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Lo specchio di Giano
Lo specchio di Giano
Lo specchio di Giano
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Lo specchio di Giano

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About this ebook

In un mondo in cui la sorte di dei e uomini è strettamente legata, l’ultimo baluardo dell’antico popolo dei Rasna, un piccolo paese sul mare, in cui hanno la loro sede i più importanti templi del mondo, è minacciato dagli attacchi provenienti da una misteriosa isola di sale, costruita da un grande mago. Il Sacerdote Guida, per difendere il borgo, chiama in aiuto gli Aisna, i Divini, uomini e donne che ospitano in sé gli Antichi Dei, condannati secoli prima a essere prigionieri in corpi mortali. Tra loro, i due fratelli Steleth e Thefri, che con altri membri della loro famiglia, dovranno sottoporsi a diverse prove per tornare alla loro forma originaria e salvare la loro città.

Il libro fantasy “Lo Specchio di Giano” nasce dalla passione che l’autrice ha per la storia, l’antichità, per la poesia e la letteratura ma anche l’amore per la sua famiglia. La trama e l’ambientazione si ispirano agli Etruschi e agli altri popoli antichi e si possono individuare riferimenti alla storia “reale”, più o meno recente.
LanguageItaliano
Release dateDec 13, 2022
ISBN9791222035611
Lo specchio di Giano

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    Lo specchio di Giano - Ilia Camilla Muzio

    Ilia Camilla Muzio

    Lo specchio di Giano

    Prima edizione - dicembre 2022

    © tutti i diritti riservati

    Impaginazione a cura di Nativi Digitali Edizioni snc

    Premessa

    Passione per la storia, per i popoli antichi, per la poesia e la letteratura ma anche l’amore per i miei cari e il rimpianto per quelli di loro che non ci sono più: da qui, in estrema sintesi, nasce il libro fantasy Lo Specchio di Giano.

    Arrivata alla maturità, con una nuova famiglia, un lavoro e una vita senza un attimo di pause, qualche anno fa mi sono guardata indietro e ho ripercorso la mia strada, cercando di ricostruire anche quella di chi è mi è stato vicino: i miei genitori, i miei nonni, i miei zii, complici anche le memorie che mi hanno lasciato, che hanno avuto tanta parte in quello che sono arrivata ad essere ma con cui non sono riuscita, per tanti motivi, a condividere molto tempo. E loro sono diventati, in queste pagine, i miei eroi, confermando di essere sempre stati i miei punti di riferimento. Per questo il nome della protagonista significa Insieme. Si tratta di una parola etrusca, come per tanti altri personaggi del testo. E agli Etruschi e agli altri popoli antichi (che tanto appassionavano anche mio papà) guarda la trama e l’ambientazione, in cui si possono chiaramente individuare riferimenti alla storia reale, più o meno recente.

    Alla mia famiglia

    Il sogno è l’infinita ombra del vero

    Il Naufrago

    Non avrebbe resistito fino alla riva e aveva paura. Tremava e respirava a fatica. La vista cominciava ad annebbiarsi e gli occhi gli bruciavano per il sale e il vento.

    Dopo il naufragio della barca, ribaltata dai colpi di coda di un branco di grossi orux, non aveva più visto i suoi compagni. Forse erano annegati o forse erano stati aggrediti da quegli animali, cacciatori infallibili e spietati. Si stavano avvicinando alla costa quando all'improvviso erano emersi vicino allo scafo i dorsi argentati dei pesci, che senza lasciare loro il tempo di reagire avevano rovesciato l'imbarcazione. Probabilmente si era salvato soltanto lui.

    Vedeva la riva avvicinarsi sempre di più, bracciata dopo bracciata, onda dopo onda ma contemporaneamente sentiva le forze venirgli meno. Ormai era in acqua da ore. Riuscì finalmente a raggiungere gli scogli quando era quasi allo stremo. Il tocco delle alghe, morbide quasi come un cuscino, gli fece quasi sentire di essersi salvato ma doveva ancora uscire dall'acqua. Dopo qualche tentativo andato a vuoto, raccolse le poche forze che gli erano rimaste e riuscì a trascinarsi sulla pietra. Chiuse gli occhi godendo del calore dei raggi del sole.

