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peggiore. Passai da allora diverse stagioni, anzi parti di stagione, massime l'estate, in un appartato rifugio nella contea di Camden, New Jersey -Timber Creek, piccolo fiume (si stacca dal grande Delaware, dodici miglia pi in l)- con solitudini primitive, serpeggiar d'acque, sponde isolate e boscose, sorgenti d'acqua dolce e tutti gli incanti che uccelli, erba, fiori selvatici, conigli e scoiattoli, vecchie querce, noci, ecc. possono offrire. In questi scorci di tempo e in questi luoghi fu scritto il diario da pag. 147 in poi. La MISCELLANEA che segue raccoglie tutte le scartoffie su cui sto riuscendo a metter ora le mani, brani scritti in passato in momenti diversi, imbrigliandoli tutti assieme come pesci nella rete. Penso che il mio desiderio di pubblicare l'intera raccolta cos come si trova sia dovuto in primo luogo a quella eterna tendenza a perpetuare e preservare che ovunque latente in Natura, inclusi gli scrittori; e in secondo luogo, per dar veste di simbolo a due o tre interni tipici, personali e non, scelti tra le miriadi del mio tempo, la met del secolo diciannovesimo nel Nuovo Mondo, uno strano, sconnesso, meraviglioso tempo. Ma con ogni probabilit il libro scritto senza alcun proposito di cui possa darsi una enunciazione definita (N.d.A.). RISPOSTA A UN AMICO INSISTENTE
Mi chiedi notizie, dettagli dei miei primi anni-della mia genealogia e parentela, in particolare delle donne della mia ascendenza e la lontana origine olandese del ramo materno - della regione dove nacqui e crebbi, e mio padre e mia madre prima di me, e i loro prima di loro - con l'aggiunta magari di una parola su Brooklyn e New York, e sui periodi che ebbi a passarvi da ragazzo e da giovane. Dici di volere questi particolari soprattutto in quanto antecedenti e embrioni di Foglie d'Erba. Benissimo; ne avrai se non altro qualche campione. Ho pensato spesso al significato di simili cose - che sia possibile abbracciare e conchiudere argomenti del genere spingendo l'esplorazione direttamente dietro le cose, molto indietro forse, fin entro la loro genesi, gli antecedenti e i vari stadi di accumulazione. Poi, tempo fa, come fortuna volle, presi a ingannare il tedio di una settimana di infermit e isolamento collazionando queste medesime note, ma per un altro scopo, non ancora realizzato e probabilmente ormai abbandonato; e se vorrai accontentarti di esse cos come sono, semplicemente autentiche nelle date e nei fatti, e raccontate alla mia garrula maniera, eccotele. Non esiter a fare degli estratti, poich mi attacco a tutto ci che pu risparmiarmi fatica; ma costituiranno sempre la miglior versione di quanto mia intenzione dire. GENEALOGIA - VAN VELSOR E WHITMAN
Gli ultimi anni del secolo scorso trovarono la famiglia di mia madre, i Van Velsor, nella loro fattoria a Cold Spring, Long Island, nello stato di New York, presso il confine orientale della contea di Queens, a circa un miglio dal porto.* La mia famiglia paterna, probabilmente la quinta generazione dai primi stanziamenti nel New England, coltivava in quello stesso periodo un suo appezzamento di terra a un due o tre miglia di distanza, a West Hills nella contea di Suffolk - (e che bel podere era, 500 acri, tutta terra buona, leggermente in pendio a est e a sud, circa un decimo piantato a bosco, con una quantit di vecchi alberi maestosi). Il nome dei Whitman deve indubbiamente la sua apparizione negli stati dell'Est, da cui diram poi ad Ovest e a Sud, a un certo John Whitman, nato nel 1602 nella Vecchia Inghilterra dove crebbe, si spos ed ebbe il primo figlio nel 1629. Venne in America con la True Love, nel 1640, e visse a Weymouth, Massachusetts, luogo che doveva divenire il focolaio di tutti
gli americani del New England di quel nome: mor nel 1692. Suo fratello, il Rev. Zechariah Whitman, arriv anche lui con la True Love, in quello stesso periodo o immediatamente dopo, e visse a Milford, Connecticut. Un figlio di questo Zechariah, a nome Joseph, emigr a Huntington, Long Island, dove si stabil definitivamente. Il Dizionario genealogico del Savage (vol. IV, p. 524) d la famiglia Whitman stabilita a Huntington, tramite codesto Joseph, prima del 1664. ormai certo che da quel momento e da quel Joseph cominciarono a irradiarsi i Whitman di West Hill e tutti gli altri della contea di Suffolk, me incluso. Sia John che Zecheriah andarono e tornarono dall'Inghilterra varie volte; avevano famiglie numerose, e parecchi dei loro figli nacquero nell'antica patria. Abbiamo anche notizia del padre di John e Zechariah, Abijah Whitman, con il quale si risale al 1500, ma poco sappiamo sul suo conto, tranne che lui fu per qualche tempo in America. Queste annose reminiscenze genealogiche mi occorrono in modo cos vivo grazie a una visita da me compiuta non molto tempo fa (a 63 anni) a West Hills e ai cimiteri dei miei antenati di ambo i rami. Traggo quanto segue da note prese allora, nel luogo stesso della mia visita: * Long Island fu colonizzata dapprima dagli Olandesi sul lato occidentale e poi dagli Inglesi su quello orientale -la linea divisoria tra i due gruppi nazionali restava un poco ad ovest di Huntington, dove viveva la famiglia di mio padre e dove nacqui io (N.d.A.). I CIMITERI DEI VECCHI WHITMAN E VAN VELSOR
29 luglio 1881. Tornato a Long Island per una visita di una settimana ai luoghi dove sono nato, a trenta miglia da New York, dopo un'assenza di pi di quarant' anni (tranne una breve visita per accompagnarvi un'ultima volta mio padre, due anni prima che morisse). Girato per i vecchi luoghi familiari, osservando minuziosamente, meditando, indugiando nei miei pensieri. Tutto tornava alla memoria. Mi recai all'antica residenza dei Whitman sulla collina, e di l volsi lo sguardo ad est, piegando quindi a sud sulla bella distesa di terre ch erano state di mio nonno (1780) e poi di mio padre. L era la casa nuova (1810), con la gran quercia di centocinquanta, forse duecento anni; l il pozzo, e l'orticello un po' in discesa, e a breve distanza, ancora in piedi, persino i resti ben conservati della casa del mio bisnonno (1750-60) con le sue travature possenti e i soffitti bassi. L presso, un boschetto solenne di noci neri alti e vigorosi, bellissimi, apollinei, per certo figli e nipoti di noci gi esistenti nel 1776 se non prima. Dall'altro lato della strada si stendeva il famoso pometo di pi di venti acri, alberi piantati da mani ormai da tempo sfatte nella tomba (quelle di mio zio Jesse), ma molti ancora evidentemente capaci di metter fuori ogni anno fiori e frutti. Scrivo ora queste righe seduto su una vecchia tomba (senza dubbio di almeno un secolo fa) sulla collina dove sono sepolti i Whitman di molte generazioni. Cinquanta tombe, forse pi, sono chiaramente individuabili; altrettante hanno perso ogni forma nello sfacelo del tempo- tumuli appiattiti, pietre spezzate e sbriciolate, coperte di muschio - la collina sterile e grigia e fuori le macchie compatte di castagni, e il silenzio, variato appena dall'uggiolo del vento. Ciascuno di codesti vecchi cimiteri, di cui Long Island ricca, ha in s la pi profonda eloquenza di cui sermone o poema sia capace; che cosa dunque non sar stato questo per me? L'intera storia della mia famiglia con la sua successione di legami dal primo stanziamento sino ad oggi narrata qui: tre secoli concentrati in questo sterile acro di terra. Dedicai l'indomani, 30 luglio, ai luoghi di mia madre, e ne rimasi se possibile ancor pi penetrato e colpito. Scrivo questa paginetta nel cimitero dei Van Velsor presso Cold Spring, il pi significativo luogo d'inumazione che si possa immaginare, privo del minimo ausilio dell'arte e tuttavia quanto superiore all'arte stessa, terra sterile, un pianoro di mezz'acro in gran parte brullo a sommo di un colle, e tutt'intorno siepi di sterpaglia e alberi rigogliosi e fitti boschi, un luogo assai primitivo, niente
visitatori, niente strade (non si arriva in carrozza quass, i morti bisogna portarveli a piedi, e a piedi seguirli)- quaranta, forse sessanta tombe ancora ben visibili, e altrettante pressoch cancellate. Qui sono sepolti mio nonno Cornelius e mia nonna Amy (Naomi), e un gran numero di parenti stretti o remoti, del ramo di mia madre. Il quadro nell'insieme, che l'osservassi in piedi o seduto, l'odore delicato e selvaggio dei boschi, un rado piovigginare, l'atmosfera emotiva del luogo e le reminiscenze racchiuse in esso, erano perfetto accompagnamento. LA CASA MATERNA
Da questo antico luogo di tombe scesi per un quattro o cinquecento iarde sino alla dimora dei Van Velsor, dove nacque mia madre (1795) e dove da bambino e poi da ragazzo non c'era stato angolo che non mi fosse familiare. Era stata, a quel tempo, una costruzione lunga e disorganica con muri a listelli di legno grigio scuro, con capannoni, recinti pel bestiame, un bel granaio e grandi spiazzi carrabili Di tutto ci ora non una traccia; tutto era stato abbattuto, cancellato, l'aratro e l'erpice passati sulle fondamenta, gli spiazzi e ogni altra cosa, per molte estati - chiuso adesso nel giro di una staccionata, con biada e trifoglio che vi crescono come in qualsiasi altro buon campo. Solo una gran buca, residuo della cantina, con qualche mucchietto di pietre sbriciolate tutte verdi d'erbe e di gramigna, restava a indicare il luogo. Persino il vecchio ruscello e la fonte un tempo cos ricchi d'acqua sembravano essersi esauriti, dileguati. L'intera scena, con tutto ci che ridestava in me, ricordi dei miei giovani giorni trascorsi in quello stesso luogo mezzo secolo prima, l'ampia cucina e il gran camino e, accanto, il salotto, il mobilio semplice, i pasti, la casa piena di gente allegra, il dolce viso di vecchia di mia nonna Amy nella sua cuffia quacquera, mio nonno il maggiore, gioviale, rubizzo, ben piantato, con quella voce sonora e la fisionomia caratteristica, tali cose insieme a quanto mi si offriva allo sguardo, fecero di quella mezza giornata l'esperienza pi viva di tutta la mia gita. L infatti, in quel salubre ambiente di colline e boschi, crebbe la mia carissima madre, Louisa Van Velsor - (sua madre, Amy Williams, della congrega dei Quacqueri o Amici - la famiglia Williams, sette sorelle e un fratello - marinai il padre e il fratello, e morti ambedue in mare) I Van Velsor erano noti per i loro bei cavalli, bestie di razza che gli uomini allevavano e addestravano. Mia madre da giovane era un'ardita amazzone, e non passava giorno che non montasse a cavallo. Quanto al capofamiglia in persona, ritengo che l'antica razza olandese, cos ben innestata nell'isola di Manhattan e nelle contee di Kings e Queens, non abbia mai esibito campione pi caratteristico e pi completamente americanizzato del Maggiore Cornelius Van Velsor. DUE VECCHI INTERNI DI FAMIGLIA
Ecco due esempi di vita domestica e privata al centro di Long Island, a quel tempo o poco prima: All'inizio di questo secolo i Whitman vivevano in una lunga casa di campagna di un piano e mezzo, costruita con travi poderose che reggono ancora. Una estremit della casa era costituita da una grande cucina sempre sotto una cappa di fumo, con un vasto focolare e un gran camino. L'esistenza della schiavit nello stato di New York a quel tempo, e il fatto che la famiglia possedesse una dozzina o quindicina di schiavi addetti ai servizi della casa e dei campi, conferiva all'insieme un aspetto patriarcale. Verso il tramonto si vedevano in quella cucina sciami di negretti accoccolati in circolo sul
pavimento cenare con dolce di granturco e latte. Tutto nella casa, dal cibo alla mobilia, era rozzo ma essenziale. Non si sapeva cosa fossero tappeti, stufe o caff; t e zucchero erano per le donne soltanto. Vivaci fuochi di legna davano calore e luce alle notti d'inverno. C'era grande abbondanza di carne di porco, di manzo e di pollo, e di tutte le verdure e i cereali comuni. Il sidro era la bevanda abituale degli uomini, e veniva presa ai pasti. Gli abiti erano per lo pi tessuti in casa. Uomini e donne viaggiavano a cavallo. Ambo i sessi svolgevano lavori manuali - gli uomini nei campi, le donne a casa o nei pressi. I libri erano scarsi. La copia annuale dell'almanacco era un avvenimento, e veniva letta e riletta nelle lunghe sere d'inverno. Vorrei anche ricordare che ambedue queste famiglie vivevano abbastanza vicino al mare da poterlo osservare dalle alture, e ascoltare nelle ore di calma il muggito dei marosi: di notte, dopo una tempesta, questi avevano un suono tutto particolare. Tutti poi, maschi e femmine, usavano scendere sovente in gruppi alla spiaggia, per sostarvi o bagnarsi; gli uomini talvolta per spedizioni pratiche, come tagliar fieno salato, raccoglier telline e pescare. (dalle NOTE di John Burroughs) Gli antenati di Walt Whitman, sia dal lato materno che paterno, tenevano buona tavola, curavano l'ospitalit, le forme e la propria reputazione sociale nella contea, che era eccellente, ed avevano spesso personalit spiccate. Mi piacerebbe, spazio permettendo, soffermarmi su alcuni di essi che mi paion degni di una menzione speciale, soprattutto tra le donne. La bisnonna di parte paterna, ad esempio, era un donnone dal colorito bruno che visse fino a tardissima et. Fumava, cavalcava come un uomo, sapeva domare la bestia pi ombrosa; pi tardi, rimasta vedova, usava recarsi ogni giorno nelle sue terre, sovente in sella, a dirigere il lavoro degli schiavi con un linguaggio in cui, all'occasione, non erano risparmiate le bestemmie. Le due nonne di primo grado di Whitman furono donne superiori, nel senso migliore della parola. La nonna materna, Amy Williams, da ragazza era una quacquera, o "amica", di carattere dolce e sensibile, donna di casa per indole, e di natura profondamente intuitiva e spirituale. L'altra (Hannah Brush) era un carattere egualmente nobile e forse pi forte, ebbe vita lunghissima e figliolanza numerosa, era una signora per natura, in giovent aveva fatto la maestra di scuola, aveva una grande solidit di mente. Lo stesso W. W. tiene in grande considerazione le donne della sua famiglia. (lo stesso) Da questi antecedenti di ambienti e persone nacqui io, il 31 maggio 1819. Mi soffermer ora un poco sulla localit in s, dal momento che le successive fasi della mia infanzia, adolescenza, giovinezza e maturit, trascorsero tutte in questa isola di Long Island che sento a volte quasi entrata a far parte di me stesso. Vi ho vagabondato da ragazzo e poi da uomo; ho vissuto, si pu dire, quasi in ogni parte di essa, da Brooklyn alla punta di Montauk. PAUMANOK. LA MIA INFANZIA E LA MIA GIOVINEZZA
Degna invero di completa e minuziosa attenzione questa Paumanok (per dare al luogo il suo nome indigeno * ) che si slunga ad est attraverso le contee di Kings, Queens e Sufflok, per un totale di centoventi miglia- a nord, lo stretto di Long Island, una splendida, varia e pittoresca serie di insenature, bracci ed espansioni marine per un centinaio di miglia fino a punta Oriente. Dalla parte dell'Oceano la grande baia meridionale punteggiata di innumerevoli secche, piccole per lo pi, alcune piuttosto ampie, qua e l lunghe creste di sabbia distanti da riva da un mille iarde a un miglio e mezzo. Altrove invece,
come accade a Rockaway e nell'estrema parte orientale lungo gli Hamptons, la spiaggia cinge direttamente l'isola, col mare che vi si precipita sopra senza impedimenti di sorta. Diversi fari sulle coste orientali: una lunga storia di tragici naufragi, alcuni anche di questi ultimi anni. Da ragazzo io vivevo nell'atmosfera e nelle tradizioni di molti di codesti naufragi - di uno o due fui anzi quasi spettatore. Fu al largo della spiaggia di Hempstead, per esempio, che avvenne nel 1040 il disastro della nave Mexico (cui si allude ne "I dormienti", in F. d'e.); e a Hampton, qualche anno dopo, la distruzione del brigantino Elizabeth, una cosa terribile, durante una delle peggiori burrasche invernali; vi perse la vita Margaret Fuller, col marito e il figlio. All'interno dei banchi e delle secche questa baia meridionale ovunque relativamente poco profonda; la superficie negli inverni pi freddi tutta una spessa coltre di ghiaccio. Da ragazzo mi recavo sovente con uno o due compagni su quei campi gelati, con una slitta a mano, ascia e fiocina, a caccia di nidi di anguille. Scavavamo buche nel ghiaccio, capitando a volte su vere miniere di anguille, e riuscendo a riempire i nostri cestini di capitoni grassi, grossi, dalla carne bianca e dolce. Il paesaggio, il ghiaccio, tirar la slitta, scavar buche e fiocinare anguille, ecc. costituivano naturalmente, per dei ragazzi, il pi gran divertimento del mondo. Le rive di questa baia, d'estate e d'inverno, e le imprese della mia fanciullezza sul loro sfondo sono una trama che corre per tutte le mie F. d'e. Un altro dei miei divertimenti preferiti a quel tempo erano le battute sulla baia, d'estate, alla ricerca di uova di gabbiano (i gabbiani depongono due o tre uova alla volta, un po' pi grandi di un mezzo uovo di gallina, direttamente sulla sabbia, e li le lasciano a schiudersi col calore del sole). Anche l'estremit orientale di Long Island, la regione della baia Peconic, mi era parecchio familiare - ho fatto pi di una volta il giro per mare dell'isola Shelter, scendendo fino a Montauk - e quante ore non ho trascorso sulla collina della Tartatuga all'estremo capo dell'isola, presso il vecchio faro, spaziando con lo sguardo sull'incessante rollio dell'Atlantico. Mi piaceva spingermi fin laggi a fraternizzare con i pescatori di spigole o con le squadre annuali di pescatori di branzini. M' accadeva di incontrare a volte sulla penisola di Montauk (lunga una quindicina di miglia, e tutta buon pascolo) quegli strani, incolti e semibarbari pastori che vivevano allora incuranti di ogni forma di vita sociale e civile, sorvegliando su quei ricchi pascoli vaste mandrie di cavalli, pecore e bovini di propriet degli agricoltori delle citt dell'Est; e talora anche qualcuno degli ultimi indiani o mezzosangue rimasti ancora nella penisola di Montauk, ma che ora credo completamente estinti. Pi al centro dell'isola si trovavano le ampie pianure di Hempstead, a quel tempo (1830-40) molto simili a praterie, aperte, disabitate, piuttosto sterili, coperte di erbacce e cespugli di sorbo, eppur ricche di ottimo foraggio per il bestiame, specie vacche da latte, che vi pascolavano a centinaia, migliaia a volte, e si vedevano a sera (anche le pianure erano propriet cittadina, e questo era l'uso che ne faceva la comunit) prendere la via di casa diramandosi regolarmente al punto dovuto. Pi di una volta mi sono trovato fuori, verso il tramonto, ai bordi di queste praterie; e rivedo ancora con gli occhi della fantasia le interminabili processioni di mucche, e riodo la musica dei campani di latta o di rame, vicini o distanti, e respiro ancora la fragranza di quell'aria serotina dolce e lievemente aromatica, e seguo attento il tramonto. Nella medesima regione dell'isola, ma pi verso est, si stendevano vaste zone centrali di pini e querce nane (era qui che in genere si faceva il carbone) monotone e sterili. Ma quante belle giornate e mezze giornate non ho passato a vagabondare per quei viottoli solitari, respirando profondamente il particolare aroma selvatico. Qui, come in ogni angolo dell'isola e delle sue coste, ho vissuto ad intervalli per molti anni, in tutte le stagioni, girando ora a cavallo, ora in barca, ma per lo pi a piedi (ero un buon camminatore a quei tempi), assorbendo campi, rive, incidenti di mare, tipi umani, la gente della baia, contadini, piloti - ebbi sempre molte amicizie tra questi ultimi e tra i pescatori - ogni estate facevo escursioni in barca - e sempre mi piacque la nuda spiaggia a sud, che ha visto alcune delle ore pi felici della mia vita sino ad oggi.
Mentre scrivo, a distanza di quarant'anni e pi, l'intera esperienza rifluisce in me - il cullante sciabordo delle onde, l'odore della salsedine - le gioie della fanciullezza, la pesca dei molluschi a piedi nudi, coi calzoni rimboccati - spinger la barca gi per il ruscello - il profumo dei prati di carice - la chiatta del fieno, le spedizioni per pesci e molluschi da mangiare a zuppa; o, in anni pi recenti, brevi viaggi per la baia di New York e anche fuori, nelle barche dei piloti. In quegli stessi anni inoltre, quando cio vivevo a Brooklyn (1836-50), me ne andavo regolarmente ogni settimana durante la buona stagione a Coney Island, allora una lunga spiaggia nuda e deserta, tutta per me, dove mi piaceva, dopo il bagno, fare gran corse su e gi sulla sabbia dura declamando per ore Omero o Shakespeare alla risacca e ai gabbiani. Ma sto procedendo troppo rapidamente, e debbo mantenermi nei limiti del tracciato. * Paumanok (o Paumanake, o Paumanack, nome indiano di Long Island): oltre cento miglia di lunghezza, a forma di pesce - gran copia di coste, sabbiose, battute dalle tempeste, poco invitanti, l'orizzonte sterminato, l'aria troppo forte per i malati, e le sue baie splendide riserve per gli uccelli acquatici, i campi a sud ricoperti di fieno salato, il suolo in genere duro, ma buono pei carrubi, i meli e il morasco, e ricco di innumerevoli sorgenti della pi dolce acqua del mondo. Anni fa, tra la gente della baia - una razza forte e selvaggia ora estinta, o piuttosto radicalmente mutata-un nativo di Long Island veniva definito un Paumanackese, o Creolo-Paumanackese (John Burronghs) (N.d.A.). PRIME LETTURE. LAFAYETTE
Dal 1824 al '28 la nostra famiglia visse a Brooklyn, in Front Street, Cranberry Street e Johnson Street nell'ordine. In quest'ultima mio padre si costru una bella casetta, e un'altra ne costru in seguito in Tillary Street. Le abitammo una dopo l'altra, ma erano ipotecate, e cos le perdemmo. Ricordo ancora la visita di Lafayette. * Durante la maggior parte di quegli anni frequentai le scuole pubbliche. Dev'essere stato intorno al 1829 o '30 che mi recai in compagnia di mio padre e mia madre a sentir predicare Elias Hicks, in una sala da ballo sulle alture di Brooklyn. A un dipresso nello stesso periodo mi impiegai come ragazzo d'ufficio presso due legali, padre e figlio, i Clarke, a Fulton Street, vicino Orange Street. Avevo un bel tavolo e il cantuccio della finestra tutto per me; Edward C. mi aiut gentilmente a migliorare nella calligrafia e nella composizione e mi iscrisse (l'evento pi memorabile della mia vita sino a quel momento) a una grossa biblioteca circolante. Allora, per un buon periodo di tempo, diguazzai in letture romanzesche d'ogni sorta; per prima cosa Le mille e una notte, tutti i volumi, un vero festino; poi, con qualche sortita in altre direzioni, divorai uno dopo l'altro tutti i romanzi e tutte le poesie di Walter Scott (e ancor oggi leggo con piacere sia le une che gli altri). * Durante la sua visita nel nostro paese, nel 1824, il Generale Lafayette venne a Brooklyn in gran pompa e attravers la citt a cavallo. I ragazzi uscirono dalle scuole per unirsi al saluto della cittadinanza. Si stava proprio allora cominciando a costruire una biblioteca pubblica e gratuita per i giovani, e Lafayette acconsent a fermarsi per porre la prima pietra. Poich i bambini si riversavano a frotte sul luogo dove era gi stata scavata una enorme buca per le fondamenta, chiusa da mucchi di rozzi pietroni, molti signori si prestarono a sollevare i bambini affinch potessero seguire la cerimonia da posizioni pi sicure e pi comode. Lo stesso Lafayette che anche aiutava i bambini, sollev tra gli altri il piccolo Walt Whitman, che aveva allora cinque anni e, strettolo per un attimo al petto e baciatolo, lo pos nuovamente a terra, in un angolo sicuro dello sterro. (John Burroughs)
Circa due anni dopo mi impiegai come apprendista nella tipografia di un giornale settimanale. Il giornale era il Long Island Patriot di S. E. Clements, che era anche direttore dell'ufficio postale. Nell'ufficio c'era un vecchio tipografo, William Hartsborne, un tipo di rivoluzionario che aveva conosciuto Washington e che divenne mio grande amico; con lui si facevano lunghe chiacchierate sui bei tempi andati. Gli apprendisti, me incluso, stavano a pensione presso una sua nipote. Ogni tanto facevo una passeggiata a cavallo con il capufficio, il quale era per la verit assai gentile con noi; alla domenica ci portava tutti con s a una gran chiesa di pietra, vecchia e in rovina, alquanto simile a una fortezza, in Joralemon Str., vicino a dov' ora il municipio di Brooklyn (a quel tempo c'erano, tutt'intorno, campi aperti e strade di campagna). * Lavorai in seguito per il Long Island Star, il giornale di Alden Spooner. Per tutti questi anni mio padre continu con alterna fortuna il suo lavoro di falegname e costruttore. La nostra era una famiglia che cresceva-otto figli, di cui mio fratello Jesse era il pi anziano e io il secondo, seguiti dalle mie care sorelle Mary, Hannah e Lonisa, e poi dai miei fratelli Andrew, George, Thomas Jefferson, fino al pi piccolo, Edward, nato nel 1835 e sempre tormentato nel fisico, non diversamente da me negli ultimi anni. * Della Brooklyn di quel tempo (1830-40) non rimane quasi nulla, eccetto il tracciato delle vecchie strade. La popolazione oscillava tra le dieci e le dodicimila anime. Fulton Str. era fiancheggiata per un buon miglio da magnifici olmi. Il luogo nel complesso aveva caratteristiche affatto rurali. Come esempio del divario di valori tra allora e adesso si potrebbe ricordare che venticinque acri di quella che ora la parte pi costosa della citt, tra Flatbush e Fulton Avenue, vennero acquistati da certo signor Parmentier, emigrato francese, per 4.000 dollari. Chi ricorda pi com'erano i vecchi luoghi? Chi i vecchi cittadini di quei tempi? Tra i primi, il caff di Smith & Wood, quello di Coe Downing e gli altri nei pressi del ferry, il vecchio ferry stesso, e Love Lane, le Heights com'erano allora, il Vallabout col suo ponte di legno, e il tratto di strada che da Fulton Str. conduce fino al vecchio ponte a pedaggio. Tra i secondi, il geniale e maestoso generale Jeremiah Johnson, e gli altri, Gabriel Furman, il rev. E. M. Johnson, Alden Spooner, il signor Pierrepont, il signor Joralemon, Samuel Willoughby, Jonathan Trotter, George Hall, Cyrus P. Smith, N. B. Morse, John Dikeman, Adrian Hegeman e William Udall, oltre al vecchio signor Duflon, col suo ritrovo per militari (N.d.A.). ADOLESCENZA, SALUTE, LAVORO
Tra il '33 e il '35 mi trasformai in un ragazzone sano e robusto (crebbi tuttavia troppo in fretta, a 15-16 anni avevo gi quasi le proporzioni di un uomo). In questo periodo la mia famiglia torn a vivere in campagna, la mia cara madre fu malata gravemente, e a lungo, ma si riprese. Pi o meno ogni estate per tutti questi anni io ritornai a Long Island, restandovi a volte per mesi, ora nella parte orientale ora in quella occidentale. A 16-17 anni e per qualche tempo dopo, ebbi la passione dei circoli di dibattito, cui partecipavo attivamente, pur senza molta continuit, a Brooklyn e in una o due cittadine dell'isola. Lettore direi onnivoro di romanzi, divorai in questi anni e in quelli che seguirono qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano. Amante del teatro, inoltre, a New York, mi ci recavo ogni volta che potevo, assistendo talora a ottime rappresentazioni. 1836-37, lavoro come compositore in varie tipografie di New York City. Poi, appena passati i diciotto anni, e per qualche tempo in seguito, andai a insegnare nelle scuole di campagna delle contee
di Queens e Suffolk, andando a pensione ora da questa ora da quella famiglia (considero quest'ultima tra le migliori esperienze della mia vita, e tra le pi profonde lezioni sulla natura umana nascosta dietro le quinte e tra le masse). Nel 1839-40 fondai e pubblicai un settimanale nella mia cittadina natale, Huntington. Ritornato a New York City e a Brooklyn, continuai il mio lavoro di tipografo e scrittore, prosa per lo pi, ma con qualche sporadico assalto alla poesia LA MIA PASSIONE PER I FERRY
Stabilitomi dunque a Brooklin e a New York City, la mia vita in quel periodo e ancor pi negli anni che seguirono, cominci curiosamente a identificarsi con il ferry di Fulton, che gi allora si avviava a divenire il pi grande del mondo nel suo genere, per importanza, volume, rapidit, e per il suo aspetto pittoresco. Pi tardi (specialmente tra il '50 e il '60) presi l'abitudine di compiere quasi ogni giorno la mia traversata in battello, il pi delle volte su nella cabina del pilota, da dove potevo spaziare con lo sguardo e assorbire le scene, gli sfondi, i paesaggi. Che correnti oceaniche, che maree sotto di me-e quei grandi flussi e riflussi di umanit, in un perenne turbinio di movimenti. Per la verit ho sempre avuto una passione per i ferry: a me essi offrono poesie vive, impareggiabili, fluide, in inesausta corrente. Il Dume e lo scenario della baia tutt'intorno all'isola di New York in qualsiasi momento di una bella giornata-le maree tumultuose, spumeggianti-il mutevole panorama di battelli a vapore di ogni grandezza, sovente al largo una lunga Ela di grossi bastimenti diretti a porti lontanimiriadi di golette dalle bianche vele, corvette e palischermi, i fantastici yacht-i massicci battelli che spuntavano maestosi verso le cinque di pomeriggio dopo aver doppiato la Batteria, puntando a est-la vista che s'apriva al largo in direzione di Staten Island o lungo lo Stretto o dall'altra parte risalendo lo Hudson-quale ristoro spirituale non mi han dato codeste esperienze e visioni in quegli anni lontani, e quante volte dopo d'allora. E come ricordo bene tutti i miei vecchi amici piloti - i Balsir, Johnny Cole, Ira Smith, William White, e il mio giovane compagno del ferry, Tom Gere. SCENE DI BROADWAY
Oltre al ferry di Fulton ho conosciuto e frequentato per anni, pi o meno saltuariamente, Broadway, la celebre strada dove si affolla tutta la mista umanit newyorkese e tanta gente famosa. Fu qui che vidi in quegli anni Andrew Jackson, Webster, Clay, Seward, Martin Van Buren, Walker il Filibustiere, Kossuth, Fitz-Greene Halleck, Bryant, il principe di Galles, Charles Dickens, i primi ambasciatori giapponesi e tante altre celebrit del tempo. Sempre qualcosa di nuovo e stimolante: ma pi d'ogni altra cosa per me l'incalzante, la sterminata ampiezza di quelle incessanti correnti umane. Ricordo di aver visto James Fenimore Cooper in una aula di tribunale in Chambers Street, dietro il Municipio (stava seguendo una causa, credo si trattasse di una querela per diffamazione da lui sporta contro qualcuno). Ricordo anche di aver visto Edgar A. Poe e di aver avuto con lui una breve conversazione (dev'essere stato nel 1845 o 46) nel suo ufficio al secondo piano di un caseggiato d'angolo (in Duane o Pearl Street). Egli era allora direttore e proprietario, o comproprietario, del Broadway Journal. La visita fu occasionata da un mio scritto che egli aveva pubblicato. Poe fu molto cordiale, di una cordialit sommessa, aveva un bell'aspetto, era vestito bene, ecc. Mi rimasto un ricordo nitido e piacevole della sua espressione e del suo parlare, sia nella forma che nella sostanza; molto gentile e umano, ma come spento, un po' sfinito forse. Ed ecco un'altra delle mie reminiscenze. Qui nella parte ovest di New York, proprio sotto Houston Street, vidi una volta (dev'essere stato circa il
1832, una giornata di gennaio luminosa e pungente) un uomo vecchissimo, barbuto, dal gran corpo, ma curvo e debole, tutto ravvolto in ricche pellicce e con un gran berretto d'ermellino in capo, assistito e fatto scendere quasi a braccia per l'alta scalinata frontale della sua casa (una dozzina di amici e servitori facevano a gara nel sostenerlo e guidarlo amorevolmente), sollevato quindi e sistemato in una splendida slitta, ravvolto in altre pellicce, pronto infine per la passeggiata. La slitta era trainata dalla pi bella pariglia di cavalli che io abbia mai visto (non dovete pensare che le bestie migliori vengan su oggigiorno; non si sono mai visti cavalli come quelli che c'erano cinquant'anni fa a Long Island, o nel Sud, o a New York City; la gente a quel tempo cercava in un puledro temperamento e brio, e non soltanto una andatura senza sorprese). Bene, io (allora un ragazzetto di forse tredici o quattordici anni) mi fermai e rimasi a lungo a rimirare lo spettacolo di quel vecchio fasciato di pellicce, circondato da amici e servitori, che tra mille cure veniva adagiato nella slitta. Ricordo i cavalli tutto fuoco che mordevano il freno, il cocchiere con la frusta e il secondo cocchiere al suo fianco, per maggior prudenza. Il vecchio, oggetto di tanta attenzione, mi sta ora quasi dinanzi agli occhi. Era John Jacob Astor. Gli anni 1846-47 e quelli che seguono mi vedono ancora a New York, scrittore e tipografo, lavorare in buona salute come sempre e passarmela nel complesso bene. CORSE IN OMNIBUS E VETTURINI
