Tempo.
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Dalle macerie di quell’amore manipolatorio nasce ciò che lei chiama la vita di un altro, poiché per quanto questa nuova vita sia ricca e indipendente B. non riesce, almeno fino a un certo punto, a sentirla come davvero sua.
Barbara Canapini nasce a Città della Pieve e vive a Montepulciano fino agli anni del liceo. Durante e dopo gli studi universitari a Firenze inizia a soggiornare, prima per studio e poi per lavoro, in Germania, in Francia, in Svizzera e in Belgio. Attualmente vive a Bologna, dove insegna letteratura francese al liceo linguistico.
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Book preview
Tempo. - Barbara Canapini
Tempo 3 (presente, ora, un po’ prima).
Stasera andiamo a teatro. È tutto organizzato.
Sono andata a prendere i fiori che abbiamo ordinato per il debutto della nostra amica. La fioraia è in ritardo e il bouquet, quando arrivo all’orario stabilito, non è pronto. Ma è sabato, la settimana di lavoro è finita, aspetto.
Che bello che è, alla fine, il bouquet. Le faremo una bellissima sorpresa, lei ne sarà stupita e felice. Credo.
Passa a prendermi un uomo, l’ho invitato io. Non so se ho fatto bene a invitarlo. Mi era sembrato carino farlo.
Comunque.
Lungo la strada mi giro a destra, là, per caso – se il caso esiste davvero – e vedo quella macchina. Mi manca l’aria. Il cuore parte. Come è possibile che faccia sempre male, maledizione?
Devo concentrarmi, perché non sento cosa mi sta raccontando la persona che ho accanto. Sento solo i miei battiti, in gola, in testa. Non ricordo dove sia il teatro. Non ricordo a che ora inizierà lo spettacolo. La mia mente è partita, per un altrove. Bisogna che mi concentri.
Tempo 3 (presente, ora).
Odio questa parte della città. Da un po’ di tempo ci devo passare tutti i giorni per andare a lavorare. Vorrei non doverlo fare. Prima era una qualunque parte della città. L’ho attraversata tante volte per raggiungere la piscina dello stadio, la sera, di lunedì, quando c’era il mio istruttore preferito. Era un percorso associato a qualcosa di piacevole. La strada per raggiungere gli impianti sportivi, incontrare gli amici, allenarsi. Poi non è stato più così. Lui mi ha mentito, ha approfittato del fatto che io non conoscessi la sua città e ha trasformato questa zona nella metafora delle sue menzogne. Come? Da qualche parte, qui intorno, c’è un negozio di arredamento. Lo vedo sempre – sempre – con la coda dell’occhio mentre passo in macchina. È come un riflesso incondizionato. Mi volto, ed eccolo là, nella carreggiata opposta a dove sono, con le sue vetrine tirate a lucido e invitanti. Anni fa io ed E. siamo usciti da quel negozio e abbiamo attraversato la strada, quella stessa che io percorro ogni mattina. Sorridevamo. Eravamo affaticati perché portavamo a mano una grande cassapanca, dipinta di bianco e decorata con i versi di una poesia di Prévert. Era Questo amore
, la poesia. I caratteri in nero, irregolari, tracciati con una bella grafia, coprivano tutta la superficie del legno in modo casuale.
La vedevo sempre in vetrina, mentre passavo in macchina, al ritorno dallo studio di Giacomo. Ho pensato che ti sarebbe piaciuta, te la volevo regalare
.
Solo che lo studio di Giacomo è dall’altra parte della città. È sempre stato dall’altra parte. Io però, allora, non lo sapevo. Non conoscevo abbastanza bene Bologna, le strade appena fuori dalle mura, dalle porte, tantomeno la periferia. Non frequentavo ancora la piscina dello stadio. Ma soprattutto non sapevo che lui passava, spesso, da quella strada. Non per tornare dallo studio di Giacomo. Ma perché là è dove abita l’altra.
Adesso lavoravo da più di due anni in quella periferia lì e non passava giorno che non vedessi le vetrine di quel maledetto negozio.
Tempo 3 (presente, ora, un po’ prima).
