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1 IX.

La natura delle cose

1. Una nozione tmscurata Per avviare una discussione intorno alla nozione di u natura delle cose , pu essete utile cominciare dalle parole con cui Gustav Radbruch chiudeva il suo saggio del 1 9 4 1 : Il problema della natura della cosa appunto, nel momento presente della storia dello spirito, abbastanza importante per non essere, come stato finora, soltanto lepisodico oggetto di una sempre rinnovata e sempre nuovamente dimenticata ricerca individuale, ma per diventare il tema di una assidua e comune riceica scientifica . davvero sorprendente, infatti, come la nozione di u natura delle cose , a cui ci si riferisce pur tosi frequentemente nel linguaggio giuridico in espressioni come natura dei fatti , natura della prestazione , natura del rapporto , natura degli interessi , natura dellistituzione Y), sia stata sinora cos poco analizzata. Si pu dire in generale che, da un lato, <r natura delle cose ancor oggi unespressione generica con cui si abbracciano oggetti diversi, e pertanto viene talora adoperata pi come una formula suggestiva, ad uso polemico, che come un insieme di parole aventi un significato rigorosamente delimitato; che, dallaltro, una espressione ancora troppo poco differenziata tanto che viene sovente sostituita da altre espressioni analoghe senza che la sostituzione desti alcuna meraviglia, come si pu vedere nella seguente frase del Regelsberger: Natur der Sache, Vetnunft der Dinge, naturalis ratio, Zweckgedanken, Verkehrsbedtirfnis, Rcchtsgefiihl sind mir verschiedene Bezeichnungen ftir dasselbe Ding . Partendo da questa situazione, mi pare che il lavoro di analisi dovrebbe procedere in una duplice direzione: per un
La rrafura delle core come forma giuridica di pensiero, in (Rivista intcrnazionnle di lilosofia del diritto , XXI, 19-11, p. 1 5 6 . F. I~r:cxr.sr~~~c;r~, P<r/~drl~/o~ (1X93), 1, 4 12, p. 6 8 .

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verso, dovrebbe esaminare i vari contesti in cui lespressione effettivamente adoperata dal giurista, per giungere ad una classificazione dei significati o sfumature dei significati; per laltro verso, dovrebbe esaminare le diverse espressioni che sono o passano per sinonime e discutere lopportunit di adottare luna piuttosto dellaltra. Se uno dei compiti principali della scienza giuridica, come io credo, di purificare il linguaggio giuridico, di trasformare il linguaggio comune in linguaggio tecnico, non c dubbio che la nozione di natura delle cose per lo stato grezzo in cui ancora si trova offre vasta materia per il giurista. Nelia dottrina italiana questa nozione non ha sinora avuto molta fortuna n presso i giuristi n presso i filosofi del diritto . probabile che sullatteggiamento dei giuristi abbia influito il giudizio negativo del Windscheid, secondo il quale lespressione natura delle cose non a torto scrcditata 4, e in generale il prevalente indirizzo positivistico, secondo cui non c altro ordinamento giuridico che quello dello stato, e, nellordinamento dello stato, non c altra fonte che la legge. E infatti nei trattati, nelle opere generali, nei manuali di diritto positivo italiano, della natura delle cose, in genere, o non si parla affatto oppure se ne parla di sfuggita in un paragrafo sulle pretese fonti del diritto in cui viene mescolata alla rinfusa con altre nozioni affini e non affini . Per quanto riguarda i filosofi del diritto, il disinteresse per il problema dovr essere cercato nel prevalere, dopo la crisi del positivismo, di indirizzi antinaturalistici, siano essi il neo-kantismo che ha canonizzato la distinzione tra la sfera del Sein e quella del Sollen o lo storicismo idealistico che ha assegnato il diritto al regno dello spirito.
Per un esame particolareggiato della fortuna della nozione nella dottrina italiana cfr. il saggio pubblicato in appendice La noturu delle cose nella dottrina italiana. B. WINDSCHEID,. Diritto delle pandette, trad. it., 1, 1, 23, p. 7 8 , in nota. ove ribadisce 11 aiudizio analogo dello Adickes (Zur Lehte uon den Rechts&ellen, 1872, pp.-8 e 67). Si veda per tutti N. C O V I E L L O , Manuale di dirirro civile, p. 39; cfr. anche A. R~vj(, lstibrzioni di diritto privato, CEDAM, Padova 1938, p. 52; e F. F E R R A R A , Trattato di diri/to chile itoliano, 1, p. 149. PuB essere interessante notare che la voce natura delle cose h non era apparsa nei pi comuni dizionari giuridici, sino al recentissime volume dei Novissimo Digesto Ilaliano

Lunico saggio sullargomento rimasto, per parecchio tempo, quello dellAsquini nel 1921 6. Il quale, peraltro, la miglior prova di quel che si detto sin qui, vale a dire che natura delle cose unespressione ambigua, suscettibile delle pi diverse interpretazioni, e che il problema da essa sollevato non gode di molta popolarit tra i giuristi italiani. LAsquini, infatti, per non essere sottoposto alla troppo facile accusa di oggettivismo o di naturalismo, interpreta la nozione di natura dei fatti come la rappresentazione che della funzione dei rapporti sociali e delle loro esigenze economiche fa la coscienza umana e per coscienza umana intende la coscienza collettiva o comune, quella coscienza media sociale, a cui per molti altri fini (es.: determinazione del concetto di colpa) nel mondo del diritto si usi far ricorso ; quindi nega che vi sia una verit delle cose obiettivamente accertabile dalla ragione del singolo interprete senza riferimento alla valutazione che ne fa la coscienza comune . Interpreta insomma il concetto di natura delle cose in modo da spogliarlo, vero, di ogni suo intento polemico, ma anche della sua ragion dessere, che sta proprio nel suggerire al giurista lidea dellesistenza di una realt oggettiva da cui egli possa trarre regole giuridiche. E cos interpretata, la nozione di natura della cosa finisce per confondersi con quella di equita e pu essere tranquillamente eliminata.
2. 1 tre bersagli della dottrina della natura delle cose

Linteresse per il problema della natura delle cose, che si andato risvegliando soprattutto nella filosofia del diritto e nella scienza giuridica tedesca in questi ultimi anni, ha manifestamente unorigine polemica. In termini generali e ancor poco precisi, si pu dire trattarsi di un aspetto del. lodierna lotta contro il formalismo giuridico. Per questo, mi sembra che tra le diverse prospettive che si possono scegliere per condurre una prima analisi della nozione di < natura delle cose , possa presentare un certo interesse esami6 A. ASQUINI, La natura dei fatti come fonte di diritto, in s Archivio giuridico , LXXVI, 1921, pp. 129-67.

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nare il suo significato polemico, allo scopo di chiarire questi due punti: 1) se il significato polemico sia univoco o plurivoto, e in questa sede il mio proposito puramente descrittivo; 2) constatata la molteplicit degli usi polemici del concetto, quale sia per ciascuno di essi il valore e i limiti, e in questa sede il mio proposito anche critico. Prima di tutto, quando si afferma che la regola giuridica tratta dalla natura delle cose, si vuole addurre un argomento contro ogni forma di volontarismo giuridico, secondo cui le regole giuridiche sono unicamente il prodotto della volont del legislatore. Poich il volontarismo giuridico ha trovato la sua pi recente incarnazione nella dottrina imperativistica del diritto, in quella dottrina che stata dominante nellultimo secolo tra i giuristi soprattutto in Germania e in Italia, e per la quale il diritto linsieme dei comandi del legislatore, la dottrina della natura delle cose appare anzitutto come una forma della reazione antimperativistica, che va di pari passo con la rinascita del diritto naturale. In secondo luogo, chi afferma la possibilit di derivare una regola giuridica dalla natura delle cose pu avere un altro bersaglio: la dottrina che eleva a suprema fo?te del diritto la legge, e ritiene non esserci altre regole giuridiche che quelle derivabili direttamente o indirettamente dalla legge. Se si chiama statualistica questa dottrina, il concetto di natwa delle cose si presenta in questa seconda direzione come un aspetto della polemica antistatualistica. E, in quanto tale, si inserisce nel movimento del pluralismo giuridico in antitesi al monismo, anchesso prevalente tra i giuristi continentali dallepoca delle grandi codificazioni, e va di pati passo col rinnovato interesse per la sociologia giuridica Infine, la dottrina della natura delle cose ha una terza j dIrezione polemica, che forse la pi frequente. Il bersaglio questa volta il carattere dogmatico della giurisprudenza, vale a dire la tradizionale considerazione della giurisprudenza 1 non gi come libera ricerca del diritto, ma come forma di sapere fondata in ultima analisi sul principio dautorit, ed ha trovato avversari, di volta in volta, la scuola del diritto libero, la giurisprudenza sociologica e via dicenclo. Chi propone di colmare le lacune dcllordinatncnto giuridico ricor-

rendo anche alla natura delle cose, diventa alleato di tutte quelle correnti che combattono il cosiddetto feticismo legislativo, e che, tanto per intenderci, possiamo far rientrare nella corrente del realismo giuridico . Ritengo opportuna questa distinzione tra le tre direzioni polemiche della dottrina della natura delle cose, petch, pur essendo connesse, toccano tre diversi problemi: la prima il problema stesso del fondamento del diritto - se cio il diritto sia ragione o volont -; la seconda, il problema delle fonti del diritto positivo - se cio vi siano altre fonti di diritto oltre la legge e la consuetudine -; la terza, il problema dellinterpretazione giuridica o dei metodi della giurisprudenza - se cio la giurisprudenza sia una dogmatica o una scienza empirica. Per quanto i tre problemi siano connessi, e non c chi non veda che essi rappresentano tre aspetti diversi dello stesso movimento di pensiero, pure mi sembra si tragga qualche giovamento dal tener distinta lanalisi critica, perch diversi, a mio avviso, sono nelle tre diverse questioni i meriti e i demeriti della dottrina, e di diversa natura soprattutto sono le difficolt chessa solleva.

