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Progetto e realizzazione editoriale: Atlantyca S.p.A.
Supervisore del testo: Davide Morosinotto
Illustrazioni e progetto grafico: Iacopo Bruno e Francesca Leoneschi

I Edizione 2009

EDIZIONI PIEMME Spa


15033 Casale Monferrato (AL) – Via G. del Carretto, 10
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Jeremy Belpois

Il castello
sotterraneo

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Stanotte sono dieci anni esatti
dalla prima volta che l’ho vista, e ho deciso
che è arrivato il momento di raccontare.
Di rivelare i fatti incredibili di cui siamo stati testimoni.
Yumi Ishiyama, Ulrich Stern, Odd Della Robbia
e io, Jeremy Belpois. E Aelita, naturalmente.
Non passa giorno che non pensi ad Aelita.
Questa storia è per tutti loro, i miei amici.
Ma è soprattutto per te.
Chissà se sei ancora in ascolto…

Jeremy

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una farfalla
in fondo al mare
(Mar del Giappone,
21 dicembre)

Si dice che se una farfalla sbatte le ali a Pechino, a New York


pioverà.
Forse fu proprio così che andò, anche quella volta, ma è diffi-
cile dirlo: sebbene tutti si accorgano quando piove, infatti, ormai
nessuno è più in grado di rintracciare la farfalla responsabile…
Martedì 21 dicembre, alle ore 14 e 36, la nave KNT-17 gettò
l’ancora al largo del Mar del Giappone, e un ufficiale comunicò
alla base di terra:
– Siamo in posizione.
Alla base di terra era in ascolto Yukiko Itou, una bella ragaz-
za giapponese di ventitré anni. Dalla sua tranquilla scrivania
Yukiko controllò gli schermi che la circondavano, sistemò il
microfono davanti alla bocca e disse: – Qui base, tutto ok. Fate
partire Rovvy quando volete.

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La KNT-17 era una nave “cablografica”: il suo compito era


quello di controllare i cavi di telecomunicazione che collegava-
no il Giappone agli Stati Uniti. C’era solo un problema: i cavi si
trovavano a più di mille metri di profondità sotto la superficie
del mare. E qui entrava in gioco “Rovvy”, come familiarmente
veniva chiamato dagli addetti ai lavori.
A dispetto del buffo nomignolo, si trattava di un robot mol-
to sofisticato. Un ROV: Remotely Operated Vehicle. L’unico in
grado di operare in tutta tranquillità alle inimmaginabili pres-
sioni degli abissi oceanici.
Dal monitor sulla scrivania Yukiko aveva una doppia visuale:
del robot, una specie di grossa scatola gialla che veniva calata tra
le onde con una gru, e dell’ufficiale di bordo, sulla nave.
– Come stai, dolcissima creatura? – gracchiò la voce di lui
dalla radio trasmittente.
Yukiko rise. – Dici a me?
– Ma no, che hai capito! Parlavo con Rovvy!
Altra risata. – Concentrati sul lavoro, o finiremo per lasciare
tutto il Giappone senza Internet!
Erano passate sei ore da quando il cavo sottomarino aveva
iniziato a perdere colpi, e la cosa era molto preoccupante. At-
traverso quel cavo passava la maggior parte delle telefonate
e delle e-mail che i Giapponesi spedivano verso l’America e
viceversa. Bisognava agire in fretta e con precisione.

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Sfrecciando sott’acqua a grande velocità grazie ai potenti


propulsori a elica, in poco tempo Rovvy raggiunse il cavo, un
grosso serpente nero che si allungava all’infinito in entrambe
le direzioni sul fondale sabbioso. Tutto intorno, l’oceano era si-
lenzioso e buio. A quella profondità non c’erano nemmeno più
pesci. Senza il fascio luminoso della telecamera subacquea
del robot, lo schermo davanti a Yukiko sarebbe sembrato com-
pletamente spento.
Passarono alcuni minuti.
Poi, il silenzio fu rotto dalla voce dell’ufficiale di bordo,
in cuffia.
– Credo di aver trovato il guasto. Sembra che non sia niente
di grave.
Da uno scomparto interno di Rovvy fuoriuscì un braccio mec-
canico, che si allungò fino a sfiorare la superficie del cavo.
In quello stesso istante, gli strumenti elettronici accanto a
Yukiko sembrarono impazzire.
– Aspetta, fermati! – gridò lei istintivamente.
– Che succede?
– C’è stato… uno sbalzo di corrente, credo. Non so spiegar-
lo, ma… sembrava come una specie di ingorgo…
– Yukiko? Ti dispiace ripetere?
– Hai capito benissimo: appena hai toccato quel cavo, si è
verificato un ingorgo di corrente!