V' un aspetto di quei giorni che assolutamente non pu andare taciuto-voglio dire gli omnibus di Broadway coi loro vetturini. Ancor oggi quei veicoli (scrivo nel 1881) danno a Broadway buona parte del suo carattere - le linee della Quinta, di Madison Avenue e della Ventitreesima sono tuttora in funzione. Ma i tempi d'oro dei tramvetti della vecchia Broadway, cos numerosi e caratteristici, sono ormai finiti; spariti i Canarini, i Pettirossi, i primi di Broadway, quelli della Quarta Avenue, i Knickerbocker e una dozzina d'altri di venti o trent'anni fa. E gli uomini che in particolar modo si identificavano con questi, dando ad essi vitalit e significato, i vetturini-meravigliosa razza di gente strana e spontanea, dallo sguardo pronto (non solo Rabelals o Cervantes, ma anche Omero, o Shakspere se li sarebbero divorati con gli occhi) - li ricordo tutti cos bene, e devo proprio dedicar loro qualche parola. Quante ore, mattine e pomeriggi - che notti esilaranti ho passato - a giugno o a luglio, quando l'aria pi fresca - a scarrozzare da un capo all'altro di Broadway ascoltando qualcuna delle loro storie (e che storie erano, le pi colorite del mondo, e con la mimica pi straordinaria) - o magari declamando brani tempestosi dal Giulio Cesare o dal Riccardo (uno poteva sgolarsi a piacimento in mezzo a quel pesante, denso, ininterrotto ronzio di basso della strada). Davvero li conoscevo tutti i vetturini a quel tempo, Jack di Broadway, il Sarto, Bill Lagna, George Bufere, Vecchio Elefante e suo fratello Giovane Elefante (che venne pi tardi), Tippy, Riso Soffiato, Frank il Grosso, Joe il Giallo, Pete Callahan, Patsy Dee, e dozzine di altri, perch erano centinaia. Avevano qualit immense, animali per lo pi- mangiare, bere, andare a donne-e, a modo loro, un grande orgoglio personale - qualche sbucciafatiche. si incontrava ogni tanto, ma io in genere mi sarei fidato della maggior parte di essi, per quella buona volont e quel loro semplice senso dell'onore, in qualsiasi circostanza. Non solo per cameratismo e talora per affetto -li trovavo anche splendidi oggetti di studio. (Immagino che a questo punto i critici rideranno di cuore, ma l'influenza di quelle scarrozzate in omnibus per Broadway, i vetturini e le declamazioni e le scappatelle, senza dubbio entrata nella gestazione di Foglie d'erba). ANCHE IL TEATRO E L'OPERA
Ma anche certi attori e cantanti ebbero la loro brava parte nella cosa. Durante tutti quegli anni frequentai pi o meno regolarmente il vecchio teatro Park, il Bowery, il Broadway e quello di Chatham Square, oltre all'Opera italiana in Chambers Street, all'Astor o alla Batteria, gratis per molte stagioni, come corrispondente di giornali, pur essendo ancora in tutto un ragazzo. Il vecchio Park - che nomi e che ricordi ritornano a quete parole! Placide, Clarke, la Vernon, Fisher, Clara F., la Wood, la Seguin, Ellen Tree, Hackett, Kean il giovane, Macready, la Richardson, Rice - attori tragici, comici, cantanti. Quanta recitazione perfetta! Henry Placide ne La vecchia guardia di Napoleone, o in Nonno Whitehead - e Il marito provocato di Cibber con Fanny Kemble nella parte di Lady Townley Sheridan Knowles nel sua lavoro Virginius - o l'inimitabile Power in Nato per la fortuna. Questi, e molti altri, negli anni della mia giovinezza e oltre. Fanny Kemble - nome che da solo evoca istantaneamente grandi scene drammatiche - le pi grandi forse. Ricordo perfettamente come rese il personaggio di Bianca in Fazio e quello di Marianna ne La moglie. Il teatro non aveva mai offerto nulla di pi bello - cos dicevano veterani d'ogni paese, e il mio cuore, la mia mente di ragazzo approvavano con ogni minima cellula. La signora Kemble era una donna appena giunta a maturit, forte, qualcosa di pi che una mera bellezza; nata tra le luci della ribalta e venuta a offrire all'America, dopo tre anni di tirocinio a Londra e in varie citt inglesi, quella sua giovane maturit e quel suo roseo potere in tutto il loro meridiano o piuttosto mattutino fulgore. stata davvero una fortuna per me poterla vedere quasi ogni sera per tutto il periodo in cui recit al Park-senza dubbio in tutte le parti fondamentali del suo repertorio. In quegli anni ascoltai, in buona edizione, tutte le opere italiane e le altre allora in voga, la Sonnambula, I Puritani, Der Freischutz, Gli Ugonotti, La figlia del reggimento, Faust, La stella del Nord, Polluto, ecc. Tra quelle che gustavo maggiormente erano l' Ernani, il Rigoletto e Il trovatore di Verdi, insieme alla Lucia, la Lucrezia e La favorita di Donizetti, il Masaniello di Auber o il Guglielmo Tell e La gazza ladra di Rossini. Andai a sentire l'Alboni ogni volta che cant a New York o nelle vicinanze - ed anche Grisi, il tenore Mario e il barirono Badiali, il pi bravo del mondo. Questa passione musicale segu da presso la mia passione per il teatro. Nella mia fanciullezza e giovinezza avevo visto (sempre dopo una attenta lettura) tutti i drammi di Shakspere allora sulle scene, in interpretazioni meravigliose. Ancor oggi non riesco a immaginare niente di meglio del vecchio Booth in Riccardo Terzo o Lear ( n so dire in quale dei due fosse pi bravo) o nelle vesti di Jago (e in quelle del Pescara e di Sir Giles Overreach, per allontanarci da Shakspere) - e ancora Tom Hamblin in Macbeth, o il vecchio Clarke sia come spettro nell' Amleto che come Prospero ne La tempesta, con la Austin nella parte di Ariel e Peter Richings in quella di Calibano. Poi altri drammi, sempre con buoni attori, Forrest ad esempio, nella parte di Metamora o Damone o Bruto - John R. Scott in quella di Tom Cringle o Rolla - o Lady Gay Spanker della Assicurazione Londinese nella interpretazione di Charlotte Cushman. Ricordo ancora le splendide stagioni della troupe musicale dell'Avana al Castle Garden (Batteria), qualche anno pi tardi, sotto la direzione di Maretzek - la bella orchestra, le fresche brezze marine, l'inimitabile virtuosismo delle voci - Steffanone, Brosio, Truffi, Marini in Marino Faliero, Don Pasquale o La favorita. New York non ha mai visto recitazione o canto migliore. Fu ancora qui che udii in seguito Jenny Lind. ( La Batteria - i ricordi ad essa legati quante e quali cose saprebbero raccontare quei vecchi alberi, quel lungomare, quei bastioni!). ALTRI OTTO ANNI
Nel 1848 e 49 lavorai come direttore del Daily Eagle di Brooklyn. Nel '49 intrapresi un piacevole viaggio per motivi di lavoro (mio fratello Jeff con me) attraverso gli Stati centrali e lungo i fiumi Ohio e Mississippi. Vissi per qualche tempo a New Orleans dove lavorai alla redazione del giornale Daily Crescent. Dopo un poco ripresi la via del ritorno verso il Nord, ma con calma lungo la linea del Mississippi e le regioni circostanti, quindi per la via dei grandi laghi, il Michigan, lo Huron, l'Erie, fino alle cascate del Niagara e il confine meridionale del Canad, per rientrare Enalmente nello stato di New York, percorrendone la parte centrale e seguendo infine lo Hudson - un viaggio nel complesso di forse ottomila miglia tra andata e ritorno. '51-53: lavoro come costruttore edile a Brooklyn (nella prima parte di questo periodo stampo un giornale quotidiano e settimanale, il Freeman). '55 perduto mio padre. Iniziato una volta per tutte a dare alle stampe Foglie d'erba, presso la tipografia dei fratelli Rome, miei amici, a Brooklyn, dopo un gran lavoro sui manoscritti, un continuo fare e disfare - (penai molto a espungere tutti i "tocchi poetici" d'uso, ma alla fine vi riuscii). Oggi (1856-57) sono nel mio 37mo anno d'et. FONTI DEL MIO CARATTERE. RISULTATI. 1860
A voler tirare le somme di quanto stato qui detto sin dall'inizio (il non detto restando naturalmente la pi gran parte) tre ritengo siano state le fonti principali e le impronte formative del mio carattere, ormai consolidate in meglio o in peggio, e del suo successivo sviluppo, letterario e non: una (e senza dubbio la migliore) il ceppo materno, portato qui dai lontani Paesi Bassi - la sotterranea tenacia e la solida struttura di base (ostinazione, testardaggine) derivate dall'elemento inglese paterno, costituiscono la seconda - e la combinazione di scene d'infanzia, spiagge, cose variamente assorbite a Long Island, mio luogo natale, con la vita brulicante di Brooklyn e New York, insieme, suppongo, alle mie successive esperienze durante la guerra di secessione, la terza. Nel 1862 infatti, colpito dalla notizia che mio fratello George, ufficiale del 51 volontari di New York, era stato seriamente ferito (prima battaglia di Fredericksburg, 13 dic.), mi precipitai al fronte in Virginia. Ma devo retrocedere un poco. INIZIO DELLA GUERRA DI SECESSIONE
La notizia dell'attacco a Forte Sumter e alla bandiera del porto di Charleston, nella Carolina del Sud, giunse a New York a tarda notte il 13 aprile 1861, e fu immediatamente diffusa dai giornali in edizione straordinaria. Quella sera ero stato all'opera, nella Quattordicesima, e verso mezzanotte dopo lo spettacolo scendevo per Broadway diretto a Brooklyn quando udii in distanza le grida degli strilloni, che in men che non si dica dilagarono per la strada urlando e correndo da una parte all'altra anche pi furiosamente del solito. Comprai un giornale e me ne andai di fronte al Metropolitan Hotel (da Niblo) dall'altro lato della strada, e alla luce delle grandi lampade ancora tutte accese lessi le notizie, evidentemente autentiche, in mezzo a un capannello di gente che si era radunata d'improvviso. Uno di noi lesse il telegramma al alta voce per quelli che non avevano giornale, mentre tutti ascoltavano attentamente, in silenzio. Non un commento si lev dalla piccola folla, che raggiungeva ora le trenta o quaranta persone, ma rimasero tutti in silenzio, ricordo, per un minuto o due prima di disperdersi. Mi sembra di vederli ancora, sotto le lampade, a mezzanotte. SOLLEVAZIONE NAZIONALE E VOLONTARIATO
Ho gi detto in qualche parte che le tre Presidenze precedenti al 1861 mostrarono come la debolezza e la perversit dei governanti siano possibili qui in America, in regime repubblicano, n pi n meno che in Europa in regime dinastico. Ma che cosa dire di quella immediata e splendida reazione allo schiavismo secessionista, il nemico incarnato, nello stesso istante in cui esso esib senza possibilit di errore il suo vero volto? Il vulcanico sollevarsi della nazione dopo la sparatoria sulla bandiera di Charleston conferm qualcosa che sino ad allora era rimasto in grave dubbio, e in un attimo sostanzialmente decise la questione della secessione. Esso rimarr a mio avviso il pi grande e incoraggiante spettacolo che mai epoca antica o moderna abbia offerto al progresso politico e alla democrazia. E non tanto per ci che affior alla superficie, bench importante, ma per ci che rivel negli strati profondi, la cui importanza eterna. Gi negli abissi dell'umanit del Nuovo Mondo si era formato e consolidato un nucleo primigenio di volont di Unione nazionale, risoluto e di gran maggioranza, che rifiutava alterazioni e discussioni, pronto ad ogni emergenza e capace di scoppiare in qualsiasi momento, spazzar via gli ostacoli di superficie e dilagare come un terremoto. Questa indubbiamente la pi bella lezione del secolo, o dell'America, ed stato un enorme privilegio parteciparvi. (Due grandi spettacoli, due prove immortali di democrazia senza paragone nella storia del passato, sono stati offerti dalla guerra di secessione - uno all'inizio e l'altro alla fine. Da una parte la sollevazione armata, generale e volontaria, dall'altra il pacifico e armonioso scioglimento degli eserciti nell'estate del 1865). SENTIMENTI DI DISPREZZO
Anche dopo il bombardamento di Forte Sumter, tuttavia, nessuno al Nord tranne pochi si rese conto della gravit della rivolta e della capacit e decisione degli Stati schiavisti di opporre una resistenza militare forte e continua all'autorit nazionale. I nove decimi della popolazione degli Stati abolizionisti guardarono alla ribellione iniziata nella Carolina del Sud con un sentimento per met di disprezzo e per met di incredula rabbia. Non si riusciva a credere che si sarebbero aggiunte anche la Virginia, la Carolina del Nord e la Georgia. Un alto e prudente funzionario governativo predisse che tutto sarebbe sbollito in sessanta giorni, e la gente in generale prest fede alla predizione. Ricordo di averne parlato sul ferry di Fulton con il sindaco di Brooklyn il quale sperava solo che quegli sputafuoco del Sud commettessero qualche smaccato atto di resistenza, al che sarebbero stati schiacciati subito e in modo cos definitivo che di secessione non si sarebbe sentito parlare mai pi - ma (aveva paura) quelli di fatto non avrebbero mai avuto il fegato di far nulla. Ricordo anche che gli uomini di un paio di compagnie del 13 Brooklyn radunati all'armeria della citt per partire come soldati di trenta giorni, Si erano tutti muniti di pezzi di corda vistosamente legati alle canne dei moschetti, con cui ognuno si sarebbe portato a casa, cappio al collo, un prigioniero del temerario Sud, il giorno non lontano del trionfale ritorno! BATTAGLIA DI BULL RUN, LUGLIO 1861
Tutta questa corrente di sentimenti doveva essere arrestata e quindi capovolta da un colpo terribile - la prima battaglia di Bull Run - da quel che ci risulta oggi senza dubbio uno degli scontri pi
strani che si ricordino. (Tutte le battaglie, e i loro esiti, dipendono dal caso assai pi di quanto generalmente non si creda; ma questa fu un caso dal principio alla fine, un giuoco della sorte. Ambedue le parti ritennero fino all'ultimo minuto di aver vinto. Effettivamente gli uni avevano le stesse buone probabilit degli altri di essere messi in fuga. Per una supposizione, o una serie di supposizioni infondate, le forze nazionali all'ultimo istante furono colte dal panico e abbandonarono il campo). Le truppe sconfitte cominciarono a riversarsi in Washington per il Ponte Lungo all'alba di luned 22 - un lungo giorno piovigginoso. Il sabato e la domenica della battaglia (il 20 e il 21) il caldo era stato rovente, eccezionale - strati di polvere, sudiciume e fumo aspirati col sudore nella pelle, poi altri strati, di nuovo riasciugati col sudore, assorbiti da quelle anime eccitate - i loro abiti tutti impregnati della polvere calcinosa che riempiva l'aria? sollevata ovunque dai reggimenti, dalle salmerie, dall'artiglieria ecc. che sciamavano per le strade riarse e i campi calpestando ogni cosa- gli uomini che adesso ritirandosi si riversavano sul Ponte Lungo, con quella coltre di nerume, di sudore e di pioggia addosso una orribile marcia di venti miglia per rientrare a Washington frustrati, umiliati, in preda al panico. Dove sono le vanterie, le orgogliose bravate con cui siete partiti? Dove le vostre bandiere, le fanfare, le corde per tirarvi dietro i prigionieri? Ebbene, non c' una fanfara che suoni - e non una bandiera che non penda vergognosa e floscia dall'asta. Si leva il sole, ma non splende. Gli uomini cominciano ad apparire per le strade di Washington, sparsi dapprima e alquanto vergognosi, poi sempre pi fitti - li si vede in Pennsylvania Avenue, sui gradini e agli usci dei seminterrati. Arrivano in masse disordinate, alcuni in squadre, drappelli distaccati, compagnie. Di tanto in tanto un raro reggimento in perfetto ordine, con i suoi ufficiali (ecco dei vuoti, i morti, i veri valorosi) che marciano in silenzio, i volti abbassati, severi, l l per crollare dalla stanchezza, tutti neri e sporchi, eppure ogni uomo col suo moschetto, e il passo spedito; ma queste sono eccezioni. In Pennsylvania Avenue nella Quattordicesima ecc., marciapiedi affollati, stinati di cittadini, negri, impiegati, gente qualunque, curiosi; donne alle finestre, e un succedersi di espressioni strane sui volti mentre quegli sciami di reduci incrostati di sporco (ma non finiranno mai?) continuano a passare; e tuttavia non una parola, non un commento; (met degli spettatori sono secessionisti del tipo pi velenoso - non dicono nulla. ma il demonio sogghigna nei loro volti). Alla fine della mattinata Washington brulica tutta di questi soldati sconfitti - esseri strani a vedersi, occhi e visi alterati, tutti fradici (il piovischio continua insistente per tutto il giorno) e stanchi da far paura, affamati, inselvatichiti, i piedi piagati. Persone di buon cuore (ma nemmeno troppe! arrangiano in fretta qualcosa da metter sotto i denti. Mettono sul fuoco marmitte da bucato per la minestra e il caff. Sistemano tavoli sui marciapiedi - si compra pane a vagoni, si tagliano velocemente le pagnotte in grossi tocchi. Ecco due anziane signore, belle, le prime della citt per cultura e grazia; stanno in piedi dietro un tavolo improvvisato con rozze assi, colmo di bevande e di roba da mangiare, e distribuiscono il cibo, e provvedono a che ogni mezz'ora, per tutto il giorno, la scorta sia rimpinguata con provviste fatte venire da casa: e l rimangono, sotto la pioggia, attive e silenziose, coi loro capelli bianchi, a distribuir cibo, con le lacrime che per tutto il tempo, quasi ininterrottamente, rigano loro le guance. Tra la profonda eccitazione, la folla e il movimento, l'ansia disperata, sembra strano vedere molti, moltissimi soldati addormentati - dormono profondamente, in mezzo alla gran confusione. Crollano dove capita, sogli scalini delle case, ai piedi di un caseggiato o di una staccionata, sui marciapiedi o in qualche spiazzo da costruzione, e dormono di sasso. Sulla scalinata di una casa signorile sta disteso un povero ragazzo di forse diciassette o diciotto anni; dorme cos quieto, cos profondo. Alcuni stringono ancora forte il fucile nel sonno. Altri dormono a gruppi - amici, fratelli stretti insieme - e su di loro cos stesi goccia tetra la pioggia. Come passa il pomeriggio e si fa sera, ovunque nelle strade, nei caff, assembramenti di gente, chi ascolta, chi fa domande, storie terribili, stregonerie, batterie mascherate, il nostro reggimento tutto a pezzi ecc.- storie e narratori di storie, ventosi, spacconi, vacui centri d'attenzione di folle che si
raccolgono per le strade. Decisione e fermezza sembrano aver disertato Washington. L'albergo principale, il Willard, pieno di spalline - zeppo, stipato, formicolante di spalline. (Li vedo, e devo proprio dir loro due parole. Eccovi qui, signori decorati! - ma dove sono le vostre compagnie? Dove sono i vostri uomini? Incompetenti! Non venite a parlarmi dei casi imponderabili di una battaglia, di come ci si pu smarrire e cose simili. Io penso che dopo tutto questa ritirata opera vostra. Infilatevi di soppiatto nei sontuosi salotti o nelle sale di ristoro del Willard o dovunque vi piaccia, gonfiatevi, mettete su arie - nessuna spiegazione potr salvarvi. Bull Run opera vostra; se voi valeste solo la met o un decimo di quel che valgono i vostri uomini, questo non sarebbe mai accaduto). Frattanto a Washington tra le personalit pi in vista e il loro entourage, un misto di spaventosa costernazione, incertezza, rabbia, vergogna, impotenza, e delusione pietrificante. Il peggio non solo imminente, ma gi qui. Tra poche ore - forse prima del prossimo pasto - i generali secessionisti ci saranno addosso con le loro orde vittoriose. Il sogno dell'umanit, quella vantata Unione che abbiamo creduto cos forte, inespugnabile - guardatela ora, sembra gi in frantumi, come un piatto di porcellana. Un'ora amara, amara - forse l'orgogliosa America non ne conoscer pi una simile. Deve far bagagli e fuggire, non c' un attimo da perdere. Quei candidi edifici - il Campidoglio che si alza maestoso con la sua cupola sopra gli alberi l sulla collina - dovremo abbandonarli - o distruggerli prima? Poich certo che nelle conversazioni svoltesi per ventiquattro ore dopo Bull Run a Washington e dintorni tra certi magnati ufficiali, impiegati e funzionari, si fin per ammettere ad alta voce e senza mezzi termini l'opportunit di cedere incondizionatamente, di installare il regime sudista, far abdicare Lincoln e allontanarlo al pi presto. Se gli ufficiali e le forze secessioniste avessero seguito da presso la ritirata, e con un'audace mosso alla Napoleone fossero entrati in Washington il primo giorno (o anche il secondo), avrebbero avuto la situazione in mano e per di pi una poderosa fazione del Nord a sostenerli. Uno dei nostri colonnelli reduci da Bull Run espresse quella sera in pubblico, in una sala affollata da gruppi di ufficiali e borghesi, l'opinione che era inutile combattere, che i sudisti avevano ormai reso incontestabili le loro pretese, e che la miglior via da seguire per il governo nazionale era desistere da ogni ulteriore tentativo di arrestarli, e riconoscere la loro supremazia alle condizioni migliori che essi volessero concedere. Non una voce si lev in quella larga folla di ufficiali e cittadini, contro codesta opinione. (Il fatto che questo era uno dei tre o quattro momenti di crisi che attraversammo, allora come in seguito, durante il dubbioso corso di quei quattro anni, quando parve che ad occhi umani fosse dato di vedere con le stesse probabilit l'Unione esalare l'ultimo respiro o continuare a vivere). LO STUPORE PASSA, COMINCIA QUALCOS'ALTRO
Ma l'ora, il giorno, la notte passarono, e qualsiasi cosa ritorni, un'ora, un giorno e una notte come quelle non torneranno mai pi. Il Presidente si riprende, si mette all'opera quella stessa notte con rapidit e decisione si accinge al compito di riorganizzare le sue forze e approntarsi una posizione pi sicura per il lavoro a venire. Quand'anche non vi fosse null'altro per consegnare Abramo Lincoln alla storia, sarebbe sufficiente, per tramandarlo ai tempi futuri con una corona di gloria, il solo fatto che egli super quell'ora e quel giorno pi amari del fiele - invero un giorno di crocifissione - che non se ne lasci sopraffare - e con estrema fermezza seppe anzi arginarlo, risolvendo di trarne fuori se stesso e l'Unione. Allora sui grandi giornali di New York subito apparvero (cominciando da quella sera stessa, e poi il mattino seguente e cos per molti giorni senza interruzione) editoriali che fecero risuonare per tutto il paese il pi sonoro, il pi alto squillo di limpida tromba, pregno di ancoraggiamento, speranza, ispirazione, orgogliosa sfida. Quei magnifici articoli! non persero mai vigore per una buona quindicina
di giorni. Cominci lo Herald - ricordo bene i suoi editoriali. Il Tribune fu egualmente persuasivo e incoraggiante - e il Times, lo Evening Post e gli altri giornali pi importanti non rimasero indietro di un millimetro. Vennero al momento opportuno, poich ce n'era bisogno. Ch nell'umiliazione di Bull Run il sentimento popolare del Nord dai suoi estremi di spavalderia era precipitato in abissi di depressione e di ansia. (Di tutti i giorni di guerra ve ne sono in particolare due che non potr mai dimenticare. Furono il giorno che segu la notizia di quella prima disfatta di Bull Run a New York e a Brooklyn, e il giorno della morte di Abramo Lincoln. In ambedue le occasioni io mi trovavo a casa, a Brooklyn. Il giorno dell'assassinio la notizia giunse di primo mattino. La mamma prepar la colazione - e poi tutti gli altri pasti - come al solito; ma n lei n io in tutta la giornata riuscimmo a ingoiare un boccone. Bevemmo una mezza tazza di caff e fu tutto. Si parl ben poco. Prendemmo tutti i giornali del mattino e della sera, e le edizioni straordinarie cos frequenti in quel momento, e ce li passavamo in silenzio). AL FRONTE
FALMOUTH, Virginia, di fronte a Fredericksburg, 21 dic. 1862.- cominciavano le mie visite agli ospedali da campo dell'armata del Potomac. Passo buona parte della giornata in una grande casa di mattoni sulle rive del Rappahannock, adibita a ospedale dopo la battaglia - sembra che vi siano stati accolti solo i casi peggiori. Di fronte alla casa, ai piedi di un albero a un dieci iarde di distanza, noto un mucchio di piedi, gambe, braccia, mani amputate, tante da riempire un carro a un cavallo. Diversi cadaveri giacciono l accanto, ognuno ricoperto dal suo telo di lana marrone. Nel cortile dalla parte del fiume, si vedono tombe fresche, per lo pi di ufficiali, con i nomi incisi su doghe di botte o assi spezzate conficcate nel terreno. (Gran parte di questi corpi vennero in seguito riesumati e trasportati a Nord per essere restituiti agli amici). L'edificio, pur cos grande, stipato sopra e sotto, tutto vi improvvisato, senza sistema e piuttosto male, ma non ho dubbi che il meglio che possa farsi; le ferite tutte piuttosto gravi, alcune spaventevoli, gli uomini nei loro vecchi abiti, sporchi e insanguinati. Con uno di questi ho parlato un poco, un capitano del Mississippi, ferito in malo modo a una gamba; mi ha chiesto dei giornali, che gli ho dato (lo rividi tre mesi dopo a Washington, gli avevano amputato la gamba, se la portava bene). Ho girato per le stanze, al piano terra e di sopra. C'era chi moriva. Non avevo da dar niente questa volta, ma ho scritto un po' di lettere alle famiglie, alle madri ecc. Anche mi son fermato a parlare con tre o quattro che apparivano i pi bisognosi di questo tipo di attenzione, e i pi sensibili ad essa. DOPO LA PRIMA FREDERICKSBURG
23-31 dicembre. - I risultati dell'ultima battaglia sono visibili ovunque qui intorno, in migliaia di casi (ne muoiono a centinaia ogni giorno), negli ospedali da campo, di brigata e di divisione. Questi non sono altro che tende, talora assai mal ridotte, coi feriti in terra, fortunati quando le loro coperte posano su strati di frasche d'abete di pino, o di foglie. Mente lettini, e rarissimi i materassi. Fa alquanto freddo. Il terreno indurito dal gelo, ogni tanto nevica. Giro da un ferito all'altro. Ho l'impressione di non star facendo molto per questa gente ferita o in punto di morte; ma non posso lasciarli. Di tanto in tanto un ragazzo si aggrappa a me in modo convulso, io faccio quel che posso per lui, mi fermo in ogni caso, e se lo desidera gli resto seduto accanto per ore.
Oltre agli ospedali faccio ogni tanto anche lunghi giri per gli accampamenti, parlando con gli uomini ecc. - a volte di notte, tra i gruppi raccolti intorno ai fuochi nelle loro provvisorie baracche di cespugli. Sono scene curiose, con tanti tipi e gruppi diversi. Ben presto mi conoscono tutti al campo, ufficiali e soldati, e tutti mi trattano bene. Talvolta mi unisco ai reggimenti che conosco meglio, nel servizio di picchetto. Quanto alle razioni, pare che qui per ora l'esercito sia discretamente fornito, i soldati hanno cibo bastante, quello che , per lo pi carne di porco salata e gallette. La maggior parte dei reggimenti alloggia in piccole tende di scarsa consistenza. Alcuni si sono costruiti capanni di tronchi e fango, con un focolare. RITORNO A WASHINGTON
Gennaio '63. Ho lasciato il campo di Falmouth qualche giorno fa con un gruppo di feriti, e sono venuto qui prima con la ferrovia del torrente Aquia e quindi con uno dei vapori federali che risalgono il Potomac. C'erano con noi molti feriti, nei vagoni come sul battello. I vagoni erano dei comuni pianali. Il tragitto per ferrovia, dieci o dodici miglia, fu compiuto in massima parte prima dell'alba. I soldati di guardia sulla strada ferrata venivano fuori dalle tende o dalle loro baracche di cespugli coi capelli arruffati e lo sguardo insonnolito. Quelli di sentinella facevano la ronda tra una postazione e l'altra, alcuni sulle scarpate, al di sopra di noi, altri gi in basso, parecchio al di sotto del livello dei binari. Piuttosto distanti dalla strada ferrata vidi anche molti e grandi accampamenti di cavalleria. Alla stazione di sbarco del torrente Aquia c'erano masse di feriti diretti a nord. Trascorsi le tre ore circa d'attesa girando tra loro. Alcuni volevano mandare due righe a casa ai genitori, i fratelli, la moglie ecc., cosa che io feci di buon grado (impostando le lettere il giorno dopo da Washington). Sul battello me ne ritrovai le mani piene. Un poveretto mor durante il viaggio. Mi trattengo ora a Washington e dintorni, visitando quotidianamente gli ospedali. Sto per lo pi al Palazzo dei Brevetti, nell'Ottava strada, in via H o in Piazza dell'Armeria o in altri ospedali. Adesso ho la possibilit di fare un po' di bene, poich dispongo di danaro (come elemosiniere per conto di altri, rimasti a casa) e, ormai, di una certa esperienza. Oggi, domenica pomeriggio, sono stato in visita all'ospedale Campbell fino alle nove di sera, dedicandomi in modo particolare a un caso della corsia 1, piuttosto grave, pleurite e febbre tifoidea, D. F. Russell, un giovane, figlio di agricoltori, compagnia E, 60 New York, molto depresso e debole; ci volle molto per risvegliare in lui un qualche interesse; scrissi infine una lettera a sua madre a Malone, contea di Franklin, New York, su sua richiesta; gli diedi della frutta e qualche altro regaletto; misi la lettera in una busta, serissi l'indirizzo ecc. Mi recai poi nella corsia 6 che percorsi tutta, osservando ogni singolo caso, senza credo tralasciarne uno; distribuii piccoli doni, arance, mele, gallette dolci, fichi, ecc., a forse venti o trenta persone. Gioved 21 gennaio. Trascorsa la maggior parte della giornata all'ospedale di piazza dell'Armeria; visitate le corsie F, G e H, pressoch da cima a fondo, una cinquantina di degenti ciascuna. A tutti i feriti della corsia F ho portato l'occorrente per scrivere, carta, buste, francobolli; diviso in piccole porzioni tra i soggetti adatti un grosso vaso di ciliege conservate, di prima qualit, dono di una signora che le aveva preparate con le sue mani Trovati anche diversi casi in cui mi sembrato opportuno far dono di piccole somme di denaro (i feriti arrivano spesso senza un centesimo, e poter disporre anche della piccola somma che io do contribuisce a tenerli su di morale). Sparita dunque tutta la mia carta e le mie buste, ma anche una buona riserva di materiale di amena lettura; oltre a tabacco, arance, mele ecc., come mi parve giudizioso fare. Casi interessanti nella corsia I: Charles Miller, letto 19, Compagnia D, 53mo Pennsylvania, solo sedici anni, molto intelligente, un ragazzo coraggioso, gamba sinistra amputata sotto il ginocchio; vicino a lui un altro ragazzo molto malato: a ciascuno ho dato appropriati regaletti. Nel letto dall'altra
parte, ancora una amputazione della gamba sinistra; dato qui un vasetto di marmellata di lamponi. Letto l, stessa corsia, dato una piccola somma; e anche a un soldato con le grucce, seduto sul letto accanto a... Sono sempre pi sorpreso dall'enorme numero di giovani dai quindici ai ventun anni che trovo nell'esercito. (Ne trovai in seguito in proporzione anche maggiore tra i sudisti). Sera dello stesso giorno, visita a D. F. R., cui ho gi fatto cenno: stava decisamente meglio, alzato e vestito - un vero trionfo; in seguito si rimise del tutto e torn al suo reggimento. Distribuita nelle corsie una quantit di carta da lettere, e quaranta o cinquanta buste con i francobolli-ne vevo fatto una bella riserva, sapendo quanto gli uomini le desiderassero. CINQUANTA ORE FERITO SUL CAMPO
Ed ecco il caso di un soldato che ho incontrato in una delle affollate corsie del Palazzo dei Brevetti. Gli fa piacere aver qualcuno con cui parlare, e noi lo ascoltiamo di buon grado. Venne ferito gravemente alla gamba e al fianco a Fredericksburg, il 13 dicembre, quel sabato memorabile. Durante i due giorni e le due notti che seguirono, rimase sul campo nel pi totale abbandono, tra la citt e i tetri scaglioni delle batterie: la sua compagnia e il suo reggimento erano stati costretti a lasciarlo al suo destino. A peggiorar le cose accadde che egli si trovasse disteso con la testa leggermente pi in basso, senza potersi muovere. Fu raccolto e trasportato altrove dopo circa cinquanta ore insieme ad altri feriti, protetti da una bandiera bianca. Gli chiedo come lo abbiano trattato i ribelli in quei due giorni e quelle due notti in cui giacque non lontano da loro - se si avvicin nessuno, se fu insultato. Risponde che vennero parecchi, soldati e altri, a varie riprese. Due, che erano insieme, gli rivolsero parole rudi e sarcastiche, ma niente di pi. Ci fu tuttavia un uomo di mezza et, il quale pareva aggirarsi pel campo tra i morti e i feriti a scopo benefico, che ebbe a comportarsi nei suoi riguardi in un modo che, dice, non potr mai dimenticare: lo tratt con gentilezza, gli bend le ferite, cerc di fargli coraggio, gli diede un paio di biscotti e una sorsata di whisky allungato con acqua; gli chiese se se la sentiva di mandar gi un po' di carne di manzo. Codesto secessionista di buon cuore, ad ogni modo, non mut di posizione il nostro soldato poich cos facendo avrebbe potuto causargli una emorragia, riaprendo le ferite ormai coagulate e stagnate. Il nostro ragazzo della Pennsylvania; l'ha passata piuttosto brutta; le ferite si son rivelate gravi; eppure conserva il suo buon umore e adesso in via di miglioramento (non raro che i feriti rimangano in siffatto modo sul campo per un giorno o due, talvolta anche quattro o cinque). PERSONAGGI E SCENE DI OSPEDALE
Corrispondenza. Quando non sconsigliabile, sono io stesso che incoraggio i soldati a scrivere e, se richiesto, scrivo per loro ogni sorta di lettere (comprese quelle d'amore, tenerissime). Quasi contemporaneamente a queste mie note discontinue, sto scrivendo adesso una lettera alla moglie di un nuovo paziente, M. de F. del 17 Connecticut, compagnia H, appena arrivato (il 17 febbraio) da punta Windmill e sistemato nella corsia H dell'ospedale di Piazza dell'Armeria. un uomo dal viso intelligente, l'accento forestiero, occhi e capelli neri, tratti somatici da ebreo. Vuole spedire un messaggio telegrafico a sua moglie a New Canaan, nel Connecticut. Approvo l'idea del messaggio - ma per maggior sicurezza mi siedo e scrivo anche una lettera che consegno immediatamente all'ufficio postale (teme che la moglie parta per venire a trovarlo e non vuole, poich sicuro di guarire presto).