    Vide Alos, l'isola di sale, assediata dalle onde e dal vento durante una tempesta mentre le torri, sciolte dai fulmini, precipitavano. Nello stesso momento in cui cadeva anche il torrione di Ataris, quello più alto e imponente, fu richiamato alla realtà dal rumore di passi. Si scosse e aprì gli occhi. Vide cinque donne bellissime armate di lance e scudi, con un elmo che lasciava osservare i loro lineamenti e da cui i capelli uscivano raccolti in una treccia scompigliata. Le guerriere erano vestite con un peplo rosso scuro, senza maniche e con bordature rosa decorate con motivi a losanghe che richiamavano il colore dell'abito. Chiuso sulle spalle da due spille d'oro, il vestito era stretto in vita da una cintura in tessuto con filati dorati e ornata da un medaglione, anch'esso d'oro, che riproduceva una corona di melograni, in cui campeggiava un grosso zaffiro blu. Il naufrago, rapito dal loro aspetto, pensò di essere finalmente al sicuro. Ma le lance vennero puntate contro di lui e una voce femminile forte e sicura ordinò: Prendetelo!.

    L'incontro

    "U na marea informe in un lento movimento, un fiume di materia amorfa che scorreva in uno spazio infinito e senza tempo: questo c'era al principio, quando esistevano solo gli eterni Northia, la dea del fato, che tutto comanda e tutto decide, e Giano, il padre di tutte le cose. La capricciosa e fatale dea decise in un punto di dare a quella massa un senso e le impresse un altro corso, impetuoso e vorticoso: fu da questo movimento che i diversi elementi si divisero, per poi riunirsi e mescolarsi, dando origine alle cose e al tempo. Giano, chiamato Culsans dal popolo dei Rasna, prima rimproverò Northia per la sua volubilità, poi vide che quello che si stava creando era buono e decise di procedere alla sua costituzione quando la dea, molto presto, si stufò del suo progetto. Il dio plasmò il Sole e tutti gli astri e i pianeti, poi arrivò alla Terra, che dotò di un satellite che la illuminasse anche durante la notte, di un centro di fuoco, una copertura di rocce e un'immensa quantità di acqua. Studiò, quindi, i movimenti che questi corpi celesti dovevano compiere per mantenere il proprio vigore e la propria bellezza. Il nostro mondo fu quindi vestito da un manto di piante, per essere ancora più rigoglioso, un manto che cambiasse il suo aspetto a seconda delle diverse stagioni. Ma per controllare che ogni cosa stesse al suo posto e non si guastasse il tutto, c'era bisogno di una grande e continua attenzione da parte del dio. Fu così che Giano forgiò dalla polvere che vola libera nel cosmo altri eterni, che furono poi chiamati dei Proteroi o Primigeni e che prendono nomi diversi presso i differenti popoli: Satres fu chiamato a gestire il tempo, Semia la terra, Sethlans il fuoco, Thesan il movimento degli astri, Tinia il cielo e l'aria, Uni la vita e la fertilità, Nethuns l'acqua. Questi i nomi degli immortali presso i Rasna.