Però stasera non ci stavo pensando a questa parte della città e a quel negozio. E invece proprio stasera, stasera che avevo invitato un uomo, e poi mi ero come pentita, però niente scuse, non mi invento nessuna balla ed esco, ecco stasera finalmente ce l’ho fatta, mi rilasso.
Invece no, mi giro ed eccolo. Lui.
Lui è la mia metà di vita, quella da adulta, trascorsa felice. È il mio uomo
– era, più esattamente –, quello con cui stavo progettando il futuro, quando lui ha pensato di ingannarmi, calpestarmi. Tradirmi. E non vuole togliersi di torno. Però ora basta. Ora non voglio più pensare. Mi voglio lasciare andare e voglio essere felice anche io. Adesso gli mando un messaggio.
Perché?
Per chiudere questo teatrino.
Per dirgli che so che scelta ha fatto.
Per dirgli che ho visto.
Serve? Non so se serve, ma lo faccio. Chiudo. Cancello. E poi sono felice anche io.
Finalmente.
Stai giocando?
No, non sto giocando. Continuo a sperimentare per trovare la giusta via d’uscita. Ora sto provando a lasciarmi andare, magari è l’uomo giusto e sono io a non capirlo. Non va bene?
Secondo te va bene?
…
Ancora tempo 3 (presente, un po’ dopo).
Mail, in Bozze.
Oggetto: Pensando.
"Ciao.
Sei ancora in vacanza, in questa strana estate in cui ho mille problemi di salute. Mi sembra di non vederti da un sacco di tempo… è assurdo, lo so, ma immagino che sia per come abbiamo vissuto questo ultimo mese, insieme, come praticamente tutti gli ultimi fine settimana di giugno. Quasi sempre da me, a casa mia. O al mare, da te.
È stata un’estate particolare, stavo sempre più male di quanto dicessi. Solo che avevo voglia di stare bene, quindi resistevo, come dire, perché mi piaceva stare con te. E poi mi piacevano i tuoi amici. Simpatici.
Be’, comunque adesso sei in vacanza, finalmente sulla tua barca, e devo dire che mi dispiace un bel po’ non esserci, non tanto per la vacanza in sé, quanto per passare del tempo libero – libero e senza pensieri – con te.
Che esagerata, o tutto o niente, non conosco sfumature.
Senza pensieri. Non posso dire di averne tanti. Tutt’altro. Ieri mentre guidavo, prima dell’appuntamento per l’aperitivo, ho pensato che, nonostante tutto quello che è accaduto quest’estate, stavo davvero bene. Sì, nonostante blocchi e problemi, nonostante tutto, la sensazione era positiva. In realtà internamente un po’ di caos c’è, domani mi daranno la destinazione per il lavoro, e niente, dovrò andarci, almeno per un anno, il tempo, cioè, necessario a trovare altre soluzioni, vie di fuga o condizioni migliori. Migliori almeno per me.
Non riesco a capire quando la vita abbia iniziato a essere complicata. Progetti disillusi, obiettivi mancati. Cambiamenti obbligati. E non perché cambiare sia tanto gravoso. Cambiare non è poi male, ma vorrei decidere in prima persona. Voglio scegliere io dove abitare, chi frequentare e che genere di vita vivere. Non è contemplato nel diritto alla felicità che tutti dovremmo avere?
Penso a quando da piccola mia madre mi diceva che se mi fossi comportata bene e avessi fatto il mio dovere poi le cose sarebbero andate in una certa maniera. Bene, voleva dire. Qualche anno fa, mentre passeggiavamo con i cani, le ho ricordato questi suoi discorsi e lei mi ha guardata, seria, e mi ha detto che si era sbagliata. Ha letteralmente detto che ha sbagliato nell’insegnarmi ad avere questo tipo di comportamento. Perché non è vero che se ti comporti bene poi le cose funzionano. L’equazione non si risolve in maniera così semplice. Ma allora la felicità? Come arriva? A questo interrogativo mamma non ha più la risposta. Forse neanche nella sua vita le cose sono andate come sognava.
