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Lorenzo Pasquinelli Universit Vita e Salute San Raffaele Matricola: 004261

LA RELIGIONE FASCISTA
Sommario
Sommario .......................................................................................................................................................... 1 INTRODUZIONE ............................................................................................................................................. 1 LA SACRALIZZAZIONE DELLA POLITICA ............................................................................................... 3 IL FASCISMO COME RELIGIONE................................................................................................................ 4 IL MITO DELLO STATO ................................................................................................................................ 7 IL MITO DELLA PATRIA ............................................................................................................................... 8 IL MITO DEL FASCIO LITTORIO ................................................................................................................. 9 IL MITO DI ROMA ........................................................................................................................................ 12 IL MITO DEL DUCE ..................................................................................................................................... 13 CONCLUSIONE ............................................................................................................................................. 16

INTRODUZIONE
La questione dellideologia fascista ha occupato le riflessioni degli intellettuali e degli storici fin da subito dopo la caduta del regime e ha portato a conclusioni diverse e a volte opposte. Questo in parte pu essere dovuto al fatto che il concetto di ideologia un concetto ambiguo, che assume significati diversi ogni volta che viene utilizzato, ma anche dal fatto che il fascismo non ha avuto un pensiero coerente e unitario, ma, con leccezione delle idee pi generali, si evoluto nel tempo e ha subito varie metamorfosi. Basti pensare che il movimento dei Fasci di Combattimento nacque come un anti-partito, che voleva distruggere lo Stato liberale, e solo due anni dopo divenne un partito e il suo leader divenne Presidente del Consiglio. I primi studi sul fascismo, appena finita la seconda guerra mondiale, si svolsero come un dibattito fra tre interpretazioni diverse1: quella liberale, quella radicale e quella marxista. I liberali ritenevano, sotto linfluenza di Benedetto Croce, che il fascismo fosse una manifestazione di una malattia morale, esplosa agli inizi del Novecento a causa del diffondersi dellirrazionalismo nella cultura europea. Il fascismo non era altro che unespressione di una fase negativa della storia.
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A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Bologna, Il Mulino, 2011

I radicali e i democratici, come Piero Gobetti, ritenevano, invece, il fascismo un fenomeno non originale e derivante dalle anomalie della storia italiana, dallesito di antichi problemi irrisolti e da uno sviluppo politico ed economico diverso da quello degli altri paesi europei. Per i comunisti e i socialisti, infine, il fascismo non era altro che un a manifestazione della lotta di classe: nulla di nuovo, quindi, era soltanto un conflitto tra forze reazionarie e proletariato. Come si pu notare, queste interpretazioni non consideravano il fascismo come un movimento originale, che avesse una propria ideologia, ma lo ritenevano unanimemente un movimento <<antidemocratico, antisocialista, antibolscevico, antiparlamentare, antiliberale, antittutto>> fondato sullattivismo e sullirrazionalismo2. Il primo studioso che prese in considerazione lideologia fascista concretamente fu Eugenio Garin3, convinto che quella fascista fosse una cultura reazionaria di matrice cattolica e spiritualista. Garin sub linfluenza dellintellettuale comunista Antonio Gramsci da cui trasse la convinzione che le ideologie hanno un proprio valore intrinseco e non sono delle mere sovrastrutture della realt economica, e grazie a questo riusc a sostenere che le ideologie non nascono da una elaborazione di concetti coerenti ma sono il tentativo di trasformare la realt. Un ulteriore passo avanti, fu compiuto da Augusto Del Noce4 che individu nellattivismo e nella filosofia di Giovanni Gentile la matrice principale del fascismo. Ispirati dal filosofo siciliano i fascisti avevano maturato una concezione della politica intesa, non tanto come strumento per trasformare la realt , ma come fede religiosa, come esperienza da vivere in modo integrale e assoluto. Per Del Noce il fascismo era figlio della secolarizzazione, che aveva portato a una concezione assoluta della politica, tentando di sostituire Dio. Qualunque pensiero rivoluzionario, in questottica, era il tentativo di creare una religione secolare, con la conseguenza che i regimi totalitari, rappresentavano lapoteosi della modernit, il suo esito pi radicale. Ma la svolta vera e propria si ebbe nel 1975, quando lo storico George L. Mosse pubblic <<La nazionalizzazione delle masse>>. In questo lavoro elabor il concetto di <<nuova politica>> intendendola come una religione laica e nazionalista, nata nella modernit a causa della secolarizzazione5. Per sottrarsi allalienazione causata dallurbanizzazione, dallindustrializzazione, dallerosione dei valori cristiani e da un mondo anonimo e omologante, la <<nuova politica>> si era espressa, come ogni religione, attraverso una propria liturgia, accompagnata da un apparato di miti, riti e simboli. Mosse scopr che furono i miti e i culti dei primi movimenti di massa che diedero le basi al fascismo su cui operare6; furono questi, infatti, creando una partecipazione politica nuova, che permisero di intravvedere una valida alternativa alla democrazia parlamentare. Dallo storico tedesco prese le mosse Emilio Gentile che interpret il fascismo come una religione politica, espressione di miti, riti e simboli. Ma quello descritto da Gentile7 un fenomeno diverso rispetto alla <<nuova politica>>. Questultima , infatti, riguarda principalmente laspetto della produzione simbolica e rituale, l<<estetica della politica>>, intesa come modo per dare visibilit alle proprie idee politiche, attraverso la produzione di rituali e credenze. La storia ci ha insegnato che la <<nuova politica>> non comporta in ogni caso lespressione di una sacralizzazione della politica, come conferma il caso del regime
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N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento, Milano, Garzanti, 1990, p. 153, cit. in A. Tarquini, Storia della cultura fascista, 2011, p.12 3 E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1943, Bari, Laterza, 1955 4 A. Del Noce, Fascismo e antifascismo: errori della cultura, Leonardo, 1995 5 G. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1975), Bologna, Il Mulino, 2009 6 Ivi. 7 E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nellItalia fascista, Bari, Laterza, 2001

franchista in Spagna, che adescava le masse attraverso forme di rappresentazione liturgiche, sempre connesse alla tradizione cattolica, senza per la pretesa di elaborare e istituire un proprio autonomo sistema di religione politica 8. Il fenomeno della sacralizzazione un problema <<teologico>>9, che comporta da parte dei credenti una totale dedizione e devozione, paragonabile a una vera e propria <<fede>>. Per concludere, credo che lideologia fascista abbia assunto questo carattere camaleontico perch fosse sostanzialmente orientata alla pratica, cio, alla trasformazione dello Stato italiano in un regime totalitario. Il totalitarismo, infatti, come ha notato Emilio Gentile10, va inteso come un <<esperimento>> costante, che cambia e si evolve nel tempo, che non si trova mai in natura nella sua forma pura. Per realizzare la <<via italiana al totalitarismo>> era per i fascisti necessario creare una religione politica, ovvero un modo per coinvolgere le masse e per sfruttarle. In questo modo ideologia, religione e totalitarismo, diventano la stessa cosa, sia nella teoria che nella pratica. In questo scritto, analizzer il concetto di sacralizzazione della politica, lo individuer nel contesto fascista, e di conseguenza analizzer il mito dello Stato, che riassume in s tutta lideologia fascista,arrivando a coincidere con lidea di totalitarismo e la sua attuazione.