    La terra così bella e fiorita, con frutti e prodotti che nascevano in ogni dove, non aveva però abitanti che potessero goderne. Giano, dalle rocce e dall'acqua, dal legno, dall'aria e dal fuoco e da ogni altro elemento, forgiò gli animali, innumerevoli esseri che presero a correre nei prati e a nuotare nell'acqua, a volare nell'aria e a salire sugli alberi, fino alla loro morte, in cui il loro corpo tornava ad essere materia per dar vita ad un altro vivente e la loro anima diventava libera dal mondo sensibile. Tinia, guardando quegli animali che, felici, dimoravano il mondo, volle creare anche dei mortali speciali, che fossero simili agli dei, in modo che gli eterni avessero sulla terra una loro controparte capace di costruire, creare e riflettere. Questi sarebbero stati legati indissolubilmente agli dei e sarebbero stati i loro prediletti: gli immortali, Viaggiatori del Tempo, li avrebbero protetti da pericoli e avversità e favorito chi li avesse onorati e rispettati; mentre i mortali, Passeggeri nel mondo, con la loro devozione avrebbero aumentato il potere dell'uno e dell'altro dio a seconda dell'intensità della loro fede verso di lui. Questi animali erano gli umani, divisi in diverse classi, a seconda delle loro inclinazioni: gli uomini, intelligenti e operosi; i Fauni, legati alla sfera delle selve; i diversi tipi di Streghe, da cui cominciò a diffondersi nel mondo la magia; i Centimani e i Ciclopi, noti per la loro forza, i Pigmei, i Blemmi, le Gorgadi, le Sirene e i Tritoni, che abitavano i mari, e tutti gli altri.

    L'universo, così, fu completo e retto dalla sapienza degli dei ma sempre piegato al volere di Northia".

    A questo papiro, che riportava l'inizio del Lich, il libro su cui era narrata la storia universale, seguiva un altro foglio, una lettera da parte dell'Aruth, la guida di tutti i sacerdoti e di tutti gli ordini e una delle persone più importanti e autorevoli del mondo: era colui che aveva il ruolo di intercedere e interfacciarsi con Maris, il Dio Reggente. Il contenuto del testo era una convocazione a Vestres, l'ultimo baluardo dei Rasna, piccolo paese di mare in cui si trovava il tempio della divinità, quello in cui l'Aruth operava e aveva la sua dimora:

    "Tarchun, l'Aruth e padre dei Ministri del destino, ti saluta, Steleth!

    In quanto figlia di Vestres e del popolo dei Rasna, sei chiamata a tornare nel tuo paese natale per difendere il tuo regno. Un grande pericolo incombe su di noi da Alos, l'isola di sale, e abbiamo bisogno di te per evitare la rovina. Gli uomini e gli dei vedono da sempre legati i loro destini, nel bene e nel male. Aspettiamo te e gli altri Aisna nel tempio di Maris il giorno dopo la Luna nuova quando il Sole è al suo culmine.

    Vale

    Tarchun".

    Steleth leggeva e rileggeva quei caratteri misteriosi chiedendosi che cosa fosse successo a Vestres, che contributo poteva dare lei, semplice strega Arath, legata alla terra, chi fossero gli Aisna e a che titolo ne faceva parte. Lettere identiche erano arrivate anche al fratello e a diversi suoi famigliari.

    Degli ultimi accadimenti riguardanti la piccola città da cui proveniva evidentemente non sapeva abbastanza: Alos si era materializzata, diversi anni prima, nel mare al largo della costa di Vestres grazie a un incantesimo di Ataris. Questo potentissimo mago, che nessuno conosceva fino ad allora, non si sapeva come, aveva richiamato Aplu, l'antico dio del Sole, della musica e della medicina, che ai tempi dello Scontro degli eterni aveva combattuto contro Maris, e di cui non si aveva traccia da secoli. Il dio ritrovato, grazie all'opera di proselitismo del mago e dei suoi seguaci, si era guadagnato la fiducia di tantissimi uomini, che gli avevano dedicato, in vari regni, templi, preghiere e opere di devozione. In questo modo, il potere di Maris era diminuito. Sull'isola di sale, Ataris e il grande condottiero Turno avevano raccolto un esercito e avevano attaccato Vestres diverse volte con l'intento di conquistarla e farla cadere e con lei far finire il regno dei Rasna e la reggenza di Maris sull'universo. Forza e ferocia, malizia ed egoismo erano alle basi della loro realtà. Il re aveva soccorso Vestres con l'invio di un piccolo esercito ma poi, apertisi altri fronti di guerra in un'altra parte del regno di Ligys, lo aveva ritirato, non ritenendola una questione che potesse mettere in pericolo il suo territorio.