Sabato 30 gennaio. Nel pomeriggio, visita all'ospedale Campbell. Scena della pulizia della corsia, la 6a, e della consegna degli indumenti puliti - ovunque i pazienti che si vestono o vengono vestiti - i corpi nudi fino alla cintola - gli scherzi e il buon umore - camicie, mutandoni, lenzuola ecc. e l'aria di preparativi per la domenica. Dati 50 centesimi a J. L. Mercoled 4 febbraio. Visita all'ospedale di Piazza dell'Armeria, esaminate quasi per intero le corsie E e D. Ho dato carta e buste a tutti quelli che lo desideravano - c'era come sempre un gran numero di soldati che ne avevano bisogno. Scritto lettere. Chiacchierato con due o tre uomini del 14 Brooklyn. In corsia D un povero ragazzo con una spaventosa ferita, in condizioni terribili - gli stavano estraendo delle schegge d'osso disseminate nella carne in prossimit della ferita. L'operazione era lunga, e molto dolorosa - pure, non appena fu cominciata e sembr mettersi bene, il soldato la sopport in silenzio. Stava seduto, puntellato dai cuscini - appariva emaciato - era rimasto a lungo, quieto, sempre nella stessa posizione (e non per giorni, ma per settimane) - il viso esangue, la pelle come incartapecorita, e gli occhi pieni di risoluzione - faceva parte di un reggimento di New York. C'era una insolita folla di chirurghi, studenti di medicina, infermieri ecc. attorno al letto - pensai che la cosa veniva fatta con tenerezza, e fatta bene. C'era, accanto a un altro lettino, una moglie che vegliava il marito (febbre tifoidea, piuttosto brutta); e, a un altro, una madre - aveva sette figli, mi disse, e questo era il pi giovane (una buona madre, premurosa, sana, gentile, di aspetto gradevole, non molto anziana; portava un cappello ed era vestita come per casa - un tocco di grazia a tutta la corsia). Mi piaceva l'infermiera della corsia E - notai come rimase seduta a lungo al capezzale di un poveretto che proprio quella mattina, in aggiunta alle altre sue infermit, aveva sofferto una brutta emorragia - lo assisteva con delicatezza, lo aiutava a liberarsi dal sangue che gli saliva in gola a ogni accesso di tosse, tenendogli un tampone alla bocca - lui era cos debole da poter appena muovere la testa sul cuscino. C'era poi un giovane di New York, dal bel viso intelligente, aveva trascorso molti mesi a letto in seguito a una spiacevole ferita ricevuta a Bull Run. Una pallottola lo aveva colpito alla vescica, penetrando nel basso ventre e riuscendo da dietro. Aveva molto sofferto - l'acqua continu a uscire dalla piaga per molte settimane, in piccole quantit ma ininterrottamente, sicch si trovava quasi sempre immerso in una specie di pozza a parte altre spiacevoli circostanze. Aveva comunque un temperamento allegro. Adesso stava relativamente bene, soffriva di mal di gola e accett con gioia un bastoncino di mentastro che gli diedi, insieme ad altre cosette. L'OSPEDALE DEL PALAZZO DEI BREVETTI
23 febbraio. Non vorrei passar oltre senza un cenno al grande ospedale del Palazzo dei Brevetti. Qualche settimana fa la spaziosa area del secondo piano di quello che tra i pi nobili edifici di Washington rigurgitava di soldati malati, feriti gravi e moribondi, in lunghe file. Erano sistemati in tre appartamenti molto ampi. Mi ci sono recato varie volte. Lo spettacolo era strano, solenne, e nonostante la sua fisionomia di sofferenza e di morte, direi affascinante. Talvolta ci vado anche di sera, per recar conforto e sollievo a certi casi particolari. Due di codesti immensi appartamenti sono occupati in gran parte da alte e pesanti teche di vetro, stipate di modelli in miniatura di ogni tipo di utensile, macchina o invenzione che mente umana abbia avuto la fantasia di concepire, insieme a curiosit varie e a doni provenienti dal]'estero. Tra una vetrina e l'altra si aprono lateralmente dei vani alquanto profondi, larghi forse otto piedi, e qui erano collocati i feriti, senza contare la grande e lunga doppia-fila di lettini che correva da un capo all'altro della sala, nel centro. Molti erano casi gravissimi, ferite e amputazioni. V'era poi una galleria che correva sopra la sala, e c'erano letti anche qui. Era una scena davvero strana, specie a sera, con le luci accese. Le vetrine, le brande con quelle forme distese, la galleria in alto e,
sotto, il pavimento di marmo - la sofferenza, e il coraggio nel sopportarne la varia intensit - a tratti un lamento che qualcuno non riuscito a reprimere - o un povero ragazzo che muore, il viso emaciato, gli occhi vitrei, l'infermiere al suo fianco, e anche il dottore, ma non un parente, un amico - ecco quanto si poteva vedere, sino a poco tempo fa, al Palazzo dei Brevetti (poi i feriti sono stati trasportati altrove e l'edificio nuovamente vuoto). LA CASA BIANCA AL LUME DI LUNA
24 febbraio. Un poco di tempo buono, aria tiepida. Faccio un gran passeggiare, talvolta di notte sotto la luna. Stasera ho osservato a lungo la casa del Presidente. Il portico bianco - le colonne regali, alte, rotonde, immacolate come neve - e cos i muri - la tenera e morbida luce lunare che inonda il pallido marmo e crea strane ombrature, velate e languide, non vere ombre - ovunque un delicato, sottile, azzurro merletto lunare di vaporosa trasparenza, sospeso nell'aria - i brillanti e copiosissimi grappoli di lampade a gas, sulla facciata e in giro per le colonne, il portico ecc. - tutto cos bianco, cos abbagliante nella sua purezza di marmo, eppur delicato - la Casa Bianca dei poemi, dei sogni e dei drammi futuri, l nella morbida traboccante luna - la splendida fronte tra gli alberi, sotto la lucida onda lunare, piena di realt, piena di illusione - le forme degli alberi nude di foglie, silenziose, un tronco e un'angolare miriade di rami, sotto le stelle e il cielo - la Casa Bianca della nostra terra, e della bellezza e della notte - sentinelle ai cancelli e lungo il portico, su e gi silenziose nei loro pastrani azzurri (non ti fermano, ma ti seguono con occhi penetranti in qualsiasi direzione ti muova). LA CORSIA DI UN OSPEDALE MILITARE
Lasciate che vi descriva ora nei dettagli una visita da me compiuta a quell'assembramento di edifici a un piano, simili a baraccamenti, che l'ospedale Campbell, fuori citt, in pianura, al termine di quella che allora era la linea degli omnibus della Settima. Per ogni padiglione c' un lungo edificio. Entriamo nel padiglione 6. Oggi contiene direi ottanta o cento pazienti, met malati e met feriti. L'edificio non che un insieme di assi ben imbiancate all'interno, con le solite brandine di ferro strette e semplici. Se camminate per il corridoio di mezzo, ne avrete una fila per lato, coi piedi verso di voi e la testa alla parete. Vi sono grandi stufe accese, e il bianco che domina le pareti rallegrato da decorazioni di sempreverde, stelle, cerchi, ecc. L'intero edificio con i suoi occupanti pu essere abbracciato con uno sguardo solo, poich non esistono pareti divisorie. Da due o tre lettini udrete forse qualche lamento o altri suoni di una sofferenza che non si riesce a controllare, ma nel complesso vi calma - quasi un'assenza penosa di qualsiasi sfogo; e tuttavia il pallore del viso, gli occhi inebetiti e l'umidore delle labbra sono segni bastanti. Di codesti malati o feriti i pi sono visibilmente ragazzi di campagna, figli di agricoltori e simili. Osservatene la bella taglia poderosa, l'espressione aperta e pronta, e i molti altri segni ancora rimasti di una costituzione e di un fisico vigorosi. Osservate il comportamento silenzioso e paziente dei feriti americani, mentre giacciono in s mesto assembramento - rappresentanti di tutto il New England, di New York e del New Jersey e della Pennsylvania - invero di tutti gli Stati e tutte le citt - in massima parte dell'Ovest. I pi non hanno qui n un amico n una conoscenza - non un volto familiare, e a malapena una parola di sensata simpatia o di incoraggiamento durante tutto il decorso della malattia, talora lungo e tedioso, o tra gli spasmi di ferite che s'aggravano. UN FERITO DEL CONNECTICUT
Questo giovane del letto 25 H. D.B., del 27 Connecticut, compagnia B. La famiglia vive a Northford, presso New Haven. Seppur abbia a un dipresso ventun anni, non pi, ha girato parecchio il mondo, per terra e per mare, e ha visto vari combattimenti sull'uno e sull'altra. Quando lo conobbi la prima volta, stava assai male, e soffriva di inappetenza. Rifiut qualsiasi offerta di denaro - disse che non aveva bisogno di nulla. Ma mostrandomi io ansioso di far qualcosa per lui, mi confess di desiderare follemente un buon budino di riso fatto in casa - pensava fosse l'unica cosa che avrebbe potuto gustare davvero. A quel tempo il suo stomaco era molto indebolito (il dottore, che consultai, disse che mangiare gli avrebbe fatto un gran bene; ma sembrava che il cibo d'ospedale, pur migliore del solito, lo rivoltasse). Senza por tempo in mezzo, procurai a B. il suo budino di riso. Una signora di Washington, Mrs. O'C., venuta a conoscenza di questo desiderio, prepar con le proprie mani un budino, che gli portai l'indomani. In seguito mi disse di esserne vissuto per tre o quattro giorni. Questo B. un buon prototipo di giovane americano dell'Est - il tipico Yankee. Io lo presi particolarmente a benvolere e gli regalai per ricordo una bella pipa. Qualche tempo dopo ricevette un pacco di roba da casa, e volle a tutti i costi che dividessi la cena con lui, cosa che feci, e fu in verit una cena coi fiocchi. DUE RAGAZZI DI BROOKLYN
In questo medesimo padiglione si trovano due giovani di Brooklyn, del 51 New York. Li conoscevo gi a casa, quand'erano ragazzi, e per questo li sento vicini. Uno dei due, J. L., ha avuto un braccio amputato - il troncone si sta ora rimarginando piuttosto rapidamente (lo avevo veduto disteso per terra a Fredericksburg, lo scorso dicembre, tutto insanguinato, subito dopo la operazione. Sembrava prendesse la cosa con gran flemma - con la mano rimastagli andava sgranocchiando una galletta - non faceva storie). Guarir, e gi immagina e descrive il momento in cui si scontrer di nuovo con i Johnny Rehs. UN EROE SUDISTA
I grandi soldati non si trovano nelle file di un esercito pi che in quelle dell'altro. Ecco l'esempio di uno sconosciuto sudista, un ragazzo di diciassette anni. Al Ministero della Guerra, pochi giorni fa, ho assistito alla cerimonia in cui un gruppo di bandiere catturate al nemico venivano consegnate al Ministro. Tra gli altri un soldato a nome Gant, del 104 volontari Ohio, present uno stendardo sudista che, mi disse un ufficiale, era stato portato fin sotto la bocca di uno dei nostri cannoni e piantato l da un ragazzo di soli diciassette anni, il quale realmente tent di chiudere l'imboccatura del mortaio con dei piuoli di staccionata. Il ragazzo fu ucciso nel tentativo, e l'asta dello stendardo spaccata in due da un colpo di fucile dei nostri. I FERITI DI CHANCELLORSVILLE
Maggio '63. Mentre scrivo queste note, dal quartier generale di Hooker sono cominciati a arrivare i feriti della sanguinosa Chancellorsville. Ero presente ai primi arrivi. Gli uomini incaricati di scortare i feriti mi dissero che i casi peggiori dovevano ancora giungere. Se cos li compiango, poich questi sono gi abbastanza terribili. Dovreste vedere la scena dei feriti che arrivano qui al molo in fondo alla Sesta Strada, di sera. Ieri ne sono arrivati due battelli carichi, intorno alle sette e mezzo. Poco dopo le otto venne gi un lungo e violento acquazzone. I soldati, pallidi e sfiniti, erano stati gi sbarcati e giacevano sparsi sul molo e nei pressi, dove capitava. Probabilmente gradivano la pioggia: in ogni caso vi erano esposti. Poche torce illuminavano lo spettacolo. Tutt'intorno - sul pontile, per terra o poco discosti - uomini distesi su vecchie imbottite, coperte, ecc., con stracci pieni di sangue legati intorno alla testa, le braccia, le gambe. Gli assistenti sono pochi, e poca anche la gente che s'avventura fuori la sera - solo un numero esiguo di portantini e cocchieri duramente provati dal lavoro (i feriti cominciano a diventare cosa di tutti i giorni, il cuore della gente s'incallisce). Gli uomini, quali che siano le loro condizioni, restano l distesi aspettando pazientemente che venga il loro turno per esser portati via. Vicino, arrivano ora in massa le ambulanze: una dopo l'altra le fanno indietreggiare per prender su il carico. I casi pi gravi sono mandati via in barella. I feriti in genere si sentono poco o nulla, nonostante le sofferenze. Qualche gemito che non si potuto trattenere, e a tratti un grido di dolore mentre li sollevano per caricarli sull'ambulanza. Oggi, mentre scrivo, se ne attendono altre centinaia, e ancor pi domani e posdomani, e cos per giorni e giorni. Non di rado il ritmo degli arrivi di un migliaio al giorno. UNA BATTAGLIA NOTTURNA, CIRCA UNA SETTIMANA FA
12 maggio. V' una parte della recente battaglia di Chancellorsville (la seconda Fredericksburg) svoltasi poco pi di una settimana fa, tra sabato, sabato notte e domenica, agli ordini del Gen. Joe Hooker, di cui vorrei darvi non pi che un'idea (come la visione di un attimo durante una terribile tempesta di mare, di cui sufficiente dar cenni e impossibile una descrizione dettagliata. Il combattimento, che era stato assai violento durante il giorno, fu ripreso a sera dopo un'interruzione nel tardo pomeriggio e si protrasse con furiosa energia fino alle tre del mattino. Quel pomeriggio (cio sabato) un subitaneo e gagliardo attacco sferrato da Stonewall Jackson aveva avvantaggiato di molto l'esercito sudista e rotto le nostre linee, penetrando in esse come un cuneo e lasciandoci in quella situazione al sopravvenire del buio. Ma alle 11 di sera Hooker con uno sforzo disperato ricacci indietro le forze secessioniste, ripristin le sue linee nella posizione originaria e riprese i suoi piani. Questa mischia notturna fu molto emozionante e offr un numero infinito di scene strane e terribili. Il combattimento si era fatto generale tanto a Chancellorsville quanto a nordest, a Fredericksburg (c' chi parla di scarso rendimento, incidenti, casi di fuga da parte dei nostri. Io non vi bado. Penso al fiero coraggio che costitu la norma generale). Un corpo, il 6, quello di Sedgewick, combatte quattro furiose e cruente battaglie nello spazio di trentasei ore, si ritira in situazione precaria, subisce gravi perdite ma si mantiene compatto e, impegnandosi in ogni circostanza con la forza della disperazione, riesce a superare il Rappahannock, per il rotto della cuffia magari, ma ci riesce. Ha perso molti, molti valorosi, ma ha anche tratto vendetta, ampia vendetta. Era tuttavia la mischia di sabato sera, durata poi tutta la notte e domenica mattina, che volevo ricordare in special modo. Si svolse in gran parte tra i boschi, e con una partecipazione pressoch generale. La notte era assai dolce, con una luna che si mostrava a tratti nitida e piena, e la Natura in s cos quieta, cos folta la prima erba estiva e il fogliame sugli alberi - eppure era l che infuriava la battaglia, e molti bravi ragazzi giacevano a terra stroncati, e sempre altri se ne aggiungevano, e ad ogni minuto tra il crepitio dei fucili e il rombo dei cannoni (ci fu anche uno scontro di artiglieria) il rosso
sangue di vita scolava via da teste, tronchi, membra su quell'erba verde fresca di rugiada. Tratti di bosco prendono fuoco e molti feriti, incapaci di muoversi, sono arsi vivi - l'incendio divora vaste aree, brucia anche i morti - alcuni soldati hanno capelli e barba abbruciacchiati, altri ustioni sul viso e sulle mani, altri ancora gli abiti sforacchiati dal fuoco. Le fiammate dei cannoni, i saettanti globi di fuoco, il fumo e il rombo immenso - la sparatoria ormai generale, mentre il giorno schiarendo rende quasi visibile l'una parte all'altra - lo scalpiccio degli uomini in corsa, le grida - faccia a faccia ormai sentiamo le urla dei sudisti - i nostri rispondono con altre grida d'incitamento, specie se Hooker nei pressi - scontri all'arma bianca, le due parti reggono magnificamente, coraggiosi, risoluti come demoni, ci caricano a pi riprese - migliaia di azioni degne di essere celebrate in pi nuovi e pi grandi poemi a venire - e sempre il bosco che brucia - sempre molti non soltanto ustionati - tanti, troppi, incapaci di muoversi, periscono tra le fiamme. Poi gli accampamenti dei feriti. O cielo, che scena mai questa? questa umanit - questo scempio da macellai? Ve n' diversi di codesti campi. Ecco, nel pi grande, in una radura tra i boschi, da due a trecento poveri ragazzi - i gemiti e gli urli - l'odore del sangue che si mescola al fresco profumo della notte, dell'erba e degli alberi - questo carnaio! Oh, bene che le madri, le sorelle non possano vederli - che non sappiano concepire e mai abbiano concepito cose del genere. Uno stato colpito da un bossolo al braccio e alla gamba - gli vengono amputate tutte e due - ecco da un canto le membra tagliate. Alcuni hanno avuto le gambe letteralmente asportate - chi il petto trapassato dai proiettili - altre orrende, indescrivibili ferite al viso o alla testa, tutti mutilati, rivoltanti, in pezzi, gli occhi fuori dalle orbite - altri al ventre - certuni sono solo ragazzi - molti ribelli feriti in modo grave (aspettano regolarmente il loro turno insieme agli altri, i chirurghi l trattano allo stesso identico modo). Questo il campo dei feriti - e non che un frammento, un pallido riflesso di quella scena cruenta mentre su tutto silenziosa emerge a tratti la luna, grande, limpida, con la sua placida luce. Tra i boschi quella scena di anime che si partono - tra gli scoppi il fracasso e le urla - il profumo impalpabile dei boschi - e ancora il fumo acre, soffocante - il soffuso raggiar della luna che a tratti sogguarda, cos placida, dal cielo - il cielo stesso, paradisiaco - e i chiaroscuri lass, quei fluttuanti oceani dell'etere pi in alto poche grandi stelle tranquille, che appaiono silenziose e languide per poi scomparire - il melanconico drappeggio della notte sopra e intorno a noi. E l sulle strade, nei campi e tra i boschi, quella lotta, nessuna mai pi disperata in qualsiasi epoca o paese - ambo le parti ora in completo spiegamento di forze - masse - non battaglia per gioco n pantomima, bens demoni selvaggi accaniti nel combattimento - coraggio e sprezzo della morte unica regola, eccezioni quasi nessuna. Quale storia mi chiedo potr mai rendere - perch chi veramente pu sapere - il pazzo e risoluto scontro delle armate in tutti i loro contingenti piccoli e grandi - come qui - l'una e l'altra parte immerse da capo a piedi in propositi disperati, mortali? Chi pu sapere la mischia all'arma bianca - i molti duelli nel buio, quell'intrico d'ombre, i boschi lampeggianti al lume di luna - i gruppi e le squadre che si contorcono - gli urli, lo strepito, il crepitio di fucili e pistole - il cannone in distanza gl'incoraggiamenti i richiami le minacce e la spaventosa musica delle bestemmie - l'indescrivibile mischia - gli ordini, le parole di persuasione o d'incitamento degli ufficiali - i demoni del cuore umano completamente scatenati - il grido poderoso Caricate, ragazzi, caricate! - il lampo della spada snudata, gli attorti nugoli di fiamme e di fumo? E sempre ancora il lume di luna che con argentea delicatezza piove su ogni cosa le sue chiazze raggianti. Chi sapr dipingere la scena, il panico subitaneo e parziale del pomeriggio, al crepuscolo ? Chi l'inarrestabile avanzata della seconda divisione del terzo corpo, ordinata all'improvviso da Hooker e condotta da lui stesso - quello sfilar veloce di fantasmi pei boschi? Chi sveler che cosa si muove laggi nell'ombra, fluido e fermo - per salvare il nome dell'esercito (riuscendovi) e forse la nazione stessa? Poich l sono i veterani che tengono il campo (il valoroso Berry non cade ancora - ma la morte lo ha gi marcato - ecco che subito cade). SENZA NOME IL SOLDATO PIU' VALOROSO
Di scene come queste, dico, chi scrive? chi mai potr narrarne la storia? Di quelle centinaia, migliaia anzi di ignoti eroi del Nord e del Sud, eroismi sconosciuti, disperazioni incredibili, fulminee e nobilissime - chi ci parler? Non la storia - nessun poema canta e nessuna musica celebra quegli uomini, tra tutti i pi valorosi, quelle imprese. Nessuno dei rapporti ufficiali che i generali stendono, nessun libro di biblioteca o colonna di giornale provvede a imbalsamare i pi prodi, Nord o Sud, Est o Ovest. Senza nome e sconosciuti rimangono, sempre, i pi valorosi. I nostri cari - i pi forti - i nostri coraggiosi ragazzi; non c' quadro che li rappresenti. Ecco, probabilmente il tipico esempio di quelle centinaia, certo anzi migliaia di soldati, ricevuto il colpo mortale si porta strisciando in disparte dietro un gruppo di arbusti o una gobba di felci - vi si ripara per un poco inzuppando di rosso sangue le radici, l'erba e il terreno - la battaglia intanto avanza, recede, sparisce dalla scena, lo sfiora veloce - e l, forse tra spasmi e sofferenze (eppur meno, molto meno che non si creda) l'estremo letargo gli si avvolge intorno come un serpe - gli occhi nell'agonia si fanno vitrei - nessuno vi bada - con ogni probabilit tra una settimana, durante la tregua, le squadre incaricate della sepoltura non perlustreranno quell'angolo recondito - e l infine il Soldato pi valoroso ritorna, sfatto, in seno a madre terra, insepolto e ignoto. ALCUNI CASI TIPICI
18 giugno. In uno degli ospedali trovo Thomas Haley, compagnia M, 4 cavalleria New York tipico ragazzo irlandese, un bell'esempio di vigore fisico giovanile - colpito ai polmoni - sta morendo, non c' scampo - era venuto fin qui dall'Irlanda per arruolarsi - non ha un amico, non una sola conoscenza - in questo momento dorme profondamente (ma il sonno della morte)- il proiettile gli ha forato il polmone da parte a parte. Vidi Tom per la prima volta quando lo portarono qui tre giorni fa, e allora pensai che non potesse vivere nemmeno altre dodici ore (tuttavia presenta una cera abbastanza buona, agli occhi di un osservatore casuale). Sta l disteso con il corpo scoperto dalla cintola in su, nudo, per via del caldo, ben proporzionato, l'abbronzatura non ancora sbiadita dalle guance e dal collo. inutile parlargli: quella triste ferita, gli stimolanti che gli somministrano, e la totale estraneit degli oggetti che lo circondano, volti, mobili ecc., han fatto del povero ragazzo, anche quando sveglio, un timido animale atterrito. Per lo pi dorme, o assopito (varie volte ho pensato che capisca pi di quanto non dia a vedere). Vengo qui spesso e mi siedo accanto a lui in perfetto silenzio; allora per dieci minuti forse il suo respiro sar lieve e uniforme come quello di un bimbo addormentato. Povero giovane, cos bello, con quel corpo d'atleta, quella profusione di bei capelli lucenti. Una volta, mentre gli sedevo accanto guardandolo dormire, d'un tratto, senza il minimo sussulto, si dest, apr gli occhi e mi rivolse uno sguardo lungo e fermo, volgendo lievemente il capo per vedere meglio - un solo lungo sguardo, limpido, silenzioso - appena un sospiro - poi si rigir e ricadde nel suo sopore. Conosceva ben poco, povero ragazzo segnato dalla morte, il cuore dello straniero che vegliava l accanto. W. H. E. Co. F, 2 N. J. Malato di polmonite. Prima di essere trasportato qui rimasto per sette o otto giorni nell'infelice ospedale a sud del torrente Aquia. Distaccato dal suo reggimento per andarvi a prestare opera di infermiere, era stato subito colpito egli stesso dalla malattia. un uomo anziano, dal viso olivastro, piuttosto sparuto, capelli grigi; vedovo con figli. Mi disse di avere un gran desiderio di un buon t verde, forte. Un'ottima signora, Mrs. W. di Washington, gliene invi subito un pacchetto insieme a una piccola somma di denaro. Il dottore disse di dargli t a piacere; glielo lasciavano sul tavolino accanto al letto, ed egli ne beveva tutti i giorni. Dormiva parecchio; non poteva parlare un gran
che, essendo divenuto sordo. Occupava il letto 15, padiglione 1, all'Armeria. (La stessa signora menzionata sopra, Mrs. W., mand ai feriti anche un grande pacco di tabacco). J. G. occupa il letto 52, padiglione 1; del 7 Pennsylvania, compagnia B. Gli ho dato una sommetta di denaro, un po' di tabacco, delle buste. Anche ad un altro ferito, li accanto, ho dato 25 centesimi; arrossito quando glieli ho offerti - sulle prime rifiutava, ma io l'ho forzato a prenderli, poich avevo scoperto che non possedeva davvero un centesimo e gli piaceva molto avere dei quotidiani da leggere. Ne stato evidentemente assai contento, ma ha detto poco o nulla. L. T D., della compagnia F del 9 New Hampshire, occupa il letto 37, padiglione 1. Gli piace molto il tabacco. Gliene procuro un poco, cui aggiungo un po' di danaro. Ha la cancrena ai piedi; un caso piuttosto brutto; finir certamente per perdere tre dita. un tipico esemplare di campagnolo del New England dei tempi andati, rozzo e di gran cuore, e mi fa pensare a quella famosa gatta strinata che era assai migliore che non sembrasse a guardarla. Letto 3, padiglione E, Armeria - ha una gran voglia di sottaceti, qualcosa di piccante. Dopo aver consultato il dottore in proposito, gli ho portato un vasetto di rafano; anche delle mele; e un libro. Alcuni degli infermieri qui sono ottimi. L'infermiera di questo padiglione 1 mi piace particolarmente (Mrs. Wright - un anno dopo dovevo rivederla nell'ospedale di Mansion House, ad Alexandria - un'infermiera perfetta). In un altro letto c' un giovane malato di dissenteria e febbre tifoidea - Marcus Small, compagnia K, 7 Maine - un caso critico - parliamo sovente - dice che morir - e infatti probabile. Gli scrivo una lettera a casa, East Livermore, Maine - lo lascio chiacchierare un poco, ma non troppo, gli consiglio di starsene il pi tranquillo possibile - porto avanti quasi tutta la conversazione da solo - mi trattengo piuttosto a lungo, dacch egli si aggrappa alla mia mano - gli parlo in modo da tenerlo su, ma piano, misuratamente e a bassa voce - parlo della licenza e del ritorno a casa non appena sar in grado di viaggiare. Thomas Lindly, 1 cavalleria Pennsylvania, una bruttissima ferita a un piede - povero ragazzo, soffre orribilmente, devono continuamente drogarlo con la morfina - viso cinereo e lustro, giovani occhi vivaci - gli porto una bella mela grande e gliela lascio l in vista, dicendogli di farsela cuocere al forno per il mattino, quando solitamente trova un po' di sollievo e pu fare una piccola colazione. Gli scrivo due lettere. Dalla parte opposta, una vecchia signora quacquera siede al capezzale di suo figlio, Amer Moore, 2 artiglieria U.S.A. - ferito alla testa due settimane fa, molto debole nel complesso, ma ragiona - paralizzato dai fianchi in gi - sicuramente morir. Tutti i giorni, tutte le sere mi fermo a dirgli poche parole -risponde di buon grado - non desidera nulla (subito appena arrivato mi parl delle cose di casa sua, la madre era stata molto malata ed egli aveva paura di farle conoscere il suo stato). Mor appena lei arriv. I MIEI PREPARATIVI PER LE VISITE
Durante le mie visite agli ospedali scoprii che il mio successo e l'aiuto che riuscivo a dare si spiegavano pi con il semplice fatto della presenza personale e del normale magnetismo e buonumore che ne emanavano che non con l'assistenza medica che potevo prestare, le ghiottonerie, i doni in danaro o qualsiasi altra cosa. Durante la guerra ero in possesso di una salute fisica perfetta. Era mia abitudine, circostanze permettendo, prepararmi a quei giri di due, quattro e anche cinque ore sia di giorno che di notte, corroborandomi con un adeguato riposo, un bagno, abiti puliti, un buon pasto e un aspetto il pi sereno possibile.
PROCESSIONI DI AMBULANZE
25 giugno, tramonto. Mentre scrivo questo paragrafo, vedo un convoglio di circa trenta enormi carrozzoni a quattro cavalli, adibiti ad ambulanza e rigurgitanti di feriti, sfilare per la Quattordicesima diretto con ogni probabilit verso gli ospedali di Columbia, Carver e Mount Pleasant. E cos che adesso arrivano i feriti, di rado in piccoli gruppi, e quasi sempre in queste lunghe, tristi processioni. Per tutto lo scorso inverno, quando il nostro esercito si trovava di fronte a Fredericksburg, simili cortei di ambulanze furono uno spettacolo frequente lungo la Settima: avanzavano lentamente dal molo dei vaporetti, con il carico fatto al torrente Aquia. BRUTTE FERITE - I GIOVANI
I soldati sono quasi tutti giovani, e il numero di americani tra loro assai pi alto che in genere non si creda, un nove decimi di nativi, direi. Tra quelli arrivati da Chancellorsville ho trovato un'ampia percentuale di gente dell'Ohio, dell'Indiana e dell'Illinois. Come sempre vi sono feriti di ogni sorta. Certuni ustionati in modo spaventoso dall'esplosione di cassonetti d'artiglieria. In un padiglione, una lunga fila di ufficiali, alcuni con ferite molto brutte. Ieri stato forse peggio del solito. Continuano le amputazioni - gli assistenti medicano ferite. Quando passate di l dovete far bene attenzione a dove posate gli occhi. In uno di questi padiglioni ho visto l'altro giorno un signore, venuto presumibilmente per curiosit, fermarsi e volgersi un istante a guardare un'orribile ferita che stavano sondando con uno specillo. Impallid, e un minuto dopo era piombato a terra privo di sensi. GLI SPETTACOLI PIU' ESALTANTI DI TUTTA LA GUERRA 29 giugno. Poco prima del tramonto stasera sfilato un grosso contingente di cavalleria qualcosa di bello a vedersi. Erano evidentemente veterani. Prima veniva una fanfara a cavallo, con sedici trombe, tamburi e cembali, che suonava focosi motivi marziali - mi fece balzare il cuore in petto. Seguivano i comandanti in capo, poi le varie compagnie, ognuna col suo ufficiale in testa, che naturalmente costituivano ]a parte pi cospicua della cavalcata; poi un lungo corteo di soldati coi cavalli tenuti alla briglia e un gran numero di negri montati su bestie speciali - poi una ]unga fila di carriaggi, ognuno trainato da quattro cavalli - e infine una eterogenea retroguardia. Era uno spettacolo alquanto guerresco e gaio; le sciabole tintinnavano, gli uomini avevano un aspetto giovanile, sano e robusto; l'elettrico calpestio di tanti cavalli sul fondo duro della strada, insieme al portamento baldanzoso, la bella positura, l'aria gioviale di quel migliaio e pi di bei ragazzi americani, erano cose che facevan bene a vedersi. Un'ora dopo pass un'altra truppa, pi piccola, forse trecento uomini. Anche questi sembravano reduci dal servizio, gente usa al campo e alla battaglia. 3 luglio. Anche questo pomeriggio, per pi di un'ora, lunghe sfilate di cavalleria, vari reggimenti, uomini e cavalli splendidi, quattro o cinque per fila. Li ho visti nella Quattordicesima, entravano in citt dalla parte nord, affiancati da diverse centinaia di cavalli di riserva, e molte cavalle coi loro puledri, che seguivano al trotto (sembra ci fosse anche un certo numero di prigionieri). Come sono entusiasmanti, sempre, i reggimenti di cavalleria. I nostri soldati montano in genere belle bestie, appaiono disinvolti, sono giovani, allegri in sella, la coperta arrotolata dietro, le sciabole tintinnanti al fianco. Questo rumore e il movimento e lo scalpiccio di tanti zoccoli, hanno su di me un effetto
curioso. Le trombe suonano - adesso si sentono lontanissime, smorzate, miste ad altri rumori. Poi, erano appena passati tutti, dalla parte opposta cominci una sfilata di ambulanze che risalivano la Quattordicesima dirette a nord, lentamente, una dopo l'altra, trasportando una gran quantit di feriti agli ospedali. BATTAGLIA DI GETTYSBURG 4 luglio. Il tempo oggi nel complesso assai bello, l'aria tiepida, ma sufficientemente fresca grazie a una bella pioggia ier sera, e non c' polvere, che un gran sollievo per questa citt. Verso mezzogiorno in Pennsylvania Avenue ho visto la parata che dalla Quindicesima strada scendeva verso il Campidoglio. C'erano tre reggimenti di fanteria (quelli che prestano servizio di guardia qui, credo), due o tre societ di "Odd Fellows", una quantit di bambini in calesse e una squadra di poliziotti (tutto ci solo un inutile gravame, imposto ai soldati - hanno gi abbastanza lavoro sulle spalle per accumularvi cose del genere). Mentre percorrevo il viale, sul quadro dei comunicati della redazione di un giornale scorsi un vistoso manifesto che annunciava "Gloriosa vittoria per l'esercito dell'Unione!". Meade si era scontrato con Lee a Gettysburg, Pennsylvania, il giorno innanzi e quello precedente, e lo aveva respinto in modo clamoroso, fatto 3.000 prigionieri, ecc. (vidi in seguito il bollettino di Meade. molto modesto, e anche una specie di ordine del giorno emesso dal Presidente in persona, d'ispirazione piuttosto religiosa, che rendeva grazie al Supremo e invitava la popolazione a fare altrettanto). Proseguii per l'ospedale dell'Armeria - portai con me parecchie bottiglie di sciroppo di more e di ciliegie, buono e forte ma innocuo. Passai per vari padiglioni annunciando ai soldati la notizia di Meade, e a tutti offrii un buon bicchiere di sciroppo con acqua ghiacciata, che alquanto rinfrescante lo preparai con le mie mani e andai in giro a servirlo. Frattanto le campane di Washington hanno intonato il loro concerto vespertino per il 4 luglio, accompagnato dalla tradizionale salva di cannoni, mortaretti e pistole di ragazzi. UN ACCAMPAMENTO DI CAVALLERIA
quasi il tramonto; scrivo osservando una compagnia di cavalleria (del servizio segnalazioni), arrivata da poco sotto un acquazzone, mentre si accampa per la notte in un ampio spiazzo deserto, una specie di collina proprio di fronte alla mia finestra. Ecco gli uomini con le loro giacche a bande gialle. Sono smontati tutti; i cavalli, una volta liberi, restano in piedi con la testa bassa e i fianchi tutti bagnati; tra poco saranno portati in gruppi a abbeverarsi. In breve ecco spuntare le piccole tende a parete verticale e quelle da riparo. Vedo gi il brillio dei fuochi, con su pentole e marmitte. Alcuni soldati piantano in terra i picchetti delle tende, assestando con l'ascia colpi forti e scanditi. Scorgo grandi assembramenti di cavalli, balle di fieno, gruppi di uomini (qualcuno con la sciabola ancora affibiata al fianco), qualche ufficiale, cataste di legname, le fiamme dei bivacchi, selle, finimenti, ecc. Si alza il fumo, altri uomini arrivano e smontano - chi pianta paletti e vi lega il cavallo, chi va per acqua con secchie; chi ancora taglia la legna, e cos via. 6 luglio. - Pioggia insistente, scura e fitta e calda. appena passato un convoglio di carri a sei muli che trasportava pontoni, grandi chiatte quadrangolari e pesanti tavole con cui ricoprirle. Veniamo a sapere che poco pi su il Potomac uscito dagli argini, e ci chiediamo se Lee sar capace di riattraversarlo, o se Meade questa volta non lo far davvero a pezzi. L'accampamento di cavalleria sulla collina rimane per me un ininterrotto campo di osservazione. Nel pomeriggio ecco l i cavalli, legati
insieme, fradici, fumanti, che biascicano fieno. Gli uomini emergono dalle tende, anch'essi fradici. I fuochi sono semispenti. 10 luglio. - Sempre il campo di fronte - cinquanta, forse sessanta tende. Gli uomini ripuliscono le sciabole (fa bello oggi), lucidano stivali, se ne stanno sdraiati a leggere o a scrivere - alcuni cucinano, altri dormono. Su una lunga fila di trespoli improvvisati dietro le tende c' l'equipaggiamento dei cavalleggeri - coperte e cappotti stesi a prender aria - e i cavalli anche, legati a gruppi, che mangiando continuano a scalpicciare e a sferzare attorno la coda per tener lontane le mosche. Resto a lungo alla mia finestra, al terzo piano, e osservo la scena - cento piccole attivit - oggetti particolari connessi con la vita del campo che non potrebbero essere descritti adeguatamente, uno per uno, senza disegnarli e colorarli minutamente con le parole. UN SOLDATO DI NEW YORK
Questo pomeriggio, 22 luglio, ho passato molto tempo con Oscar F. Wilber, compagnia G, 154a New York, stremato da dissenteria cronica, oltre a una brutta ferita. Mi chiese di leggergli un capitolo del Nuovo Testamento. Accondiscesi, e domandai che cosa dovessi leggere. Disse, "Scegliete voi". Aprii verso la fine di uno dei primi libri degli evangelisti e lessi i capitoli che descrivevano le ultime ore di Cristo e le scene della crocefissione. Il povero giovane divorato dal male mi chiese allora di leggere anche il capitolo seguente, come Cristo risorse da morte. Lessi, molto lentamente, perch Oscar era assai debole. Gli fece molto piacere, ma aveva gli occhi pieni di lacrime. Mi domand se traessi beneficio dalla religione. Risposi, "Forse non nel modo che intendi tu, caro, eppure forse la medesima cosa". Egli disse, " il mio primo sostegno". Parl della morte, diceva di non temerla. Dissi, "Suvvia, Oscar, non pensi di guarire?". E lui, "Potrebbe anche essere, ma non molto probabile". Parlava con calma del suo stato. La ferita era molto brutta, versava continuamente. Inoltre la diarrea aveva finito per prostrarlo, ed io sentivo che poteva morire in quello stesso momento. Il suo contegno era virile e affettuoso. Mi restitu quattro volte il bacio che gli diedi al momento di andarmene. Mi diede l'indirizzo di sua madre, Mrs. Sally D. Wilber, ufficio postale di Alleghany, contea di Cattaraugus, N. Y. Ebbi molti di questi colloqui con lui. Mor pochi giorni dopo l'incontro ora descritto. MUSICA FATTA IN CASA
8 agosto. Questa sera mentre sedevo al capezzale di un soldato ferito nell'ospedale dell'Armeria, tentando di mostrarmi sereno, fui attratto da un gradevole canto in una delle corsie attigue. Il mio soldato dormiva; lo lasciai, entrai nella corsia dov'era la musica, ne percorsi una met e mi misi a sedere accanto al lettuccio di un mio giovane amico di Brooklyn, S. R., il quale aveva ricevuto una brutta ferita alla mano, a Chancellorsville, e aveva sofferto molto, ma in quel momento della sera appariva completamente sveglio e alquanto rinfrancato. Si era girato sul fianco sinistro per veder meglio quelli che cantavano, ma le zanzariere dei lettini vicini gl'impedivano la vista. Io allora feci un giro e le tirai tutte su, annodandole, s che egli potesse godersi intera la scena; poi mi rimisi a sedere accanto a lui, osservando e ascoltando. Il cantore principale era una giovane infermiera di una delle corsie: si accompagnava su un melodion, seguita dal canto delle infermiere delle altre corsie. Erano sedute - un gruppo pieno di grazia, con quei bei visi sprizzanti salute; alle loro spalle, un pochino discosti e in piedi, v'erano dieci o quindici soldati convalescenti, e poi giovani, infermieri, ecc., coi libri
