Alle loro eccellenze
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Alle loro eccellenze - Monica Bartolini
Monica Bartolini
ALLE LORO ECCELLENZE
Isbn: 979-12-55470-02-1
© Copyright by
I BUONI CUGINI EDITORI
di Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra
P. IVA: 06477650821
www.ibuonicuginieditori.it - ibuonicugini@libero.it
Impaginazione: Anna Squatrito
Elaborazione grafica copertina: Maria Squatrito
Versione digitale realizzata da Streetlib srl
A mio padre, Alessandro Bartolini,
e a mio suocero, Antonio Varesi,
salde radici
del grande albero familiare
della mia Michela
Nota introduttiva dell’Autrice
Non c’è luogo e momento storico della storia dell’Italia unita che mi affascini di più se non la Roma di fine XIX secolo.
Alla nascita della nuova Capitale del Regno sabaudo, infatti, sono legate circostanze politiche ed economiche di portata epocale per la nostra Nazione, sottese ai grandi mutamenti che la città subì per uniformarla ai canoni urbanistici delle altre capitali europee, vicende che sono narrate nel romanzo con dovizia di particolari storici.
Quello, però, rappresenta solo lo sfondo di un’investigazione poliziesca di altri tempi, con procedure antesignane delle moderne tecniche forensi alle quali, invece, ho attinto a piene mani per l’investigazione del Maresciallo (ormai Luogotenente) Piscopo in Per interposta persona.
Un esempio su tutti riguarda la salvaguardia dell’integrità della scena del crimine, concetto ai giorni nostri arcinoto, ma mai normato da legge italiana prima del 1865, quando si presentò la stringente necessità di disciplinare l’unificazione di tutto l’apparato amministrativo del neonato Regno, comprese quindi le procedure di Pubblica Sicurezza.
L’art. 17, comma 1, Allegato B della c.d. legge Rattazzi
, disponeva che: La Forza Armata che proceda a qualunque arresto, od intervenga sul luogo del commesso reato, è specialmente incaricata di sorvegliare a che sino all’intervento dell’Autorità competente non venga alterato lo stato delle cose; si presteranno però frattanto i necessari soccorsi a chi può averne d’uopo.
Ecco perché i due militari che intervengono sulla scena del crimine nei pressi di Porta Pinciana, custodiscono i luoghi nell’attesa che arrivi il Funzionario di Polizia Giudiziaria, come leggerete tra qualche pagina.
Immaginare scenari criminali in una Roma completamente trasfigurata rispetto a quella moderna è stata per me una sfida ma, parimenti, un immenso piacere.
Mi auguro che valga altrettanto per voi lettori.
A Roma Iddio nun è trino ma quatrino
Quella mattina Anacleto Varesi aveva fretta di arrivare al cantiere di Porta Pinciana sul far dell’alba.
La sera precedente aveva impartito precise disposizioni al fido Alfonso, affinché si facesse trovare sotto casa con il carretto già appesantito da materiali e utensili prelevati dalla rimessa della ditta.
La lottizzazione di Villa Ludovisi era stata un affare per lo Stato e un trampolino di lancio per l’attività della sua ditta di costruzioni, dopo il penosissimo periodo di flessione dell’anno precedente.
Troppo denaro aveva dovuto mettere di tasca propria per far fronte all’emergenza e non mandare a casa nessuno degli operai, che adesso rischiava di ritrovarsi sul lastrico.
Doveva stringere i denti, ridurre le spese al minimo ma anche velocizzarsi con i lavori, in modo da fare cassa via via che consegnava i lotti. E quei palazzi di pregio, a ridosso di Porta Pinciana, erano stati una benedizione divina!
In verità, il motivo per cui aveva premura quella mattina era per via di un incontro segreto che sperava potesse risollevare le sorti della sua ditta.
Sor Varè, fermo lo caretto sotto la pianta?
No, oggi no. Torna a riprendermi quando spara il cannone.
Alfonso era rimasto un po’ interdetto ma non se lo fece dire due volte e andò via, pregustando una bella bevuta mattutina all’osteria.
Varesi, invece, estrasse l’orologio dal panciotto e notò che l’ora era giunta, senza che chi aspettava si fosse palesato.
Stava imprecando contro sé stesso e la dabbenaggine nell’aver creduto di poter risolvere i suoi problemi economici in quel modo speditivo, quando udì le ruote di un carretto avvicinarsi.
Persona di parola
pensò tra sé e gli andò incontro con un affabile sorriso sulle labbra.
Roma, luglio 1887
Chi de speranza vive, disperato mòre!
Alla Valle dell’Inferno
Avemo da restà uniti! Li foji de via nun v’hanno da impressionà! Chi mò nun lavora aritornerà sicuro ché cianno bisogno de le braccia nostre p’allargà Roma!