    Il destino aveva dato in sorte a Steleth il fatto di essere nata come strega Arath, la classe di maghe legate all'elemento della terra. Erano diversi fattori a decidere quali inclinazioni un bambino dovesse mostrare alla sua nascita: la posizione degli astri al momento della venuta al mondo e del concepimento, l'ora, la stagione, il tempo atmosferico, la vicinanza di un luogo sacro durante la nascita, la classe dei genitori e dei nonni e altre innumerevoli causali. Questo aveva determinato anche nel corso dei secoli l'avvento di classi nuove e la scomparsa di alcune specie di uomini, mentre altre, come le sirene e i tritoni, si erano adattate a un ambiente specifico e a decidere la loro tipologia era rimasto il solo motivo della classe dei genitori.

    Steleth era stata felice di quello che aveva avuto in sorte ed era riuscita ad arrivare al massimo delle sue capacità, nonostante la sua continua insicurezza peggiorata da un carattere a tratti burrascoso e irritante. Era in grado di ammansire i serpenti, ascoltare gli animali, comprendere la condizione o lo stato d'animo delle piante e di un intero bosco, e aveva imparato a realizzare pozioni e piccoli incantesimi a scopo curativo. Questo, però, era patrimonio comune con tutte le Arath. Lei aveva dedicato tanto tempo allo studio e ai libri ed era arrivata a padroneggiare anche discipline come la negromanzia e incantesimi difficoltosi. Irreprensibile, curiosa e attenta, era stata scelta dai maghi e sacerdoti del suo regno per essere istruttrice delle Arath di Ligys, nella sua capitale, Medhelan, e per essere tra i pochi al mondo a custodire la cosiddetta Magia delle Furie.

    Era nata e cresciuta lì a Vestres, sul mare, nella regione che faceva capo alla grande città marittima di Ianua, e dopo la separazione dei genitori, era stata cresciuta dalla nonna, Nacna, e dalla sorellastra di lei, Tatia, ormai anziane e forti di un'esperienza che aveva fatto loro superare guerre, miseria ed epidemie. La loro vicinanza, se le aveva permesso di conoscere e appassionarsi alla storia e alle lingue antiche, l'aveva sempre fatta sentire diversa per pensiero e per modo di comportarsi dai suoi coetanei, tipici esponenti del loro tempo e della contemporaneità. Da che era una piccola allegra e chiacchierona, scontrandosi con questo stato di cose era diventata più chiusa e taciturna, molto insicura, rispettosa di una società passata più che partecipante attivamente di una comunità attuale.

    Quella di Steleth era stata definita la generazione degli astri: dopo la Guerra dei cinque anni che aveva portato alla distruzione dell'intero Paese era stato il momento di ricostruire. In quel periodo, che era iniziato nello stesso anno della nascita di sua madre, Ati, la terra era rinata, un lungo periodo di pace aveva permesso il fiorire del commercio, dell'agricoltura e il diffondersi della cultura e delle scienze. Erano sorti istituti importanti, erano stati costruiti ospedali, fabbriche e stabilimenti, case grandissime su più piani ed edifici e giardini mirabili. I nati in questo periodo non avevano vissuto le battaglie e la carestia ma solo il progresso e il benessere.

    Una volta trasferitasi dalla madre e dal fratello a Medhelan, dove entrambi erano andati prima di lei, Arath aveva potuto approfondire le sue passioni grazie a scuole avanzate e alla frequentazione dei luminari dell'epoca, pur non adeguandosi mai alla vita di una grande e ricca città. Anche dopo il matrimonio e l'arrivo dei suoi due bambini e il trasferimento nel vicino borgo di Argentia rimase sempre schiva, sentendosi sempre una persona arrivata da lontano in un posto non suo. Ora, lasciatasi la giovinezza alle spalle, si affacciava anche alla fine della maturità, quando il corpo comincia a dare i primi segni di decadimento ma la mente è attiva e vigile, forte di tutto quello visto e assimilato fino a quel momento.