LA SACRALIZZAZIONE DELLA POLITICA


La sacralizzazione della politica un fenomeno che si manifesta nellepoca della modernit quando la dimensione politica ha cominciato ad acquisire una certa autonomia rispetto alla religione tradizionale. In questo modo la politica, per far fronte al <<vuoto>> prodotto dalla secolarizzazione, acquista una propria dimensione religiosa, composta da credenze, miti e simboli <<che interpretano e definiscono il significato e il fine dellesistenza umana, facendo dipendere il destino dellindividuo e della collettivit dalla loro subordinazione a unentit suprema>>11. Si possono individuare due tipi ideali di sacralizzazione della politica12, che come tali, non si trovano mai in natura, ma sono sempre presenti in forma parziale o mista. Da un lato possiamo trovare la religione civile, cio la sacralizzazione di un sistema politico che garantisce e rispetta la libert dellindividuo, la pluralit di idee, la revocabilit dei governanti da parte dei governati, fondandosi sulla tolleranza. Dallaltro lato abbiamo la religione politica, che , invece, fondata sul monopolio irrevocabile del potere, sullintolleranza di idee diverse, e ha un carattere tendenzialmente integralista e totalitario, cio vuole avere il controllo di ogni aspetto della vita individuale e collettiva. Tuttavia, esistono tre interpretazioni principali del fenomeno, che diventano utili per capire nella pratica che cosa comporta sacralizzare la politica e da che cosa tre origine. Secondo linterpretazione ciurmatorica, di cui Gaetano Mosca uno dei principali esponenti, la religione della politica non altro che un mero espediente demagogico per conquistare il consenso delle masse. Infatti, come sostiene Guglielmo Ferrero13 la rappresentazione della politica attraverso miti, riti e simboli una
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E. Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazia e totalitarismo, Bari, Laterza, 2001, p. 212 R. Moro, Religione e politica nellet della secolarizzazione: riflessioni su di un recente volume di Emilio Gentile, in <<Storia contemporanea>>, 2, 1995, pp. 309-18 10 E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, 2008 11 E. Gentile, Le religioni della politica: fra democrazie e totalitarismi, p. xii 12 Ivi. 13 G. Ferrero, Potere. I geni invisibili della citt, Marco, I Viaggi, 2005

forma di legittimazione del potere, e non , come potrebbe apparire a prima vista, in nessun caso un fenomeno religioso o teologico, in senso proprio. In questo caso, quindi, la sacralizzazione della politica non nascerebbe da una spontanea manifestazione di fede, ma sarebbe, invece, una consapevole invenzione di miti e pratiche rituali, di natura essenzialmente strumentale, resa necessaria dallesigenza di trovare nuovi modi per fondare e preservare la legittimit del potere in una societ di massa. Una posizione alternativa linterpretazione fideistica che nasce dagli studi di Gustave Le Bon. Questa prospettiva opposta a quella precedente, perch sostiene che i miti e i riti possono essere anche espressione spontanea delle masse, come prodotti del pi imperioso degli istinti umani, cio <<il bisogno di sottomettersi comunque ad una fede, divina, politica o sociale>>14. Una religione politica, in questo caso, non solo un artificio imposto dallalto, ma risponde al bisogno di fede delle masse in cerca di nuove credenze per avere un orientamento nella vita, come accade specialmente nei periodi di profondi sconvolgimenti e di decadenza delle antiche fedi. Si collega in parte alla teoria fideistica, in quanto espressione di unesigenza umana collettiva, la teoria funzionalista della religione elaborata nel 1912 da Emile Durkheim. La religione, per il sociologo francese, consiste in <<un sistema coerente di credenze e di pratiche relative alle cose sacre, cio separate, interdette; credenze e pratiche che uniscono in una medesima comunit morale, che chiamiamo Chiesa, tutti quelli che vi aderiscono>>15. La religione la condizione nella quale lindividuo, in uno stato psicologico di <<effervescenza>>, cio di esaltazione e di entusiasmo, si trascende, immergendosi nella collettivit a cui appartiene attraverso la fede nelle credenze comuni. Per Durkheim, la religione non esige la presenza di un essere soprannaturale, perch essa non altro che lespressione della totalit della vita collettiva. Gli individui che costituiscono una comunit si sentono e rimangono uniti finch condividono un complesso di credenze e praticano i riti che esse prescrivono. La modernit, producendo una situazione di disgregazione, di incertezza, e di agitazione continua, avrebbe favorito la nascita di nuove religioni. Non c societ che non senta il bisogno, specialmente in periodi di crisi, di riaffermare e rinnovare, <<i sentimenti collettivi e le idee collettive che formano la sua unit e la sua personalit>>16. Il fascismo fu il primo movimento del XX secolo che mostr i caratteri di una religione politica17, grazie allistituzione di credenze, miti, riti e simboli che divinizzavano lo Stato, e celebravano il Duce come un mito vivente. Il motivo di questo fenomeno era semplice, rifondare lo Stato, creando uno Stato totalitario abitato da persone, che educate ed <<elevate>> dalla religione fascista, sarebbero diventate l<<uomo nuovo>>.

IL FASCISMO COME RELIGIONE


Il fascismo ha due caratteristiche fondamentali, che lo distinguono dagli altri regimi autoritari e mono partito, che si riassumono nella dialettica tra mito e organizzazione18. Da un lato (1), stato un partito milizia, che
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G. Le Bon, Psychologie du socialisme (1895), Paris 1920, p. 95, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 11 E. Durkheim, Les formes lmentaires de la vie religieuse (1912), Paris 1985, p. 65, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 14 16 E. Durkheim, Les formes elementaires cit., pp. 609-610, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 19 17 E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nellItalia fascista 18 E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista

ha organizzato i suoi aderenti nello squadrismo, con una gerarchia e disciplina militare, trasferendo nella politica i metodi e gli atteggiamenti della guerra. Il fascismo ha conquistato il potere nonostante avesse il dichiarato scopo di distruggere la democrazia liberale e di affermare sia teoricamente che praticamente il primato della politica su ogni altro aspetto della vita individuale e collettiva. Voleva organizzare la societ in modo totalitario, dove tutto fosse custodito nelle mani di un partito unico che si indentificava con lo Stato, lunico valore assoluto. Per fare questo era necessario trasformare il privato nel pubblico, sublimare ogni forma di individualit nella collettivit, attraverso lorganizzazione della vita delle persone dallalto, in quasi ogni suo aspetto, trovandosi, cos, ad avere a che fare non pi con persone ma con una folla. Dallaltro lato (2), il fascismo stato anche il primo movimento politico del XX secolo a portare il pensiero mitico al potere, consacrandolo come espressione politica delle masse e fondamento morale per la loro organizzazione, e istituzionalizzandolo nelle credenze, nei riti e nei simboli di una religione politica19. Gi Le Bon e Sorel considerarono mito e organizzazione come gli strumenti fondamentali della politica di massa, necessari per trasformare le masse e la loro potenza in unordinata ed efficace arma politica, e come si sa20. Il fascismo sfrutt a pieno queste idee facendo propri i miti nati dallesperienza della guerra e dai movimenti nati dai reduci, integrandoli con altri miti che erano gi diffusi nellopinione comune, come il mito della Patria o della Nazione, di origine risorgimentale, dando progressivamente forma ad una religione politica. Assimil sincreticamente i materiali di altri movimenti che riteneva utili per sviluppare il proprio credo di riti e di simboli, non curandosi delloriginalit di questi, ma soltanto della loro efficacia per lazione. Servivano come strumento per rafforzare il senso didentit del movimento, per lottare contro i <<nemici della nazione>>, e per fare propaganda. Le masse erano considerate, alla stregua di Le Bon, come un materiale duttile , plasmabile sotto lazione di una guida, che le avrebbe trasformate in una nuova collettivit organizzata e animata da ununica fede. Da sole non potevano organizzarsi n conquistare consapevolezza di s, tuttavia si riteneva possibile educarle attraverso lazione costante e quotidiana del mito e dellorganizzazione: <<la folla [] ha bisogno di spiritualismo, di religiosit, di catechismo, di rito; luomo desidera un potere spirituale affermativo e volentieri lo segue e ad esso ubbidisce; lo sente pi aderente alla propria esistenza e trae da esso disciplina ed aiuto>>21. <<La massa affermava il duce - per me non altro che un gregge di pecore, finch non organizzata. Non sono affatto contro di essa. Soltanto nego che essa possa governarsi da s. Ma se la si conduce, bisogna reggerla con due redini: entusiasmo e interesse. Chi si serve solo di uno dei due, corre pericolo. Il lato mistico e il politico si condizionano lun laltro. Luno senza laltro arido, questo senza quello si disperde al vento delle bandiere>>22. Per guidare le masse era necessario lutilizzo dei miti politici descritti da Sorel23, cio di quelle immagini e di quei simboli che sono capaci di suscitare emozioni, entusiasmo e volont di agire, nelle masse. Per di pi, lutilizzo di questi, non poteva essere sporadico o strumentalizzato soltanto nel momento del bisogno, perch <<una credenza religiosa o politica si fonda sulla fede, ma senza i riti e i simboli la fede non potrebbe durare>>24.