3. Natura delle cose contro volontarismo giuridico Nella prima direzione, la dottrina della natura delle cose si presenta sotto molti aspetti come una prosecuzione della dottrina del diritto naturale. Rappresenta la trasformazione che la dottrina del diritto naturale subisce passando dalle mani dei filosofi a quelle dei giuristi. In altre parole, ci che rimane della teoria classica del diritto naturale nel passaggio dalla filosofia razionalistica della societ alla sociologia. Del dititto naturale classico rimane, nella dottrina della natura delle cose, lesigenza di non arrestarsi alla volont del legislatore come a criterio giuridico supremo, e il principio ispiratore, che muove a trovare questo criterio di giudizio in qualche cosa di obiettivo, sottratto al mutevole giudizio dei detentori del potere politico. Rispetto alla dottrina classica del diritto naturale, il concetto di natura delle cose, qual inteso o intuito dai giu-

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risti, evita almeno una delle grosse obiezioni cui quella va incontro, lobiezione derivante dalla ripetuta constatazione che il lumen naturae, cui questa dottrina si affida, deve essere ben fioco se in duemila anni di riflessione non c istituto giuridico di cui non si sia a volta a volta affermata o contestata la corrispondenza alla natura delluomo. Dietro la dottrina della natura delle cose c una concezione della natura diversa da quella dei giusnaturalisti. 1 quali avevano una concezione metafisica della natura, intesa come la totalit delle leggi che reggono luniverso fisico e morale. Partendo dalla natura umana in generale, ritenevano di poter dedurre tutto il sistema giuridico da alcuni principi auto-evidenti. Quando, al contrario, un giurista parla della natura delle cose non si riferisce alla natura generale delluniverso umano, ma ai caratteri o elementi costitutivi di un rapporto o di un istituto giuridico in una determinata societa storicamente condizionata. Per esempio, un giusnaturalista pretende di dedurre le norme regolanti listituto del matrimonio dalla natura delluomo e della societ, astrattamente considerati; ii giurista sociologo si limita a chiedere alla natura delle cose di suggerirgli le norme pi opportune per regolare il matrimonio in una societ particolare. Cos], mentre un giusnaturalista pur sempre attratto dal miraggio della regola giusta in senso assoluto, il giurista sociologo restringe la propria ambizione alla scopctta delle regole piU convenienti in funzione di un certo fine da raggiungere. Il giusnaturalista mira ai valori ultimi; la dottrina della natura delle cose si accontenta di stabilire rapporti tra mezzi e fini. In questo senso la teoria della natura delle cose pu essere considerata come un aspetto della concezione generale del diritto, secondo cui il diritto una tecnica della convivenza sociale: la quale , tra tutte le concezioni del diritto, quella che mi sempre sembrata la pi convincente. Non son sicuro, peraltro, che la teoria della natura delle cose eviti la seconda obiezione che si pu muovere al giusnaturalismo classico: la dottrina del diritto naturale pretende di derivare un giudizio di valore, ad esempio: u La societa preferibile allisolamento , da un giudizio di fatto: Luomo ha la tendenza alla societ , mentre in realt deriva il

primo giudizio di valore da un altro giudizio di valore, implicito ma non confessato, di questo tipo: La tendenza alla societ & buona . Anche nei sostenitori della natura delle cose come fonte di regole giuridiche si rivela una pretesa siffatta. Essi credono, o lasciano credere, che le cose a cui si riferisce lesperienza giuridica - siano esse beni, persone, comportamenti, rapporti intersoggettivi, istituti - siano tali che da esse, ovvero dalla loro costituzione o essenza, si possano ricavare regole giuridiche, le quali, in tal modo, avrebbero una sorta di oggettivita che loro non competerebbe se fossero derivate da giudizi di valore. In realt, il procedimento adoperato dal legislatore, dal giudice o dal giurista per produrre regole giuridiche dalla cosiddetta natura delle cose pi complesso. Ci che il giurista apprende dallosservazione della realt, per esempio di un dato comportamento, che questo comportamento produce in certe circostanze certe conseguenze. Ora, se vero ._ che una regola tecnica (e possiamo considerare le regole giuridiche come regole tecniche) deriva dalla risoluzione di un rapporto di causa-effetto: A-produce B ; in un rapporto di fine-mezzo: Se vuoi il fine A, devi volere pure il mezzo B , altrettanto vero che dallosservazione che un comportamento produce certe conseguenze, io non ricavo necessariamente una regola, ma ne posso ricavare almeno tre secondo il diverso modo con cui ptendo posizione di fronte alle conseguenze: Se vuoi A, devi fare B ; Se non vuoi A, non devi fare B ; Se A ti indifferente, puoi fare e puoi non fare B . Orbene, la diversa valutazione che io posso dare delle conseguenze di unazione non deriva dalla constatazione che quella azione ha quelle conseguenze, bens dalla valutazione di queste conseguenze come buone, cattive o indifferenti, cio da un giudizio di valore. La constatazione empirica mi pu indicare quale sia il mezzo migliore per raggiungere un certo fine, ma non mi dice perch questo fine piuttosto che quellaltro sia degno di essere perseguito. Ep pure solo dalla risposta alla seconda domanda - cio quale sia il fine degno di essere perseguito -, e non dalla prima quale sia il mezzo pi idoneo per raggiungere il fine -, 7. errva la regola. Che lestensione della pratica dellaborto

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abbia per effetto la diminuzione della popolazione un giudizio di fatto. Che la pratica dellaborto debba essere proibita o permessa dipende unicamente dalla risposta al seguente giudizio di valore: La diminuzione di popolazione un bene o un male? . In altre parole, possiamo dire che per trarre una regola da una cosa, dobbiamo considerare questa cosa come un mezzo per raggiungere un fine, cio attribuirle la qualit di valore strumentale; ma questa qualit attribuibile soltanto in quanto sia presupposto un valore finale, che io non ricavo dalla natura del comportamento, ma da giudizi di valore ulteriori, in una catena continua di valori linali che diventano strumentali rispetto a valori ulteriori. sino R che si girmge incvitabilmcnte ai valori ultimi, cio a valori non ulteriormente riducibili, dai quali poi tutte le cose di cui si compone quel dato sistema normativo traggono il loro valore. Generalmente, noi siamo cos assuefatti ai valori sociali espressi dallordine giuridico in cui viviamo che non ci accorgiamo della loro presenza, e consideriamo meri fatti constatabili empiricamente quelli che sono in realt gi espressioni di valutazioni precedenti. Non vi norma pi dellart. 84 Codice civile italiano, tanto per fare un esempio, che tissa rispettivamente a 16 e a 14 anni la capacit matrimoniale delluomo c della donna, che sembri ricavata (Ialla natura dcllc cose , in questo caso dalla costituzione fisica dei soggetti. In realt, anche in questa norma la natura della cosa altro non che il mezzo che si considera pi adatto p e r raggiungere un certo fine, che quello che nella nostra societ viene attribuito al matrimonio. Immaginiamo una societ che attribuisca al matrimonio altri lini, per esempio d i carattere economico, oltre quello della generazione della prole, e quei limiti deth potranno esscrc elevati. Non ci sarebbe da stupirsi che nellevoluzione della nostra societ quei limiti di et vcnisscro clcvati, ove si ritcncssc di dovcr tener conto 1x3 valutate la capacit matrimoniale di altri requisiti oltre quelli lisiologici, per esempio della capacit economica. Tl legislatore cr& di Iqgcrc nel l i b r o d e l l a n a t u r a .
In realth lo interpreta.

4. Natura delle cose contro formalismo

Nella sua seconda direzione polemica la dottrina della natura delle cose si affianca alla teoria sociologica del diritto contro il positivismo giuridico di stretta osservanza. un aspetto della rivolta sempre ricorrente dei fatti contro le leggi. In breve, essa si solleva contro il monopolio del d i ritto da parte della legge, e mira a promuovere una visione pi ampia e pi articolata delle fonti del diritto, partendo non pi da unideologia, come quella per cui solo la volont del legislatore fonte di diritto, ma da una considerazione oggettiva, critica, spregiudicata dei fatti, che vede scaturire le regole giuridiche dal reale movimento degli individui e dei gruppi in una determinata societ. Premetto che la controversia tra fautori della sociologia giuridica e fautori del normativismo , a mio giudizio, una di quelle controversie che potrebbero continuare indefinitamente, perch gli avversari non si incontrano sullo stesso terreno, s che ciascuno ha, dal suo punto di vista, ragione, e non riconosce di essere confutato dalle ragioni dellavversario. La dottrina della natura delle cose, in quanto pretende di presentarsi come un contributo alla difesa della sociologia contro il formalismo giuridico, adducendo il pluralismo delle fonti giuridiche, mi conferma questo sospetto. Invero, il dibattito sulle fonti del diritto pu condurre ad una soluzione solo se i contendenti si accordano nel dare allespressione fonte del diritto lo stesso significato. Orbene: quando un giurista sociologo sostiene che la natura delle cose fonte di diritto, intende lespressione fonte del diritto nello stesso senso in cui il giurista tradizionale chiama fonte di diritto la legge? Vi sono, com noto, nel linguaggio giuridico almeno due modi dintendere lespressione fonte di diritto : ora come fonte di derivazione di una regola, ora come fonte di qualificazione. La differenza fondamentale fra luna e laltra fonte che la prima pu essere costituita da un fatto o da una serie di fatti, la seconda sempre costituita da una norma. Una regola, in quanto la si consideri come un fatto, deriva da un altro fatto; ma riceve la sua validit in un sistema per opera di