    Nonostante il suo percorso, di cui andava orgogliosa, avendole consentito di crescere e maturare, andare oltre quello che erano stati i suoi genitori e i suoi modelli da bambina, non aveva comunque raggiunto traguardi e primati degni di nota per la comunità. Per questo, non riusciva a immaginare il motivo della convocazione da parte dell'Aruth, di fatto, il rappresentante di Maris sulla terra. Era entusiasta, da una parte, per questa chiamata, ma dall'altra preoccupata per la situazione e per i suoi possibili sviluppi. La lettera non preannunciava niente di buono e lei, come gli altri suoi coetanei e il fratello, vissuti sempre negli agi, non avevano mai avuto a che fare con condizioni difficili. Non sapeva nemmeno se sarebbero stati in grado di farvi fronte. Vestres era ormai l'ultima roccaforte dei Rasna, antico popolo che dopo aver sviluppato una grande e progredita civiltà sotto l'egida di Maris e dei Chechanar, gli dei superiori, alleati del dio reggente, era decaduto. Dopo la perdita di terre e la deriva della società, già da qualche secolo, del grande impero dei Rasna era rimasto solo il piccolo borgo, che non era mai stato attaccato per il prestigio dei suoi templi ma che era finito, all'inizio della Quinta era, sotto il nascente Regno di Ligys che, con il pretesto di proteggere i luoghi sacri, si aggiudicò il suo controllo. Vestres, alla fine dello Scontro degli Eterni, infatti, vide sorgere i più importanti edifici di culto dedicati agli dei vincitori, con l'istituzione della figura dell'Aruth e degli ordini dei sacerdoti. Nel tempo, di pari passo con la decadenza del loro popolo, anche gli immortali avevano visto scemare il loro potere e si erano sempre più disinteressati della sorte degli uomini. Lo stato attuale delle cose, forse, con Aplu che cresceva trovando numerosi seguaci, era solo il risultato di un lungo e lentissimo periodo di declino, pensava Steleth.

    Era arrivata all'ingresso del paese provenendo dalle colline di Nord Ovest, dopo un viaggio di soli due giorni, grazie al passo delle streghe di terra nei boschi che nella natura era molto più accelerato rispetto a quello delle altre classi di umani. Il fratello, Thefri, convocato anch'egli, l'aveva anticipata già da qualche giorno, mentre lei si era ridotta all'ultimo momento perché qualcuno restasse vicino alla madre malata. Mancava da Vestres da tanto tempo e nonostante si fosse costruita una vita serena con la nuova famiglia, si rendeva conto di quanto quegli spazi, quei paesaggi e i profumi del mare e delle piante che crescono vicino ad esso le fossero mancati e con essi le persone che li abitavano.

    Non aveva tempo per passare a casa: avrebbe visto i suoi cari al tempio e avrebbe potuto riabbracciarli là. Stanca per il viaggio, trascorso in tutta velocità, cercò di ricomporsi come poteva: scosse leggermente con le sue mani magre il suo viso ovale, su cui si notavano subito il naso, dalla punta ampia, e la bocca carnosa e del colore della corteccia delle querce, che nascondeva una dentatura a tratti irregolare. Poi strofinò leggermente i suoi occhi proporzionati e castani con pagliuzze verdi, sottolineati da una riga di trucco nera. Riordinò il suo abito, una tunica di lana indaco, quella speciale tonalità di colore a metà tra il viola e il blu, senza maniche e dal bordo ceruleo, fermato sulle spalle da due bottoni in bronzo e stretto in vita da una cintura di stoffa composta da tre nastri intrecciati, anch'essi cerulei. Quindi tastò i suoi gioielli per controllare se avessero il giusto assetto, partendo dalla collana d'oro, formata da una catena da cui scendevano pendenti rotondi e lavorati a sbalzo, raffiguranti, circondata da motivi floreali, la Signora degli animali tra due lupi, nell'atto di accarezzarli, per passare agli orecchini a bauletto, realizzati in filigrana con arabeschi e fiori e finire con il braccialetto a forma di serpente, che le era sceso dalla giusta posizione sull'avambraccio. Infine, ravvivò i capelli castani, dello stesso colore degli occhi, sciolti sulle spalle e lunghi fino alla vita, mossi e sempre scompigliati, che non aveva mai voluto tenere legati in trecce o altre acconciature. Per avere un aspetto più presentabile e ordinato, li coprì con il suo mantello di lana, da una parte del colore naturale della fibra, dall'altra in un raffinato rosa polvere, che scese languido sulla schiena dove spiccava un'accentuata gobba, e andò a coprire il suo corpo, statuario e dalla vita stretta. Infine spolverò ed eliminò la terra e il fango dai piedi per calzare i suoi calcei repandi, stivaletti a punta tipici del suo popolo.

