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Robot 96
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Robot 96

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Fantascienza - rivista (229 pagine) - Versione digitale di Robot 96 con racconti di Robert A. Heinlein - Kristine K. Rusch - Michele Mari - Paolo Aresi - Andrea Avaldi - Simonetta Olivo - Luigi Calisi - Roberto Gritti - Lucio Dell’Angelo - Apollo 17 - Intervista con Guido Tonelli - The Stardust - "Robot 96" a cura di Silvio Sosio


Il 14 dicembre 1972, mezzo secolo fa quasi esatto, si chiudeva il portello del Lem dell’Apollo 17 e il modulo decollava abbandonando la Luna. Nessun uomo vi avrebbe più messo piede. La solitudine del nostro satellite sta forse per finire, grazie al programma Artemis. E proprio per questo vale la pena fermarsi un attimo a ripensare a quegli anni avventurosi. Lo fa Paolo Aresi curando questo numero molto speciale di Robot con un articolo su Apollo 17 e un’intervista con Guido Tonelli, uno dei fisici del team che ha scoperto il bosone di Higgs.

E con nove racconti dedicati alla Luna: dal classico Requiem del grande Robert A. Heinlein a una novelette di grande successo di K.K. Rusch, L’artista dei recuperi, passando per racconti del noto autore Michele Mari, dell’ingegnere di SpaceX Andrea Avaldi, di nomi già apprezzati dai lettori di Robot come lo stesso Paolo Aresi, Simonetta Olivo e Luigi Calisi e altri nuovi come Roberto Gritti e Lucio Dell’Angelo.


Fondata da Vittorio Curtoni, Robot è una delle riviste di fantascienza italiane più rpestigiose, vincitrice di un premio Europa e numerosi premi Italia. Dal 2011 è curata da Silvio Sosio.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateDec 31, 2022
ISBN9788825422801
Robot 96

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    Robot 96 - Silvio Sosio

    L’EDITORIALE

    (Fanta)scienza d’altri tempi

    Silvio Sosio

    Negli anni Sessanta lo spazio riempiva i sogni. Non erano tempi facili neppure quelli. Se per ragazzi, giovani, lettori e scrittori di fantascienza i sogni erano pieni di astronavi e viaggi verso altri pianeti, gli incubi erano incendiati dal napalm della Guerra del Vietnam. Una paura concreta, quella di essere richiamati e spediti a morire in Indocina.

    Ma c’era spazio per sognare e sognare era lo spazio. Non era del tutto casuale, il governo degli Stati Uniti aveva provveduto a spingere in quella direzione con un programma di propaganda esplicita e meno esplicita, finanziando direttamente, per esempio, anche film di fantascienza che proponessero una visione avventurosa dell’astronautica.

    Per molti appassionati di fantascienza cresciuti in quell’epoca tutt’ora la parola futuro è associata con stelle, astronavi, cosmo, pianeti. E nel 1969 il sogno si era compiuto con il volo dell’Apollo 11 e Neil Armstrong che poggiava lo stivale sul suolo polveroso del nostro satellite.

    Poi, piano piano, il sogno si era affievolito.

    Missione dopo missione l’astronautica era diventata sempre più noiosa; dopotutto sulla Luna non c’era nulla, non succedeva nulla, non vi si trovava nulla di interessante, almeno per il comune cittadino. Toccò al presidente Nixon, che due anni dopo avrebbe messo fine anche all’altra eredità lasciata da Kennedy, l’incubo del Vietnam, mettere fine al sogno dell’esplorazione lunare, cancellando le ultime tre missioni previste, dalla 18 alla 20.

    Il 14 dicembre 1972, quasi esattamente cinquant’anni fa, il comandante dell’Apollo 17 Eugene Cernan chiudeva il portello del modulo e lasciava, apparentemente per sempre, il suolo lunare.

    Con questo numero di Robot, che per la prima volta nella nostra nuova serie è in buona parte un numero speciale (ideato da Paolo Aresi), celebriamo quell’avvenimento. Quella malinconica fine che oggi possiamo guardare con meno tristezza, a poche settimane dalla conclusione della prima missione Artemis che è arrivata alla Luna e le ha girato attorno, una prova generale del volo con quell’equipaggio che tornerà entro qualche anno a calpestare quella polvere.

