Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

SOULLESS. The empty chest
SOULLESS. The empty chest
SOULLESS. The empty chest
Ebook180 pages2 hours

SOULLESS. The empty chest

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

La pestilenza colpisce la cittadina di Betterton e la sua brava gente; Rolland è un cerusico ma non può fare nulla per contenere la malattia che inesorabile sfrutta ogni debolezza e ogni crepa. Il fato lo lascia in vita, così viene convocato dalla regina per una missione speciale: trovare una pietra dal potere immenso custodita in un Tempio abbandonato nelle terre dei fuochi. I suoi compagni di viaggio sono Renéed, un sabotatore efferato i cui incantesimi
bloccano arti, parole e respiro, Ker’Thal, che incarna la potenza di
fuoco, e Sgnacuz il gremlin che colpisce a tradimento. La morte non fa più paura…

“Perché è questa la verità che tutti ci vogliamo nascondere, la nostra paura più recondita.
Il male si annida proprio sotto alla luce più intensa”.

Carla Saltelli è nata a Torino, dove scopre la passione per la scrittura prima tramite poesie brevi (una in particolare ha ottenuto il premio nazionale Pinayrano junior 2002), poi attraverso racconti e narrativa. Da sempre interessata alla questione ambientale, pubblica nel 2014 il libro Synteché, il Volo della Falena, che combina elementi fantasy a tematiche sociali ed ecologiste. Insegnante e appassionata della lingua inglese, scrive e traduce opere di narrativa. Vive a Ravenna dal 2005.
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2022
ISBN9788830672512
SOULLESS. The empty chest

Related to SOULLESS. The empty chest

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for SOULLESS. The empty chest

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    SOULLESS. The empty chest - Carla Saltelli

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1

    THEN

    Le persone hanno una visione distorta della malattia.

    Non potevo biasimarle: la maggior parte dei dettagli, fin troppo noti ai cerusici, possono risultare morbosi e sgradevoli alle orecchie di chiunque. Siamo tutti programmati per temere la morte e lo sfacelo, dopotutto, come mosche in fuga dalla ragnatela incombente.

    Era la terza volta che spiegavo alla moglie del mugnaio le ragioni dietro alle bolle gonfie e piene di pus apparse sul corpo del figlio.

    Sono così gonfie. E pulsano. È disgustoso.

    Avrei voluto dare sfogo alla mia impazienza e alla stanchezza di una lunga giornata: certo che è disgustoso. Tuo figlio è malato, stupida ignorante, cosa credevi che sarebbe successo?

    Tuttavia, una parte di me, la parte migliore di me, sapeva che sarebbe stato ingiusto. Le tasche di quasi tutte le famiglie del paese non potevano permettersi un’istruzione per consentire loro di leggere, scrivere e fare di conto.

    Per cui sentii di imporre alla morsa che da ore stringeva il mio cranio un poco di calma.

    «È sicuramente una febbre insolita. Ho sentito voci di casi simili in città. Finché non scopro di più, non state troppo a contatto con lui, lavate tutto ciò che usa, non mangiate dagli stessi piatti».

    Le vidi gli occhi sgranarsi e riempirsi di un terrore atavico.

    «Non è la pestilenza, vero?»

    Tessa era ignorante, ma acuta: sarebbe stata un’ottima studentessa, se solo ne avesse avuto i mezzi. Il pensiero mi fece istantaneamente provare un profondo senso di colpa per l’arrogante irritazione di poco prima.

    «Non ti preoccupare. Segui solo le mie istruzioni, Tessa, puoi farlo? Prometto che entro domani avrò più risposte per te».

    Il mio tono convincente si scontrava con un muro di paura che potevo vedere con la stessa nitidezza con cui vedevo i campi coltivati srotolarsi sotto il tramonto. Attendere fino al giorno dopo voleva dire una notte di veglia, accanto a quella figura rantolante, piena di pustole e bubboni pulsanti, talmente orribile da sembrare poco meno di una persona.

    Probabilmente il suo caro figlio avrebbe vomitato, forse addirittura se la sarebbe fatta addosso, come succedeva quando era a malapena in grado di camminare.

    Solo che adesso il ragazzo del mugnaio aveva quindici anni, una barbetta sparuta sul mento e, come passatempo preferito, l’appostamento nei pressi del lago dove andavano a pulirsi le fanciulle del villaggio.

    La malattia lo aveva reso un’imitazione grottesca e deforme di quell’immagine idilliaca del bambino che sua madre non riusciva più a ritrovare. E che sarebbe stata costretta a cercare, per tutta la notte, sul suo viso gonfio, fino a quando non le avessi portato, il mattino dopo, una risposta più definitiva.

    «Certo. Sì, certo, posso farlo» aveva il tono stanco, il viso arrossato dalle ore passate sotto il sole. Si torceva le mani, rovinate dal lavoro, le dita un tempo coperte di piaghe per cui più di una volta le avevo fornito unguenti e rimedi.

    «Bene. All’alba, prima che partiate per i campi, tornerò con dei rimedi per le pustole. E gli faremo scendere la febbre» mi protesi verso l’ingresso.