    Si diresse quindi verso il tempio di Maris, imboccando la strada principale di Vestres, che attraversava il paese, posto su in istmo che collegava un'isola alla terraferma e divideva in due il mare, dando origine a due spiagge, nominate Baia dell'Oblio e Baia Dorata. Le sorse il desiderio di rivedere la prima, più piccola e raccolta, ed andare ad ascoltare il rumore del mare, nel silenzio di una giornata di fine inverno, ma non c'era tempo e affrettò il passo verso la sua meta.

    Attraversò la via tra le piccole case di contadini, pescatori e artigiani, tra cui c'era anche quella di parte dei suoi famigliari, passò davanti alla Casa d'argento, sede del rector, il rappresentante del re nel piccolo borgo, e poco dopo si trovò nella piazza del tempio dove si era raccolto un gruppo di persone di diverse classi. Sorrise perché finalmente poteva riabbracciare i suoi.

    Il fratello maggiore Thefri, un Thisnaith, stregone d'acqua, alto e dal fisico atletico, stempiato, con labbra e occhi azzurri che ricordavano il colore dell'acqua e piccole branchie sul collo, che gli permettevano di respirare durante le immersioni, in parte nascoste da un tebenna turchese bordata di bianco e verde, che copriva un chitone candido, aveva accompagnato là Tatia, donna, sorellastra della loro nonna materna. Ormai anziana e quasi completamente cieca, magra nelle braccia e nelle gambe e con la schiena leggermente incurvata in avanti, ma con un seno ancora prosperoso e ventre rigonfio, aveva un naso pronunciato e bocca ampia, con labbra rosa leggermente livide, pelle ancora liscia nonostante l'età, capelli corti e completamente bianchi, che si alzavano liberi dal capo, occhi piccoli ma ancora espressivi, di un intenso castano scuro. Era vestita da capi interamente di lana, una gonna bruna che si intravedeva sotto una lunga casacca color pesca dalle maniche a tre quarti e al mantello blu, e portava gioielli eleganti e sobri.

    Poco più in là, c'era Velthur, il fratello della nonna materna e fratellastro di Tatia, della classe dei Fauni, alto e slanciato, dal fisico possente con robuste zampe caprine. L'età avanzata si poteva desumere soltanto da peluria e capelli imbiancati, che si intravedevano nel manto e nella chioma marrone, che copriva in parte le orecchie appuntite e incorniciava un viso regolare, dalla forma tondeggiante e con lineamenti fini, che avevano sempre colpito tutti per la loro armonia e la loro bellezza. Le spalle larghe e il corpo erano coperti da una pesante tebenna rovinata dal tempo, grigia con bordature blu, mentre un perizoma, antico capo dei Rasna, nascondeva l'inguine. Non era insieme a Thefri e alla sorellastra a causa di screzi sfociati in un litigio, successo molti anni prima, ma per cui non si erano più riappacificati, nonostante vivessero nello stesso stabile e si incrociassero spesso.