    Ma quanto è cambiato il mondo rispetto agli anni Sessanta. Quanto sono cambiati i sogni. Oggi lo sguardo verso lo spazio lo rivolgono solo pochi appassionati; i giovani, i ragazzi, e persino gli scrittori di fantascienza sono molto più preoccupati dal futuro di questo pianeta. Il tema dominante nella fantascienza riguarda il confronto con la crisi ambientale, climatica, e anche quando si parla di viaggi nello spazio la giustificazione è spesso quella: i terrestri non vanno nello spazio per esplorare, per scoprire nuovi mondi e nuove civiltà, ma per fuggire da un pianeta che loro stessi hanno rovinato e reso inabitabile.

    Molto rappresentative di questo stato d’animo sono state le recenti affermazioni di William Shatner, l’attore che ha interpretato il capitano Kirk di Star Trek e ha quindi incarnato per decenni il simbolo dell’avventura spaziale. Quando a novant’anni compiuti Shatner questa avventura l’ha vissuta davvero, arrivando ai confini dello spazio con un’astronave della Blue Origin di Jeff Bezos, le cose sono andate molto diversamente da come se le aspettava.

    "L’anno scorso, a 90 anni, ho vissuto un’esperienza che mi ha cambiato la vita. Sono andato nello spazio, dopo aver interpretato per decenni un personaggio iconico della fantascienza che esplorava l’universo.

    "Pensavo che avrei sperimentato una profonda connessione con l’immensità che ci circonda, un profondo richiamo all’esplorazione senza fine. Mi sbagliavo di grosso. Il sentimento più forte, che ha dominato di gran lunga tutto il resto, è stato il dolore più profondo che abbia mai sperimentato.

    "Ho capito, nel modo più chiaro possibile, che stavamo vivendo in una piccola oasi di vita, circondata da un’immensità di morte. Non vedevo infinite possibilità di mondi da esplorare, di avventure da vivere o di creature viventi con cui entrare in contatto. Ho visto l’oscurità più profonda che avrei mai potuto immaginare, in netto contrasto con il calore accogliente del nostro pianeta natale. È stato un risveglio immensamente potente per me. Mi ha riempito di tristezza.

    Mi sono reso conto che abbiamo trascorso decenni, se non secoli, con l’ossessione di guardare lontano, di guardare fuori. Ho fatto la mia parte nel divulgare l’idea che lo spazio fosse l’ultima frontiera. Ma ho dovuto andare nello spazio per capire che la Terra è e resterà la nostra unica casa. E che l’abbiamo devastata, senza sosta, rendendola inabitabile.

    Mentre la NASA lavora al programma Artemis, che porterà uomini e finalmente donne sulla Luna preparando la corsa verso Marte, sempre che compagnie private non arrivino prima (magari Musk con la sua SpaceX, se riesce a non finire in bancarotta prima autosabotandosi con le sue deliranti esternazioni politiche su Twitter), il mondo è impegnato in una corsa non verso lo spazio ma contro il tempo, per salvare il pianeta dal disastro ambientale. Impegnato in realtà è una parola grossa: quel poco che era stato pianificato diciassette anni fa col protocollo di Kyoto è stato ampiamente disatteso e oggi coi problemi energetici dovuti alla guerra in Ucraina si sta tornando indietro. Qualche speranza è riposta nelle future centrali a fusione, che offriranno energia illimitata, pulita e a basso costo. Tutto bellissimo, ma si parla di trent’anni ottimistici, cinquanta più realistici, almeno ottanta per una diffusione della tecnologia sufficiente a sostituire le fonti attuali: troppo tardi, secondo la gran parte delle stime che vedono il clima terrestre irrimediabilmente compromesso già intorno al 2050.

