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I fondamenti fisici e fisiologici del tocco nel pianoforte (a proposito di un brevetto riguardante il pianoforte verticale)

Linferiorit del pianoforte verticale rispetto al pianoforte a coda non dovuta solo alle dimensioni ed al volume di suono, ma anche ad altri motivi che spesso non sono ben compresi. Alcuni pensano che la differenza stia nella mancanza di dispositivi come la doppia ripetizione o il doppio scappamento. Altri sentono la differenza tra un tasto che solleva qualcosa ed uno che risponde solo ad una qualche generica resistenza . Ma la causa reale ben pi complessa, ed intreccia strettamente la fisica dello strumento (acustica e meccanica) alla fisiologia (soprattutto neurofisiologia) dellesecutore. Tale causa senza ombra di dubbio il tocco, che possibile nel pianoforte a coda, ma di norma non possibile nel pianoforte verticale. Nel suo significato intuitivo, questa parola indica una qualit del pianista che consiste nella capacit di dare significati musicali al suono, ed anche di dare un bel suono al pianoforte. La qualit che si richiede invece al pianoforte semplicemente di render possibile tutto questo, ma tale qualit in realt molto meno intuitiva, e non stato facile definirla in termini obbiettivi. Esiste un problema di fondo per qualsiasi tipo di pianoforte, come per qualsiasi tipo di strumento che frapponga una struttura meccanica tra lesecutore e lorigine reale del suono (in pratica per gli strumenti a tastiera). Questo problema riguarda il rapporto tra il musicista e lo strumento musicale, e tocca lidea stessa del far musica. Con questo tipo di

strumenti, c il rischio di trovarsi di fronte, invece che ad una voce mediante la quale il musicista pu esprimersi, ad una macchina sonora. Purtroppo nellattuale pianoforte verticale il pi delle volte ci troviamo di fronte alla seconda ipotesi e le conseguenze, sul piano musicale e sul piano didattico, non sono di poco conto. E ragionevole infatti pensare che, anche per un pianista di qualche esperienza, uno studio condotto esclusivamente sul pianoforte verticale possa compromettere, almeno in una qualche misura, i processi inconsci che sono alla base dellesecuzione musicale, mentre in un principiante tali processi ben difficilmente possono instaurarsi. Nel cercare una soluzione del problema, ho a lungo pensato (insieme alla maggioranza degli addetti ai lavori) che si trattasse di un problema insuperabile. Per fortuna la mia curiosit stata pi forte dellinsuperabile. Osservando gli effetti (che inizialmente mi erano sembrati casuali) di una modifica che avevo fatto effettuare su un vecchio piano verticale (uno strumento di grande formato e di ottima qualit, elemento questo non secondario), ho deciso di continuare la ricerca, che dopo parecchi anni mi ha portato a risultati inattesi. Le intuizioni che mi hanno portato a tali risultati sono nate dalla constatazione che il martello del pianoforte verticale costituisce, insieme con le parti ad esso rigidamente collegate (stiletto noce e nasello) una leva di particolare struttura, il cui baricentro durante lesecuzione avanza verso la corda fino a superare la verticale del perno. Ci significa che la resistenza ad un certo momento dopo una rapida diminuzione si annulla, e quindi il martello scompare dalla percezione dellesecutore proprio nel momento decisivo

della percussione della corda. Il tocco diviene quindi impossibile, e rimane possibile solo il controllo del volume del suono, che il pianista pu decidere con lenergia iniziale del lancio, quando un momento, bench inferiore a quello del pianoforte a coda, c ancora. Mi sembrato evidente che tutti i tentativi di ricostruire artificialmente la resistenza finale del martello mediante molle (come la molla di ritorno del martello) o magneti non possono che peggiorare la situazione, proprio perch, introducendo elementi automatici, diminuiscono la reale possibilit di controllo da parte dellesecutore anzich aumentarla. Nella mia ricerca, con tentativi e riflessioni che hanno occupato lo spazio di parecchi anni, ho fatto realizzare sullo stesso strumento altre modifiche, che hanno alterato di poco limpianto della meccanica tradizionale, ma ne hanno modificato sostanzialmente la dinamica, consentendo allesecutore di percepire la resistenza del martello anche nella fase finale della sua corsa verso la corda quando, per capacit innate o acquisite con lo studio, le sue dita decidono il tipo di suono desiderato. Non si tratta di un completo cambiamento della struttura stessa della meccanica, e quindi la tipologia dello strumento conservata, anche nelle sue parti meccaniche. Proprio la modestia delle modifiche apportate allo strumento mi ha indotto, quando gi avevo fatto i primi passi per il deposito allufficio brevetti di una prima stesura del testo, ad una serie di ulteriori verifiche. Temevo infatti che i risultati raggiunti fossero dovuti a particolari caratteristiche del pianoforte sul quale avevo effettuato gli esperimenti, o ad elementi casuali di qualche altra natura. Tali verifiche hanno richiesto ancora molto tempo, e competenze che in parte non

