeno un relitto, sul vasto oceano della speranza. Vedendosi abbandonate, certe donne vanno a strappare l'amante dalle braccia di una rivale, lo uccidono e fuggono in capo al mondo, sul patibolo o nella tomba. Questo bello, non v' dubbio; il movente di un simile delitto una sublime passione che mette in imbarazzo la giustizia umana. Altre donne abbassano il capo e soffrono in silenzio; se ne vanno morenti e rassegnate, piangono e perdonano, pregano e ricordano fino all'ultimo anelito. Questo amore, amore vero, l'amore degli angeli, l'amore fiero che vive del suo dolore e ne muore. Fu ci che prov Eugnie dopo aver letto quella orribile lettera. Alz lo sguardo al cielo, pensando alle ultime parole della madre, che, come certi moribondi, aveva penetrato il futuro con occhio acuto e lucido; poi Eugnie, ricordando quella morte e quella vita profetica, misur con un colpo d'occhio il suo destino. Ella non doveva fare altro che spiegare le ali, tendere verso il cielo, e vivere in preghiera fino al giorno della liberazione. "Mia madre aveva ragione," disse piangendo. "Soffrire e morire." A passi lenti lasci il giardino e and in sala. Contrariamente alle sue abitudini, non pass dal corridoio; ma in quel vecchio salone grigio ritrov il ricordo del cugino, sul camino dove stava un certo piatto del quale, insieme con la vecchia zuccheriera di Svres, ella si serviva tutte le mattine per la colazione di Charles. Quella mattinata doveva essere importante e piena di avvenimenti per lei. Nanon le annunci il parroco. Questo sacerdote, parente dei Cruchot, stava dalla parte del presidente de Bonfons. Qualche giorno prima, il vecchio padre Cruchot lo aveva convinto a parlare
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a Mlle Grandet, in un senso puramente religioso, dell'obbligo che ella aveva di contrarre matrimonio. Vedendo il parroco, Eugnie pens che venisse a prendere i mille franchi che ella dava ogni mese ai poveri, e disse a Nanon di portarle il denaro; ma il parroco sorrise. "Oggi, signorina, vengo a parlarvi di una povera ragazza alla quale si interessa tutta la citt di Saumur, e che, per mancanza di carit verso se stessa, non vive cristianamente." "Mio Dio! signor parroco, mi trovo in un momento nel quale mi impossibile pensare al prossimo, sono troppo occupata da me stessa. Sono molto infelice, e il mio unico rifugio la chiesa, che ha un seno abbastanza grande per contenere i nostri dolori e sentimenti tanto fecondi ai quali possiamo attingere senza tema di prosciugarli." "Ebbene, signorina, occupandoci di questa fanciulla ci occuperemo di noi. Ascoltate! se volete il vostro bene, non avete che due vie da seguire: o lasciare il mondo o accettarne le leggi; obbedire al vostro destino terreno o al vostro destino celeste." "Ah! la vostra voce mi parla in un momento in cui volevo sentire una voce. S, Dio che vi manda, signore. Dir addio al mondo e vivr per Dio nel silenzio e nella solitudine." "Su una decisione cos drastica, figlia mia, bisogna riflettere a lungo. Il matrimonio vita, il velo morte." "Ebbene, la morte, la morte subito, signor parroco!" disse lei con uno slancio spaventoso. "La morte? Ma voi avete grandi obblighi verso la societ, signorina. Non siete forse la madre dei poveri ai quali date abiti, legna d'inverno e lavoro d'estate? La vostra grande ricchezza un prestito che bisogna restituire, ed in questo senso che voi l'avete santamente accettata. Seppellirvi in un convento, sarebbe egoismo; e non dovete nemmeno restare nubile. Eppoi, sareste capace di amministrare da sola la vostra immensa fortuna? Forse la perdereste. Vi trovereste coinvolta in mille cause e sareste tormentata da difficolt inestricabili. Credete al vostro pastore: uno sposo vi sar utile, voi dovete conservare ci che Dio vi ha dato. Vi parlo come a una pecorella diletta. Voi amate troppo sinceramente Dio per non fare il bene della vostra anima in mezzo al mondo, del quale siete uno dei pi begli ornamenti e al quale date edificanti esempi." In quel momento, Mme des Grassins si fece annunciare. Veniva spinta dalla vendetta e da una grande disperazione.