    La fantascienza come sempre cerca di fare la sua parte, non più soltanto additando i problemi – cosa che faceva da decenni – ma ora, in particolare col movimento del Solarpunk, proponendo soluzioni. Scenari positivi, nei quali i problemi vengono affrontati e risolti. Uno sforzo encomiabile, ma appare sempre più evidente come la Terra sia davvero una palla, checché ne dica la società della Terra piatta: una palla che rotola in una specifica direzione, e con una quantità di moto tale per cui né gli scrittori di fantascienza, né i movimenti di massa come quello di Greta Thunberg, e nemmeno gli accordi politici tra paesi sono più in grado di opporre una forza sufficiente a fermarla. Quando è stato firmato il protocollo di Kyoto, nel 2005, la CO2 in atmosfera era intorno ai 380ppm; oggi siamo intorno ai 420. La curva dell’aumento dei gas serra che è iniziata a metà dell’Ottocento ha subito una lievissima flessione solo nella seconda guerra mondiale; da allora sale indisturbata come se non ci fosse un domani. Che in effetti plausibilmente non c’è.

    L’astrtonautica allora potrebbe essere l’ultima speranza per l’umanità? Se il pianeta è condannato, possiamo puntare tutto sui viaggi spaziali, nella speranza di trovare un nuovo pianeta su cui stabilirci per ricominciare da capo?

    Quando si parla di Solarpunk io spesso commento che, essendo io iperpessimista, non riesco a credere che si riesca a salvare il pianeta in tempo, e quindi punterei tutto sull’astronautica per avere a disposizione un piano B.

    Ma è solo una battuta. Per quanto si possa riuscire a renderla inabitabile, la Terra resterà sempre molto meno ostile di tutti i pianeti ragionevolmente raggiungibili nei prossimi decenni. Per trovare qualcosa di utile dovremmo riuscire a spostarci in altri sistemi solari: ma la tecnologia per farlo, purtroppo, è ancora più lontana di quella dell’energia nucleare.

    Poi, se la parte di umanità che ha fiducia nella scienza è preoccupata da questi problemi, sempre più visibile è il fenomeno di larghe fette di popolazione che la scienza la rifiutano esplicitamente. Non solo si fanno beffe del global warming quando vedono New York a -50° (che è esattamente un effetto del global warming), ma non credono che siamo andati sulla Luna, non credono che la terra sia sferica e via di seguito. A questo punto forse la soluzione migliore per risolvere tutti i nostri problemi è quella adottata a suo tempo dai dinosauri. R

    Illustrazione

    Illustrazione di Luca Vergerio

    NARRATIVA

    Requiem

    Robert A. Heinlein

    Illustrazione Tra i grandi autori del periodo classico della fantascienza, Robert A. Heinlein (1907-1988) è sicuramente il più controverso. E la controversia non è solo ideologica: decenni di dibattito non hanno deciso se fosse un conservatore illuminato, un reazionario (Fanteria dello spazio) o un radicale (Straniero in terra straniera), ma anche strettamente letteraria, per cui il pubblico si divide senza troppe sfumature tra chi lo ama e chi lo detesta. In verità, se da una parte ha scritto storie assolutamente geniali come …And He Built a Crooked House, By His Bootstraps e …All You Zombies (lascio i titoli originali perché ci sono state più traduzioni in italiano, con titoli diversi; cercate su Internet!), dall’altra ha saputo essere, specie nelle opere più lunghe degli ultimi anni, come Non temerò alcun male e Il numero della bestia, prolisso e verboso fino all’esasperazione, ma con notevoli eccezioni come Operazione domani (Friday, 1982). Notevole anche come autore per ragazzi (Starman Jones, La tuta spaziale), molti dei suoi romanzi e racconti sono parte del progetto di un ciclo di Storia Futura, tra cui anche quello, peraltro famosissimo, che qui presentiamo. (FL)

    Su un’alta collina di Samoa c’è una tomba. Sulla lapide sono incise queste parole…

    Sotto il cielo ampio e stellato

    Scavate la tomba e lasciatemi giacere.

    Ho vissuto volentieri e sono morto volentieri

    E mi avviato alla fine con una volontà!

