La mossa del diavolo
By Josh Lanyon and Chiara Messina
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About this ebook
Josh Lanyon
Author of 100+ titles of Gay Mystery and M/M Romance, Josh Lanyon has built a literary legacy on twisty mystery, kickass adventure, and unapologetic man-on-man romance. Her work has been translated into twelve languages. She is an EPIC Award winner, a four-time Lambda Literary Award finalist (twice for Gay Mystery), an Edgar nominee, and the first ever recipient of the Goodreads All Time Favorite M/M Author award.
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La mossa del diavolo - Josh Lanyon
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Triskell Edizioni di Barbara Cinelli
Via 2 Giugno, 9 - 25010 Montirone (BS)
http://www.triskelledizioni.it/
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.
La mossa del diavolo - Copyright © 2016
Copyright © 2006 The Hell You Say
di Josh Lanyon
Traduzione di Chiara Messina
Cover Art and Design di Barbara Cinelli
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma né con alcun mezzo, elettronico o meccanico, incluse fotocopie, registrazioni, né può essere archiviata e depositata per il recupero di informazioni senza il permesso scritto dell’Editore, eccetto laddove permesso dalla legge. Per richiedere il permesso e per qualunque altra domanda, contattare, l’associazione al seguente indirizzo: Via 2 Giugno, 9 – 25010 Montirone (BS)
http://www.triskelledizioni.it/
Prodotto in Italia
Prima edizione – Febbraio 2016
Edizione Ebook 978-88-9312-040-1
Ringraziamenti
A Nick (l’altro), che mi contiene e mi fa stare sulla retta via. Be’, se non altro mi contiene. Un sincero grazie anche B.W.B. e a Drewey Wayne Gunn. E infine, uno speciale ringraziamento ai lettori che continuavano a premere e a pungolarmi per avere un altro libro dedicato ad Adrien English. Questo è per voi.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, ma c’è un mucchio di vecchie cose che non conosciamo.
Ambrose Bierce, Il dizionario del diavolo
img2.jpgLa voce al telefono gracchiò: «Ossa di rabbia, ossa di polvere, piena di furia, giusta è la vendetta. Spargo queste ossa, queste ossa di rabbia, nemico mio, che dolore tu abbia. Tormento, fiamme, tributo di morte, con questa fattura maledico la tua sorte. E così sia.»
Passai il ricevitore ad Angus, che si stava occupando dell’espositore dei libri raccomandati dal personale accanto al bancone. «È per te.»
Lui prese la cornetta e se la portò all’orecchio come se si aspettasse di ricevere una scossa. Rimase in ascolto e poi, con mano tremante, la rimise al suo posto e si voltò a fissarmi. Dietro le lenti blu dei suoi occhialetti alla John Lennon i suoi occhi erano terrorizzati. Si passò la lingua sulle labbra esangui.
«Senti, Angus,» dissi. «Perché non parli con Jake? È un poliziotto. Forse può darti una mano.»
«È un detective della omicidi,» bofonchiò lui. «E poi mi detesta.»
Aveva ragione su entrambe le cose, ma feci comunque un tentativo. «Non ti detesta, davvero. E in ogni caso, devi pur parlarne con qualcuno. Queste sono minacce belle e buone.»
«Minacce?» La sua voce si alzò di un’ottava. «Magari fossero solo minacce! Mi uccideranno.»
Un cliente che si aggirava furtivo dietro lo scaffale dei paperback della Dell tossì, e mi resi conto che non eravamo soli in negozio.
Feci un cenno ad Angus, e lui mi seguì nel magazzino sul retro che avevo adibito a ufficio personale. Sino a quel momento, in quella uggiosa giornata di novembre, avevamo avuto ben tre clienti che erano venuti a curiosare in libreria. Lasciai la porta semiaperta e mi girai verso il mio assistente. «Okay, che diavolo sta succedendo?» Grossomodo mi ero fatto un’idea di cosa stesse succedendo, così aggiunsi: «Di preciso.»