Gli scrosci di applausi e le grida entusiastiche soffocarono per un attimo la voce dei pochi ma agguerriti dissenzienti.
Lo sciopero dei fornaciari seguitava da giorni, nonostante nel giro di pochi mesi più di diecimila fogli di via fossero stati vistati e altrettante famiglie ricacciate nelle campagne, a morire di fame.
La produzzione de li mattoni ha d’arimané ferma pe’ fasse sentì dar governo novo, speranno che butti più sòrdi drento all’edilizzia!
Novo ‘n cazzo, sto governo! So’ sempre li stessi a magnà!
Speranza de che? Che nun se sà che chi de speranza vive, disperato more?
La folla cominciava a ondeggiare paurosamente verso il piccolo palco improvvisato dagli organizzatori di quel comizio, al quale si fantasticava dovesse partecipare l’onorevole Costa in persona.
Chiamate er fijo de Garibbardi! Quello ciascorterà de sicuro!
gridò qualcuno.
Jene frega assai de noi!
Nun è vero!
disse qualcun altro nella folla Moroni j’ha dato ‘n campo a Prati de Castello pe’ fà er commizio e l’ho sentito parlà!
Ma lévate, vah! A quello je frega solo che li costruttori aricominceno a costruì pe’ magnacce sopra!
Gli animi si stavano scaldando quasi come il camino dell’unica fornace rimasta in funzione.
Perché quelli lavoreno e voi no?
strillò un ragazzetto biondino e dagli occhi cerulei.
Subito la folla diresse lo sguardo prima verso il fumo della ciminiera in funzione, poi verso il palco degli organizzatori.
Cià raggione! Perché noi fàmo la fame e quelli lavoreno?
L’interrogativo aleggiò insoddisfatto sulla folla per qualche secondo di troppo.
Bastò quell’attimo di esitazione degli organizzatori a far scoppiare il parapiglia.
La folla si spostò compatta, arrivando fino al palco che fu preso d’assalto.
Calci e pugni mulinavano in aria senza sosta, alternati a grida e improperi.
Gli operai avevano deciso con irruenza di soprassedere ai principi e andare dritti al sodo.
Quando si sentirono i fischi delle guardie, intervenute con i manganelli, la folla finì per disperdersi rapidamente.
Superata Porta Angelica, due ragazzi si fermarono a prendere fiato.
Ma che t’è venuto in mente, Ughé? Pe’ ‘na vorta che te porto con me hai fatto scoppià er macello!
Che nun lo sai che nun so’ d’accordo co’ st’amichi tui anarchichi? Che se magnamo, pane e lotta? Io ciò fame, ahò!
Vedi che nun capischi? Queli so’ der movimento operaio, nun so’ anarchici, somaro!
Senti Vittò, chi so’ so’, io nun vojo avecce gnente a ché fa co’ st’impicci! Si nostro padre scopre che avemo zompato ‘na giornata ar cantiere...
Nun avemo zompato gnente! Oggi è giornata de fundamenta e noi nun ciazzeccamo co’ quei lavori lì. E mo annamo a casa che ciò fame pur’io.
E s’avviarono verso la Lungara.
Lunedì, 21 novembre 1887
Mejo faccia tosta, che panza moscia.
Al Circolo dei Costruttori e Fornitori di Roma
Il fumo dei sigari rendeva ovattata l’atmosfera della grande sala.
Qualcuno tossiva, qualcun altro sorseggiava un rosolio, gentilmente offerto dal cavalier Alessandro Moroni che, nominato presidente pro tempore di quella piccola assemblea perché titolare della ditta di costruzioni più grande di Roma, aveva piacere di rimarcare la propria posizione sociale. Nonostante i tremila manovali che era stato costretto a licenziare per via della crisi, infatti, la ditta Moroni continuava a mantenere tale primato.
Tra tutti i costruttori concorrenti, in verità, il Moroni ne temeva solo uno, il cavalier Anacleto Varesi, perché aveva dato prova di sagacia e grande abilità nel condurre gli affari della propria ditta durante quell’ultimo anno così travagliato.
Quel vecchio Papalino gli stava proprio sullo stomaco!
Con meno forza lavoro di lui ma con più conoscenze altolocate, riusciva ad assicurarsi grandi commesse e largo credito dalla Banca Romana e si diceva in giro che Pietro Tanlongo, il figlio del Cavalier Bernardo, fosse invitato a pranzo a casa sua ai Monti quasi tutte le domeniche. Ma c’era una cosa su tutte che mandava in bestia Moroni: gli operai della ditta Varesi non avevano mai scioperato, mentre i suoi gli avevano procurato più e più volte rallentamenti nei lavori di grossi cantieri.