    "Questo è il mio epitaffio…

    Giace qui dove desiderava essere,

    Il marinaio è a casa, a casa dal mare,

    E il cacciatore a casa dalla collina

    Questi versi appaiono in un altro luogo, scarabocchiati su un cartellino di spedizione strappato da un contenitore di aria compressa e piantato a terra con un coltello.

    Non era una gran fiera, in confronto ad altre. Le corse al trotto non promettevano grandi emozioni, anche se diversi concorrenti iscritti vantavano il sangue dell’immortale Dan Patch. I tendoni e i padiglioni coprivano a malapena il terreno del piazzale e i venditori sembravano scoraggiati.

    L’autista di D.D. Harriman non vedeva alcun motivo per fermarsi. La loro presenza era richiesta a Kansas City per una riunione dei direttori, cioè, la presenza di Harriman. L’autista aveva ragioni personali per essere tempestivo, ragioni che riguardavano la società dei neri della Diciottesima Strada. Ma il capo non solo si fermò, ma decise di fare un giretto lì attorno.

    Bandiere e un arco di tela facevano da ingresso a un grande recinto al di là dell’ippodromo. Lettere rosse e oro annunciavano:

    Da questa parte per il

    razzo lunare!!!!

    Guardatelo in volo!

    Voli dimostrativi pubblici

    due volte al giorno

    Questo è il modello esatto

    utilizzato dal primo uomo a raggiungere la Luna!!!

    Potete salirci anche voi!!! - $0.50

    Un bambino di nove o dieci anni si affacciò all’ingresso e fissò i manifesti.

    – Vuoi vedere la nave, figliolo?

    Gli occhi del bambino brillavano. – Perbacco, signore. Certo che mi piacerebbe.

    – Anch’io. Andiamo. – Harriman pagò un dollaro per due biglietti rosa che davano diritto ad entrare nel recinto e ad esaminare l’astronave-razzo. Il ragazzo prese il suo e corse avanti con la determinazione della gioventù. Harriman osservò le linee tozze e curve del corpo ovoidale. Notò con occhio professionale che si trattava di un tipo a getto singolo con comandi frazionati intorno alla mezzeria. Strizzò l’occhio attraverso gli occhiali al nome dipinto in oro sul rosso vivace della carrozzeria, Care Free. Pagò un altro quarto di dollaro per entrare nella cabina di comando.

    Quando i suoi occhi si furono adattati all’oscurità causata dai potenti filtri degli oblò, li lasciò riposare con uno sguardo amorevole sui tasti della console e sul semicerchio di quadranti sovrastanti. Ogni gadget amato era al suo posto. Li conosceva, impressi nel suo cuore.

    Mentre rifletteva sulla strumentazione, con la soddisfazione che scendeva nel suo corpo come un liquido caldo, il pilota entrò e gli toccò il braccio.

    – Mi scusi signore. Dobbiamo sgombrare per il volo.

    – Come? – iniziò Harriman, poi guardò l’interlocutore. Un bel diavolo, con un bel cranio e spalle forti - occhi spericolati e una bocca indulgente, ma con un mento fermo. – Oh, mi scusi, capitano.

    – Non c’è problema.

    – Oh, dico, capitano…?

    – McIntyre.

    – Capitano McIntyre, può prendere un passeggero per questo viaggio? – L’anziano si chinò ansiosamente verso di lui.

    – Sì, se lo desidera. Venga con me. – Accompagnò Harriman in un capannone con la scritta Ufficio che si trovava vicino al cancello. – Passeggero per un controllo, dottore.

    Harriman sembrò spaventato, ma permise al medico di passargli uno stetoscopio sul petto sottile e di legargli una benda di gomma intorno al braccio. Poi la tolse, guardò McIntyre e scosse la testa.

    – Niente da fare, dottore?

    – Esatto, capitano.

    Harriman guardò da un volto all’altro. – Il mio cuore è a posto, è solo l’emozione.

    Le sopracciglia del medico si alzarono. – Davvero? Ma non è solo il cuore; alla sua età le sue ossa sono fragili, troppo fragili per rischiare un decollo.