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"Signorina..." disse. "Ah! c' il signor parroco... Allora taccio, venivo per parlare d'affari, ma vedo che siete occupata." "Signora," disse il parroco, "vi lascio il campo libero." "Oh! signor parroco," disse Eugnie, "tornate fra poco, il vostro appoggio mi indispensabile in questo momento." "S, povera figliola," disse Mme des Grassins. "Che volete dire?" chiesero Mlle Grandet e il parroco. "Credete che non sappia del ritorno di vostro cugino, del suo matrimonio con Mlle d'Aubrion?... Una donna sta sempre con le orecchie dritte." Eugnie arross e non disse nulla; ma decise di fingere in futuro quella impassibilit che era una caratteristica di suo padre. "Ebbene, signora," rispose con ironia, "senza dubbio le mie orecchie non sono dritte, non capisco. Parlate pure davanti al signor parroco, voi sapete che il mio confessore." "Insomma, signorina, ecco quello che mi scrive des Grassins. Leggete." Eugnie lesse la lettera seguente: "Mia cara moglie, Charles Grandet tornato dalle Indie, a Parigi da un mese...". "Un mese!" si disse Eugnie lasciando cadere la mano che teneva la lettera. Dopo un momento riprese a leggere. "... Ho dovuto fare anticamera due volte prima di poter parlare al futuro conte d'Aubrion. Sebbene tutta Parigi parli del suo matrimonio e le pubblicazioni siano fatte...". "Mi ha scritto dunque nel momento in cui...?" si chiese Eugnie. Non termin la frase, non grid come avrebbe fatto una parigina: "Mascalzone!" Ma anche se non esternato, il disprezzo non fu meno profondo. "... Questo matrimonio lungi dall'essere concluso; il marchese d'Aubrion non dar sua figlia al figlio di un bancarottiere. Ero andato a dirgli quanto, suo zio e io, ci eravamo preoccupati degli affari del padre, e a informarlo delle abili manovre con le quali siamo riusciti a tenere tranquilli i creditori fino a oggi. Quel piccolo impertinente ha avuto la sfacciataggine di rispondermi, a me che, per cinque anni, mi sono dedicato giorno e notte ai suoi interessi e al suo onore, che gli affari del padre non erano i suoi! Un legale avrebbe il diritto di chiedergli da trenta a quarantamila franchi di onorari, l'uno per cento sulla somma dei debiti. Ma,
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pazienza, i creditori vantano ancora legittimamente un milione e duecentomila franchi, e io far dichiarare il fallimento di suo padre. Mi sono imbarcato in quest'affare sulla parola di quel vecchio marpione di Grandet, e ho fatto delle promesse a nome della famiglia. Se al signor conte d'Aubrion interessa poco il suo onore, a me interessa molto il mio. Quindi spiegher ai creditori la mia posizione. Tuttavia ho troppo rispetto per Mlle Eugnie, con la quale, in tempi pi felici, avevamo pensato di legarci, per passare all'azione prima che tu le abbia parlato di questa faccenda...". A questo punto, Eugnie restitui con freddezza la lettera senza finire di leggerla. "Vi ringrazio," disse a Mme des Grassins, "vedremo." "State parlando come vostro padre," disse Mme des Grassins. "Signora, dovete versarci ottomilacento franchi in oro," le disse Nanon. " vero; fatemi il favore di venire con me, Mme