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Everything changes.: Tutto cambia tranne me.
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Ebook163 pages2 hours

Everything changes.: Tutto cambia tranne me.

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About this ebook

Jenny ha ventisette anni, un telefono gigante a forma di Hello Kitty, una grandissima passione per la musica anni Novanta e una lunga serie di relazioni fallimentari alle spalle. Una delle sue canzoni preferite recita: everything changes but you, “tutto cambia tranne te”, e per lei queste parole rappresentano la sua storia. Di punto in bianco, però, il funerale improvviso del suo primo amore, Ado, la costringe a mettere piede su un aereo per Losanna, verso un’imprevedibile avventura. Tra inaspettate sorprese, situazioni imbarazzanti e una bambina dal passato particolare, arriva il momento, per Jenny, di mettere in discussione se stessa ed esplorare il cambiamento in ogni sua forma, muovendo così i primi passi in una vita nuova e ricolma di segreti, in cui cercare di rimanere così com’è diventa una sfida ogni giorno più grande.
LanguageItaliano
PublisherDialoghi
Release dateApr 28, 2023
ISBN9788892793064
Everything changes.: Tutto cambia tranne me.

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    Book preview

    Everything changes. - Valentina Fraja De

    Tutto comincia da qui

    Everything changes but you

    Oggi, domenica 3 aprile 2008, c’è stranamente il sole. In piedi sulla sedia, nella mia stanza, spolvero la collezione completa delle mie bambole di pezza sulla mensola rosa mentre alla radio tenuta a tutto volume, lo speaker annuncia: «… e adesso un’altra canzone di successo degli anni Novanta! Ricorderete certo una delle boy band più amate di quel periodo! Signore e signori, Take That, Everything changes!».

    Ah, i miei Take That! La mia adolescenza, I miei sogni, il mio tutto. È come ne Alla ricerca del tempo perduto, la famosa maddalena immersa del tè capace di rievocare emozioni oramai sopite. Senza neanche accorgermene sono già lì a cantare a squarciagola come una cretina, con la mano a pugno a mo’ di microfono mi atteggio a rock star come facevo quando avevo quattordici anni, rischiando di cadere dalla sedia da un momento all’altro. La mente viaggia su un altro pianeta e per un attimo dimentico il mio presente. Ci pensa il trillo del mio telefono gigante a forma di Hello Kitty a riportarmi alla realtà, facendomi quasi cadere dalla sedia.

    «S-s-sì?».

    «Jenny, tieniti forte. Ti devo dare una bruttissima notizia».

    Da qualche parte dietro di me Robbie, con la sua voce in falsetto, sta cantando "Now dont you cry, just one more kiss before I have to go".

    Non riesco a capire bene a causa del volume della radio, ma dalla voce mi pare Alex. Strano perché, se è lui, non lo sento da moltissimo tempo. Ha ovviamente saltato la parte dei convenevoli per venire subito al sodo ed è proprio nel suo stile di fare le cose. Si sente di sottofondo un tramestio indistinto che poi è il via vai chiassoso della gente dello Shopping Mall, l’immenso centro commerciale dove lavora da anni, assegnato al reparto elettrodomestici.