    – Mi dispiace, signore – aggiunse il pilota – ma l’associazione della fiera della contea di Bates paga il medico per assicurarsi che non faccia salire nessuno che possa essere danneggiato dall’accelerazione.

    Le spalle del vecchio si abbassarono miseramente. – Me lo aspettavo.

    – Mi dispiace, signore. – McIntyre si girò per andarsene, ma Harriman lo seguì all’uscita.

    – Mi scusi, capitano…

    – Sì?

    – Lei e il suo ingegnere potreste cenare con me dopo il volo?

    Il pilota lo guardò con aria interrogativa. – Non vedo perché no. Grazie.

    – Capitano McIntyre, mi è difficile capire perché qualcuno dovrebbe abbandonare la rotta Terra-Luna. Pollo fritto e biscotti caldi in una sala da pranzo privata del miglior albergo che la cittadina di Butler potesse offrire, un brandy Hennessey e i sigari Corona-Coronas avevano creato un’atmosfera amichevole in cui tre uomini potevano parlare liberamente.

    – Be’, non mi è piaciuto.

    – Non dargli retta, Mac, sai benissimo che è stata la Regola G a farti fuori". Il meccanico di McIntyre si versò un altro brandy mentre parlava.

    McIntyre sembrava imbronciato. – Be’, e se anche se avessi bevuto un paio di bicchieri? Ad ogni modo, avrei potuto risolvere la questione, sono state queste dannate regole pignole a farmi stancare. Chi sei tu per parlare? Contrabbandiere!

    – Certo che contrabbando! Chi non lo farebbe con tutte quelle belle rocce che non vedono l’ora di essere riportate sulla Terra? Una volta avevo un diamante grande come… Ma se non mi avessero preso sarei a Luna City stasera. E anche tu, ubriacone… con i ragazzi che ci offrono da bere e le ragazze che sorridono e fanno proposte… – Abbassò il viso e cominciò a piangere sommessamente.

    McIntyre lo scosse. – È ubriaco.

    – Non si preoccupi. – Harriman interpose una mano. – Mi dica, è davvero soddisfatto di non essere più in gioco?

    McIntyre si mordicchiò il labbro. – No, ha ragione, naturalmente. Questo carrozzone non è quello che raccontiamo che sia. Abbiamo saltato ogni zucca su e giù per la valle del Mississippi, dormendo negli accampamenti turistici e mangiando nei baracchini. Per la metà del tempo lo sceriffo ha un sequestro sulla nave, per l’altra metà la Società per la prevenzione di qualcosa o altro ottiene un’ingiunzione per tenerci a terra. Non è un tipo di vita per un uomo-razzo.

    – Le sarebbe utile andare sulla Luna?

    – Be’… sì. Non potrei tornare sulla tratta Terra-Luna, ma se fossi a Luna City potrei trovare un lavoro di trasporto di minerali per la Compagnia, sono sempre a corto di piloti di razzi per questo, e non baderebbero alla mia fedina penale. Se non mi facessi problemi, potrebbero anche riprendermi al servizio di linea, col tempo.

    Harriman armeggiò con un cucchiaio, poi alzò lo sguardo. – Voi giovani gentiluomini sareste disponibili per una proposta d’affari?

    – Forse. Di che si tratta?

    – Siete i proprietari del Care Free?

    – Sì. Cioè, Charlie e io lo possediamo, a parte un paio di ipoteche. Perché?

    – Voglio noleggiarlo… perché tu e Charlie mi portiate sulla Luna!

    Charlie si alzò di scatto.

    – Hai sentito cosa ha detto, Mac? Vuole che facciamo volare quel vecchio rottame sulla Luna!

    McIntyre scosse la testa. – Non possiamo farlo, signor Harriman. La vecchia nave è logora. Non si potrebbe convertire in combustibile per uscire dall’orbita. Non usiamo nemmeno il carburante standard, solo benzina e aria liquida. Charlie passa tutto il tempo a sistemare acciacchi. Prima o poi esploderà.

    – Dica, signor Harriman – aggiunse Charlie, – che problema c’è a ottenere un permesso di escursione e andare su una nave della Compagnia?

