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Cronache di un numero brillante
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Cronache di un numero brillante

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Bari, anno 2012. Laura Milani è una ragazza di 20 anni ligia al dovere e a non deludere i genitori, tanto da iscriversi a una facoltà universitaria scelta dal padre, che la vuole vedere sistemata a dovere, solo per accontentarlo. Nel frattempo, arriva un giorno in cui decide di accettare un lavoro come commessa, essere un numero in una delle catene d’abbigliamento più famose del mondo, Gonzales. Si immerge con totale entusiasmo in questo microcosmo fatto di vestiti, camerini sempre pieni, marasma incontrollato e colleghi molto particolari. A tenerla ancorata a sé stessa c’è la scrittura, la sua passione segreta. Il suo carattere fragile e accondiscendente verrà messo a dura prova a causa, o grazie, di legami vecchi e nuovi, cambiandola. Questo miscuglio di emozioni forti la porterà a conoscere e a scontrarsi con una Laura inedita, forte e decisa. Ma soprattutto pronta a mettersi in gioco seguendo le proprie regole e non solo quelle dettate da altri.

Francesco Delvecchio nasce il 26 agosto 1992 ed è originario di Bari. Diplomatosi come perito tecnico informatico, lascia l’università per seguire il suo desiderio di lavorare nella moda. Trovando lavoro all’interno di una catena multinazionale d’abbigliamento, è riuscito a unire la sua passione alla forte volontà di rimanere nella sua città d’origine. Il suo lavoro, inoltre, gli ha permesso di entrare in contatto con svariate persone oltre che personalità, e spinto da una forte curiosità, è riuscito a sviluppare una certa propensione all’ascolto. Ha sempre creduto nel potere della comunicazione. Appassionato di storia e cinema ha trovato nella scrittura il mezzo migliore per esprimere sé stesso. Cronache di un numero brillante è ispirato a vicende realmente accadute.
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2022
ISBN9788830672970
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    Cronache di un numero brillante - Francesco Delvecchio

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Bari, giugno 2012

    Era una perdita di tempo, minuto dopo minuto Laura realizzava che la sua permanenza in quell’aula grande per studiare qualcosa che non le piaceva, che non le interessava minimamente, stava diventando straziante. Dopo probabilmente il centesimo sbadiglio, durante un tentato ripasso per l’esame di Sistemi, si alzò, mise in borsa il quaderno degli appunti e la dispensa. Con la penna che stringeva poco prima fra le mani invece abbozzò uno chignon, per tenere a bada quei capelli ramati che le incorniciavano il viso roseo e lentigginoso. Uscì dall’edificio inglobato nel politecnico barese e si diresse a casa sua. Estrasse fuori dalla tasca dei jeans il suo Nokia 6288 per controllare se ci fosse qualche chiamata o messaggio non letto, non sentito, per via della suoneria bassa. Effettivamente si accorse di tre chiamate senza risposta. Temeva a richiamare quel numero fisso, temeva fossero i gestori di quello squallido posto a Polignano dove aveva lavorato il sabato precedente, La Taverna. Sia lei che suo fratello Carlo vi avevano prestato servizio, un lungo servizio, durante la festa patronale di San Vito. Un turno iniziato alle 17:30 del pomeriggio e terminato alle cinque della mattina successiva per appena quaranta euro. Maltrattati, vessati e soprattutto distrutti dai gestori e dalle dinamiche di un locale posto nel centro storico a ridosso della famosa caletta di Polignano sotto Lama Monachile. Aveva promesso a Carlo che non sarebbe più andata in un luogo così assurdo nemmeno per cinquanta euro, dato che di quei quaranta venti erano stati utilizzati per fare benzina durante il ritorno a Bari. Fu per lei sicuramente la prima e l’ultima volta. Tornata a casa però decise di non lasciare al caso e chiese informazioni proprio a Carlo, visto che aveva gestito lui la prima chiamata, il quale era intento a ripassare uno dei suoi copioni per qualche casting che tanto tenacemente ricercava per svoltare. Suo fratello aveva la passione per il teatro, la recitazione, si accontentava di poco pur di portare avanti il suo amore per il palcoscenico. Ovviamente, però, gli capitava anche di doversi scontrare con la realtà accorgendosi che non poteva vivere solo di passione e quindi svolgeva qualche lavoro saltuario proprio per non essere alle dipendenze costanti dei suoi, a venticinque anni non era molto gratificante chiedere ancora la paghetta.

    «Ehi Ca’ ascolta guarda questo numero… Saranno mica quelli de La Taverna a Polignano…»

    Il ragazzo sollevò gli occhi al cielo, odiava essere disturbato durante le prove, anche se fatte davanti a uno specchio.

