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Atlantide
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Atlantide

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Mario Rapisardi (1844-1912), scrittore, poeta, classicista, docente universitario e libero muratore, è una di quelle figure che dovrebbero essere di buon grado celebrate come assoluti e indiscussi giganti della letteratura italiana ed europea, eppure pochi oggi conoscono il suo nome e leggono le sue straordinarie opere. Sul “Vate Etneo” - come egli stesso si appellò nel suo autoritratto poetico in stile foscoliano presente nel poema Atlantide, è calata nel corso del Novecento una tacita damnatio memoriae.
L’Atlantide, uscito nel 1894, è una complessa e articolata satira dei letterati e degli intellettuali del tempo, tra cui Charles Darwin, Karl Marx e perfino Isaac Newton. Non venne assolutamente compreso dalla critica, che lo bollò come “poema socialista” per via di alcuni richiami, in esso contenuti, al filosofo di Treviri e al Materialismo in genere. Ma una simile chiave di lettura è da ritenersi del tutto superficiale. Così come la Palingenesi, il Giobbe e il Lucifero, al di là del suo fragore quasi futurista e al contempo profetico, è anche un’apoteosi della Natura, della ciclicità della Storia e del Pensiero umano libero da superstizioni religiose e morali, da dogmi ingabbianti e annichilenti. L’Atlantide è anche un metaforico viaggio orfico agli Inferi della storia e della contemporaneità, è una gita gioiosa e scalpitante all’interno della Caverna di Platone. È un viaggio nelle profondità di noi stessi. «Atlantide - scriveva Pier Carpi - è sicuramente in noi. È quel continente inesplorato, in parte atrofizzato, a volte perfino ucciso, che è in ogni uomo».
LanguageItaliano
Release dateMar 21, 2023
ISBN9791255042747
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    Atlantide - Mario Rapisardi

    SIMBOLI & MITI

    MARIO RAPISARDI

    ATLANTIDE

    LOGO EDIZIONI AURORA BOREALE
    Edizioni Aurora Boreale

    Titolo: Atlantide

    Autore: Mario Rapisardi

    Collana: Simboli & Miti

    Con introduzione di Nicola Bizzi

    Editing e illustrazioni a cura di Nicola Bizzi

    ISBN versione e-book: 979-12-5504-274-7

    LOGO EDIZIONI AURORA BOREALE
    Edizioni Aurora Boreale

    © 2023 Edizioni Aurora Boreale

    Via del Fiordaliso 14 - 59100 Prato - Italia

    edizioniauroraboreale@gmail.com

    www.auroraboreale-edizioni.com

    INTRODUZIONE DELL’EDITORE

    Devo ammettere che, parlando o scrivendo di Mario Rapisardi, vengo pervaso da un brivido, da una vera e propria vertigine. Mi sto infatti riferendo ad uno di quelli che dovrebbero essere di buon grado celebrati come assoluti e indiscussi giganti della letteratura italiana ed europea, eppure pochi - oserei dire pochissimi - oggi conoscono il suo nome e leggono le sue straordinarie opere. Sul Vate Etneo - come egli stesso si appellò nel suo autoritratto poetico in stile foscoliano presente nel poema Atlantide, è calata nel corso del Novecento una tacita damnatio memoriae, sicuramente non del tutto imputabile a Santa Romana Chiesa, che pur tenacemente sempre lo osteggiò per il suo libero pensare, per la sua visione panteistica della spiritualità, per il carattere eretico, anti-dogmatico e irreligioso di certi suoi testi e per la sua fiera appartenenza massonica. Raramente, infatti, il suo nome trova oggi spazio all’interno delle antologie scolastiche e, incredibilmente, anche nella sua città natale, Catania, si è perso il riferimento alla sua attività e del poeta rimane noto solamente l’omonimo lungo viale a lui intitolato. Del tutto dimenticato dai catanesi è invece un suo busto in bronzo ubicato nei giardini pubblici di Villa Bellini. Sulla base di tale monumento, come ha osservato Gabriele La Rosa in un suo recente saggio

    ¹, ci sono due emblematiche frasi, la prima di Victor Hugo: «Vous êtes un précurseur»

    ²; la seconda di Giuseppe Garibaldi: «Coraggio! All’avanguardia del progresso noi vi seguiremo».

