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Blues: La musica del diavolo
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Blues: La musica del diavolo

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Il blues, fin dalle origini, veniva considerato la “musica del diavolo”: suonarlo era ritenuto, da predicatori e benpensanti, un peccato. In realtà, questo genere è una vera medicina dell'anima. Nato nel profondo Sud degli Stati Uniti dai discendenti degli schiavi neri, è un canto di liberazione urlato verso il cielo. Non solo una musica, ma uno stato d'animo immortale, capace di dare origine al rock, jazz e tanti altri generi, continuando a svolgere la sua opera taumaturgica. Il libro raccoglie le storie dei bluesman più significativi per profilo artistico e storia personale, concentrandosi sulla transizione dal blues del Delta, e da quello delle metropoli americane anni Quaranta e Cinquanta, al blues rock inglese e statunitense degli anni Sessanta e Settanta, con interviste inedite ed esclusive, testimonianze dei concerti e un’analisi critica a firma di Antonio Bacciocchi.
LanguageItaliano
PublisherDiarkos
Release dateDec 21, 2022
ISBN9788836162536
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    Blues - Antonio Pellegrini

    BLUES_FRONTE.jpg

    Antonio Pellegrini

    Blues

    La musica del diavolo

    Introduzione

    Al buio delle notti nelle piantagioni intorno al Mississippi di fine Ottocento, così come nelle serate delle metropoli americane anni Quaranta, o in quelle delle alienanti città del nuovo millennio, chi a mezzanotte si aggira per le strade solitarie può incontrare un demonio pronto a rivelargli il segreto del blues al prezzo della propria anima. Basta tendere l’orecchio e saper ascoltare.

    Il blues è da sempre associato al concetto di musica del diavolo perché suonarlo veniva originariamente considerato un peccato dai predicatori religiosi e, conseguentemente, dal perbenismo nero. In realtà, questo genere musicale è, prima di tutto, una medicina dell’anima. Nasce nel Profondo Sud degli Stati Uniti, durante la seconda metà dell’Ottocento, dalla sofferenza e dalla costrizione dei discendenti degli schiavi neri di origine africana, asserviti alle piantagioni di cotone.

    È un canto di liberazione urlato verso il cielo. Non è solo una musica, ma uno stato d’animo. La musica del diavolo è genitrice del rock, del jazz e di tanti altri generi. In un certo senso, è immortale perché, invece di scomparire con una generazione, evolve e si trasforma in qualcos’altro, per continuare a svolgere la sua opera taumaturgica.

    Nel Deep South, figure leggendarie come Charley Patton, Son House e Robert Johnson allietano le notti nei juke joints.¹ Il folk singer Lead Belly e il padre del Texas blues Blind Lemon Jefferson, insieme a tanti altri vagabondi con la chitarra, girano per le campagne con le loro storie da raccontare.

    Negli anni Venti e Trenta, profonde migrazioni spostano il popolo nero, e con lui la sua musica, dalle zone rurali alle metropoli: nasce così l’urban blues. In quest’epoca, emergono leggendarie cantanti femminili – le più note sono Ma Rainey e Bessie Smith – star del vaudeville e del blues urbano. Uno dei più influenti capiscuola del blues maschile di Chicago è Big Bill Broonzy.

    Verso la fine degli anni Quaranta, il blues diventa elettrico. Divi come Muddy Waters, Howlin’ Wolf, B.B. King e John Lee Hooker diventano i protagonisti nelle notti musicali delle città. Un ruolo importante per la diffusione del genere è rivestito da alcune etichette discografiche, prima fra tutte la Chess di Chicago, con le canzoni scritte da Willie Dixon.

    Durante la Seconda guerra mondiale, i soldati neri americani di stanza in Uk portano con sé i loro amati dischi blues, che finiranno poi nei negozi musicali britannici. Successivamente, i bluesmen americani in carne e ossa arrivano nel Regno Unito per dar vita a tournée che sorprendono i giovani musicisti inglesi. Nascono nuovi apostoli bianchi di questa musica come i Rolling Stones, che seguiranno poi la strada del rock, e altri artisti che rimarranno per sempre legati al blues tra cui Alexis Korner, John Mayall, Eric Clapton e Peter Green.

    Negli anni Sessanta e nei Settanta, nasce e si sviluppa il blues rock, una forma musicale ibrida che combina stilemi blues ed elementi rock. Negli Usa, la Paul Butterfield Blues Band e i Canned Heat sono tra i primi esponenti del genere, seguiti da Johnny Winter e dalle band Southern rock degli Allman Brothers, Lynyrd Skynyrd e ZZ Top. Nel Regno Unito, sono protagonisti gruppi come i Fleetwood Mac, Free, Savoy Brown e i complessi formati dai tre chitarristi emersi dagli Yardbirds: Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page. Tuttora molto amato il bluesman irlandese Rory Gallagher.