    «Laura ciao eh» rispose sarcastico sottolineando l’irruenza della sorella. «Comunque no, non mi sembra, io fui contattato da un numero di cellulare quello è un fisso. Scusa chiamali e vedi no?»

    Laura scosse la testa rendendosi conto dei modi stizziti del fratello, era molto disponibile, ma intoccabile nei momenti di frustrazione acuta. Laura decise allora di mettersi davanti al pc, aprì il motore di ricerca Google e scrisse il numero di telefono che tanto quella mattina l’aveva ricercata, premette invio, e a bocca aperta lesse il risultato della ricerca, non ci credeva.

    «Allora che hai oh?» chiese Carlo distratto ormai dalla presenza rumorosa della sorella. Si avvicinò per dare un’occhiata e gli scappò un sorriso.

    «Che faccio. Cazzo ho perso una loro chiamata, anzi tre.»

    «Che fai? Chiama ovvio, dai non perdere tempo. Muoviti su» disse il maggiore dandole uno scappellotto sulla testa. Tremante per l’emozione Laura prese in mano il suo telefono e, schiacciando la cornetta verde, dopo aver ricercato il numero nel registro chiamate, accostò all’orecchio il cellulare che aveva iniziato a fare il classico rumore di attesa di risposta dall’altro capo del ricevitore.

    «Gonzales Bari, buongiorno sono Sandro.»

    «Buongiorno Sandro. Ho trovato una vostra chiamata risalente a qualche ora fa…»

    «Tu sei?» chiese seccato. Era una voce dalla evidente cadenza effeminata, con un tono particolarmente acido.

    «Oh sì, scusami, sono Laura. Laura Milani.»

    «Aspetta in linea.»

    Da quel momento partì il jingle famoso che rappresentava l’azienda, una musichetta fiera, quasi una marcia militare.

    «Beh che ti dicono oh» chiese Carlo bisbigliando.

    «Mi hanno messa in attesa. Non mi stressare cazz…»

    «Ehm Laura… allora domani mattina alle undici in negozio, via Sparano, mi raccomando puntuale e quando verrai in negozio chiedi di Alberto il responsabile. Ciao buona giornata.»

    Diventò paonazza nel sentirsi interrotta mentre stava per dire la parolaccia, ma rimase ancora più attonita nel sentire tutte quelle informazioni dette in poco meno di due secondi circa. Per giunta si sentì sbattere la cornetta senza possibilità di replica. Scosse il capo e richiudendo il suo telefono si girò verso suo fratello.

    «Mi hanno detto che ho un colloquio con loro domani mattina. Cavolo, che mi metto?»

    «Ma avrai qualcosa in mezzo alla tua roba, scegli un vestito carino e vacci a testa alta. Hanno la puzza sotto il naso quindi tu cerca di averne di più.»

    I due risero perché effettivamente Carlo aveva ragione. Gonzales era uno dei brand di fast-fashion più famoso del globo. I ragazzi che volevano essere alla moda dovevano avere un capo di Gonzales nel proprio armadio. Capi dal taglio esclusivo, che richiamavano il design di parecchie case di moda celebri, a prezzi più che accessibili. Dai teenager alle persone più mature, tutti facevano follie pur di avere una giacca o un vestito del marchio, abiti scelti addirittura da qualche reale europeo durante le loro apparizioni pubbliche. Vero è che erano tante anche le persone che ambivano a un posto come addetti alle vendite in uno di quei negozi. L’azienda era famosa anche per la stabilità professionale che dava ai propri dipendenti, una volta entrati uscirne era quasi impossibile, e col senno di poi probabilmente Laura avrebbe pensato più lucidamente a quello che stava per fare. Dette la grande notizia ai suoi che furono felici per lei, ovviamente loro erano convinti che non sarebbe stato il suo lavoro ultimo dato lo sforzo che stavano facendo per la figlia con gli studi.

    «Laura ovviamente pensa anche allo studio. Una cosa non deve escludere l’altra.»

    «Papà ma non mi hanno ancora presa… E poi tranquillo.»

    «Oh Giovanni e lasciala in pace ogni tanto. Amore siamo felici, domani sarai perfetta ne sono sicura. Non potranno non prenderti.»

    Il pomeriggio fu poi animato dalle chiacchiere al telefono con le amiche, le tenne tutte sulle spine dicendo loro che in serata al falò, che avevano programmato in spiaggia qualche giorno prima, avrebbe rivelato loro una grandiosa notizia. Erano le diciotto circa e venne a prenderla il suo ragazzo Luca, aveva fatto giusto in tempo a farsi una doccia e infilarsi il costume da bagno, uno short e una maglietta. La madre le aveva preparato la borsa con del cibo da dividere con gli altri, una focaccia e altre delizie che era sempre prodiga preparare. In tutta fretta Laura prese la borsa e scese di corsa per raggiungere Luca che la stava aspettando in auto.