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unaltra norma. Se non si facesse questa distinzione non si capirebbe perche regole aventi la stessa fonte di derivazione non siano allo stesso modo valide in un sistema, perch, ad esempio, lequit produca regole, ma non tutte le regole prodotte dallequit siano valide in un certo ordinamento, ben4 soltanto quelle a cui una norma del sistema attribuisce la qualifica di norme giuridiche. Analogamente, il comportamento costante, uniforme, generale dei consociati produce regole di condotta, ma, affinch queste regole siano riconosciute valide in un certo sistema giuridico, occorre che nel sistema vi sia una norma, non importa se esplicita 0 implicita, che attribuisca alla consuetudine valore di fonte del diritto. In altre parole, lesistenza di fatto di una consuetudine non coincide con la sua esistenza di diritto, cio con la sua validit. Perch una consuetudine esista come fatto, basta che venga constatata; perch esista come diritto necessario che sia riconosciuta come norma valida di un sistema, cio bisogna risalire alla sua fonte di qualificazione. Quando si chiede che la natura delle cose sia considerata come fonte del diritto, in che senso si parla di fonte del diritto? nel senso di fonte di derivazione o di fonte di qualificazione? A me non par dubbio che il senso comunemente accolto sia il primo. In generale chi attribuisce alla natura delle cose il carattere di fonte di diritto, si limita a dire che si pu trovare una regola di condotta considerando un certo comportamento idoneo a raggiungere un fine desiderato, ma non afferma nello stesso tempo che quella regola, solo per questo, sia valida, cio valga come regola in un determinato sistema. Affinch questa regola derivata dalla natura delle cose sia valida, occorre che essa possa essere ricondotta a una delle fonti di qualificazione del sistema. In particolare, se sintende per ricerca della regola attraverso la natura delle cose il procedimento inventivo e ricostruttivo che si vale del rapporto mezzo-fine, come io credo sia pi opportuno intendere e come vedremo meglio nel paragrafo seguente, essa pu essere ricondotta a un ben noto procedimento dellinterpretazione giuridica, a quel procedimento interpretativo che si suole chiamare interpretazione teleologica . In questo caso, non mi par dubbio che la natura

delle cose funga da fonte da cui linterprete deriva la regola, ovvero da espediente ermeneutico di cui si vale per trovare una regola inespressa. Ma altrettanto indubbio che ci che rende la regola cos1 trovata una regola giuridica, cio una regola appartenente a un dato sistema giuridico, una norma, come per esempio lart. 1.2 delle Disposizioni preliminari al Codice civile italiano, il quale autorizza linterprete a cercare la regola non solo nelle parole , ma anche nell intenzione del legislatore . La natura delle cose serve per trovare la regola; ma la norma autorizzante linterprete a cercare la regola seguendo la natura delle cose che fa della regola trovata una regola giuridica. Dunque, anche in questa accezione pi ristretta della natura delle cose come fonte di diritto, la distinzione tra il momento della elaborazione della regola e il momento della qualificazione giuridica, inevitabile. E la natura delle cose compare, in ogni caso, nel primo momento e non nel secondo. Oltretutto, la distinzione serve a chiarire i due diversi campi in cui operano la dottrina sociologica e quella normativa del diritto, e quindi i limiti del valore della polemica che i giuristi di tendenza sociologica conducono contro i giuristi accusati di formalismo. Il campo dei primi quello dellesistenza di fatto della norma, il campo dei secondi quello dellesistenza di diritto o validita. Che una norma corrisponda alla natura delle cose pu essere o una constatazione di carattere sociologico oppure unesigenza di carattere ideologico; al contrario, il giurista formalista afferma che, affinch una norma sia valida, necessario che appartenga al sistema, indipendentemente dal fatto che corrisponda o no alla natura delle cose. Il primo problema di contenuto; il secondo di forma. Ma con ci il giurista formalista non esclude che le norme si possano trarre dalla natura delle cose, onde le critiche dei sociologi non lo riguardano. Si limita ad affermare che questo problema, cio il problema dellorigine delle regole, un problema sociologico e non giuridico, un problema relativo alla derivazione delle norme giuridiche, e non alla loro validit. A questa esigenza di una rigorosa distinzione tra i due campi, mi pare difficile possa sfuggire il sociologo.

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Il giurista, quando ha interpretato la natura, crede di aver creato un sistema normativo, e invece ha fornito soltanto il materiale per la sua costruzione.

5. Natura delle cose contro legalismo

Nella sua terza direzione polemica la dottrina della natura delle cose rappresenta una reazione contro il feticismo legislativo che si rivela in unadesione troppo rigida ai testi legislativi da parte dei giuristi, contro latteggiamento tradizionalmente dogmatico della giurisprudenza di fronte al sistema normativo costituito. Essa un invito a guardare pi ai fatti che alle leggi, ad abbandonare il principio dautorit per quello della indagine empirica, ad avviare la giurisprudenza per una strada in cui venga ad assomigliare sempre meno ad una disciplina teologica e sempre pi a una scienza di fatti. Ritengo opportuno tener distinto laspetto metodologico da quello ideo 1 ogico di questa terza questione. Dal punto di vista metodologico credo che la discussione guadagnerebbe in chiarezza se il concetto di natura delle cose fosse ulteriormente analizzato e specificato nelle sue diverse accezioni. Per parte mia credo che, quando il giurista parla della natura di un oggetto o di un soggetto o di un comportamento o di unistituzione, si riferisca al rapporto mezzo-fine e presupponga consapevolmente 0 inconsapevolmente il principio fondamentale di Ihering: Lo scopo il creatore di tutto il diritto . La natura di un oggetto per un giurista la sua idoneit a fungere da mezzo per conseguire certi fini; la natura di un soggetto la sua idoneit a compiere certi atti per raggiungere certi lini; la natura di un comportamento la sua idoneit a raggiungere certi fini; e la natura di un istituto nientaltro che la sua funzione economicosociale. La regola fondamentale cui il giurista si ispira per produrre nuove regole dalla natura delle cose la seguente: Se un certo fine obbligatorio (o proibito), sono da considerarsi obbligatori (o proibiti) tutti i mezzi oggettivamente atti a raggiungerlo .

Se questa interpretazione del procedimento interpretativo fondato sulla natura delle cose esatta, esso non differisce dal procedimento noto col nome di interpretazione teleologica . Ma allora si deve riconoscere che procedimento pi comune di quel che lespressione generica natura delle cose lasci intendere e, quel che pi notevole. esso usato anche da quei giuristi (e sono la maggior parte, almeno in Italia) che si professano suoi avversari. Quando il giurista si richiama allintenzione del legislatore, compie nella maggior parte dei casi uninterpretazione teleologica, la quale procede in base a questi due postulati: 1) il legislatore una persona ragionevole; 2) in quanto persona ragionevole, esso adopera mezzi oggettivamente adeguati ai fini che si propone. Lintenzione del legislatore una finzione ad uso del giurista legato al dogma volontaristico, il quale ha bisogno di attribuire al legislatore la scoperta di quella regola che egli ha desunto dallindagine teleologica, cio ha bisogno di fingere che sia opera di un legislatore ragionevole quello che lopera della sua stessa ragione. Ma dietro a questa finzione c la ricerca effettiva della regola che, tanto nel caso in cui venga attribuita al legislatore quanto nel caso in cui venga posta come ricavata direttamente dalla natura delle cose, pur sempre la ricerca fondata sullidoneit di certi mezzi a raggiungere certi fini. Nel caso delle lacune dellordinamento giuridico, opinione comune che si possa ricorrere alla natura delle cose solo l dove il legislatore abbia lasciato libero il giudice di scegliere i mezzi di integrazione pi idonei, non l dove, come nel diritto italiano, ha indicato i mezzi e fra questi mezzi la natura delle cose non compresa. Ma questa opinione t da correggere. Anzitutto, la legislazione, anche quando prevede lanalogia come mezzo per colmare le lacune, non stabilisce la serie di requisiti in base ai quali due istituti possono dirsi simili: spetta allinterprete stabilire di volta in volta se due istituti siano simili, ed noto che il procedimento pi adoperato a questo scopo proprio la natura delle cose. E non parliamo del caso in cui si tratti non gi di formulare una regola, ma di trovare la disciplina di un intero istituto: il giurista in questo caso, anche se non ne consapevole, crea la disci-

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plina traendola dalla natura dellistituto, e non ritiene con questo di far cosa sconvolgente e neppure sconveniente. In un recente saggio sul danno morale, a cui il diritto civile italiano dedica un solo articolo, lautore, cercando di dare una prima complessiva sistemazione dellistituto, dice, come se fosse la cosa pi ovvia, che le questioni relative alla disciplina dellistituto, nel silenzio della legge, devono essere risolte soprattutto tenendo conto della sua natura . Senonch, riconoscere che il metodo di trarre regole dalla natura delle cose abituale tra i giuristi piU di quel che comunemente si affermi, ancorch nonsia esplicitamente accettato o sia chiamato con altro nome, non significa addurre un argomento decisivo - e qui entra in campo laspetto ideologico della questione -- in favore di una trasformazione della scienza giuridica in. scienza empirica, sia che si consideri questa trasformazione gi avvenuta o in atto. sia che si desideri che avvenga afinch lopera del giurista diventi pii1 scientifica e pii] corrispondente alle condizioni della societA contemporanea . Per quanto si possa deprecare leccessiva rigidit del sistema giuridico, soprattutto negli ordinamenti continentali, per quanto sia auspicabile una maggior libert del giurista nella scoperta delle regole, il credere che la giurisprudenza possa cessare dallesscrc una dogmatica e diventare una scienza empirica, il che equivale poi a credere che a lunga scadenza possa essere sostituita totalmente dalla sociologia, a me pare il frutto di
una confusione tra il metodo sociologico e il metodo giuri-

che considerato come valido o invalido da una fonte particolarmente accreditata di regole, sia essa il legislatore, la societ, il popolo, il giudice. Vi sono oggi due concezioni della giurisprudenza in contrasto, la concezione logico-sistematica e la concezione sociologica. Per quanto la seconda sia meno rigida della prima, essa non ha il potere di trasformare il lavoro del giurista in quello di un fisico o di un biologo: la giurisprudenza sociologica una dogmatica diversa dalla dogmatica della giurisprudenza logico-sistematica, perch il principio dautorit a cui si appella diverso da quello cui si appella la sua eterna avversaria, non la volont del legislatore ma la coscienza sociale; ma pur sempre una dogmatica, cosl come una teologia modernista pur sempre una teologia. Il giurista, quale che sia il principio cui si ispira, quali che siano le innovazioni che introduce nei procedimenti interpretativi, ha il compito di stabilire non ci che ma ci che deve essere. Ma ci che deve essere presuppone un giudizio di valore. E un giudizio di valore p,x sempre un giudizio che non pu essere empiricamente verificato, ma se mai soltanto giustificato con argomenti persuasivi. E largomento pi consueto e pi efficace per persuadere gli altri mostrare che quel giudizio di valore posto o condiviso in ultima istanza da persone, reali o immaginarie, invcstitc di pwstigio o di potere superiore, Dio, il legislatore, il giudice, la societ, il popolo, i grandi giuristi, la tradizione, e nel caso limite, anche la propria coscienza.