    Non solo per la Chiesa, evidentemente, la sua figura doveva essere obliata, messa in secondo piano, relegata nell’angolo degli autori minori, o addirittura cancellata: sicuramente diversi altri poteri e interessi hanno contribuito ad una costante azione di colpevole dimenticanza. Ma, siccome non si può, per forza di cose, racchiudere un elefante dentro una scatola di sardine, al pari di come non si può pensare di contenere a lungo un fiume in piena in un angusto argine artificiale, tutti i nodi sono destinati prima o poi a venire al pettine e l’immenso contributo dato da Rapisardi alla nostra cultura dovrà inevitabilmente presto o tardi prorompere con tutta la sua forza e la sua maestosità.

    Mario Rapisardi, nato a Catania il 25 Febbraio 1844, non è stato solo un libero pensatore, un grande erudito, uno scrittore e un poeta. È stato un intellettuale a 360 gradi, uno dei massimi protagonisti della cultura e della letteratura italiana del XIX° secolo. E come tale è doveroso considerarlo, valorizzarlo e riscoprirlo.

    Un suo biglietto da visita, citato nel Commentario Rapisardiano, testualmente recitava: «Mario Rapisardi non iscrive nei giornali; non accetta nomine accademiche, né candidature politiche ed amministrative; non vuol essere aggregato a nessun sodalizio; non ha tempo di leggere tutti i libri che gli mandano, molto meno i manoscritti; né di rispondere a tutti coloro che gli scrivano. E di ciò chiede venia ai discreti». Frasi che la dicono lunga sulla sua personalità e sulla sua indole indipendente.

    Il suo vero cognome fu Rapisarda. Si dice che abbia scelto di utilizzare da adulto la versione modificata in Rapisardi per omaggiare, con un patronimico che rimasse con lui, il suo poeta preferito, Giacomo Leopardi. Tuttavia non cambiò mai cognome in maniera legale: gli atti ufficiali di nascita e morte presentano sempre il cognome Rapisarda, evidenza che pone fine a qualsiasi disputa a riguardo.

    Figlio unico di Salvatore Rapisarda, di professione patrocinatore legale, e Maria Patti, crebbe nella sua Catania in una famiglia sostanzialmente agiata e da ragazzo ebbe come istitutori due preti e un frate: i primi due gli insegnarono «grammatica, retorica e lingua latina»; il terzo «un intruglio psicontologico che egli gabellava per filosofia». Assecondando la volontà paterna, intraprese studi di Giurisprudenza, ma non volle mai prendere la laurea né in materia legale, né in alcun altro ambito. «Di notevole non c’è nulla nella mia vita» scrisse, «se non forse questo, che, bene o male, mi son formato da me, distruggendo la meschina e falsa istruzione ed educazione ricevuta, e istruendomi ed educandomi da me, a modo mio, fuori di qualunque scuola, estraneo a qualunque setta, sdegnoso di sistemi e di pregiudizi».

    La giovinezza di Mario fu segnata da problemi di salute: a diciotto anni si ammalò di emottisi, ovvero tossiva sputando sangue e dovette trascorrere sette difficili anni, nei quali si immerse in studi solitari e autonomi

    ³. Gli effetti di questo «studio matto e disperatissimo» dal sapore leopardiano furono la pubblicazione, nel 1863, dei Canti, un volumetto in versi. Seguendo gli impulsi della sua vena creativa e poetica, egli aveva però esordito, letterariamente parlando, appena quattordicenne con un’Ode a Sant’Agata (diffusa a Catania nel Febbraio del 1859 come foglio volante a stampa), intrisa di richiami risorgimentali e di riferimenti alla libertà della patria. Tenace lettore delle opere di Vittorio Alfieri, Vincenzo Monti, Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi, si avvicinò sempre di più al clima intellettuale del Risorgimento e agli ideali mazziniani. Ancora adolescente, scrisse l’enfatico inno di guerra Agl’Italiani e l’incompiuto poemetto Dione, nella cui prefazione esaltava senza riserve le battaglie di Solferino, Palestro e Magenta. Erano quelli i giorni della controversa impresa dei Mille e dell’imminente caduta del potere borbonico, che avrebbe comportato l’annessione del Regno delle Due Sicilie al dominio sabaudo, con tutti i drammi e le contraddizioni di cui tali eventi sarebbero stati forieri nei decenni a venire.

    Nel 1865 visitò per la prima volta Firenze, la neocapitale del Regno d’Italia, meta a quel tempo di intellettuali e artisti, nella quale ritornò spesso. Lì il giovane poeta entrò in contatto con i principali circoli culturali, conoscendo Giovanni Prati, Niccolò Tommaseo, Atto Vannucci, Pietro Fanfani, Andrea Maffei, Giuseppe Regaldi, Erminia ed Arnaldo Fusinato, Terenzio Mamiani e altri «illustri e buoni», come li chiamò più tardi, e stringendo una salda amicizia con Francesco Dall’Ongaro, presso il quale fece la conoscenza di Giselda Fojanesi, che poi sposò nel 1872.