    «Là e menomale che ti ho avvisato un’ora fa.»

    La accolse lui tra il sarcastico e il serio, lei dissimulò rubandogli un bacio sulle labbra e guardandolo negli occhi.

    «Non puoi capire cosa è successo oggi. Ho ricevuto una chiamata importante.»

    Appoggiò una mano su quella di lui che dirigeva il cambio, incrociando le dita con le sue.

    «Chi sentiamo, non dirmi di nuovo quei folli dell’Havana.»

    «No assolutamente. Mi hanno chiamata da Gonzales. Capisci, Gonzales!»

    «Ah vabbè per fare la commessa. Non è quel negozio di abbigliamento in centro?»

    «Sì certo. Ammazza però che entusiasmo, se l’avessi saputo prima non te lo avrei detto.»

    Laura ci rimase male per quella reazione di sufficienza che lui aveva avuto nei suoi confronti. Stavano insieme da oltre tre anni, Luca è sempre stato un punto di riferimento importante. Anche se la sua appartenenza a una famiglia snob, tutti avvocati e professori universitari, alle volte senza volerlo lo portava a sminuire ciò che semplicemente non faceva parte del suo mondo pressoché blasonato.

    «Ma no no, sono contento per te. Insomma, è un bell’impiego. Credo.»

    «Sì ok Luca, lascia stare che fai peggio.»

    «E dai Là non ti arrabbiare, lo sai che ti amo.»

    Ed ecco una delle sue frasi, tombali, classiche per glissare ogni discorso. Laura era molto innamorata di quel ragazzo dai capelli corvini, dalle labbra carnose e dalla pelle olivastra che si era sempre dimostrato presente e protettivo. Ma negli ultimi tempi era parecchio distratto, alle volte anche assente, litigavano spesso anche per sciocchezze di poco conto. Ma lui sapeva sempre come farsi perdonare. Posò una mano sulla coscia stringendogliela e le strappò un bacio a stampo.

    «Guarda che non te la cavi così. Sei uno stronzo.»

    «Come sei permalosa bietolina.»

    «Cretino. Comunque, non ho ancora detto nulla agli altri, quindi, fa silenzio fino a che non lo dirò io.»

    I due continuarono a parlare di argomenti vari, litigando a tratti, lungo tutto il tragitto, fino a una spiaggia libera a Mola di Bari. Raggiunto il luogo dell’appuntamento parcheggiarono su un campo dove erano posteggiate altre auto, raggiunsero gli altri in spiaggia con le borse piene di provviste. C’erano Rosa, Anna e Antonello, amici di una vita. Tutti avevano portato qualcosa da mangiare e da bere, accesero il falò e stesero i teli da mare intorno. Il tramonto era ormai sopraggiunto, era uno spettacolo, la temperatura era meravigliosa. In Puglia a giugno si poteva respirare ancora un’aria serale fresca.

    «Allora ragazzi. Ho da dirvi quella cosa.»

    «Ah sì vero, allora dicci. Cambi università, sarebbe ora è una vita che ti dico che informatica non fa per te.» Rosa era una ragazza schietta, una ragazza che riusciva a vedere dentro le persone, per i più era strana ma era semplicemente molto introspettiva. Non si limitava a giudicare ma a conoscere. Sapeva che Laura non era molto tagliata per il corso di studi di informatica, sapeva che era una sorta di imposizione del padre affinché trovasse un lavoro in qualche azienda di ultima generazione. In barba a tutte quelle che erano le sue passioni o ambizioni Laura aveva deciso di assecondarlo, di fare la cosa più comoda. Rosa aveva imparato a conoscerla e di tanto in tanto la punzecchiava proprio per stimolarla a darsi una mossa a prendere le redini della propria vita una volta ogni tanto, anche se significava andare contro i pareri di un padre preoccupato per il futuro di sua figlia.

    «No scema. Oggi ho ricevuto una chiamata da Gonzales. Mi vogliono domani per un colloquio.»