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Ivi. E. Gentile, Lorigine dellideologia fascista (1973-1974), Bologna, Il Mulino, 2011 21 G. Bortolotto, Lo Stato e la dottrina corporativa, Bologna 1930, p. 35, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 147 22 E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, Milano 1932, pp. 121-122, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 143 23 G. Sorel, Riflessioni sulla violenza, 1908 24 G. Le Bon, Aphorismes du temp presnt, Paris 1919, p. 96, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 146

La religione fascista non fu, per, soltanto un sistema di credenze e riti utilitaristicamente imposto, dando cos ragione allinterpretazione ciurmatorica, ma ebbe anche delle caratteristiche teologiche vere e proprie. Infatti, riprendendo un modello utilizzato da Albert Mathiez per definire il carattere religioso dei culti della rivoluzione francese, possiamo affermare che ogni religione un fenomeno sociale che ha origine da uno stato di entusiasmo collettivo e si basa su delle pratiche esteriori obbligatorie che conferiscono una certa sacralit ai simboli che rappresentano. A questa premessa funzionalista, lo storico aggiunge che <<il fenomeno religioso saccompagna sempre, nel periodo di formazione, con uno stato di sovraeccitazione e una viva brama di felicit. Quasi immediatamente, inoltre, le credenze religiose si concretizzano in oggetti materiali, in simboli, che sono segni di raccolta per i credenti e come talismani, in cui essi pongono le loro speranze pi intime; e, in quanto tali, perci, essi non tollerano che siano disprezzati o ignorati. Pi spesso ancora, i credenti, e soprattutto i neofiti, sono animati da una rabbia distruttiva contro i simboli degli altri culti. E molto spesso infine, quando possono, essi colpiscono di interdetto tutti quelli che non condividono la loro fede, che non adorano i loro simboli e, per questo solo delitto, li colpiscono con punizioni particolari, li bandiscono dalla comunit di cui fanno parte>>25. Lorigine della religione fascista sinquadra perfettamente in questo modello, perch il fascismo ebbe origine da quello <<stato di effervescenza>> prodotto dalla guerra, che aveva dato vita a vari movimenti, come il combattentismo, larditismo, il futurismo politico, il fiumanesimo, che si consideravano i portavoce della <<vittoria mutilata>> e cercavano di proseguire limpresa nella <<rivoluzione italiana>>, combattendo contro i <<nemici interni>> per creare la nuova Italia. Tutti questi movimenti erano accomunati, nel senso etimologico del termine, cio formavano una comunit, da unesperienza comune, la guerra, e da una fede, la Patria <<stuprata>>; ma mancava una guida comune. Nato il culto, mancava la Chiesa. Loccasione per <<unire le forze>> si present presto, gi nel 1922 con la <<marcia su Roma>> e il tentativo di conquistare il potere. Da questo momento il fascismo accentu sempre pi il suo carattere di religione laica, sia nella definizione ideologica che nella pratica, e nello stesso tempo per cerc anche di servirsi della religione tradizionale per ottenere maggior consenso, presentandosi come restauratore dei valori della religione cattolica dopo unepoca di agnosticismo e di materialismo. Fin dal 1921, infatti, Mussolini abbandon certi atteggiamenti anticlericali del primo fascismo, esaltando limportanza della religione cattolica; ma non per questo i fascisti smisero di parlare di una religione, anzi, non esitarono a confrontare il fascismo con il cattolicesimo. Non veniva affatto nascosto il tentativo di realizzare unorganizzazione simile alla chiesa cattolica, eletta a modello per la costruzione dello Stato totalitario26. Il fascismo doveva trarre insegnamento dalla <<pi grande e saggia maestra che la storia rammenti>>, la Chiesa <<degli imperituri pilastri, dei grandi Santi, dei grandi Pontefici, dei grandi Vescovi, dei grandi Missionari: politici e guerrieri che impugnavano la spada come la croce e usavano indifferentemente il rogo e la scomunica, la tortura e il veleno: sintende, non in funzione della potenza e della gloria della Chiesa>>. E come <<nuova grande religione civile della Patria>> il fascismo doveva <<ispirarsi a questa grande scuola dintransigenza e di fierezza>>27. Per Scorza , il partito, attraverso le organizzazioni giovanili, doveva diventare sempre pi <<un ordine religioso armato>> sul modello della Compagnia di Ges, consacrato al <<mito mussoliniano>>28. Questa <<stima>> nei confronti del cattolicesimo dimostrata, nella pratica, da vari riti della liturgia Cattolica che nel corso del Regime vennero istituzionalizzati e fascistizzati, come per esempio la <<Leva
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A. Mathiez, Les origines des cultes rvolutionnaires 1739-1792 (1904), Genve 1977, pp. 11-12, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 38 26 E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 108-111 27 C. Scorza, Odiare i nemici, in <<Giovent fascista>>, 12 aprile 1931, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 109 28 ACS, SPD, CR, b. 31, fasc. 1, Relazione al duce sui Fasci giovanili di combattimento, 11 luglio 1931, cit. in, E. Gentile, Il culto del littorio, p. 109

fascista>>, istituito nel 1927. Era un rito simile alla cresima, con cui i giovani provenienti dallorganizzazione giovanile, confermando la loro fede nel fascismo, venivano consacrati fascisti diventando membri del partito. Era una cerimonia solenne, nella quale ai giovani venivano consegnati la tessera del partito e un moschetto, la prima, simbolo della fede, e il secondo, simbolo della forza.

