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Forget me not: Edizione italiana
Forget me not: Edizione italiana
Forget me not: Edizione italiana
Ebook174 pages2 hours

Forget me not: Edizione italiana

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About this ebook

Tre bustine di zucchero, due dosi di panna.
È così che prendevi ogni giorno il caffè al Grab’ N Go di Joe.
Ma non te lo ricordi.
Non ricordi niente.
Niente, cioè, a parte me…
A parte quel giorno…
E la tragedia che ci ha catapultati insieme.

Ollie è un paramedico e Reid… ha perso la memoria, in un incidente d’auto che gli ha fatto cancellare tutto salvo l’affascinante soccorritore che gli ha salvato la vita.

L’amnesia può rivelarsi la miglior cosa gli potesse capitare?
Reid sarà abbastanza coraggioso da affrontare i suoi sentimenti?
Riuscirà a far breccia nel suo cuore?
LanguageItaliano
Release dateApr 29, 2022
ISBN9791220702911
Forget me not: Edizione italiana
Author

Brooke Blaine

Brooke Blaine is an author who loves to write sassy contemporary romance, whether in the form of comedy or suspense. She has been a book-a-holic since she learned how to read.

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    Forget me not - Brooke Blaine

    1

    «È lunedì, e sai cosa significa,» disse Mike mentre spegneva il motore di Big Bertha e mi guardava con trepidazione.

    Mi diedi un colpetto sulla tasca dei pantaloni per assicurarmi di avervi infilato il portafogli prima che uscissimo, quella mattina, e quando sentii il contorno dei tre scomparti annuii. «Sì. Caffè extra forte in arrivo.» Mentre aprivo la portiera del lato passeggero, la mano di Mike atterrò energica sul mio braccio, arrestandomi prima che potessi scendere dall’ambulanza, e io lo guardai da sopra la spalla.

    «Significa: non esser codardo, Ollie. Ecco cosa significa.»

    Sollevai le sopracciglia e mi guardai intorno, cercando la persona con la quale Mike pensava di parlare. Quando lesse la mia espressione interrogativa fece una risata nasale.

    «Sì, dico a te,» disse.

    «Mi stai sfidando?»

    «Ci puoi scommettere.»

    Scossi la testa. «Non sono un codardo, e lo sai.»

    Mike alzò le spalle e lasciò andare il mio braccio. «Bene. Provalo.»

    «Non posso.»

    «Sì che puoi. Solo che non vuoi

    Sì, okay. Mi aveva colto in fallo. C’era sempre qualcosa che mi tratteneva dal dire più di ciao al tizio con i pantaloni aderenti, la camicia inamidata e la cravatta che vedevo quasi tutte le mattine in coda per il caffè al Grab ’N Go, e Mike non mancava mai di cogliere l’occasione di punzecchiarmi per questo. Non avrei mai dovuto dirgli della mia cotta, maledizione, ma il fatto che fosse il mio migliore amico, oltre che partner lavorativo, comportava che tendessimo a raccontarci un po’ troppe cose, tra una chiamata e l’altra.

    «È etero, Mike. Lascia perdere, eh?»

    «Non lo sai con certezza.»

    Presi una confezione di mentine e la scossi per cacciarmene un paio in bocca, poi la rificcai nel cassetto. «Fidati. Lo so.»

    «Gliel’hai chiesto, dall’ultima volta che ci siamo visti?»

    Alzando gli occhi al cielo, ignorai la sua domanda e spalancai la portiera. «Lo vuoi ‘sto caffè o no?»

    «Mmh, sì. E anche un appuntamento per te.»

    «Gesù,» mormorai, sbattendo lo sportello prima che potesse fare altre richieste. Lo sentivo ridacchiare dietro di me mentre scendeva per fare benzina. E con la coda dell’occhio scorsi un lampo rosso che si fermò nel parcheggio e mi fece accelerare il cuore. Era ridicolo che avessi il minimo dubbio riguardo all’incontrarlo, dato che da quattro mesi di rado passava un giorno feriale senza che accadesse. Ma quel palpito di trepidazione mi provocava ancora brividi ovunque e la manciata di minuti in cui lo vedevo ogni mattina rappresentavano il clou della giornata.

    Ecco il punto. Ho bisogno di riprendermi la mia cacchio di vita. Fare tutti quegli straordinari per guadagnare denaro extra durante il periodo delle vacanze, per concedere ai colleghi con famiglia un po’ di tempo libero, aveva mandato le mie attività extracurricolari in caduta libera. Se non avessi scopato a breve mi sarebbe venuto un esaurimento. O peggio, ci avrei provato con il tizio etero.

    «Ehi, Ollie,» chiamò Mike, e io mi fermai con la mano sulla porta del Grab ’N Go, prima di farmi da parte per lasciar passare la donna dietro di me. Quando mi girai, lui stava pompando benzina nel serbatoio di Big Bertha e, con un sorriso lascivo, cominciò a muovere i fianchi.

    Ma per l’amor del…

    «E già che ci sei, magari prendimi una di quelle frittelle di mele, okay? E una bibita per dopo.»