    Il fatto risaliva a quando Steleth era una bambina e abitava ancora con la madre e il padre nella casa sopra a quella dove vivevano Tatia e la nonna Nacna e in cui Velthur si era introdotto, perché rimasto solo e senza un'occupazione, confidando nella loro parentela e nell'affetto che Nacna, sua sorella, aveva sempre avuto per lui. Il fauno, che aveva evidentemente abitudini diverse dalle due donne e modi molto più selvatici, non si era molto adattato alle consuetudini della casa, aveva reso la convivenza più pesante per tutti ed erano cominciati piccoli sgarbi e ripicche da entrambe le parti. Steleth, quando non era a scuola, passava molto tempo da loro, sotto le cure della nonna e della prozia ma avrebbe voluto, ovviamente, stare maggior tempo con i genitori. La madre Ati, sempre impegnata nella loro bottega, un giorno, dopo che avevano appena finito di pranzare, doveva correre in negozio, ma la piccola non voleva lasciarla andare e piangeva, urlando. Non sopportando il pianto della piccola strega, Velthur prese un prezioso piatto nero, con dipinta al centro la bellissima dea Turan in rosso, circondata da un motivo a onda, e lo scaraventò per terra, urlando qualcosa che ormai con il passare degli anni Steleth non ricordava più. La bambina si ammutolì spaventata e Tatia, vista la reazione della piccola, disse, come se stesse proseguendo un discorso già avviato: Allora vattene. Già a partire dal quella sera, Velthur lasciò la casa, ritornando nella sua, che stava, in realtà, al piano di sotto. Da quel momento i due prozii non si erano più parlati. Velthur aveva poi comunque mantenuto i contatti con i due nipoti e ogni volta che tornavano da Medhelan faceva trovare loro pesci appena pescati o qualcosa di particolare, o gli preparava del cibo secondo la tradizione dei Rasna.

    Più in disparte rispetto alla folla, su un lato della piazza, c'era il padre, Vulca, un Usilth, stregone di aria e di cielo. Nonostante l'età stesse avanzando inesorabile anche per lui, aveva ancora un aspetto piacente: non era molto alto ma aveva un fisico curato, capelli mossi, dalla lunghezza media, con una leggera stempiatura, viso ovale, con gli zigomi leggermente alti, mento stretto con la fossetta, che il viso di Thefri aveva ripreso, naso dalla punta larga che ricordava quello della figlia, la carnagione chiara, quasi bianca, della sua classe, occhi verdi e labbra carnose. Si era sempre distinto per la sua eleganza, grazie anche al lavoro e alla dedizione della madre, che confezionava abiti per mestiere, e portava un chitone in lana azzurra, con bordi di tre colori, su cui era appoggiata una tebenna verde scuro con orlo rosso, decorato con motivi a losanghe candide. Stava parlando, mentre passeggiavano lentamente avanti e indietro, proprio con sua madre, Holaie, Arath anziana e claudicante fin dalla nascita con capelli grigi, raccolti in una lunga treccia, viso allungato e un poco rugoso, espressivi occhi scuri, naso sottile e bocca fine, color nocciola, che sorrideva poco. A incorniciarlo gioielli sottili, in filigrana, che riproducevano diversi fiori. La sua lunga tunica era del colore della senape ed era coperta anche sul capo da un pesante mantello glicine. Con loro, la sorella maggiore di lei e zia di Vulca, Velia, anch'ella Arath, più alta e robusta rispetto a Holaie, con i capelli grigi raccolti in una crocchia, con il volto ovale ma dalla mascella più pronunciata, gli occhi scuri e larghi, naso grazioso ma lievemente ossuto e bocca larga, scurissima e sempre sorridente. Il suo chitone era blu intenso con bordi a motivi geometrici di diversi colori mentre il suo mantello era verde e foderato di rosso, con l'orlo cucito con fili d'argento.

    La famiglia di Vulca dopo la separazione – ma in realtà anche in precedenza – non aveva mai avuto buoni rapporti con quella di Ati. Ora chi salutare prima del suo litigioso clan, senza offendere nessuno?

    Tolse Steleth da questo impiccio il fratello, che, vedendola arrivare, prese per mano Tatia e si diresse verso di lei. Un sorriso, un abbraccio e anche un po' di commozione da parte dell'anziana che non incontrava da tempo la nipote, poi le parole:

    Bentornata Steleth, sono felice di ritrovarti in questo momento. Sembra che le fatiche per noi vecchi non siano finite mentre voi siete chiamati a dimostrare il vostro valore!.