Cornoiller." "Signor parroco," disse Eugnie con un nobile sangue freddo che le veniva da ci che stava per dire, "sarebbe peccato se rimanessi in stato di verginit nel matrimonio?". " un caso di coscienza del quale non conosco la soluzione. Se volete sapere ci che ne pensa nella somma De matrimonio il celebre Sanchez, potr dirvelo domani." Uscito il parroco, Mlle Grandet sal nello studio del padre e vi pass la giornata da sola senza nemmeno scendere all'ora di cena, malgrado le insistenze di Nanon. Ricomparve la sera, all'ora in cui cominciavano ad arrivare i soliti frequentatori della casa. Mai la casa dei Grandet era stata cos piena di gente come in quella serata. La notizia del ritorno e dello sciocco tradimento di Charles si era sparsa in tutta la citt. Ma, la curiosit dei visitatori per quanto fosse acuta, rimase insoddisfatta. Eugnie, che se l'era aspettato, non lasci trapelare sul volto calmo alcuna delle crudeli emozioni che l'agitavano. Assunse un'espressione ridente per rispondere a coloro che vollero dimostrarle il loro interesse con sguardi o parole malinconiche. Insomma seppe dissimulare la propria infelicit sotto i veli della buona educazione. Verso le nove, le partite finivano, e i giocatori lasciavano i tavoli, regolavano i conti, discutevano sulle ultime mani di whist e andavano a raggiungere gli altri che conversavano. Nel momento in cui tutti si alzarono per andarsene, ci fu un colpo di scena che fece scalpore a Saumur, e successivamente nel circondario e nelle quattro prefetture limitrofe.
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"Restate, signor presidente," disse Eugnie a M. de Bonfons, quando lo vide prendere il bastone. A queste parole, non ci fu alcuno in quella numerosa compagnia che non si sentisse turbato. Il presidente impallid e dovette sedersi. "I milioni al presidente," disse Mlle de Gribeaucourt. " chiaro, il presidente de Bonfons sposa Mlle Grandet," esclam Mme d'Orsonval. "Ecco la migliore mano della serata," disse padre Cruchot. " un bello schleem," disse il notaio. Ognuno disse la sua, ognuno fece una battuta, tutti vedevano l'ereditiera in cima ai suoi milioni come su un piedestallo. Il dramma cominciato nove anni prima giungeva alla fine. Dire al presidente, davanti a tutta Saumur, di restare, non era come annunciare che voleva sposarlo? Nelle piccole citt, le convenienze vengono osservate in modo cos rigoroso, che una infrazione del genere equivale alla pi solenne delle promesse. "Signor presidente," gli disse Eugnie con voce emozionata, "io so ci che vi piace di me. Giurate di lasciarmi libera per il resto della mia vita, di non ricordarmi mai i diritti che il matrimonio vi dar su di me, e la mia mano vostra. Oh!" riprese vedendo che l'altro si buttava in ginocchio, "non ho finito. Non voglio ingannarvi, signore. Porto nel cuore un sentimento inestinguibile. L'amicizia sar il solo sentimento che potr accordare a mio marito: non voglio offenderlo e nemmeno contravvenire alle leggi del mio cuore. Voi avrete la mia mano e il mio patrimonio solo a prezzo di un immenso servizio." "Sono pronto a tutto," disse il presidente. "Ecco un milione e mezzo di franchi, signor presidente," disse