    In piedi, nell’ampia stanza che ospitava il salotto e la sala da pranzo, le fiamme iniziavano a scaldare la pentola della cena e l’aria mi sembrava soffocante. Il mugnaio stava per tornare a casa: in condizioni normali, Kit, che adesso rantolava al piano di sopra, sarebbe tornato prima per dare una mano alla madre con la legna e la cena.

    La loro famiglia era una delle poche che si poteva permettere una casa su due piani, un lusso che in quel momento ringraziai, perché voleva dire che la malattia non avrebbe contagiato facilmente il cibo e le bevande.

    Certo, ammesso che Tessa avesse seguito alla lettera le mie istruzioni.

    «Grazie. Davvero. Posso darle qualche biscotto, Rolland? Per le sue figlie. Piacciono ancora i miei biscotti a Greta?»

    Prima che potessi declinare l’offerta, Tessa mi stava già porgendo un piccolo cesto di vimini colmo di dolcetti.

    Avevo ancora i guanti addosso e, nel momento in cui avevo visto lo stato di Kit, mi ero ripromesso di non togliermeli fino a che non fossi uscito.

    «Li adora. Ma non devi, Tessa, sai come sono i ragazzini. Si stufano in fretta» il pensiero corse alle mie ragazze, che avevano abbandonato le bambole per i primi belletti femminili e che non toccavano più i loro dolci preferiti, temendo di non essere più in grado di allacciare i corsetti.

    Ero così anch’io alla loro età, amore. Solo che te lo nascondevo bene.

    «La prego. Non ho mai quel che serve per pagarla» gli occhi di Tessa erano tinti di una lieve vergogna, ma anche così, erano belli. Del resto, ricordavo ancora quando i gruppi di ragazzi ammiravano quel viso a cuore, le labbra piene e le curve accentuate di un corpo più giovane.

    Il mugnaio era stato invidiato e ammirato, per essere riuscito a conquistarla, ma la vita aveva richiesto un pegno pesante ad entrambi.

    «Allora ti ringrazio, davvero» le presi il cesto dalle mani, sforzandomi di sorriderle, anche se sapevo che avrei bruciato i biscotti assieme ai guanti che indossavo ancora prima di mettere piede a casa.

    «A domani».

    Non attesi ulteriormente: alla disperata ricerca di aria fresca, imboccai l’uscita e mi avviai lungo i sentieri battuti del paese, lasciandomi alle spalle una figura solitaria, scura contro il tramonto.

    Ne percepii lo sguardo sulla schiena fino a che non voltai l’angolo, per inerpicarmi sulla salita che conduceva alla magione.

    Il pensiero di una cena con la mia famiglia avrebbe spazzato via in fretta buona parte delle mie preoccupazioni. Mia moglie avrebbe ascoltato il mio racconto, mi avrebbe rassicurato sulle mie capacità di trovare una soluzione. Le mie figlie mi avrebbero distratto con le loro chiacchiere su giochi e ragazzi e programmi per le festività imminenti.

    L’immagine della figura rantolante si sarebbe allontanata, sbiadita e resa più logica, meno terrificante.

    Quando mi addormentai, a notte fonda, ero riuscito a convincermi di poter risolvere quel problema, come qualsiasi altro fosse arrivato fino a quel momento in paese.

    All’alba, Kit era morto, soffocato nel proprio stesso vomito, e sul collo del mugnaio, delirante per la febbre, erano comparse le prime pustole.

    La pestilenza era arrivata a Betterton.

    Capitolo 2

    NOW

    Il Palazzo di Pietrarossa copre per almeno due volte la grandezza di qualsiasi altra reggia che io abbia mai visto, eppure è sempre immerso nel silenzio. Nei suoi corridoi scuri e lucidi, nei suoi salotti eleganti, persino negli ingressi solenni, i passi riecheggiano nel vuoto, come a cercare, senza fortuna, una qualche forma di vita.

    Alle mie orecchie umane, persino i passi delle decine, centinaia di servitori, appaiono attutiti, come se ognuno di loro camminasse in punta di piedi.

    Conoscendo l’usuale irritabilità della padrona del Palazzo, non posso davvero scartare una simile ipotesi.

    Il coppiere cui è stato assegnato l’onere di badare alle mie necessità quasi si confonde con l’arredamento della stanza. Immobile, il viso affilato, come è comune tra gli elfi scuri, non trasmette alcuna espressione. Regge da mezz’ora buona il vassoio su cui svetta una sola brocca di vino e non ha ancora dato segni di cedimento o di fatica.

    Avrei potuto dire che, viste le mie condizioni, non mi serve davvero, un coppiere: il calice di vino che mi rigiro tra le mani, ancora intatto, non mi riscalderà il corpo. L’alcool non mi darà alcuna lieve sensazione di ebbrezza e il sapore della bevanda, sicuramente pregiata, non farà molta differenza per le mie papille gustative.

    Mi dico che far notare l’inutilità del servitore non farebbe la differenza, che forse stare fermo con me in questa stanza potrebbe essere un compito meno gravoso di

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1