Un racconto dell'arcipelago
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Fantascienza - racconto lungo (40 pagine) - Una specie di salamandra, un animaletto molto dolce e carino. E praticamente immortale.
IV di copertina:
Il collasso della civiltà è già avvenuto, in un passato non così remoto: i più anziani ancora hanno memoria dei grandi disastri naturali e delle successive guerre. Sull’isola mediterranea di Gavdos, comunità statale di Nea Ellada, il vecchio Kostas, eroe della Guerra di Difesa, adesso vive in pace nella placida comunità marittima in cui tutti si conoscono – almeno, fino al giorno in cui nella baia entrano due navi a vapore dallo scafo di metallo. Per suo nipote Nikos e la moglie Irini è una novità, ma il vecchio combattente purtroppo ricorda bene quei vascelli da guerra… e scatta un piano di emergenza, che comincia con una fuga nella vicina Creta, dove l’ex moglie di Nikos, Ekaterini, dirige un laboratorio di ricerche genetiche sulla longevità animale, con l’obiettivo di trasferirla anche alla vita degli esseri umani. È questa la ragione per cui i fantasmi in divisa riemersi dal passato invadono Gavdos e torturano gli abitanti in cerca di informazioni? Ma cosa possono Kostas e i suoi pochi contro un esercito armato e organizzato, che si getta sulle loro tracce? Non sempre, però, le armi più efficaci sono quelle da fuoco, e nei laboratori di Ierapetra sta avvenendo qualcosa di assolutamente rivoluzionario a partire dal patrimonio genetico di un piccolo anfibio messicano, l’axolotl.
Alessandro Fambrini, nato a Seravezza (Lucca) nel 1960, lavora presso l’Università di Trento. Si occupa di letteratura tedesca di Ottocento e Novecento; in particolare dei rapporti tra avanguardia e tradizione nel fin de siècle come lente d’ingrandimento per una definizione e una migliore comprensione della modernità. Ha pubblicato lavori tra gli altri su Kurd Laßwitz (Apoikis, ovvero I sogni della scienza sono un mondo senza scienziati, 1999), Egon Friedell (Egon Friedell precursore dello Steampunk?, 2002), Franz Kafka (Tentativi di evasione. Kafka e Houdini, 2003). Al fantastico e alla fantascienza ha dedicato e dedica un impegno non secondario come autore (racconti e romanzi su numerose pubblicazioni del settore, tra le quali Urania e Robot) e come critico (numerosi i suoi articoli e saggi pubblicati su Futuro Europa, Robot, Nova sf* e Anarres, che ha fondato insieme a Salvatore Proietti nel 2012).
Stefano Carducci è nato a Mestre nel 1955. Informatico di professione, critico e traduttore, ha pubblicato novelle e racconti. Insieme ad Alessandro Fambrini ha pubblicato il romanzo Ascensore per l’Ignoto con Mondadori. Fra i principali autori tradotti, Sturgeon, Vonnegut, Priest, Moorcock, Shepard, K.S. Robinson, Aldiss, Watson, Bishop. L’ultimo saggio è stato pubblicato sul n. 2 della rivista Anarres della Delos Books.
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Un racconto dell'arcipelago - Stefano Carducci
Il vecchio Kostas, occhi chiusi sulla terrazza di casa, si lasciava scivolare addosso i gentili raggi del sole pomeridiano. Non era più, da tempo, il sole feroce della sua impietosa giovinezza, a curare asini sghembi sugli scheletrici monti dell’isola di Gavdos. Avevano tentato di spiegargli com’era possibile, in una singola vita, che il sole si fosse placato e i pendii desertici e petrosi della sua isola, tenuti insieme da cespugli spinosi ed eriche ferrose, fossero diventati prati verdi e campi di frumento. Non aveva bisogno di spiegazioni, lui, che aveva visto l’estrema povertà della sua famiglia di pastori tramutarsi in pochi anni nell’effimero benessere del turismo, per essere poi spazzato via d’un tratto dalle alluvioni, e dalla guerra. E ancora, quando i suoi figli erano piccoli, il lungo periodo sospeso, le ferite che lentamente si rimarginano, il mare che si riposa, finalmente, le persone che ricominciano a parlarsi. Da quel momento, a Kostas era sembrato che, d’improvviso, la vita avesse accelerato, molti cambiamenti l’avevano mutata, ma erano state trasformazioni necessarie, metamorfosi dovute a quell’aria che aleggiava sulla sua isola e che i suoi lontani progenitori avevano chiamato destino. O forse era soltanto lui che era diventato vecchio, e si era fermato.
Ma dopo una vita senza respiro, stava bene a non fare nulla nella sua modesta casa a mezza costa sulla spiaggia, la terrazza che dominava la baia, le barche allineate lungo il molo, e quelle che rientravano dai loro traffici, finalmente pacifici, gli scafi affusolati che sfioravano l’acqua, il ghiaccio delle loro vele solari che si confondeva con l’argento del mare illuminato dai raggi del sole.
Aprì gli occhi. Vide un paio di vele scivolare verso il molo con una manovra azzardata; alcuni marinai saltarono a riva senza aspettare di aver completato l’attracco e partirono di corsa verso l’edificio della capitaneria.
Da dietro la collina che terminava la baia strisciava una nuvola grigia. I temporali erano rari in quel periodo dell’anno, pensò Kostas, eppure qualcosa si stava avvicinando. Si tirò in piedi, appoggiandosi al bastone con l’impugnatura a forma di gabbiano, e fissò l’orizzonte che si stava sporcando di un fumo color cenere.
Lontano, all’imboccatura della baia, con lentezza, quasi volendo annunciarsi in pace, comparve prima la prua poi l’intero scafo di una grande nave di una forma che soltanto la memoria di Kostas poteva ricordare. Alta sull’acqua, imponente e aggressiva, il colore metallico della chiglia che appariva e scompariva sotto la linea di galleggiamento sembrava assorbire la luce come un buco nero. Il vapore che usciva dai due fumaioli disegnava fantasmi di fumo sullo sfondo della baia. Kostas per un attimo sentì di essere ripiombato in un tempo che non avrebbe mai voluto rivivere.
Per qualche minuto sembrò che tutta l’isola trattenesse il respiro. Poi una scialuppa venne calata in acqua dalla nave venuta da un altro tempo, si sentì il rumore di un motore a scoppio che veniva azionato, e la barca si diresse verso la baia. Dietro di lei altre due scialuppe più grandi, cariche di uomini. Prima di raggiungere il porto le imbarcazioni decelerarono, disponendosi attorno al molo. Il rumore, la scia di scarichi venefici, tutto aveva un aspetto angosciante di minaccia.
Kostas rientrò in casa e si preparò a partire.
Nikos, in piedi accanto al letto, fissava Irini che continuava a dormire. O forse fingeva. Con le donne non lo sai mai; o almeno lui non riusciva mai a capirlo, quando fingevano o facevano sul serio. E quello era un problema.
– Che fai lì in piedi? – gli disse infatti lei, con gli occhi chiusi.
– Ti sto guardando – rispose Nikos, imbarazzato.
Silenzio.
Poi Irini aprì gli occhi. Era perfettamente vigile, lucida, come se fosse sveglia da ore, o come se non avesse mai dormito. Quasi gli faceva