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Capitalismo, Finanza, Riscaldamento Globale. Transizione Ecologica o Transizione al Socialismo?
Capitalismo, Finanza, Riscaldamento Globale. Transizione Ecologica o Transizione al Socialismo?
Capitalismo, Finanza, Riscaldamento Globale. Transizione Ecologica o Transizione al Socialismo?
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Capitalismo, Finanza, Riscaldamento Globale. Transizione Ecologica o Transizione al Socialismo?

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About this ebook

In un sistema isolato, l'entropia può solo aumentare. L'autore attraverso una diagnosi tecnica e accurata nei dettagli, analizza in modo a dir poco scientifico la moda della "transizione ecologica".

Ciò di cui abbiamo realmente bisogno è un modello di produzione orientata ai bisogni, la produzione deve avvenire secondo gli effettivi bisogni delle comunità che abitano il pianeta e nell'utilizzo razionale delle sue risorse. Questo è il punto saldo della tesi dell'autore.

Negli ultimi anni, governi e grandi corporations si sono accaparrati il monopolio della segnalazione dei drammatici effetti che il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici che ne conseguono stanno generando. Questa segnalazione è accompagnata dall' imposizione esplicita di nuovi consumi e della riorganizzazione di nuove catene del valore.

Nessuna transizione di questo tipo è possibile in un sistema economico e sociale come il capitalismo dove la produzione è orientata alla realizzazione solo ed esclusivo di profitto e al contrasto della sua caduta tendenziale e alla creazione di una economia di guerra, votata al controllo delle risorse del pianeta.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 23, 2022
ISBN9791220395373
Capitalismo, Finanza, Riscaldamento Globale. Transizione Ecologica o Transizione al Socialismo?

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    Capitalismo, Finanza, Riscaldamento Globale. Transizione Ecologica o Transizione al Socialismo? - Mario D'Acunto

    I.

    Le idee dominanti sono espressione delle classi dominanti

    Abbiamo visto nell’introduzione che il contrasto dell’industria dei combustibili fossili ha reso la vita dell’IPCC abbastanza difficile e movimentata. L’IPCC nasce nel 1988 come struttura intergovernativa composta da ricercatori e governi (a cui i primi rispondono) che suggerisce delle raccomandazioni di politica in materia climatica. Ma, sebbene sotto stretto controllo governativo, l’IPCC è stata attaccata sia da una parte della comunità scientifica sia dall’industria dei combustibili fossili, industria che nel 1989 fonda la Global Climate Coalition (GCC), un’organizzazione parallela all’IPCC con il preciso obiettivo di screditare le ricerche in tema di clima e di cambiamenti climatici dovuti all’utilizzo di combustibili fossili e, di fatto, alimentando una cultura negazionista nei confronti del riscaldamento globale. Le critiche all’IPCC da climatologi e organizzazioni più o meno legate al GCC si accentuano quando, nel 2014, il quinto rapporto dell’IPCC parla di 2 °C di aumento della temperatura media come aumento limite oltre il quale si innescherebbero dei fenomeni climatici non più controllabili. In realtà, il valore di 2 °C è considerato arbitrario, frutto di una negoziazione tra ricercatori e governi, quando invece anche un solo grado di aumento della temperatura media a livello planetario sta generando effetti disastrosi, probabilmente difficilmente reversibili (Pedemonte 2020).

    La scarsa capacità di mobilitazione e reazione alle questioni ambientali di questi decenni probabilmente è stata dovuta al fatto che la scala temporale dei cambiamenti climatici sia a cosiddetta insorgenza lunga rispetto ad altri tipi di disastri, la cui scala temporale è breve, come terremoti o eventi atmosferici, uragani, inondazioni, e che inducono a un’azione immediata. L’emergenza climatica non ha generato la coscienza del disastro in atto e del rischio per l’umanità, soprattutto per le generazioni future, e di conseguenza la necessità di capire dove e come intervenire. Fino al marzo 2019, in coincidenza del primo grande sciopero dell’FFF, la coscienza del problema dei cambiamenti climatici non è stato in agenda in nessun piano governativo, oltre che marginale nelle discussioni politiche e nelle varie tornate elettorali. Al contrario, malgrado i palesi fallimenti in serie dei vertici mondiali sul clima (denominati cop, conferences of parts), oggi non c’è organizzazione governativa che non si prodighi a segnalare il pericolo imminente fissando, approssimativamente, il 2050 come l’anno del possibile punto di non ritorno se non interverremo immediatamente e adeguatamente, realizzando la neutralità in termini di emissioni di gas serra.