in mano, e cantavano. Certo non una di quelle esecuzioni dell'Opera di New York cui prendono parte grandi solisti; e tuttavia mi chiedo se il piacere che provai in questa circostanza, standomene l seduto, non equivalesse a quello procuratomi dalle migliori opere italiane nell'interpretazione di cantanti di fama mondiale. Gli uomini stesi nei loro lettucci in tutte le direzioni nell'ospedale (alcuni con gravi ferite, altri destinati a non rialzarsi mai pi), i letti coi loro drappeggi di bianche tende, e le ombre che si allungavano nella parte superiore e inferiore della corsia; poi il silenzio degli uomini, le espressioni, le positure che prendevano - tutto ci costituiva una scena da ripercorrere pi e pi volte con lo sguardo. E qui dolcemente si levavano le voci fino all'alto soffitto di travi imbiancate, che garbatamente le restituiva. Cantavano molto bene, per lo pi curiose vecchie canzoni e inni declamatori, su arie appropriate. Questo, per esempio: Fuggono i giorni veloci per me pellegrino e straniero, Eppur non vorrei trattenere quelle ore di stento e paura, Siamo gi sulla costa Giordana, e gli amici oh stan passando, Tra poco anche noi scorgeremo la riva abbagliante. Vedendo la patria lontana cingeremo le armi o fratelli, L'assente Signore ha lasciato un messaggio, risplenda ogni luce, Siamo gi sulla Costa Giordana e gli amici oh stan passando, E tra poco anche noi scorgeremo la riva abbagliante. ABRAMO LINCOLN
12 agosto. Vedo il Presidente quasi ogni giorno: abito infatti nella via dov'egli passa recandosi alla sua residenza fuori citt, o tornandone. Non dorme mai alla Casa Bianca nella stagione calda, bens in una salubre localit a circa tre miglia a nord di Washington, alla Casa del Soldato, una fondazione dell'esercito statunitense, dove dispone di un appartamento. L'ho visto stamani recarsi al lavoro verso le otto e mezzo, passava a cavallo per Vermont Avenue all'altezza di via L. Ha sempre una scorta di venticinque o trenta cavalleggeri, con le sciabole sguainate, appoggiate verticalmente alla spalla. Dicono che egli personalmente non desiderasse questa guardia del corpo, ma che alla fine i suoi consiglieri l'hanno spuntata. La comitiva non costituisce di per s spettacolo, n per le uniformi n per i cavalli. Il signor Lincoln compare generalmente in sella a un grosso cavallo grigio dall'andatura placida, indossa un vestito tutto nero, un po' scolorito e impolverato, una tuba anch'essa nera, e nel complesso, abiti,... non si presenta in nulla diverso dal pi comune dei mortali. Alla sua sinistra cavalca un tenente con le spalline gialle; dietro, a due a due, seguono i cavalleggeri con le loro giacche a bande gialle. Procedono generalmente al piccolo trotto, essendo questo il passo fissato da quegli che essi scortano. Le sciabole e i finimenti tintinnano, ma il corteo, in s cos poco ornamentale, non desta al suo passaggio sensazione alcuna, mentre si dirige al trotto verso piazza Lafayette; solo qualche forestiero si ferma a guardare incuriosito. Scorgo chiaramente il volto bruno di Abramo Lincoln, i suoi solchi profondi, e gli occhi in cui sempre mi par di scorgere una espressione di profonda' latente tristezza. Ormai arriviamo a scambiarci inchini, e anche molto cordiali. Talvolta il Presidente va e torna in calesse scoperto. Lo squadrone dei cavalleggeri lo accompagna sempre, con le spade sguainate. Spesso quando va via la sera - ma a volte anche la mattina, se torna di buon'ora - lo vedo svoltare e fermarsi di fronte al]a grande e bella residenza del Ministro de]la Guerra, in via K, e trattenersi l in colloquio. Se in calesse, non scende (lo vedo dalla mia finestra) ma rimane seduto in vettura, e il
signor Stanton esce di casa a conferire con lui; lo accompagna a volte uno dei suoi figli, un ragazzetto di dieci o dodici anni che cavalca alla sua destra, su un pony. All'inizio dell'estate ho visto di tanto in tanto il Presidente e la moglie in carrozza, in giro di piacere per la citt, nel pomeriggio sul tardi. La signora Lincoln era vestita completamente di nero, con un lungo velo di crespo. Il tiro dei pi semplici, due cavalli soltanto, e anche questi niente di straordinario. Mi passarono una volta molto vicino, e poich procedevano lentamente potei scorgere in tutta chiarezza il viso del Presidente. Accadde che il suo sguardo, bench astratto, fosse fisso in direzione del mio; egli s'inchin e sorrise, ma celata sotto il sorriso io ben notai quella espressione cui ho gi alluso. Nessun artista e nessun ritratto ha mai colto l'espressione profonda, ma sottile e indiretta, del viso di quest'uomo. V' in esso qualche altra cosa. Ci vorrebbe uno dei grandi ritrattisti di due o tre secoli fa. CANICOLA
Ultimamente abbiamo sofferto molto il caldo, qui sono adesso undici giorni che ci grava addosso. Io vado in giro con l'ombrello e il ventaglio. Ieri ho visto due casi di insolazione, uno in Pennsylvania Avenue, l'altro nella Settima strada. La compagnia trasporti del Municipio perde ogni giorno qualche cavallo. Eppure questo agosto il pi vivace che Washington abbia mai avuto, e l'estate che sta esibendo probabilmente la pi energica e soddisfacente. C' forse pi elettricit umana, pi gente a crearla, pi fervore d'affari, maggior spensieratezza. Gli eserciti che l'avevano circondata subito dopo Fredericksburg, proseguirono la marcia, lottarono e combatterono fino al momento decisivo del possente corpo a corpo di Gettysburg - poi, con una conversione, ritornarono alle loro linee, lambendoci ancora, ma senza veramente toccarci, sia all'andata che al ritorno. E Washington sente ora che il peggio passato; forse sente che da questo momento padrona della situazione. Cos adesso se ne sta nel bel mezzo di colline pullulanti di cannoni, con la consapevolezza di avere acquistato, nel breve spazio di cinque o sei settimane, un carattere ed una identit nuovi, e anche considerevolmente pi piacevoli e dignitosi. STORIE DI SOLDATI
Soldati, soldati, soldati, ne incontrate ovunque per la citt, spesso uomini magnifici, anche se invalidi dalle uniformi consunte che s'aiutano con bastoni e grucce. Parlo spesso con loro, e a volte le conversazioni sono lunghe e interessanti. Uno di questi, per esempio, deve aver percorso tutta la penisola agli ordini di McClellan - mi narra gli scontri, le marce, le strane e improvvise conversioni di quella campagna ricca di eventi, lasciando intravedere cose di cui non v' cenno nei rapporti ufficiali, nei libri o nei giornali. E sono queste le cose pi genuine, preziose. Quest'uomo era l, stato al fronte due anni' passato attraverso una dozzina di combattimenti - da gran tempo ormai il suo discorso ha perduto ogni oncia di carne superflua, e quel che egli m'offre poco, ma fatto di solida carne e di muscoli. (Io li sento come una ventata d'aria fresca, questi ragazzi americani, coraggiosi, svelti, intuitivi - soldati provati a dispetto della loro giovinezza). Il giuoco della voce con le sue sfumature di significato pi efficace di qualsiasi libro. C' poi sempre qualcosa di maestoso in un uomo che ha avuto la sua parte in varie battaglie, specialmente se, quando voi pi desiderate di vederlo abbandonarsi allo sfogo, egli sembra riguardar la cosa con quieto distacco. Io continuo ad essere disorientato dall'assenza di millanteria e di millantatori tra questi giovani-vecchi militari americani. Ho incontrato gente che ha partecipato a tutte le battaglie della guerra, dalla prima all'ultima, e le abbiamo discusse
insieme una per una, per ogni angolo degli Stati Uniti, compresi molti degli scontri avvenuti sui fiumi e nei porti. Qui si trovano uomini di tutti gli Stati dell'Unione nessuno escluso (nell'esercito federale vi pi gente del Sud di quanto si pensi comunemente, specie degli Stati di confine).* Adesso io dubito che ci si possa fare una buona idea di che cosa sia in pratica questa guerra, e del carattere genuino dell'America, senza un'esperienza del tipo di quella che io sto facendo. * Cfr. discorso di Garfield alla Camera dei Rappresentanti 15 aprile 1879: "Sanno lor signori che, a prescindere dagli Stati di confine, nell'esercito che lottava per l'Unione v'erano ben cinquanta reggimenti e sette compagnie di bianchi provenienti dagli Stati ribelli? Sanno che dal solo stato del Kentucky sono venuti a combattere sotto la nostra bandiera pi uomini di quanti Napoleone ne port a Waterloo - pi di quanti Wellington ne mise insieme contro Napoleone? E ricordano lor signori che 186000 uomini di colore hanno combattuto per la nostra bandiera e per l'Unione contro i secessionisti, e che di questi 90000 provenivano dagli stati ribelli?" (N.d.A.). MORTE DI UN UFFICIALE DEL WISCONSIN
Ecco un'altra scena tipica di quel buio, cruento anno 1863 - sono note prese durante una mia visita all'ospedale dell'Armeria, in una calda ma bella giornata d'estate. Nel padiglione H ci avviciniamo al lettino di un giovane tenente di uno dei reggimenti del Wisconsin. Camminando sfioriamo appena il nudo tavolato del pavimento, poich in questo lettuccio abitano lo strazio e l'ansimo della morte. Ho conosciuto questo tenente quando fu portato qui da Chancellorsville, e mi sono intrattenuto con lui varie volte, sia di giorno che di notte. Se l'era cavata abbastanza bene sino a ier l'altro, quando fu colto all'improvviso da una emorragia che non stato possibile fermare, e che continua anche oggi, a intervalli. Guardate quel bacile accanto al letto, quasi ricolmo di sangue e di garze insanguinate: parla da s. Il povero giovane sta lottando penosamente per riuscire a respirare, i grandi occhi scuri gi vitrei, e un rantolo flebile, ma distinto, in gola. Un inserviente gli siede accanto: non lo lascer fino all'ultimo, sebbene vi sia poco o nulla da fare. Morir qui, tra un'ora o due, senza un amico o un parente. E intanto, appena un po' pi in l, il normale chiacchiericcio e andirivieni della corsia prosegue indifferente. Alcuni dei ricoverati ridono o scherzano, altri giuocano a scacchi o a carte, altri leggono, ecc. Nella maggior parte degli ospedali ho potuto notare che, per quanto grave sia un malato, finch esiste una speranza il medico e gli infermieri si prodigano indefessamente, talora con una curiosa tenacia, per salvargli la vita: non lasciano niente di intentato, gli tengono sempre accanto qualcuno che esegua gli ordini del medico e si prenda cura di lui in ogni minuto del giorno e della notte. Osservate quel paravento. Provate ad avvicinarvi, nella penombra delle prime candele accese, e un'infermiera si far avanti in punta di piedi e silenziosamente ma imperiosamente vi inviter a non fare il minimo rumore, magari a non avvicinarvi affatto. L dietro vacilla la vita di qualche soldato, sospesa tra la guarigione e la morte. Forse in questo momento il povero corpo esausto scivolato in un lieve sonno che anche un passo potrebbe turbare. Dovete ritirarvi. I pazienti vicini si muoveranno a piedi nudi. Molte volte sono stato colpito da questi sforzi cos evidenti- ogni singola azione tesa a sottrarre alle grinfie della distruzione una vita umana. Ma una volta che quella presa si sia fatta salda e stabile, senza pi possibilit o speranze, il medico abbandona il paziente. Se si tratta di un caso in cui uno stimolante sia di qualche sollievo, l'infermiere somministrer ad libitum punch di latte o cognac. Non si fanno storie. Negli ospedali da campo non mi mai capitato di notare sentimentalismi o piagnistei al letto di un morente, bens una generale, impassibile indifferenza: finita, per quanti sforzi siano stati fatti; inutile affannarsi o dar via libera alle emozioni. Finch c' uno spiraglio tengono duro e lottano, o
almeno cos fa la maggior parte dei medici; ma una volta sicura ed evidente la morte, abbandonano il campo. COMPLESSI OSPEDALIERI
Agosto, sett. e ott. '63. Ormai ho preso l'abitudine di recarmi in tutti gli ospedali, anche al seminario di Fairfax ad Alessandria, e al grande campo dei Convalescenti, cui si accede per il Ponte Lungo. I giornali ne forniscono un regolare elenco - una lunga lista. Se volete un esempio-tipo di uno di questi ospedali pi grandi, immaginatevi un'area da tre a venti acri di terreno, dove sono aggruppati dieci o dodici enormi baracconi di legno insieme a una dozzina, o venti (a volte anche pi) costruzioni minori, capaci nel complesso di accogliere da cinquecento a mille o millecinquecento persone. Talvolta questi baraccamenti di legno o padiglioni, lunghi da cento a centocinquanta piedi ognuno, sono sistemati in una lunga fila uniforme con la fronte rivolta alla strada; altri sono spiegati s da formare una immensa V; altri ancora sono ordinati attorno a uno spiazzo quadrato. Tutti insieme, considerando le tende supplementari, i padiglioni per i casi contagiosi, la stazione di guardia, i magazzini delle vettovaglie e l'alloggio del cappellano, costituiscono un aggregato enorme; al centro vi sar con ogni probabilit una costruzione con gli uffici del capochirurgo, dei chirurghi dei vari padiglioni, dei membri della direzione, degli impiegati, ecc. I singoli padiglioni sono contrassegnati da lettere dell'alfabeto (padiglione G, padiglione K) o da numeri, 1, 2, 3, ecc. Ognuno ha il suo medico e il suo corpo infermieri. Nell'aggregato si trova naturalmente un buon numero di impiegati, e a capo di tutti il medico in carica. Qui a Washington, quando questi ospedali militari sono completi, come gi accaduto diverse volte, la massa di persone in essi contenuta supera in numero la popolazione dell'intera Washington di dieci o quindici anni fa. Dal Campidoglio, mentre scrivo, sono visibili forse trenta o quaranta complessi di questo tipo, che ospitano non di rado cinquanta e anche settantamila uomini. Io li uso come punti di riferimento, durante i miei vagabondaggi, quando mi fermo in qualche luogo soprelevato a osservare e a studiare la topografia. Guardate l, tra il ricco fogliame degli alberi d'agosto, quel candido gruppo di costruzioni all'estrema periferia; poi quell'altro assembramento a un mezzo miglio di distanza dal primo, sulla sinistra; poi un terzo, a un miglio sulla destra, un quarto un miglio pi oltre, e un altro ancora tra noi e il primo. In effetti non v' direzione in cui, spingendo lo sguardo, il paesaggio e i dintorni non appaiano punteggiati di questi aggruppamenti. Quella piccola citt (ch tale la credereste) in cima a un colle laggi, s una citt, ma di ferite, di malattie e di morte. l'ospedale Finley, a nord-est di Washington, sul parco Kindall, come si chiamava un tempo. L'altro l'ospedale Campbell. Ambedue sono molto grandi. Ho saputo che questi due da soli ospitavano da duemila a duemilacinquecento pazienti. C' poi l'ospedale Carver, ancora pi ampio, una vera cittadella a pianta regolare, cinta da mura e guardata da squadre di sentinelle. Pi fuori, a est, l'ospedale Lincoln, anche pi grande; e un mezzo miglio pi oltre, l'Emory. Se lasciamo scorrere lo sguardo seguendo il fiume in direzione di Alessandria, troviamo sulla destra il luogo dove sorge il Campo Convalescenti, coi suoi cinque, otto, talora diecimila ricoverati. Ma persino questi non costituiscono che una piccola parte. Tra quelli che restano sono gli ospedali Harewood, Mount Pleasant, Piazza dell'Armeria, l'ospedale Giudiziario, tutti molto grandi. PASSEGGIATA IN UNA NOTTE SILENZIOSA
20 ottobre. Questa sera, lasciato l'ospedale alle 10, (dopo circa cinque ore di servizio volontario, quasi senza un attimo di libert) ho vagato a lungo per Washington. La notte era dolce, chiarissima, abbastanza fresca, con una voluttuosa mezzaluna lievemente dorata, l'alone intorno sfumato in un trasparente grigioazzurro. Ho percorso Pennsylvania Avenue fino alla Settima strada, e sono rimasto a passeggiare intorno al Palazzo dei Brevetti. Nella delicata luce lunare l'edificio aveva un che di accigliato e forte, un aspetto maestoso. Il cielo, i pianeti, le costellazioni, tutto cos luminoso, cos calmo, d'un silenzio cos espressivo e rasserenante dopo quelle scene d'ospedale. Continuai a vagare nei paraggi fin quando l'umida luna non fu tramontata, molto dopo la mezzanotte. FIGURE MORALI DI SOLDATI
Esistono degli esseri che di tanto in tanto incontro negli ospedali o sul campo - vivi esempi di distacco dal mondo, di disinteresse, di purezza animale e eroismo - gente inconsapevole della propria natura, nativi dell'Indiana o forse dell'Ohio o del Tennessee - sulla cui nascita sembra esser discesa la calma del cielo, e alla cui crescita graduale (quali che fossero le circostanze di lavoro, i mutamenti, le asperit e il basso o addirittura inesistente livello di cultura che l'hanno accompagnata) sembra aver presieduto uno strano potere di soavit spirituale, nerbo e salute interiore. Spesso nel comportamento di questi esseri si avverte un qualcosa di velato e di astratto. Ne ho incontrati, ripeto, non di rado nell'esercito, sul campo e negli ospedali. Se ne trovano nei reggimenti dell'Ovest. Spesso sono giovani che obbediscono agli eventi e alle circostanze entrando nell'esercito, marciando, combattendo, raccogliendo foraggio, cucinando, o, prima della guerra, lavorando in campagna o in qualche ramo del commercio - inconsapevoli della loro natura (ma quanto a questo, chi conscio della propria natura?) mentre quelli che li attorniano intuiscono solo che sono diversi dagli altri, pi silenziosi, che "hanno qualcosa di strano", e che sono capaci di staccarsi dal resto e andarsene a meditare e a riflettere in solitudine. MANDRIE PER LE VIE DI WASHINGTON
Tra gli altri spettacoli vi sono immense mandrie coi loro bovari, che passano per le vie della citt. Alcuni degli uomini hanno un modo tutto loro di guidare la mandria, con un richiamo strano, un grido gutturale e selvaggio, pensoso, molto musicale, prolungato, indescrivibile, qualcosa a mezzo tra il tubare del colombo e il chiurlare del gufo. Mi piace fermarmi a osservare lo spettacolo di una di queste mandrie immense - un po' in disparte, per il gran polverone. Ci sono sempre uomini a cavallo che fan schioccare la frusta e lanciano grida - le bestie mugghiano - qualche bue o manzo testardo cerca di scappare - ecco allora una scena movimentata - i mandriani a cavallo, sempre ottimi cavallerizzi e montati su belle bestie, si precipitano dietro il ribelle, in un turbine di cerchi e giravolte -una dozzina a cavallo, assai pittoreschi coi loro grandi cappelli flosci a larghe tese - un'altra dozzina a piedi - tutti coperti di polvere - i lunghi pungoli in mano - una mandria immensa, forse mille bestie - il gran vociare, le urla di richiamo, il movimento ecc. CONFUSIONE NEGLI OSPEDALI
In aggiunta alle altre difficolt, pressocch impossibile, nella confusione di questo grande esercito di malati, che un forestiero riesca a trovare un amico o un parente, a meno che non conosca, per cominciare, la collocazione specifica del paziente. Oltre all'elenco pubblicato dai giornali del luogo, esistono uno o due altri elenchi degli ospedali presso il quartier generale di polizia, ma sono tutt'altro che completi; non sono mai aggiornati n del resto, cos come stanno le cose, in questo mare di arrivi, partenze, spostamenti quotidiani, potrebbero esserlo. Ho saputo di certi casi - un contadino per esempio, venuto qui dal nord dello Stato di New York a trovare un fratello ferito, che dopo aver fiduciosamente cercato per ogni dove per una settimana stato costretto a desistere e a tornarsene a casa senza averne scoperto traccia. Arrivato a casa trov una lettera del fratello che g]i forniva l'indirizzo esatto. LA FRONTE
Culpepper, Virginia, febbraio '64. Qui mi trovo parecchio avanti, non troppo lontano dalla prima linea. Tre o quattro giorni fa il generale S., ora comandante in capo (credo che Meade sia assente, malato forse) spost dal campo un forte contingente di truppe muovendo a sud, come se intendesse fare grandi cose. Sono arrivati fino al Rapidan; da allora si avuto qualche spostamento e qualche scontro, ma niente di decisivo. I bollettini giunti la mattina di luned scorso per telegrafo mi sembra abbiano dato troppa importanza alla cosa. Quali fossero le intenzioni del generale S. qui non sappiamo, ma abbiamo fiducia in questo esperto comandante. C' stata s un po' di eccitazione (ma nemmeno troppa) domenica, tutto il giorno e anche la notte, quando cominciarono ad arrivare ordini di far bagagli e sellare i cavalli e tenersi pronti a evacuare e a ripiegare su Washington. Ma io avevo un gran sonno e me ne andai a letto. Svegliato nel cuore della notte da grida tremende, uscii e scoprii che provenivano dagli uomini di cui sopra, che tornavano. Parlai con alcuni di loro; come sempre notai in essi allegria e capacit di sopportazione e, in molte piccole cose, i bei segni della migliore, della pi eletta giovent del mondo. Era uno spettacolo curioso, quelle colonne indistinte che si muovevano nella notte. Io rimasi nel buio, inosservato, a guardare. Il fango era assai profondo. Gli uomini portavano il solito carico, cappotti, zaini, fucili e coperte. Sfilarono e sfilarono, a breve distanza da me - ogni tanto una risata, una canzone, una battuta, ma non una sola parola di scontento. Pu sembrar strano, ma mai come allora compresi la realt e la maest del popolo americano en masse. Mi invest con la forza di un terrore sacro. I possenti squadroni procedevano n veloci n lenti. Avevano gi marciato per sette o otto miglia nello scivoloso untume del fango. Il valoroso I corpo si ferma qui. L'egualmente valoroso terzo corpo procede alla volta della stazione di Brandy. Il famoso 14 Brooklyn si trova a guardia della citt: le loro gambe rosse, sempre in gran movimento, stanno dappertutto. Hanno persino un teatro tutto loro; vi danno spettacoli musicali, e direi che ogni cosa vi fatta in maniera eccellente. Naturalmente l'uditorio un bailamme. Assistere a uno di questi spettacoli del 14 una buona distrazione. Pi che la scena sul palcoscenico, mi piace osservare i soldati intorno e l'assembramento generale sotto il sipario. IL PAGAMENTO DEI PREMI
Una delle cose da notare adesso l'arrivo dell'ufficiale pagatore con la sua cassaforte, e il pagamento dei premi ai veterani che si riarruolano. Oggi c' qui il maggiore H., con una montagnuola di bigliettoni che fa allargare il cuore alla 2a divisione del I corpo. Il maggiore H. e l'impiegato Eldridge, con davanti i registri e una gran quantit di soldi, siedono dietro un tavolino al centro di una
casupola traballante. Un riarruolato riceve circa 200 dollari in contanti (pi ricche rate che verranno saldate una dopo l'altra nei vari giorni di paga). Lo spettacolo degli uomini che si affollano intorno davvero esilarante: mi piace star l a guardare. Si sentono inebriati, con le tasche rigonfie e la licenza che verr, e la visita a casa. Una visione di occhi scintillanti e guance colorite. Il soldato ha sulle spalle molte tristi e dure esperienze, e tutto ci riesce a compensarlo in parte. Il maggiore H. ha l'ordine di pagare anzitutto gli uomini del I corpo, premi e paghe arretrate, e quindi il resto. Si sente il suono caratteristico e ininterrotto delle banconote nuove che schioccano e frusciano nelle agili dita del maggiore e del mio amico, l'impiegato E. CHIACCHIERE, MUTAMENTI, ECC.
A proposito dell'eccitazione di domenica scorsa, e dell'ordine di tenersi pronti a partire, ho sentito dire in seguito che i suddetti ordini erano venuti da qualche prudente comandante in seconda, e che le autorit non solo non ne sapevano nulla, ma neanche pensavano a movimenti del genere: il che probabile. Le voci che correvano qui, e il diffuso timore, accennavano a una grande manovra di accerchiamento da parte di Lee e a un attacco sul nostro fianco destro. Ma io tenevo lo sguardo sul fango, che era allora della massima profondit e gonfiezza, e mi ritirai compostamente a riposare. Pure devono esservi mutamenti in vista per Culpepper. Le autorit si sono date la caccia qui come nuvole in un cielo burrascoso. Prima di Bull Run (la prima) questo era il centro di riunione e di addestramento delle truppe secessioniste. Momentaneamente io alloggio presso una signora che stata testimone di tutte le memorabili evoluzioni della guerra su questa strada calcata da eserciti opposti. vedova, con figli in tenera et, vive con la sorella in una casa grande e piacevole. A pensione da loro vi un buon numero di ufficiali dell'esercito. VIRGINIA
Rovinata, indifesa e calpestata dalla guerra com' oggi la Virginia, ogniqualvolta ne calco il suolo io mi scopro pieno di sorpresa e di ammirazione. Che grande capacit di produzione e di progresso, di sostenimento, di vita e di espansione! Ovunque io sia andato, nell'Old Dominion (la sottile ironia di questo nome oggi ! ) sono stato preso da queste riflessioni. Il suolo ancora superiore di molto a quello di qualsiasi stato del Nord. E che respiro nel paesaggio, ovunque montagne che si perdono in lontananza, ovunque utili corsi d'acqua. Tuttora prodiga di boschi e foreste, questa terra certamente ottima per tutti i tipi di frutta, colture e fiori. Il cielo e l'atmosfera, ne son certo, mi appaiono pi dolci dopo un anno e pi di residenza in questo Stato, con continui spostamenti e ritorni. Molto salubri. direi, da un punto di vista generale. E poi con una qualit particolare di ricchezza e elasticit, di giorno come di notte. Il sole si delizia della sua potenza, barbaglia e brucia, e tuttavia non mi provoca mai spiacevoli infiacchimenti: non un calore tropicale, non toglie il respiro, anzi d vigore. il nord che lo tempera. Le notti sono spesso incomparabili. Ieri sera (8 febbraio) ho visto entrare la luna nuova - con dietro stagliato nitidamente il profilo della vecchia fase; il cielo e l'aria cos limpidi, con una tal trasparenza di sfumature, che io pensai di non aver mai veduto prima la luna nuova. Era la falce pi sottile che si sia mai vista. Stava delicata mente sospesa proprio sopra l'ombra scontrosa delle Montagne Azzurre. Potesse rivelarsi un buon presagio, una breve profezia per questa terra infelice! ESTATE 1864
Eccomi di nuovo a Washington, preso dai miei soliti giri diurni e notturni. Vi sono naturalmente molti casi peculiari. In ogni padiglione si trovano sparsi qua e l poveri ragazzi costretti a lunghe sofferenze da ferite testarde, o indeboliti e scuorati da febbre tifoidea o simili; casi speciali' che abbisognano di nutrimento particolare e appropriato. da questi che vado a sedermi, e scambio qualche parola, o cerco di rincuorarli in silenzio. A loro piace immensamente (e anche a me). Ogni caso poi ha le sue peculiarit, cui occorre di volta in volta adattarsi. Anch'io ho appreso queste leggi di adattamento - ho assimilato molta della saggezza d'ospedale. Alcuni di questi poveri ragazzi, lontani da casa per la prima volta in vita loro, sono affamati, assetati di affetto; spesso questa l'unica cosa che riesce a toccarli, nel loro stato. I ricoverati amano in genere avere una matita e qualcosa su cui scrivere. Ho dato loro delle agendine da pochi soldi e degli almanacchi del 1864 con dei fogli bianchi. Per la lettura ho sempre qualche vecchia rivista illustrata o periodici con racconti - sono sempre graditi; anche i quotidiani, del mattino o della sera. I libri migliori non li regalo; li distribuisco invece in prestito nei padiglioni per poi riprenderli, darli ad altri, e cos via; sono molto puntuali nel restituirli. In questi ospedali, o sul campo, continuando ad andare in giro, ho imparato a adattarmi a ogni necessit, secondo il tipo e l'urgenza, umili o dignitose che siano - ognuna giustificata e resa reale dalle sue circostanze - non solo visite e parole incoraggianti e piccoli doni - non solo lavare e bendare ferite (vi sono dei casi in cui il paziente non vuole altri che me per quest'ufficio) - ma letture di passi della Bibbia, con commento, preghiera al capezzale, spiegazione della dottrina, ecc. (a questa confessione mi par di vedere i miei amici sorridere, ma io non sono mai stato cos serio in vita mia). Sul campo o dovunque fossi, avevo l'abitudine di leggere e recitare per loro. Era una cosa che amavano moltissimo, specie i brani di declamazione poetica. Ci riunivamo in un largo gruppo, dopo cena, per conto nostro, e passavamo il tempo in queste letture, o conversando, e di tanto in tanto con un giuoco divertente chiamato il giuoco delle venti domande. UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE MILITARE PER L'AMERICA
Dagli eventi della guerra, a Nord e Sud, e da tutte le altre considerazioni, mi risulta chiaro che la teoria, la pratica, l'organizzazione e le norme militari correnti (ereditate dagli istituiti feudali europei con l'aggiunta, ovviamente, delle "migliorie moderne" mutuate in larga parte dai francesi), per quanto in generale accettate e seguite tacitamente dagli ufficiali, non sono affatto consone n agli Stati Uniti, n al nostro popolo, n al nostro tempo. Che cosa ne verr fuori, non so - ma so che alla fine dovr necessariamente attuarsi una totale sconfessione dell'attuale sistema, militare e navale, seguita da una ricostruzione su basi e centri radicalmente diversi e a noi appropriati, allo stesso modo che il nostro sistema politico si sviluppato, diverso dall'Europa feudale, crescendo poi su se stesso, da premesse originali, perenni, democratiche. indubbio che qui negli Stati Uniti abbiamo la pi grande forza militare del mondo, di qualsiasi nazione, forse di tutte le nazioni - truppe instancabili, intelligenti, coraggiose e fidate. Il problema organizzare questa forza in maniera in tutto consona ad essa e ai principi della repubblica, e trarne il rendimento migliore. Nella guerra in corso, come gi stato detto e ridetto, forse i tre quarti delle perdite, uomini, vite, ecc., sono state mero eccesso, capriccio, spreco. MORTE DI UN EROE
Mi chiedo se riuscir mai a comunicare ad altri - a te per esempio, lettore caro - la tenera e terribile realt di certi casi (e quanti ce ne son stati) simili a quello che voglio menzionare. Stewart C. Glover, compagnia E, 5 Wisconsin - ferito il 5 maggio, in una di quelle feroci mischie del Deserto morto il 21 maggio - circa 20 anni. Era piccolo e imberbe - uno splendido soldato - in effetti quasi l'americano ideale della sua et. Prestava servizio da quasi tre anni e pochi giorni dopo avrebbe avuto diritto al congedo. Si trovava nel corpo di Hancock. Il combattimento per quel giorno era quasi cessato, e il generale che comandava la brigata fece un giro a cavallo chiedendo volontari per andare a raccogliere i feriti. Glover fu tra i primi a rispondere - usc allegramente - ma nell'atto di riportare alle nostre linee un sergente ferito, fu colpito al ginocchio da un tiratore scelto dei ribelli; conseguenza: amputazione e morte. Prima viveva con il padre, John Glover, un uomo anziano e infermo, a Batavia, contea di Genesee, N. Y., ma si trovava a scuola nel Wisconsin poco dopo lo scoppio della guerra, e l si arruol - si adatt subito alla vita militare, gli piacque anzi, era molto coraggioso, e amatissimo da ufficiali e compagni. Come tanti altri soldati, teneva un piccolo diario. Il giorno della sua morte vi scrisse le seguenti parole, oggi il dottore dice che debbo morire - tutto finito per me - ah, morire cos giovane. Su un altro foglio bianco appunt queste parole per suo fratello, caro fratello Thomas, sono stato coraggioso ma peccatore - prega per me. SCENE DI OSPEDALE. - INCIDENTI
domenica pomeriggio, mezza estate, caldo opprimente, e un gran silenzio nel padiglione. Dedico le mie cure a un caso critico, che in questo momento immerso in un semi-letargo. Vicino a dove io son seduto giace, sofferente, un soldato ribelle; dell' 8 Louisiana, si chiama Irving. Si trova qui da parecchio tempo, con una brutta ferita, gli hanno amputato da poco una gamba. Dalla parte opposta proprio di fronte a me giace un soldato-bambino, l'hanno messo gi con tutti i vestiti, dorme, appare consumato dal male, il volto pallido reclinato sul braccio. Dalla bordura gialla della giacca vedo che un cavalleggere. Mi avvicino silenziosamente e scopro dalla sua cartella che si chiama William Cone, del I cavalleria Maine, i suoi vivono a Skowhegan. Gelato per tutti. Verso la met di giugno, in una giornata di gran caldo, ho offerto il gelato a tutti i ricoverati dell'Ospedale Carver, procacciandone in gran quantit e passando quindi da un padiglione all'altro con la scorta del dottore o dell'infermiere-capo per provvedere personalmente alla distribuzione. Un incidente. In uno degli scontri di fronte a Atlanta, un soldato sudista, di corporatura possente, evidentemente giovane, venne ferito mortalmente alla testa, tanto che la materia cerebrale in parte fuoriusc. Visse ancora tre giorni, steso supino nel punto dove era caduto. Durante quei tre giorni egli scav nel terreno, con il calcagno, una buca capace di contenere due zaini di grandezza media. Giacendo l all'aria aperta, continu giorno e notte, quasi senza interruzione, a muovere il calcagno a quel modo. I nostri soldati lo trasportarono poi in una casa vicina, ma in pochi minuti mor. Un altro. Dopo i combattimenti di Columbia nel Tennessee, dove riuscimmo a respingere una ventina di impetuose cariche dei ribelli, i sudisti lasciarono sul campo un gran numero di feriti, per lo pi a tiro dei nostri. Ogni volta che un ferito tentava in qualche modo di allontanarsi, generalmente
strisciando, i nostri uomini lo abbattevano con un colpo, senza eccezioni. Non ne lasciarono sfuggire neppur uno, quali che fossero le sue condizioni. UN SOLDATO YANKEE
Svoltando dalla Avenue nella Tredicesima strada, una fresca sera d'ottobre, c'era all'angolo un soldato con zaino e cappotto che chiedeva la strada. Scoprii che doveva percorrere un tratto nella mia stessa direzione, e proseguimmo insieme. Attaccammo subito a conversare. Era piccolo di persona e non molto giovane, un tipetto robusto a quanto potei giudicare alla luce della sera, sbirciandolo quando passavamo vicino a un lampione. Le sue risposte erano brevi ma chiare. Si chiamava Charles Carroll; apparteneva a uno dei reggimenti del Massachusetts ed era nato a Lynn o nei pressi. I genitori erano ancora vivi, ma in et molto avanzata. Erano quattro figli, e si erano arruolati tutti. Due erano morti di fame e di disperazione nella prigione di Andersonville, uno era stato ucciso nell'Ovest. Lui se ne stava andando a casa, e dal modo in cui parlava dedussi che era prossimo al congedo definitivo. Faceva gran progetti di starsene con i suoi vecchi, per dare un po' di conforto ai giorni che restavano loro da vivere. PRIGIONIERI UNIONISTI NEL SUD
Michael Stransbury, 48 anni, marinaio, meridionale di nascita e educazione, gi capitano del pontone-faro statunitense Long Shoel di stanza a Punta Long Shoal, stretto di Pamlico - bench meridionale, unionista convinto - fu catturato il 17 febbraio 1863, e ha trascorso quasi due anni nelle prigioni dei Confederati. A un certo momento il governatore Vance ordin che fosse rilasciato, ma un ufficiale dei ribelli lo riarrest; inviato quindi a Richmond per uno scambio di prigionieri, invece di essere restituito fu mandato pi a sud, a Salisbury, Carolina del Nord (come cittadino sudista, non soldato) dove rimase fino a poco tempo fa, quando riusc a fuggire mischiandosi con il nome di un soldato morto a un gruppo di prigionieri scambiati, e arrivando fin qui insieme agli altri via Wilmington. A Salisbury era rimasto per circa sedici mesi. Dopo l'ottobre del '64 in quei recinti si trovavano circa 11.000 prigionieri unionisti, tra cui un centinaio di unionisti del Sud e circa duecento disertori dell'Unione. Durante lo scorso inverno 1500 di questi prigionieri, per aver salva la vita, passarono alla Confederazione, a patto di essere assegnati soltanto a servizi di guardia. Di quegli 11.000 non ne usciron vivi pi di 2500; di questi, 500 erano rottami umani, in condizioni pietose, sviliti - il resto era in grado di viaggiare. Al mattino v'erano spesso 60 cadaveri da seppellire; la media giornaliera si aggirava sui quaranta. Il cibo quotidiano era costituito da una pappa di granturco, fatta di torso e pula macinata insieme, e occasionalmente, non pi di una volta alla settimana, una razione di melassa di sorgo. Poteva anche succedere, una volta al mese, non pi spesso, di ricevere una microscopica razione di carne. All'interno dello steccato che racchiudeva gli 11.000 uomini, c'era uno scarso gruppo di tende sufficienti s e no per duemila persone. Una gran quantit di prigionieri viveva in buche scavate nel terreno, nel pi totale abbandono. Alcuni morirono di freddo, altri ebbero mani e piedi congelati. Ogni tanto, al minimo pretesto, le sentinelle sudiste sparavano all'interno della prigione, per puro gusto demoniaco. Tutti gli orrori immaginabili, inedia, prostrazione, sporcizia, insetti, disperazione, rapida perdita di ogni rispetto per se stessi, idiozia, demenza e frequenti assassini, erano l dentro. Stansbury ha moglie e un figlio, che vivono a Newbern - ha scritto loro da qui conserva il suo impiego al faro della marina statunitense (era andato a Newbern a trovare la famiglia, e fu proprio mentre ritornava alla nave che venne catturato, nel suo stesso battello). Ha visto portare a
Salisbury uomini vigorosi quant'altri mai - spacciati in poche settimane, spesso a forza di rimuginare sulla loro condizione - sparita in loro ogni speranza. Egli stesso ha una sorta di espressione dura e triste, stranamente inebetita, come di uno lasciato per anni a gelare nel buio e nel freddo, in un luogo dove la sua natura virile e buona non avesse modo alcuno di esercitarsi. DISERTORI
24 ottobre. Veduto oggi sfilare per Pennsylvania Avenue uno squadrone di disertori del nostro esercito (pi di trecento), serrati da un cordone di guardie armate - la pi disparata collezione ch'io abbia mai visto, con divise, cappelli e berretti d'ogni genere e specie, molti bei ragazzi, alcuni vergognosi in viso, altri malaticci, sporchi i pi, con camicie molto sudicie e lise, ecc. Si trascinavano senz'ordine, senza file, una gran massa confusa. C'era tra gli spettatori chi rideva, ma io di tutto avevo voglia fuorch di ridere. Codesti disertori sono assai pi numerosi che non si creda. Ogni giorno ne vedo qualche drappello, talvolta solo di due o tre con una scorta ridotta, talora di dieci o dodici con una scorta maggiore (dicono che ora le diserzioni sul campo abbiano spesso raggiunto la media di 10.000 al mese. Una squadra di disertori uno degli spettacoli pi comuni a Washington). UNA PALLIDA IMMAGINE DEGLI ORRORI DELLA GUERRA
