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Il segreto del manoscritto di Gesù di Nazareth
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Ebook164 pages2 hours

Il segreto del manoscritto di Gesù di Nazareth

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About this ebook

Sarah porta alla luce un prezioso e antico documento. È l'emozionante e coinvolgente racconto, con riferimenti storici, della passione di Gesù scritto dal nazareno stesso. Le parole di Gesù fanno risplendere ancora oggi il nucleo del messaggio dell'amore di Cristo nel sacrificio estremo per la salvezza delle anime
LanguageItaliano
Release dateMar 15, 2023
ISBN9791222081113
Il segreto del manoscritto di Gesù di Nazareth

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    Il segreto del manoscritto di Gesù di Nazareth - Franco Gargiulo

    FRANCO GARGIULO

    Il segreto del manoscritto di Gesù di Nazareth

    Atile edizioni

    PREFAZIONE

    «Non è per restare nel tabernacolo d'oro che Egli discende ogni giorno dal Cielo, ma è per trovare un altro Cielo che gli è infinitamente più caro del primo: il Cielo della nostra anima, fatta a sua immagine, il tempio vivo dell'adorabile Trinità!»

    (da: Storia di un'anima , Santa Teresa di Gesù Bambino)

    Il virtuoso scrittore Franco Gargiulo ci dona un prezioso racconto ricostruito con l'immaginazione quasi a creare il vero volto di Gesù, quello dai più ignorato o dimenticato, attraverso i fatti accaduti negli ultimi giorni del suo cammino terreno; ma anche basato su riferimenti storici, sull'interpretazione dello scrittore stesso degli stati d'animo dell'uomo Gesù durante le fasi dell'ultima cena, della cattura, della crocifissione, sulla compenetrazione della sofferenza del figlio di Dio prima della fine dell'esistenza corporea. Non casuale appare, pertanto, la scelta di Gargiulo di modificare il tempo verbale della narrazione dal passato al presente proprio quando Gesù viene inchiodato alla croce per coinvolgerci e calarci nella sofferenza fisica patita dall'uomo Gesù, con la consapevolezza di un lacerante dolore interiore.

    Patimenti che si tingono di concretezza attuale, mai scaduti.

    È nell'estremo sacrificio per la salvezza degli uomini che conosciamo Gesù nella duplice veste di uomo figlio di Dio e di Cristo nella fede; lo incontriamo sul filo dei secoli, che dalle rive dell'allora Tiberiade conduce all'odierna realtà, in cui le parole di colui che fu considerato dai Romani un nemico rivoluzionario risuonano come eterno messaggio d'amore per il genere umano.

    La fotografia di Gesù scrivente di sé è, in fondo, la messa a nudo di un uomo che, ancora una volta, vuole penetrare gli animi umani con l'amore universale e incondizionato a partire dalla fede. Quasi una fonte alternativa da cristallizzare nella coscienza comune cristiana.

    Infine, affiorano in superficie il contributo del percorso interiore di Franco verso la ricerca della verità spirituale e il tentativo di diffondere note di speranza, di amore, di pace. Nella passione e nella morte di Gesù, lo scrittore ci accompagna a cogliere un segnale, rilevante, fra le lacrime del Cristo uomo: il perdono quale rinuncia a ogni forma di violenza. Di certo non facile è perdonare il malvagio o lo stolto; tuttavia, quest'atto misericordioso potrebbe essere una delle possibilità più elevate, o forse la sola, per comunicare e trasferire agli uomini l'amore e il rispetto per gli altri, per essere noi stessi sorgente d'amore puro e incondizionato presso la quale consentire a ogni persona di dissetarsi.

    Elena Midolo

    IL MANOSCRITTO RITROVATO NELLA NECROPOLI

    Mi chiamo Sarah e sono stata per molti anni l’assistente di un famoso professore universitario esperto di lingue orientali che viveva a Roma. In un afoso pomeriggio dell’estate del 2011, il professore ricevette la visita di una persona che, successivamente, seppi essere un ingegnere. Aveva circa sessant’anni e vestiva in modo elegante. Quando si presentò nello studio chiese di essere ricevuto immediatamente perché credo di avere con me qualcosa di veramente interessante di cui voglio liberarmi per non avere guai con la giustizia, disse mostrandomi un grosso involucro che teneva con sé. Appariva inquieto, come se volesse liberarsi in fretta di quell’ingombrante fardello.

    Il professore e l’uomo rimasero fino a sera chiusi nello studio. La mia innata curiosità mi spinse a origliare e, sebbene entrambi parlassero a voce bassa, sentii che parlavano di un rotolo di papiro molto antico ritrovato in prossimità di una necropoli cristiana, scoperta nel corso dei lavori per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo in una località imprecisata della Penisola Sorrentina, un lembo di terra affacciato sul mare Tirreno sulla costa campana.