    L’Europa dell’euro, che finora ha perseguito una politica di austerity agganciata da sempre all’economia neo-mercantilistica tedesca, ha lanciato il Green Deal, vale a dire una nuova strategia per la crescita che trasformi l'Unione in un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva in cui³: 1) nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra; 2) la crescita economica sia dissociata dall'uso delle risorse; 3) nessuna persona e nessun luogo sia trascurato. Nei toni retorici di Ursula vor der Leyen, il Green Deal Europeo dovrebbe diventare la tabella di marcia per rendere sostenibile l'economia dell'UE. L’idea è realizzare questo obiettivo trasformando le problematiche climatiche e le sfide ambientali in opportunità in tutti i settori politici e produttivi, e rendendo la transizione equa e inclusiva per tutti. In realtà, il Green Deal è la via europea nel rafforzare l’industria continentale nello scontro inter-imperialistico, nell’attuale riorganizzazione delle filiere di creazione del valore e nel resistere alle future turbolenze dovute alla riduzione dei combustibili fossili e al conseguente attacco al signoraggio del dollaro.

    Il fondo di investimento BlackRock, il primo fondo d’investimento mondiale che gestisce capitali per oltre ottomila miliardi di dollari, ha annunciato nel 2019 di orientare le proprie scelte d’investimento verso quelle aziende che modelleranno il proprio business non solo sul profitto, ma anche sulla sostenibilità ambientale, secondo l’acronimo ESG (Etico, Sostenibile, Green)⁴. Di fatto, il peso del fondo di investimento è di orientare la produzione e il consumo secondo standard decisi dal fondo stesso e che possono tagliare fuori dal mercato la produzione di interi paesi. Un esempio sono le pubblicità di auto che, in concomitanza con i proclami di fondi di investimento e governi, sono tutte orientate a offrire al consumatore modelli di auto elettriche in nome della tutela dell’ambiente, tacendo ovviamente che, a oggi, produrre auto elettriche comporta maggiori emissioni di CO2 rispetto alle auto tradizionali, e tacendo che il 95 % dei tragitti delle auto sono effettuati nel raggio di pochi chilometri, distanze per le quali altri tipi di mobilità realmente compatibili con l’ambiente sono ovviamente alla portata degli stessi consumatori.

    Recentemente, la Bank of International Settlements (la Banca dei Regolamenti Internazionali, fondata negli anni Trenta del Novecento da Banca di Inghilterra e dal finanziere nazista Hjalmar Schacht, e accusata in passato di aver aiutato i nazisti nel depredare i paesi occupati durante la Seconda Guerra Mondiale), ha lanciato l’allarme coniando il termine di cigno verde, come emerge dal titolo del suo rapporto: Cigno verde. Cambiamenti climatici e stabilità del sistema finanziario: quale ruolo per banche centrali, regolatori e supervisori, a cura di L.A. Pereira de Silva, P. Bolton, M. Desprès, F. Samama e R. Svartzman⁵. Stando a questo studio, i cigni verdi sarebbero simili ai cigni neri, ma provocati dai violenti cambiamenti climatici in corso, e gli approcci tradizionali alla gestione dei rischi consistenti nell’estrapolazione di dati storici e su ipotesi di distribuzioni normali sono in gran parte irrilevanti per valutare i rischi futuri legati al clima. Come recita il rapporto, proprio in quanto legato a disastri naturali che, prima o poi, si concretizzeranno, un cigno verde avrebbe effetti più distruttivi di un cigno nero, poiché provocherebbe un effetto a catena devastante su larga scala per l’umanità e, di conseguenza, per il sistema economico-finanziario. Dato, quindi, che i cambiamenti climatici hanno implicazioni sulla stabilità finanziaria e dei prezzi, secondo questo rapporto le banche centrali non possono rimanere ferme e indifferenti aspettando che le autorità governative facciano qualcosa: così la BCE, ad esempio, ha annunciato che considererà il rischio climatico nelle regole su prestiti e acquisto titoli. Non solo: qualora iniziassero ad accadere fenomeni naturali estremi, le banche centrali dovrebbero fungere da prestatori di ultima istanza a presidio del clima, costrette all’acquisto di assets svalutati. Tuttavia, come segnala sempre il rapporto sopra citato, nel caso di fenomeni naturali estremi tutto ciò avrebbe comunque degli effetti positivi poco pronunciati, dato che l’iniezione di ingenti quantità di capitali nei mercati non potrebbe avere effetti positivi sulle conseguenze irreversibili del climate change; in altre parole, le istituzioni finanziare non disporrebbero di strumenti per contrastare in modo efficace gli effetti di un cigno verde!