    Alla faccia dei buoni propositi per il nuovo anno, pensai. Erano durati meno di una settimana. Non che potessi fargliene una colpa, vista la cesta di prodotti freschi da forno posata ogni mattina accanto alla cassa di Joe, che tentava anche me. Tuttavia, Mike voleva perdere quella decina di chili accumulatisi di soppiatto da Halloween in poi e mi aveva fatto giurare di tenerlo sotto controllo.

    «Sicuro di volerlo fare?» chiesi.

    Mike occhieggiò con enfasi la Mazda3 rossa e il suo sorriso si allargò. «La vita è troppo corta per lasciar andare le cose belle, non credi?»

    Stronzo. Scossi la testa e gli scoccai un’occhiata, poi entrai, ormai deciso a comprare tutte le frittelle di mele e a cacciargliele di persona giù per quella sua gola da impiccione.

    «‘Giorno, Oliver,» mi accolse Joe da dietro il bancone dove stava battendo il conto a un cliente, e io gli sorrisi, prima di afferrare un cestino e dirigermi lungo la corsia per prendere la Sprite di Mike. Afferrai la terza bottiglia dal davanti – sì, non sceglievo mai la prima cosa a portata di mano – e la posai nel cesto, mentre la porta del freezer si chiudeva con uno scatto alle mie spalle.

    Tenni stretta la maniglia del cesto mentre con calma percorrevo la corsia in fondo, un senso di trepidazione che mi montava nelle viscere. Alla fine girai l’angolo e, proprio come ogni giorno, davanti alla postazione del caffè c’era Azzurrino, la tazza in mano e in qualche modo ancora più bello di come lo ricordassi. La mia memoria non gli rendeva mai giustizia.

    Non mi mossi quando lui piazzò il bicchiere sotto il beccuccio della macchina, spinse un pulsante e seppi esattamente cosa avrebbe scelto: lo stesso ogni mattina, caffellatte con poca schiuma, tre cucchiaini di zucchero e due di panna.

    Quel giorno indossava un paio di pantaloni neri, con una camicia bianca e una cravatta blu notte. Era sempre così curato, dai capelli arruffati con stile, di un castano così scuro da sembrare quasi corvino, fino ai mocassini neri. La barbetta di un paio di giorni gli copriva la mandibola di solito rasata di fresco e immaginai la sensazione che avrei provato sotto le dita, se gli avessi preso il viso e lo avessi tirato a me…

    «Maledizione!»

    L’imprecazione di Azzurrino mi riscosse dal torpore, mentre i miei piedi riprendevano la capacità di muoversi, e quando mi avvicinai vidi che il liquido che usciva dalla macchina era di un bianco lattiginoso invece del solito marrone.

    Lui buttò fuori un sospiro di frustrazione. «Ehi, Joe,» chiamò. «La macchina del caffellatte è guasta.»

    «Di nuovo?» Joe si grattò la mandibola e borbottò: «Mi dispiace, Reid. Oggi la faccio riparare.»

    «No problem,» rispose lui, rovesciando l’acqua calda dal bicchiere al vassoio, e… ehilà, finalmente potevo abbinare un nome al viso: Reid. Come mai era passato così tanto tempo senza che lo conoscessi?

    Presi dalla rastrelliera un paio di grossi bicchieri usa e getta e allungai la mano verso la caffettiera nello stesso momento in cui lo faceva Reid. Le nostre dita si sfiorarono appena prima che entrambi scattassimo all’indietro. Il suo tocco mi attraversò come una scarica elettrica dritta al cuore, e la sorpresa che gli illuminò gli occhi mi fece capire che non ero l’unico ad averla sentita.

    «Scusami,» disse, e poi si schiarì la gola. «Maledette scariche elettrostatiche.»

    Non era quello, pensai, ma non avevo intenzione di spiegare, invece indicai la caffettiera quasi vuota. «Nessun problema. Serviti pure.»

    «Oh… ehm…» Vide quanto poco ne era rimasto e scosse la testa. «Va bene così. C’eri prima tu.»

    «Nah, fai pure. Qualcosa mi dice che ne hai più bisogno di me.»

    «Sicuro?» chiese Reid, la fronte aggrottata, come temesse di approfittarsene. A me però non sarebbe importato di prendere ogni giorno l’ultimo caffè rimasto, a condizione che quegli occhi color cioccolato fondente rimanessero fissi su di me.

    «Insisto,» dissi, e poi mi sporsi a sussurrare come un cospiratore: «E poi io so dove Joe tiene i ricambi. Mi preparo un’altra caffettiera.»

    Un sorriso di gratitudine gli arricciò le labbra. «Grazie.» Poi si versò un bicchiere di caffè e si grattò la mandibola mentre chiedeva: «Ti capitano mai mattine di questo tipo?»

    «In continuazione.»

    Reid alzò lo sguardo verso di me, poi i suoi occhi scesero sul mio nome e titolo ricamati sull’uniforme. Oliver McFadden, paramedico. «Sì, immagino. Paramedico, eh? Non so come facciate.»