    Da quel giorno, il professore trascorse molte ore a studiare e tradurre il prezioso documento, intrattenendosi talvolta anche la notte, il che accrebbe la mia curiosità. Con il trascorrere del tempo, il professore appariva sempre più inquieto, come se qualcosa lo tormentasse.

    Dopo circa due mesi, il professore mi parlò per la prima volta del prezioso manoscritto. Mi disse che il rotolo di papiro era stato ritrovato in una grotta scavata nella roccia della montagna sovrastante l’area interessata dai lavori per la realizzazione del parcheggio, un po’ distante da una piccola necropoli risalente all’epoca della dominazione romana; aggiunse che il manoscritto era perfettamente conservato e scritto in aramaico (da Aràm, nome biblico della Siria), la lingua parlata all’inizio dell’era volgare in Siria, Mesopotamia e Palestina; la lingua parlata da Gesù, disse il professore tutto d’un fiato, quasi temesse di pronunciare quelle parole e, dopo una breve pausa, aggiunse: Giurami di non rivelare a nessuno quanto sto per dirti; lo feci, ponendomi la mano sul cuore. Il professore si guardò intorno come se temesse che qualcuno potesse ascoltare: Quel manoscritto, ne sono certo, è stato scritto proprio da Gesù, è autentico!, sostenne stringendomi le mani, e questo mi fa paura, perché temo che un giorno possa cadere in cattive mani.

    Lo rincuorai, assicurandogli che poteva contare su di me, che avrei fatto di tutto per aiutarlo. Rimanemmo a lungo a discutere, facendo mille ipotesi su come quel prezioso documento fosse giunto in Campania, senza, tuttavia, giungere ad alcuna conclusione certa. Personalmente credo che vi sia stato portato da uno dei primi seguaci di Gesù giunto in Penisola Sorrentina nel I secolo d.C., forse un seguace di san Paolo che giunse a Sorrento nel suo viaggio verso Roma nel 61 d.C.: è solo una ipotesi, ma è la più probabile.

    Da quel giorno divenni complice del professore, aiutandolo a tradurre quel documento che anche io giudicai da subito autentico, la storia della passione di Gesù di Nazareth, una storia di amore e di odio, di crudeltà inaudite e di tradimenti, scritto in un linguaggio semplice; dalle parole di Gesù traspare il suo immenso amore per gli uomini, un amore tanto grande che lo portò a sacrificare la sua vita sulla croce.

    Il professore è morto alcuni mesi fa dopo una breve malattia, contento per essere riuscito a completare la traduzione. Quando capì la gravità del suo male, mi fece giurare che avrei pubblicato la traduzione del prezioso documento e consegnato il rotolo al Papa.

    Sono felice di aver adempiuto a quanto promesso.

    Ed ecco cosa scrisse Gesù.

    « Su questo rotolo di papiro mi appresto a scrivere gli avvenimenti che portarono alla mia ingiusta condanna a morte, per fugare ogni dubbio su come si svolsero i fatti, affinché sia nota la verità. Non so se un giorno qualcuno leggerà questa storia che affiderò a Cleopa e Almeone, gli amici che mi hanno ospitato oggi nella loro casa, sulla strada che da Emmaus conduce a Gerusalemme.

    Il mio nome è Gesù, Nazareth il villaggio dove sono cresciuto circa trentacinque anni fa. Giuseppe e Maria i miei genitori. Mio padre era un apprezzato falegname, molto stimato per la sua generosità. Gli amici e quanti mi conoscono dicono che sono un uomo bellissimo. Sono abbastanza alto, il corpo ben proporzionato. Solitamente indosso una tunica color porpora, legata in vita da una stola dello stesso colore, e i sandali. Ciò che colpisce chi mi osserva, sono gli occhi, di un colore indefinito, tra l’azzurro del cielo sereno e il verde smeraldo, occhi luminosi, vivaci, che si guardano sempre intorno e che lasciano trasparire una grande bontà, come mi ripete da sempre mia madre, anche adesso che sono adulto. I capelli sono castano chiaro, lo stesso colore delle noci di Sorrento che talvolta mia madre compra dai mercanti che si recano a Gerusalemme, lisci fino alle orecchie, increspati in giù con ricci chiari e lucenti, ondeggianti sulle spalle. La fronte è liscia e serena, sul mio viso non sono ancora nate le rughe ed è ricoperto da una barba abbondante e bipartita, dello stesso colore dei capelli, da cui traspare un velo di rossore. Il naso e la bocca sono perfetti, sempre usando le parole di mia madre. [1]

    Ho già perdonato i miei accusatori e chi mi ha condannato e non nutro rancore. Ed ecco come si svolsero i fatti.

    Si avvicinava la Pasqua, la festa che presso gli Ebrei commemorava la fine della loro deportazione in Egitto. Sulla strada che da Efraim conduceva a Gerusalemme, già cominciavano a incontrarsi le prime comitive di pellegrini dirette alla città santa. Erano i primi giorni del mese di Nisan e la primavera era ormai prossima.