dico . Questa confusione deriva dalla non chiara distinzione tra due diversi criteri di verit, il principio di verificazione empirica. proprio di una ricerca scientifica come la fkica e la biologia, per Ir quali la suprema prova delle verit 0 falsit+ di una proposizione data dalla conferma dellesperienza, e il principio di autorit, proprio della giurisprudenza

6. Conclusioni Concludo. Sono pronto a riconoscere limportanza della presente rivalutazione della nozione di natura delle cose. Essa uno spiraglio aperto verso una miglior comprensione del lavoro del legislatore, del giudice 2 del giurista nella formulazione delle regole, e soprattutto un elemento costitutivo della concezione del diritto come tecnica della convivenza sociale, che, come ho detto allinizio, mi pare sopra ogni altra accettabile. Ma la riconosco a due condizioni: 1) che la nozione di natura delle cos2 sia precisata e la

e della teologia, per le quali la suprema prova della validit o invalidit di una notma : data dalla corrispondenza a ci

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Appendice a
si adoperi non come una formula suggestiva ma in un si-

gnificato tecnico rigoroso; 2) che riconosca i propri limiti e non pretenda di aprire tutte le porte. Per quanto riguarda la prima condizione, propendo a credere che il procedimento impiegato nel ricavar regole dalla natura delle cose coincida col cosiddetto ragionamento teleologico. E pertanto riterrei opportuno sostituire lespressione troppo vaga di natura delle cose con quella di funzione economico-sociale di un istituto. Quanto alla seconda condizione, la carica polemica della nozione di natura delle cose, si imbatte in tre ostacoli che mi paiono insuperabili: la differenza tra la ricerca dei mezzi e la posizione dei fni, tra la conoscenza di una regola e la sua legittimazione, tra una qualsiasi scienza empirica e la scienza giuridica. Il punto fondamentale sta per me nel rendersi conto che non si tratta di sopprimere il momento sociologico nel normativo e viceversa, ma di delimitare i due campi e di riconoscere la distinzione dei problemi che vi si riferiscono.

Ancora !+l -diritto natur& * _. __ _ ._._ _

Tra le recenti difese del diritto naturale, trascelgo, per aprire una discussione, quella esposta da John Wild nel libro Platos Modem Enemies and the Theory of Natura1 Law (The University of Chicago Press, 1953, pp. X1-259). La trascelgo perch lautore ci fa sapere chiaramente che cosa intende per diritto naturale, mentre la maggior parte degli attuali difensori si perdono nel F,enerico, ed espone ordinatamente il proprio pensiero valendosi di argomenti teorici, mentre di solito gli appassionati e improvvisati giusnaturalisti di oggi ricorrono ad argomenti retorici o suggestivi, quale quello che mette in relazione gli orrori delle dittature e delle guerre contemporanee con la crisi del diritto naturale. Il libro dc1 Wild prende le mosse da alcuni scritti anglosassoni, tra cui piU pioto quello di Karl Popper, che nellambito del rinnovato empirismo rapprescnlano una vera e propria corrente antiplatonica: questi scrittori hanno in vario modo accusato Platone di essere un pensatore antidemocratico, precursore del -moderno totalitarismo, del razzismo, del fascismo, ecc. Ma la difesa di Platone non che lo spunto dellopera. Wild risponde che non si pu comprendere Platone se non si comprende la teoria del diritto naturale, di cui letica platonica una manifestazione, e non si comprende la teoria del diritto naturale se non ci si rende conto che essa la pi compiuta elaborazione di una concezione realistica c oggettivistica delletica, , brevemente, realismo etico. Ma questi odierni nemici di Platone non possono comprendere unetica realistica e oggettivistica, perch sono soggettivisti, irrazionalisti, emotivisti, convenzionalisti, relativisti, proprio come i nemici di allora, i sofisti. Alla confutazione della nuova sofistica * dedicato il libro, la cui tesi centrale la seguente: la dottrina tic1 diritto naturale una dottrina etica realistica, anzi la dottrina realistica per eccellenza, perch fonda il valore sul fatto; come tale si oppone a tutte le dottrine etiche soggettivistiche che separano la sfera dei valori da quella dei fatti. * Il libro di John Wild, cui dedicata la presente nota, stato ampiamente discusso anche dal Kelsen in un articolo che apparve contemporaneamente al mio: A Dinanzic Theory of Nalf~ul Law, in Louisiar,a L a w Review D, XVI, 1956, pp. 597-620, quind: raccolto nel volume Whnt ir Justice?, California University Press, Rerkeley and Los Angeles 1957. pp. 17497. Anche la critica del Kelsen, sottile e convincente, fondata sulla confusione, operata dal Wild, tra mondo dei fatti e mondo dei .y.alori.

Appendice b

La natura delle._cose nella dottrina italiana

1. La discussione sulla natura delle cose fu introdotta in Italia, alla fine del secolo scorso, dagli studiosi del diritto commerciale. Per la sua natura e la sua origine, il diritto commerciale era sempre stato un campo in cui le fonti del diritto diverse dalla legge, come la consuetudine e lelaborazione scientifica, avevano opposto maggior resistenza al fatale processo di monopolizzazione del diritto da parte dello stato. Nei maggiori trattati tedeschi -di diritto commerciale, della-sec&da meta del secolo scorso, da cui trassero ispirazione gli studiosi italiani, la natura delle cose appariva quasi costantemente come fonte del diritto accanto alla legge e al!a consuetudine; ed era la fonte del diritto da cui ricavava iI proprio materiale e giustificava la propria autonomia, accanto al diritto legislativo e al diritto consuetudinario, il diritto scientifico. Goldschmidt, dopo aver affermato che ogni rapporto sociale porta con s sein e angemessene, natiirliche Rechtsstitze , sosteneva che il pi alto compito della scienza giuridica consiste nella scoperta e nella formulazione del diritto immanente alle cose stesse . Th61 e Behrend ponevano natura delle cose e diritto scientifico nella stessa rubrica; e il primo, dopo avere specificato che la scienza giuridica pu ricavare regole giuridiche aus factischen Grundlagen, aus der Natur der Sache, der Verhaltnissen, der Institute, des Thatbestandes, also aus dem Factischen , concludeva con unaffermazione che mostrava lenorme importanza della natura delle cose come fonte di diritto nello sviluppo del diritto commerciale: Ein grosser Theil des Handclsrcchts bcsteht aus solchen aus der Natur der Sache folgenden Rcchtssatzen *. Uno dei fondatori della @cienza del diritto commerciale in Italia, Cesare Vivante (n. 1855-), nel fortunato Tvu~/ato di diritto commerciale, i! cui primo volume apparve ne! 1893, accolse esp!icitamente tra le fonti del diritto la~~ti&k Jelle cose con una formulazione che riecheggiava le tesi dei giuristi tedeschi. Poich lopinione del Vivante fu il punto di partenza della discussione che si svolger in Italia per pi di due decenni, conviene riportarla testualmente: Talora la regola emerge immediatamente dalla natura dei fatti e deve dirigere la sentenza dei giudici, ben L. GOLLWXMIDT, Hnndbuch des Handelsrechfs, Verlag von Ferdinand Enk? Etlangen. Cito dalla 2 ed. del 1874, 5 34, pp. 301-2. I. Fr. BEIIREND, Lchrhuch des liandelsrechts, Verlag von 1. Guttentag, Betlin und Leipzig 1886, Bd. 1, 4 19, p. 85; FI. THOL, Das Handelsre&, Puess Verlag, Lcipzig. Cito dalia 6 ed., 1879, 4 15, p. 59.

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Lu natura delle cose nella dottrina italiana

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ch non sia configurata n in una legge n in una consuetudine. Queste lacune sono frequenti negli affari commerciali, che p i gliano continuamente nuove forme non previste dal diritto positivo ed compito della pratica forense di fissare la regola giuridica, che conforme alla loro natura . Precisava quindi in una nota che a questa intima natura delle cose si era ispirato quel diritto naturale (naturalis ratio) che rinnov col suo continuo alimento il diritto civile di Roma . Riconosceva in una altra nota che solo in seguito alla ricerca scientifica degli avvocati e dei giudici, le corti avevano fissato la disciplina giuridica di parecchi istituti, accolti poi dal codice s, e nel paragrafo succ&sivo dichiarava che merc lo studio delle cose e del diritto che le governa naturalmente la scienza prepara anche fa legge dellavvenire perch la prima re ola di ogni costruzione giuridica losservazione genuina d e i fatti 6. Dal riconoscimento della nalura delle cose come vera e propria fonte del diritto traeva infine la conseguenza pi radicale, in quanto attribuiva alla Corte suprema il potere di cassare una sentenza che avesse qualificato un rapporto giuridico in modo contrario alle esigenze della sua natura 7.