    I presenti, escluso Luca che lo sapeva già, esultarono per lei visto che sapevano quanto ci aveva provato e quanto ci aveva sperato. Una volta Laura raccontò loro di aver lasciato nello stesso giorno, in più punti vendita di Gonzales presenti nella provincia di Bari, quattro curriculum nella speranza di essere richiamata e proprio in quel periodo che non ci stava nemmeno pensando ecco la grande occasione. Passarono la sera a bere e mangiare, chiacchierarono di frivolezze godendosi quella piacevole serata che si era creata. Gli argomenti spaziarono dal cosa si sarebbe messa per il colloquio a cosa avrebbe detto durante, tutte domande alle quali non sapeva dare una risposta. Antonello, che era il più vicino alla laurea, cambiò argomento parlando dei suoi progetti futuri, cambiare città, a quali aziende presentarsi e soprattutto cosa voleva fare dopo la vita accademica. Anna invece aveva lasciato l’università, gestiva il negozio di vini della sua famiglia e infatti quella sera gli alcolici non scarseggiavano assolutamente. Era diventata molto dotta in campo vinicolo, faceva addirittura corsi di formazione e gestiva i contratti con i vari fornitori il tutto a soli ventuno anni. Luca invece era anche lui all’ultimo anno di università, giurisprudenza, avrebbe seguito le orme del padre nello studio di famiglia. Una vita già scritta la sua. Rosa che, come la rossa, aveva iniziato da poco meno di un anno l’università di informatica, anche lei aveva progetti chiari sul suo futuro. Avrebbe voluto trovare un posto di lavoro in qualche azienda di sicurezza informatica, la intrigava parecchio quel mondo. Laura era molto felice per i suoi amici anche se alle volte vederli avere idee così precise sul loro futuro un po’ la disarmava. Si sentiva a tratti inferiore, come se non stesse combinando nulla di veramente sensato, viveva d’inerzia. Inerzia dettata dalle volontà del padre, dalla sua pigrizia di reagire e prendere una decisione per se stessa: come quella di iscriversi a un corso di studi che abbracciasse le sue passioni ovvero scienza della comunicazione oppure di continuare a scrivere il romanzo che aveva iniziato e che non riusciva a terminare per mancanza di motivazione. Ma solo pensare a questi suoi desideri la faceva sentire stupida. Per quanto riguardava l’università, il padre, al suo semplice ventilargli quella volontà l’anno prima per l’iscrizione, le aveva subito fatto cambiare idea, non basta tuo fratello, non vorrai essere anche tu l’artefice di un futuro vano, la frase che sempre le faceva cadere le braccia. Per il suo romanzo invece, era nata come semplice passione, scriveva per se stessa. Scriveva senza mai maturare davvero l’ambizione di poter pubblicare un suo lavoro. La serata proseguì leggera, risate e anche un bagno in mare, tutte cose che non le fecero pensare a quello che l’attanagliava da quando era diventata grande, le sue insicurezze. Erano l’una quasi e si era fatta ora di rientrare, ripulirono il posto che avevano occupato, si salutarono e abbracciandosi augurarono un grande in bocca al lupo a Laura per l’esperienza del giorno seguente. Raggiunsero tutti le loro auto, Laura e Luca una volta dentro quella di lui iniziarono a baciarsi, erano in quel parcheggio desolato a ridosso del mare.

    «Lo sai che ti amo sì, non volevo offenderti oggi. Davvero» iniziò Luca sussurrando quelle parole sulle sue labbra seguite da baci che esprimevano la voglia che lui aveva di lei. Iniziò ad accarezzarle il mento fino a far scendere la mano sul suo seno.

    «Il problema è proprio questo. Che ti amo anche io scemo» rispose lei cingendogli il collo, ricambiando quei baci con passione e mettendosi a cavalcioni su di lui. Iniziarono a spogliarsi, bramosi l’uno dell’altra fecero l’amore dietro quel parabrezza, che rifletteva un cielo pieno di stelle mescolato alle onde del mare.

    Erano le dieci e mezza del mattino seguente, Laura era seduta sulla panchina di fronte Gonzales. Le famose panchine in pietra bianca distanziate di qualche metro l’una dall’altra poste sull’intera lunghezza della via principale dello shopping, via Sparano. Erano strutture su base quadrata dove, a ogni lato, corrispondeva una seduta e al cui centro c’era una palma. Tutti i passanti, tutti i turisti trovavano ristoro sotto l’ombra di quelle palme, erano il simbolo di quell’arteria dello shopping sfrenato della città. Mancavano circa dieci minuti, decise di entrare in negozio, a quell’ora era abbastanza affollato, c’era molta gente che vagava con capi in mano da provare o da portare in cassa per il pagamento. Tirò un respiro e prese coraggio dirigendosi verso il banco cassa per presentarsi a una cassiera bassina, con gli occhiali e dall’espressione stranamente torva.

    «Ciao. Sono Laura Milani, ho un appuntamento con il signor Alberto.»

    «Sei qui per il colloquio. Aspetta qui te lo chiamo.»

    Rispose la cassiera con tono fermo, quasi senza emozione, senza girarsi verso di lei continuando a battere lo scontrino per il cliente che aveva davanti. Prese la cornetta del telefono che aveva accanto al registratore di cassa e componendo una combinazione di numeri sulla tastiera dell’apparecchio, attivò l’interfono.

    «Alberto in cassa centrale. Grazie.»

    Quella voce quasi priva di umanità nel momento in

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