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Classified: Edizione italiana
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Classified: Edizione italiana

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About this ebook

Sotto il torrido sole della California, gli animi si infiammano e i desideri si accendono, nell’ultimo volume della serie The Elite.

Nel terzo e ultimo capitolo della storia di Solo e Pantera, Classified, la passione è sempre più intensa e i due piloti, mentre competono per diventare il numero uno, non possono più resistere all’attrazione reciproca.

Le settimane nella più prestigiosa accademia di aviazione navale al mondo stanno per terminare e ciò che lega Solo e Pantera ormai è davvero solo desiderio?
LanguageItaliano
Release dateJun 30, 2022
ISBN9791220703239
Classified: Edizione italiana
Author

Brooke Blaine

Brooke Blaine is an author who loves to write sassy contemporary romance, whether in the form of comedy or suspense. She has been a book-a-holic since she learned how to read.

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    Book preview

    Classified - Brooke Blaine

    1

    PANTERA

    Da quando ero entrato nel centro congressi, dove si teneva il Ballo della Marina, avevo sentito lo stomaco in subbuglio. A dire il vero, già da prima. Nel momento stesso in cui ero salito sulla limousine con Houdini e gli altri e avevo visto Solo che ci guardava mentre ci allontanavamo, dentro di me avevo capito di aver preso la decisione sbagliata. Più mi separavo da Solo, più mi sentivo agitato, ma era stato soltanto quando ci eravamo fatti strada all’interno dell’atrio del centro congressi, che avevo capito di non poter continuare a fingere che tutto andasse bene. A fingere che non stavo morendo dentro.

    Mentre gli altri si dirigevano verso la sala principale, io ero stato in grado soltanto di sgattaiolare nell’ombra e aspettare. Era sembrata passare un’eternità, poi… poi l’avevo visto.

    Solo seguiva il gruppo di allievi con cui era arrivato, sembrando entusiasta quanto me di dover entrare, ma dannazione se era stupendo. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. La sua pelle abbronzata si abbinava perfettamente al vestito bianco e impeccabile che il suo corpo magro e muscoloso riempiva così bene, e camminava con una sicurezza che sapevo non essere fasulla.

    Guardami, lo implorai. Girati. Non entrare senza di me.

    Come se avessi pronunciato quelle parole ad alta voce, Solo si guardò alle spalle e quegli occhi color whiskey si spalancarono un po’.

    Cazzo. Se avevo pensato che avesse un bell’aspetto da dietro, non era niente in confronto alla vista perfetta che rappresentava mentre avanzava verso di me.

    Mi leccai il labbro inferiore e giocherellai con il cappello che tenevo tra le mani, e quando si fermò a un paio di metri di distanza, gli dissi esattamente quello che pensavo.

    «Stai… davvero bene.»

    «Anche tu.» Solo tentò di fare un sorriso, ma non raggiunse i suoi occhi. «Stai così bene che potrei mangiarti.»

    Sapevo che stava cercando di alleggerire la situazione, ma in quel momento non riuscivo a vedere l’umorismo.

    «Ehi,» disse facendo un passo verso di me, tenendosi tuttavia a distanza. «Che ti succede? Come mai sei qui fuori invece che nella sala?»

    «Io… io non posso farlo.»

    Compresi subito che Solo aveva interpretato le parole nel modo sbagliato, perché un’ombra di paura gli velò lo sguardo.

    «Non puoi fare cosa?» domandò.

    «Non posso più fingere.» Presi un respiro incerto. «Non posso entrare lì dentro in questo modo.»

    «Fingere… cosa, esattamente?»

    «Sai bene cosa, Mateo. Non posso entrare lì dentro e mentire dicendo alle persone che non sono riuscito a trovare qualcuno che mi accompagnasse, quando la persona che voglio al mio fianco più di ogni altra cosa al mondo è proprio di fronte a me.»

    Solo rimase immobile. Così immobile che non ero neanche sicuro che stesse respirando, e merda, non poteva essere un buon segno.

    Oh, Dio, perché l’avevo detto, quando era evidente che lui non…

    «Lo capirebbero tutti.»

    Tre parole, quelle che sapevo avevano il potere di cambiare ogni cosa, ma ne valeva la pena? Noi ne valevamo la pena?