possedevo, 1) e mi hanno aiutato anche a rispondere al dubbio, che da qualche parte mi era stato avanzato, che il tocco sia solo un problema psicologico del pianista. Questa verifica dei termini scientifici del problema mi ha consentito in primo luogo di definire i risultati dellinvenzione in un sistema di rapporti di pesi e misure sufficientemente ben definiti, e quindi generalizzabili ed applicabili con diverse ipotesi progettuali a pianoforti di nuova costruzione, ma applicabili anche, c on modifiche da valutare caso per caso, a buona parte dei pianoforti gi costruiti. Ma soprattutto, in secondo luogo, sul piano dei principi scientifici la verifica mi sembrata una sicura conferma della validit dellinvenzione. Vediamo dunque questi principi, che ci portano sia nel campo della fisica (acustica e meccanica) che della fisiologia (soprattutto neurofisiologia). In primo luogo, dal punto di vista dellacustica, il tocco consiste nella determinazione del transitorio dattacco, cio di quella fase di vibrazioni apparentemente caotiche che precede londa stazionaria. Nel pianoforte (a differenza che in uno strumento ad arco o a fiato) lesecutore non pu influire sullonda stazionaria che si ha, dopo lattacco del suono, nella sua continuazione. Di conseguenza, la determinazione del transitorio dattacco mediante il controllo delle modalit di incontro del martello con la corda tutto quello che il pianista pu fare per influire sulla qualit del suono, se prescindiamo dal volume. Ma questa possibilit importante, molto pi che in altri strumenti. Nel pianoforte infatti la differenza di intensit tra la percussione e londa stazionaria talmente grande che tutto

quello che succede dopo (a parte la durata del suono) ha un significato tutto sommato secondario. In secondo luogo, dal punto di vista della fisica meccanica, evidente che la capacit di un pianista di esercitare il tocco condizionata dalla possibilit di controllare le caratteristiche della corsa del martello nelle sue diverse fasi, cio prima lavvicinamento veloce del martello alla corda e poi la caratterizzazione del suono con la regolazione dellimpatto del martello secondo lintenzione dellesecutore. Questa possibilit c nel pianoforte a coda, dove le forze esercitate dalla mano del pianista per sollevare, o meglio lanciare il martello verso la corda vengono contrastate (oltre che dalle resistenze dovute alla meccanica dello strumento, come del resto nel pianoforte verticale), sopratutto dalla resistenza dovuta alla forza di gravit che, dato il movimento verticale del martello, genera una resistenza di valore sostanzialmente costante nella sua corsa verso la corda. E quindi costante la percezione dellesecutore nel sentire unopposizione allazione del dito sul tasto, e poi nel regolare il tocco, che pu essere graduato fino alla fine del movimento. Nel pianoforte verticale invece, a causa della posizione verticale delle corde e della conformazione conseguente della meccanica ed in particolare della leva che comprende il martello, la resistenza generata dal peso del martello stesso passa rapidamente a zero e diventa addirittura forza traente nellultima parte della corsa. Ci significa che, in presenza di variazioni repentine della resistenza e di bassi valori (fattori questi che renderebbero comunque problematica sia la percezione della resistenza sia la regolazione del tocco) nella maggior parte degli attuali pianoforti verticali, quando il

baricentro del martello (o meglio del sistema di cui il martello fa parte) oltrepassa la verticale del perno, questi valori scendono al di sotto dello zero, rendendo impossibile qualsiasi tipo di controllo da parte dellesecutore. La percezione della massa del martello possibile solo allinizio della corsa (il momento iniziale pari a circa i 2/3 di quello del piano a coda) ed anche allora le altre resistenze della meccanica rischiano di prevalere nella percezione dellesecutore. Alla fine, praticamente tutta la resistenza dovuta solamente alle molle, e quindi tutta lazione automatizzata. Altri fattori, come la conformazione delle leve che precedono il martello, tasto e cavalletto, oppure gli inevitabili attriti nel funzionamento della meccanica, o lelasticit delle parti in legno, potrebbero avere una rilevanza teorica. Ma io ho concentrato lattenzione, ed ho effettuato i calcoli, sulla dinamica del martello (anche se, ovviamente non sono intervenuto solo sul martello), assumendo come ipotesi di partenza una situazione standard del pianoforte verticale che in effetti non lontana dalla realt. Inoltre non sono certamente irrilevanti i fattori che determinano la qualit della meccanica e dello strumento, ed abbastanza ovvio che il tentativo di applicare le modifiche suggerite nel brevetto ad uno strumento mediocre potrebbe dare risultati deludenti. Va invece affrontato il tema delle caratteristiche meccaniche del feltro del martello, elemento questo di importanza probabilmente decisiva per la sua connessione con le dinamiche che determinano il tocco, ed utile anche per comprendere il modo di ottenerlo. E un problema estremamente complesso, e non so quale super-computer potrebbe analizzarlo, ma ritengo