    Mario Rapisardi

    Molto probabilmente fu proprio a Firenze che Rapisardi venne ricevuto in Massoneria, un percorso di elevazione che avrebbe non poco contribuito alla sua crescita intellettuale e spirituale. Sempre nella città toscana pubblicò, nel 1868, il suo poema filosofico La Palingenesi, in cui auspicava una nuova nascita, ovvero un rinnovamento dello spirito religioso e della società umana. La tematica era più che attuale durante gli anni della questione romana, e i propositi di armonia sociale tra Stato e Chiesa, e scienza e fede, non erano solamente una visione utopistica di Rapisardi o della Libera Muratoria, ma un importante campo di discussione che coinvolgeva tutti i settori della società. Anche il Vaticano sarebbe entrato infatti nell’argomento, con la celebre enciclica Rerum Novarum, pubblicata da Leone XIII° nel 1891.

    La pubblicazione della Palingenesi diede a Rapisardi molta notorietà e la città di Catania volle insignirlo di una medaglia d’oro che egli così commentò: «Era veramente tempo che le città italiane smettessero l’ingrata abitudine di onorare solamente gli estinti»

    ⁴.

    Gli anni successivi furono fertili per il poeta e densi di successi e soddisfazioni sul piano personale: nel 1870 fu chiamato a tenere un corso di Letteratura Italiana all’Università degli Studi di Catania, il che segnò l’inizio di una carriera accademica che lo porterà a ricevere la nomina di professore straordinario.

    Nel 1872 Rapisardi pubblicò a Pisa la raccolta di liriche Ricordanze, ispirata alla poetica di Giacomo Leopardi. Nello stesso anno sposò la giovane istitutrice fiorentina Giselda Fojanesi. Il matrimonio con Giselda, che si rivelò da subito infelice a causa dei rapporti burrascosi tra la sposa e la suocera e da una breve ma appassionata relazione che lo scrittore ebbe con la Contessa Evelina Cattermole Mancini, più nota con lo pseudonimo di Contessa Lara. Infine, sarebbe stato destinato a finire nel 1883, quando Rapisardi cacciò di casa la moglie dopo aver scoperto da una lettera anonima che ella lo tradiva da tempo con il suo amico Giovanni Verga (il quale, paradossalmente, sarebbe stato proprio l’autore di tale missiva).

    Nel mentre pubblicò a Firenze, nel 1875, un suo nuovo poema, Catullo e Lesbia. L’anno successivo Pietro II°, Imperatore del Brasile, assistette personalmente ad una sua lezione, nella quale l’illustre catanese diede una mirabile interpretazione dell’ultimo libro del De Monarchia dantesco.

    Nel 1877 Rapisardi pubblicò la sua opera più famosa e al contempo controversa, Lucifero, un poema squisitamente massonico, giudicato dalla critica anticlericale se non addirittura blasfemo, che scatenò tante reazioni e diede scandalo al punto da essere censurato dall’arcivescovo di Catania.

    Nella visione rapisardiana Lucifero è chiaramente inteso nel senso sia simbolico che etimologico di prometeico portatore di luce e progresso, colui che deve adempiere al ruolo di rischiaratore delle menti umane e di dissipatore delle catene dell’asservimento; colui che deve traghettare l’umanità verso la Consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità negate. La pubblicazione del poema non passò certamente inosservata anche in ambito massonico. Nello stesso 1877 Giuseppe Garibaldi scrisse a Rapisardi, elogiandolo per la sua opera con le seguenti parole: «Voi avete scalzato l’idolo di tanti secoli e vi avete sostituito il vero. Coraggioso! Possa seguirvi la nazione intera nella grand’opera di emancipazione morale da voi eroicamente iniziata. Accogliete un bacio fraterno dal vostro correligionario Giuseppe Garibaldi». Successivamente, perfino nel celebre e autorevole I.F.L. (Internationales Freimaurerlexikon), il Dizionario Massonico Internazionale curato da Eugen Lennhoff e Oskar Posner nel 1932 e oggetto fino ad oggi di numerose ristampe, venne inclusa la menzione del «massone Mario Rapisardi (1844-1912), che nel suo poema Luzifero canta la vittoria finale della verità e della giustizia».