lei tirando fuori dal seno un'attestazione per cento azioni della Banca di Francia, "partite per Parigi, non domani, non questa notte, ma in questo preciso istante. Recatevi da M. des Grassins, fatevi dare i nomi di tutti i creditori di mio zio, riuniteli, pagate tutto ci che grava sulla successione, capitale e interessi al cinque per cento dal giorno in cui fu contratto il debito fino a quello del rimborso, infine fatevi rilasciare una ricevuta generale compilata in buona forma da un notaio. Voi siete magistrato, mi fido di voi per quest'affare. Voi siete un uomo leale, un galantuomo; sulla vostra parola io sar disposta ad affrontare i pericoli della vita al riparo del vostro nome. Noi avremo l'uno per l'altra una reciproca indulgenza. Ci
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conosciamo da tanto tempo, siamo quasi parenti, non vorrete certo rendermi infelice." Il presidente cadde ai piedi della ricca ereditiera, ansimando per la gioia e l'angoscia. "Sar il vostro schiavo!" le disse. "Quando avrete la ricevuta, signore," riprese lei gettandogli un'occhiata gelida, "la porterete con tutti i titoli di credito a mio cugino Grandet, e gli consegnerete questa lettera. Al vostro ritorno, io manterr la mia parola." Il presidente cap che doveva Mlle Grandet a un dispetto amoroso; si affrett quindi a eseguire gli ordini con la massima prontezza, per evitare che fra i due amanti intervenisse una riconciliazione. Quando M. de Bonfons se ne fu andato, Eugnie si lasci andare su una poltrona e scoppi in lacrime. Tutto era consumato. Il presidente prese la diligenza e arriv a Parigi l'indomani sera. La mattina del giorno seguente and da des Grassins. Il magistrato convoc i creditori nello studio del notaio presso il quale erano depositati i titoli di credito, e nessuno manc all'appello. Bench fossero dei creditori, bisogna rendere loro giustizia: furono puntuali. Il presidente de Bonfons, a nome di Mlle Grandet, pag il capitale e gli interessi dovuti. Il pagamento degli interessi fu per l'ambiente commerciale di Parigi uno degli avvenimenti pi sbalorditivi dell'epoca. Quando la ricevuta fu registrata e des Grassins compensato per il suo lavoro con la somma di cinquantamila franchi assegnatagli da Eugnie, il presidente si rec a palazzo d'Aubrion, e vi trov Charles che stava rientrando nel suo appartamento dopo una sfuriata del suocero. Il vecchio marchese gli aveva detto che avrebbe avuto sua figlia solo quando tutti i creditori di Guillaume Grandet fossero stati pagati. Per prima cosa il presidente gli consegn la lettera che segue: "Cugino, Il signor presidente de Bonfons si incaricato di rimettervi la quietanza liberatoria di tutte le somme dovute da mio zio e quella con la quale riconosco di aver ricevuto tali somme da voi. Mi hanno parlato di fallimento! Ho pensato che forse il figlio di un fallito non avrebbe potuto sposare Mlle d'Aubrion. S, cugino, avete ben giudicato la mia mentalit e i miei modi: io non sono fatta per il mondo, non ne conosco i calcoli e le usanze, e non saprei darvi i piaceri che voi volete trovarvi. Siate felice, secondo le convenzioni sociali alle quali sacrificate il nostro primo amore.