    Mantenni lo sguardo fisso su di lui, mostrandogli che non avevo paura. «Lo so.»

    Solo mosse un altro passo verso di me, poi fece qualcosa che non mi aspettavo.

    Tese una mano.

    Deglutii a fatica, distogliendo lo sguardo dalla sua mano e tornando a guardare il suo viso ancora adornato da quel mezzo sorriso malizioso, poi Solo mi fece l’occhiolino. «Ti fidi di me?»

    Se un paio di settimane prima qualcuno mi avesse detto che avrei scelto di mettere la mia vita e la mia carriera nelle mani di Solo, avrei pensato che fosse pazzo. Ma adesso, niente mi sembrava altrettanto giusto.

    Spalancò un po’ gli occhi mentre posavo il palmo sopra il suo, come se non si fosse aspettato una mia risposta così veloce. Come se non si aspettasse che saltassi subito dopo di lui. Ma ero proprio dove volevo essere. Ero dove volevo essere dal momento stesso in cui avevo chiuso la portiera della limousine e mi ero allontanato da quell’uomo, e niente mi avrebbe impedito di fare il passo successivo.

    «Mi fido di te. La vera domanda è: tu ti fidi di te stesso?»

    Le dita di Solo si strinsero intorno alle mie, poi mi tirò a sé e fece un leggero cenno con la testa.

    «Mi fai desiderare di farlo.»

    La vulnerabilità nella sua voce mi fece battere il cuore un po’ più veloce. Solo poteva anche essere spavaldo e orgoglioso e apparire come qualcuno a cui non fregava un cazzo dell’opinione altrui. Ma ero ben consapevole che il novanta percento di quella spavalderia era solo una facciata, uno spettacolo che metteva in atto per coloro che lo circondavano; sapere che era altrettanto preoccupato di varcare quelle porte mi fece tornare un po’ di fiducia.

    «Allora è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, no? L’un l’altro?» Sapevo che stavo mettendo tutte le carte in tavola. Stavo riponendo non soltanto la mia fiducia ma anche le mie emozioni nelle mani di quest’uomo e, quando le labbra di Solo si curvarono in quel sorriso sensuale che amavo, le mie ginocchia quasi cedettero.

    «Mmh, penso che potresti avere ragione.»

    Cazzo. Quel vestito bianco, quel sorriso e le implicazioni nascoste nelle parole di Solo fecero gonfiare il mio cazzo, di colpo molto interessato. Non mi trovavo nella posizione migliore, soprattutto perché il mio completo era aderente in tutti i punti giusti.

    «Okay, devi smetterla di guardarmi in quel modo.»

    Solo si leccò il labbro inferiore. Quando strinsi di riflesso le dita intorno alle sue, ridacchiò. «Quale modo?»

    «Come se fossimo soli e avessimo l’intera notte per mettere in pratica ciò che i tuoi occhi suggeriscono.»

    Solo si guardò intorno nell’atrio vuoto. «Non vedo nessun altro qui fuori, tenente.»

    Scossi la testa. «Sii serio. Mio padre è proprio dietro quella porta.»

    Gli occhi di Solo erano tutto tranne che dispiaciuti, e proprio quando pensavo che avrebbe mandato ogni cosa al diavolo e trascinato verso un luogo più privato, girò sui tacchi e mi tirò per la mano. Mentre lo seguivo, posai lo sguardo sul taglio aderente e perfetto della sua giacca e dei pantaloni. Quando finalmente arrivammo davanti alle porte della sala, si fermò e si guardò alle spalle.

    «Gesù, Pantera, smettila di fissarmi il culo. Tuo padre è proprio dietro questa cazzo di porta.»

    Le mie labbra fremettero mentre allungava la mano verso la maniglia, e fu in quel momento che capii uno dei motivi principali per cui mi ero innamorato di quel rubacuori, quel cattivo ragazzo che aveva la capacità di calmarmi ed eccitarmi al tempo stesso.

    Mentre sotto pressione io ero pacato e riflessivo, Solo era impavido e sconsiderato. Si divertiva a scioccare a morte tutti coloro che lo circondavano, e quella notte non sarebbe stata diversa.