sufficiente affrontarlo in modo intuitivo. Il feltro usato per i martelli del pianoforte, bench sia particolarmente compatto, mantiene una qualche deformabilit, caratterizzata da una reazione elastica modesta e piuttosto lenta. A lungo termine, manifesta una certa plasticit che d luogo a dei solchi in corrispondenza delle corde, ma una caratteristica di misura irrilevante per quel che riguarda il tema che sto affrontando. E quindi evidente che un impatto di breve durata con la corda metallica in tensione non concede il tempo necessario ad una reazione elastica del feltro, che quindi si comporta come se fosse pi duro di quanto non sia, rendendo possibile un suono preciso e controllabile. Un impatto troppo lento lascerebbe il risultato sonoro in balia delle reazioni incontrollabili e forse in buona parte casuali del feltro. Per questo la meccanica del pianoforte concepita in modo da ottenere, con lazione di leve successive, unelevata velocit del martello. A ci si aggiunge una legge della fisica, di importanza decisiva, che ci dice che la forza impulsiva che produce il suono data dalla differenza tra la quantit di moto (cio massa per velocit) finale e la quantit di moto iniziale, divisa per la durata dellimpulso. Un qualche calcolo fatto sulla base di questa legge darebbe risultati sorprendenti. Per chiarire meglio queste affermazioni, che potrebbero sembrare astratte o difficilmente comprensibili, pu essere utile ricordare un esperimento che veniva descritto nei vecchi libri scolastici. Un uomo armato di fucile spara una candela contro una tavoletta di legno e la perfora. Poi prende la candela e la preme contro la tavoletta con una forza tale che la quantit di moto (cio il prodotto della massa per la velocit) sia la stessa. La candela non

pu attraversare la tavoletta, al massimo si spiaccica o forse anche si deforma solo un po. La sorprendente differenza delleffetto delle due azioni si ha perch, data lestrema brevit dellimpulso, il fucile produce una forza di gran lunga maggiore. Questi due dati, cio da un lato lestrema velocit con la quale il martello deve colpire la corda perch il feltro non soffochi il suono e dallaltro lestrema brevit dellimpulso necessaria perch questa velocit sia raggiunta con il minimo impegno muscolare definiscono lunico modo corretto di usare il pianoforte: il dito deve lanciare il tasto, in modo che questo agisca sul martello, per mezzo del cavalletto, come una fionda. Ma, a differenza dellesempio della fionda, il dito non deve mai perdere il proiettile (cio il martello), ma ne deve controllare la corsa fino a pochi millimetri dalla fine, quando tale corsa diviene libera per via del sistema di scappamento. Tutto questo contrasta evidentemente con la diffusa opinione che sia necessario produrre uno sforzo per produrre un suono forte, e che comunque suonare richieda forza fisica, per la necessit di scaricare peso sulla tastiera, premendo o percuotendo il tasto, nella convinzione che il volume, o la solidit del suono dipenda dalla massa con la quale si colpisce o si preme il tasto. E ci sembra intuitivo osservando un certo modo atletico di suonare che appare come limmagine stessa della forza muscolare. Ma questa impressione contrasta in modo evidente con la fisica, sia per quanto abbiamo detto finora, sia perch la meccanica del pianoforte, verticale o a coda che sia, costituita da un sistema di tre leve, sostanzialmente indipendenti luna dallaltra. Il tasto lancia il cavalletto