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Per rendere completa la vostra felicit non posso offrirvi altro che l'onore di vostro padre. Addio, avrete sempre un'amica fedele in vostra cugina, EUGNIE." Il presidente sorrise udendo l'esclamazione di quell'ambizioso nel momento in cui ricevette l'atto autenticato. "Ci comunicheremo reciprocamente i nostri matrimoni," gli disse. "Ah! voi sposate Eugnie. Bene, sono contento, una brava ragazza. Ma allora," soggiunse, colpito a un tratto da un'idea illuminante, " ricca?". "Aveva," rispose il presidente con un'aria ironica, "fino a quattro giorni fa, quasi diciannove milioni; oggi ne ha solo diciassette." Charles guard il presidente come inebetito. "Diciassette... mil...". "Diciassette milioni, s, signore. Sposandoci, Mlle Grandet e io mettiamo insieme una rendita di settecentocinquantamilalire." "Caro cugino," disse Charles riprendendosi, "potremo spalleggiarci l'un l'altro." "D'accordo," disse il presidente. "Ecco, inoltre, una cassetta che devo consegnare personalmente a voi," aggiunse mettendo sul tavolo il cofanetto che conteneva il ncessaire da toeletta. "Ebbene, caro amico," disse la signora marchesa d'Aubrion entrando senza far caso a Cruchot, "non preoccupatevi per ci che vi ha detto il povero M. d'Aubrion, che si lasciato montare la testa dalla duchessa di Chaulieu. Ve lo ripeto, nulla impedir il vostro matrimonio...". "Nulla, signora," rispose Charles. "Il debito di tre milioni che un tempo aveva mio padre stato saldato ieri." "In denaro?" chiese lei. "Integralmente, interessi e capitale, e io far riabilitare la sua memoria." "Che stupidaggine!" esclam la suocera. "Chi questo signore?" disse all'orecchio del genero, quando si accorse di Cruchet. "Il mio agente d'affari," le rispose Charles a bassa voce. La marchesa salut con fare altezzoso M. de Bonfons e usc. "Ci stiamo gi spalleggiando," disse il presidente prendendo il cappello. "Addio, cugino." "Si burla di me, questo cacatoa di Saumur. Avrei voglia di cacciargli sei pollici di ferro nel ventre."

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Il presidente era uscito. Tre giorni dopo, M. de Bonfons, di ritorno a Saumur, fece le pubblicazioni del suo matrimonio con Eugnie. Sei mesi pi tardi veniva nominato consigliere al tribunale reale di Angers. Prima di lasciare Saumur, Eugnie fece fondere i gioielli che per tanto tempo erano stati cari al suo cuore, e insieme con gli ottomila franchi del cugino ne fece fare un ostensorio d'oro che don alla parrocchia nella quale aveva tanto pregato per lui! Comunque ella divise il suo tempo fra Angers e Saumur. Il marito, che in una circostanza politica aveva dato prova di lealismo, divent presidente di sezione e in capo a qualche anno primo presidente. Attese con impazienza le rielezioni generali per poter avere un seggio alla Camera. Ambiva a diventare pari, e allora... "Allora, il re diventerebbe suo cugino," diceva Nanon, la grande Nanon, Mme Cornoiller, borghese di Saumur, quando la padrona le comunic a quali altezze era chiamata. Tuttavia, il signor presidente de Bonfons (alla fine aveva abolito il patronimico Cruchot) non pot realizzare nessuno dei suoi progetti ambiziosi. Mor otto giorni dopo essere stato eletto deputato di Saumur. Dio che vede tutto e non colpisce mai a caso, lo pun senza dubbio per i suoi calcoli e per la scaltrezza giuridica con la quale aveva redatto, accurante Cruchot, il contratto di matrimonio in virt del quale i due futuri sposi cedevano l'uno all'altro, nel caso in cui non avessero figli, l'universalit dei loro beni, mobili e immobili, nessuno eccettuato o riservato, in propriet assoluta, dispensandosi anche dalla formalit dell'inventario, senza che l'omissione del detto inventario possa essere opposta ai loro eredi o aventi causa, intendendo che la detta donazione sia ecc. Questa clausola spiega il profondo rispetto che il presidente ebbe sempre per la volont, per la solitudine di Mme de Bonfons. Le donne elogiavano il signor primo presidente come un uomo fra i pi delicati, lo compativano e arrivavano spesso a mettere sotto accusa il dolore, la passione di Eugnie, e lo facevano con ipocrisie crudeli come sanno fare le donne nei confronti di una donna. "Bisogna che la signora presidentessa de Bonfons stia proprio male per lasciare solo il marito. Povero donnino! Guarir presto? Ma che cosa ha, una gastrite, un cancro? Perch non si fa visitare da qualche medico? Da un po' di tempo ha messo su un colorito giallastro; dovrebbe andare a consultare qualche celebrit a Parigi. Come pu non desiderare un bambino? Dicono che ami molto il marito; perch, nella sua posizione, non