    La fine del Novecento ci regala ancora alcuni artisti blues di grande valore, come il virtuoso della sei corde Stevie Ray Vaughan, suo fratello Jimmie e il nero Robert Cray. Nel nuovo millennio, il testimone è portato avanti da musicisti noti come i bianchi Joe Bonamassa e Kenny Wayne Shepherd e da diversi artisti neri, che, tranne alcune eccezioni, hanno meno visibilità mediatica.

    Questo libro, scevro da scopi enciclopedici, accompagna il lettore in un viaggio tra le storie di vita e le avventure artistiche di alcuni dei più importanti e suggestivi protagonisti della storia del blues. Ogni ritratto è introdotto dal racconto del contesto storico, sociale e musicale. Il punto focale dell’opera si concentra su un aspetto interessante e cruciale, perché costituisce la base del blues moderno: la transizione dal blues del Delta, e da quello delle metropoli americane anni Quaranta e Cinquanta, al blues rock inglese e statunitense degli anni Sessanta e Settanta.

    Il volume è arricchito da un’intervista perduta a Muddy Waters (recentemente ritrovata da Marino Grandi, il padre della rivista «Il Blues») e dai colloqui inediti che l’autore ha condotto con Paul Rodgers (leader dei Free e dei Bad Company) e con John Primer (chitarrista di Muddy Waters, Junior Wells, Willie Dixon e Magic Slim, nonché tra gli ultimi bluesmen tradizionali viventi). In appendice, il ricordo dei concerti di alcuni dei protagonisti del libro.

    Questa pubblicazione ospita, inoltre, alcune preziose collaborazioni: Antonio Bacciocchi compie un’analisi del metodo di lavoro di Alan Lomax,² Lorenz Zadro racconta il Blues Made in Italy, Davide Grandi testimonia i quarant’anni della rivista «Il Blues» e ricorda i concerti di Stevie Ray Vaughan e Willie Dixon, Fabio Rossi accompagna il lettore nel mondo di Rory Gallagher, Athos Enrile propone un live report di Johnny Winter, mentre Paolo Giunta racconta la storia di Eric Clapton e ci parla di un live di Bonamassa.

    Ma ogni storia va raccontata dall’inizio, e questa parte dall’Africa.

    Dall’Africa al Profondo Sud

    Il blues nasce nel Profondo Sud degli Stati Uniti durante la seconda metà dell’Ottocento, per mano dei discendenti degli schiavi afroamericani che, dopo la guerra di Secessione, a seguito dell’abolizione della schiavitù, diventano formalmente liberi.

    Le radici di questa forma musicale sono da ricercarsi in Africa, dove la musica è da sempre un elemento che scandisce la vita delle persone: dal lavoro, alle feste, ai riti.

    A partire dall’epoca coloniale, per proseguire quando nascono ufficialmente gli Stati Uniti – con la dichiarazione di Indipendenza del 1776 –, la deportazione degli schiavi dall’Africa al Nord America è un fenomeno talmente diffuso da rappresentare uno dei pilastri economici della società americana.

    All’arrivo, dopo una traversata in nave dell’Atlantico, gli schiavi vengono venduti ai nuovi padroni, che li portano nelle piantagioni di cotone, dove trascorreranno il resto della loro esistenza lavorando nei campi.

    A ognuno di essi viene assegnato un appezzamento di terreno abbastanza lontano da quello degli altri, rendendo così impossibile la conversazione. Dalle necessità di comunicazione tra gli schiavi dei terreni confinanti, nasce il canto di lavoro, che è caratterizzato da frasi ritmate e concise che hanno la forma del botta e risposta. Questi canti, oltre a dare ritmo al lavoro e a distrarre dalla fatica, aiutano a creare un senso di comunità tra gli individui sradicati dal loro mondo originario.

    I canti di lavoro, insieme alla forma espressiva religiosa degli spirituals e alle canzoni dei minstrel shows – spettacoli comici e musicali, recitati prima solo da bianchi e poi anche da neri, che ironizzano su questi ultimi – sono alcune delle principali forme musicali che daranno vita al blues.

    L’ambiente dove si origina questo genere è la piantagione. In tali luoghi è difficile sviluppare al meglio le proprie attitudini musicali, visto il continuo controllo dei padroni, ma ci sono situazioni in cui suonare è permesso e gradito. In occasione di attività importanti per la coltivazione, come la mietitura, vengono organizzate feste che prevedono danze e canti. I neri, che hanno preso familiarità con gli strumenti bianchi, si esibiscono in veri e propri spettacoli.