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– Ma se l’ho appena sfiorato! E poi non mi risulta che un


cavo a fibre ottiche si possa “ingorgare”!
La ragazza ignorò il commento e diede una rapida occhiata
ai monitor. – A ogni modo, ora sembra tornato tutto a posto. Le
comunicazioni funzionano di nuovo perfettamente.
– Vuoi che procediamo comunque con la riparazione?
– No no, non serve a niente. Missione sospesa. Tira su Rovvy
e tornatene a casa.
– Perfetto, così questa sera usciamo insieme.
Yukiko sorrise e si ravviò una ciocca di capelli dietro l’orec-
chio. – Perché no?

Mentre in Giappone Internet riprendeva a funzionare, in


Francia una ragazzina di tredici anni stava facendo colazio-
ne nella sala mensa del collegio Kadic. Si chiamava Aelita
Stones, ma nel corso della sua breve vita aveva avuto molti
nomi diversi. Non era alta per la sua età, aveva un nasino
piccolo e rivolto all’insù, occhi grandi e capelli color fiamma
tagliati a caschetto. Vestiva con una salopette dall’aria co-
moda e aveva uno sguardo piuttosto serio, che stonava con
l’allegria degli altri studenti.
Alla mensa del Kadic si respirava un’aria di festa: era il pe-
nultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale e le lezioni
sarebbero riprese solo a gennaio, quasi venti giorni dopo.

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Un sacco di tempo a disposizione da trascorrere a casa con


mamma e papà.
Aelita, però, aveva altri programmi, non altrettanto piacevo-
li. I suoi genitori, infatti, non c’erano più. Aelita aveva l’impres-
sione che fossero passati secoli da quando era rimasta definitiva-
mente sola al mondo. Da quel giorno orribile in cui suo padre…
– Tutto bene? – le chiese a un tratto Jeremy, facendola sob-
balzare.
Jeremy Belpois aveva tredici anni come lei, capelli biondi un
po’ lunghi e occhiali tondi sul naso. Jeremy per lei era una perso-
na importante, perché quel terribile giorno in cui suo padre…
– Aelita?
La ragazza si bloccò con il croissant a mezz’aria, la bocca
socchiusa, lo sguardo perso nel vuoto.
– Si è paralizzata per l’emozione – commentò il terzo amico.
Era Odd Della Robbia, sorridente come sempre, con i capelli spa-
rati sulla testa e il suo solito look rockettaro. – Allora Jeremy, il
nostro diabolico piano è pronto? – chiese Odd rivolto all’amico.
– Nei minimi dettagli – annuì Jeremy. – Aelita e io andiamo
dai miei per le vacanze. Mia mamma è contentissima di avere
una ragazza da viziare.
– E tu no?
– Piantala, Odd.
– Il nostro informatico romanticone…

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Jeremy avvampò, ma continuò a parlare come se niente fos-


se, con lo sguardo basso sul piatto. – Torneremo al collegio
domenica 9. Un giorno prima che inizino le lezioni.
– Perfetto! Cos’hai detto ai tuoi?
– Che dormo a casa di Ulrich.
– Anch’io! Tanto, non controlleranno mai. E gli altri? Li hai
sentiti?
– No, ma abbiamo già parlato di tutto. Non credo che ci sa-
ranno problemi.
– Ehi, Aelita, sei qui con noi? – domandò Odd alla ragazza,
dopo essersi accorto che in tutto quel tempo non aveva mosso
un solo muscolo. Il croissant era ancora fermo davanti al suo
naso.
– Aelita, se è uno scherzo non è divertente – disse Jeremy
con l’aria preoccupata.
La ragazza lo guardò fisso, sbattendo appena le palpebre.
– Tu ti chiami Jeremy, vero?
Lui la fissò incredulo, poi rise imbarazzato. Odd fece finta
di stare al gioco: – Sì, lui è Jeremy e io sono Odd. Siamo i tuoi
migliori amici. Ricordi?
Voleva essere una battuta, ma Aelita non rise.
– No – rispose soltanto.

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