che lancia il martello, ma ciascuna delle leve conserva la sua massa e (a differenza di quel che riguarda la velocit) non pu trasmetterla, e quindi aggiungerla, alla successiva. Quindi qualsiasi sia il peso che viene scaricato sulla tastiera, la massa che colpisce la corda sempre esattamente la stessa, cio il peso del martello, (o meglio della leva di cui il martello fa parte) e su questo fatto il pianista non ha assolutamente nessuna possibilit di intervenire. E ci rivela un fatto sorprendente, cio che la meccanica del pianoforte, sia verticale che a coda, ha un in realt un funzionamento contro-intuitivo, del tutto diverso dallidea che hanno molti ascoltatori abituali di musica, ma anche, talvolta, pianisti e insegnanti, del modo di suonare il pianoforte. Spesso si insegna a premere per marcare la melodia, ma pi si preme e meno espressivo il suono, oppure si insegna a usare spalla, braccio o polso per suonare pi forte, ma ci inevitabilmente rallenta lazione e rende pi difficile controllare il suono. Molti criticano il pianista che pesta. Ma pochi sanno che il suo brutto suono dipende dal fatto che le vibrazioni delle corde sono immediatamente soffocate e distorte dal feltro che impedisce loro di espandersi liberamente. I suoi muscoli uccidono la sua musica, e questo sempre inevitabile quando si suona forzando, anche di poco, lazione muscolare. Mi pare che il processo che ho descritto quando ho parlato della meccanica del tocco dimostri questa necessit, ma nello stesso tempo si pone il problema di chiarire come la complessa azione che questo processo meccanico richiede al pianista, in tempi estremamente brevi, sia possibile. Solitamente a questo riguardo si parla della necessit del rilassamento muscolare, ma questa espressione troppo generica e non spiega in modo

sufficientemente preciso gli elementi fisici che rendono possibile questa azione. Come si possano controllare le ultime fasi della corsa del martello, decidendo con quale velocit o accelerazione lanciarlo verso la corda una cosa che sfugge ad ogni ipotesi di misura. In effetti la complessit dellatto da compiere e lestrema brevit del tempo in cui lo si compie rientrano nelle capacit del nostro cervello, che possiamo considerare praticamente illimitate. Ma non sono illimitate le capacit degli strumenti di cui il cervello si serve, vale a dire le varie parti e le varie funzioni del nostro corpo. Sta di fatto che continuamente dobbiamo dare allorgano fondamentale del nostro corpo istruzioni per le azioni che desideriamo compiere. Se queste istruzioni sono sbagliate, le capacit illimitate si riducono pi o meno drasticamente o addirittura scompaiono. Dare istruzioni corrette in realt possibile solo costruendo immagini percettive che diventano sempre pi dettagliate e nitide man mano che si procede nel corso di uno studio che certamente non ha tempi brevi, e ci pu avvenire sulla base di certi criteri. Ci sono, intanto, ragioni ben chiare per cui il martello deve essere lanciato con il dito e non con altre parti del corpo come spalla , braccio o polso. Accanto alla fisica, che ci dice che lanciare grandi masse (cosa assolutamente inutile, come ho dimostrato prima) rallenta unazione nella quale la velocit di unimportanza decisiva, le ragioni fisiologiche sono altrettanto chiare, perch le piccole muscolature delle dita sono molto pi veloci e sensibili. Sono pi veloci perch composte in prevalenza di fibre muscolari rosse, dotate di una velocit di reazione tripla non solo delle altre cellule muscolari ma anche degli organi della vista e delludito, ed anche perch si

tratta di moltissime fibre muscolari che si inseriscono sulle falangi con angolazioni diverse permettendo movimenti in diverse direzioni. E quindi evidente che la possibilit di ottenere una elevata velocit del dito esige il totale disimpegno dalle grandi muscolature, ma daltra parte va detto che fondamentale il totale riposo dopo ogni singola azione, per evitare laccumulo delle tensioni, e quindi la fatica, che pu giunger fino al blocco muscolare. Solo questo riposo (potremmo dire questa reale conclusione dellazione) d la possibilit di suonare velocemente, che dipende dalla capacit di modulare il tono e la contrazione della muscolatura con estrema rapidit tra unazione e laltra. Sono inoltre pi sensibili perch ogni singola fibra muscolare dotata di una innervatura, e quindi il rapporto tra il numero di terminazioni nervose ed il numero di fibre muscolari addirittura migliaia di volte pi favorevole rispetto alle grandi muscolature, che assolutamente non sarebbero in grado di compiere un azione sofisticata come il controllo del tocco. Ma questa sensibilit possibile solo con la libert da qualsiasi interferenza di segnali estranei sulla formazione delle percezioni (penso sia qualcosa di simile al problema del rapporto segnale-disturbo negli impianti di ascolto ad alta fedelt). Tra questi segnali intendo sopratutto la sensazione di impegno muscolare, anche se minima. Penso che un allenamento alla fatica muscolare non risolva questo problema (visto che una sospensione di tale tipo di allenamento, anche per pochi giorni, lo ripropone), ma che invece con tali sistemi lo sforzo continui ad accompagnare lazione muscolare, e ne venga solo mascherata o attenuata la percezione. Naturalmente con certi tipi di allenamento la muscolatura pu aumentare di volume ed esprimere pi

