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Elegie Duinesi
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Elegie Duinesi

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Rainer Maria Rilke iniziò le dieci celebri Elegie Duinesi nel 1912, mentre si trovava nel castello dei principi Thurn und Taxis, a Duino. Solo le prime due vennero completate subito, nei mesi di gennaio e febbraio, mentre le altre saranno stese nell’arco di tempo di una decade, sino a febbraio 1922.
LanguageItaliano
Release dateMar 10, 2023
ISBN9791222078090
Elegie Duinesi
Author

Rainer Maria Rilke

Rainer Maria Rilke was born in Prague in 1875 and traveled throughout Europe for much of his adult life, returning frequently to Paris. There he came under the influence of the sculptor Auguste Rodin and produced much of his finest verse, most notably the two volumes of New Poems as well as the great modernist novel The Notebooks of Malte Laurids Brigge. Among his other books of poems are The Book of Images and The Book of Hours. He lived the last years of his life in Switzerland, where he completed his two poetic masterworks, the Duino Elegies and Sonnets to Orpheus. He died of leukemia in December 1926.

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    Elegie Duinesi - Rainer Maria Rilke

    Intro

    Rainer Maria Rilke iniziò le dieci celebri Elegie Duinesi nel 1912, mentre si trovava nel castello dei principi Thurn und Taxis, a Duino. Solo le prime due vennero completate subito, nei mesi di gennaio e febbraio, mentre le altre saranno stese nell’arco di tempo di una decade, sino a febbraio 1922.

    PRIMA ELEGIA

    Chi, s’io gridassi, mi udrebbe

    dalle celesti gerarchie degli Angeli?

    E se, d’un tratto, un Angelo

    contro il suo cuore mi stringesse, certo

    io svanirei di quella forza immensa

    in Lui racchiusa.

    Ché il Bello è solamente

    la prima nota del Tremendo. E dato

    di sostenerlo e di ammirarlo è a noi,

    solo perché non cura di annientarci.

    ... E gli Angeli appartengono al Tremendo.

    Per ciò, io mi raffreno e chiudo in gola

    l’appello di un singhiozzo tenebroso.

    A chi, gridar soccorso? Non agli Angeli.

    Agli uomini? Neppure. E gli animali

    sagacemente fiutano

    che perigliosa a noi scorre la vita

    in questo mondo d’inventati sensi.

    Un albero ci resta, sul pendio,

    da rivedere in ogni giorno. E resta

    anche la strada che facemmo ieri:

    la fedeltà viziata a un’abitudine,

    che si compiacque d’indugiar fra noi;

    e rimaneva; e non se n’è partita.

    E la notte, la notte, allor che il vento,

    tutto ricolmo de’ siderei spazi,

    il vólto ci consuma, oh non attende

    ella, anelata, i cuori solitari;

    e li delude, poi, soavemente?

    Forse, agli Amanti è più benigna e lieve!

    Ahimè! Non fanno che celarsi – stretti –

    a vicenda, il destino...

    E ancóra non lo sai? Via dalle braccia,

    scaglia il tuo vuoto. Aggiungilo agli spazi

    che respiriamo... E avvertiranno gli uccelli

    il dilatato ètere d’attorno

    con più gioioso volo.

    È vero, sì... Le primavere, al mondo,

    avevano sete di te. Talune stelle

    si struggevano, lassù, che tu le udissi.

    E t’investiva, a volte,

    un’onda dall’oceano del Remoto;

    e, se passavi, dal balcone schiuso

    un violino abbandonava tutte

    le sue musiche a te.

    Questa, la tua missione. E, per adempierla,

    ti bastavano le forze? O non piuttosto

    era un orgasmo in te, come se tutto

    ti annunziasse un’amante?

    E dove, in te, sarebbe stato spazio

    per ospitarla,

    in questo eterno pullularti dentro

    di estranee immense idee,

    che vengono e rivanno;

    ed anche a notte, hanno dimora in te?

    Ma canta, se la nostalgia ti accora,

    canta le Amanti.

    Ché, lungi ancor dall’essere immortale,

    è il loro molto celebrato ardore.

    Cantale, sì, le tristi Abbandonate,

    che tu sempre invidiavi: e ti parevano

    tanto amorose più, di

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