Durante uno degli ultimi movimenti delle nostre truppe nella vallata (presso Upperville, credo) un forte contingente di guerriglieri a cavallo di Moseby attacc un convoglio di feriti e la guardia di cavalleria che li scortava. Le ambulanze trasportavano circa sessanta feriti, tra cui un buon numero di alti ufficiali. I ribelli erano superiori di numero, e la cattura del convoglio con la sua scorta ridotta venne agevolmente effettuata dopo una breve scaramuccia. Come i nostri si furono arresi, immediatamente i ribelli cominciarono a saccheggiare il treno e a trucidare i prigionieri, compresi i feriti. Ed ecco la scena, o meglio un'idea della scena, dieci minuti dopo. Tra gli ufficiali feriti nelle ambulanze si trovavano un tenente delle truppe regolari e un ufficiale superiore. Questi due erano stati tirati fuori, trascinati per terra sulla schiena, e si trovavano ora al centro di una folla indemoniata di guerriglieri che si accanivano su di loro pugnalandoli in varie parti del corpo. Uno degli ufficiali aveva i piedi inchiodati al suolo con due baionette che lo passavano da parte a parte ed erano saldamente confitte nel terreno. Questi due ufficiali, come si scopr in seguito esaminandoli, avevano ricevuto ognuno circa venti di questi colpi, alcuni in bocca, in viso, ecc. I feriti (anche per agevolare il saccheggio) erano stati tutti trascinati fuori dai vagoni; alcuni erano stati spacciati l per l, e i loro corpi giacevano l accanto, immoti e lordi di sangue. Altri, non ancora morti ma orribilmente mutilati, gemevano o si lamentavano. Di quelli che si erano arresi,; pi vennero in tal modo mutilati o massacrati. A questo punto uno squadrone della nostra cavalleria che aveva seguito il convoglio a una certa distanza, piomb inaspettatamente sui ribelli assalitori, il quali cercarono subito scampo come meglio potevano. La maggior parte riusc a svignarsela, ma mettemmo le mani su due ufficiali e diciassette soldati sorpresi negli atti appena descritti. Lo spettacolo era di quelli che non ammettono discussioni, come si pu facilmente immaginare. Per quella notte i diciassette uomini e i due ufficiali catturati vennero posti sotto sorveglianza, ma fu deciso seduta stante che dovevano morire. La mattina dopo i due ufficiali furono portati in citt, in luoghi separati, messi al centro della strada e fucilati. I diciassette uomini furono condotti in uno spazio libero, un po' fuori mano, e sistemati in un quadrato chiuso per
met da due dei nostri reggimenti di cavalleria: uno di questi reggimenti aveva trovato tre giorni prima i corpi insanguinati di tre dei suoi uomini, coi tendini tagliati, appesi pei calcagni ai rami degli alberi dai guerriglieri di Moseby, e l'altro non molto tempo innanzi aveva trovato dodici dei suoi uccisi (dopo essersi arresi) e impiccati per il collo agli alberi, con delle iscrizioni di scherno appuntate al petto di uno dei cadaveri, quello di un sergente. Quei tre e questi dodici, dico, erano stati trovati dai reggimenti che circondavano lo spiazzo: coi loro revolver questi ora formavano la trista cintura dei diciassette prigionieri. Questi ultimi vennero piazzati al centro e slegati, e fu comunicato loro ironicamente che ora gli sarebbe stata offerta "una possibilit di salvarsi". Qualcuno si mise a correre. Ma a che pro? Da ogni lato piovvero le pillole mortali. Pochi minuti dopo sullo spiazzo erano disseminati diciassette cadaveri. Io ero curioso di sapere se qualcuno dei soldati dell'Unione, pochi magari (almeno uno, o due, dei pi giovani), si fosse astenuto dallo sparare su degli esseri inermi. Nessuno. Non ci fu esultanza, si parl poco, anzi quasi niente, eppure ogni singolo uomo contribu con la sua pallottola. Moltiplicate tutto ci per venti, per cento anzi- verificatelo in tutte le possibili forme proposte da circostanze, luoghi, individui diversi - accendetelo delle passioni pi fosche, l'ingorda sete di sangue del lupo e del leone - gl'infocati, ribollenti vulcani dell'umana vendetta per compagni e fratelli uccisi il bagliore delle fattorie in fiamme, i cumuli di nere braci fuligginose ancora ardenti - e ovunque nel cuore umano braci ancora pi nere e pi triste - e avrete una pallida immagine di questa guerra. DONI - DENARO - DISCRIMINAZIONE
Trovandosi la maggior parte dei feriti che giungevano dal fronte senza un centesimo in tasca, compresi subito che la cosa migliore da farsi per sollevarne il morale e mostrar loro che c'era chi si preoccupava, chi si interessava praticamente a loro con sentimenti di padre e di fratello, era donare a chi si trovava in queste condizioni delle piccole somme di denaro, ma con discrezione e tatto. A questo scopo io vengo regolarmente rifornito di fondi da persone di buon cuore, uomini e donne di Boston, Salem, Providence, Brooklyn e New York. Mi provvedo allora di una quantit di monete nuove fiammanti da dieci e da cinque centesimi, e ogni volta che lo reputo necessario regalo venticinque o trenta centesimi, e anche cinquanta, e di tanto in tanto, in casi particolari, somme anche maggiori. Avendo ormai toccato l'argomento, colgo l'occasione per ventilare la questione finanziaria. Le fonti delle mie riserve di denaro, tutte assolutamente spontanee, moltissime per vie affatto confidenziali, spesso tali da sembrar opera della Provvidenza, erano numerose e varie. C'erano ad esempio due ricche signore, due sorelle, che vivevano lontano, e continuarono a inviare regolarmente per due anni somme piuttosto grosse, con la preghiera di tener segreto il loro nome. Questa forma di delicatezza era in realt un fatto frequente. Parecchi mi diedero carte blanche. Molti erano persone assolutamente sconosciute. Grazie a queste fonti, per un periodo di due o tre anni, e nella maniera sopra descritta, potei distribuire negli ospedali, come elemosiniere per conto di terzi, diverse migliaia di dollari. Una cosa in particolare appresi da tutto ci - che sotto l'apparente avidit e cinismo dei nostri tempi, non c' limite alla benefica generosit degli uomini e donne, americani, una volta che lo scopo di essa sia chiaro. Un'altra cosa mi si fece evidente - che mentre "gli spiccioli" sono s utili nelle retrovie, una simpatia magnetica, tatto e amorevolezza, sono sovrani, e lo saranno sempre. DAI MIEI QUADERNI DI APPUNTI
Alcune delle mie note (semi cancellate e pressocch illeggibili a distanza di tempo) delle cose desiderate da questo o da quel paziente, potranno essere dei buoni indici. D.S.G., letto 52, vuole un buon libro; ha la voce rauca e il mal di gola, gli piacerebbe qualche caramella di mentastro; del New Jersey, 28 reggimento.- C.H.L., 145 Pennsylvania, letto 6, soffre di itterizia e risipola, anche ferito; stomaco facilmente soggetto a nausee; gli porto delle arance e un po' di gelatina dolce di frutta; un giovane allegro, pieno di vitalit (si poi ripreso in pochi giorni e adesso a casa in licenza). - J.H.G., letto 24; ha bisogno di una canottiera, pantaloni e calze; sono diversi giorni che non pu cambiarsi; un tipico ragazzo del New England ordinato e pulito (gli ho portato quanto desiderava; e anche un pettine, spazzolino da denti, sapone e asciugamani; potei notare in seguito che era il pi pulito e curato del padiglione). - La signora G., infermiera, padiglione F, desidera una bottiglia di brandy - due dei suoi pazienti hanno urgente bisogno di qualche stimolante, sono sfiniti dalle ferite e dal deperimento (le ho portato una bottiglia di brandy di prima qualit, avuta dall'ufficio del Comitato Cristiano). UN FERITO DELLA SECONDA BULL RUN
Dunque il povero John Mahay morto. Morto ieri. Il suo stato un caso doloroso e lungo (v. p. 52). In questi quindici mesi sono stato a trovarlo varie volte. Apparteneva alla compagnia A, 101 New York; era stato colpito al basso ventre nella seconda Bull Run, nell'agosto del '62. La descrizione di una sola scena al suo capezzale sar sufficiente a darvi un'idea di questa agonia durata quasi due anni. La vescica gli era stata perforata da un proiettile che lo aveva passato da parte a parte. Non molto tempo fa sono rimasto una buona parte della mattinata accanto al suo letto, nel padiglione E di Piazza dell'Armeria. Dagli occhi gli sgorgavano le lacrime per l'intenso dolore, i muscoli del viso erano contratti, ma dalla bocca non gli usciva una parola tranne, a tratti, un roco lamento. Gli furono applicati sulla ferita panni umidi e caldi, che gli diedero qualche sollievo. Povero Mahay, solo un ragazzo per gli anni ma gi vecchio per la sventura. Non aveva mai conosciuto l'amore dei genitori; da bambino era stato collocato in un istituto di carit a New York, e mandato quindi a servizio presso un tirannico padrone, nella contea di Sullivan (sulla schiena ancora le cicatrici della sua frusta e del suo bastone). La ferita era delle pi spiacevoli, essendo egli un ragazzo gentile, curato, affettuoso. Durante la vita di ospedale si era fatto degli amici ed era invero prediletto da tutti. Ha avuto un bel servizio funebre. MEDICI MILITARI. - PENURIA DI AIUTI
Vorrei qui testimoniare il mio entusiasmo per lo zelo, il coraggio, lo spirito e la capacit professionale predominanti tra gli ufficiali medici, molti dei quali assai giovani. Non mi dilungher sulle eccezioni, dacch sono poche (tuttavia mi sono imbattuto in alcune di queste, e che gente di estrema incompetenza e gran boria erano! ). Tra i medici degli ospedali ho continuato a trovare gli uomini migliori, i lavoratori pi instancabili e disinteressati. Sono per giunta pieni di genialit. Ne ho conosciuti a centinaia e so quel che mi dico. Esistono tuttavia serie deficienze, sprechi, tristi lacune nel sistema delle provvigioni, dei contributi, e in generale in tutto il corpo infermieri, sia volontari che governativi, come anche nel reparto cibi, medicinali, provviste, ecc. (non parlo qui dell'assistenza medica, perch i medici non possono fare pi di quanto la resistenza umana consenta). Questa la verit dei fatti, checch raccontino i giornali di New York nei loro ampollosi resoconti. Nessuna preparazione accurata, niente organizzazione, previsione o genialit. Scorte sempre in gran copia, indubbiamente, ma mai dove ce n' veramente bisogno e mai che se ne faccia l'uso
appropriato. Nessuna esperienza pi angosciosa di quella dei giorni che seguono una grossa battaglia. Decine, centinaia di uomini, i migliori del mondo, giacciono abbandonati, senza un lamento, mutilati, debolissimi, soli, e finiscono per morire dissanguati, o di sfinimento - non li hanno magari nemmeno toccati, o giusto stesi da una parte e lasciati l - quando ci dovrebbero assolutamente essere dei mezzi, un sistema organizzato per salvarli. "GIUBBE AZZURRE" DAPPERTUTTO
La citt, i sobborghi, il Campidoglio, lo spazio davanti la Casa Bianca, i luoghi di divertimento, l'Avenue e tutte le strade principali quest'inverno brulicano di soldati, come non s'era mai visto. Alcuni sono usciti di ospedale, altri vengono dai campi nelle vicinanze. Quale che sia la provenienza, si riversano qui in gran copia e costituiscono direi l'elemento caratteristico del movimento e del costume della nostra capitale. Quei pantaloni e quei pastrani azzurri sono un po' dappertutto. Per le scale dell'ufficio dell'ufficiale pagatore si sente il ticchettio delle grucce, alcuni si assembrano alle porte, formando dei gruppi caratteristici, e l aspettano, spesso a lungo nella stanchezza e nel freddo. Nel tardo pomeriggio si vedono i congedati avviarsi alla stazione di Baltimora, soli o in piccole squadre. Tutto il giorno tranne la mattina presto, ma soprattutto nelle prime ore della sera, ci sono in giro pattuglie di polizia che esaminano i permessi e arrestano tutti quei soldati che vengono trovati senza. Non lo richiedono agli invalidi, a quelli che hanno perso una gamba, ai mutilati gravi - ma tutti gli altri vengono fermati. A sera si aggirano anche per gli auditori dei teatri chiedendo a tutti, anche agli ufficiali, di esibire il permesso che giustifichi la loro presenza in quel luogo. UN OSPEDALE MODELLO
Domenica 29 gennaio 1865. Sono andato questo pomeriggio in Piazza dell'Armeria. I padiglioni si presentano molto bene, pavimenti nuovi e pareti imbiancate a calce, un modello di ordine e pulizia. Credo proprio che, dopo tutto, questo sia un ospedale modello, per molti e importanti rispetti. Mi sono imbattuto qui in diversi casi tristi, ferite che si trascinavano a lungo. Un soldato del Delaware, William H. Millis di Bridgeville, con cui avevo passato delle ore nel maggio scorso, dopo le battaglie del Deserto in cui aveva riportato una brutta ferita al petto e un'altra al braccio sinistro (il suo stato, per sopraggiunta polmonite, si era mantenuto assai grave per tutto giugno e luglio dello scorso anno) sta ora molto meglio, tanto da poter fare qualche lavoruccio. Per tre settimane, in quel periodo che ho appena ricordato, era rimasto sospeso tra la vita e la morte. RAGAZZI NELL'ESERCITO
Tornando a casa verso il tramonto ho visto nella Quattordicesima strada un soldato giovanissimo, vestito con abiti leggieri, proprio vicino all'edificio dove stavo per entrare. Mi fermai un momento di fronte alla porta e lo chiamai. Sapevo che un vecchio reggimento del Tennessee e uno dell'Indiana erano provvisoriamente accampati in certe caserme di nuova costruzione nei pressi della Quattordicesima. Questo ragazzo, come scoprii, apparteneva al reggimento del Tennessee. Ma non capivo come facesse a portare un moschetto. Non aveva che quindici anni, e con tutto ci era in
servizio da dodici mesi e aveva avuto la sua brava parte in diverse battaglie, alcune di importanza storica. Gli chiesi se non soffriva il freddo, se non aveva un pastrano. No, non soffriva il freddo e non aveva un pastrano, ma poteva procurarsene uno quando voleva. Suo padre era morto, sua madre viveva in qualche parte nell'est del Tennessee: nel suo reggimento venivano tutti da quella regione. Il mattino dopo vidi i reggimenti dell'Indiana e del Tennessee percorrere l'Avenue a passo di marcia. Il mio ragazzo, nel secondo, allungava il passo con gli altri. Ce n'erano molti non pi anziani di lui. Rimasi a guardarli mentre sfilavano a passi lenti, forti, pesanti, regolari. Sembrava non ci fosse un sol uomo sopra i trent'anni, in gran parte andavano dai 15 ai 22, forse 23 anni. E tutti avevano l'aria di veterani, logori, sporchi, impassibili e una certa andatura rilassata e indolente; molti, in aggiunta alle armi e allo zaino regolamentare, portavano una padella, una scopa, ecc. Avevano tutti una fisionomia gradevole, niente raffinatezze, n pallori da intellettuali: cos come mi balzarono agli occhi mentre avanzavano una fila dopo l'altra, non mi sembr esservi tra loro un solo viso repellente, o brutale, o risolutamente stupido. FUNERALE DI UN'INFERMIERA
appena accaduto in uno degli ospedali. Una donna, certa signora o signorina Billings, che per lungo tempo era stata una compagna attiva dei soldati e infermiera presso l'esercito, affezionandovisi in un modo concepibile solo da chi ne abbia avuto esperienza, uomo o donna, cadde malata all'inizio di questo inverno, rimase in condizioni stazionarie per un certo tempo, e alla fine mor in ospedale. Era stato suo desiderio essere seppellita tra i soldati e secondo il costume militare. Questo desiderio venne soddisfatto punto per punto. La bara fu trasportata da un gruppo di soldati fino alla tomba con la scorta d'uso, e calata nella fossa: sopra di essa i fucili spararono a salve. accaduto a Annapolis, pochi giorni fa. INFERMIERE TRA I SOLDATI
Si trovano molte donne con varie occupazioni negli ospedali, soprattutto come infermiere qui a Washington, e nelle postazioni militari; in buona parte giovani che prestano servizio volontario. Sono d'aiuto in certi casi, e meritano di essere menzionate con rispetto; resta comunque da notare che ben poche o punte di queste giovani donne, sotto l'irresistibile peso delle convenzioni sociali, rispondono in pratica ai requisiti indispensabili a una buona infermiera per soldati. Donne di mezza et o anche pi anziane, sane e di buon carattere, madri di famiglia, sono sempre preferibili. Si presentano di necessit centinaia di cose cui non ci si pu rifiutare e che devono essere fatte. La presenza di una buona signora attempata o di mezza et, il magnetico tocco e i lineamenti espressivi della madre, il tacito potere rasserenante della sua presenza e delle sue parole, i privilegi di una conoscenza conseguita solo attraverso i figli, sono qualifiche preziose e determinanti. una facolt naturale quella che si richiede qui; non si tratta soltanto di avere una ragazza beneducata seduta dietro un tavolo nel padiglione. Una delle migliori infermiere che io abbia mai incontrato era un'analfabeta, una vecchia irlandese dal viso rossiccio: l'ho vista prendere tra le braccia con una tale tenerezza quei poveri ragazzi martoriati e nudi. V' inoltre una quantit di ottime donne di colore, anziane e linde, che sarebbero certamente infermiere di prim'ordine. SUDISTI FUGGIASCHI
23 febbraio '65. Ho visto una lunga processione di giovani dell'esercito ribelle (disertori, li chiamano, ma il termine non si pu riferire a costoro nel senso usuale) sfilare oggi per la Avenue. Ce n'erano circa duecento, arrivati ieri in battello dal fiume James. Mi sono fermato a guardarli mentre si trascinavano in una sorta di logora marcia, lenta e stanca; moltissimi ragazzi dai capelli chiari o biondi, gli occhi grigio-chiaro. Le divise avevano l'uniformit della sporcizia; dovevano essere state in massima parte grigie; certuni indossavano pezzi della nostra uniforme, chi i pantaloni, chi la giacca o il pastrano; credo che fossero per lo pi della Georgia o della Carolina del Nord. Destavano poca o punta curiosit. Io mi trovavo piuttosto vicino a loro, e parecchi giovani, piuttosto belli (ma quale storia di disperazione narrava la loro persona!) mi facevano passando un cenno col capo o mi rivolgevano una parola, leggendo di certo nel mio viso piet e affetto paterno, ch il mio cuore ne era gonfio. Molti nella fila si trascinavano tenendosi abbracciati al compagno, fratelli forse, quasi temendo che qualcosa potesse separarli. Sembravano quasi tutti quel che si direbbe gente semplice, ma anche intelligente. Taluni avevano sulle spalle pezzi di vecchi tappeti, altri coperte, altri ancora vecchie bisacce. Sebbene si notassero qua e l dei bei volti, era sempre una processione miserabile. I duecento erano accompagnati da una mezza dozzina di guardie armate. In questa settimana ho veduto ogni giorno di codeste processioni, poco pi o poco meno numerose, che il battello sbarcava regolarmente. Il governo fa per loro quanto possibile, e li smista verso Nord e a Ovest. 27 febbraio. Altri tre o quattrocento fuggiaschi dell'esercito confederato sono arrivati col battello. Data la giornata davvero bella (dopo un lungo periodo di maltempo), ho gironzolato un bel po', senz'altro scopo che quello di stare all'aria aperta e godermela; e ho incontrato questi fuggiaschi in tutte le direzioni. Il loro abbigliamento quello gi descritto, cencioso, logoro e eterogeneo. Ho parlato con parecchi di loro. Alcuni sembrano intelligenti, e hanno anche un certo stile, a dispetto dei loro abiti miserevoli - un certo sussiego nel camminare, col vecchio copricapo buttato da una parte, alla sbarazzina. Trovo confermate in loro, come gi durante questi quattro anni, le vecchie e inconfutabili prove della tirannia priva di scrupoli esercitata dal governo secessionista nell'arruolare, a forza e ovunque, la gente comune, senza mai chiedersi se il loro periodo fosse scaduto - e continuando a tenerli egualmente in servizio. Un gigantesco ragazzo della Georgia, alto non meno di sei piedi e tre pollici, di struttura massiccia, coperto dagli stracci pi luridi, bisunti e incolori, tenuti su con pezzi di spago, i calzoni tutti filacce e brandelli all'altezza del ginocchio, se ne stava fermo da una parte con aria compiaciuta mangiando pane e carne. Sembrava abbastanza soddisfatto. Qualche minuto dopo lo vidi marciare lentamente con gli altri. Era chiaro che nulla gli stava pi a cuore. 28 febbraio. Passando di fronte al quartier generale delle truppe della citt, non lontano dalla casa del Presidente, mi sono fermato a parlare con qualcuno dei fuggiaschi che si ammassavano oziosamente l intorno. Nell'aspetto non differivano da quelli che ho gi descritto. Con due di questi, uno sui diciassette, l'altro sui venticinque, forse ventisei anni, ho chiacchierato per un poco. Erano ambedue nati e cresciuti nella Carolina del Nord, dove avevano anche le famiglie. Il pi grande aveva militato con i secessionisti per quattro anni. Lo avevano arruolato dapprima per due anni; poi era stato mantenuto arbitrariamente in servizio. Questo il caso di una gran parte dell'esercito sudista. Nei modi di questi giovani non c'era alcun segno di svilimento; il pi giovane aveva prestato servizio per circa un anno; era stato arruolato obbligatoriamente; erano sei fratelli nell'esercito (tutti i maschi della famiglia), quale coscritto, quale volontario; tre erano stati uccisi; un quarto si era imboscato circa quattro mesi prima; ora era toccato a lui: era un ragazzo simpatico, parlava bene, con quell'accento particolare della Carolina del Nord (per nulla spiacevole ai miei orecchi). Erano della medesima compagnia, lui e l'altro,
erano fuggiti insieme - e desideravano rimanere insieme. Pensavano di trovare un mezzo di trasporto fino al Missouri, e di lavorare l; non erano tuttavia sicuri che fosse la cosa pi giudiziosa da farsi. Io gli consigliai di andarsene piuttosto in qualcuno degli Stati pi propriamente a Nord e di trovarsi per il momento un lavoro in qualche fattoria. Il pi giovane aveva ricavato, sul battello, sei dollari da un po' di tabacco che aveva con s, e gliene restavano tre e mezzo. Il maggiore non ne aveva neanche uno; io gli diedi qualcosa. Poco dopo ho incontrato John Wormley, del 9 Alabama, un ragazzo cresciuto nel Tennessee occidentale - i genitori morti tutti e due - aveva l'aria di chi ha vissuto a lungo di razioni ridotte - parlava assai poco - masticava tabacco a una velocit spaventosa, sputando in proporzione grandi e limpidi occhi bruni, molto belli - non sapeva che farsene, di me - alla fine mi disse che desiderava molto avere della biancheria pulita e un paio di pantaloni decenti. Non gli interessavano pastrani o berretti. Voleva solo lavarsi bene e indossare la sua biancheria. Ebbi il grande piacere di aiutarlo ad attuare quei sani propositi. 1 marzo. Ancora sciami di fuggiaschi color nocciola o argilla, tutti i giorni. Oggi ne sono arrivati circa 160, gran parte sono della Carolina del Sud. In genere prestano giuramento di fedelt e vengono mandati a Nord, o a Ovest, o nell'estremo Sud-Ovest quando lo desiderano. Molti di loro mi hanno riferito che nell'esercito sudista i casi di uomini che se ne tornano a casa, permesso o non permesso, sono assai pi numerosi delle diserzioni vere e proprie al campo nemico. Oggi nel tardo pomeriggio ne ho visto un drappello di circa un centinaio, dall'aria molto abbattuta, diretti alla stazione di Baltimora. IL CAMPIDOGLIO ALLA LUCE DEI LAMPIONI
Stasera ho passeggiato un poco per il Campidoglio, che tutto illuminato. La rotonda sotto la luce molto bella. Mi piace fermarmi in disparte, alzare lo sguardo alla cupola e contemplarla a lungo: mi d una specie di conforto. Il Senato e la Camera sono rimasti in seduta fino a tardi. Ho sbirciato dentro, ma solo per pochi minuti: lavoravano intensamente intorno a certe leggi sulle tasse e l'appropriazione. Ho girovagato per i lunghi e fastosi corridoi e appartamenti situati sotto il Senato: vecchia abitudine degli inverni passati, ora pi gradita di sempre. Non molte persone l attorno - di quando in quando una figura in distanza, subito scomparsa. L'INAUGURAZIONE
4 marzo. Il Presidente si recato silenziosamente al Campidoglio con la sua carrozza personale, da solo, al trotto, verso mezzogiorno, volendo forse trovarsi l a disposizione per firmare leggi, o piuttosto per evitare di sfilare con l'assurda processione di oggi, il tempio di mussola della libert e il monitore di cartapesta. L'ho visto mentre ritornava alle tre, a cerimonia finita. Viaggiava nel suo semplice calesse a due cavalli, e appariva tirato, stanchissimo: i segni di enormi responsabilit, di questioni intricate e problemi di vita o di morte incisi pi profondamente che mai nel suo volto bruno e tuttavia, sotto i solchi, tutta l'antica bont, la tenerezza, la tristezza, la sapiente abilit che gli sono proprie (non posso vedere quest'uomo senza avvertire in lui uno di quegli esseri cui ci si attacca in modo personale, per quella sua combinazione di purissima e generosa tenerezza con il coraggio che proprio del West). Gli sedeva al fianco il figlioletto, di dieci anni. Non c'erano soldati, solo un gruppo di borghesi a cavallo intorno al calesse, con grandi fazzoletti gialli sulle spalle (alla inaugurazione di
quattro anni fa, egli era andato e tornato in mezzo a una fitta massa di cavalleggeri armati, otto per fila, con le sciabole sguainate; e lungo il percorso c'erano tiratori scelti stazionati a ogni angolo di strada). Ma voglio accennare all'udienza di chiusura di domenica sera. Non s'era mai vista una calca cos compatta di fronte alla Casa Bianca - tutto il parco gremito, fin fuori sugli ampi marciapiedi. C'ero anch'io, m'era venuta l'idea di andarci - mi trovai dentro, nella ressa, insieme alla folla - dilagai con questa per i corridoi, nella sala Azzurra e nelle altre, fino al salone dell'ala orientale. Masse di gente di campagna, taluni molto buffi. Echi di buona musica eseguita dalla banda della Marina, in qualche luogo appartato. Vidi il signor Lincoln, vestito interamente di nero, con guanti bianchi di capretto e abito a code, ricevere la gente come per dovere, e stringer mani con un'espressione sconsolata in viso come colui che darebbe qualsiasi cosa pur di trovarsi altrove. ATTEGGIAMENTI DEI GOVERNI STRANIERI DURANTE LA GUERRA
Sfogliando i miei sparsi appunti trovo quanto segue, scritto nel 1864. Ci che sta accadendo alla nostra America, all'estero come all'interno, in questi anni, veramente stranissimo. La repubblica democratica le ha fatto oggi un terribile e luminoso complimento, il desiderio univoco, cio, di tutte le nazioni del mondo di vedere infranta la sua unione, eliminato il suo futuro, ed essa stessa costretta a scendere al livello di qualsiasi altro grande regno o impero. Non v' certo oggi in Europa un solo governo che non stia guardando alla guerra in questo paese con l'ardente preghiera che gli Stati Uniti ne escano divisi, paralizzati e smembrati. Non ve n' uno solo che, se appena osasse, non contribuirebbe a questo smembramento. Tale, vi dico, oggi l'ardente desiderio dei governi di Inghilterra e di Francia e di tutte le nazioni, o meglio, i governi europei. Credo anzi che esso sia il reale, il sentito desiderio di tutte le nazioni del mondo, con la sola eccezione del Messico - il Messico, l'unico a cui abbiamo fatto veramente del male, e adesso l'unico che preghi per noi e il nostro trionfo con preghiera genuina. Non strano? L'America, fatta di tutti, e che a tutti ha gioiosamente aperto le braccia fin dall'inizio, - il risultato e la giustificazione di tutti, Inghilterra, Germania, Francia e Spagna - tutti qui - l'accoglitrice, l'amica, la speranza, l'ultima risorsa e la casa universale di tutti - lei che non ha nuociuto a nessuno ma stata generosa con tanti, con milioni, madre di stranieri e di esuli di ogni paese - proprio adesso doveva, dico, ricevere questo terribile ringraziamento di odio e di paura generale da parte dei vari governi. Siamo forse indignati? allarmati per questo? ci sentiamo minacciati? No; aiutati, uniti, concentrati, piuttosto. Siamo tutti troppo propensi a straniarci da noi stessi, a voler impressionare l'Europa, a studiarne cipigli e sorrisi. Questa bruciante lezione di odio generale ci anzi necessaria, e d'ora in poi non dovremo mai dimenticarla. Mai pi da questo momento ci fideremo del senso morale e dell'astratta simpatia di un solo governo del vecchio mondo. CHE LA STAGIONE SIMPATIZZI COI TEMPI?
Se le piogge, il caldo e il freddo e quanto li determina siano influenzati da ci che colpisce l'uomo in massa e seguano il giuoco della sua azione appassionata, in una tensione pi forte del solito, e su scala pi vasta del solito, dubbio - ma indubbio che, in questa parte settentrionale del continente americano, si stanno avendo adesso e si sono avute in questi ultimi venti mesi se non pi, molte e copiose manifestazioni, davvero senza precedenti, del sottile mondo d'aria che ci sovrasta e circonda. Sin dall'inizio della guerra e della vasta e profonda agitazione nazionale, ecco strane analogie, combinazioni nuove, il sole ha una luce diversa, o non ne ha affatto, persino dalla terra nascono
prodotti diversi. Dopo ogni grande battaglia, ecco una grande tempesta. E lo stesso per gli eventi civili. Domenica scorsa, una mattinata come un turbine di demoni, buia, rabbiosa, con raffiche oblique di pioggia; e poi un pomeriggio di una tale calma, tutto intriso del dilagante splendore del pi fantastico sole, da lasciar trasparire le stelle molto, molto prima del tempo. Quando il Presidente usc sul portico del Campidoglio, una strana nuvoletta bianca, l'unica in quella parte del cielo, si libr proprio sopra di lui come un uccello ad ali tese. Effettivamente i cieli, tutte le potenze metereologiche, si sono abbandonate nelle ultime settimane a eccessi d'ogni genere. Non avevo mai visto simili capricci, un tal fulmineo alternarsi di corruccio e bellezza. impressione generale (specialmente dopo i periodi di intensa calura che hanno differenziato la scorsa estate da qualsiasi altra) che l'inverno appena finito sia stato senza precedenti; e cos si mantenuto fino ad oggi, fino al momento in cui sto scrivendo. Le giornate del mese scorso sono state in gran parte cupe, con una pesantezza plumbea, nebbia, intervalli di freddo pungente e qualche folle uragano. Vi sono stati tuttavia motivi per ben altre descrizioni. La terra e il cielo non hanno mai conosciuto spettacoli di pi superba bellezza di alcune delle ultime notti qui. La stella d'occidente, Venere, non mai stata cos chiara nelle prime ore della sera; era come se volesse significare qualcosa, come se intrattenesse un rapporto d'indulgenza con l'umanit, con noi americani. Cinque o sei sere fa era sospesa a fianco della luna, allora appena uscita dal suo primo quarto. La stella era meravigliosa, la luna come una giovane madre. Il cielo, d'un azzurro cupo, la notte trasparente, i pianeti, il venticello di ponente, la temperatura elastica, il miracolo di quella grande stella, e la giovane luna rigonfia che nuotava nel cielo occidentale, mi pervasero l'anima. Poi udii, lente e chiare, le note precise di una tromba levarsi dal silenzio, cos squisite nel mistero della notte, senza fretta, fiduciose e ferme, ora fluttuanti, ora impennate, ora in agile decrescendo, con a tratti una nota pi sostenuta: la brava tromba che suonava il silenzio in uno degli ospedali militari nelle vicinanze, nei cui lettucci giacevano i feriti (alcuni dei quali a me personalmente cari) e molti poveri ragazzi precipitati nella guerra dall'Illinois, dal Michigan, dal Wisconsin, dallo Iowa e dalle altre regioni. IL BALLO DELL'INAUGURAZIONE
6 marzo. Sono salito al Palazzo dei Brevetti a dare uno sguardo alla sala da ballo e a quella dei banchetti in occasione del ballo dell'Inaugurazione; e non potei fare a meno di pensare quanto fosse diversa la scena che esse avevano esibito ai miei occhi non molto tempo prima, stipate com'erano di masse di feriti, i pi gravi di tutta la guerra, arrivati l dalla seconda Bull Run, da Antietam e da Fredericksburg. Ma stasera, belle donne, profumi, il dolce suono dei violini, il valzer e la polka; e allora, l'amputazione, il viso bluastro, il gemito, lo sguardo vitreo del morente, lo straccio insanguinato, l'odore delle ferite e del sangue, e molti poveri figli perduti tra gente forestiera, che si spegnevano senza nemmeno un po' di cure (ch grande era la massa dei feriti gravi, e enorme il da fare degli infermieri e dei chirurghi). UNA SCENA AL CAMPIDOGLIO
Non posso non accennare a una strana scena avvenuta al Campidoglio, Camera dei Rappresentanti, il mattino di sabato scorso 4 marzo. Il giorno sbiancava appena, ma ancora in una semioscurit in cui le cose apparivano fosche, pesanti, fradice. In quella luce opaca i membri della Camera, innervositi dal lavoro protratto, apparivano esausti, chi assopito, chi addormentato del tutto.
La luce delle lampade a gas, mista alla sporca luce dell'alba, produceva un effetto irreale. I poveri valletti che incespicavano insonnoliti, l'odore particolare della sala, i Rappresentanti con la testa reclinata sui banchi, la voce degli oratori carica di inflessioni insolite - la tipica atmosfera morale, inoltre, alla chiusura di una seduta importante come questa - la forte speranza che la guerra si stia ormai approssimando alla fine - la sottile paura che tale speranza possa rivelarsi falsa - la solennit della sala, l'effetto delle grandi ombre slungate in alto verso i pannelli e gli spazi sopra le gallerie - tutto ci si fondeva in un insieme affatto particolare. Nel bel mezzo di tutto questo, con la repentinit di un fulmine, scoppi una delle pi violente e fragorose tempeste di pioggia e grandine che si siano mai udite. Venne gi come un diluvio sbattendo sul pesante tetto di vetro dell'aula, il vento ululava e ruggiva nel senso letterale della parola. Per un attimo i Rappresentanti, nervosi e assonnati, si fecero travolgere dalla confusione. Quelli che sonnecchiavano si destarono per la paura, qualcuno si diresse con un balzo verso la porta, altri levarono gli occhi al tetto con le guance e le labbra sbiancate, mentre i valletti cominciarono a piangere; era davvero uno spettacolo. Ma tutto fin non appena quegli uomini inebetiti dalla stanchezza furono completamente svegli. Si ripresero; la tempesta continu a infuriare sferzando impetuosa, talora con grande fragore; ma la Camera procedette con i suoi lavori, esibendo in quel momento tanta calma e deliberazione quanta, credo, mai prima nella sua carriera. Forse la scossa era stata utile. (Si ha dopotutto l'impressione, trovandosi tra i membri del Congresso di ambedue le Camere, che se la piatta routine dei lavori fosse bruscamente interrotta da una circostanza grave che implicasse vero pericolo e richiedesse qualit personali di prim'ordine, codeste qualit non tarderebbero a emergere, e in uomini che ora non ne sono ritenuti dotati). UNO YANKEE DI STAMPO ANTICO
27 marzo 1865. Sergente Calvin F. Harlowe, compagnia C 29 Massachusetts, 3a brigata, 9 corpo - un notevole esempio di eroismo, una splendida morte (c' chi dice bravata, io dico eroismo, e del pi grande, di stampo antico) - stato durante l'ultimo attacco delle truppe ribelli contro Forte Steadman e la temporanea caduta di questo, nottetempo. Il Forte era stato sorpreso nel cuore della notte. Strappati violentemente al sonno e precipitatisi fuori dalle tende, Harlowe e gli altri si trovarono nelle mani dei secessionisti - gli fu chiesto di arrendersi - rispose, Mai, finch vivo (era inutile, naturalmente. Gli altri si arresero. C'era troppa disparit). Di nuovo gli dissero di arrendersi, un capitano questa volta. Perfettamente calmo bench gi circondato, egli rifiut ancora, e prese anzi a esortare vigorosamente i compagni perch continuassero a combattere, mentre egli stesso vi si provava. Allora il capitano dei ribelli gli spar contro ma in quell'attimo egli spar sul capitano - caddero entrambi feriti a morte. Harlowe spir quasi all'istante. In brevissimo tempo i ribelli furono ricacciati. Il corpo di Harlowe fu sepolto il giorno dopo, ma ben presto venne disseppellito e mandato a casa (contea di Plymouth, Massachusetts). Harlowe aveva solo 22 anni - era un ragazzo alto, snello, bruno di capelli, occhi azzurri - aveva cominciato a distinguersi nel 29 Mass., e fu in questo modo che incontr la morte dopo quattro anni di campagne. Aveva preso parte alla battaglia dei Sette Giorni di fronte a Richmond, alla seconda Bull Run, a Antietam, alla prima Fredericksburg, a Vicksburg, Jackson, agli scontri del Deserto e a quelli che seguirono - era il miglior soldato che mai avesse indossato la giubba azzurra, e ogni ufficiale del suo reggimento potr testimoniarlo. Bench tanto giovane, e soldato semplice, aveva uno spirito coraggioso e risoluto al pari di qualsiasi eroe, antico o moderno, di cui si parli nei libri - troppo nobile per pronunciare le parole Mi arrendo - e per questo mor. (Quando penso a cose simili, che conosco tanto bene, cadono in secondo piano tutti i vasti e complicati eventi bellici su cui la storia si sofferma e
di cui nutre i suoi volumi, e per un poco almeno io non vedo altro che la figura del giovane Calvin Harlowe ritta nella notte, che sdegnosamente rifiuta la resa). MALATTIE E FERITE
La guerra finita, ma gli ospedali sono pi pieni che mai, pazienti vecchi e nuovi. In larga percentuale si tratta di ferite alle braccia e alle gambe. Ma ve n' di ogni genere, per ogni parte del corpo. Da quanto ho potuto osservare, direi che le malattie prevalenti sono la febbre tifoidea e le febbri da campo in genere, come diarrea, affezioni catarrali e bronchiali, reumatismi e polmonite. Queste sono le forme di malattia che predominano; tutte le altre seguono. Il numero dei malati doppio di quello dei feriti. Tra i pazienti sotto cura, la mortalit va dal sette al dieci per cento.* * Nell'Ufficio Generale dei medici militari, i casi formalmente registrati di feriti trattati da medici governativi sono 253.142. Ma quale sar il numero non ufficiale, indiretto - per non parlare degli eserciti sudisti? (N.d.A.). MORTE DEL PRESIDENTE LINCOLN
16 aprile 1865. Tra i miei appunti di quel periodo trovo queste righe sulla morte di Abramo Lincoln: Alla storia e alla biografia americana egli lascia non solo il ricordo pi drammatico, sino ad oggi - ma lascia a mio avviso la pi nobile, la migliore, la pi caratteristica personalit artistica e morale. Non che non avesse difetti (e li mostr durante la Presidenza); ma onest, bont, abilit, coscienza e (virt nuova questa, sconosciuta ad altre nazioni e ancora malnota qui, e tuttavia fondamento e legame di ogni altra, come grandiosamente riveler il futuro) unionismo, nel senso pi vero e ampio della parola, formavano il nucleo del suo carattere. Queste virt egli suggell con la vita. Il tragico splendore della sua morte, purgando e illuminando tutto il resto, disegna intorno alla sua figura, al suo capo, una aureola che durer e si far pi fulgida col tempo, finch viva la storia e duri l'amor di patria. Molti hanno collaborato a questa Unione; ma se deve scegliersi un solo nome, un solo uomo, egli pi di qualsiasi altro ne sar il depositario presso il futuro. stato assassinato - ma l'Unione non assassinata - a ira! Il primo cade, il secondo cade - il soldato crolla a terra, inghiottito come un'onda - ma le file oceaniche eternamente incalzano. La morte compie il suo lavoro, ne oblitera cento, mille - presidente, generale, capitano, soldato semplice - ma la Nazione immortale. IL GIUBILO DELL'ARMATA DI SHERMAN, E COME FU SUBITO SPENTO
Durante la marcia delle armate di Sherman attraverso la Carolina del Sud e del Nord, parecchio dopo aver lasciata Atlanta, non fu percorso un miglio senza che da una parte o dall'altra delle linee (le nuove della capitolazione di Lee erano giunte passata Savannah) si levassero continue, entusiastiche grida. La musica selvaggia di queste tipiche grida soldatesche risuon, a intervalli, per tutto il giorno. Partivano da un reggimento o da una brigata e venivano immediatamente riprese da altri, sicch alla fine erano interi corpi di battaglioni a prender parte a quei selvaggi cori di trionfo.