2. Nonostante lindiscussa autorit di cui godeva il Vivante, questo suo tentativo di introdurre la natura delle cose tra le fonti del diritto non fu accolto con favore. La communis opinio dei giuristi italiani stata ed tuttora contraria alla!largamento delle fonti del diritto oltre quelle previste dallo stesso legislatore. Nei trattati la natwa delle cose non generalmente nepp u r e menzionata; e quando viene menzionata, viene di solito collocata, insieme con la dottrina, la giurisprudenza, lequit, ecc., tra le pretese fonti del diritto. Gi nello stesso anno in cui usci il primo volume del Trattato del Vivante, il suo quasi coetaneo Leone Bolafio (n. 1848), giurista non meno autorevole, prese netta posizione in una recensione, del resto piena di elogi, del Trattato, contro lillegittimo innalzamento della natura dei fatti a fonte del diritto, compiuto dal Vivante sulle tracce dei tedeschi , se pure con argomentazioni proprie . La natura dei fatti, egli comment, iniziando la serie

pretazione: ma norma legale, no, n per forza di legge, n per forza dautorita . Bastavano, allo scopo di riempire i vuoti, lanalogia e i principi generali del diritto; non cera affatto bisogno di evocare evanescenti fantasmi II. Risposero poi direttamente al Vivante, per negare alla natura delle cose lo status di fonte del diritto, due ben noti studiosi del diritto commerciale della pi giovane generazione, Alfredo Rcco (n. 1875) e Antonio Scialoja (n. 1879). Entrambi esclusero che-si potessero ammettere altre fonti di produzione giuridica.oItre la legge e la consuetudine e attribuirono alla natura deile cOSe unefficacia limitata allambito dellinterpretazione del diritto: il primo, parlando di una fonte dinterpretazione o di conoscenza del diritto accanto alle fonti di produzione 9, il secondo, parlando di mezzo o sussidio per lapplicazione e per linterpretazione del diritto e condannando quindi la confusione tra il processo di formazione e il processo di applicazione del diritto lo. Ammettere la natura delle cose come mezzo dinterpretazione e non come fonte di produzione voleva dire riconoscere lutilita di analizzare la natura del fatto o del rapporto o dellistituto allo scopo di interpretare e di applicare al caso concreto una regola gia data, ma nello stesso tempo escludere che questa analisi fosse da sola in grado di fornire una regola nuova. Al di fuori della polemica immediata col Vivante, la considerazione della natura delle cose come fonte di conoscenza e non fQ&u;ione, o, come anche si disse, come fonte materiale e non ha finito per diventare lopinione di gran lunga prevalente t;a i giuristi italiani, tra i quali mi accaduto di riscontrare Giuseppe Messina 12, Francesco Ferrara 13, Tullio Asca B. [ LE O N E BOLAFPIO], ree. al Tmtuto di diritto commerciule, 1893, vol. 1, di C. Vivante, in *Temi veneta ., XSWI. 1893, p. 469.

delle confutazioni che si sarebbero susseguite pi o meno sulla stessa falsariga, poteva costituire un elemento prezioso per linter C. VIVANTE , Trattato di diritto commerciale, Bocca, Torino 1893, vol. 1. 9. nn. 21-2. P P. 64-6. Cir dalla 3 ed., Vallardi, Milano 1907, vol. 1, $,-nn: 25-6, pp: 91-3. Op. cit., p. 91. Op. cit., p. 92. Op. cit., p. 93. op. cit., p. 92.

anche, dello stesso autore, Corso di diritto commerciale, La litotipo, Padova 1921 (dispense litografate), pp. 131-2. Nello stesso senso anche Arturo Rocco, Il problema e il metodo della scienza del diritto penale, in a Rivista di diritto e procedura penale *, 1, 1910, p. 46 (estratto). A. SCXALOJA, Le fonti e linterpretazione del diritto commerciale, Unione tipografica cooperativa, Perugia 1907, 5 35, p. 57. Questa distinzione viene accolta, proprio a proposito di fonti, come la necessita, la comune convinzione degli uomini, la scienza, e a concetto pi elevato e comprensivo D la natura, delle cose, da D. ANZILOXTI, Teoria enerale della responsabilitd dello Stato nel diritto internazionale, parte l, f1 problema della tesponsabilitd di diritto internazionale, F. Lumacti Iitxni* editore, Firenze 1902, p. 30, nota 1. * G. M ESSINA , 1 negozi fiduciari (1910), ora in Scritti giuridici, Giuffr& Milano 1948, 1, p. lOO? n. 231. Contro coloro che invocano la natura delle cose come fonte di dwitto afferma che essa non da che Ielemento Athenaeum, Roma 1921, p. 152. Delle pretese fonti del diritto, tra cui pone

vio giuridico *, LXXVII, 1906, pp. 87-150. La citazione a p. 102. Cfr.

* Alfredo Rocco, Linterpretazione delle leggi processuali, in a fuchi-

materiale della costruzione P. F. F ERRARA , Trattato di diritto ciuile italiano, 1. Dottrine generali,

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relli , Umberto Navarrini , Paolo Greco 16, Mario Rotondi , Francesco Messineo *. 3. Gli argomenti addotti per negare alla natura delle cose 10 status di fonte formale del diritto positivo italiano sono vari. Se ne possono indicare soprattutto quattro. Il primo 8 di natura emotiva e quindi assai fragile: consiste nel mettere innanzi lo spauracchio del diritto naturale, affermando che il riconoscimento della natura delle cose come fonte del diritto implica la credenza in un diritto superiore al diritto positivo e quindi in ultima istanza il ritorno allaborrito diritto naturale 19. Il secondo argomento di natura etico-politica e sottolinea le conseguenze pratiche che deriverebbero dallaccoglimento di regole derivate dalla natura delle cose: la formulazione di queste regole, affidata alla valutazione personale e allelaborazione soggettiva dellinterprete, finirebbe per mettere a repentaglio la certezza del diritto m. Il terzo argomento, di natura logica, razionalmente il pi stringente: consiste nel mostrare che la pretesa di ricavare una regola dallesame della natura delle cose si risolve nellerrore logico, noto Ia ragione umana, il sentimento giuridico, la natura delle cose, dice che
n bisogna usare con prudenza, ma usare sempre nellapplicazione, non per la creazione del diritto . T. ASCARELLI, Il problema delle lacune e lart. 3 Dis. Prel. nel diritto privato, in E( Archivio giuridico B, XCIV, 1925, pp. 235-79. Considera la natura delle cose come prezioso ausilio dellinterpretazione s che di per SC non pu suggerire la norma giuridica (p. 260). Cfr. anche Limportanza dei criteri tecnici nella sistemazione delle disci line iuridiche e del airitto agrario diritto agrario, in * Atti del primo Congresso aziona fe dl Tip. editrice Mariano Ricci, Firenze 1935, p. 105; e la * Prefazione ai Jaggi di diri/to commerciale, GiuffrP, Milano 1955, p. 3, in cui affefma, a proposito della natura delle cose, che non bisogna soswuire la soclo!ogia curi il diritto, confondendo le constatazioni storiche con le valutazioni normative. U. NIVARRINI, Trattato elementare di diritto cbmmerciale, UTET, Torino 1935, 4 ed., vol. 1, p. 39: La natura dei fatti rientra nei criteri dinterpretazione, perch determina il metodo fp la costruzio?e e quindi pet la interpretazione del diritto adattandolo a e esigenze pratIche . Ib P. G RECO , Lezioni di diritto commerciale, Giappichelli, Torino 1936 (dispense litografate), pp. 27-8. Distingue le fonti formali dalle fonti materiali, e considera la natura delle cose tra le seconde. M. ROTONDI , Istituzioni di diritto privato, Casa editrice ambrosiana, Milano 1942, 4 ed., n. 38, pp. 64-6, il quale riconosce limportanza dellattento esame del fatto per la migliore comprensione delle norme giuridiche, ma esclude perentoriamente che dallesame del fatto si possa desumere la regola perch *fatto e diritto si ptesentano come termini contrapposti * te. 65). F. M ESSINEO , Manuale di diritto civile e commerciale, Giuffr, Milano 1950, s ed., vol. 1, pp. 66. Ammette che la natura dei fatti & un elemento da tenere in considerazione in sede dintetpretazione della norma. Rocco, Corso di diritto commerciale, cit., pp. 131-2. m FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, cit., p. 152.

dal Moore in poi col nome di naturalistic fallacy , ossia nellerrore di credere che sia possibile trarre un giudizio di valore da un giudizio di fatto. Beninteso i giuristi che si valgono di questo argomento non lo espongono in modo rigoroso: esso prende di solito forma nellaffermazione che impossibile ricavare una regola dal fatto perch la regola precede il fatto ed la regola che qualifica il fatto e non viceversa . Il quarto argomento di natura giuridica: fa appello alla lettera e allo spirito del sistema positivo italiano, il quale - per quel che riguarda la lettera - non ammette o sembra non ammettere altre fonti di produzione giuridica oltre quelle espressamente previste dallart. 1 delle Disposizioni sulla legge in generale, e - per quel che riguarda lo spirito - informato al principio di legalit e alla separazione dei poteri, onde si ritiene inammissibile lintroduzione di nuove fonti del diritto che aprirebbero il varco alla creazione del diritto da parte del giudice . A proposito di questultimo argomento sempre stata frequente tra i nostri giuristi losservazione che il ricorso alla natura delle cose poteva essere pi facilmente ammesso in altri ordinamenti, come quello francese e quello tedesco, in cui non sono espressamente previsti i procedimenti da seguire in caso di lacuna, che non nel nostro ordinamento, ove lallora art. 3 delle Disposizioni preliminari (corrispondente allart. 1.2 attuale) prevedeva, in caso di lacuna, il ricorso allanalogia e ai principi generali di diritto, cio a metodi di autointegrazione dellordinamento. Eppure la discussione intorno alla natura delle cose in Italia ebbe il suo momento. pi felice proprio in occasione di una famosa disputa che si accese tra il 1921 e il 1925 intorno allinterpretazione dellart. 3 predetto e in particolare al modo con cui dovesse essere intesa lespressione principi generali di diritto . . 4. La discussione fu aperta nel 1921 da un articolo del pi autorevole filosofo del diritto del tempo, Giorgio Del Vecchio, il quale scelse la scomoda posizione di opporsi allinterpretazione ; ormai divenuta dominante tra i giuristi circa i principi generali di diritto. Secondo lopinione dominante per u principi gel A SCARELLI , Il problema delle lacune, cit., p. 260. Nel modo pi compiuto ed esemplare, ROTONDI , Istituzioni di diritto privato, cit., * . .. logico che nessun rapporto, nessun fatto si pub valutare, se non formulando un giudizio, in base a un criterio necessariamente distinto, ed estrinseco ad esso...; non si pub negare che, logicamente, la norma non pub concepirsi che come qualcosa di idealmente preesistente al fatto, che solo ci rende possibile di valutare giuridicamente la natura di esso. Per valutare un fatto dal punto di vista del diritto occorre appunto concepire la norma di diritto come qualcosa di indipendente e preesistente w (p. 65). * Anche questo argomento chiaramente esposto da R OTONDI , op. cit., p. 66.