IL MITO DELLO STATO


Il mito dello Stato riassume tutta la religione fascista, e come tale un mito complesso e composito, sempre in evoluzione, che coincide con il progetto totalitario fascista, in quanto aveva la funzione di creare consenso e partecipazione, e, istituzionalizzandosi, divenne lo strumento che i fascisti utilizzarono per conquistare il controllo di ogni aspetto della vita degli italiani e della societ. Gi agli inizi del movimento, quando era ancora un gruppo di reduci e di giovani, accomunati da quella che fu chiamata l<<anima nuova sorta dalla guerra>>29, si iniziarono a vedere le prime manifestazioni del mito dello Stato e di quella che sarebbe poi diventata la religione fascista. Questi si sentivano gli eletti che avrebbero dovuto portare a termine la <<rivoluzione italiana>>, combattendo contro la vecchia classe dirigente con lintento di trasferire nella politica il cameratismo e le abitudini acquisite in guerra. In questo clima di <<effervescenza>>, che caratterizz gli anni dello squadrismo, si origin un sentimento quasi religioso, come dimostrano le parole di Mussolini: <<Noi lavoriamo alacremente per tradurre nei fatti quella che fu laspirazione di Giuseppe Mazzini: dare agli italiani il <<concetto religioso della nazione>> [] Gettare le basi della grandezza italiana nel mondo, partendo dal concetto religioso dellitalianit [] deve diventare limpulso e la direttiva essenziale della nostra vita>>30. Tra i fasci di combattimento sorsero numerosi riti, nati sia per invenzione che per imitazione, ma generalmente in modo spontaneo31 e non diretto dallalto, con un esplicito richiamo al mito delle Guerra, e ai miti nati nel Risorgimento. I singoli gruppi creavano dei riti che poi per imitazione si trasferivano ad altri gruppi, fino a diventare un patrimonio comune. In questo modo fra il 1921 e il 1922 si diffuse la liturgia che andr a formare il particolare stile di vita del partito-milizia: il saluto romano,il giuramento delle squadre, la venerazione dei simboli della nazione e della guerra, la benedizione dei gagliardetti, il culto della patria e dei caduti, la glorificazione dei <<martiri fascisti>>, le cerimonie di massa32. Qualsiasi cosa riguardasse i fasci di combattimento era sempre avvolto da un alone di sacralit e ritualizzato. Le spedizioni squadriste, per esempio, oltre lobbiettivo dellaggressione e dellannientamento, ebbero sempre un carattere simbolico. Il manganello e il fuoco rappresentavano la violenza purificatrice. Durante le missioni i fascisti cantavano linno al <<San Manganello>> esaltando la loro arma come se fosse un amuleto protettore delle squadre, giustiziere dei nemici e liberatore del sacro suolo della patria: <<O tu santo Manganello / tu patrono saggio e austero, / pi che bomba e che coltello / coi nemici sei severo; Di nodosa quercia figlio / ver miracolo opri ognor, / se nellora del periglio / batti i vili e glimpostor.
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C. Bellieni, LAssociazione dei combattenti (Appunti per una storia politica dellultimo quinquennio), in <<La Critica politica>>, 25 luglio 1924, cit. in Gentile, Le origini dellideologia fascista, p. 153 30 B. Mussolini, <<Il Popolo dItalia>> nel 1921, in <<Il Popolo dItalia>>, 8 dicembre 1920, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 39-40 31 E. Gentile, Il culto del littorio 32 Ivi.

Manganello, Manganello, / che rischiari ogni cervello, / sempre tu, sarai sol quello / che il fascista adorer. [] Tu dal Brennero al Suello, / dal Quarnaro al Ticino, / taumaturgo Manganello / pi di Dante sei divino, [] Dove nato Garibaldi, / dove morto Corridoni, / disertori n ribaldi / non saranno mai padroni; Cinquecentomila morti / ben cimpongono il dovere, / di non tollerare i torti / che alla Patria fan un stranier. Manganello, Manganello / che rischiari ogni cervello, / ogni eroe dal suo avello / lopra tua benedir>>33. Con il progressivo istituzionalizzarsi del mito dello Stato, e con ampliamento del consenso, il mito in questione si svilupp e divent pi complesso. Infatti si potrebbe decostruire in diversi miti minori, come il mito della Patria, il mito del fascio Littorio, il mito di Roma e il mito del Duce, analizzabili separatamente.

IL MITO DELLA PATRIA


La guerra, il sangue dei caduti, il sacrificio per la patria aveva rinnovato la sacralizzazione della nazione, della quale i fascisti si elessero difensori contro i <<nemici interni>>, cio i socialisti e i comunisti, perch con il loro ideale internazionalista avevano dissacrato la nazione, i cattolici, perch neutralisti e militanti nel Partito Popolare, i repubblicani, i governanti e la borghesia liberale, <<il paese degli imboscati, del parlamentarismo, lItalia marcia che viveva speculando sulla guerra, sarricchiva con i profitti delle forniture militari, dava di s uno spettacolo indecente con le vuote discussione dei vecchi politicanti>>34. Il primo culto a emergere in questo contesto fu quello dei caduti, che comport il rapido diffondersi di cimiteri di guerra e di monumenti alla memoria. Il momento culminante di questo nuovo culto della patria furono le cerimonie per la scelta della salma del Milite Ignoto, il trasporto nella capitale e la tumulazione nella tomba sotto lAltare della patria il 4 novembre 192135. Qualche giorno dopo numerosi fascisti resero omaggio alla tomba del Milite Ignoto per celebrare la conclusione del loro congresso che aveva deciso la trasformazione del movimento in un partito. I fascisti si consideravano i principali artefici del ritorno della nazione alla <<religione della patria>>. Questo culto acquis subito un ruolo di grande importanza allinterno della liturgia del partito, perch si sposava perfettamente con la visione eroica della vita fascista e i funerali dei fascisti uccisi divennero i riti emotivamente molto intensi e coinvolgenti. Un corteo composto da tutte le organizzazioni fasciste marciava al ritmo delle marce funebri finch non arrivava il momento dellappello, il culmine emotivo della cerimonia: uno dei capi delle squadre gridava il nome del caduto, e la folla inginocchiata rispondeva: <<Presente!>>. In questo modo quello della morte si trasformava in un rito di vita,diventando il rito fascista per eccellenza, la testimonianza pi alta della loro religiosit36. Fino alla conquista del potere, la liturgia e la religione fascista rimanevano strettamente legate allesperienza dello squadrismo e a quel senso di comunione37 che dilagava tra i militanti, senza per trovare un seguito di
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A. Gravelli, I canti della rivoluzione, Roma 1928, pp. 84-86, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 43 E. Gentile, Le origini dellideologia fascista, p. 126 35 E. Gentile, Il culto del littorio 36 Ivi. 37 Ivi.