    2

    SOLO

    Non potevo ingannare Pantera. Sapevo che riusciva a vedere oltre il mio comportamento da non-me-ne-frega-un-cazzo, ma non me lo stava rinfacciando. Le battute erano il modo in cui affrontavo le cose difficili, i momenti in cui la pressione era così forte che c’era la possibilità che tutto andasse storto. Ed era molto probabile che, una volta varcata quella porta, tutto andasse a rotoli.

    Ma la mano di Pantera nella mia significava che era disposto a uscire dalla sicurezza della propria vita per ottenere quello che desiderava… e ciò che desiderava ero io.

    Se avessi potuto imbottigliare la gioia che stavo provando avrei guadagnato milioni, cazzo. Per quel che valeva, sembrava che le dimensioni del mio cuore fossero aumentate di cinque volte, rischiando di uscirmi dal petto da un momento all’altro, ma dovevo tenerlo a bada se volevo avere qualche speranza di superare quella porta.

    «Pronto?»

    Pantera si mise il cappello ed espirò. Poi mi guardò, gli occhi pieni di determinazione, mi strinse la mano e annuì.

    «Pronto.»

    Senza distogliere lo sguardo dal suo… e prima di fare qualcosa di folle, come riportarlo alla caserma e passare la notte con lui… spalancai la porta del salone principale.

    Le luci blu lampeggiavano nella stanza scarsamente illuminata al ritmo della jazz band che suonava dal vivo Summertime, e mentre i miei occhi si abituavano, riuscii a vedere l’enorme quantità di persone che riempivano il grande salone. I tavoli rotondi riccamente decorati occupavano la maggior parte dello spazio, anche se davanti alla band c’era una grande pista da ballo; ma era ciò che si trovava proprio di fronte a noi che portò Pantera a stringere la mia mano in una presa mortale.

    Non doveva preoccuparsi, però. Non avevo intenzione di lasciarlo andare.

    Intimidatori era la parola che avrei usato per descrivere gli ufficiali d’alto rango posizionati in un comitato d’accoglienza all’apparenza infinito, lungo il tappeto blu e oro. Quando io e Pantera entrammo nella stanza, tutti gli occhi si posarono su di noi.

    Non capitava spesso che i vertici tradissero la loro sorpresa, ma diversi occhi si spalancarono, e tra questi c’erano… quelli del padre di Pantera.

    Era a pochi metri di distanza, tra i suoi colleghi, tanto temuto quanto rispettato, e aspettai di vedere la sua reazione. Non avrebbe fatto una scenata, non lì, ma non volevo neppure che lui o chiunque altro desse del filo da torcere a Pantera. Quando non vidi nessun segno palese di dispiacere – niente mascella serrata, niente pugni chiusi – quasi sospirai dal sollievo, anche se il peggio non era ancora passato.

    «Tenente Mateo Morgan, nome in codice Solo, attualmente iscritto all’Elite,» tuonò l’altoparlante, annunciando il mio ingresso. «Accompagnato dal tenente Grant Frederick Hughes, nome in codice Pantera, attualmente iscritto all’Elite.»

    Adesso ogni maledetto paio di occhi nel salone ci fissava. Era come se, udendo quell’annuncio, l’intero ballo si fosse fermato per vedere i nuovi arrivati; compresi i nostri compagni di corso, alcuni dei quali avevano davvero bisogno di recuperare la mascella dal pavimento.

    Per niente intenzionato a frenare la curiosità, anche se apparteneva a centinaia di ficcanaso ed era rivolta verso di noi, feci loro l’occhiolino e tirai Pantera in modo da aprirci un varco verso il comitato d’accoglienza.

    A breve avrei dovuto lasciarlo andare per salutare i superiori, ma la dichiarazione era già stata fatta: eravamo insieme in quel salone e, se qualcuno avesse avuto dei problemi, poteva gentilmente andarsene affanculo. Oppure il mio pugno avrebbe potuto, non altrettanto gentilmente, dirgli di andare al diavolo più tardi.

    «Tenente Morgan.» Il primo uomo della fila era qualcuno che non avevo mai incontrato prima, ma avevo sentito parlare abbastanza di lui da riconoscerlo subito.

    «Capitano Perry,» dissi, stringendogli la mano.

    «Ho sentito un bel po’ parlare di lei, giovanotto.»

    Forse si trattava di un ammonimento, ma feci un ampio sorriso. «E probabilmente è tutto vero, signore.»