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nctali di diritto dovevano intendersi quelle norme gencralissime che potevano ricavarsi attraverso un processo di successive generalizzazioni delle norme vigenti, e quindi pi precisamente i principi generali del diritto positivo e vigente. Il Del Vecchio sostenne, invece, anche con argomenti testuali, la tesi opposta: i principi generali cui il nostro legislatore si eta richiamato etano gli stessi principi del diritto naturale. Parlando del diritto naturale, il Del Vecchio comprendeva nella nozione di diritto naturale anche il riconoscimento dell esistenza di un necessario tappotto tra la sostanza intrinseca delle cose e le rispettive regole di diritto =: in tal modo lasciava capire che tra ricorso ai princ\pi generali di diritto e ricorso alla natura delle cose non ci poteva essere, per lo meno secondo la sua intcrprctazionc e dci ptinclpi generali di diritto c del diritto natotalc, a l c u n a diffcrcnza. Alla fine dello Stesso anno sulla stessa rivista un giovane studioso del diritto commerciale, Alberto Asquini (n. 1889), fece ancora un passo avanti: riconobbe esplicitamente la natura dei fatti come fonte di diritto, facendola passate, anchegli, atttavetso la porta dei principi generali di diritto se put con un atgomento diverso da quello adoperato dal Del Vecchio. Per il Del Vecchio, poich i principi generali di diritto si identificavano coi principi del diritto naturale, e i principi del dititto naturale si potevano interpretate anche come tegole ricavate dalla natura delle cose, gli stessi principi generali di diritto comprendevano il ricorso alla natura delle cose; pet lAsquini, invece, il ricorso alla natura delle cose era, esso stesso, uno dei principi generali di dititto, e quindi, come tale, legittimato dallart. 3, in patticolare era il principio generale che pctmetteva In chiusura dcl!otdinamcnto giuridico c tic assicurava la complctczxn . Senonch IAsyuini, nel momento stesso in cui ricsrlmava la tesi dc1 Vivantc,

duale dellinterprete, secondo le proposte della scuola del diritto libero, ma la coscienza collettiva alla maniera della scuola storica. Certamente la natura delle cose cos1 interpretata sfuggiva allobiezione che abbiamo considerata test pi striniente, cio allobiezione fondata sullimpossibilit di dedurre un giudizio di valore da un giudizio di fatto; ma vi sfuggiva per il semplice motivo che la natura delle cose veniva intesa come linsieme delle valutazioni date dalla coscienza collettiva su quel determinato rapporto, cio per il fatto che il significato originario di natura veniva - mi si permetta il bisticcio - completamente snaturato 26. Non era pi la natura del rapporto che dettava la regola, ma la coscienza che gli uomini ne avevano avuto in un determinato tempo e in un determinato luogo, che era poi a sua volta una valutazione o un insieme di valutazioni: in questo modo il ricorso alla natura delle cose si risolveva nel ricavate una tegola non dallesame di un fatto, ma dallesame di altre valutazioni precedenti, se pur esistenti allo stato fluido. La soluzione data dallbsquini al problema della natura delle cose testa un esempio caratteristico dellambiguit di questo concetto: nel momento stesso in cui si cerca di analizzarlo, si converte nel suo contrario.

generalmente respinta, e dava alla natura delle cose il pi ampio riconoscimento precisandone il ruolo di fonte formale dc1 diritto, se put valevole soltanto in caso di lacune, e quindi sussidiaria, la privava del suo significato pregnante di fonte oggettiva di regole, definendola come luc~s a non lucendo, la rappresentazione che della funzione dei rapporti sociali e delle loto esigenze economiche fa la coscienza umana 2s. Con questa interpretazione IAsquini risolveva un criterio di rilevazione giuriclics che pretendeva di essere oggettivo in un ctitctio soggettivo, anche se per coscienza umana egli intendeva non gi la coscienza indivi <;. 11~1. Vr~ccr~ro, Sui primipi grrtcrali del diriffo, in Archivio giuridico , LXXXV, 1921, pp. 33.90. Or:I in .StrrJi sul diri//o, C;iufirc, Milano 1958. vol. 1, pp. 207-X. Il passo citnto CZ :I p. 25-l. IJn richiamo esplicito alla natura dei fatti, secondo la teoria dc1 Vivante, a p. 256, n. 84. h ASWUNX La rlaturn dei jn/fi corm fonte di diritro, i n A r c h i v i o giuridico;,, LXXXVI, 1921, pp. 12W7. In part~colate cfr. p. 145. IS fiSQUIN1, op. cit., p. 1 3 8 .

5. Il riconoscimento della natuta delle cose nella dottrina italiana tocc i suoi fastigi in un articolo di Calogero Gangi, apparso due anni dopo, sempre sulla stessa rivista, come nuovo anello della discussione intorno ai principi generali di diritto. Il Del Vecchio aveva parlato, seguendo la vecchia dottrina, di diritto naturale; Asquini aveva ammesso la natura dei fatti ma laveva interpretata in modo da non lasciatla pi riconoscere. Il Gangi disse chiaro e tondo che, daccordo con Del Vecchio, i ptinclpi generali di diritto non potevano essere intesi come prindpi

del diritto positivo in vigore, e lunico modo per intenderli era di intenderli come dei principi generali, delle generali verit, che son comuni a qualunque diritto e che stanno alla base di qualunque diritto: ptinclpi generali, generali verit, che sono rivelate e dettate dalla ragione umana e da questa desunte dalla natura delle cose, di cui luomo parte *. Poi si spinse molto pi in Questa osservazione fu del resto gi fatta immediatamente do da G. PACCWONJ, 1 principi generali del diritto, in N Archivio giuri tco w, .s XCI, 1924, pp. 142-3, il quale sostenne che per principi generali di diritto si dovessero intendete i princ\pi generali elaborati dalla giurisprudenza. I C,. GANGI Il problema delle lacune nel diritto privato, in (Archivio giuridico w, LXXXIX, 1923, pp. 137-71. Il passo citato 6 a p. 155. Ma si veda anche, nello stesso anno., G. BRUNETTI, Le fonti e la funzione del dubbio ne& giurisprudenza, In * Giurisprudenza italiana B, LXXV, 1923, parte IV, cc. l-16. il quale scrisse che i principi generali di diritto dovevano essere interpretati secondo la dottrina piti recente come (tutti quei

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nanzi, affermando che anche il ricorso ai principi generali non era sempre sufficiente a colmare le lacune, onde la necessita di una fonte ulteriore ed ultima cui il giudice avrebbe potuto ricorrere nei casi estremi. Questa fonte ultima, non espressamente richiamata ma ineliminabile, era la natura delle cose. La natura delle cose era la fonte delle regole poste dal legislatore: perch non avrebbe dovuto essere la fonte ultima cui ricorre il giudice in mancanza delle regole poste dal legislatore? 1 rapporti di vita - egli spiegava - quando siano scrutati attentamente ed analizzati minuziosamente in tutti i loro elementi... scoprono, ossia rivelano, essi stessi alla ragione umana la norma pi adatta al loro regolamento m, Contro chi lavesse voluto fare indietreggiare mettendogli innanzi lo spettro del diritto naturale, rispose in anticipo che il richiamo alla natura delle cose non aveva niente a che vedere col vecchio diritto naturaie, perch significava puramente e semplicemente quella norma di decisione che linterprete o il giudice desumera dallesame minuto ed accurato di tutti quanti gli elementi del rapporto da regolare 29. Il Gangi si preoccup di controbattere lobiezione fondata sullargomento di diritto positivo, avvertendo che la regola tratta dalla natura delle cose per colmare una lacuna avrebbe avuto valore soltanto nel caso concreto e non avrebbe mai potuto essere assunta a regola generale. Ma ciononostante non riusd a tranquillizzare i suoi colleghi, fedeli generalmente alla pi schietta ortodossia positivistica: Aldo Checchini, continuando la disputa sui prindpi generali e proponendone una nuova interpretazione, rispose additando il pericolo del soggettivismo e dellincertezza, e condannando la soluzione anche rispetto allius condendum m. Sfortunatamente il Gangi non si preoccup di confutare largomento logico contro la natura delle cose: non sospett neppure lesistenza della difficoltk E in una replica ai suoi contraddittori continu a ripetere, senza fornire alcuna dimostrazione, che saprindpi, che la coscienza comune, illuminata dalla tradizione e dalla r one, derma desumendoli dullu natura dei lutti, ci& dei rapporti SOCITL
(c. 13, il corsivo mio). Quindi P. COGLIOLO, 1 principii generali del diritto,