Ero convinto di aver usato un tono piuttosto calmo, ma lui mise le mani avanti come se stesse cercando di difendersi. «Non posso parlarne,» farfugliò. «Voglio dire, se ne parlassi, se rivelassi i segreti della…» Ingoiò La Parola. «Mi ucciderebbero.»
«Pensavo stessero già cercando di ucciderti…»
«Materialmente, intendo.»
«Ah-ha,» replicai. Sembravo Jake.
Angus colse la nota di scetticismo nella mia voce. «Adrien, non capisci. Non hai mai… sanno dove vivo. Sanno dove lavoro. Sanno dove vive Wanda, e dove lavora. Loro…»
«Perché non lasci la città per un po’?» Lo interruppi. «Natale è alle porte. Perché non… ti prendi una vacanza?»
«È novembre.»
«È già passato il Ringraziamento.»
Era un anno che Angus lavorava alla libreria Clock and Dagger, ma sapevo ben poco di lui, eccetto che stava conseguendo una misteriosa laurea triennale alla UCLA, che sembrava prevedere la frequenza a un mucchio di corsi di folklore, mitologia e occultismo. Aveva una ventina d’anni, viveva da solo, ed era un dipendente discreto, seppur discontinuo. Lisa, mia madre, era convinta che facesse uso di droghe. Jake, il mio amante occasionale, era sicuro che fosse uno spostato, ma io tendevo a pensare che fosse semplicemente… giovane. Lo osservai con attenzione mentre se ne stava lì coi suoi vestiti neri di due taglie più grandi, come un emigrato giunto dal lato oscuro. Stava scuotendo la testa in un gesto sconsolato, come se fosse certo che non avrei mai potuto capire.
«Sì,» dissi, con rinnovata convinzione. «Perché non prendi Wanda e non ti allontani per una o due settimane? Lascia che la situazione si sgonfi.» Rovistai nel cassetto della scrivania in cerca del mio libretto degli assegni.
Non che credessi che il denaro potesse risolvere qualsiasi problema… a meno che il problema non fosse la mancanza del suddetto. E di norma non consigliavo alla gente di fuggire dai propri problemi, ma quel particolare problema aveva un non so che di familiare. O almeno così avevo pensato a quel tempo.
Angus rimase in silenzio mentre compilavo l’assegno. Lo staccai dal blocchetto. Quando glielo porsi, lui rimase a fissarlo. Senza dire una parola. Poi, davanti ai miei occhi, una lacrima gli scivolò lungo il viso e ci finì sopra. Angus emise un sospiro tremante e fece per parlare.
Io lo bloccai. «Ascolta, ragazzo, fa’ un favore a entrambi. Le chiamate inquietanti dalla cripta non fanno bene agli affari,» dissi prima di dirigermi verso la porta.
* * * * *
«Cos’è che hai fatto?» domandò Jake.
Avevo tardato di una decina di minuti all’appuntamento che ci eravamo dati presso la concessionaria d’auto sull’East Colorado Boulevard. La mia Bronco di dieci anni stava per esalare l’ultimo respiro, e Jake sembrava convinto che non sarei mai riuscito a prendere una decisione consapevole, a meno che lui non mi avesse fornito tutte le informazioni del caso.
«Gli ho dato ottocento dollari. E gli ho detto di andarsi a fare una vacanza con Wanda la Strega.» Lanciai uno sguardo alle file di agili auto sportive e di robusti SUV che scintillavano nella luce del tramonto. Le fronde delle palme frusciavano sopra di noi. Il suono metallico delle carole natalizie giungeva dagli altoparlanti col suo messaggio non troppo subliminale.
Vidi il riflesso biondo e imponente di Jake materializzarsi alle mie spalle sul parabrezza. «Ottocento dollari? Avevi ottocento dollari da buttar via?»
Scrollai le spalle. «Li considererò una gratifica di Natale.»
«Ah-ha.» Sentii il suo sguardo scrutarmi con attenzione. «Be’, Mr. Trump, ha ancora senso entrare o dobbiamo tornarcene a casa?»
«Mai sentito parlare di quella grande tradizione americana chiamata finanziamento?»