Per quello che riguarda me, comunque, io questa indeterminatezza lavorativa non riesco a sopportarla. Non si tratta solo di ricevere lo stipendio – e anche quello, fosse adeguato alle prestazioni – ma almeno di essere soddisfatti di ciò che si è, cosa si fa e come. E in parte anche sintonizzarsi con il mondo dove si vive. Senza queste basi è difficile essere felice. Ho invidiato le mie amiche quando hanno scoperto che amavano quello che facevano. Quando è arrivato il ruolo a scuola e hanno festeggiato, soddisfatte. Quando si impegnano a fare quello che fanno, con dedizione e passione. Io mi impegno, sì, ma la loro passione non la sento. Quello che sento, invece, è l’aria, ma alla fine, quando esco dall’apnea nella quale resisto fino a giugno. Respirare però non basta. Voglio la soddisfazione. Voglio la felicità alla quale ho diritto.
A lavoro però non sono felice e allora cerco di guardare a tutto il resto.
E nel resto il momento appare davvero bello. Ottimo, come dici sempre tu. Ho gli amici che ho sempre voluto, tante persone intorno su cui poter contare davvero, e poi. E poi mi colpisce molto vedermi come mi vedo con te.
E come ho detto, fa anche un po’ paura, almeno ogni tanto.
Mi è stato detto che dovevo costruire nuovi ricordi: ecco, ora alcune strade percorse insieme fanno parte di un nuovo capitolo.
Sì, ci sono cose che ancora non funzionano. Non ci posso far nulla. Sai meglio di me che è inutile navigare controvento.
Oppure.
Oppure si può invece fare, con un motore forte e adeguato?
B."
Come si spiega che un capitolo, e poi una serie di capitoli possono anche non fare un libro? Che stare bene, cercarsi e stare in un momento è, in questo caso, solo un momento? Che un progetto è, talvolta, più forte di tutto? Io ora sono il mio progetto. Ho capito e sono diventata progettuale. Ma come glielo spiego chi sono. Perché mi vuole, ma non sa chi sono. Quindi non funziona. Oltre il momento. Ho provato a farla funzionare, ho provato a stare dentro la relazione che si suppone essere giusta
. Ho provato. Penso anche di essermi impegnata. Davvero. Però ammetto anche di non essermi mai sentita dentro questo rapporto sul serio. In che senso? Non saprei dirlo, mi guardavo, ci guardavo, e cercavo di vederci come gli altri mi dicevano di vedere questa nuova coppia. Bella, sostanzialmente. E giusta. Giusta era una parola che continuavo a ripetermi. È la relazione giusta per me, è la scelta giusta avere accanto una persona del genere, è giusto lui, perché con l’uomo giusto i desideri si realizzano.
Invece è uscito fuori che neanche la persona giusta
può, alla fine, realizzare i desideri. Neanche lei.
Il libro dell’amore è fatto di capitoli?
Tempo 3 (presente, ora).
Quello che succede a chi è un po’ grafomane è che spesso, anche senza volerlo, si imbatte in piccoli testi, vecchi appunti, diari con annotazioni sparse. E, allora, quando cerca di rimettere a posto la vita – oltre alla stanza, la libreria e i documenti – si ritrova anche ad avere a che fare con queste perle di tempi andati.
Così ho ritrovato un quaderno, neanche tanto vecchio, che iniziava con una sorta di punto della situazione: chi sono, quanti anni ho, cosa sta accadendo in questo momento nella mia vita. Qualche anno fa ho scritto che quel momento mi sembrava il tempo opportuno per iniziare a scrivere di me, perché avevo voglia di scrivere di me, ma che poi qualcosa si è rotto – si rompe sempre qualcosa – mentre altre cose si aggiustano e, poi, come in un metodico loop, qualcosa si rompe di nuovo.
Rileggendo le annotazioni, il primo pensiero che appare alla mia mente è che vorrei tanto tornare indietro, e questo per una sola ragione. Il tempo.
Attualmente il problema principale che ho è il tempo.
Il tempo è il solo motivo per il quale vorrei ritornare all’inchiostro di quelle pagine.
Tempo 1 (io, prima, dai diari).
Sono qui e scrivo, meglio e più profondamente, le stesse emozioni di anni fa. Quando me ne sono resa conto non è stata una bella sensazione. Adesso inizio ad accettarlo, a lavorarci.
C’è stata una cena, e, come ogni anno, a ogni cena di compleanno c’è un