    Il suo folto sopracciglio si sollevò, ma il sorriso compiaciuto mi fece pensare che si trattava di qualcuno a cui non importava se le cose venivano movimentate un po’, grazie, cazzo.

    Era bello che la prima persona che incontravamo non fosse qualcuno che aveva un palo infilato nel…

    «E lei deve essere il tenente Hughes. La base non fa che parlare di lei da quando ha deciso di affogare nell’oceano uno dei nostri aerei.»

    Sì, il capitano Perry non era decisamente un pallone gonfiato. Non come… «Buonasera, comandante Levy.»

    «Tenente Morgan,» disse Levy con un cenno del capo, mentre i suoi occhi saettavano tra me e il mio… accompagnatore.

    Raddrizzai le spalle e serrai la mascella. Voglio dire, qual era la cosa peggiore che poteva fare? Buttarci fuori? D’accordo, in quel caso saremmo tornati insieme alla caserma. Non la vedevo come una cosa negativa.

    Ma sembrava che il comandante Levy fosse più sveglio di così. Non aveva intenzione di mettersi in imbarazzo attirando ancora di più l’attenzione sui suoi studenti. Invece emise un sospiro, di sicuro chiedendosi quando diavolo si sarebbe sbarazzato di me in modo che la sua vita tornasse alla normalità.

    Solo un altro po’, Levy. Solo un altro po’.

    «Lieto di vedere che siete arrivati in tempo. Un altro minuto e avremmo dovuto inviare una squadra di ricerca.»

    Potevo sentire Pantera al mio fianco fare due chiacchiere con il capitano Perry, e quando finì di parlare mandai tutto al diavolo e gli presi di nuovo la mano, tirandolo al mio fianco.

    «Stavo solo aspettando il mio… partner,» dissi con un ampio sorriso, lasciando che Levy lo interpretasse come voleva. Quando Pantera per poco non mi ruppe tutte le ossa delle dita, mi resi conto che forse avevo un po’ esagerato con la storia di gettare tutte le cautele al vento.

    Eh, Pantera sapeva chi ero quando aveva comprato il biglietto d’ingresso.

    «Tenente Hughes.»

    «Comandante Levy.»

    Lo scambio di saluti si svolse con una tale formalità da farmi quasi venire i brividi, e non ci voleva certo un genio per capirne il motivo. Riuscivo a sentire lo sguardo gelido dell’uomo in piedi alla destra di Levy, ma mentre mi muovevo nella sua direzione, pensai: beh, almeno questa volta ho i pantaloni.

    Preparandomi per quella che sarebbe di sicuro stata un’epica lavata di capo su scala pubblica, strinsi la presa sulla mano di Pantera e aspettai qualunque cosa il capitano Hughes avesse da dire. I suoi occhi si abbassarono sulle nostre dita intrecciate e poi tornarono sul mio viso. Proprio mentre stavo per lasciare la mano di Pantera per poter stringere quella di suo padre, il capitano disse: «È in ritardo, tenente Hughes.»

    Oh, merda. Non solo mi aveva del tutto ignorato, ma scrutava Pantera come se volesse trascinarlo fuori e scambiarlo con un altro figlio. Quello sguardo era terrificante, e che fossi dannato se mi spaventavo con facilità.

    Neanche Pantera lo faceva, evidentemente.

    «Stavo aspettando il mio accompagnatore.»

    Girai la testa così in fretta che mi stupii di non essermi rotto il collo. Non ero sicuro del motivo per cui ero così sconvolto. Pantera mi aveva detto di volerlo fare. Ma da qualche parte nelle profondità della mia mente, stavo aspettando che cambiasse idea. Stavo aspettando che lui… cosa? Mi deludesse?

    Sembrava che avrei dovuto aspettare molto di più, se mai fosse successo.

    «Solo, so che vi siete già incontrati prima, ma vorrei presentarti formalmente mio padre. Capitano Hughes, questo è il tenente Morgan.»

    La mia mascella si unì a quella di quasi tutti i presenti, sul pavimento. Pantera mi rivolse quel suo sorriso storto e non potei fare a meno di chiedermi dove cazzo fosse andato a finire il ragazzo nervoso di poco prima, perché l’uomo in piedi accanto a me sembrava sicuro al cento per

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