Jake emise uno sbuffo infastidito, e io incontrai il suo sguardo. «Come credi che scappare possa risolvere le cose?» domandò e, per un istante, ebbi la sensazione che stessimo parlando di tutt’altro.
«Non stavo pensando a una soluzione a lungo termine.» Poi, prima che lui avesse il tempo di ribattere, aggiunsi: «E dubito ne servirà una. Sono ragazzi. Hanno una capacità di attenzione di… quant’era? Qualcosa come un minuto per ogni anno di vita. Stiamo parlando di venti minuti di panico. Al massimo.»
Le labbra di Jake si arricciarono in un mezzo sorriso, ma disse: «Questi ragazzi fanno tutti parte di una congrega di streghe che ha la sua base nei dintorni di Westwood?»
Passai il palmo della mano sul cofano di una Subaru Forester color argento. «Da’ tutto un nuovo significato all’espressione spirito giovane
, eh?» Diedi un’occhiata al cartello del prezzo sul finestrino. «Da quel che ho capito, hanno frequentato tutti un corso sulla demonologia e le arti magiche lo scorso anno. Credo che qualcuno abbia inalato un po’ troppi fumi d’incenso durante i laboratori.»
«E hanno deciso di formare una congrega?»
«Penso di sì. Angus non mi è sembrato incline a condividere informazioni a riguardo. A quanto pare, rivelare i segreti dell’Oscuro Signore comporta una severa punizione.»
Le luci natalizie verdi e gialle che sovrastavano il parcheggio si accesero di colpo. Mi fecero pensare a dei peperoncini, ma forse il mio subconscio era semplicemente suggestionato dalla presenza del ristorante messicano dall’altra parte della strada. Ricordai di aver saltato il pranzo e il mio stomaco emise un sonoro brontolio. Mi chiesi se Jake avesse tempo per venire a cena con me.
Se mi fossi lamentato per la fame, lo avrebbe trovato. Essendo uno di quei fanatici che credevano che la regola di consumare tre pasti bilanciati al giorno fosse scolpita nella pietra, le mie abitudini alimentari lo infastidivano. Non ci eravamo visti molto nell’ultimo periodo, ragion per cui sarei stato pronto persino a sorbirmi l’ennesima lezioncina sui benefici dei carboidrati complessi.
«Ti guardi intorno, confronti i prezzi, e poi compri l’auto che fa per te,» osservò, vedendomi indugiare sulla Forester.
«Certo.»
«Non hai bisogno di un’altra succhia-benzina. Che ne dici di un coupé? Magari usato?»
«Usato?»
Un angolo della sua bocca si sollevò nel sentire il mio tono di voce. Con una certa riluttanza, percorsi il corridoio d’auto fermandomi di fronte a una due porte blu. Vetri fumé, tettuccio apribile, amplificatori Bose. E anche il prezzo era quello giusto. Climatizzatore integrato. Che significava? Aria condizionata?
All’improvviso, Jake commentò in tono cupo: «Che tu ci creda o no, queste sono proprio il genere di stronzate che possono sfuggire di mano. Circa un mese fa, la polizia ha rinvenuto una Jane Doe sulle colline di Hollywood. Pare sia stata vittima di un omicidio rituale.»
«Vuoi dire che è stata uccisa da un gruppo di adoratori del diavolo?»
Io stavo solo scherzando, ma Jake sembrò pensarci su. «Vorrei che non avessi spedito il ragazzo fuori città. Avrei voluto farci due chiacchiere.»
«Non puoi pensare che Angus sia coinvolto in una cosa del genere,» protestai. «È un po’ strano, è vero, ma è una brava persona.»
«Non hai idea di che persona sia, Adrien.» Jake, che da dieci anni lavorava presso il dipartimento di polizia di Los Angeles, tendeva ad assumere quel tono da piedipiatti quando mostravo i tipici segni d’ingenuità di un civile. «Lavora per te da qualche mese, e questo è quanto. Lo hai assunto tramite un’agenzia. Credi davvero che facciano dei controlli approfonditi?»
«Credi siano necessari per lavorare in una libreria specializzata in romanzi gialli?»