    _____________________

    ³ Commissione Europea, Un Green Deal europeo. Puntare a essere il primo continente a impatto climatico zero, https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it, sito visitato il 27 Marzo 2021.

    ⁴ Black Rock, Building more resilient portfolios, https://www.blackrock.com/ch/individual/en/themes/sustainable-investing/esg-integration, sito visitato il 27 marzo 2021

    ⁵ Luiz Awazu Pereira de Silva, Patrick Bolton, Morgan Desprès, Frédéric Samama e Romain Svartzman Cigno verde. Cambiamenti climatici e stabilità del sistema finanziario: quale ruolo per banche centrali, regolatori e supervisori scaricabile su https://www.researchgate.net/publication/340578881_The_green_swan_Central_banking_and_financial_stability_in_the_age_of_climate_change

    II

    Le dinamiche del modo di produzione: il Capitalocene

    Alla luce della presa di coscienza della finanza in termini di disastri ambientali che possono diventare generatori di ulteriori profitti, a questo punto il nostro obbligo è quello di mettere al centro della discussione le cause del cambiamento climatico, partendo dalla domanda: Antropocene o Capitalocene?

    Quello di Antropocene, altrimenti noto come Cambiamento Climatico Antropogenico, un termine introdotto da Stoermer e Crutzen (Crutzen, 2005), è diventato il concetto ambientalista più importante e diffuso, ma è anche una colossale mistificazione. Il termine Antropocene (combinazione dei termini greci anthropos [umano] e cene [nuovo]) descrive la scala planetaria delle influenze antropiche su composizione e funzioni del sistema-Terra e delle forme di vita che lo abitano. La proposta di Stoermer e Crutzen si basa su considerazioni principalmente ecologiche, quali l’estinzione accelerata di un gran numero di specie, la progressiva riduzione della disponibilità di combustibili fossili e l’incremento delle emissioni di gas a effetto serra. Sebbene recente, almeno dal punto di vista delle ere geologiche, è ormai acclamato e riconosciuto che la comparsa dell’attività antropica ha influenzato in profondità la trasformazione dell’ambiente su scala globale. Tale influenza negativa si protrarrà nel tempo con effetti che saranno visibili ai geologi del futuro (anche a ipotetici geologi operanti tra un milione di anni) e che quindi suggerisce il fatto di non poter includere il tempo presente nell’Olocene (l’epoca geologica, iniziata circa 12.000 anni fa, che attualmente lo contiene), ma richiede una formalizzazione ad hoc, in grado di metterne in evidenza la specificità. Tuttavia, nella proposta di Stoermer e Crutzen, il soggetto che ha impresso con la propria opera una deviazione disastrosa per l’ambiente è una generica umanità, senza distinguere che una grande maggioranza dell’umanità non ha avuto alcun ruolo storico nell’aumento delle emissioni di gas a effetto serra. Anzi, ne è la componente che sta pagando il prezzo più alto di queste emissioni, in quanto il riscaldamento globale è la manifestazione più evidente della disuguaglianza sociale ed economica su scala

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