    Rapisardi inviò in regalo una copia del poema a Giosuè Carducci, ma questo gesto dette origine a una polemica e a una frattura tra i due intellettuali che non si sarebbe mai del tutto chiusa. Carducci si vide (o comunque credette di vedersi) infatti rispecchiato in alcuni versi non certo elogiativi dell’opera:

    «E chi in aspetto di plebeo tribuno

    Giambi saetta avvelenati e cupi,

    E fuor di sé non trova onesto alcuno:

    Idrofobo cantor, vate da lupi,

    Che di fiele briaco e di lièo,

    Tien che al mio lato il miglior posto occùpi».

    Quello che inizialmente era un semplice fraintendimento (più o meno voluto) assunse i toni di una vera e propria disputa che si protrasse a lungo, con un colorito botta e risposta di articoli pubblicati su giornali e periodici quali Fanfulla della Domenica, Capitan Fracassa, Stella d’Italia, Don Chisciotte e Cronaca Bizantina. Come ha evidenziato La Rosa, una sintesi di questa polemica si ebbe a ridosso di quegli stessi anni, nel celebre esordio letterario di Federico De Roberto, ovvero la Polemica Rapisardi-Carducci (1881). Lo scrittore napoletano riconosceva il valore di entrambi i poeti e auspicava un pronto estinguersi di questa sterile diatriba, ma non fu così: i toni si fecero sempre più accesi e le reciproche insofferenze personali presero il sopravvento, tanto che si arrivò al dileggio

    ⁵.

    Nel bene e nel male il poema comunque contribuì ad accrescere notevolmente la notorietà di Rapisardi e l’anno seguente egli fu nominato ordinario di Letteratura Italiana e di Letteratura Latina, da parte di Francesco De Sanctis, suo estimatore e allora ministro della Pubblica Istruzione.

    Nel 1880 Rapisardi pubblicò a Milano la traduzione italiana del De Rerum Natura di Tito Lucrezio Caro, dando avvio a un’instancabile opera di traduzione e di adattamento di molte altre opere, sia della classicità che della letteratura internazionale, tra le quali vanno ricordate le Poesie di Catullo, le Odi di Quinto Orazio Flacco, alcune opere di Virgilio e di Boezio e il Prometeo liberato di Percy Bysshe Shelley, dato alle stampe a Palermo nel 1892.

    Mario Rapisardi in un disegno di Antonio Gandolfo

    Nel 1885 la diciottenne fiorentina Amelia Poniatowski Sabernich venne a stare a fianco del poeta come segretaria, e quasi subito ne divenne la compagna di vita, assistendolo con amore e devozione sino agli ultimi giorni. Nel 1886, da Roma, quale commissario di concorso universitario, scrisse alla nuova compagna: «Di Roma non mi piacciono che alcuni ruderi, pochi, non tutti quelli che guardano a bocca aperta i forestieri; le chiese splendide tutte mi fanno rabbia: sono reggie, non templi. O Santa Maria del Fiore! Quella sì che è la casa del Dio Ignoto, e tale da fare raccogliere l’animo più incredulo in meditazioni sublimi».

    A quel tempo Rapisardi rifiutò la candidatura offertagli dal collegio elettorale di Trapani con ben 6200 suffragi, cifra allora straordinaria, accusando la sua debole salute, l’insufficienza dei suoi studi e l’indole «aliena da negozi politici». Da Uomo Libero e di Buoni Costumi, non ne voleva semplicemente sapere, in realtà, di imbarcarsi - tanto più alla sua età - nel maleodorante carrozzone della politica e di legarsi mani e piedi a diktat di partito o a condizionamenti di sorta. Nel 1887 pubblicò a Catania le Poesie religiose, una raccolta di componimenti di grande mistica panteistica, con straordinari riferimenti alla Grande Madre e alla Divina Natura. L’anno successivo si ritrovò ad essere incriminato dalla magistratura di Venezia per via della sua poesia sociale Duetto. Non vi furono però per lo scrittore gravi conseguenze.

    Il 1894 fu l’anno della pubblicazione di un’altra tra le sue più importanti opere, il poema Atlantide, una complessa e articolata satira della società, dei letterati e degli intellettuali del tempo, tra cui Charles Darwin, Karl Marx e perfino Isaac Newton. L’Atlantide non venne assolutamente compreso - a mio avviso in maniera un po’ intenzionale - dalla critica, che lo bollò come poema socialista per via di alcuni richiami, in esso contenuti, al filosofo di Treviri e al Materialismo in genere. Ma una simile chiave di lettura è da ritenersi del tutto superficiale. Così come la Palingenesi, il Giobbe e il Lucifero, l’Atlantide ha

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