Ma lui non mi stava più ascoltando. «È dagli anni ‘80 che girano voci su questo giro clandestino di satanisti. Potranno anche non esserci prove di un movimento organizzato, come sostengono certi gruppi religiosi, ma abbiamo assistito a un gran numero di morti e incidenti causati da persone che prendevano questa roba troppo seriamente. E un mucchio di gente è finita negli ospedali psichiatrici. È un mondo oscuro e violento, ma molti ragazzi ne sono attratti.»
«E allora speriamo che questa storia spaventi Angus una volta per tutte, convincendolo a uscire dal giro.» Provai a immaginarmi al volante del coupé, ma dopo un po’ gettai la spugna e tornai alla mia Forester color argento.
* * * * *
Quando ebbi finito di firmare i documenti per il finanziamento, io e Jake attraversammo la strada per andare a cena al ristorante messicano. Avevo dato la Bronco in permuta e, dal momento che il venditore doveva installare l’impianto stereo nella mia nuova auto, avrei avuto bisogno di un passaggio sino a casa. Jake si lasciò convincere a mangiare un boccone con me.
Mentre aspettavamo i nostri ordini, lo guardai sgranocchiare due cestini di chips di tortiglia. Masticava senza sosta, come se fosse stipendiato a snack, gli occhi incollati al porta vaso da parete traboccante di buganvillea finta.
«Tutto bene?»
Senza smettere di masticare, si bloccò di scatto, la mano a mezz’aria, mentre faceva per prendere la sua Dos Equis. «Certo. Perché?»
«Non lo so. Hai l’aria preoccupata.»
«No.» Buttò giù un sorso di birra, gli occhi fissi nei miei. «È tutto a posto.»
La nostra non era una relazione semplice. Jake teneva ben nascoste le sue preferenze sessuali. Sosteneva di farlo perché era un poliziotto – il suo lavoro era già abbastanza pesante senza entrare in conflitto con le persone che avrebbero dovuto salvarti le chiappe – ma io sospettavo che ci fosse dell’altro. Jake disprezzava se stesso per l’attrazione che provava verso gli uomini. Anche se si era dimostrato un buon amico ed era un amante eccellente da un punto di vista fisico – quando c’era, se non altro –, tra noi aleggiava sempre una tensione che temevo non si sarebbe mai del tutto risolta.
Il che era un vero peccato, perché tenevo a lui. Parecchio.
Quando ci eravamo conosciuti, avevo scoperto che era coinvolto nello scenario BDSM, ma credevo – e speravo – che avesse smesso di frequentare così assiduamente certi club.
Quel che sapevo per certo, era che stava frequentando una donna, una poliziotta di nome Kate Keegan. Il loro rapporto era cominciato prima del nostro incontro, anche se non di molto. Non credevo si trattasse semplicemente di una relazione di copertura, ma lui non aveva mai voluto discuterne con me.
«Ho saputo che Chan sta scrivendo un libro.»
Qualche mese prima, il partner di Jake, il detective Paul Chan, si era unito ai Complici, i membri del gruppo di scrittura che ospitavo nella mia libreria.
«Sì, un giallo procedurale.»
«E com’è?»
«Be’, ecco…»
Jake rise, spingendo verso di me il cestino delle tortilla.
* * * * *
Il giorno seguente, un venerdì, dovevo predisporre tutto per il firma copie dell’autore di best-seller Gabriel Savant. Savant aveva scritto una serie che aveva come protagonista il detective dell’occulto Sam Haynes, una sorta di versione contemporanea dei romanzi pulp di Jules de Grandin e John Thunstone. Pur non essendo un grande fan dell’horror, avevo dato una veloce scorsa al suo ultimo libro, così da stimolare la discussione in caso la sessione di domande da parte del pubblico si fosse conclusa troppo in fretta. Non che temessi nulla di simile. Dopo uno sfortunato inizio di carriera negli anni ‘80, Savant aveva reinventato se stesso e la propria scrittura, diventando un beniamino dei media. Mentre mi affaccendavo senza sosta in preparazione della cospicua affluenza di pubblico di quel pomeriggio, mi trovai a rimpiangere egoisticamente di non aver rimandato il salvataggio di Angus alla settimana successiva.