Era, questa, una caratteristica espressione delle truppe dell'Ovest, e divenne in breve un'abitudine che per i soldati significava sollievo e sfogo - effusione di sentimenti di vittoria, ritorno alla pace, ecc. Al mattino, a mezzogiorno, nel pomeriggio, con o senza un motivo, spontaneamente, queste immense grida, diverse da qualsiasi altra, la cui eco si spargeva nell'aria libera per molte miglia, e in cui si esprimevano giovinezza, gioia, ebbrezza, forza irreprimibile e idee di avanzata e conquista, risuonavano per le paludi e le alture del Sud, invadendo il cielo. ("Non si sono mai visti uomini che mantenessero uno spirito migliore nel pericolo o nella sconfitta, - mi disse in seguito uno del 15 corpo. - Che cosa dunque non dovevano fare nella vittoria?"). Questa esuberanza continu finch le truppe arrivarono a Raleigh. Qui si seppe la notizia dell'assassinio del Presidente. Allora non pi grida n urli, per una settimana. La marcia ne risult come soffocata. E fu molto significativo - a malapena una parola ad alta voce, o una risata, in molti reggimenti. Ovunque uno zitto, un silenzio. NESSUN BUON RITRATTO DI LINCOLN
Al lettore sar capitato di vedere certe fisionomie (spesso vecchi contadini, lupi di mare e tipi simili) che sotto la loro semplicit o magari bruttezza celano dei tratti pi nobili, cos sottili e un tempo cos palpabili, che rendono pressocch impossibile dipingere la vita reale di quei volti non pi che un aroma selvatico, il sapore di un frutto o il tono appassionato di una viva voce. Tale era il volto di Lincoln, con quel colore particolare' quei solchi, quegli occhi, la bocca, l'espressione. Bellezza, in senso tecnico, non ne aveva - ma all'occhio di un grande artista offriva un raro studio, diletto e fascino. I ritratti che ne abbiamo sono tutti fallimenti - la maggior parte anzi caricature. PRIGIONIERI UNIONISTI DI RITORNO DAL SUD
I prigionieri di guerra che sono stati rilasciati stanno ora arrivando dalle prigioni del Sud. Ne ho veduti parecchi. uno spettacolo peggiore di qualsiasi campo di battaglia, di qualsiasi assembramento di feriti, anche il pi sanguinoso. Ve n' stato (per citare un esempio) un grande carico di diverse centinaia, arrivati in battello a Annapolis intorno al 25; ebbene, solo tre, di tutta quella massa, furono in grado di scendere da soli dal battello. Gli altri furono trasportati a riva e sistemati a terra in un posto o nell'altro. Saranno uomini costoro - questi nani d'un color bruno livido, sporchi di cenere, simili a scimmie? - o non saranno in realt cadaveri raggrinziti, mummificati? Stanno qui distesi, calmi per lo pi, ma con una luce di orrore negli occhi, le labbra ridotte a pelle (spesso senza neanche carne abbastanza per coprire i denti). Forse sulla terra non si mai visto nulla di pi orrendo. Esistono azioni, crimini, che si possono dimenticare: ma non questo. Questo sprofonda coloro che l'hanno perpetrato, nella dannazione pi nera, senza speranza e senza fine. Pi di 50.000 sono stati costretti alla morte per fame - (hai mai provato, lettore, a immaginarti cosa sia veramente la fame? - in quelle prigioni - e in una terra d'abbondanza). Indescrivibile bassezza, tirannia, con l'aggravante di offese quotidiane quasi incredibili - questa stata evidentemente la norma in tutte le prigioni militari del Sud. Non tanto i morti saranno da commiserare, quanto alcuni dei vivi che ne sono usciti - se pure puoi chiamarli vivi - molti di loro mentalmente deficienti, n si riprenderanno mai pi.* * Da una recensione del volume Andersonville. Storia delle prigioni militari del Sud, apparso in un primo momento a puntate, nel 1879, ne "La lama di Toledo" (N.d.A.):
"C' un fascino profondo nel tema "Andersonville" - poich quel Golgota in cui giacciono le biancheggianti ossa di 13.000 gagliardi giovani, rappresenta il pi caro, il pi costoso sacrificio della guerra per la preservazione della nostra unit nazionale; ed anche un prototipo della sua specie. Le ecatombi ivi avvenute, pi di un centinaio, rappresentano, se moltiplicate in proporzione, quelle di tutti gli altri fratelli per i quali le prigioni di Belle Isle, Danville, Salisbury, Florence, Columbia e Cahaba hanno aperto i cancelli dell'eternit. Vi sono poche famiglie nel Nord che non abbiano almeno un congiunto o un amico tra quei 60.000 la cui triste sorte fu di chiudere il servizio per l'Unione languendo e morendo per essa in uno dei recinti per prigionieri del Sud. Il modo della loro morte, gli orrori che affollarono ogni minuto della loro esistenza, la fedele e incrollabile fermezza con cui essi sopportavano quel che il fato aveva loro offerto, tutto ci non mai stato adeguatamente descritto. Non fu come per i loro compagni di campo, le cui azioni si svolsero tutte alla presenza di coloro che avevano appunto come compito quello di osservarle e riferirle al mondo. Celati com'erano allo sguardo dei loro amici del Nord dall'impenetrabile velario che le operazioni militari dei ribelli tiravano attorno alla cosiddetta Confederazione, la gente seppe poco o nulla del loro modo di vivere e delle loro sofferenze. In quei recinti ne morirono migliaia, seguiti con assai minore attenzione che non le centinaia che perivano sui campi di battaglia. Grant non lasci tanti uomini sul campo nella terribile campagna del Deserto al fiume James - 43 giorni di lotta disperata - quanti ne perirono tra luglio e agosto a Andersonville. E dal giorno in cui Grant pass il Rapidan fino a quando mise le trincee di fronte a Petersburg, ne mor quasi il doppio. Morti dell'Unione giacciono sotto il solenne mormorio dei pini intorno a quel dimenticato villaggio della Georgia del Sud in numero quattro volte maggiore, se non pi, di quelli che punteggiano il percorso di Sherman da Chattanooga a Atlanta. La nazione guarda atterrita allo spreco di vite umane che accompagn le due cruente campagne del '64 da cui la Confederazione usc praticamente frantumata, ma nessuno ricorda che dietro le linee sudiste perirono pi soldati dell'Unione di quanti ne vennero uccisi di fronte a quelle linee. I grandi eventi militari che spazzarono via la rivolta finirono per distogliere l'attenzione dal triste dramma che la fame e la malattia andavano rappresentando in quei cupi recinti, nei pi remoti recessi delle oscure foreste del Sud". * Da una lettera di Johnny Bouquet, nel "N. Y. Tribune" del 27 marzo 1881: "A Salisbury, Carolina del Nord, ho visitato il recinto dei prigionieri; o meglio l'area da cui erano state avviate alla sepoltura circa 12.000 vittime della politica sudista, rimaste confina" te entro uno steccato senza ripari di sorta esposte a tutti i capricci degli elementi, a tutte le malattie che possono scoppiare ammassando delle bestie una sull'altra, a tutte le forme di crudelt e di fame che un governo incompetente e profondamente vigliacco riesce a mettere in opera. Questo luogo ormai decaduto dalla conversazione e forse anche dal ricordo della gente del Nord, ma non certo dai discorsi della popolazione di Salisbury, quasi tutta concorde nel sostenere che una buona met dei fatti non mai stata raccontata; e che la natura degli oltraggi inflitti qui era tale che quando qualcuno dei prigionieri federali riusciva a fuggire, la gente del luogo dava loro rifugio nei granai, temendo che la vendetta divina sarebbe ricaduta su di loro se avessero restituito degli esseri viventi, anche se nemici a simili crudelt. Diceva un vecchio che era entrato nella conversazione alla Boyden House: "Spesso fuori di quel recinto si seppellivano uomini ancora vivi. Ho la testimonianza di un medico che li vide tirar fuori dalla carretta dei morti con gli occhi aperti, coscienti ma troppo deboli per alzare un dito. Non esisteva la minima giustificazione per un comportamento del genere, dal momento che la Confederazione si era impadronita di tutte le segherie della regione e poteva benissimo metter su dei ripari per i prigionieri, data la grande abbondanza di legno da queste parti. Sar comunque difficile sentire un qualsiasi onest'uomo di Salisbury sostenere che vi fosse la bench minima necessit di far vivere quei prigionieri in vecchie tende, in caverne o buche semipiene d'acqua. Furon fatte anche delle rimostranze al governo Davis contro gli ufficiali in carica, ma non vennero neanche prese in considerazione. L la crudelt era
punita con la promozione. I detenuti erano scheletri. L'inferno non aveva terrori per chi moriva qui, se non per gli inumani padroni del campo". (N.d.A.). MORTE DI UN SOLDATO DELLA PENNSYLVANIA
Frank H. Irwin, compagnia E, 93 Penn. - morto il 1 maggio '65 - Lettera da me scritta alla madre. Cara signora: senza dubbio voi e gli amici di Frank avrete gi appresa la triste nuova della sua morte, avvenuta qui in ospedale, dallo zio o dalla signora di Baltimora che si incaricata dei suoi effetti personali (io non ho conosciuto n l'uno n l'altra, sapevo solo che venivano a visitare Frank). Vi scriver poche righe - nella mia veste di amico casuale che gli stato accanto sul letto di morte. Vostro figlio, il caporale Frank H. Irwin, fu ferito presso il Forte Fisher, Virginia, il 25 marzo 1865 - la ferita era al ginocchio sinistro, piuttosto brutta. Fu portato a Washington, e ricoverato nel padiglione C dell'Ospedale dell'Armeria il 28 marzo - la ferita peggior e il 4 aprile gli fu amputata la gamba un po' sopra il ginocchio - l'operazione fu eseguita dal Dr. Bliss, uno dei migliori chirurghi dell'esercito - fece tutto con le sue mani - c'era un brutto grumo di pus - la pallottola fu trovata nel ginocchio. Per un paio di settimane sembr che le cose andassero benino. Andavo spesso a visitarlo e gli restavo vicino, dacch egli amava avermi con s. Gli ultimi dieci o dodici giorni di aprile mi accorsi che la situazione era critica. Precedentemente aveva avuto febbri accompagnate da freddo. Pass l'ultima settimana di aprile per lo pi in delirio - ma pur sempre mansueto e gentile. Mor il primo maggio. Causa determinante della sua morte fu la piemia, (l'assorbimento cio del pus nell'organismo in luogo dello spurgo). Frank, a quel che ho potuto vedere, ha avuto tutto il necessario, come trattamento chirurgico, assistenza, ecc. C'era sempre chi lo vegliava, la maggior parte del tempo. Era cos buono, beneducato e affettuoso, che anch'io non potei non amarlo intensamente. Avevo l'abitudine di andarci nel pomeriggio, e sedermi accanto a lui, cercando di rasserenarlo, e a lui faceva molto piacere - gli piaceva tirar fuori il braccio e posare la mano sul mio ginocchio - la teneva cos a lungo. Verso la fine, la notte cominci a farsi pi smanioso, delirava - spesso si credeva ancora nel suo reggimento - dal modo di parlare a volte sembrava che fosse offeso nei suoi sentimenti da un rimprovero degli ufficiali per qualcosa di cui era affatto innocente - diceva, "Mai in vita mia mi si creduto capace di una cosa simile, n lo sono mai stato!". Altre volte fantasticava di star parlando a dei bambini, pareva, o qualcosa del genere, suoi congiunti credo, e dava buoni consigli, e chiacchierava con loro a lungo. Per tutto il tempo in cui rimase fuori di senno, mai gli sfugg una brutta parola o una sola idea cattiva. Qualcuno ebbe a notare che uomini in pieno possesso delle loro facolt non mostravano, nei loro discorsi, met del senno di Frank nel delirio. Sembrava ormai disposto a morire - era assai indebolito, povero ragazzo. Io non conosco la sua vita passata; ma sento che deve essere stata una vita onesta. In ogni caso, per come l'ho conosciuto qui, nelle circostanze pi dure, con una ferita dolorosa e tra gente ignota, posso ben dire che si comportato in modo davvero superiore, sempre cos coraggioso e composto, cos dolce e affettuoso. E ora come tanti altri uomini nobili e onesti, dopo aver servito da soldato il suo paese, egli ha ceduto la sua giovane vita proprio quando cominciava a sbocciare. Queste sono cose di grande tristezza - pure vi un passo nelle scritture, "Dio fa bene ogni cosa", il cui significato pi tardi si sveler all'anima. Ho pensato che forse poche parole su vostro figlio, anche se da parte di uno sconosciuto, qualcuno che stato con lui nei suoi ultimi istanti, avrebbero potuto servire a qualcosa -perch io ho amato questo ragazzo, sebbene l'abbia conosciuto solo per perderlo. Sono semplicemente un amico che di tanto in tanto visita gli ospedali per portare conforto a feriti e malati. W.W.
LE TRUPPE RITORNANO
7 maggio. Domenica. Oggi mentre camminavo, circa un miglio o due a sud di Alexandria, mi sono imbattuto in parecchi grossi squadroni dell'armata del West (uomini di Sherman, si fanno chiamare), in tutto circa un migliaio di soldati, per lo pi malaticci o convalescenti, diretti a un ospedale da campo. Codesti scaglioni frammentari che si snodavano lentamente - le inconfondibili fisionomie e i tipici dialetti del West - questi uomini sbattuti quaggi, fuori latitudine, per cos dire, dopo una grande campagna - m'incuriosirono, e mi misi a chiacchierare con loro, con qualche interruzione, per pi di un'ora. Qualcuno era molto malato; ma tutti potevano camminare, eccetto forse certi nelle ultime file, che avevano ceduto e se ne stavan seduti per terra, spossati e avviliti. A questi io mi rivolsi, cercando di incoraggiarli, gli dicevo che il campo dov'erano diretti era appena un poco pi su sulla collina, e cos riuscii a farli alzare e riprendere il cammino, accompagnando bens per un tratto di strada quelli in condizioni peggiori, aiutandoli io stesso o affidandoli a qualche camerata pi forte per sostegno. 21 maggio. Visto oggi il generale Sheridan con il suo corpo di cavalleggeri - uno spettacolo forte e attraente. Erano in gran parte giovani (pochissimi di mezza et), ragazzi superbi, abbronzati, asciutti, tesi, con gli abiti logori, parecchi con pezzi di impermeabile che pendevano dalle spalle. Sfilarono a passo sostenuto, in lunghe file serrate, tutti schizzati di fango, una brigata dopo l'altra, certo non soldatini da giuoco. Sarei rimasto a guardarli per una settimana. Sheridan stava in piedi su un balcone, sotto un grosso albero, fumando freddamente un sigaro. La sua figura e i suoi modi mi impressionarono favorevolmente. 22 maggio. Passeggiata per Penusylvania Avenue e il tratto nord della Settima strada. La citt piena di soldati che corrono da tutte le parti. Ovunque ufficiali, d'ogni grado. Tutti con quell'aria logorata dalla vita all'aperto, tipica di chi in servizio attivo. uno spettacolo di cui non mi stanco mai. Tutte le truppe (o gran parte di esse) sono ormai qui, per la parata di domani. Le vedi sciamare per ogni dove, come api. LA GRANDE PARATA
Da due giorni ormai gli ampi tratti di Pennsylvania Avenue fino a Treasury Hill e, seguendo la curva, intorno alla casa del Presidente e poi su fino a Georgetown e al ponte dell'acquedotto, sono ravvivati da un magnifico spettacolo, il ritorno delle truppe. Per due giorni interi resto qui a guardarli mentre passano a piedi o a cavallo con le grandi file che si snodano nitide per il viale, a passo sostenuto -fanteria, cavalleria, artiglieria, - qualcosa come 200.000 uomini. Qualche giorno dopo, un altro corpo d'armata, due; e ancora pi tardi una gran parte dell'immensa armata di Sherman, risalita da Charleston, Savannah, ecc. SOLDATI DEL WEST
26-27 maggio. Le strade, gli edifici pubblici e i parchi di Washington brulicano ancora di soldati dell'Illinois, dell'Indiana, dell'Ohio, del Missouri, dello Iowa e di tutti gli Stati del West. Continuo a incontrarne, a parlare con loro. Spesso sono loro a parlarmi per primi, e sembrano sempre assai socievoli, felici di fare una bella chiacchierata. Questi soldati del West sono in genere pi lenti degli altri, nei movimenti e anche intellettualmente: non hanno alcuna vivacit che possa dirsi spiccata. Sono di struttura pi massiccia ed hanno una fisionomia pi seria, vi guardano sempre quando passano per la strada. Sono esseri prevalentemente animali, ma in modo bello. Durante la guerra mi sono trovato varie volte con il 14 corpo, il 15, il 17 e il 20. Mi sento sempre attratto da questi uomini, e mi piace il loro contatto personale quando ci si trova raggruppati insieme, come accade sovente in questi giorni nelle carrozze pubbliche. Del generale Sherman pensano tutti un gran bene, lo chiamano "vecchio Bill" e talvolta "zio Billy". OPINIONE DI UN SOLDATO SU A. LINCOLN
28 maggio. Oggi in ospedale, mentre vegliavo un soldato malato, del Michigan, un convalescente si alz dal letto accanto, si avvicin, e cominciammo subito a conversare. Era un uomo di mezza et; apparteneva al 2 reggimento della Virginia ma viveva a Racine, Ohio, dove aveva famiglia. Parlando del Presidente Lincoln disse: "La guerra finita, molti sono scomparsi; e ora abbiamo perduto anche il pi onesto, il pi gentile, il pi leale uomo d'America. Prendetelo nell'insieme, era l'uomo migliore che questo paese abbia mai prodotto. Per un po' la mia opinione stata assai diversa; ma qualche tempo prima dell'assassinio, cominciai a pensarla proprio cos". C'era, in questo soldato, una grande seriet (scoprii poi, continuando a parlare, che aveva conosciuto il signor Lincoln di persona, e piuttosto bene, anni prima). Era un veterano, questo era il suo quinto anno di servizio; cavalleggere, aveva preso parte a un gran numero di battaglie assai dure. DUE FRATELLI, UNO DEL SUD L'ALTRO DEL NORD
28-29 maggio. Sono rimasto a lungo stasera al capezzale di un nuovo paziente, un giovane di Baltimora sui 19 anni, W. S. P. (2 Maryland, sudista) - debolissimo, gamba destra amputata, non riesce quasi a dormire - ha preso grandi dosi di morfina, che come sempre si dimostra pi costosa che efficace. Evidentemente molto intelligente e bene educato - affettuosissimo - si teneva attaccato alla mia mano, se l'accostava al viso, non voleva lasciarmi andare. Io indugiavo, confortandolo nella sua sofferenza, quand'egli a un tratto mi dice, "Non posso credere che voi sappiate chi sono io - n vi voglio ingannare - sono un soldato ribelle". Risposi che non lo sapevo, ma che non faceva alcuna differenza. Nelle visite quotidiane che gli feci dopo d'allora per circa due settimane, finch visse (ch la morte lo aveva segnato, ed era molto solo) imparai ad amarlteneramente, lo baciavo sempre, ed egli baciava me. In un padiglione vicino trovai suo fratello - ufficiale di alto grado, combattente dell'Unione, uomo religioso e di grande coraggio (colonnello K. Prentiss, 6 fanteria Maryland, 6 corpo, ferito il 2 aprile in uno degli scontri di Petersburg - tir avanti per un poco, soffr molto, mor a Brooklyn il 20 agosto '65). Erano rimasti colpiti ambedue nella stessa battaglia. Uno era unionista convinto, l'altro secessionista; ognuno combatt per la sua parte - feriti ambedue gravemente - riuniti qui dopo una separazione di quattro anni. Morirono ciascuno per la propria causa. ANCORA QUALCHE CASO TRISTE
31 maggio. James H. Williams, 21 anni, 3 cavalleria Virginia - il caso pi notevole da me osservato di uomo robusto messo a terra da complicazioni di malattie (laringite, febbre, astenia e diarrea) - ha un fisico superbo, il colorito rimasto bruno, ma arrossato e acceso dalla febbre - in preda al delirio - la carne del gran petto e delle grandi braccia percorsa da tremiti, il polso che galoppa a una velocit tripla del normale- immerso la pi gran parte del tempo in una parvenza di sonno, ma con borbottii sordi e gemiti - un sonno senza riposo. Per quanto di fisico poderoso e cos giovane, non sar certo in grado di sopportare per molti giorni ancora lo sforzo e la temperatura divorante di ieri e oggi. La gola mal ridotta, la lingua e le labbra riarse. Quando gli chiedo come si senta, riesce appena ad articolare un "sempre maluccio, vecchio mio", e mi guarda coi grandi occhi lucidi. Il padre John Williams di Millensport, Ohio. 9-10 giugno. Sono rimasto stasera fino a tardi al capezzale di un capitano ferito, mio caro amico, ricoverato in uno di questi ospedali con una dolorosa frattura alla gamba sinistra, in un padiglione parzialmente vuoto. Le luci erano tutte spente, eccetto una piccola candela, lontana da noi. La luna piena entrava dalle finestre proiettando sul pavimento oblique chiazze d'argento. Tutto era immobile, anche il mio amico, silenzioso bench non potesse dormire; e io stavo l seduto accanto a lui, muovendo lentamente il ventaglio, preso dalle meditazioni cui la scena invitava, il lungo padiglione pieno d'ombre, la bella e spettrale luce della luna sul pavimento, il candore dei letti, e qua e l la forma confusa di qualche paziente, le coperte gettate da un canto. Dopo le riviste militari dei giorni scorsi gli ospedali ospitano parecchi casi di insolazione e astenia da calore, molti del 6 corpo, a seguito della parata nel gran caldo dell'altro ieri (queste manifestazioni costano talora la vita a decine e decine di uomini). 10 settembre, domenica. Visitati gli ospedali Douglas e Stanton. Sono gremiti. Molti casi gravi, ferite che non voglion risolversi, vecchie malattie. Si nota pi disperazione del solito nei visi di molti: la speranza li ha abbandonati. Sono passato da un padiglione all'altro, chiacchierando come sempre. Vi sono molti ricoverati provenienti dall'esercito secessionista, che ho gi visti in altri ospedali, e mi hanno riconosciuto. Due di questi erano ormai prossimi a morire. IL VERO MONUMENTO A CALHOUN
Oggi mentre ero intento a bendare una nuova amputazione, in una delle tende riservate ai casi speciali, ho udito due soldati che si parlavano da un lettino all'altro. Uno, prostrato dalla febbre ma gi in via di miglioramento, era stato trasferito qui da poco, da Charleston; l'altro era quello che ora si usa definire "un vecchio veterano" (vale a dire, era un giovanotto del Connecticut, probabilmente sotto i venticinque, ma che aveva trascorso gli ultimi quattro anni in servizio attivo di guerra in ogni parte del paese). I due chiacchieravano del pi e del meno. Il soldato con la febbre parlava del monumento a .Tohn C. Calhoun, descrivendolo (lo aveva visto). Allora il veterano disse "Anch'io ho visto il monumento a Calhoun. Quello che hai visto tu non il vero monumento. Ma io l'ho visto. Ed il Sud, nella sua desolazione e rovina un'intera generazione di giovani dai diciassette ai trent'anni quasi completamente distrutta o storpiata; le vecchie famiglie insultate - i ricchi impoveriti, le piantagioni coperte d'erbacce, gli schiavi lasciati liberi e divenuti i padroni, e il nome "sudista" insozzato d'ogni infamia - questo il vero monumento a Calhoun".
3 ottobre. Ormai rimangono solo due ospedali militari. Mi sono recato oggi nel pi grande di questi (il Douglas), vi ho trascorso il pomeriggio e la serata. Vi si trovano molti casi tristi, ferite di vecchia data, malattie incurabili, e alcuni feriti degli scontri di marzo e aprile di fronte a Richmond. Pochi si rendono conto di quanto aspre e sanguinose siano state queste battaglie di chiusura: i nostri si esposero pi del solito, continuando a incalzare anche senza vera necessit. Allora i sudisti lottarono con una disperazione straordinaria. Ambo le parti sapevano bene che una volta cacciata da Richmond la cricca dei ribelli, e occupata la citt dalle truppe federali, il giuoco avrebbe avuto fine. I morti e i feriti furono insolitamente numerosi. Gli ultimi gruppetti di feriti sono stati portati qui in ospedale. Trovo molti ribelli, e oggi mi sono dato molto da fare per prendermi cura, insieme agli altri, dei pi gravi fra questi. Domeniche di ottobre, novembre e dicembre. In questi mesi mi sono recato ogni domenica in visita all'ospedale Harewood, situato fuori citt, tra i boschi - un luogo piacevole e appartato, un due o tre miglia a nord della collina del Campidoglio. La posizione salubre, e il terreno intorno assai ineguale, pendii erbosi e boschetti di querce dai grandi alberi, belli a vedersi. Questo era uno degli ospedali pi capaci, ora ridotto a quattro o cinque padiglioni occupati solo in parte, vuoti tutti gli altri, che sono un buon numero. A novembre, era l'unico tenuto aperto dal governo - tutti gli altri chiusi. Qui trovate le ferite peggiori, incurabili, malattie ostinate, e poveri ragazzi che non hanno una casa dove andare. 10 dic., domenica. Di nuovo una giornata dedicata in gran parte a Harewood. Manca circa un'ora al tramonto, mentre scrivo. Ho camminato per qualche minuto fino al margine del bosco per trovare conforto nel paesaggio e nell'ora. un pomeriggio immobile, glorioso, tiepido, dorato dal sole. Unico rumore un gracchiar di cornacchie aggruppate su qualche albero a un trecento iarde di distanza. Sciami di moscerini che nuotano e danzano nell'aria in ogni direzione. Il fogliame delle querce fitto sotto i tronchi nudi, e manda un aspro, delizioso profumo. All'interno dei padiglioni tutto cupo. Vi abita la morte. Me la sono trovata subito dinanzi, appena entrato: il cadavere di un povero soldato, morto di febbre tifoidea. Gli inservienti ne avevano appena disteso le membra e coperto gli occhi con monete di rame, e ora lo stavano portando fuori. Le strade. Motivi di grande distrazione durante i tre anni passati sono state le lunghe passeggiate fuori Washington - cinque, sette, anche dieci miglia di cammino, pi il ritorno; in genere insieme al mio amico Peter Doyle, che ama queste cose come me. Belle notti di luna, sulle perfette strade militari, solide e levigate - o qualche domenica - passeggiate deliziose, da non dimenticare mai pi. Le strade che collegano Washington con i numerosi forti sparsi intorno alla citt, nate dalla guerra, hanno avuto se non altro almeno un uso positivo. SOLDATI ESEMPLARI
Anche a considerare solo quei soldati esemplari con cui ho avuto rapporti personali d'amicizia, credo che se dovessi compilarne una lista ne sortirebbe qualcosa di simile a un elenco municipale. Solo
un numero esiguo stato ricordato nelle pagine precedenti - i pi sono morti - qualcuno vive ancora. C' Reuben Farwell del Michigan (little Mitch); Benton H. Wilson, portabandiera, 185 New York; Wm. Stransberry, Manwill Winterstein, Ohio; Bethuel Smith; il capitano Simms, del 51 New York (ucciso dalle mine di Petersburgh); capitano Sam. Pooley e tenente Frederic Mc Ready, stesso reggimento. Nello stesso anche mio fratello George W. Whitman - in servizio attivo per tutti i quattro anni, riarruolatosi due volte - promosso (sovente subito dopo una battaglia) gradualmente a tenente, capitano, maggiore e tenente colonnello - prese parte alle azioni di Roanoke, Newbern, 2a Bull Run, Chantilly, South Mountain, Antietam, Fredericksburg, Vicksburg, Jackson, ai sanguinosi scontri del Deserto, Spottsylvania, Cold Harbor, e, pi tardi, agli scontri attorno Petersburg; in uno di questi ultimi fu fatto prigioniero, e trascorse quattro o cinque mesi nelle prigioni militari sudiste, riuscendone a malapena vivo dopo una violenta febbre, e la fame e il freddo che v'aveva sofferto, seminudo, nell'inverno. (Che storia ha avuto quel 51 New York! Tra i primi a partire - marciando e combattendo ovunque - si trov in mare, tra le tempeste, rischiando il naufragio - all'assalto di forti - batt in lungo e in largo la Virginia, di giorno e di notte, nell'estate '62 - poi il Kentucky e il Mississippi - quindi secondo arruolamento - e tutte le azioni e le campagne menzionate prima). Io trovo forza e conforto nella certezza che la capacit di produrre reggimenti come questo (ma centinaia, migliaia) inesauribile negli Stati Uniti, e che in tutta la repubblica non esiste una sola contea o giurisdizione cittadina - n una sola strada, in qualsiasi citt - che non possa e all'occasione non voglia tirar fuori un numero infinito di codesti soldati esemplari, se solo ve ne fosse bisogno. CONVULSIONE
Riguardando le bozze delle pagine precedenti, ho provato una o due volte il timore che il mio diario non si riducesse, nel migliore dei casi, che a una infornata di reminiscenze redatte in modo convulso. Ebbene, sia pur cos. Anch'esse non sono che particole della disperazione, del clima arroventato, del fumo e dell'eccitazione di quei giorni. La guerra stessa d'altronde, e lo stato d'animo che la precedette nell'opinione pubblica, non potrebbero descriversi meglio che con quella parola, convulsione. TRE ANNI: RICAPITOLAZIONE
Durante questi tre anni negli ospedali, negli attendamenti o sui campi di battaglia, ho compiuto pi di seicento visite o giri, e penso di aver assistito, calcolando tutto, dagli ottanta ai centomila tra malati e feriti, passando tra loro in veste per cos dire di consolatore dello spirito e del corpo, nel momento di maggior bisogno. Tali visite variavano da un'ora o due a un intero giorno o nottata; ero solito infatti vegliare tutta la notte quando c'era un caso a me caro o particolarmente critico. Qualche volta finivo per stabilirmi direttamente in ospedale, e l dormivo o vegliavo per parecchie notti di seguito. Quei tre anni (malgrado tutte le eccitazioni febbrili, le privazioni fisiche e i pietosi spettacoli) io li considero come il pi gran privilegio, la maggior soddisfazione e, naturalmente, la lezione pi profonda della mia vita. Posso dire che, nella mia opera di assistenza, furono compresi tutti, chiunque si trovasse sulla mia via, del Nord o del Sud, e che nessuno fu escluso. Tutto ci ha risvegliato, portato alla superficie e chiarito impensate profondit di emozioni. Mi ha fornito le pi fervide immagini del vero ensemble e della reale portata degli Stati. Mentre mi dedicavo a malati e feriti (e son stati migliaia di casi) del New England, New York, New Jersey e Pennsylvania, o del Michigan, Wisconsin, Ohio,
Indiana, Illinois e di tutti gli Stati dell'Ovest, mi son trovato pi o meno con gente di tutti gli Stati, Nord e Sud, senza eccezioni. Fui anche con molti che venivano dagli Stati di confine, soprattutto Maryland e Virginia, e in quei cupi anni 1862 e '63 scoprii nelle file dell'Unione molta pi gente del Sud, specialmente Tennessiani, di quanto generalmente non si creda. Ho trovato tra i nostri feriti molti ufficiali e soldati secessionisti, e ho sempre dato loro tutto ci che avevo, e cercato di confortarli, proprio come tutti gli altri. Ho anche passato parecchio tempo con i carrettieri dell'esercito, e in verit mi sono sempre sentito attratto verso di loro. Anche dai soldati di colore, malati o feriti, o nei campi dei profughi, mi recai sempre ogni qualvolta mi trovavo nelle vicinanze, e sempre feci per loro quanto potevo. RICAPITOLAZIONE ANCHE DEL MILIONE DI MORTI
I morti di questa guerra - eccoli, disseminati sui campi e i boschi e le vallate e i campi di battaglia del Sud - la Virginia, la Penisola - la collina di Malvern e Fair Oaks - le rive del Chickahominy - le terrazze di Fredericksburg: - il ponte di Antietam - i sinistri dirupi del Manassas-la sanguinosa passeggiata del Deserto - la moltitudine di morti introvabili (il bollettino del Ministero della Guerra d 25.000 soldati federali uccisi in battaglia e mai sepolti, 5.000 annegati -15.000 inumati da estranei, o durante le marce, frettolosamente, in localit rimaste ignote - 2.000 tombe sepolte sotto la sabbia e il fango dalle piene del Mississippi -3.000 spazzati via da argini franati, ecc.) - Gettysburg, l'Ovest, il Sudovest - Vicksburg - Chettanooga - le trincee di Petersburg - il raccolto mietuto da quei possenti mietitori che sono il tifo, la dissenteria, le infiammazioni-e, pi nere e pi infami di tutto il resto, le fosse dei morti e dei vivi, i campi di Andersonville, Salisbury, Belle Isle, ecc. (nemmeno l'inferno descritto da Dante, con tutte le sue sofferenze, le sue degradazioni e sozzi tormenti, supera queste prigioni) - i morti, i morti, i morti, i morti - i nostri morti - nostri tutti, del Sud o del Nord, (e tutti, tutti, tutti, finalmente cari al mio cuore) - dell'Est o dell'Ovest - costa atlantica o valle del Mississippi - si sono trascinati a morire da soli in qualche luogo tra i cespugli, in burroni profondi, sui fianchi delle colline - (e l, in angoli sperduti, ancora si scoprono ogni tanto i loro scheletri, ossa sbiancate, ciuffi di capelli, bottoni pezzi di vestiario) - i nostri ragazzi, una volta cos belli, cos allegri, che ci sono stati strappati - il figlio alla madre, il marito alla moglie, l'amico all'amico pi caro - i gruppi di tombe sui campi della Georgia, delle Caroline, del Tennessee - le tombe abbandonate nei boschi o lungo la strada (centinaia, migliaia, obliterate) - i cadaveri trascinati a valle dai fiumi, ripresi, tumulati (a dozzine, a ventine, galleggiarono e scesero per il Potomac superiore dopo gli scontri di cavalleria e l'inseguimento di Lee che segu Gettysburg) - alcuni giacciono in fondo al mare - il milione di morti d'ambo le parti, e i cimiteri speciali in quasi tutti gli Stati - gl'infiniti morti - (l'intero paese saturato, profumato dall'esalazione delle loro ceneri impalpabili distillate dalla chimica della Natura, e cos per sempre, in ogni futuro chicco di frumento, in ogni pannocchia di granturco, e in ogni fiore che cresce e ogni respiro che respiriamo) - non soltanto morti del Nord che lievitano il suolo del Sud - ma migliaia, anzi decine di migliaia del Sud si sfanno oggi nella terra del Nord. E ovunque tra queste tombe senza fine - nei molti cimiteri militari della nazione (oggi ve ne sono, credo, pi di settanta) - come allora nelle vaste trincee, deposito degli uccisi, Nord e Sud insieme, dopo le grandi battaglie - non solo dove in quegli anni pass la tempesta distruggitrice, ma irradiandosi da quel momento per tutte le contrade del paese rimaste intatte - noi vediamo, e le et a venire potranno ancora vedere, sui monumenti e sulle pietre tombali, isolate o in massa, per migliaia e decine di migliaia, la significativa parola IGNOTO. (Vi sono cimiteri dove quasi tutti i morti sono ignoti. A Salisbury, Carolina del Nord, per esempio, quelli noti sono solo 85 e gli ignoti 12.027, 11.700 dei quali sepolti nelle trincee. Un
monumento nazionale stato innalzato qui per volont del Congresso, a contrassegnare il luogo - ma quale monumento visibile, materiale, potr mai commemorare debitamente quel luogo?). LA GUERRA VERA NON ENTRER MAI NEI LIBRI
E cos addio alla guerra. Non so che cosa sia stata o cosa possa essere per gli altri - per me, l'interesse principale l'ho trovato (e lo trovo ancora, rievocando) nella semplice truppa d'ambo gli eserciti, nei tipi incontrati negli ospedali, e persino nei morti sul campo. Per me, i punti che illustrano il carattere personale e le capacit latenti di questi Stati in quei due o tre milioni di americani, giovani e di mezza et, del Nord e del Sud, incorporati negli eserciti - e specialmente in quella parte di loro, un terzo o un quarto, che in un qualche momento del conflitto fu colpita da ferite o malattie - ebbero pi importanza degli stessi interessi politici coinvolti nella guerra (dacch tanto, nel carattere di una razza, dipende da come essa sa affrontare la morte, dal modo in cui sopporta l'angoscia personale e la malattia. Cos, negli sprazzi di emozione in certe situazioni critiche, nei tocchi indiretti e negli "a parte" di Plutarco, scopriamo una chiave interpretativa del mondo antico assai pi penetrante di tutte quelle forniteci dalla storia pi convenzionale). Gli anni a venire non sapranno mai la ribollente bolgia e il nero sfondo infernale di infinite scene e interni minori (non l'ufficiale cortesia, tutta di superficie, dei generali, non le poche battaglie famose) della Guerra di Secessione; ed meglio che non lo sappiano - la guerra vera non entrer mai nei libri. Nell'infrollito clima dei tempi che corrono, inoltre, la fervida atmosfera e gli eventi tipici di quegli anni rischiano di essere totalmente dimenticati. In ospedale io ho vegliato di notte al capezzale di un malato, uno che non aveva molte ore da vivere. Ho visto i suoi occhi lampeggiare e bruciare mentre si drizzava sul letto ricordando le crudelt perpetrate sul fratello che si era arreso e, poi, le mutilazioni al cadavere. (Confrontate, nelle pagine precedenti, l'episodio di Upperville - i diciassette, uccisi come ho descritto, furono lasciati per terra. Poi che caddero morti, nessuno li tocc pi - tutti, comunque, vollero accertarsene. I cadaveri vennero lasciati ai cittadini che li seppellissero o meno, a piacer loro). Questa stata la guerra. Non una quadriglia in una sala da ballo. La sua storia interiore non sar scritta mai - non solo, ma il suo aspetto pratico e quotidiano, i dettagli di azioni e passioni non saranno mai neppure suggeriti. Il vero soldato del 1862-65, Nord o Sud, coi suoi modi, il suo incredibile coraggio, le sue abitudini, azioni, gusti e linguaggio, la sua fiera amicizia, il suo appetito, la sua rozzezza, la sua superba forza animale, il suo passo ardito, e centinaia di luci e ombre della vita di campo, non mai precisate, tutto questo, dico, non sar mai scritto - n forse deve n dovrebbe esserlo. Le note che precedono possono forse fornire qualche sprazzo fugace di quella vita, di quegli interni cupi che non saranno mai interamente trasmessi al futuro. La parte rappresentata dagli ospedali nel dramma del '61-65 merita invero di essere ricordata. In quel dramma dal molteplice intreccio, con le sue subitanee e strane sorprese, le profezie smentite, i momenti di disperazione, il terrore di interferenze straniere, le campagne interminabili, le battaglie sanguinose, gli eserciti possenti ma poco maneggevoli e inesperti, le coscrizioni e i premi - l'immensa spesa di denaro, una pioggia pesante e interminabile - e per tutto il paese, gli ultimi tre anni del conflitto, un'incessante, universale lamentazione funebre di mogli, genitori, orfani - il midollo della tragedia concentrato in quegli Ospedali Militari (sembrava talora che tutto l'interesse della nazione, Nord e Sud, non fosse che un solo, enorme ospedale centrale, e tutto il resto meri accessori) - l tutta la storia non narrata n scritta della guerra - infinitamente pi grande (come la vita stessa) delle poche briciole e deformazioni che sempre si scrivono e si narrano. Pensate a quanto, e di che importanza, rimarr - a quanto, sia civile che militare, gi rimasto - sepolto nella tomba, in un buio eterno.