massa vero e proprio. Le cose cambiarono dopo la <<marcia su Roma>>, quando a Mussolini fu consegnato lincarico di Presidente del Consiglio e di formare un governo di coalizione, in quanto cominci un processo di istituzionalizzazione della liturgia fascista che correva parallelo allinstaurazione del regime totalitario. Il governo Mussolini cominci subito a prendere delle iniziative miranti a instaurare ufficialmente una liturgia di Stato, rinnovando il simbolismo statale e patriottico. Viene reinserito luso delle uniformi per i membri del governo, si cerca di ridare solennit ai festeggiamenti degli anniversari nazionali, prescrivendo ai comuni lobbligo di celebrare le feste laiche38. Divenne obbligatorio, con un decreto del 24 settembre 1923, per uffici governativi e comuni, lesposizione della bandiera nazionale. Nello stesso anno divent obbligatorio il rito del saluto al tricolore nelle scuole, ognuna delle quali doveva avere una bandiera. Al sabato, al termine delle lezioni e alla vigilia delle vacanze, gli scolari dovevano rendere omaggio al vessillo con il saluto romano, accompagnando questo rito con il canto degli inni patriottici, e spesso alla presenza di reduci di guerra e mutilati39. In poco tempo il culto del tricolore divent un rito quasi quotidiano e dal 1923 vennero organizzate, specialmente a Roma, numerose <<sagre della bandiera>>, promosse dalle forze armate, dalle associazioni combattentistiche e dai fascisti. Fin dai primi tempi del governo fascista ci fu il tentativo di rinnovare e arricchire il calendario delle feste dello Stato fissandone le modalit di celebrazione. Alle feste dello Statuto, del 20 settembre e del 4 novembre, vennero aggiunte il 24 maggio, anniversario dellentrata in guerra, e il 21 aprile, Natale di Roma. Il ruolo centrale, per, nellistituzione del culto della patria lo ebbe soprattutto la glorificazione della Grande guerra, con i riti per gli anniversari dellintervento e della vittoria. Il fascismo si impegn a sviluppare il mito della guerra trasfigurandolo in unepopea di eroismo e di martirio consacrata alla divinit della patria40. Il sacrificio degli italiani in guerra aveva legittimato laspirazione dellItalia a essere una grande potenza e i caduti, morti per la Patria vennero sempre di pi santificati. Un decreto elevava a monumenti nazionali le localit dei campi di battaglia e con limmagine della resurrezione, lItalia crocifissa a Caporetto che si risveglia ormai data per morta, si cerc di sottolineare il carattere mistico dellimpresa italiana. Quello della Guerra divent il mito di fondazione41 delluniverso simbolico fascista, sia per quanto riguarda gli aspetti rituali di quello che diventer il culto del littorio, sia per quanto riguarda gli aspetti epici, che vennero sviluppati nella invenzione di una <<storia sacra>>. Il mito della Patria diventa cos uno strumento che il fascismo utilizz per conquistare un consenso sempre pi ampio e per assimilare i movimenti patriottici affini come il combattentismo, larditismo e il fiumanesimo. Riusc, restaurando il culto della Patria, a trovare addirittura il consenso della borghesia patriottica che, per, pensava che i fascisti avessero instaurato una religione civile, per unItalia unita e di cittadini liberi, riuscendo a realizzare le idee del Risorgimento, senza accorgersi, in realt, che si trattava di una religione politica, <<che mescolava ambiguamente i simboli della patria con i simboli di un partito, che si apprestava a servirsi degli altari della patria per celebrare, in un nuovo Stato integralista, il culto del Littorio>>42.

IL MITO DEL FASCIO LITTORIO


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Ivi. Ivi. 40 Ivi. 41 Ivi. 42 Ivi, p. 68

Lo sviluppo e linstaurazione della religione fascista avvenne attraverso tre processi fondamentali. In un primo momento, vennero rinnovati e reintrodotti simboli del passato, come nel caso del mito della Patria, che potevano essere accettati pi facilmente dalle masse. In un secondo momento i <<vecchi>> miti vennero affiancati da quelli fascisti, preparando la terza fase, cio la trasformazione delle credenze passate, ormai istituzionalizzate, in miti fascisti. In questo modo tutti erano obbligati a partecipare alla liturgia dello Stato, che ora coincideva perfettamente con quella fascista, e chi non si univa alla celebrazione del culto, mostrava disprezzo o indifferenza per i nuovi vessilli fascisti era punito e scomunicato. Infatti, listituzione del culto della Patria, incentrato sulla glorificazione della guerra, serv a preparare lambiente per instaurare il culto del Littorio come liturgia di Stato. Il fascio littorio, simbolo della massima autorit nellantica Roma, divenne il simbolo della rivoluzione fascista e della resurrezione della patria per opera del duce. Assunse il significato di unit, forza, disciplina, di giustizia, e un significato religioso come simbolo della tradizione sacra della romanit43. Il primo passo per la diffusione del vessillo fu quello di creare una moneta che da un lato presentava la figura del re, e dallaltro la figura del fascio littorio. Furono coniati tagli di 1 e 2 lire, e successivamente 100 e 20 lire, un metodo infallibile per divulgare il nuovo simbolo, dato che queste monete di piccolo taglio giravano nelle mani di ognuno. Ma la consacrazione ufficiale della foggia romana avvenne con lascesa del fascio nella simbologia dello Stato, che accompagn la costruzione del regime. Tra il 1925 e il 1926, Mussolini dispose che doveva essere collocato su tutti gli uffici ministeriali, governativi, anche provinciali, dichiarando il fascio emblema di Stato, perch nel fascio <<si riassume il culto per le tradizioni della stirpe e si esprime la volont di esserne degni in una nuova Era di grandezza>>44. Contemporaneamente fu bloccata la banalizzazione del simbolo, vietando la fabbricazione, la vendita e luso di distintivi o insegne col fascio littorio senza una speciale autorizzazione delle autorit del governo o del partito fascista45. Nel 1927 fu decretato che il fascio doveva essere accollato a sinistra dello stemma dello Stato, rappresentato dallo scudo di Savoia, mentre nel 1929 il governo stabil la foggia del nuovo stemma dello Stato, sostituendo con due fasci i leoni di sostegno allo scudo. Col passare del tempo, e il consolidarsi del regime, ci fu sempre un maggiore controllo da parte del PNF sulla liturgia fascista, che originariamente era stata in larga parte espressione spontanea soprattutto dello squadrismo e ne rifletteva le caratteristiche di spontaneit ribelle. La religione fascista prima della marcia su Roma non era ancora vincolata allobbedienza cieca e alla fede indiscussa in un capo. Ma una volta arrivato al potere, questa situazione diventava incompatibile con la concezione di Stato nuovo. Il ribellismo squadrista doveva essere placato e la spontaneit dei riti e dei simboli doveva cedere allistituzionalizzazione. Al <<tempo eroico>> della distruzione del vecchio ordine liberale, doveva ora seguire il <<tempo della costruzione>>46. Vennero, infatti, proibite le manifestazioni spontanee, e venne pubblicato nel 1929 il catechismo della <<dottrina fascista>>, per eliminare ogni disputa interpretativa e fissare lortodossia della fede fascista.

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Ivi. R.d. 12 dicembre 1926 n. 2061, Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XXVII, sessione 1924-27, Documenti. Disegni di Legge e relazioni, n. 1189-A- Cfr. ACS, PCM, Gabinetto, 1928-1930, fasc. 3.3.2 n. 1880 e Gabinetto, 1940-1943, fasc. 3.3.2 n. 552 45 R.d.l. 20 dicembre 1926, n. 2273. Cfr. Ministero dellInterno, Disposizioni per luso dellemblema del Fascio littorio, Roma 1927 46 E. Gentile, Il culto del littorio, p. 99