Stavo sistemando in vetrina le copie dell’ultimo romanzo di Savant, Il codice Rosacrociano, domandandomi se avessi comprato abbastanza bottiglie di champagne da quattro dollari, quando ricevetti un’altra chiamata dal lato oscuro.
«Colpito, malmenato, picchiato, squarciato. Ti trafiggo come una spina…»
«A proposito di spine nel fianco,» dissi interrompendo il mio interlocutore. «Stai perdendo il tuo tempo. Angus non lavora più qui.»
«Cosa…?» L’uomo – la voce era senza dubbio maschile – esitò, interdetto. Ci fu una pausa, poi un click segnalò la fine della chiamata.
Provai a usare il tasto di richiamata, ma il numero era bloccato. La cosa non mi sorprese. Ovviamente, ero sicuro che la faccenda non si sarebbe conclusa lì.
Nel tardo pomeriggio, infatti, ricevetti un’altra telefonata da parte di qualcuno che chiedeva di Gus
. Questa volta, la voce era femminile e flautata. Che io sapessi, in tutto il tempo che aveva lavorato per me, Angus aveva ricevuto chiamate da una sola ragazza, la sua fidanzata Wanda. E Wanda non aveva una voce flautata. Aveva la voce di una che era stata svezzata a Marlboro.
«Mi dispiace,» risposi. «Non è qui.»
«Oh, Cielo,» replicò lei agitata. «Devo assolutamente parlare con lui. È tipo… un’emergenza.»
«Tipo un’emergenza, ma non proprio?»
«Come?»
«Non importa,» tagliai corto. «Senta, non lavora più qui. Sul serio. Sparga la voce.»
Una pausa. Poi la donna bofonchiò: «Non sono sicura di…»
Decisi di cambiare approccio. «Vuol darmi il suo nome? Magari Angus chiamerà, non appena si sarà sistemato. Lei è una sua amica?»
Lei proruppe in una risata argentina, la risata di una ragazza che sapeva godersi la vita. «Be’, sì! Certo! Devo parlargli. E, mi creda, anche lui vuole parlare con me.»
«Oh, ne sono certo,» risposi con altrettanta sincerità. «Ma non c’è. È andato via. Mi piacerebbe aiutarla, ma…ehi, perché non mi lascia il suo nome e il suo numero di telefono così, se si fa vivo, gli dirò che ha chiamato.»
Un’altra esitazione. Infine la ragazza rispose in tono gelido: «Certo. Gli dica che Sarah Good lo ha cercato. Conosce il mio numero.»
666?
Lei riagganciò con gentilezza. E io la imitai qualche istante dopo. Scorsi di sfuggita il riflesso della mia espressione cupa nello specchio di fronte al bancone. Sarah Good. Una delle prime streghe di Salem a essere impiccate. Carino.
Be’, il lato positivo era che, se non altro, i ragazzi prendevano molto sul serio le lezioni di storia.
* * * * *
Alle sei e mezza, nel negozio erano rimasti solo posti in piedi. Mi resi conto di aver calcolato male sia il numero delle bottiglie di champagne che la quantità d’aiuto di cui avrei avuto bisogno. Non avevo mai visto tanti adolescenti – maschi e femmine – con del rossetto nero addosso, né tante borchie su uomini di mezza età che non guidassero una Harley.
Non che non mi facesse piacere incontrare persone che amavano la lettura. Soprattutto persone che, a una prima occhiata, sembravano interessate a tutto fuorché ai libri. Speravo solo non mi distruggessero i mobili e che l’edificio non venisse colpito da un fulmine a causa della massiccia presenza di metallo.
Fui costretto a correre alla porta accanto e a pagare le ragazze che lavoravano all’agenzia di viaggio affinché chiudessero prima e mi dessero una mano.
Alle cinque e cinquanta, il nostro illustre autore era ufficialmente in ritardo, e i presenti cominciavano a mostrare segni di impazienza. C’era una fila di signore che aspettavano di usare il bagno e nell’"angolo relax" era scoppiata un’accesa discussione sulle origini della svastica. Un cronista locale aveva cercato d’intervistarmi a proposito del caso d’omicidio in cui ero rimasto coinvolto l’anno prima, e io avevo resistito all’impulso di scolarmi le ultime bottiglie di champagne comprato al supermercato e di rintanarmi nel magazzino.