    A ogni modo, la situazione del popolo black rimane sostanzialmente inalterata per secoli, finché non viene messa in discussione da una grave e profonda frattura dell’America: la guerra di Secessione.

    La guerra di Secessione americana è una guerra civile, che si svolge negli Stati Uniti dal 1861 al 1865, combattuta tra gli Stati del Nord fedeli all’Unione e gli Stati del Sud, che si separano dal resto dell’Unione per formare gli Stati Confederati d’America. La causa principale della guerra è proprio lo stato della schiavitù negli Stati Uniti, unitamente a ragioni di natura economica.

    Dopo che Abraham Lincoln vince le elezioni presidenziali del novembre 1860 con un programma antischiavista, i primi sette Stati schiavisti, seguiti poi da altri, dichiarano la loro secessione dal Paese per formare la Confederazione. La guerra scoppia nell’aprile del 1861 quando le forze secessioniste attaccano Fort Sumter nel South Carolina, poco più di un mese dopo la cerimonia di insediamento di Lincoln.

    L’Unione e la Confederazione mettono rapidamente insieme eserciti di volontari e di militari di leva, che si scontrano principalmente nel Sud per quattro anni. Gli intensi combattimenti lasciano tra i 620.000 e i 750.000 soldati morti, insieme a un numero indeterminato di civili. La guerra civile è il conflitto militare con il maggior numero di morti della storia americana, e causa più decessi tra i militari americani di tutte le altre guerre messe insieme fino a quella del Vietnam.

    La guerra termina il 9 aprile 1865, quando il generale confederato Robert E. Lee si arrende al generale dell’Unione Ulysses S. Grant nella battaglia di Appomattox Court House. Gli altri generali confederati degli Stati del Sud seguono il suo esempio.

    Inizia così l’era della cosiddetta Ricostruzione, il periodo dal 1865 al 1877, che segna un capitolo significativo nella storia dei diritti civili negli Stati Uniti. La Ricostruzione mette fine ai resti della secessione confederata e abolisce la schiavitù, rendendo gli schiavi liberati cittadini con diritti civili apparentemente garantiti. Allo stesso tempo, però, viene messa in atto una politica indulgente verso gli ex confederati e sono poste in essere misure per riportare rapidamente gli Stati del Sud nell’Unione, permettendo loro di determinare i diritti degli ex schiavi.

    A partire dal 1867, il Ku Klux Klan (un movimento nato due anni prima) si pone l’obiettivo di ripristinare la segregazione razziale e si rende spesso protagonista di intimidazioni e violenze.

    Nei fatti, la condizione dei neri passa dalla schiavitù alla mezzadria: il padrone dei campi li affida ai lavoratori neri in cambio della metà del profitto pattuito, indipendentemente dall’esito del raccolto. Per di più, spesso, i padroni sono gli stessi di prima.

    A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento e fino al 1965, la situazione peggiora ulteriormente con le cosiddette leggi Jim Crow, che impongono la segregazione razziale negli Stati Uniti del Sud, secondo il principio del separati ma uguali. Queste leggi sono emanate dalle legislature statali bianche del Sud, per togliere il diritto di voto e rimuovere i guadagni politici ed economici recentemente ottenuti dai neri.

    Gli inizi del blues possono essere fatti risalire all’epoca della Ricostruzione, probabilmente la più feroce e violenta nella storia degli Stati Uniti. I bluesmen e le blueswomen nascono in questi anni difficili, insieme alle storie degli eroi popolari tradotte in canzoni e ai nuovi luoghi in cui la musica viene suonata. Il blues racconta le esperienze degli uomini e delle donne liberati durante i periodi della Ricostruzione e delle leggi Jim Crow. Parla delle balle di cotone, dei boll weevils (gli insetti del cotone), delle juke houses e della mezzadria.

    Dopo la guerra civile, è abbastanza normale che ci siano persone di colore che vagano per gli Stati del Sud in cerca di un lavoro stagionale nelle piantagioni, ma anche di un ingaggio musicale: veri e propri hobos – vagabondi, lavoratori migranti poveri e senza casa – che si spostano salendo su treni merci in corsa. La capacità di suonare uno strumento costituisce l’unica valida alternativa al duro lavoro dei campi e alcuni provano a seguire questa strada.

    Un buon modo che un bluesman ha per guadagnare qualche soldo è aggregarsi a un medicine show: una carovana di finti dottori e truffatori belli e buoni, che girano per le campagne del Sud, attirando sprovveduti contadini, grazie alle note di valenti musicisti, per vendergli pozioni miracolose, prima di fuggire il giorno dopo verso qualche altro luogo dove imbonire qualche nuovo mal capitato.