    Alex non mi telefona quasi mai da lavoro. Anzi, per essere precisi, Alex non mi telefona mai. A dirla tutta non ci vediamo da molto tempo. E poi brutta notizia per chi? Per me? Per lui? Per noi? Noi cosa, poi? Alex e io non condividiamo più nulla da anni. Né eventi, né amicizie, niente di niente. Ci sentiamo sporadicamente per gli auguri di compleanno e altre ricorrenze comandate. Mah, rifletto, capita però che a volte si faccia sentire, quando succede qualcosa che reputa abbastanza grave e si trova a lavoro, dove può scroccare la telefonata. Penso tutto questo in un millesimo di secondo e nei successivi che precedono la sua risposta mi vengono in mente varie alternative: è stato licenziato, ha lasciato per l’ennesima volta il fidanzato storico o una serie di altri motivi futili, tipo la data del gaypride cancellata o il concerto di tal dei tali che non ha previsto date in Italia. Nessuna di queste però può definirsi una bruttissima notizia. Di certo non la terza, quindi propendo per una tra le prime due e cerco di preparare, in questo brevissimo intervallo di tempo, anche due o tre frasi di circostanza sulla crisi del lavoro che c’è dappertutto, o su quanto fosse sbagliato il suo ormai ex fidanzato. O forse mi sbaglio, magari il fatto che, tipo, i Match Box Twenty non vengano più in Italia quest’anno sarà per Alex una bruttissima notizia. Certo, si sarà sentito triste e incompreso per una cosa del genere visto che il suo ragazzo – ammesso che stiano ancora insieme – di musica non capisce un’acca. Il poverino sarà costretto ad andare all’estero e vuole sfogarsi con me, che forse sono una delle poche persone sulla faccia della terra che conosce i Match Box Twenty. Sarà sicuramente così. Del resto, Alex vive per la musica in maniera direi quasi maniacale, fa anche parte di un complesso assurdo che spreca tutti i pomeriggi, compreso quello del sabato, a provare e riprovare Smoke on the water e a suonare nei disco pub di provincia; Alex macina chilometri alla disperata ricerca di un lontano e polveroso negozio di dischi che magari ha proprio quel b-side degli Scorpions, quel bootleg dei Red Hot o quel vinile introvabile degli Eagles. I gruppi che suonano nei garage Smoke on the water sono roba da anni Ottanta, massimo Novanta, e poi basta con questi cd e vinili introvabili, oramai la musica si scarica in rete. Alex forse è l’unica persona rimasta al mondo che non scarica musica da internet.

    «Sei diventato veramente out, ti rendi conto? Oramai pure i bambini di tre anni scaricano musica dal cellulare!» gli dissi una delle ultime volte che ci vedemmo. Eravamo nella sua cucina.

    «Jenny, tu non capisci niente» mi rispose lui agitando le mani a mo’ ventaglio. «Non senti il magico crack di sottofondo di questo vinile?». Stavamo ascoltando un 45 giri degli Wham!, lui lo metteva su ogni volta che cucinava, da una specie di aggeggio arancione che riproduceva mini disk.

    «E poi io sono gay, e sono vintage, quindi sono più alla moda di quanto credi... ma cosa ne vuoi sapere tu!».

    È sempre stato saccente e odioso. Da quando abbiamo smesso di vederci spesso, a volte mi manca un po’, ma poi penso che in fondo è meglio sia andata così.

    2

    La notizia

    Whatever you do to me

    Comunque, ritornando alla telefonata, devo pur rispondere qualcosa e quindi, fingo di non riconoscere Alex ed esclamo: «Oh! Ma chi è?» abbassando il volume della radio.

    «Jenny, ma come chi è? Sono io, Alex!».

    Bellissimo. Ovviamente risponde come se ci fossimo visti ieri.

    «Alex. Pensavo fossi morto».

    Dall’altro capo del filo, la sua voce mi risponde: «Non sono io a essere morto, ma qualcuno che conosciamo entrambi, honey».

    «Oddio» mormoro. Tengo gli occhi sbarrati mentre cerco di capire a chi si stia riferendo, ma Alex mi toglie subito ogni dubbio al secondo successivo, lapidario: «Ado è morto».

    Ado. Ado. Ado.

    Mi riecheggia un suono nella testa, come una voce lontana. Un nome che non sento da tempo, eppure lo ricordo bene: Adorato, così lo chiamò sua madre quando venne al mondo, marchiandolo per sempre con un complesso di Edipo da cui non guarì mai.

    Ado, il mio primo amore, Ado il migliore amico di Alex, nonché una persona che poi si è dissolta nel nulla da un giorno all’altro e che non vedo e non sento da sei o sette anni, forse più.

    Dunque, Ado è… morto.

    Che intende per morto? Nel senso che non è più tra i mortali? Che ha esalato l’ultimo respiro e la sua anima è volata via dal corpo? E come? Quando? Perché? Un infarto? Quanti anni avrebbe ora? Trentuno, forse trentadue? Un incidente? Certo, deve essere stato un incidente. A questo proposito mi viene in mente che un po’ di tempo dopo esserci lasciati, Alex mi disse che proprio Ado si era arruolato in non so quale corpo speciale. Forse è morto in guerra. Ma Quale guerra?