Alle sei e trenta, avevo sentito un certo trambusto provenire dalla porta d’ingresso. Un gruppo di persone, chiaramente al seguito di qualcuno, erano entrare nel negozio. Tre donne dalle gambe chilometriche, vestite più come delle succubi che come impiegate di una rispettabile casa editrice, avevano fatto il loro ingresso. Un ometto grassoccio e occhialuto mi aveva preso da parte e si era presentato come Bob Friedlander, il responsabile di Gabe.
Responsabile? Supponevo si trattasse di un lavoro piuttosto piacevole da svolgere, potendo.
Mi persi gran parte di quel che Friedlander stava dicendo perché, un istante dopo, il Principe delle Vendite fece la sua comparsa. Gabriel Savant era alto più di un metro e ottanta e aveva un fisico da modello, per la precisione sembrava il protagonista maschile della copertina di un romance storico: capelli corvini e ribelli che gli ricadevano sulla fronte abbronzata, penetranti occhi blu e un sorriso di un bianco abbagliante. Che avesse degli zirconi incastonati nei denti? Di sicuro c’era qualcosa che luccicava sul suo lobo sinistro. Portava una giacca di pelle e un mantello nero. Sorprendentemente, nessuno stava ridendo.
«Oh, che posto affascinante,» chiosò Gabriel, mentre Friedlander guidava la sua stella verso di me. «Certo, non è Vroman, ma è molto grazioso.»
«Atmosfera,» si affrettò ad aggiungere Friedlander. «Qui dentro c’è una magnifica atmosfera.»
«Facciamo del nostro meglio,» dissi io.
«Oh, ma è evidente,» commentò Gabriel in tono incoraggiante. Lanciò uno sguardo al suo responsabile. «Bobby, cosa c’è da bere? Sono assetato.»
Friedlander si schiarì la gola, imbarazzato. Insieme all’aroma muschiato del dopobarba di Gabe mi arrivò anche una zaffata di collutorio e bourbon. Soprattutto di bourbon.
«Dev’esserci uno champagne di marca non ben definita in giro,» risposi.
Fu come se avessi offerto del latte a un vampiro. Gabe sbiancò. Deglutendo rumorosamente, disse, «Oh, Santo Cielo, sbrighiamoci e vediamo di non tirarla per le lunghe.» Con ampie falcate si diresse al tavolo che avevo allestito per lui. L’applauso entusiasta del pubblico riecheggiò tra le scure travi del soffitto.
«Il tour promozionale di questo libro è stato estenuante,» spiegò Friedlander in tono di scuse. «Venti città in un mese… interviste in radio alle quattro del mattino, talk show in TV, pranzi nei club del libro. Spesso facciamo tre librerie in un solo giorno. Gabe è esausto.»
«Immagino lo siate entrambi.»
Friedlander rise. Dietro le lenti, i sui occhi gentili erano inaspettatamente guardinghi. «Un po’. So che anche lei scrive.»
«Un po’.» Grazie a Dio non abbastanza da essere costretto ad andare in tour.
«È troppo modesto. Ho letto Il delitto sarà svelato. L’ho trovato molto arguto.»
Delle due l’una: o quell’uomo faceva il suo lavoro meglio di chiunque altro, o era gay. I miei libri non attiravano il lettore medio.
«Ma ha bisogno di qualcosa che catturi l’attenzione del pubblico,» disse. «E di uno zoccolo duro di lettori.»
«E non trova che un attore shakespeariano gay che si improvvisa detective sia sufficiente a catturare l’attenzione del pubblico?»
«No. Neanche per idea. Guardi Gabe. Ha sprecato anni a scrivere romanzi letterariamente raffinati, acclamati dalla critica, che nessuno voleva leggere, e poi cos’è successo? Ha inventato Sam Haynes, il detective dell’occulto. Il resto è storia.»