    «Ci aiuta il fatto che nelle giornate peggiori possiamo farci caffeina in flebo per ricevere una botta di energia più rapidamente.»

    Lui rise, mentre apriva tre bustine di zucchero e le versava nella sua bevanda. «Penso di lavorare nel settore sbagliato.»

    «Che cosa fai?»

    «Insegno educazione musicale a Castle Hill.»

    «Alle medie?» Feci un fischio. «Credo che mi terrò il mio, di lavoro.»

    «Certi giorni non ti darei torto. Sono perlopiù un gruppo di studenti simpatici, però cavolo, ce ne sono alcuni la cui missione è far scappare i nuovi insegnanti.»

    «E tu fai parte di quelli nuovi?»

    «In corsa da quattro mesi.» Gettò le bustine vuote nella spazzatura e poi mi porse la mano. «A proposito, mi chiamo Reid.»

    Fissai la sua mano per un paio di secondi prima di stringerla. Le sue lunghe dita erano fresche al tocco, a differenza delle mie perennemente calde. Fuori potevano esserci -45 gradi e le mie mani rimanevano calde. «Ollie,» risposi, e scossi leggermente la testa. «Be’, Oliver, ma tutti mi chiamano Ollie.»

    «Ollie,» ripeté Reid senza smettere di stringermi la mano. «Non ho mai conosciuto un Ollie.»

    «Mia mamma era grande fan di Stanlio e Ollio. Sono contento che almeno non abbia optato per Stan.» Appena le parole mi furono uscite di bocca mi resi conto che il riferimento era superfluo, perché probabilmente non aveva idea di chi diavolo fossero Stan Laurel e Oliver Hardy, invece Reid mi sorprese di brutto mettendosi a ridere.

    «Tua mamma ha buon gusto. Guardavo le loro gag a casa di mia nonna,» disse, lasciando andare la mia mano.

    Sentii subito la mancanza di quel contatto.

    Prima che potessi rispondere, le dita nodose di Joe si chiusero sul mio braccio, mentre lui si infilava zoppicando tra noi e con il suo bastone dava un colpo su un lato della macchina del caffellatte.

    «Non credo reagisca alle botte, Joe,» suggerì Reid, mescolando due dosi di panna nel caffè.

    «Ha già funzionato una volta. Che cavolo, ci riprovo.»

    Mentre Joe bastonava la macchina, Reid scosse la testa come reazione alla sua cocciutaggine. Poi mise un coperchio sul proprio bicchiere e mi sorrise. «Grazie ancora, Ollie. Sono in debito con te.»

    «È un piacere,» dissi, ed ero sincero. «Spero che la tua mattina migliori.»

    «Ci conto. Ciao, Joe. Ti lascio il denaro sul bancone.»

    Joe mugugnò quello che sembrava un ciao e continuò ad armeggiare con la macchina del caffellatte, mentre io sciacquavo la caffettiera e preparavo del caffè nuovo.

    Due bicchiere fumanti e un sacchetto di frittelle di mele più tardi, salii di nuovo su Big Bertha, ancora sotto l’effetto del mio incontro con Reid. Che cavolo, non era molto da me sbavare per un uomo, ma qualcosa in lui aveva catturato la mia attenzione dalla primissima volta e non mi mollava. L’incontro di quel giorno non aveva fatto altro che stuzzicare la mia curiosità. Lo avevo sempre immaginato più vecchio, magari prossimo ai trenta, ma aveva detto di insegnare a Castle Hill da quattro mesi. Magari voleva dire che era fresco di college? O magari si era trasferito. Decisamente da qualche località del Sud: aveva il modo di fare di chi era cresciuto con genitori che gli avevano inculcato i Sissignore e No grazie, signora così tipici di quella parte del Paese, anche se il suo accento non aveva alcuna inflessione.

    «Questo deve essere il sorriso più grande e stupido che abbia mai visto sul tuo brutto muso,» ridacchiò Mike, fissandomi come se mi fossero cresciute due teste. «L’hai fatto finalmente? Gli hai chiesto di uscire?»

    Gli gettai il sacchetto di frittelle e la bibita in grembo. «Sentiti libero di ingozzartici.»

    «Aaah, allora lo prendo come un sì. Ti ha demolito?»

    Dopo aver sistemato i caffè nella console centrale mi allacciai la cintura di sicurezza e aspettai che Mike cogliesse il segnale che dovevamo muoverci.

    «Che cavolo, amico?» disse. «Mi lasci in sospeso?»

    Sollevai un sopracciglio nella sua direzione, e quando non aggiunsi altro avviò il motore con un grugnito.

    «Uno di questi giorni, Ollie…» mugugnò, uscendo dalla stazione di servizio. «Tu sai tutto della mia vita personale. Vedrai se ti racconto ancora i cavoli miei.»

    «Non sapresti cosa fare, se non potessi parlare di Deb ventiquattr’ore su ventiquattro.»

    «Ehi, non è colpa mia se ho fatto centro. Voglio solo che tutti sappiano cosa si perdono.» Mentre rallentava nel traffico, Mike guardò verso di me e agitò le sopracciglia nere.

    «La

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