    Da pochi giorni i Farisei, il sommo sacerdote Caifa e molti membri del Sinedrio, avevano deciso che io, l’uomo che da circa due anni si aggirava per i villaggi della Palestina annunziando una nuova dottrina basata sull’amore, dovevo essere condannato a morte. Eppure, nel profondo del loro cuore, in molti erano convinti della mia innocenza, come pure certamente credevano ai prodigi che avevo operato; forse tra loro vi era chi aveva assistito a qualche mia guarigione e avrebbe potuto testimoniare che non commettevo alcun male.

    Prima di continuare a narrare gli avvenimenti che portarono alla mia cattura e alla condanna a morte, voglio farvi capire chi erano i miei nemici, coloro che tramarono contro di me.

    I Farisei costituiscono uno dei due raggruppamenti principali politico-religioso all’interno del popolo giudaico – l’altro è quello dei Sadducei – : due correnti o tendenze che si fondono ambedue su principi solenni della nazione giudaica, pur essendo fra loro in assoluto contrasto. I Farisei si considerano separati da tutto ciò che non è giudaico e che per tale ragione è anche irreligioso e impuro, giacché giudaismo, religione e purità legale sono concetti che è impossibile separare. Da ciò nasce il contrasto, anche dottrinale, con i Sadducei: qual è la vera norma fondamentale del giudaismo? Quale il supremo e inappellabile statuto che deve governare la nazione eletta? A questa domanda i Sadducei rispondono che è la Torah, cioè la Legge per eccellenza, la Legge scritta consegnata da Mosè alla Nazione come statuto fondamentale e unico. I Farisei sostengono che la Legge scritta è soltanto una parte, e neppure la principale, dello statuto nazionale-religioso, dal momento che esiste pure la Legge orale, certamente più ampia, costituita dagli innumerevoli precetti della tradizione.

    Il sommo sacerdote è colui che ricopre la suprema carica religiosa e civile. In forza dell’ordinamento teocratico è anche il capo di tutta la nazione giudaica. Oggi, però, il potere effettivo del sommo sacerdote è minore. Anticamente il sommo sacerdote era eletto a vita e solo eccezionalmente veniva deposto; successivamente, in molti furono deposti e, insieme con gli altri membri delle loro privilegiate famiglie, costituirono quella classe che i vangeli e lo storico Flavio Giuseppe chiameranno dei sommi sacerdoti.

    Il sommo sacerdote è il primo ministro del culto e il capo di tutti i servizi del tempio. Nel campo civile egli agisce soprattutto come capo del Sinedrio, la cui presidenza gli spetta di diritto.

    Il Gran Sinedrio è il supremo consesso nazionale-religioso. Nato all’incirca due secoli prima dei fatti che mi appresto a narrare, allorché i monarchi Seleucidi (dinastia siriana di origine macedone) che dominavano in Palestina sancirono anche a Gerusalemme la forma di governo locale già in vigore in molte città ellenistiche: attribuirono, cioè, autorità legale al consiglio degli anziani che presiedeva agli affari della città riconoscendo a esso la potestà di legiferare in materia civile e religiosa subordinatamente al supremo potere monarchico. Sotto i procuratori romani, l’autorità del Sinedrio è aumentata enormemente; i Romani, infatti, come sono soliti fare nei loro possedimenti, consentono anche in Palestina di lasciare al popolo sottomesso la libertà totale in campo religioso e subordinata in quella degli affari civili interni, avendo compreso che al Gran Sinedrio di Gerusalemme è opportuno affidare l’amministrazione di questa doppia libertà; inoltre, il Sinedrio è composto in prevalenza da esponenti dell’aristocrazia che nelle province sono graditi ai Romani ben più degli innovatori appartenenti alla plebe.

    Il Gran Sinedrio è composto da settantuno membri, compreso il Sommo Sacerdote che lo presiede, divisi in tre gruppi: quello dei sommi sacerdoti, che comprende sia coloro che hanno ricoperto la carica in passato sia i membri principali delle famiglie da cui sono estratti i sommi sacerdoti; sono i rappresentanti dell’aristocrazia sacerdotale, fermi sostenitori dei principi sadducei, e il più potente negli anni di questa storia.

    Il secondo gruppo è formato dagli Anziani, rappresen-tanti dell’aristocrazia laica. Anch’essi appartengono alla corrente sadducea.

    Il terzo gruppo è quello degli Scribi, o Dottori della Legge: formato in maggioranza da laici e da Farisei, conta tra i suoi membri alcuni sacerdoti e Sadducei. È il gruppo popolare e progressista, a differenza degli altri due gruppi aristocratici e conservatori.

    Al tempo di questa storia, qualsiasi causa religiosa e civile, avente attinenza con la Legge giudaica, poteva essere giudicata dal Gran Sinedrio e le

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