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Come ogni religione, anche il fascismo invent un calendario, istitu come inizio dell<<Era fascista>> il primo anniversario del 28 ottobre, iniziando a datare da quel momento i documenti affiancando allanno cristiano, <<anno primo dellera fascista>>. Venne istituito un organico sistema di riti e feste collettive per il culto del fascio littorio, ma ai riti periodici delle feste dellUnit, della Monarchia e della Grande guerra, degli anniversari della rivoluzione e del Natale di Roma, di volta in volta si aggiungevano altre manifestazioni di massa, dalle sagre alle mostre, dalle parate alle grandi adunate organizzate in occasione di eventi straordinari, come per esempio le manifestazioni per la campagna dEtiopia o gli incontri del duce con la folla. Le forme essenziali dei riti del littorio, vedevano partecipare la grande massa del popolo, inquadrata nei Fasci, nella Milizia, nei sindacati, nelle organizzazioni giovanili, con la partecipazione dei decorati, dei mutilati e dei combattenti. La celebrazione aveva una severa impronta militare per dare a tutti <<lidea della formidabile compagine di forze che stanno alla base della Rivoluzione Fascista e ne garantiscono contro chiunque la vita e lo sviluppo>>47. Dopo lomaggio ai caduti e alla rivoluzione, i cortei si recavano ad apporre il simbolo del fascio alle opere pubbliche compiute. Era dobbligo la severit e la sobriet e pertanto erano banditi i banchetti e i ricevimenti fastosi. Anche la parte oratoria era limitata alla lettura simbolica del messaggio del duce senza abbandonarsi a discorsi eccessivamente retorici. I fascisti avevano lobbligo di indossare la camicia nera, e di sera di riunirsi nelle loro sedi per manifestazioni intime nel ricordo dei compagni caduti. Lorchestrazione della liturgia di massa non si limitava soltanto ai riti politici del regime, ma ne abbracciava tutte le manifestazioni organizzate della vita collettiva, come le sagre popolari, le manifestazioni sportive e le mostre. Il fascismo, infatti, si appropri delle feste tradizionali inserendole nella propria liturgia, come fece per esempio con lepifania. Dal 1928 fu, cos, istituita la <<Befana fascista>> per la quale il partito distribuiva doni ai bambini poveri e alla fine degli anni Trenta fu vietato lo scambio dauguri il primo dellanno, dato che linizio dell<<anno fascista>> era il 29 ottobre. Di simbolismo fascista furono permeate anche le sagre tradizionali della vita rurale come la <<festa delluva>>, che divenne unoccasione per esaltare la romanit del fascismo. Incoraggiando lo sport, inoltre, che mirava a <<creare la passione nelle masse e non gi a creare esclusivamente i campioni>>48, il fascismo cercava di attuare una mobilitazione collettiva, fondamentale per realizzare il progetto totalitario, vincendo la mentalit dellisolamento privato49, pur incoraggiando nello stesso tempo lagonismo sportivo come preparazione al conseguimento del primato nelle competizioni internazionali. Per il fascismo lo sport era <<da esaltarsi quale autentico servizio e dovere civico>> che doveva praticare <<il buon cittadino fascista>> per <<essere veramente parte integrante di quel popolo che il DUCE ha proclamato essere corpo dello stato e coefficiente dinamico di quello stato che , per la stessa alta definizione, spirito del corpo>>50. Come evidente, nessuna manifestazione collettiva del regime si sottraeva al compito di essere veicolo di indottrinamento e di pratica del culto del littorio. Il regime cerc di intensificare sempre pi il suo intervento plasmatore sulle masse, escogitando continuamente nuove forme di mobilitazione e di propaganda. Nel 1932 furono istituiti i <<raduni domenicali>> dove gli oratori incaricati dal partito esponevano alle masse <<idee e fatti sulletica fascista>>51, vantando i meriti della politica del regime, ascoltando i lamenti dei lavoratori per le ristrettezze economiche, e lasciando loro la promessa che avrebbero <<fatto presente a chi di dovere in Roma [] le
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PNF, <<Foglio dordini>>, n. 10, 9 ottobre IV (1926), cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 152-153 PNF, Atti 1931-1932, Roma 1932, circolare del 16 maggio 1932, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 159 49 P.L., La coscienza della collettivit e lo sport, in <<Bibliografia fascista>>, febbraio 1933, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 159 50 R. Nicolai, Sport, in PNF, Dizionario di politica, cit., vol. IV, p. 343, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 160 51 Entusiastica partecipazione di popolo ai raduni di propaganda, in <<Il Popolo dItalia>> 24 maggio 1932, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 167

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varie necessit del paese>>52. Nel 1935 venne istituito il <<sabato fascista>>, in relazione alla applicazione della settimana lavorativa di quaranta ore: il sabato pomeriggio libero doveva essere dedicato alleducazione politica e alladdestramento militare. In tal modo le due principali attivit pedagogiche avevano il proprio giorno di celebrazione, assumendo un carattere sempre pi religioso, che avrebbe portato alla costruzione delluomo nuovo, del cittadino-soldato, non pi affetto dallanalfabetismo fisico e politico53.

IL MITO DI ROMA
Il mito della romanit, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non presente dalla nascita del movimento fascista, ma viene prodotto, successivamente, dallevoluzione del mito dello Stato, diventandone una componente fondamentale, necessaria per la legittimazione del progetto totalitario fascista e per istituire la nuova religione di Stato. Lo stesso termine fascismo, non nasce dal <<fascio littorio>>, ma da fascio, un nome nato dal dibattito politico ottocentesco, utilizzato dalla Sinistra per indicare lunione compatta dei gruppi e movimenti a carattere rivoluzionario54. Tuttavia il progetto pedagogico del totalitarismo si potrebbe riassumere nellaspirazione di trasformare gli italiani in <<romani della modernit>>55, per far rivivere lo <<spirito della potenza creatrice di Roma che nella famiglia, nella religione, nelleducazione militare, nelle leggi seppe infondere un sacro rispetto al principio della subordinazione del singolo alla collettivit>>56, e per ricreare nello Stato quell<<intimo nesso spirituale fra famiglia e stato, fra stato e religione, in perfetto equilibrio>>, che aveva dato <<alla coscienza romana un fondo di virt, di consapevolezza, di disciplina, segreto di grandezza>>57. <<Roma il nostro punto di partenza e di riferimento; il nostro simbolo o, se si vuole, il nostro mito>>58. Il coronamento di questo mito avvenne nel 1937, anno in cui fu realizzata una mostra per la celebrazione del bimillenario di Augusto, in coincidenza con la riapertura della mostra dedicata alla rivoluzione fascista, come a voler sottolineare la simbiosi tra romanit e fascismo. Si voleva celebrare leternit e l universalit di Roma, che <<sotto la guida del duce [] ha ripreso la sua fatale missione>> di civilt nel mondo moderno59. Il fascismo aveva lambizione di <<trasvalutare>>60 la romanit, contestualizzandola e rendendola viva di nuovo. Questo atteggiamento non era un amore e rispetto archeologico per una originale identit del passato da recuperare e restaurare. <<Piuttosto, si pu ritenere che il fascismo pratic unarcheologia simbolica, cercando di attualizzare delle vestigia della romanit, ispirata al richiamo mitico del centro sacro, per entrare in comunione con la potenza magica della romanit, al fine di creare, anche arbitrariamente, uno scenario urbanistico e monumentale tale da visualizzare la simbiosi fra romanit e

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ACS, MI, DGPS, cat. G1, b. 60, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 168 E. Gentile, Il culto del littorio 54 A. Tarquini, Storia della cultura fascista 55 E. Gentile, Il culto del littorio 56 F. Ciarlantini, Il Fascismo e la Romanit, in <<Augustea>>, 21 aprile 1938 , cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 130 57 E. Ciaceri, Paganesimo, in Dizionario di politica, cit., p. 340, in Gentile p 130, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 130 58 B. Mussolini, Passato e avvenire, in <<Il Popolo dItalia>>, 21 aprile 1922, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 130-131 59 La Mostra Augustea della Romanit, Roma 1937, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 131 60 E. Gentile, Il culto del littorio, p. 132 (lautore riprende il pensiero di Bottai)