Storia, mistero, e amore raccontati con una prosa barocca, pensai mentre Savant leggeva ad alta voce un brano tratto dal suo ultimo capolavoro. A me ricordava una versione più aitante di Vincent Price, ma i presenti lo adoravano. Ascoltavano tutti in un silenzio di tomba. Non un sussurro, non una risatina. Una volta finito di leggere, Savant cominciò a rispondere alle domande. A un mucchio di domande. I suoi fan volevano sapere tutto, da dove traeva spunto per i suoi romanzi
– cosa che lo spinse ad arricciare il suo naso aristocratico, facendo cenno di passare al quesito successivo – a se stava vedendo qualcuno
.
«Io vedo tutti,» rispose Savant con voce strascicata dandosi un colpetto sulla fronte, non sapevo bene se alludesse al suo Terzo Occhio o al fatto che la sua vita sociale gli stesse dando il mal di testa.
Forse era merito dello champagne, ma i fan sembravano pendere dalle sue labbra.
Friedlander si limitò ad ascoltare e a ingurgitare pizzette come se non ci fosse un domani. Di tanto in tanto, ad esempio quando Savant si riferiva a me chiamandomi Andrew
, mi rivolgeva un sorriso imbarazzato.
Poi un cliente domandò a Savant a cosa stesse lavorando in quel momento. Apparentemente, quella era la domanda che lo scrittore stava aspettando. Si alzò in piedi, sistemandosi il mantello.
«Come ben sapete, ho costruito la mia fortuna raccontando storie sull’occulto e su chi lo pratica, ma il mio attuale progetto non è una mera opera di fantasia. Nel corso delle mie ricerche, ho trovato le prove dell’esistenza di un vero culto segreto, una scellerata organizzazione che negli ultimi vent’anni si è approfittata della buona fede di individui giovani e ingenui. Un culto che ha preso piede proprio in questa città. Col mio prossimo libro, intendo svelare al mondo la verità su questo culto e sui suoi leader.»
Bob Friedlander lasciò cadere il suo piatto di carta, disseminando pizzette sul pavimento di legno. Mi chinai per raccoglierle e, con la coda dell’occhio, notai che stava tremando. Sollevai lo sguardo. Il suo viso tondo era cereo, madido di sudore: l’uomo aveva l’aria terrorizzata.
Mi girai verso Gabriel Savant. Guardava con aria trionfante i suoi lettori, la maggior parte dei quali sorridevano e parlottavano tra loro, deliziati dalla prospettiva che presto un altro losco culto sarebbe stato sconfitto…. e che la sua caduta sarebbe diventata oggetto di un altro best-seller. In fondo alla stanza, però, scorsi un piccolo gruppo di giovani donne. Erano vestite di nero, con addosso un bel po’ di pizzo e pelle, truccate e pettinate come se fosse Halloween. Sembravano delle replicanti di Elvira la Strega. Ebbi l’impressione che stessero sibilando alla volta di Savant.
* * * * *
«Adoro questa casa,» disse Lisa con un sospiro. «Sono stata molto felice qui.»
Il primo sabato di ogni mese raggiungevo mia madre per il brunch nella dimora avita di Porter Ranch, a nord della San Fernando Valley.
Quella tradizione aveva avuto inizio quando, dopo aver lasciato Stanford, le avevo annunciato che non avrei fatto ritorno al nido materno. La notizia non avrebbe dovuto scioccarla – né essere accolta con dispiacere – ma, dal momento che, a dispetto delle legioni di possibili pretendenti, Lisa aveva deciso di non risposarsi dopo la morte di mio padre, io ero tutto ciò che le era rimasto al mondo. Cosa che raramente mancava di farmi notare.
«È una bellissima casa,» convenni.
L’ambiente profumava di abete, cannella e mele. C’era un’atmosfera calda e natalizia. Per certi versi, sentivo ancora quel posto come casa
. Avevo mosso i miei primi passi nell’ingresso di marmo (il mio primo tentativo di fuga). Avevo imparato a guidare nelle tranquille stradine circostanti. Avevo avuto il mio primo, goffo approccio sessuale nella