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gli d un erede? spaventoso, sapete; e se la causa fosse un capriccio, sarebbe riprovevole. Povero presidente!". Dotata di quell'intuito che una creatura solitaria sviluppa attraverso le continue meditazioni e la visione acuta con cui percepisce le cose che rientrano nella sua sfera, Eugnie, abituata dall'infelicit e dalla sua ultima educazione a indovinare tutto, sapeva che il presidente desiderava la sua morte per ritrovarsi padrone di quella immensa fortuna accresciuta per giunta dalle eredit dello zio notaio e dello zio prete, che Dio aveva voluto chiamare a s. La povera reclusa aveva piet del presidente. La Provvidenza la vendic dei calcoli e dell'infame indifferenza di uno sposo che rispettava, come la pi forte delle garanzie, la passione senza speranza di cui si nutriva Eugnie. Dare la vita a un figlio, non sarebbe stato come distruggere le speranze dell'egoismo, le gioie dell'ambizione vagheggiate dal primo presidente? Dio gett dunque mucchi d'oro alla sua prigioniera, cui l'oro era indifferente e che aspirava al cielo, che viveva, pia e buona, fra santi pensieri, che in segreto soccorreva sempre gli infelici. Mme de Bonfons rimase vedova a trentatr anni, con una rendita di ottocentomila lire, ancora bella, ma come lo una donna che si avvicina alla quarantina. Il viso bianco, riposato, calmo. La voce dolce e contenuta, i suoi modi sono semplici. Ella ha la nobilt del dolore, la santit di una persona che non si macchiata l'anima a contatto con il mondo, ma anche la rigidit della vecchia zitella e le abitudini meschine che derivano dalla limitata vita di provincia. Malgrado le sue ottocentomila lire di rendita, vive come aveva vissuto la povera Eugnie Grandet, accende il fuoco in camera sua nei giorni in cui un tempo suo padre le permetteva di accendere il camino in sala, e lo spegne secondo il programma in vigore quando era giovane. Va vestita sempre come sua madre. La casa di Saumur, casa senza sole, senza calore, sempre all'ombra, malinconica, l'immagine della sua vita. Ella accumula con cura le entrate, e forse sembrerebbe parsimoniosa se non smentisse i maldicenti usando nobilmente la sua ricchezza. Fondazioni pie e caritatevoli, un ospizio per vecchi e scuole cristiane per i bambini, una biblioteca pubblica con un ricco fondo, testimoniano ogni anno contro l'avarizia che le rinfacciano certe persone. Le chiese di Saumur devono a lei degli abbellimenti. Mme de Bonfons, che, per burla, chiamano signorina, ispira in genere, un rispetto religioso. Questo nobile cuore, che batteva solo per i sentimenti pi teneri, soggetto ai calcoli dell'interesse umano. Il denaro finisce per trasmettere le sue tinte fredde a questa vita
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celeste e infondere diffidenza per i sentimenti a una donna che era tutta sentimento. "Non ci sei che tu a volermi bene," diceva a Nanon. La mano di questa donna cura le piaghe segrete di tutte le famiglie. Eugnie si avvia verso il cielo accompagnata da un corteo di buone azioni. La grandezza della sua anima annulla le piccolezze della sua educazione e le abitudini contratte in giovent Ecco la storia di questa donna, che non appartiene al mondo pur standoci in mezzo; che, fatta per essere una sposa e madre magnifica, non ha n un marito n dei figli n una famiglia. Da qualche giorno, si parla di nuovo di matrimonio. La gente di Saumur si occupa di lei e del marchese di Froidfond, la cui famiglia comincia a circuire la ricca vedova come un tempo avevano fatto i Cruchot. Nanon e Cornoiller, si dice, appoggiano il marchese; ma niente pi falso. N la grande Nanon n Cornoiller hanno abbastanza cervello per capire le corruzioni del mondo. Parigi, settembre 1833

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