    – No, figliolo – rispose il vecchio – non posso farlo. Conosci le condizioni alle quali l’ONU ha concesso alla Compagnia il monopolio dello sfruttamento della Luna: nessuno può entrare nello spazio che non sia fisicamente qualificato per starci sotto. La Compagnia doveva assumersi la piena responsabilità della sicurezza e della salute di tutti i cittadini al di là della stratosfera. La ragione ufficiale della concessione della franchigia era quella di evitare inutili perdite di vite umane durante i primi anni di viaggi nello spazio.

    – E non riesce a superare l’esame fisico?

    Harriman scosse la testa.

    – Be’, che diavolo, se può permettersi di assumerci, perché non si fa corrompere da una coppia di medici della Compagnia? È già stato fatto in passato.

    Harriman sorrise con rancore. – Lo so, Charlie, ma per me non funzionerà. Vede, sono un po’ troppo in vista. Il mio nome completo è Delos D. Harriman.

    – Cosa? Lei è il vecchio D.D.? Ma diamine, lei stesso possiede una grossa fetta della Compagnia, praticamente è la Compagnia; dovrebbe essere in grado di fare tutto ciò che vuole, regole o non regole.

    – Questa è un’opinione diffusa, figliolo, ma non è corretta. Gli uomini ricchi non sono più liberi degli altri uomini; sono meno liberi, molto meno liberi. Ho provato a fare quello che lei suggerisce, ma gli altri direttori non me lo hanno permesso. Hanno paura di perdere la loro franchigia. Mantenerla costa loro molto in termini di spese per, be’, i contatti politici, per dirla tutta.

    – Be’, sarò un… Ti rendi conto, Mac? Un tizio che ha un sacco di soldi e non può spenderli come vuole.

    McIntyre non rispose, ma aspettò che Harriman continuasse.

    – Capitano McIntyre, se avesse una nave, mi prenderebbe?

    McIntyre si strofinò il mento. – È contro la legge.

    – Farei in modo che ne valga la pena.

    – Certo che lo farebbe, signor Harriman. Certo che lo faresti, Mac. Luna City! Oh, tesoro!

    – Perché desidera tanto andare sulla Luna, signor Harriman?

    – Capitano, è l’unica cosa che ho sempre desiderato fare, fin da quando ero un ragazzino. Non so se posso spiegarglielo o meno. Voi giovani siete cresciuti con i viaggi in razzo come io sono cresciuto con l’aviazione. Sono molto più vecchio di voi, almeno cinquant’anni in più. Quando ero bambino praticamente nessuno credeva che gli uomini avrebbero mai raggiunto la Luna. Voi avete visto razzi per tutta la vita e i primi a raggiungere la Luna ci sono arrivati quando voi eravate bambini. Quando ero ragazzo io, ridevano all’idea.

    "Ma io ci credevo, ci credevo. Ho letto Verne, Wells e Smith e ho creduto che potevamo farcela, che ce l’avremmo fatta. Avevo giurato che sarei stato uno degli uomini che avrebbero camminato sulla superficie della Luna, che ne avrei visto l’altro lato e guardato la faccia della Terra sospesa nel cielo.

    "Ero solito rinunciare al pranzo per pagare le mie quote all’American Rocket Society, perché volevo credere che stavo contribuendo ad avvicinare il giorno in cui avremmo raggiunto la Luna; ero già un uomo anziano quando arrivò quel giorno. Ho vissuto più a lungo del dovuto, ma non mi lascerò morire… non lo farò!, finché non avrò messo piede sulla Luna.

    McIntyre si alzò e tese la mano. – Trovi una nave, signor Harriman. La guiderò io.

    – Bravo, Mac! L’avevo detto che l’avrebbe fatto, signor Harriman.

    Harriman pensò e sonnecchiò durante la mezz’ora di viaggio verso nord fino a Kansas City, nel sonno leggero e agitato della vecchiaia. Episodi di una lunga vita gli passavano per la mente in sogni vagabondi. C’era quella volta… oh, sì, il 1910… Un bambino in

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