Più che il tasso di sconto aumentato, più che le severe regole edilizie introdotte dai Piemontesi, la cosa più temuta dai costruttori romani era lo sciopero delle maestranze, dopo che a fine luglio di quel maledetto 1887, più di duemila fornaciari avevano incrociato le braccia.
La febbre edilizia
, come scrivevano i giornali, era sotto scacco degli anarchici, ma il Varesi sembrava non patire perdite, anzi, stava costruendo dei palazzi di gran pregio al posto degli orti di Villa Ludovisi e sulle pendici di Colle Oppio.
La voce nasale del professor Mazzanti, l’anziano e mite insegnante di Costruzioni, risvegliò le coscienze di tutti dal torpore del rosolio.
Suvvia, Signori, è ora di tornare al nostro lavoro. Dobbiamo pur terminare di scrivere questa missiva, se vogliamo giunga a Sua Eccellenza Crispi a breve! Prego il mio segretario di voler cominciare la rilettura, in modo che possiate fare le vostre osservazioni.
Un ragazzo smilzo e occhialuto si alzò e con voce stentorea iniziò la lettura.
"Alle Loro Eccellenze i Ministri dell’Interno, delle Finanze e dell’Industria, agli Onorevoli Signori Senatori e Deputati del Regno..."
Moroni non si contenne: Signore a chi? Anche a Costa? Che il diavolo se lo porti!
Tutti applaudirono e sghignazzarono.
Mazzanti impiegò diversi minuti prima di calmare gli animi.
Cerri, prego, continui
"... all’onorevole Signor Sindaco della Città di Roma. La Commissione nominata dal Circolo dei Costruttori e Fornitori in Roma sottopone alle Signorie Loro quanto appresso: Gli imbarazzi in cui trovasi il commercio locale hanno paralizzato l’industria principale di questa Città ponendo i Costruttori nella dura condizione di dover sospendere tutti i lavori, né in meno tristi condizioni trovansi i Fornitori, ai quali essendo chiuso lo sconto, non possono più accordare quelle facilitazioni del credito che tanto giovavano all’incremento edilizio. Le cause che produssero tale sconcerto sono di varia natura..."
La lettura procedeva piatta e cantilenante e l’attenzione dei più stava scemando.
La parte relativa al tasso di risconto delle cambiali e ai meccanismi di borsa degli ultimi listini, ostica per la maggioranza dei convenuti ma voluta con caparbietà dal professor Mazzanti affinché il Ministro Miceli avesse chiara la portata economica del disastro, aveva definitivamente fatto deconcentrare i più.
Invece, Anacleto Varesi necessitava che si ponesse l’accento sul punto che gli premeva fosse evidenziato.
Scusate se interrompo, ma il corpo della lettera mi pare sia quello già dibattuto dal Comitato, non è così illustre professore?
esordì, accaparrandosi la grata attenzione dei più, sfiancati anch’essi dalla lunga lettura. Se mi è concesso, vorrei richiamare l’attenzione di lor Signori sul punto relativo all’impegno economico profuso da noi costruttori in prima persona, affinché i cantieri rimanessero operanti. Se questo sforzo non venisse riconosciuto adeguatamente dal governo, come pensate possano rifonderci almeno una parte di quanto abbiamo versato? Abbisogna che questa lettera sia forte e vigorosa! Non si deve temere di chiedere! Il nostro senso di responsabilità nel tener fede alle commesse già appaltate ha fatto sì che i lavori proseguissero, ma se il governo non ci desse soddisfazione alcuna, beh, allora mi fermerò anche io e... muoia Sansone, con tutti i Filistei!
All’umore di Moroni non giovò l’ilarità generale. Anzi, continuava a bollirgli il sangue nelle vene perché credeva di sapere dove Varesi avesse trovato il contante, altro che sforzi economici!
Il cavalier Varesi ha ragione!
tuonò Olinto Morosi, il decano dei costruttori. Che il governo provveda a rifondere chi di noi già si è esposto economicamente a dismisura, come ho fatto io stesso col cantiere di Ponte Palatino! Ho tirato avanti quasi un anno da quando sono iniziati i lavori di sbancamento degli argini ma, se non entrano fondi nuovi blocco tutto e licenzio gli operai pur’io, come ha dovuto fare il cavalier Moroni!
Il povero Cerri intanto girava le pagine alla ricerca del punto incriminato e tornare a rileggere da lì, sotto invito del professor Mazzanti.
Da un mese che dura la crisi allo stato grave...
Un mese?
gridò Morosi, divenuto rosso dalla rabbia.
Dovette intervenire Mazzanti.
"Calmatevi, cavalier Morosi! Abbiamo pensato di indicare il momento in cui all’estero le nostre cambiali non sono state