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fascismo entro nuovi spazi sacri, misto di antico e moderno, per celebrare il culto del littorio nella citt eterna, presentando il fascismo erede e culmine della tradizione romana>>61. Il fascismo, erede moderno della romanit, aspirava a conquistare, come la <<Roma dello Stato>> e la <<Roma della Chiesa>>, leternit, lasciando nella storia le vestigia della <<Roma di Mussolini>>. Importante per la diffusione del mito fu listituzione del <<Natale di Roma>>, festeggiato il 21 aprile per celebrare la giornata del lavoro in sostituzione alla festa del Primo maggio, e interpretata dai fascisti come uno strumento per entrare in comunione con la romanit. In questo modo si eliminava lo iato tra mitologia e storia62, creando un modello da seguire e una giustificazione per tutti gli atti umani. Infatti come nelle societ arcaiche, il fascismo riteneva che il mito era espressione di <<una verit assoluta perch racconta una storia sacra, cio una rivelazione trans-umana che avvenuta allalba del Grande Tempo, nel tempo sacro degli inizi (in illo tempore). Essendo reale e sacro, il mito diventa esemplare, e di conseguenza ripetibile>>63. Per di pi, Mussolini, dopo la nascita del PNF, per rafforzare la sua autorit sulle diverse correnti, modell il Partito sulle organizzazioni militari romane64. Cre un partito armato, composto da principi, o camice nere, e triari, o riserve: nellesercito romano, infatti, i principi erano i combattenti di prima linea, mentre i triari erano le forze delle retrovie. Sempre su ispirazione dellesercito romano nel 1922 fu istituita la milizia fascista, un corpo di polizia suddiviso in squadre. Ogni squadra era comandata da un caposquadra e da due vice capisquadra, i decurioni; quattro squadre componevano una centuria, con a capo un centurione; mentre quattro centurie formavano una coorte, guidata da un seniore; infine pi coorti davano vita a una legione, comandata da un console65. Nel 1936, con la conquista dellEtiopia, il mito sembrava realizzato, limpero sembrava ormai tornato sui colli fatali di Roma.

IL MITO DEL DUCE


Tutto luniverso simbolico del regime fa perno sul mito del Duce, anche se la religione fascista nata, come abbiamo gi visto, da unesperienza collettiva di vari movimenti, che ha prodotto spontaneamente simboli e credenze che soltanto successivamente sono state istituzionalizzate e ufficializzate. Il culto del Duce ebbe una storia a s, in quanto nacque, quando la religione fascista era gi stata istituzionalizzata, anche se il mito di Mussolini era diffuso da tempo. Infatti necessario distinguere tra mito e culto del duce66, perch se il culto della personalit si fonda sempre sul mito, non sempre il mito di una personalit accompagnato da atti di devozione. In alcuni casi, come per Stalin e Hitler, mito e culto si sono sviluppati simultaneamente allinterno dei loro movimenti e in funzione di questi. Nel caso di Mussolini, invece, il mito non ha soltanto preceduto il culto, ma si manifestato con diversi aspetti prima della nascita del fascismo67. Ci sono stati diversi miti di Mussolini che si sono diffusi in periodi diversi della sua vita, che ebbero origine nellambito di differenti ambienti politici e culturali. Ciascuno di questi miti favor il sorgere attorno alla sua figura di un
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Ivi. M. Eliade, Miti, sogni, misteri (1957), Torino, Lindau, 2007 63 Ivi, p. 17 64 A. Tarquini, Storia della cultura fascista 65 A. Giardina e A. Vauchez, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini, Bari, Laterza, 2000, cit. in A. Tarquini, Storia della cultura fascista, p. 131 66 E. Gentile, Il culto del littorio 67 Ivi.

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aura carismatica, preparando le condizioni per la nascita del mito fascista di Mussolini e listituzione di un culto della sua persona negli anni del regime. Mussolini cominci a fare parlare di s molto presto, quando ancora ventinovenne, da <<uomo nuovo>> prese la guida del partito socialista nel congresso di Reggio Emilia del luglio 1912. Nacque cos il mito socialista di Mussolini, in quanto divent lidolo dei seguaci del partito, il modello del capo rivoluzionario, il simbolo del nuovo socialismo intransigente. Ma quando fu il momento di scegliere se entrare in guerra oppure no, Mussolini si schier tra gli interventisti, tradendo il partito e le masse che avevano creduto in lui. Con questa scelta, perse la fiducia dei socialisti, ma subito divenne leroe delle avanguardie politiche e culturali dellinterventismo. Venne considerato come futuro rinnovatore nazionale dagli intellettuali che militavano nel composito fronte dellantigiolittismo, radunati attorno a <<La Voce>> di Prezzolini e all<<Unit>> di Salvemini. Questo nuovo mito accompagn Mussolini anche dopo la guerra, ma rimase limitato alle <<aristocrazie del combattentismo>>68, come gli arditi, i futuristi, e i reduci interventisti con i quali diede vita al movimento fascista. In ogni caso, la maggior parte dei fascisti, almeno fino alla <<Marcia su Roma>>, non videro in Mussolini il capo carismatico che avrebbe compiuto e guidato la <<rivoluzione>>, ma posero la loro fiducia in Gabriele DAnnunzio. Infatti, nella stessa organizzazione del movimento fascista, Mussolini, pur essendo lunica figura politica di rilievo nazionale e direttore di un influente quotidiano, era soltanto membro dellufficio di propaganda e della commissione esecutiva. La sua autorit, pertanto, non era affatto indiscussa e venerata come quella di un capo carismatico. La sua figura si impose allora pi per le sue doti politiche che per il riconoscimento in lui di particolari doti carismatiche. Egli, infatti, fu accettato come duce, soltanto dopo che fall la rivolta antimussoliniana e il tentativo di portare alla guida del fascismo DAnnunzio, quando i militanti del partito si resero conto che nessuno di loro poteva seriamente contendere a Mussolini la guida del movimento e preservarne allo stesso tempo lunit, in quanto lui era lunico in grado di tenere assieme linsieme dei potentati locali. La sua autorit, comunque, tra il 1923 e il 1925, venne messa in discussione pi volte allinterno del partito, ma queste crisi non fecero altro che favorire lascesa del mito del Duce, esaltato, spontaneamente e strumentalmente, come unico fattore di coesione del fascismo e unico punto di riferimento al di sopra dei potentati locali. Tanto vero che nelle rivalit fra i vari capi tutti si rifacevano allautorit di Mussolini per legittimare le proprie azioni, contribuendo cos ad accrescerla. Ma il mito del Duce accrebbe la sua forza con linstaurazione e la costruzione del regime fascista. La posizione del duce fu codificata negli ordinamenti del partito e dello Stato in forme che ne accentuarono progressivamente la superiorit come capo del fascismo. Nello statuto del 1926, la figura del duce appare per la prima volta nellordinamento del partito, collocata al vertice della gerarchia del PNF come <<guida suprema>>. Nello statuto del 1932, il duce venne innalzato al di sopra e collocato al di fuori della gerarchia, e in quello del 1938 fu formalmente definito <<Capo del PNF>>. In pi, nel 1938 fu pubblicato dal PNF il nuovo catechismo di dottrina fascista nel quale il duce era definito <<il creatore del fascismo, il rinnovatore della societ civile, il Capo del popolo italiano, il fondatore dellImpero>>69. Si giunse cos alla piena inserzione del mito mussoliniano nella struttura istituzionale dello Stato Fascista, che venne ad assumere la particolare fisionomia di cesarismo totalitario70, data lestensione e lintensit delle attribuzioni riservate a Mussolini, in quanto <<mito>> e <<duce>>, nella prassi, nella teologia e nella liturgia dello Stato fascista.
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E. Gentile, Le origini dellideologia fascista Il primo libro del fascista, Roma 1938, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 239-240 70 E. Gentile, Partito, Stato e Duce nella mitologia e nella organizzazione del fascismo, in K. D. Bracher, L. Valiani (a cura di), Fascismo e nazionalsocialismo, Bologna 1986, pp. 265-294