    All’inizio degli anni Venti del Novecento, si sviluppano i race records – i vinili da 78 giri di musica afroamericana, tra cui blues, jazz e gospel, destinati al mercato dei neri – che aiutano la diffusione del genere. Nei soli anni Venti sono ben 10 milioni i dischi di questo tipo che vengono venduti. Il race record, oltre a diffondere la loro musica, compie un altro processo fondamentale, quello di aiutare a creare, per la prima volta, un contesto culturale comune tra le persone di colore sparpagliate per l’America. Le radio danno un aiuto fondamentale per la diffusione di questi dischi: leggendaria la trasmissione King Biscuit Time in cui Sonny Boy Williamson II e Robert Lockwood Jr fanno ascoltare il blues.

    Seppur con un denominatore comune, nel frattempo, si sviluppano diversi stili blues regionali.

    Deep South blues

    Il contesto

    Il Deep South è una regione culturale e geografica degli Stati Uniti meridionali. Quando si parla del Profondo Sud, ci si riferisce generalmente agli Stati della Louisiana, del Mississippi, dell’Alabama, della Georgia e del South Carolina. Spesso si includono anche il Texas e la Florida. Talvolta ci si riferisce anche al Tennessee e all’Arkansas.

    La forma più originale di blues si dice che sia nata nella zona del Delta. Quest’aera³ è la regione nordoccidentale dello Stato americano del Mississippi (e porzioni di Arkansas e Louisiana) che si trova tra i fiumi Mississippi e Yazoo. Il Delta veniva chiamato Il posto più a sud della Terra, nel senso della zona più sudista, da un punto di vista politico, del Profondo Sud, per la sua storia razziale, culturale ed economica.

    Questa lingua di terra, che comprende un’ampia pianura alluvionale, è originariamente ricoperta da foreste di legno massiccio, per svilupparsi poi come una delle più ricche aree di coltivazione del cotone. Un gran numero di speculatori crea piantagioni lungo le rive del fiume e diviene ricco grazie al lavoro degli schiavi sbarcati dalle navi negriere. I neri rappresentano la grande maggioranza della popolazione di queste contee ben prima della guerra civile, spesso il doppio dei bianchi.

    L’isolamento geografico di quest’area è un fattore determinante per permettere la sedimentazione degli stilemi del blues e per conservarne l’originalità. Anche dopo la guerra civile, l’area rimane poco popolata e le uniche possibilità di divertimento sono costituite dai juke joints. Dopo un’estenuante settimana di lavoro nei campi di cotone, nei juke joints il moonshine⁴ scorre a fiumi, sulle note del blues. È notte tarda, si balla al ritmo della musica, e le proposte sessuali si manifestano disinibite, senza tenere conto delle mogli degli altri, provocando risse e, a volte, omicidi. Le storie dei bluesmen del Mississippi di inizio Novecento cominciano – e in qualche caso finiscono – tutte qui.

    Il blues che si può ascoltare nel Delta è scarno e ricco di pathos, caratterizzato da testi ricchi di esistenzialismo e inquietudine. Qui nascono i temi dell’incontro del bluesman col diavolo e ci sono musicisti che dividono le proprie giornate tra la predicazione religiosa e il blues. I bluesmen più rappresentativi di questo sottogenere sono Charley Patton, Son House e Robert Johnson, senza dimenticare Tommy Johnson, Tommy McClennan, Robert Petway, Charlie McCoy, Kansas Joe, Bo Carter e Sam Chatmon.

    Il Delta è certamente uno dei territori più legati alla musica del diavolo, ma anche il Texas ha una storia blues di grande rilevanza. Lo Stato viene annesso agli Usa nel 1845. La musica dei bianchi ha qui una radice messicana che si unisce con quella angloamericana. I neri arrivano in Texas solo con la colonizzazione di fine secolo, quindi molto più tardi rispetto a quelli del Mississippi.

    Il blues texano comincia ad apparire all’inizio del Novecento tra gli afroamericani che lavorano nelle aree petrolifere, nei ranch e nei terreni da legname. Spesso si tratta di bluesmen vagabondi in cerca di luoghi dove esibirsi e vivere.

    Il primo bluesman texano a dare vita a un filone autonomo e riconoscibile, rispetto agli altri stili regionali, è Blind Lemon Jefferson negli anni Venti. La scena musicale texana regalerà negli anni a venire grandi artisti, come Blind Willie Johnson, Lightnin’ Hopkins, Lil’ Son Jackson. Negli anni Sessanta e Settanta, fiorirà una nuova scena Texas blues con musicisti del calibro dei fratelli Johnny e Edgar Winter, e di Jimmie e Stevie Ray Vaughan. Nel frattempo, il filone del Southern rock porterà avanti gli sviluppi di

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