forza, ma le terminazioni nervose aumentano anchesse? Certamente ci sono casi diversi, date le diverse attitudini individuali ed i diversi livelli dellattenzione prestata, pi o meno spontaneamente, agli aspetti musicali del lavoro che si fa. Ma in generale, elevato il rischio che un certo tipo di studio sul pianoforte in realt diminuisca la sensibilit muscolare, e quindi la tecnica. Purtroppo unazione corretta del dito (ed in realt di tutto il corpo, messo per cos dire al servizio delle dita) qualcosa di estraneo, nella massima parte dei casi, ai nostri abituali processi motori, e quindi va costruita con un lungo e paziente lavoro, che non pu essere del tutto abbandonato neppure dopo una lunga esperienza. Ritengo ora necessario chiarire un ultimo problema, che in realt il problema di fondo, che ha determinato tutta la mia ricerca ed in particolare il lavoro sul brevetto. Cio se si possa definire in termini obbiettivi il rapporto tra una certa struttura della meccanica del pianoforte e le possibilit del pianista di esercitare il tocco. La risposta che certamente nessun pianista pu controllare le qualit del suono, fatta eccezione per il volume, se il momento angolare insufficiente, o addirittura pari o inferiore a zero nel momento in cui il martello viene lanciato sulla corda dal sistema di scappamento. Non potrebbe controllare nemmeno il volume del suono se il momento fosse nullo anche alla partenza del martello. Esistono quindi certamente delle condizioni fisiche dello strumento che rendono possibile tale controllo, e che possono essere definite e misurate. Ma queste misure sono uguali per tutti, o dipendono dalla sensibilit o dallesperienza dellesecutore? Per rispondere necessario definire il tocco da un punto di vista

soggettivo, cio nella percezione del pianista, come prima lho definito dal punto di vista fisico. Il controllo del tocco un processo a feedback, e cio una certa azione muscolare determina un certo effetto sonoro, e questo influenza in tempo reale lazione muscolare successiva, e cos di seguito fino a creare un automatismo che alla base della capacit di dare significati musicali al suono. Ma questo processo parte solo da una certa soglia cio dal minimo necessario del livello percettivo. Ci significa che, se le dita del pianista non sentono il martello a causa dei limiti dello strumento, lorecchio non pu sentire una variazione di timbro tale da influenzare lazione motoria. Al di sotto di una soglia cos definita, evidentemente non possibile nessun feedback, e ci obbiettivamente significa che lo strumento in quanto tale non possiede, o pi esattamente non consente il tocco. Si tratta di una soglia soggetta solo ad una variabilit individuale di modesta misura (e tale variabilit largamente compresa nei limiti di misura previsti nel brevetto). Altra cosa la capacit di distinguere consapevolmente le sfumature timbriche del suono ottenuto, capacit che non dipende da una soglia percettiva ma va piuttosto definita come unattitudine, talvolta almeno in parte spontanea, ma che di norma si sviluppa con lo studio, che se correttamente impostato porta ad un continuo affinamento della sensibilit musicale. E evidente che questo affinamento pu avvenire solo su un pianoforte che consente il tocco. Spero che questo divenga ora possibile anche sul pianoforte verticale. Paolo

Pancino (pancino.paolo @libero.it)

1) Per limpostazione del problema in termini fisici, e per tutta la mia ricerca, stata essenziale la collaborazione di Elena Pancino, ricercatrice presso lIstituto Nazionale di Astrofisica, (osservatorio di Bologna), mentre per la verifica delle ipotesi scientifiche concernenti la fisica e la revisione del testo debbo ringraziare Sandro Maluta, ingegnere meccanico, gi docente presso il politecnico di Milano ed ora Amministratore Delegato in una importante azienda internazionale. Dal punto di vista fisiologico, sia per la verifica di tutte le mie affermazioni che per la revisione e lintegrazione del testo, anche dal punto di vista terminologico, debbo essere grato a Paola Cesari, titolare della cattedra di Scienze Motorie presso lomonima facolt dellUniversit di Verona e ricercatrice nel dipartimento di Scienze Neurologiche e della Visione della stessa Universit, che ho potuto incontrare grazie alla cortesia di Giuseppe Moretto, direttore dellunit operativa di Neurologia dell Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona. A Giuseppe Moretto devo anche alcuni utili orientamenti sul piano neurologico.

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