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Fu Augusto Turati, segretario del PNF dal 1926 al 1930, il fondatore del culto. Infatti, avvi il processo di mussolinizzazione del fascismo collocando il duce sullaltare del culto littorio, offrendolo alla venerazione delle masse fasciste71. Ma la formalizzazione del culto del duce fu soprattutto opera di Starace, che moltiplic le formule e i riti di devozione, dal modo in cui si doveva scrivere la parola <<duce>>, tutta in minuscolo, al cerimoniale che doveva accompagnare lapparizione pubblica di Mussolini, con il rito del <<Saluto al duce>>. Lesaltazione della figura di Mussolini divenne la principale attivit della <<fabbrica del consenso>>72, che lavor a ritmo sempre pi intenso per diffondere fra le masse il mito e il culto del duce, rendendo la sua immagine onnipresente, rappresentandolo come un <<eroe dai mille volti>>. Egli veniva trasfigurato e rappresentato come la sintesi superiore di ogni tipo di grandezza duomo mai apparsi in qualsiasi epoca: statista, legislatore, filosofo, scrittore, artista, genio, profeta, messia, apostolo, maestro. Un grande uomo, destinato a essere ricordato per sempre, come Cesare e Augusto, Napoleone; con un intelligenza da far invidia a Socrate e Platone; avvolto da un alone rivoluzionario degno di Mazzini e Garibaldi; paragonato a Cristo, in quanto incarnazione di Dio, in quanto, come scriveva Asvero Gravelli, Dio e la storia significavano Mussolini73.Alle nuove generazione il duce veniva fatto apparire come un nume vivente, a cui si doveva donare la propria vita, anima e corpo. Nel 1930 sorse la scuola di <<Mistica fascista>>, per iniziativa di giovani universitari che volevano dedicarsi interamente al culto di Mussolini. Svolgevano cicli di lezioni che si ispiravano al pensiero del duce, lo illustravano e lo sviluppavano nella elaborazione di una visione mistica della rivoluzione fascista, dei problemi della storia e della vita italiana. Qualsiasi cosa, anche sposarsi o procreare, era da loro sentito come un atto di obbedienza e devozione al duce. Ma laffermazione del mito e il culto del duce non deve essere considerato solo dal punto di vista del suo partito, ma bisogna tenere conto della distinzione74 tra le manifestazioni del culto propriamente fascista, riconducibile a motivazioni politiche e ideologiche, e le manifestazioni genericamente popolari, spesso spontanee, e prive di queste motivazioni. Dopo la conquista del potere, infatti, il mito di Mussolini trov un ambiente favorevole per affermarsi e diffondersi anche al di fuori del suo partito, e in qualche caso contro di esso. La crisi italiana del dopoguerra aveva creato le condizioni psicologiche propizie per la nascita del culto popolare dellUomo provvidenziale75. E quando giunse al potere molti videro in lui colui che avrebbe riportato lordine e la pace dopo oltre un decennio di sconvolgimenti sociali e politici. Dallopinione pubblica borghese fu visto come il salvatore della patria e il restauratore dello Stato; ai ceti popolari, che non avevano subito la violenza squadrista, apparve come un figlio del popolo, che nonostante il potere, non ha dimenticato le proprie origini, e quindi fu subito circondato da ingenua ammirazione, mista a fiducia e speranza nella sua opera benefica76. Per di pi, Mussolini fu il primo presidente del Consiglio a girare in lungo e in largo tutta Italia, andando anche in regioni e citt mai state visitate, mostrandosi alla folla e parlando alle masse, stabilendo, cos, un contatto diretto con la gente comune, priva di eccessive conoscenze politiche, generando quasi una sensazione fisica di vicinanza tra la politica e la gente comune, che pens di essere, finalmente, ascoltata e esaudita dalla classe dirigente.

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E. Gentile, Il culto del littorio P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Bari, Laterza, 1975 73 Cit. in Hasler, Das Duce, cit., p. 485, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 242 74 R. De Felice, L. Goglia, Mussolini, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 240 75 E. Gentile, Il culto del littorio, 76 Ivi.

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Lartificio della <<fabbrica del consenso>> e lentusiasmo spontaneo cooperavano per produrre un sentimento di esaltazione collettiva. Il discorso del duce era sempre il momento culminante dellincontro con la folla, in quanto assumeva spesso il carattere di orazione rivelatrice della volont del nume e di manifestazione oracolare della volont della nazione. Il culto mussoliniano riscosse crescenti consensi tra e il fenomeno fu pressoch costante durante il regime, almeno fino alla seconda guerra mondiale, ma non ebbe, in definitiva, mai unestensione che comprendesse tutti i ceti sociali. Vi furono, infatti, settori della societ dove questo mito ebbe minore o scarsa influenza. Per esempio i settori sociali che avevano vissuto un processo pi marcato di secolarizzazione o quelli, specialmente ceti operai e contadini, che avevano subito le violenze squadriste ed erano pi saldamente legati alla tradizione socialista, repubblicana o comunista, non parteciparono a questa esaltazione collettiva, nonostante rischiassero di essere puniti. Per questi ceti il mito di Mussolini riusc a far breccia solo in un secondo momento, agendo soprattutto sulle generazioni pi giovani, alle quali il regime dedicava particolare cura. Al contrario, nella media e nella piccola borghesia non politicizzata, nei ceti popolari pi umili, specialmente rurali, privi di qualsiasi tradizione laica o politica, che non avevano subito la violenza squadrista, il culto del Duce si diffuse rapidamente, perch mise radici in una cultura ancora fortemente dominata da credenze religiose, persino superstiziose e magiche, che proiettavano su Mussolini forme di devozione e di culto tipiche della religiosit cristiana, fino a paragonarlo a Cristo77. Le masse percepivano il mito del Duce come limmagine di un nume protettore78, vedevano Mussolini come un uomo di sconfinata bont, tanto che venne esaltato sempre di pi, anche quando linvadenza del regime totalitario si fece pi opprimente, anche quando crescevano le critiche ai gerarchi fascisti, che attuavano politiche sempre pi soffocanti. Le masse riponevano, ora pi che mai, la propria fiducia nel Duce, quale ultima speranza per un atto risanatore dei mali, anche quelli inflitti dal fascismo stesso, accompagnando questa fede a unattesa quasi miracolistica.

CONCLUSIONE
Abbiamo visto come il fascismo abbia sviluppato una religione politica molto complessa che gli permettesse di realizzare le proprie ambizioni totalitarie. In questo modo, attraverso un controllo dallalto minuzioso, accompagnato spesso da violenze, e linstaurazione di un culto al limite del ridicolo79 il fascismo riusc nella sua impresa di educare le masse. Ma come abbiamo detto, questo addomesticamento non durava per sempre, bisognava mantenerlo attraverso il continuo uso di miti, fino ad arrivare a paragonare Mussolini a Cristo, in quanto mito e idea fascista incarnata80, in quanto salvatore della patria e uomo dalla bont sconfinata. Ma un nume che si fosse rivelato fallibile, tradendo il suo popolo, e attirando su di esso <<la furia distruttrice dei cavalieri dellApocalisse>>, una guerra lunga e sanguinosa, la fame e la morte, <<era destinato ad essere detronizzato e dissacrato dai suoi stessi credenti con la stessa passione con la quale era stato adorato>>81.

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E. Gentile, Il culto del littorio Ivi. 79 Ivi. 80 G. Gentile, Origine e dottrina del fascismo, Roma 1934, riportato in id., Politica e cultura, vol. I, a cura di H. A. Cavallera, Firenze 1990, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio 81 E. Gentile, Il culto del littorio, p. 265

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