rebbe bastato il ricorso allesame attento, minuto, di,tutti quanti gli elementi del rapporto da regolare per trovare in caso di lacuna la norma di decisione3. Ma la difficolta fu additata, tra gli altri, dal giovanissimo Ascarelli, il quale chiuse la disputa con un articolo in cui salomonicamente dava ragione ai giuristi positivisti sul piano dogmatico e ai critici del positivismo sul piano storico e filosofico, e a proposito della natura delle cose denunciava lerrore consistente nel mettere i fatti innanzi ai valori 32. 6. Con. la fine di questa prima fase della disputa intorno ai principi generali di diritto la fortuna della natura delle cose nella dottrina italiana si esaurl. Prevalse incontrastata linterpretazione pir ristretta dei principi generali, d che nel nuovo codice, attualmente in vigore, aflinche fosse eliminato ogni dub bio, la vecchia formula troppo generica 8 stata mutata nella formula pi specifica piinc_pi -generali dellordinamento giuridico dello stato (art. 12 Disp. sulla legge in generale , e intal.gZsa lanatura delle cose stata finalmente snidata da1 suo ultimo rifugio. Non valse a rinfrescarne linteresse la traduzione del noto articolo di Gustav Radbruch che apparve sulla Rivista internazionale di filosofia del diritto nel 1941, per opera di Bruno Leoni 33, Nel 1940 aveva avuto luogo la seconda fase della disputa intorno ai prindpi generali di diritto, vertente, questa volta, non tanto sulla loro natura e validit quanto sullopportunit di una loro formulazione de iure condendo. significativo il fatto che nel lungo saggio di Vexio Crisafulli, che riassumeva i termini della questione, e fu pubblicato sulla stessa rivista in cui era apparsa la traduzione del saggio di Kadbruch, e nello stesso anno, alla vecchia questione della natura delle cose non era dedicata neppure una riga U. La crisi del positivismo giuridico e la cosiddetta rinascita del diritto naturale, avvenuta in questo secondo dopoguerra, non hanno indotto i giuristi italiani a mutare la rotta e a riproporsi il problema della natura delle cose, come avvenuto invece in Germania. Nella pi importante opera sullinterpretazione giuridica C. G ANGI , Ancora sul problema delle lacune nel diritto privato, in * Studi nelle scienze giuridiche e sociali pubblicati dallIstituto di esercitazioni presso la Facolti\ di Giurisprudenza della R. Universi& di Pavia s, 1X, 1925, pp. 71-106. Il passo citato a p. 92. Questa replica i? rivolta in particolare al Pacchiani e al Checchini. AS C A R E L L I , Il problema delle lacune. cit.. v. 266. G. RADBRI~H i.u natura della coru c&e johnu giuridicu di pensiero, in *Rivista internazjonale di filosofia del diritto s. XXI. 1941. D D. 145-56. y V. CRISAFULLI, Per la determinazione del &ncetto dei &nhpi eneruli del diritto, in Q Rivista internazionale di filosofia del diritto D, LI, 1941, pp. 41-63; 157-81; 230-64.

in n Il diritto commerciale *, XVI, 1924, parte 1, pp. 161-85, per il quale !dLzeE dei principi generali di diritto deve essere fatta attraverso lesame
e della natura degli istituti, con questa precisazione: * Lp natura der attt, la natura delle cose, la natura det fenomeni costituiscono per .p. ogni legislatore lindicazione della regola da creare per quei fatti, per quelle cose, per quei fenomeni: la difhcolt e conoscere uesta rerum nuturu, e, conosciutala, i principi regolatori sono appunto quel9. che conferiscono allo 1 scopo...: nasce dunque dal codice stesso il principio generalissimo: ogni fatto umano deve avere le norme che lo proteggono per il raggiungimento del suo stono lecito. I D . 176). u Op. cit., p. 163.n Op. cit., p. 166. ) A. C H E C C H I N I, Storia della giurisprrtdenzu e interpretazione deh legge, in a Archivio giuridico *, XC, 1923, pp. 167-230. La critica alla tesi del Gangi si trova a p. 210, n. 1.

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apparsa nella dottrina italiana, che del 1948, lautore, Emilio Betti, riesuma ed accoglie linterpretazione soggettivistica della natura delle cose, gi avanzata dallAsquini, e ripresa dal Pacchioni, e condanna lillusione ingenuamente oggettivistica del Gangi, il quale riteneva che i rapporti di vita rivelino la regola ad essi immanente qualora siano analizzati minuziosamente in tutti i loro elementi. Non , n pu essere, cos): perch non si tratta di registrare ab extra dati naturali, ma di apprezzare esigenze della vita sociale: e qui proprio vero che ciascuna societ storicamente determinata vede ci che ha nel cuore, ossia quel che pif le preme e le sta a cuore, e parimenti ciascuna epoca storica vede le stesse cose con occhi diversi 35. Quel ch pi, la nozione stessa di natura delle cose, cui pure fa spesso riferimento il Codice civile attualmente in vigore, in espressioni come natura della prestazione (art. 1182, comma l), natura dellaffare (artt. 1326, 1329, 1330, 1333), natura del rapporto (art. 1360), natura del contratto (artt. 1369, 1389, 1454), natura dei contratti (art. 1469), natura della somministrazione (art. 1569), natura della cosa (art. 1800), non ha generalmente attirato lattenzione dei giuristi e non mai diventata oggetto di unanalisi specifica %. Da un primo e sommario esame dei principali commentari del Codice civile 37 agli articoli citati, non sembra che lespressione usata dal legislatore abbia sollevato problemi degni di essere discussi: probabilmente apparsa ovvia, perfettamente comprensibile e innocua. Eppure la lettura di questi articoli lascia credere che uno studio sulla natura delle cose potrebbe cominciare, anzich dalle solite astrazioni filosofiche. nroprio dallanalisi delluso di questa nozione nel linguaggio dei legislatore, che presenta alcuni caratteri costanti e dal auale quindi appare possibile ricavare una prima generalizzazionL. 7. 11 problema, caduto di mano ai giuristi, stato raccolto in questi . ultimi . anni dai filosofi del diritto, i quali, quando i . . giuristi ne discutevano, non avevano mai interloquito, tranne, come abbiamo visto, il Del Vecchio 38. Peraltro, con lintervento della critica filosofica, la discussione sulla natura delle cose ha Milano 1949, p. 215.
E. B ETTI , Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Giuffr.

cambiato direzione: questa ormai viene in questione non tanto come fonte del diritto quanto come argomento o topos del ragie namento giuridico. Nello svolgimento della discussione sulla natura delle cose in Italia si possono in tal modo distinguere nettamente due fasi: nella prima fase, svoltasi nel primo quarto di secolo, i giuristi fecero, come abbiamo visto, qualche tentativo, se pur sporadico, di utilizzare la nozione, o in sede di teoria delle fonti o in sede di teoria dellinterpretazione, per smuovere le acque della ristagnante dogmatica, ma i filosofi generalmente non mostrarono alcun interesse al problema che fu lasciato, del resto non soltanto in Italia, in istato di grande abbandono; nella seconda fase che, dopo un silenzio da ambo le parti di circa ventanni, si sta svolgendo sotto i nostri occhi, mentre i filosofi si sono accorti dellesistenza del problema e vanno sottoponendo ad analisi critica la nozione di natura delle cose, i giuristi sembrano ormai completamente assenti dal dibattito. Non si pu dire peraltro che nel passaggio dalluna allaltra fase le sorti della natura delle cose siano migliorate: la tendenza sinora prevalsa presso coloro che hanno affrontato lanalisi filosofica della nozione, e nel senso di non riconoscerne la validit o per lo meno di limitarne la portata. Non vorrei sbagliarmi, ma il primo saggio critico sulla naturadelle cose scritto da un filosofo del diritto italiano ma pub blicato in lingua tedesca, stata la relazione da me svolta nellottobre 1957 al congresso di Saarbriicken che aveva giusto per tema Die Natur der Sache 39. In questa relazione mi proposi di discutere soprattutto tre punti: la natura delle cose come concezione generale del diritto (antivolontarismo), come fonte del diM N. BO B B I O, Uber den Begriff der Natur der Sache, in e Archiv tir Rechts- und Sozialphilosophie a, XLIV, 1958, pp. 305-21 (ora ripubblicato come cap. 1X di questa raccolta). Ma si vedano,. precedentemente, laccenno di W. C ESARINI S F O R Z A, Ex facto ius oritur, m Studi filosoficoiuridici dedicati a Giorgio Del Vecchio nel XXV anno di insegnamento, s ociet tipografica modenese, Modena 1930, vol. 1, p. 95; le pagine dedicate alla natura delle cose a proposito della discussione se il diritto sia riducibile al fatto in P. P I O V A N I, Il significato del principio di e#ettic&, Giuffr, Milano 1953, p. 123 S S.; e quelle sullo stesso argomento di G. FASS, Lu storia come esperienza giuridica, Giuffr, Milano 1953. 87-8, e di L. CAIANI, 1 giudizi di valore nellinterpretazione giuridica ElkDAM, Padova 1954, pp. 144-5, 248-9 che nega la legittimita del ricorso alla natura delle cose in sede logica. Il iostante atteggiamento polemico nei confronti della natura delle cose risulta anche da questa battuta di G. FASsb: a . . . lintramontabile mito del diritto naturale, magari sotto le equivoche spoglie della natura delle cose s (a Sociologia e diritto nel loro nesso e nei loro limiti ., in Filosofia e sociologia, Il Mulino, Bologna 1954, p. 166). Ma dello stesso Fass, in senso favorevole allutilizzazione della natura delle cose da parte del giudice, si veda il pi recente volume La legge della ragione, Il Mulino, Bologna 1964, p. 237, note 43, 44, 46, con un riferimento ad una sentenza della Corte Costituzionale.

y Lelenco di questi articoli mi & stato gentilmente comunicato dal prof. C. E. Balossini. Ho riscontrato i noti commentati pubblicati dalle Case editrici Batbera, Societa editoriale libraria, Utet e Zanichelli. y Il Del Vecchio rimasto col passar degli anni fedele alle sue idee. Si veda una sintesi del suo pensiero circa il rapporto tra la natura e il diritto, tra il diritto naturale e il diritto positivo, nelle Lezioni di filosofia del diritto, di cui cito la 12 ed., GiuffrP, Milano 1963, p. 371 SS.