    E come mai non svengo o peggio, non mi si ghiaccia il sangue nelle vene o ancora, non vado nel bagno a vomitare? Mi invade solo un certo languore, unito a una strana sensazione di calore.

    Silenzio di tomba.

    «Jenny, ci sei? Comunque, so solo che ha avuto un incidente e si è schiantato contro non so cosa» continua Alex. Crede che il mio silenzio sia indice di un quasi collasso. Incredibile. Il suo cinismo non ha limiti.

    «Era in servizio?» è la cosa più idiota che riesco a dire.

    «Non so se sia stato un incidente sul lavoro. Be’, ma… Jenny, ma... ti rendi conto?».

    Ah, ora Alex ha voglia di parlare, improvvisamente ha dimenticato tutti gli affari da sbrigare nel reparto elettrodomestici e vuole dare sfogo alla sua incredulità con me. In fondo è come dire che i Match Box Twenty si sono sciolti, Jenny, ma ti rendi conto?

    Qui però si tratta di tutt’altra cosa: una persona è morta, cazzo. Alex non ha mai avuto un briciolo di sensibilità e non vedo perché dovrebbe averla adesso. O forse mi sono sbagliata, magari quel ti rendi conto, Jenny? si riferisce al suo sgomento nei confronti di questa cosa e magari vuole decantare quale ragazzo stupendo fosse Ado quando era in vita, quanto fosse scontento che ci fossimo lasciati, quanto loro due fossero amici e quanto fosse addolorato o quale ragione suprema avesse fatto perdere le sue tracce mandandogli solo biglietti di Natale... E se in questo momento fatico a ricordare il viso di Ado non è che faccia meno fatica a ricordarmi il suo, di volto, e vorrei tanto dirglielo adesso.

    Ed ecco partire il mio solito flusso di coscienza alla James Joyce sulle cose che avrei voluto dire: sì sì, certo Alex, Ado non lo vedo da una vita. E noi due da quanto tempo non ci vediamo? Prima di darmi lo scoop avresti potuto almeno chiedermi come stai, che fai?. Accidenti. Non ci ho mai tenuto ai convenevoli, io, però forse non ricordi più neanche questo. Sì, lo so, questo non è nel tuo stile di fare le cose. Magari avresti potuto scusarti del fatto che non ci vediamo da una vita per colpa tua. Un tempo ci vedevamo tutti i giorni. Ok, eravamo io, te e Ado, amici per la pelle da almeno dieci anni, legami di sangue, giuramenti vari e altre cretinate da giovani marmotte. Poi io ho deciso di lasciare Ado, che è andato in crisi, è partito per arruolarsi e adesso ha fatto questa bella fine per colpa mia, perché è questo che credi e non hai il coraggio di dirlo, confessa! Ecco perché adesso sei qui e mi dici ti rendi conto, Jenny?, ovvero: ti rendi conto che è tutta colpa tua? Sei un cinico, Alex, sei davvero un cinico, e secondo me non ti dispiace affatto di questa storia, non te ne frega niente di Ado, è solo l’ennesimo pretesto per rovinarmi la vita. Solo perché quello è morto, e quello era l’uomo col quale fino a qualche anno fa ho condiviso anche lo spazzolino da denti pure se non abitavamo insieme, l’uomo con cui sono stata in una certa intimità, l’uomo con cui portavo a spasso il cane la domenica pomeriggio, l’unico che riusciva a dare una parvenza di normalità alla mia vita alienata...

    Ma non ho il coraggio di sputare tutto quello che invece rimane puro pensiero, per buona pace di Joyce. Non ho mai avuto il coraggio di parlare chiaro ad Alex, neanche protetta dalla cornetta del telefono gigante a forma di Hello Kitty, e il mio scoppio d’ira interiore diventa una specie di palla pesante che sale dallo stomaco e si ferma di colpo, incastonata nella gola. È proprio questo che mi fa crollare. Il respiro nel ricevitore si fa più affannato e mi sento strozzata e poi mi gira la testa, comincio a vedere delle formichine davanti agli occhi, poi si fa quasi tutto nero e poi un nodo in gola fortissimo. Certo, tutto normale. Nella medicina ayurvedica io sono un tipo Vata, e i tipi Vata concentrano il dolore in gola, mentre i Pitta e i Kapha rispettivamente

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