Passano adesso molti anni prima che io riprenda il mio diario. Continuai a lavorare a Washington, al Ministero della Giustizia, per tutto il 66-67 e per qualche tempo dopo. Nel febbraio 1873 fui colpito da paralisi, lasciai il posto e emigrai a Camden, New Jersey, dove passai il '74 e il '75, piuttosto male in salute - ma poi cominci a andar meglio; me ne andavo per settimane, a volte per mesi, in campagna, in una localit deliziosamente rustica e solitaria nei pressi di Timber Creek, a dodici o tredici miglia dal punto in cui questo si versa nel Delaware. Alloggiando nella fattoria dei miei amici Stafford, appunto da quelle parti, passavo una buona met del mio tempo lungo il torrente, nei campi e pei sentieri l intorno. Ed forse alla vita in codesto luogo che io devo la mia parziale ripresa (una sorta di seconda vita, o quasi - un rinnovo del contratto vitale) dalla prostrazione del '74-'75. Se solo, lettore caro, i miei appunti di quella vita all'aria aperta potessero avere per te la stessa sfolgorante luminosit che la diretta esperienza ebbe per me! Nel corso di quanto segue, il fattore infermit far indubbiamente capolino qua e l, tra le righe (io mi definisco un semi-paralitico in questo periodo, e ringrazio umilmente il Signore che non vada peggio) - ma anch'io ho la mia parte di gioia, le mie ore di salute, e cercher di metterle in evidenza (il trucco sta, ho scoperto, nell'abbassare di una buona misura il tono dei propri gusti e desideri; e trarre il massimo da cose negative, e apprezzare la semplice luce del giorno, e il cielo). NUOVI ARGOMENTI
1876-77. Scopro che i boschi a met maggio e agli inizi di giugno sono il luogo migliore per scrivere.* Qui ho buttato gi quasi tutti gli appunti che seguono, seduto sui tronchi, su ceppi d'albero o appoggiato a una staccionata. Dovunque io vada infatti, estate o inverno, citt o campagna, solo a casa o viaggiando, io devo prendere appunti (la mia passione dominante, tuttora forte malgrado l'et e la malattia, e persino l'approssimarsi della...- ma non bisogna ancora dirlo). E poi, sotto i brani che seguono - mentre taglio le t e metto i puntini sulle i di certo moderato vivere degli ultimi anni - mi piace immaginare le fondamenta di una profonda lezione ormai appresa. Dopo aver esaurito quel che t'offrono affari, politica, allegri simposi, amore e cos via - e aver scoperto che niente di tutto ci alla fine soddisfa o dura in eterno - che cosa ti resta? Resta la Natura; portar fuori dai loro torpidi recessi le affinit tra un uomo o una donna e l'aria aperta, gli alberi, i campi, il volgere delle stagioni - il sole di giorno e le stelle del firmamento la notte. Noi prenderemo l'avvio da queste convinzioni. La letteratura ha voli s alti ed condita di spezie cos piccanti che le nostre note non potranno sembrare pi che semplici boccate d'aria, sorsate d'acqua fresca. Ma questo fa parte della nostra lezione. Care, rasserenanti, salubri ore di ristoro - dopo tre anni di paralisi, immobilizzato - dopo il lungo spasmo della guerra, con le sue ferite e la sua morte. * Senza scusarmi per il brusco mutamento di scena e di atmosfera - dopo quel che ho raccontato nelle cinquanta o sessanta pagine che precedono - episodi transitori, grazie al cielo! - riporto il mio libro al solido e corroborante equilibrio della Natura concreta e aperta unica e permanente salvaguardia della sanit dei libri e della vita umana. Chiss ( un sogno, un'ambizione che porto in me) che le pagine seguenti non portino un raggio di sole, o odore d'erba e di granturco, o voce d'uccello, o splendore notturno di stelle, o mistica e fresca
pioggia di fiocchi di neve, agli ospiti di accaldate case di citt, a un operaio o a un'operaia stanchi dal lavoro? - o magari nella stanza di un malato o in una cella di prigione - quasi brezza rinfrescante, aroma della Natura, per una bocca arsa dalla febbre o un polso affievolito (N.d.A.). UN LUNGO VIOTTOLO DI CAMPAGNA
Ognuno ha la sua piccola passione; io ce l'ho per un viottolo di campagna, chiuso ai lati da vecchie staccionate di castagno che muschi e licheni picchiettano di macchie verde-grigio, con cespi d'erbe e rovi che crescono lussureggianti negli spazi tra un mucchietto di pietre e l'altro, alla base dello steccato-nel mezzo, viottoli irregolari, tracciati dall'uso, e piste di cavalli e mucche - e poi tutto quel seguito di elementi caratteristici che, nella loro stagione, danno una nota o un profumo tipico al paesaggio - fiori di melo nel tardo aprile - suini, pollame - un campo di grano saraceno agostano - in un altro, le lunghe barbe pendole del granturco - e ancora lo stagno, lo slargo del ruscello, il bel solitario, con alberi vecchi e giovani, e altri recessi e scenari del genere. VERSO LA SORGENTE E IL RUSCELLO
Cos, sempre vagabondando, fino alla sorgente sotto i salici - musicale come tintinnio delicato di bicchieri - il getto d'acqua piuttosto consistente, della grossezza del mio collo, puro e cristallino, che sgorga dalla sua bocca laddove la sponda s'inarca come un gran sopracciglio cespuglioso e bruno, o un palato - gorgogliando, gorgogliando senza fine - che vuol dire e dice anzi, certamente, qualcosa (se solo si potesse tradurlo) - gorgogliando perennemente laggi, in ogni momento dell'anno - senza chetarsi mai -oceani di menta e more l'estate - variet di luce e di ombra - proprio il posto adatto ai miei bagni di luglio, di sole e anche d'acqua - ma soprattutto l'inimitabile dolcezza dei suoi gorgoglii, mentre resto seduto l accanto, nei pomeriggi di caldo. Come quel suono, e tutto il resto, diviene parte di me giorno per giorno - tutto in armonia - l'aroma selvatico appena avvertibile, l'ombra screziata del fogliame, e tutte le influenze del luogo, una medicina della natura, una morale elementare. Continua a mormorare, ruscello, con quella tua inconfondibile voce! Anch'io esprimer quanto di nativo, di sotterraneo, di passato, ho raccolto nel corso dei miei giorni-e ora anche te. Segui il tuo corso capriolando e serpeggiando - io con te, per un poco almeno. Mentre io vengo a trovarti stagione per stagione, tu non mi conosci n ti curi di me (ma perch esserne cos certo? chi pu dirlo?) - ma io imparer da te, ti studier - per ricevere, copiare, prendere la tua impronta. SVEGLIA DI PRIMA ESTATE
Via dunque a sciogliere, slegare l'arco divino, cos lungo e teso. Via da tende, tappeti, sof, libri - dalla "societ" - dalle case della citt, dalle sue strade, da tutti i ritrovati e i conforti moderni - via verso il primitivo serpeggiante ruscello tra i boschi di cui ho parlato, con i suoi cespugli non cimati, le sue sponde erbose - via da legacci, stivali stretti, bottoni e tutto il ferreo sistema della vita civile - tutto quell'entourage artificiale, di negozi, macchine, studio, ufficio, salotto - via dal regno del sarto o dell'abito alla moda - e possibilmente da qualsiasi abito, per il momento, con la canicola che incalza, laggi tra quelle ombrose solitudini d'acque. Via dunque anima mia (e tu lascia, lettore caro, che ti
prenda da parte da solo e ti parli in perfetta libert, senza badare alla forma, confidenzialmente) per un giorno e una notte almeno, per tornare alla nuda fonte di vita di tutti noi - al seno della grande, silenziosa e selvaggia Madre che tutto accoglie. Ahim, quanti di noi sono ormai cos saturi - quanti hanno deviato, allontanandosi tanto che il ritorno quasi impossibile. Ma torniamo alle mie note, prendiamole come vengono, cos a caso dal mucchio, senza una selezione particolare. C' poco ordine nelle date: coprono confusamente un periodo di circa cinque o sei anni. Sono state buttate gi a matita sul momento e sul luogo, senza attenzione. I tipografi lo impareranno a loro spese, probabilmente, dato che un buon numero delle copie in mano loro deriva da quelle prime note vergate frettolosamente. UCCELLI MIGRANTI A MEZZANOTTE
Vi mai capitato di udire a met notte il volo di uccelli che passano, eserciti sterminati, alti nell'aria e nel buio, mutando la loro sede all'inizio o alla fine dell'estate? qualcosa che non si dimentica. Un amico mi ha svegliato la notte scorsa poco dopo le dodici perch udissi anch'io il particolare rumore di stormi insolitamente immensi che migravano verso nord (piuttosto tardi quest'anno). Nel silenzio, nell'ombra e nel delizioso odore di quell'ora (il profumo naturale che appartiene soltanto alla notte) mi parve rara musica. Si poteva sentire il loro movimento caratteristico e una volta o due l'impeto di ali possenti, ma pi spesso un frusco vellutato, sostenuto - talora piuttosto vicino - tra un fischiare continuo, un cinguettare, e qualche nota di canto. Dur dalle 12 sin dopo le tre. A tratti era possibile distinguere chiaramente le varie specie di uccelli; riuscii a riconoscere il bobolinco, la tanagra, il tordo di Wilson, il passero testa-bianca, e di tanto in tanto dall'alto venivano le note del piviere. CALABRONI
Maggio - mese di uccelli che sciamano, cantano, si accoppiano - il mese dei calabroni - mese del lill in fiore - (e infine il mese della mia nascita). Sto prendendo queste note fuori all'aperto, poco dopo l'aurora, dalle parti del ruscello. Luci, profumi, melodie - pettazzurri, beccafichi e pettirossi ovunque - il loro concerto naturale, il chiasso, i vocalizzi. Come sottofondo, un picchio nelle vicinanze che tamburella il suo albero e, in distanza, la buccina di un gallo. Poi i freschi profumi della terra - i colori, i delicati beige e gli azzurri sfumati della prospettiva. Il verde lucente dell'erba ha acquistato, in questi due ultimi giorni di temperatura mite e di umidit, una tonalit nuova. Come si leva silenziosamente il sole nel gran cielo limpido, per il suo viaggio quotidiano! Come inondano ogni cosa i suoi tiepidi raggi, come fluiscono carezzevoli, quasi ardenti sul mio viso! Poco fa, ecco il gracido delle rane dello stagno, e il primo biancore del corniolo fiorito. E ora la bocca-di-leone, dorata, che in infinita profusione chiazza ovunque il terreno. Le bianche masse fiorite del ciliegio e del pero - le viole selvatiche coi loro occhi azzurri levati a salutare i miei com'io passo gironzolando al bordo del bosco - la vampa rosata dei meli in boccio - la luminosa sfumatura smeraldina dei campi di frumento - il verde pi cupo della segala - una tiepida elasticit diffusa nell'aria - le macchie di cedro ricoperte da una profusione di piccoli frutti bruni - l'estate in pieno risveglio - i convegni di merli radunati in garruli stormi su qualche albero non lontano da dove io sto seduto, che riempiono del loro chiasso il luogo e l'ora.
Pi tardi. La Natura sfila in parata, a scaglioni, come i corpi d'armata d'un esercito. E tutti hanno fatto, e fanno ancora, molto per me. Ma negli ultimi due giorni stata soprattutto la grossa ape selvatica, il calabrone o bombo, come lo chiamano i bambini. Quando percorro passeggiando, o meglio claudicando, il tratto tra la casa e il ruscello, io attraverso di solito il viottolo cui ho gi fatto cenno, fiancheggiato dalla vecchia staccionata tutta spaccature, schegge, interruzioni, buchi, ecc., che la sede preferita di quegli insetti rombanti e pelosi. Su e gi lungo lo steccato e intorno e in mezzo essi sciamano e sfrecciano e volano a miriadi infinite. Spesso, mentre mi trascino lentamente, mi seguono in una mobile nuvola. Hanno un ruolo centrale nei miei vagabondaggi mattutini, meridiani o vespertini, e riescono talora a dominare il paesaggio in un modo per me incredibile, invadendo il sentiero in tutta la sua lunghezza - non dozzine, n centinaia, bens migliaia. Grossi e vivaci e veloci, con fantastici slanci e quel ronzo in perenne crescendo variato a tratti da qualcosa come uno strido, saettano in rapidi lampi, avanti e indietro, dandosi la caccia, e (sebbene cos piccoli) mi comunicano un nuovo e spiccato senso di forza, di bellezza, vitalit e movimento. questa forse la stagione degli amori? o qual' allora il significato di tutta questa pienezza, vivacit, tensione, sfoggio? Camminando, pensavo di essere seguito da un unico sciame, ma osservando vidi che si trattava di una rapida successione di sciami che si alternavano, uno dopo l'altro. Scrivo seduto sotto un gran ciliegio selvatico - il calore del giorno temperato da qualche nuvola sparsa e da una fresca brezza, non troppo forte n troppo lieve - e qui resto seduto per un lungo, lunghissimo tempo, avviluppato nel profondo, musicale ronzo di questi calabroni che a centinaia volteggiano, si librano, sfrecciano avanti, indietro, intorno a me - grossi insetti in giacchetta giallo chiaro, gran corpi rigonfi e lustri, testa tozza e ali di garza - vibrando quel loro perenne, ricco, pastoso ronzo (non v' qui forse lo spunto di una composizione musicale di cui esso dovrebbe costituire il sottofondo? una qualche sinfonia del calabrone?). Come tutto ci mi nutre, mi culla, nel modo che pi mi necessario - l'aria aperta, i campi di segala, i pometi. Gli ultimi due giorni sono stati perfetti quanto a sole, brezza, temperatura, tutto; mai viste due giornate pi perfette, e ne ho goduto immensamente. La mia salute va un pochino meglio, il mio spirito in pace (e tuttavia si avvicina a gran passi l'anniversario della perdita pi triste, del dolore pi grande della mia vita). Altre note, altro giorno perfetto: in mattinata, dalle 7 alle 9, due ore immerso nei suoni dei calabroni e nella musica degli uccelli. Tra i meli e su un cedro qui accanto c'erano tre o quattro tordi dal dorso color ruggine, cantavano, ognuno dando il meglio di s, e con gorgheggi di cui non ho mai udito l'eguale. Per due ore mi sono abbandonato a loro, ascoltandoli, assorbendo indolente la scena. Quasi ogni uccello da me osservato ha un suo periodo particolare ogni anno - limitato talora a pochi giorni in cui d il meglio del suo canto; e adesso appunto il periodo di codesti tordi. Intanto, da una parte all'altra del sentiero, sfrecciano musicali, ronzanti, i calabroni. Ecco un altro grande sciame che mi fa da scorta mentre torno a casa, seguendomi al passo, come prima. Due o tre settimane pi tardi - scrivo seduto presso il ruscello, sotto un liriodendro alto 70 piedi, tutto gonfio della fresca verzura della sua prima maturit - una cosa bella - perfetto in ogni ramo, ogni foglia. Brulica da capo a piedi di miriadi di queste api selvatiche alla ricerca del dolce succo dei fiori, e il cui sonoro e persistente ronzo fa da contrappunto alla scena, al mio stato d'animo e all'ora. A chiusura del tutto citer alcuni versi dal volumetto di Henry A. Beers: Mentre ero steso nell'erba alta pass un calabrone ubriaco, inebriato di succo di miele. La cinta d'oro intorno al corpo riusciva appena a tenergli la pancia gonfia d'umor di caprifoglio. Liquor di rosa e linfa di pisello
gli avean colmato l'anima di canti; molto aveva bevuto nella tpida notte, le cosce pelose eran umide di rugiada, e a che giochi bizzarri s'era dato mentre il mondo ruotava nell'ombra e nel sonno. Quante volte era sceso con labbra assetate a sugger di un fiore le nettree dolcezze; e o scivolava sui petali vellutati o in stami intricati s'invischiava o, a capofitto nel polline caduto, ne usciva tutto spolverato d'oro; o inciampava con le grosse zampe sopra una gemma, e capitombolava in mezzo all'erba - e l restava, in quel suo tono dolce di basso a brontolare - povero bombo, querulo beone! COCCOLE DI CEDRO
Girando oggi in calesse per la campagna - una gitarella di dieci o dodici miglia - il piacere pi grande m' venuto proprio da questi frutti affatto particolari, la loro bellezza modesta e nuova (non li avevo mai visti cos bene, o non li avevo mai notati prima), - quella profusione di seriche frange, o filacce giallo-chiaro, lunghe un pollice, che in numero infinito picchiettavano il verde cupo dei piccoli cedri - un ottimo contrasto col color bronzo delle zolle - le masse dei cespugli tutte ricoperte dai filamenti spumosi, come matasse di capelli arruffati su teste di elfo. Pi tardi, passeggiando presso il ruscello, ne spiccai una dal suo cespuglio, che voglio conservare. Queste coccole di cedro durano tuttavia solo un breve spazio di tempo, poi subito si crepano e sfanno. SCENE ESTIVE, INDOLENZA
10 giugno. Sono qui presso il ruscello, a scrivere - 5 e mezzo pomeridiane - niente pu eguagliare il quieto splendore e la freschezza che mi circondano. A met giornata s' avuto un violento acquazzone, con tuoni e lampi, ma breve; e dopo, alto sopra di noi, uno di quei cieli non rari, forse, ma indescrivibili (per qualit, non nelle forme o nei dettagli) - di un azzurro terso con cumuli roteanti di nubi dalle frange argentate, e la pura luce di un sole abbagliante. Per sottofondo, alberi nella pienezza di teneri fogliami - e liquide, sottili, strascicate note d'uccelli, cui fan da supporto lo smanioso miagolio di una querula dumetella, e i deliziosi gridoli e trilli di due martin-pescatori. Ho trascorso quest'ultima mezz'ora a osservarli nei loro giuochi d'ogni sera, dentro e sopra il pelo dell'acqua: evidentemente in una delle loro baldorie pi vivaci. Si inseguono volteggiando in cerchi e mulinelli, tuffandosi d'un tratto con un guizzo gioioso, schizzando diamantine gocce di spuma - e poi via in un'impennata, le ali inclinate in voli pieni di grazia, talvolta cos vicini a me ch'io posso agevolmente distinguerne il corpo piumato grigio-scuro e il collo d'un bianco latteo. PROFUMO DEL TRAMONTO, LE NOTE DELLA QUAGLIA, IL TORDO EREMITA
19 giugno, dalle 4 alle 6.30 pomeridiane. Seduto presso il ruscello, da solo - solitudine intorno, ma il paesaggio abbastanza vivido e luminoso - c' il sole, e un vento piuttosto fresco (violenti sgrulloni di pioggia ieri notte), erba e alberi nella loro veste migliore - il chiaroscuro dei molti verdi, ombre e penombre, e negli interstizi il lampeggiar dell'acqua, con variegati effetti di luce - le note di flauto silvestre di una quaglia vicina - e, proprio ora, lo sciacquio di qualche raganella laggi nello stagno cornacchie che crocidano in distanza - un branco di maialini che grufola nella terra morbida presso la quercia dov'io sono seduto - alcuni mi si accostano, mi annusano, e sgambettano via subito, grugnendo. E sempre le limpide note della quaglia - il tremolo dell'ombra delle foglie sulla carta mentre scrivo - il cielo altissimo, con nuvole bianche, e il sole che gi scende a ponente - rondini riparie, molte, che sfrecciano veloci, vanno e vengono, i nidi scavati in un costone di marna qui vicino - l'aroma del cedro e della quercia, sempre pi acuto come avanza la sera - profumo, colore, il bronzo-oro del grano ormai quasi maturo - campi di trifoglio dall'odore di miele - il granturco ormai alto, con le lunghe foglie fruscianti - le grandi chiazze verde cupo delle patate in pieno rigoglio, tutte picchiettate di bianco, i fiori - l'antica, verrucosa, venerabile quercia sopra di me - e sempre, commisto alla duplice nota della quaglia, il sospiro del vento tra un gruppo di pini qui accanto. Mi alzo per ritornare, ma indugio ancora a un delizioso canto d'epilogo ( il tordo eremita?) che viene da qualche angolo cespuglioso laggi nella chiana, ripetuto pi volte, lentamente, pensosamente. E questo tra le girandole delle rondini che volano a dozzine in anelli concentrici negli ultimi barbagli del tramonto, quasi scintille di un'aerea ruota. POMERIGGIO DI LUGLIO ALLO STAGNO
Caldo rovente, ma tanto pi sopportabile in quest'aria pura - i fiori rosa e bianco delle piante acquatiche, con grandi foglie a forma di cuore; la superficie di vetro dello stagno, le sponde fitte di cespugli, e i faggi pittoreschi, e l'ombra e il tappeto dell'erba; il fischio esile, tremulo, di un uccello che da qualche angolo nascosto viene a rompere questo silenzio caldo, indolente, quasi voluttuoso; di tanto in tanto una vespa) un calabrone, una pecchia o un bombo (mi ronzano attorno alle mani e al viso, ma non mi disturbano, come io non disturbo loro, dacch vengono, sembra, a esaminarmi, e non trovando nulla di interessante se ne vanno) - in alto, l'ampio spazio del cielo, cos limpido, e lass la poiana che spiega le sue lente ruote in un solenne intreccio di cerchi e spirali; quasi a fior d'acqua sullo stagno, due grandi libellule color ardesia, ali di merletto, che ruotano e sfrecciano e a tratti si librano immobili, le ali sempre frementi (non staran forse dando spettacolo per mio godimento?) - e lo stagno poi, coi suoi calami a forma di spada; le bisce d'acqua - talora il trasvolar veloce d'un merlo, il dorso picchiettato di rosso, di sbieco - i suoni che fanno pi spiccata la solitudine, il caldo, la luce e l'ombra - lo starnazzare di un'anitra - (cavallette e grilli sono muti nella calura meridiana, ma gi sento il canto delle prime cicale); - poi, a una certa distanza, lo sbacchiare e il frullare di una mietitrice che i cavalli tirano a passo veloce per un campo di segale dall'altra parte del ruscello - (ma che cos'era quell'uccello giallo o color ocra, grosso come una pollanca, il collo tozzo e le zampe distese, che ho appena visto svolazzare goffamente laggi tra gli alberi?) - il profumo dominante, cos delicato, eppur nettamente percepibile, pungente, d'erba e di trifoglio che ho nelle nari; e su tutto, in un grande abbraccio, il libero spazio del cielo, per i miei occhi e per la mia anima, trasparente e azzurro - e, librata laggi ad occidente, una massa di quelle nuvole lanose tra il bianco e il grigio che i marinai chiamano banchi di maccarelli - il cielo con bioccoli argentei come riccioli di una capigliatura scomposta, che si espande e protende - un
vasto simulacro senza voce, senza forma - e tuttavia forse la realt pi reale, quella in cui si formulano tutte le cose - chiss? CATIDI E LOCUSTE
22 agosto. Acute monodie di locuste, o suoni di catidi - odo questi a sera, le altre sia di giorno che di notte. Ho sempre ritenuto incantevole il gorgheggio mattutino degli uccelli, o quello della sera; ma sto scoprendo ora di poter ascoltare con altrettanto gusto questi strani insetti. Si sente adesso mentre scrivo un'unica locusta, poco prima di mezzogiorno, da un albero a un duecento piedi di distanza - un frullo lungo, sostenuto, piuttosto forte, che si scandisce gradatamente in mulinelli e giri ritmati, crescendo in forza e velocit fino a un certo punto - poi una caduta palpitante, che va a smorzarsi quieta. Codesti slanci si protraggono per uno o due minuti. Il canto della locusta molto appropriato alla scena - vien fuori a fiotti, ha un senso suo, virile, come un buon vino vecchio, non dolce, ma assai meglio che se fosse dolce. Ma la catide - come descrivere le sue frasi mordenti? Ce n' una che canta su un salice proprio di fronte alla finestra aperta della mia camera da letto, a venti iarde di distanza; in queste ultime due settimane stata lei a cullarmi al sonno quando la notte era bella. L'altra sera ho percorso in calesse un tratto di bosco di un cinquecento iarde, e ho udito catidi a miriadi - molto interessante, per una volta; ma io preferisco la mia solitaria vicina del salice. Ma lasciatemi dire ancora qualcosa sul canto della locusta, anche a costo di ripetermi: quel crescendo cromatico, prolungato e tremulo, simile a un disco d'ottone che turbini su se stesso emettendo ondate di note, principiando con un certo ritmo o misura che direi moderati, aumentando quindi rapidamente velocit ed enfasi fino a raggiungere un punto di grande energia e suggestione, per poi decrescere velocemente e con grazia fino a spegnersi del tutto. Non la canora melodia dell'uccello nulla di simile - un musicista grossolano potrebbe anzi trovarlo affatto privo di melodia - ma un canto che certo svela a un orecchio pi raffinato un'armonia tutta particolare; monotono - ma che ritmo in quel basso, ondulato ronzio come d'ottone, o cembali - o piuttosto dischi di rame che ruotino vorticosamente. LA LEZIONE DI UN ALBERO
1 settembre. Non ricorrer all'albero pi grande n al pi pittoresco per illustrarla. Ecco di fronte a me uno dei miei preferiti, un bel pioppo giallo, dritto come un fuso, forse 90 piedi di altezza e quattro di spessore alla base. Come forte, vitale, paziente! come eloquente nel suo silenzio! E come sa suggerirvi imperturbabilit e essenza, in contrasto con la caratteristica tutta umana della mera parvenza. E poi le qualit, quasi emotive, visibilmente artistiche, e eroiche, proprie dell'albero: cos innocente e innocuo, e tuttavia cos selvaggio. Esiste, e non dice verbo. Ma con la sua solida e inalterabile serenit come si fa beffe delle stagioni e di quel moscerino ventoso che l'uomo, che al primo sbruffo di pioggia o di neve si precipita dentro casa. La scienza (o meglio la mezza scienza) deride ogni memoria di driadi e amadriadi e alberi parlanti. Ma, se non parlano, gli alberi si esprimono altrettanto bene della maggior parte dei discorsi, libri, poesie e sermoni - o piuttosto assai meglio. Direi anzi che quelle antiche reminiscenze driudiche sono quanto mai veritiere, e pi profonde della maggior parte delle nostre reminiscenze. (Ritagliate l'avviso, come dicono i medicastri, potrebbe servirvi). Vai a sederti
in una macchia o nei boschi, con uno o pi di quei muti compagni, leggi quanto si appena detto, e medita. Una delle lezioni che derivano dalla comunanza con un albero - forse la pi grande lezione morale che ci venga comunque dalla terra, dalle rocce e dagli animali - appunto questa medesima lezione di sostanza, di ci che la cosa senza riguardo alcuno per quel che l'osservatore (il critico) possa supporre o dire, o se gli piaccia o meno. Quale malattia peggiore - quale pi generalmente diffusa tra noi, tutti e ciascuno, nella nostra letteratura, cultura, atteggiamenti dell'uno verso gli altri (e anche verso noi stessi), di quella morbosa preoccupazione per le apparenze (e in genere apparenze del momento), accompagnata dall'assenza totale o quasi di qualsiasi preoccupazione per i lati sani, di lenta maturazione, duraturi, reali del carattere umano, dei libri, dell'amicizia, del matrimonio - le fondamenta invisibili e il tessuto connettivo dell'umanit? (giacch la base del tutto, il nerbo, il gran simpatico, il solido nucleo interno dell'umanit, quello che d l'impronta a ogni cosa, necessariamente invisibile). 4 agosto, 6 pom. Luci e ombre, effetti prodigiosi sul fogliame degli alberi e l'erba - trasparenze di verdi, grigi, ecc., il tutto nella screziata pompa del tramonto. I vividi raggi cadono ora in molti luoghi inusi, sulla parte inferiore degli alberi, inclinata, scalfita, d'un color bronzo slavato, sempre in ombra tranne a quest'ora - ne investono adesso con forte luce l'antica eppure giovane rugosit colonnare, dispiegando ai miei sensi nuove e stupefacenti fattezze d'un fascino silenzioso e ispido, la solida corteccia, l'espressione di innocua impassibilit, le molte protuberanze e i nodi mai notati prima. Tra le rivelazioni di questa luce, di questa ora eccezionale e di questo stato d'animo, non ci si stupisce pi delle favole antiche (dopo tutto, perch favole?) in cui gli uomini erano presi d'amore per gli alberi, rapiti in estasi dal mistico realismo della forza in essi racchiusa, tacita e irresistibile - forza, che dopo tutto forse l'estrema, la pi completa, la pi alta forma di bellezza. Alberi che conosco bene qui. Querce (molte variet - un quercione antico pieno di vita, verde, frondoso, cinque piedi di spessore alla base, sotto il quale vado a sedermi ogni giorno). Cedri, in quantit. Tulipiferi (il Liriodendro, della famiglia delle magnoglie - nel Michigan e nell'Illinois del Sud ne ho visti di alti 140 piedi, 8 di spessore alla base;* trapianto difficile; viene su meglio dal seme - i boscaioli lo chiamano pioppo giallo). Sicomori. Alberi della gomma, dolce e amara. Faggi Noci neri. Sassafrassi. Salici Catalpe Ebani Sorbo selvatico Noci americani Aceri, molti tipi Carrubi. Betulle Corniolo Pino L'olmo
Castagno Tiglio Pioppo tremulo Abete rosso Carpine Alloro Agrifoglio * C', a un tiro di schioppo da Woodstown, un liriodendro la cui circonferenza misura venti piedi a tre piedi da terra, e il diametro quattro piedi a circa diciotto di altezza del tronco, che spezzato tre o quattro piedi pi su. Dal fianco volto a mezzogiorno spuntato un braccio da cui s'alzano due rami, ambedue fino a novantuno, novantadue piedi circa dal suolo. Venticinque anni fa (o pi) la cavit alla base del tronco era tanto ampia che nove uomini potevano pranzarci dentro, tutti insieme. Si crede che oggi potrebbero starvi in piedi da dodici a quindici uomini alla volta. Sembra che i terribili vnti del 1877 e '78 non gli abbiano arrecato danno, e i due rami metton fuori ogni anno i loro bocci, diffondendo subito nell'aria intorno il loro soave profumo. Si trova su una collina, completamente privo della protezione di altri alberi - Woodstown, N. Y. Gazzetta, 15 Aprile '79 (N. d. A.). SCORCI AUTUNNALI
20 settembre. Sotto una vecchia quercia nera, lucida e verde, che alita aromi - in un boschetto che avrebbe potuto ospitare i druidi d'Albione - ravvolto nel tepore e nella luce del sole meridiano, e sfreccianti sciami d'insetti - tra il roco crocidio di molte cornacchie a un cinquecento iarde di distanza eccomi seduto in solitudine, assorbendo, godendo ogni cosa. Il granturco ammassato in covoni conici d'un colore tra il ruggine e il giallo vizzo - un gran campo tutto picchiettato di zucche oro-scarlatto - e un altro, confinante, di cavoli, che fan bella mostra nel loro verde perlaceo screziato dalla luce e dall'ombra copiose - campi di meloni coi loro ovali rigonfi e le grandi foglie striate d'argento, ricciute, slabbrate - e molte altre immagini e suoni d'autunno - lo strido lontano d'un branco di faraone - e profusa su tutto la brezza settembrina, col suo ritmo pensoso tra le vette degli alberi. Un altro giorno. Il suolo tutto disseminato dei relitti d'una tempesta. Percorro lentamente la sponda del Timber, il torrente s' abbassato, e mostra i segni della piena turbolenta dell'ultimo equinozio. Mi guardo intorno e faccio l'inventario - erbe e arbusti, dossi, viottoli, qua e l ceppi d'albero, alcuni levigati in cima (parecchi mi fanno da sedile quando mi riposo ora in un posto ora nell'altro, da uno di questi che ora sto prendendo appunti) - molti fiori selvatici, macchioline bianche a forma di stella, o il rosso cardinalizio della lobelia, e i semi rotondi simili a ciliegie della rosa perenne, o le viti dai molti viticci che s'arrampicano avviluppandosi intorno agli alberi. 1, 2 e 3 ottobre. Ogni giorno di nuovo nella solitudine del ruscello. Sereno sole autunnale e brezza di ponente oggi (il 3) mentre sto qui seduto e dinanzi a me la superficie dell'acqua s'increspa con grazia al vento. Sopra un vecchio enorme faggio sul ciglio dell'acqua, imputridito e pencolante, quasi caduto nel ruscello, ma con le membra muschiose ancora ricche di vita e di foglie, scorrazza uno scoiattolo grigio in esplorazione, sventaglia la coda, balza a terra, al vedermi si ferma ritto sulle cosce (un indizio darwiniano?) e risale precipitosamente sull'albero.
4 ottobre. Nuvolo, ha rinfrescato; segni dell'inverno incipiente. Eppure bello qui, con le foglie che cadono fitte e la terra che ne gi fatta bruna; sfarzo di colori, tutti i toni del giallo, verdi pallidi e cupi, gradazioni di rosso dal pi tenue al pi carico - tutti incorniciati e smorzati dal bruno dominante della terra e dal grigio del cielo. Dunque sta venendo l'inverno, e io sono sempre malato. Rimango qui seduto tra queste visioni incantevoli e queste influenze vitali, e mi abbandono a quel pensiero, con tutto il suo errabondo corteo di meditazioni. IL CIELO - GIORNI E NOTTI - FELICIT
20 ottobre. Giorno terso, frizzante - aria asciutta e ricca d'ossigeno, un po' di brezza. Tra i salubri, silenziosi e splendidi miracoli che mi avvolgono e mi commuovono - alberi, acqua, erba, sole e prime brine - quello che oggi sto osservando di pi il cielo. Ha l'azzurro delicato e trasparente proprio dell'autunno, le sue uniche nuvole sono candide, piccole o poco pi grandi, e trasmettono alla gran conca il loro movimento calmo e spirituale. Durante la prima parte del giorno (diciamo dalle 7 alle 11) si mantiene d'un azzurro puro ma vivido. Ma approssimandosi mezzogiorno il colore sbiadisce, si fa grigio per due o tre ore - poi ancora pi pallido per un breve periodo, fino al tramonto - quest'ultimo mi fermo a contemplarlo mentre sfiamma tra gli interstizi di un poggio fitto di grossi alberi - dardi di fuoco e fantastico sfoggio di giallo-chiaro, rosso-bruno e scarlatto, con un disteso lucore argenteo obliquo sull'acqua - ombre diafane, frecciate di luce, sfavillo, e colori vividi come nei quadri non si son mai visti. Non so perch n come, ma mi sembra che proprio grazie a codesti cieli (talora penso che pur avendoli naturalmente visti ogni giorno della mia vita, in realt io non abbia mai visto i cieli prima d'ora) ho goduto quest'autunno alcune ore di meravigliosa contentezza - o non potrei forse dire di felicit perfetta? Ho letto che Ryron in punto di morte disse a un amico di non aver conosciuto in tutta la sua vita che tre ore di felicit. Sullo stesso argomento v' anche l'antica leggenda tedesca della campana del re. Mentre mi trovavo lass presso il bosco, con quel bel tramonto tra gli alberi, ripensavo a Byron e alla storia della campana, e si fece strada in me, di colpo, la consapevolezza che stavo vivendo un'ora di felicit. (Sebbene forse dei momenti migliori io non riesca mai a prender nota: quando giungono non posso permettermi di spezzare l'incanto redigendo memorie; mi abbandono allo spirito del momento, null'altro, e lo lascio fluire e trascinarmi nella sua placida estasi). Che cos', in fondo, la felicit? questa un'ora di felicit, o qualcosa che le somiglia? - cos impalpabile - solo un soffio, una sfumatura evanescente? Non saprei dirlo - mi lascer il beneficio del dubbio. Forse nelle Tue profondit azzurrine, Tu sommamente luminoso, hai un rimedio per casi come il mio? (ah, lo sfacelo fisico e lo spirito tormentato di questi miei tre anni!) Non starai Tu ora distillandolo sottilmente, misticamente nell'aria, che piova invisibile su di me? Notte del 28 ott. I cieli di una trasparenza insolita - le stelle fuori a miriadi - il gran sentiero della Via Lattea con tutte le sue diramazioni, visibili solo in notti limpidissime - Giove, che sta tramontando a ponente, sembra un enorme schizzo lanciato a caso, e ha una piccola stella per compagna. Vestito dei suoi abiti bianchi Lentamente nella tonda arena deserta entr il bramino, Conducendo un bimbo per la mano Come la luna Giove in un cielo notturno senza nubi.