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ritto (antilegalismo) e come mezzo interpretativo (anticoncettualismo). In tutti e tre i sensi cercai di mostrare come il bersaglio polemico non fosse stato mai pienamente raggiunto e come il richiamo alla natura delle cose promettesse assai pi di quel che riuscisse a mantenere. Feci anche un tentativo, che per non ha avuto seguito, didentificare il ricorso alla natura delle cose in sede dinterpretazione, cio in quella sede in cui ha trovato sinora maggiori consensi (anche dagli avversari), con Iinterpretazione teleologica. Dicevo: Per parte mia credo che, quando il giurista parla di natura di un oggetto o di un soggetto o di un comportamento o di unistituzione, si riferisca al rapporto mezzo-fine e presupponga consapevolmente 0 inconsapevolmente il principio fondamentale di Iherinp: Lo scopo il creatore di tutto il diritto . . . La regola fondamentale cui il giurista si ispira per produrre nuove regole traendole dalla natura delle cose la seguente: Se un certo fine e obbligatorio (o proibito), sono da considerarsi obbligatori (o proibiti) tutti i mezzi oggettivamente atti a raggiungerlo N @. Segd lanno dopo unampia rassegna del pensiero tedesco sulla natura delle cose, in particolare sulle teorie del Radbruch e del Maihofer, di un filosofo del diritto esordiente, Alessandro Baratta l, il quale contrappose alla filosofia naturalistica tedesca, che aveva aperto un troppo facile accesso alla natura delle cose, la prospettiva soggettivistica dellidealismo italiano nellinterpretazione di Cesarini Sforza, per cui, non esistendo se non per astrazione una natura distinta dallo spirito e quindi un fatto distinto dallatto, la natura da sola non buona a nulla e restituisce unicamente quel che ci si mette dentro. Nelle conclusioni critiche Baratta, rifacendosi allidealismo nostrano, riecheggiava i fondamentali motivi polemici che la dottrina italiana aveva costantemente e severamente ribaditi nei confronti della natura delle cose come fonte del diritto: e cos, nel momento stesso in cui richiamava lattenzione degli studiosi italiani sul dibattito che ferveva in Germania, si faceva interprete, ancora una volta, del disagio che ogni concezione oggettivistica e naturalistica del diritto ha sempre provocato in una cultura, come la nostra, consacrata al culto dello spirito creatore e devota allo storicismo. Di questa filosofia giuridica ispirata allidealismo italiano Baratta diceva che mostra limpossibilita di fondare nei fatti una normativit oggettiva indipendente dalla valutazione e dalla volizione del soggetto, e di scorgere nella natura del fatto un valore che preceda latto e la qualificazione del soggetto: giacch la na(o Uber dm Begrig der Nutur der Suche, cit., p. 317 (in questa raccolta, p. 208). A. B ARATTA , Notura del futto e diritto nuturule, in e Rivista internazionale di filosofia del diritto P, XXXVI, 1959, pp. 177-228.

fura dellatto lattivita del soggetto che lo pone e lo qualifica creandone e ricreandone il senso .

8. Certo che in questi ultimi anni, per la prima volta, la natura delle cose entrata a far parte dei temi abituali e addirittura obbligati della filosofia del diritto: se ne parla e la si discute in recenti monografie, pur dedicate ad altri argomenti, come quella di E. di Robilant e quella di A. G. Conte. Ma forse la miglior prova del suo riconoscimento data dal fatto che una delle grandi enciclopedie giuridiche italiane, che nelledizione di prima della guerra non faceva posto tra le innumerevoli voci dei suoi dodici poderosi volumi alla natura delle cose, nella nuova edizione in corso ha dedicato allargomento unampia trattazione, per opera di Nello Morra, che , oltretutto, sino ad ora, lesposizione pi esauriente del tema . Peraltro, se mutato linteresse per il problema, non mutato il tradizionale atteggiamento polemico: tutti e tre gli autori test citati sono sostanzialmente daccordo nellopporre alla validit della natura delle cose come fonte di regole giuridiche largomento fondato sullindeducibilit del valore dal fatto. In particolare, Robilant, che si occupa del problema in due parti diverse del suo libro, nega, per un verso, che la natura delle cose determini direttamente e univocamente le valutazioni del legislatore, e contesta, per altro verso, che per ci stesso il ricorso alla natura delle cose costituisca fondamento sufficiente delloggettivita delle valutazioni, l dove afferma che essa si risolve tuttal pi in un richiamo alla maggiore o minore fondatezza dei criteri di giustizia. Conte si sofferma a ricordare che il derivare il valore dal fatto e illusione ricorrente ed antica, prendendo ad esempio la pretesa di derivare norme del buon soldato dal concetto di soldato. Movendo anchegli dallargomento della fallacia naturalistica, Morra abbatte sistematicamente i vari ripari innalzati dai fautori della natura delle cose a favore della loro dottrina; laccetta come criterio e strumento dinterpretazione dichiarativa del diritto, e ne delimita limpiego nellmterpretazione abrogante e nella determinazione della condotta da tenere in base a una norma finale; chiarisce infine il nesso che lega la natura delle cose ai
o Op. cit., p. 222. u E. DI R OBILANT , Sui principi di giustiziu, Giufft, Milano 1961; pp. 139-50, 22434. u A.G. GJNTE, Saggio sulla completezzu degli ordinumenti giuridici. Giappichelli, Torino 1962, pp. 102-5. Novissimo Digesto Italiunb, voce * Natura delle cose n di N. MORRA,
vol. x1.

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giudizi dequit: in questo nesso la natura delle cose appare come la prima fase, strettamente osservativa, di tale specie di giudizi (6
9. Resterebbe a domandarsi per quali ragioni la natura delle cose abbia avuto COSI poca fortuna nella dottrina italiana tanto da essere o trascurata (dai giuristi) o ripudiata (dai filosofi). Per quel che riguarda lindifferenza dei giuristi la ragione fondamentale certamente lattaccamento al dogma dellonnipotenza del legislatore, rafforzato dal particolare carattere del nostro ordinamento ispirato al principio dellautointegrazione. Per quel che riguarda la critica dei filosofi, la ragione fondamentale da ricercarsi nellantinaturalismo dominante nella filosofia italiana attraverso il permanente e radicato influsso dello storicismo.
dato dalla pubblicazione dellarticolo di 1. T A M M E L O , Lu rrafuru dei fatti come tops giuridico, in Rivista internazionale di filosofia del diritto *, X1, 1963, pp. 655-83, a cura dello stesso N. Morra.

Indice dei nomi

Achenwall G., 167. Adickcs F., 198. Agnelli A., 147. Ago R., 26, 27, 101, 147, 155. Allorio E., 25, 35, 80, 91. Antoni C.. 179. 184. Ardig R.; 56,.62. Aristotele. 128. 169. As;;~:;~~, 3b, 31, 68, 227, 228, Asquihi A., 199, 230, 231, 234. Astuti G., 116. Austin J., 37,49, 147, 148, 154, 155, 157, 158, 163. Bagolini L., 31, 94. Balossini CE., 234. Baratta A., 236. Barhero D., 23, 33, 35, 101. Barbeyrac J., 171. Barile G., 27, 101. Rarker E., 179. Battaglia F., 57, 60, 67. Battaglini G., 99. Behrend I.Fr., 225. Bentham J., 45, 148, 156, 157, 158, 182. Bcntivoglir; L.M., 101. Benvenuti F., 35, 91. Bcrghohm K., 11X. Betti E.. 29. 30. 234. Bcttiol G., 33. Binder J., 41. Biondi B., 19, 29. Bolalfio L., 226. Bonfantc P., 62. Bonnecasc J., 115, 179. Brrlgi B., 6 2 . Brunctti G., 2 3 1 . Burkc E., 139, 140. Caiani I.., 29, 35, 235. Calamandrci P., 19, 28, 69, 82, 117. CalogcBro Cr., 67. Cammarata A.E., 34, 56, 60, 61, 92. 142. Camnanella T.. 170. (;ap&rassi G., 20, 25, 59, 60, 116. 117. (:nrnclrltti l:., 19 28. 3.1. 35, 56, 94, 67, 67, 58,

Un ultimo segno del rinnovato dibattito sulla natura delle cose

60, 67, 80, 83, 112, 119, 120, 147, 155, 156. Cattaneo MA., 146, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 155, 156, 157. Cesatini Sforza W., 24, 59, 67, 235, 236. Charmont J., 57, 180. Checchini A., 232, 233. Cogliolo P., 232. Coine H.. 156. Contg A.G., 2 3 7 . Coviello N., 198. Crisafulli V., 233. Croce B., 59, 62, 63, 67, 71, 193. Cromwell O., 1 7 1 . Cumhetland R., 169. Dahin J., 115. 1%~ Marini C.M., 29. David A.. 2 1 0 .

Del Vecchio G., 42, 56, 59, 60, 229, 230, 231, 234. De Ruggiero G., 63. Di Robilant E., 36, 47, 87, 237. Donati M., 118. Duguit L., 42.
Ehrlich E., 44, 107, 118, 155. Eisenmann Ch., 148, 149. Falk R.A.. 103. 147.
I I

Fass G., 10, Il, 32, 60, 61, 62, 139, 179, 235. Favara E., 28. Ferrara F., 198, 227.
Fricdmann W . , 103. Fullcr L.L., 123. Gahrieli V., 171. Gangi C., 231, 232, 233, 234. Garhagnati E., 23, 28. Gentile G., 41, 43, 44, 59, 62, 67. G6ny F., 44, 115, 179, 180. Giannini A., 189. Gierke O., 179. Goldschmidt L., 225. Greco P., 228. Groppali A., 62. Grozio CT., 49, 168, 171, 187, 218. llarc Il.R.M., 219.

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