(Antico poema ind) Primi di novembre. All'altra estremit, la terra che ho descritto s'apre in un ampio pianoro erboso di pi di venti acri, che declina leggermente dalla parte sud. Qui vengo solitamente a passeggiare quando voglio godermi la vista del cielo o alcuni effetti particolari, sia al mattino che al tramonto. Su questi campi oggi la mia anima in pace e dilatata oltre ogni possibile descrizione, dopo l'intera mattinata trascorsa qui, grazie alla gran cupola di limpido azzurro, senza nubi, senza nulla di speciale, solo cielo e luce. Come dolce accompagnamento, foglie d'autunno, l'aria secca e frizzante, il lieve aroma - corvi che gracchiano in distanza - due grandi poiane che ruotano lente e aggraziate lass di quando in quando il murmure del vento, talora delicatissimo, - poi minaccioso tra gli alberi - un gruppo di contadini che caricano covoni in un campo di granturco non distante, e i cavalli che attendono pazienti. COLORI - UN CONTRASTO
Un tal giuoco di colori e di luci, come variano le stagioni, le ore del giorno - le linee del lontano orizzonte dove l'orlo sfocato del paesaggio si perde nel cielo. Mentre ripercorro zoppicando il sentiero, al morire del giorno, ecco scoppia un tramonto incomparabile, zaffiro e oro liquefatti, pioggia di dardi tra i filari del granturco dalle lunghe foglie, a mezza via tra me e l'occidente. Un altro giorno. Il sontuoso verde-cupo dei magnoli e delle querce, il grigio dei salici d'acquitrino, i toni spenti dei sicomori e dei noci americani, lo smeraldo dei cedri (dopo la pioggia), e il giallo delicato dei faggi. 8 NOVEMBRE 1876
Mattinata plumbea, nuvolosa, non proprio freddo n umido, ma preludio dell'uno e dell'altro. Scendo quaggi zoppicando, mi siedo presso lo stagno silenzioso - quanto lontana l'eccitazione con cui oggi milioni di persone nelle citt attendono notizie dell'elezione del Presidente, avvenuta ieri, ne ricevono e discutono i risultati - in questo luogo tagliato fuori dal mondo, di cui nessuno si cura e che nessuno conosce. CORNACCHIE A STORMI
14 novembre. Un tiepido languore di sole mi inonda, mentre sto qui seduto presso il ruscello a riposare, dopo la mia passeggiata. Non suoni se non un gracidar di cornacchie, non movimenti se non le loro nere forme in volo riflesse dall'alto nello specchio dello stagno sottostante. Invero uno dei lineamenti essenziali della scena di oggi sono proprio queste cornacchie, il loro gracchiare incessante, vicino o lontano, e i loro innumerevoli stormi, processioni trasmigranti da un luogo all'altro, miriadi d'uccelli, che a volte quasi abbuiano l'aria. Mentre mi siedo un attimo sulla sponda a scrivere queste
note, riflesse gi nello stagno scorgo le loro nere, nitide forme trasvolare lo specchio dell'acqua a una, a due, o in lunghe file. Tutta notte ho udito il chiasso del loro gran nido in un bosco vicino. GIORNATA D'INVERNO SULLA SPIAGGIA
Un luminoso meriggio di dicembre ho trascorso recentemente sulla spiaggia del New Jersey, raggiunta in poco pi di un'ora di treno sulla vecchia linea Camden-Atlantic. Ero partito per tempo, rinfrancato da un bel caff forte e da una buona colazione (preparata dalle mani che amo, quelle della mia cara sorella Lou - come migliora allora il gusto delle vivande, come si assimilano facilmente, e vi dan forza, rendendo magari pi piacevole l'intera giornata che viene). A cinque o sei miglia dal termine, la strada ferrata entr in una vasta regione di prati salati, intersecati da lagune e frastagliati per ogni dove da corsi d'acqua. Il profumo dei carci, delizioso alle mie narici, mi ricorda il mash, e la baia meridionale della mia isola nativa. Avrei potuto continuare a viaggiare felice fino a notte in quelle praterie marine piatte e odorose. Dalle undici e mezzo alle due rimasi quasi ininterrottamente sulla spiaggia, o in vista dell'oceano, ascoltandone il mormoro roco e respirando a pieni polmoni le sue brezze tonificanti e gradite. Dapprima una corsa veloce di cinque miglia sulla sabbia dura - le ruote della nostra carrozza quasi non vi lasciavano segno. Poi, dopo pranzo (c'erano circa due ore libere), mi incamminai in un'altra direzione (direi di non aver visto n incontrato anima viva), e insediatomi in quella che all'apparenza sembrava la sala di ritrovo di un vecchio stabilimento di bagni, ebbi tutta per me la vista di un'ampia distesa di paesaggio - strano, aperto, vivificante - un'asciutta area di carici e d'erba indiana immediatamente di fronte e tutt'intorno a me - spazio, semplice spazio disadorno. Vascelli in distanza, e il remoto e appena visibile filo di fumo di un vapore diretto a terra; pi chiari in vista, bastimenti, brigantini, golette, i pi con tutte le vele spiegate al vento, che era robusto e costante. L'attrazione, il fascino del mare e della costa! Come ci si perde nella loro semplicit, vacuit persino! Che cosa c' in noi, che viene risvegliato da quei suggerimenti diretti e indiretti? Quella distesa d'onde e di rena bianco-grigia, salata, monotona, ottusa - un'assenza cos totale d'arte, libri, conversazioni, eleganza - cos indescrivibilmente rasserenante persino in questa giornata d'inverno austera, ma con un che di delicato, cos spirituale - capace di smuovere impalpabili abissi di emozione, pi sottili di qualsiasi poesia, pittura o musica ch'io abbia mai letto, visto o udito. (Ma a esser sinceri, non sar proprio perch ho letto quelle poesie e ascoltato quella musica?) FANTASIE DELLA SPIAGGIA
Sin da bambino avevo la fantasia, il desiderio di scrivere qualcosa, forse una poesia, sulla spiaggia marina - quella linea divisoria e allusiva, contatto, unione, il solido che sposa il liquido quella cosa inafferrabile e strana (al modo che, immancabilmente, ogni forma oggettiva finisce per apparire allo spirito soggettivo), che significa molto di pi di quanto non sembri a prima vista, per grandiosa che sia - fusione di reale e ideale, e l'uno fatto parte dell'altro. Ore e giorni ho passato, durante la mia giovinezza e prima virilit a Long Island, vagabondando per le spiagge di RocLaway e Coney Island o, pi a est, fino agli Hamptons o Montauk. In quest'ultimo posto una volta (presso il vecchio faro, senz'altro in vista che lo scavallar del mare in ogni direzione, fin dove giungeva lo sguardo) sentii, ricordo bene, di dover un giorno scrivere un libro che desse forma a questo liquido, mistico tema. E rammento come venne in seguito l'intuizione che, anzich il tema di un particolare tentativo lirico, epico o letterario, la riva del mare dovesse costituire una influenza invisibile, la
pervasiva presenza, nella mia composizione, di una misura e di un controllo. (Permettete che io dia qui un suggerimento ai giovani scrittori. Non so se, inconsciamente, io non abbia seguito la stessa norma con altre potenze naturali, oltre al mare e alla spiaggia - evitandole, evitando cio ogni aprioristica intenzione di farne poesia, in quanto troppo vaste per un trattamento formale - ben contento se solo riuscissi indirettamente a suggerire che ci siamo incontrati e fusi, anche una volta sola, ma a sufficienza - che ci siamo realmente assorbiti a vicenda e ci comprendiamo). V' un sogno, un'immagine, che per anni, a intervalli (molto lunghi a volte, ma sempre con la certezza del ritorno a tempo dovuto) mi si silenziosamente ripresentata, e che io veramente credo, pur se mera finzione, entrata in larga misura nella mia vita d'ogni giorno - nei miei scritti senza dubbio, cui ha dato forma e colori. Questa null'altro che un'interminabile distesa di sabbia bianco-sporco, dura e liscia e larga, con l'oceano che perennemente, maestosamente, vi si rovescia sopra con ritmo lento e misurato, e frusci e fischi e schiuma, e molti colpi sordi come di timpani scuri. Questa scena, quest'immagine, dico, mi si ripresentata a volte per anni. Talora svegliandomi la notte posso udirne il suono e vederla nitidamente. IN MEMORIA DI THOMAS PAINE Conferenza tenuta alla Lincoln Hall di Filadelfia domenica 28 genn. '77, per il 140 anniversario della nascita di T. P. Circa trentacinque anni fa, a New York, alla Tammany Hall, di cui ero a quel tempo un frequentatore, conobbi casualmente e presi a praticare l'amico forse pi intimo di Thomas Paine, e per certo il compagno pi fedele dei suoi ultimi anni, il colonnello Fellows, un vecchio signore assai distinto che forse qualcuno degli sparsi superstiti di quel tempo e di quel luogo ricorda ancora. Se me lo permettete, vorrei prima descrivervi il Colonnello in persona. Era alto, portamento militare, direi sui 78 anni, capelli bianchi come neve, faccia ben rasata, molto accurato nel vestire, marsina azzurra con bottoni di metallo, panciotto di pelle scamosciata, pantaloni color beige, e il collo, il petto e i polsi su cui spiccava la biancheria pi candida della terra. Bei modi in qualsiasi circostanza; buon parlatore ma non verboso, pienamente padrone di s, equilibrato, vivace e limpido quant'altri mai. Godeva di ottima salute sebbene cos anziano. Come impiego - era povero infatti - aveva un posto di usciere in qualche tribunale superiore: io usavo immaginarmelo ai bordi di una folla, molto pittoresco, con una lunga mazza in mano, con quella sua statura eretta e quella splendida testa scoperta, coi fitti capelli tagliati cortissimi. I giudici e i giovani avvocati, che lo avevano sempre in gran simpatia e rispetto, lo chiamavano Aristide. Era opinione generale tra questi che, se mai esisteva ancora, tra il municipio di New York e la Tammany, qualche residuo vitale di virile rettitudine e istinti di giustizia assoluta, questi erano da ricercarsi nel Col. Fellows. Egli amava i giovani, e gli piaceva intrattenersi con loro dopo una giornata di lavoro a chiacchierare a bell'agio tra un bicchiere di ponce e l'altro (tuttavia in queste occasioni egli non ne beveva mai pi d'uno); e fu proprio nelle frequenti riunioni di questo genere, nella vecchia saletta interna della Tammany Hall di allora, che egli mi parl a lungo di Thomas Paine. Durante uno di quei nostri incontri mi fece un resoconto dettagliato della malattia e della morte di Paine. In breve, da quei colloqui io uscii convinto, e lo sono ancora, che il mio vecchio amico, grazie ai suoi notevoli vantaggi, avesse ben calibrato mentalmente, moralmente e emotivamente l'autore di Common Sense e che, oltre a offrirmi un ritratto soddisfacente della sua persona e dei suoi modi, avesse colto con esattezza la misura interiore della sua personalit. L'atteggiamento pratico di Paine, come gran parte del suo credo teorico, era un misto della scuola francese e di quella inglese di un secolo fa, e il meglio di ambedue. Come molta gente dei tempi andati, beveva un bicchiere o due al giorno, ma non era n un bevitore n un intemperante, e men che mai un ubriacone. Viveva in modo semplice e sobrio, ma piuttosto bene - sempre allegro e cortese,
forse ogni tanto un po' brusco, come chi ha idee perentorie e sue sulla politica, la religione eccetera. Che egli abbia svolto bene e saggiamente il suo lavoro per gli Stati nel difficile periodo della loro gestazione e durante la germinazione profonda del loro carattere, mi sembra fuori dubbio. Non saprei dire quanto di ci che la nostra Unione oggi possiede e di cui usufruisce - l'indipendenza - l'ardente fede nei diritti fondamentali dell'uomo e il loro riconoscimento pratico - la separazione del governo da ogni potere ecclesiastico e dalle superstizioni - non saprei dire quanto di tutto ci sia dovuto a Thomas Paine, ma sono propenso a credere che in buona parte decisamente lo sia. Non era tuttavia mia intenzione addentrarmi in una analisi o in un elogio dell'uomo Paine. Volevo riportarvi indietro di una generazione o due, e darvi per via indiretta la visione di un momento e ventilarvi anche un'opinione, o meglio convinzione di quel tempo, molto onesta e credo autentica, frutto dei colloqui cui ho fatto cenno, di inchieste e contraddittri, e confermata in seguito dal meglio delle mie informazioni - l'opinione cio che Thomas Paine possedesse una nobile personalit, riconoscibile nella sua stessa persona fisica, viso, voce, abiti e modi, e in quel che potrebbe definirsi la sua atmosfera personale, il suo magnetismo; specialmente negli ultimi anni. Su questo io non ho dubbi. Quanto alle storie false e assurde che ancora circolano sulle circostanze del suo decesso, la cosa assolutamente fuor di dubbio si che, com'egli visse una buona vita nel suo genere, cos serenamente e filosoficamente trapass, secondo che a lui si addiceva. Egli serv l'Unione, ancora in stato embrionale, con preziosissimo servigio - un servigio di cui ogni uomo, donna o bambino dei nostri trentotto stati sta oggi ricevendo in qualche misura i benefici; e quanto a me, con animo gioioso e reverente ecco io depongo il mio ciottolo sul tumulo della sua memoria. Come tutti sappiamo, questo momento richiede ma ci sar mai un momento che non lo richieda? - che l'America apprenda a soffermarsi con pi attenzione su ci che di pi eletto possiede, il lascito dei suoi uomini pi onesti e fedeli - che ne preservi debitamente la fama, se questa riconosciuta - o che, se necessario, provveda a sgombrare le eventuali nubi che su tale fama si siano addensate e, lustrandola, la renda perennemente pi nuova, pi rispondente a verit, pi luminosa. DUE ORE DI NAVIGAZIONE TRA I GHIACCI
3 febb. '77. Dalle 4 alle 6 del pomeriggio tra i ghiacci, durante la traversata del Delaware (di ritorno alla mia casa di Camden) senza riuscire a prender terra. Un battello solido e robusto il nostro, e abilmente pilotato, ma vecchio e bizzoso, e poco disposto a seguire il timone. (La forza, cos importante in poesia e in guerra, anche il primo requisito di un vapore che batta acque invernali, con lunghi banchi di ghiaccio da combattere). Vagammo per pi di due ore, sballottati di qua e di l; l'invisibile flusso della marea ci trascinava spesso contro la nostra volont per tratti lunghissimi, lenta ma irresistibile. Guardandomi intorno, mentre baluginava ormai il crepuscolo, pensai che scena pi agghiacciante, artica, deprimente nella sua sinistra vastit non potesse presentarsi. Ci si vedeva ancora chiaramente: per miglia e miglia a nord e a sud, ghiaccio e ghiaccio e ghiaccio, spezzettato per lo pi, ma con qua e l un grosso blocco isolato, e l'acqua che sembrava scomparsa. La costa, i moli, spiazzi, tetti, imbarcazioni, tutto ammantato di neve. Un sottile vapore invernale si librava intorno e sopra il paesaggio, acconcio accompagnamento a quella sterminata distesa bianchiccia, dandole appena una sfumatura tra il metallico e il bruno. 6 Febb. Di nuovo sul battello delle 6 pom., diretto a casa; la trasparenza delle ombre viene man mano riempita ovunque da fiocchi di neve curiosamente radi, ma grossissimi, che scendono piano, leggermente di sbieco. Sulle coste, vicino o lontano, l'intermittente bagliore dei lampioni a gas appena accesi. Ghiaccio ora in blocchi crestati, ora in banchiglie galleggianti, tra cui il nostro battello procede
scricchiolando. La luce tutta permeata di quella particolare foschia vespertina, subito dopo il tramonto, che rende talora distintissimi oggetti molto lontani. OUVERTURES PRIMAVERILI - RICREAZIONI
10 febb. Oggi il primo ciangotto di un uccello, gi quasi canto. Ho notato poi una coppia di pecchie che piroettavano ronzando intorno alla finestra aperta, nel sole. 11 febbr. Nel rosa smorzato e oro pallido della luce che smuore, questa bella sera, ho udito il primo bruso, la preparazione della primavera al risveglio - debolissimo - nella terra forse, o nelle radici, o era lo smuoversi degli insetti, non so - ma lo potevo sentire, mentre me ne stavo appoggiato a una staccionata (sono tornato per un poco alla mia dimora di campagna) con lo sguardo fisso sull'orizzonte, a ponente. Volgendomi a est, come s'infittirono le ombre, vidi Sirio balzar fuori in accecante splendore. E il grande Orione; e poco pi a nord-est, il Gran Carro a pernio sull'asse. 20 febb. Un'ora solitaria e piacevole trascorsa al calar del sole presso lo stagno, esercitando braccia e torace e tutto il corpo su un gagliardo rampollo di quercia non pi spesso del mio polso, alto dodici piedi - tirando e spingendo, e aspirando l'aria buona. Dopo aver lottato per un poco con l'albero, sento zampillare dal suolo la sua giovane linfa e il suo valore, e spandermisi brucianti per il corpo dalla testa ai piedi, come un vino di salute. Allora, come completamento e diversivo, mi tuffo nei miei vocalizzi: urlo brani declamatori, sentimenti, dolore, ira ecc. da poeti e drammi di repertorio - oppure mi riempio i polmoni e attacco i motivi e i ritornelli selvaggi che ho udito dai negri nel Sud, o i canti patriottici imparati nell'esercito. E ne sveglio di echi, parola mia! Al calar del crepuscolo, durante una pausa di queste mie ebollizioni, da qualche parte sull'altra riva del ruscello un gufo lanci un tu-tu basso e pensoso (e anche un tantino sarcastico, a parer mio) che ripet poi quattro, cinque volte. Forse un applauso per i canti negri - o forse un ironico commento al dolore, all'ira e allo stile dei miei poeti. UNA UMANA STRANEZZA
Come avviene che nonostante la serenit e l'isolamento della solitudine, quaggi nel silenzio della foresta o, come ho notato, nella desolazione della prateria o nella immobilit della montagna, soli, non ci si libera mai completamente dell'istinto di guardarsi attorno (io mai, e neppure altri, a quanto mi confidano), come se da un istante all'altro dovesse comparire qualcuno, balzando magari dalla terra, o da dietro un albero o una roccia? forse un residuo ereditario, persistente, della primitiva sospettosit dell'uomo, avvezzo agli animali selvatici? O dei suoi selvaggi antenati addietro nel tempo? Non affatto nervosismo, o paura. come se qualcosa di ignoto fosse davvero in agguato tra quei cespugli, in quei luoghi deserti. Anzi, direi che sicuramente c' - qualche non vista presenza vitale. PAESAGGIO POMERIDIANO
22 febb. Ieri e oggi, cielo pesante e pioggia fino a met pomeriggio quando, mutato il vento, le nubi velocemente si ritrassero come un sipario, e il sereno apparve, e con esso il pi bello, il pi
superbo e fantastico arcobaleno che io abbia mai visto, completo, smagliante alle estremit, che effondeva per tutto il cielo vaste irradiazioni di vapore luminescente, violetto, giallo, verdastro, tra cui dardeggiava il sole - un profluvio indescrivibile di colore e di luce, cos sfarzoso e a un tempo delicato quale non avevo mai contemplato prima. E poi la durata: un'ora buona trascorse prima che l'ultima delle sue falde sparisse completamente. Il cielo dietro era tutto soffuso d'un traslucido azzurro, con molte nuvolette e creste bianche. A tanto si aggiunse un tramonto che, sontuoso, pieno, venne a saziare e a dominare ogni senso estetico e ogni facolt dell'anima. Termino questo appunto presso lo stagno, luce appena quanto basta per discernere, tra le ombre della sera, i riflessi del cielo a ponente nello specchio dell'acqua. A tratti il flap di un luccio che balza increspando la superficie. S'APRONO I CANCELLI
6 apr. Primavera tangibile ormai, o almeno i suoi sintomi. Sono seduto in pieno sole, sul ciglio del ruscello, la superficie appena increspata dal vento. Tutto solitudine, frescura mattutina, abbandono. Unica compagnia i miei due martin-pescatori che planano, piroettano, sfrecciano, si tuffano, separandosi a volte capricciosamente per poi tornare a volare appaiati. Ascolto, ripetuto innumerevoli volte, il loro gutturale zufolio; per un poco non v' altro suono al di fuori di questo cos particolare. Approssimandosi mezzogiorno altri uccelli cominciano a scaldarsi. Ecco le note esili del pettirosso, e un passaggio musicale in due parti, di cui una un gorgheggio limpido, delizioso, insieme alle voci di parecchi altri uccelli che non riesco a distinguere. A queste si unisce (eccolo, proprio ora) l'ansimare roco, intermittente, di certe raganelle smaniose al bordo dell'acqua. Di quando in quando il mormorio di una brezzolina vigorosa sibilante fra gli alberi. Poi, una povera fogliolina morta, gelata ormai da tempo, scende a spirale da chiss dove lass riguadagnando in un selvaggio tripudio di libert lo spazio e la luce, e precipita quindi nell'acqua, che l'afferra tenendola sospesa e subito l'ingoia sottraendola alla vista. Alberi e arbusti sono ancora nudi, ma i faggi han conservato dall'ultima fioritura molte delle loro foglie gialle e grinzose, molti cedri e pini sono tuttavia verdi, e l'erba non senza indizi della pienezza vicina. E su tutto una meravigliosa cupola di limpido azzurro, il giuoco della luce che viene e va, e immensi velli di nuvole candide che nuotano silenziosamente. LA SEMPLICE TERRA, IL SUOLO
Anche il suolo - che altri tratteggino in punta di penna il mare, l'aria (lo faccio anch'io talvolta) ma in questo momento io mi sento di scegliere come tema il semplice suolo, e null'altro. Questa terra bruna, qui (proprio tra la fine dell'inverno e gl'inizi della primavera e della vegetazione) - il rovescio di pioggia la notte e il fresco odore la mattina dopo - i lombrichi che sbucano contorcendosi dal terreno le foglie morte, l'erba nascente, e la vita che urge sotto - lo sforzo per dare inizio a qualcosa - gi qualche fiorellino negli angoli pi riparati - in distanza la pompa smeraldina del grano invernale e dei campi di segale - gli alberi ancora nudi, con dei vuoti netti che lasciano intravvedere prospettive nascoste poi in estate - il duro maggese e i cavalli all'aratro, con il ragazzotto robusto che li incita fischiando - e intorno la grassa terra scura, rivoltata in lunghe strisce oblique. UCCELLI, UCCELLI, UCCELLI
Un po' pi tardi - tempo splendido. Un'insolita atmosfera melodica, in questi giorni (ultimi d'aprile e primi di maggio) dovuta ai merli; o meglio a tutte le possibili specie di uccelli, che svolano e fischiano e saltellano o se ne stanno posati sui rami. Mai dianzi ne ho visti e uditi e avuti intorno in s gran numero, a farmi sommergere a saturare dai loro concerti, come in questo mese. Una vera marea, un'ondata dopo l'altra. Permettete che vi faccia la lista di quelli che trovo qui: Merli (moltissimi) Allodole (moltissime) Palombelle Dumetelle (moltissime) Civette Cuculi Picchi Beccaccini (in quantit) Paradisee Pipili Cornacchie (in quantit) Aironi notturni Scriccioli Pettirossi Martin-pescatori Corvi Quaglie Grigie Poiane Aquile Falchi Picchi verdi Cardellini Aironi Tordi Cince Doliconici Piccioni selvatici I primi a venire sono stati: Pettazzurro Allodola Piviere Rondone a petto bianco Vanello Piovanello Pettirosso Tordo di Wilson Beccaccia Picchio americano
NOTTI STELLATE
21 maggio. Di nuovo a Camden. Ecco spuntare una di quelle notti d'insolita trasparenza, brulicanti di stelle, di un blu quasi nero, come a provare che esiste, nel non-giorno, qualcosa capace di umiliare il giorno pi lussureggiante e fastoso. Dal tramonto fino alle 9 di sera, i pi belli, i pi rari esempi di chiaroscuro prolungato che si sian mai visti. Sono sceso al Delaware e ho compiuto la traversata pi volte. Venere alta a occidente, come infocato argento. La gran felce sottile e pallida della nuova luna, sorta gi da mezz'ora, affonda languida dietro una banda di vapori riaffiorandone subito dopo. Da sud folate leggiere di fragranza marina. Il crepuscolo, la delicata frescura, ogni particolare della scena cos indicibilmente tonico e rasserenante - questa una di quelle ore ricche di suggerimenti per l'anima che impossibile chiudere in una definizione. (Ah, dove mai si troverebbe cibo per lo spirito, senza la notte e le stelle?) La vacua spaziosit dell'aria e l'azzurro velato dei cieli sembravano gi miracoli bastanti. La notte, avanzando, assunse spirito e abiti di pi distesa solennit. Io avevo quasi la consapevolezza di una presenza ben precisa, la Natura silenziosamente vicina. La grande costellazione dell'Idra protendeva i suoi tentacoli per pi di met della volta celeste. Il Cigno scendeva ad ali spiegate per la Via Lattea. La Corona Boreale, l'Aquila, la Lira, tutte su al loro posto. Da tutta la gran cupola, attraverso il nero-blu degli spazi, piovevano punte di luce, comunicazione con il mio essere. Il normale senso del moto e ogni concetto di vita animale sembravano rifiutati, apparivano frutti dell'immaginazione; subentr invece uno strano potere, simile al placido riposo delle divinit egizie, ma non meno possente di quelle per essere cos impalpabile. Poco prima avevo visto molti pipistrelli sospesi nel luminoso crepuscolo, le piccole forme nere che guizzavano qua e l sul fiume; ma ora erano completamente scomparsi. Andate anche la stella della sera e la luna. Tensione e pace giacevano quietamente assieme nelle fluide ombre dell'universo. 26 ag. La giornata stata bella, e il mio morale in continuo forzando. Ed ecco viene la notte, diversa, ineffabilmente pensosa, con quello splendore tenero e moderato che le proprio. Venere indugia a occidente in un voluttuoso fulgore mai esibito ancora questa estate. Marte si leva per tempo, e con lui il rosso broncio della luna che due giorni fa era piena; Giove sul meridiano della notte, e a sud la lunga spirale inclinata dello Scorpione con Aretusa incastonata sul collo. Marte incede adesso per gli spazi, signore assoluto; ogni sera, per tutto questo mese, sono uscito a cercarlo, alzandomi talora a mezzanotte per dare un altro sguardo a quella sua impareggiabile lucentezza. (Mi consta che un astronomo ha accertato poco tempo fa, con il nuovo telescopio di Washington, che Marte possiede per certo una luna, e forse due). Pallido e distante, ma vicino nel cielo, lo precede Saturno. VERBASCO A PROFUSIONE
Grandi, placidi verbaschi, come avanza l'estate, fibra di velluto, delicato color verde smorto, sempre pi fitti ovunque nei campi - aggruppati dapprima, quasi grosse coccarde della terra, in quei bassi cespi di grandi foglie, otto, dieci, venti foglie per pianta - rigogliosi sul terreno incolto di una ventina d'acri alla fine del sentiero, e in ispecie sulle spallette di terra a ridosso delle palizzate - per un poco vicini al suolo, ma poi subito scattanti verso l'alto - foglie larghe quanto la mia mano e, le pi basse, lunghe il doppio - cos fresche e rugiadose al mattino - gli steli adesso gi alti quattro o cinque
piedi, a volte anche sette o otto. I contadini, mi dicono, stimano il verbasco erba umile e disutile, ma io ho preso ad amarlo teneramente. Ogni oggetto racchiude in s la sua lezione, in cui implicita l'allusione a tutte le altre cose - e io ultimamente ho cominciato a pensare che tutto sia concentrato, per me, in queste erbacce gagliarde dai fiori gialli. Al mattino presto, quando esco e percorro il vialetto, mi fermo di fronte a quei soffici fiocchi lanuginosi e steli e grandi foglie su cui scintillano innumerevoli diamanti. Da un anno all'altro, e sono ormai due o tre estati, ci siamo dati silenziosamente convegno: e a intervalli s lunghi di tempo io torno a sedermi o semplicemente a stare tra loro, meditando, insieme a tutto il resto, sulle molte ore e stati d'animo di parziale ripresa, sui momenti di salute o di squilibrio del mio spirito - qui veramente vicino alla pace. SUONI LONTANI
L'ascia del boscaiolo, i tonfi misurati di un'unica trebbiatrice, il canto di un gallo nell'aia (con le immancabili risposte da altre aie) e il mugghiare delle mandrie - ma pi di ogni altra cosa, vicino o lontano, il vento - tra gli alti vertici degli alberi o i bassi cespugli, quando ti lambisce leggiero mani e viso, in questo profumato meriggio di luce, il pi fresco da molto tempo a questa parte (2 sett.) - Non voglio chiamarlo sospiro , per me rimane sempre un'espressione definita, sana, gioiosa, anche se monotona, e capace di molte variazioni, ora lente ora veloci, delicate o intense. Il vento nella pineta laggi, come sibila! O sul mare, posso immaginarmelo in questo momento squassar le onde, con spruzzi di spuma che volano lontano, e il libero fischio, e l'odore del sale - e il grandioso paradosso per cui, nonostante tutto quell'agitarsi e quella irrequietezza, vi comunica in qualche modo un senso di infinito riposo. Altre note. Ma il sole e la luna, qui e in questa stagione! Mai pi splendido in pieno giorno, il fantastico orbe imperiale, cos vasto, cos ardentemente e amorevolmente prodigo di calore - e mai pi gloriosa luna, specialmente in queste ultime tre o quattro notti. E anche i pianeti maggiori - Marte mai visto cos fiammeggiante, un globo di luce, con pallide sfumature gialle (dicono gli astronomi - sar poi vero? - che da un secolo a questa parte non mai stato cos vicino alla terra) - e, ormai alto, padre Giove, che solo poco fa era vicinissimo alla luna - e a occidente, sparito il sole, la voluttuosa Venere, languida adesso e spoglia di raggi, come per un qualche divino eccesso. UN BAGNO DI SOLE - NUDIT
Domenica 27 agosto. Un altro giorno libero da prostrazione e da sofferenze degne di nota. anzi come se dal cielo sottilmente filtrassero in me nutrimento e pace, mentre mi trascino claudicando per questi viottoli di campagna e per i campi, nell'aria buona - quando sono qui seduto in solitudine con la Natura - aperta, muta, mistica, remota, ma palpabile ed eloquente Natura. Mi immergo nella scena, nel giorno perfetto. Chinandomi sulle limpide acque del ruscello, ecco, qui mi conforta il suo gorgoglo sommesso, l il murmure pi roco della sua cascatella alta tre piedi. Venite, voi sconsolati, cui sia rimasta ancora qualche possibilit, sia pur latente - venite a godere le sicure virt della sponda, del bosco e del campo. Per due mesi (luglio e agosto '77) io le ho assorbite, e ora esse cominciano a fare di me un uomo nuovo. Tutti i giorni completa solitudine - tutti i giorni almeno due o tre ore di libert, bagni, niente chiacchiere, niente ingombri, niente abiti, libri, belle maniere.
Debbo dirti, lettore, a che cosa io attribuisco la mia salute gi tanto ristabilita? All'esser stato pi o meno due anni senza decotti n medicine, e sempre, ogni giorno, all'aria aperta. La scorsa estate scoprii, un po' discosta dal mio ruscello, una valletta singolarmente solitaria, originariamente una grossa cava di marna, poi abbandonata, e riempita ora da cespugli, alberi, erba, un gruppetto di salici, uno spallone scosceso di terra e una polla di acqua deliziosa che la taglia giusto nel centro, con due o tre cascatelle. Qui usavo rifugiarmi nei giorni di gran caldo, e continuo a farlo questa estate. Qui acquista un senso il discorso del buon vecchio che asseriva di sentirsi raramente meno solo di quando era solo. Mai prima ero giunto cos vicino alla Natura, e mai prima ella s'era tanto avvicinata a me. Seguendo un'antica abitudine, di tanto in tanto annotavo, l per l e quasi automaticamente, stati d'animo e paesaggi, ore, sfumature e contorni. In modo particolare vorrei oggi fermare sulla carta il senso di pienezza di questa mattinata, cos serena e primitiva, cos convenzionalmente straordinaria, naturale. Circa un'ora dopo colazione m'incamminai verso gli angoli solitari di codesta valletta, che io e certi tordi e dumetelle ecc. avevamo tutta per noi. Tra le cime degli alberi spirava un leggero vento di sud-ovest. Erano proprio il luogo e l'ora del mio bagno d'aria adamitico e delle mie frizioni da capo a piedi. Cos, appesi gli abiti a una staccionata l presso, ma tenendomi in capo la mia vecchia paglia a larghe tese e ai piedi un paio di scarpe da strapazzo, che divertimento queste ultime due ore! Dapprima a sfregar braccia, petto e fianchi con setole elastiche e dure finch non furon scarlatti - poi un mezzo bagno nelle limpide acque del ruscello - prendendo tutto con comodo, tra pause e riposi - andandomene di tanto in tanto a sguazzar scalzo in qualche gora nerastra l intorno per ristorarmi i piedi con un untuoso bagno di fango - poi una seconda e una terza risciacquatura veloce nell'acqua cristallina del rivo - una strofinata con l'asciugamano di bucato - lente passeggiatine neghittose sull'erba, su e gi nel sole, variate da occasionali riposi e ulteriori frizioni con la spazzola - a volte tirandomi dietro da un posto all'altro la mia sedia pieghevole, dacch il mio raggio d'azione qui piuttosto ampio, un centinaio circa di pertiche in cui mi sento completamente al sicuro da ogni intrusione (la qual cosa peraltro non mi innervosirebbe affatto, anche se dovesse incidentalmente accadere). Mentre camminavo lentamente sull'erba, il sole facendosi pi vivido mise in risalto l'ombra che si muoveva con me. Parvemi allora che in qualche modo io mi stessi identificando con ognuna e tutte le cose intorno a me, nella loro condizione naturale. La Natura era nuda, e cos ero io. Era una sensazione di troppo pigra, distesa e placida gioia per specularci su. Tuttavia i miei pensieri avrebbero potuto avere un'intonazione di questa sorta: Forse quell'intimo e mai perduto rapporto che noi conserviamo con la terra, la luce, l'aria, gli alberi, ecc., non dev'essere verificato solo attraverso gli occhi e la mente, bens con tutto il corpo, che non mi lascer accecare o bendare pi che non gli occhi. Dolce, sana, tranquilla nudit della Natura! - oh, se la povera, malata, pruriginosa umanit cittadina potesse realmente tornare a conoscerti! Allora non indecente la nudit? No, non in s. Sono i vostri pensieri, la vostra sofisticazione, paura, rispettabilit, che sono indecenti. Vengono per noi dei momenti in cui queste nostre vesti divengono non solo troppo fastidiose a portarsi, ma indecenti in s. Forse anzi colui o colei che non ha mai gustato la libera, esilarante estasi della nudit in seno alla Natura (e quante migliaia ve ne sono!) non ha mai realmente saputo che cosa sia la purezza - n che cosa siano in realt fede, arte o salute. (Probabilmente l'intero complesso di altissima filosofia, bellezza, eroismo e forma illustrato dall'antica razza ellenica - il vertice pi alto e la massima profondit che la civilt abbia toccato in quei settori - procedette dalla loro concezione naturale e religiosa della nudit). Molte ore simili, sparse nelle due ultime estati - ad esse io attribuisco in gran parte la mia parziale ripresa. Qualche benpensante potr ritenere insulso, se non proprio pazzoide, questo modo di impiegare il proprio tempo e i propri pensieri. Pu anche darsi che lo sia. LE QUERCE E IO
5 sett. '77. Scrivo (sono le 11 del mattino) sotto una folta quercia nei pressi del ruscello, dove ho trovato riparo da un acquazzone improvviso. Ero sceso quaggi (alla prima schiarita, un'ora fa, dopo un'intera mattinata di tetra acquerugiola) per praticare il semplice esercizio quotidiano di cui ho parlato e che tanto mi piace - tirare quel giovane rampollo di noce lass - barcollando per poi arrendermi al suo fusto eretto, a un tempo flessibile e duro - forse perch parte della sua fibra elastica e della sua limpida linfa passi nei miei muscoli invecchiati. In piedi sull'erba, mi sottopongo per circa un'ora a queste sferzate di salute, ma con moderazione e a intervalli inalando l'aria fresca a grandi sorsate. Per riposarmi durante i miei vagabondaggi lungo il ruscello, ho sempre tre o quattro posticini naturalmente ospitali - a parte la sedia che mi trascino dietro e che uso soltanto in determinate occasioni. In altri luoghi appropriati ho scelto come attrezzi della mia palestra naturale, oltre al noce gi menzionato, certi rami di faggio o caprifoglio, robusti ed elastici e facilmente raggiungibili, per esercitar braccia, torace e i muscoli del busto. Subito posso sentirne il vigore e la linfa montare in me come mercurio al calore. Mi afferro con carezzevole presa ai rami e agli alberelli sottili nell'intrico di sole e d'ombra, lotto per un poco contro la loro gagliardia innocente - e in quello so che la loro virt si trasfonde in me. (O forse un vicendevole scambio - forse gli alberi ne sono pi consapevoli di quanto io abbia mai pensato). Ma adesso, piacevolmente imprigionato qui sotto la grande quercia - la pioggia che stilla e il cielo coperto di nuvole plumbee - solo lo stagno da un lato, e dall'altro una chiazza d'erba punteggiata dai lattei fiori delle carote selvatiche - il suono di un'ascia che picch