    Anche io sono felice di essere tornata, zia! Ma che cosa posso mettere a disposizione io, semplice Arath, per la difesa del Regno?.

    Tutti hanno le capacità di compiere grandi azioni. Sapremo presto che cosa ci viene chiesto dagli dei, rispose la donna.

    Mentre anche Velthur, Holaie, Velia e Vulca si stavano avvicinando per salutarla, un gruppo di Ministri del destino, i sacerdoti depositari del culto di Maris assieme all'Aruth, uscì dal tempio e si dispose in fila davanti al basamento dell'edificio, lasciando uno spazio in mezzo a loro.

    Tutti gli astanti, abitanti di Vestres, tra cui anche il rector e alcuni funzionari, che erano appena sopraggiunti, e diversi forestieri, si voltarono verso la struttura monumentale, composta da un podio rialzato in pietra grigia, con una scala che portava a un portico retto da una doppia di fila di colonne in pietra liscia e un capitello sottile. Dietro alle colonne, tre porte, punto di accesso a tre diverse celle: quella centrale dove si trovava la statua di Maris e dove sacerdoti e popolo si raccoglievano per pregare; le due laterali, inaccessibili alla gente, dove era custodito un grande insieme di libri sacri, antiche pergamene in cui erano tramandati rituali, precetti e misteri che gli Dei Superiori avevano dato in custodia ai religiosi.

    Ma ad attirare maggiormente l'attenzione era il frontone in ardesia, che in un inusuale colore nero, rappresentava, con un realismo quasi inarrivabile, scene dello Scontro degli Eterni e la gloria di Maris. Questo era circondato da lastre di rivestimento in terracotta dipinta in vari colori, tra cui spiccavano il nero e il rosso, ornate da figure geometriche e antefisse che riproducevano animali fantastici, mentre un ampio corredo di statue campeggiava sul tetto: erano raffigurati i Chechanar, ossia gli dei Evan, la dea alata dell'immortalità, Turan, la bellissima dea dell'amore e della guerra, vestita di una tunica rossa, e armata di elmo, scudo e lancia, e circondata dalle Lase, divinità femminili minori, Turms, il messaggero degli dei, con il suo bastone di metallo di luce, e la coppia di dei infernali Manth e Mania. Intorno a loro, una miriade di statue con le fattezze di demoni e spiriti dei diversi elementi.

    Poco dopo l'arrivo dei sacerdoti uscì dal tempio con andatura sicura e spedita, testa alta e sguardo altero, Tarchun, l'Aruth, guida dei Ministri del destino e Sians, padre di tutti gli uomini. Andò a fermarsi prima della scala di accesso al tempio, rimanendo nel porticato e ben visibile da tutti. Il suo alto cappello conico in candida lana, con una grande falda, era poggiato su una chioma folta e raccolta in una treccia nera, in cui cominciavano a fare capolino alcuni fili bianchi. Un pesante mantello frangiato nei toni delle vinacce e foderato di marrone, era chiuso sotto il collo da una spilla in oro, perfettamente tonda, con un decoro a spirale in elettro, con sfumature che davano il risultato di profondità ed eleganza. Al di sotto, il capo lasciava soltanto intravedere il chitone bianco in un particolare tessuto lucente arrivato dalle regioni orientali orlato di porpora e oro che scendeva al di sotto del ginocchio. Ai piedi l'Aruth portava degli stivaletti in cuoio, alti fino alla caviglia e dalla caratteristica punta ricurva. In mano aveva il lituo, un bastone magico fatto di elettro, curvo da un'estremità e lungo quanto il suo braccio. Il suo sguardo severo andò a osservare il gruppo di persone che nel frattempo si era raccolto davanti a lui, probabilmente per verificare la presenza di tutti i convocati.

    Steleth lo guardava con ammirazione anche se dall'ultima volta lo trovava invecchiato e deperito, con gli occhi azzurri un poco incavati e il fisico, già magro, ancora più smunto. Inoltre, il suo viso, dai tratti delicati e quasi privo di barba, stava cominciando a cadere e venarsi di piccole rughe. Non aveva avuto spesso a che fare con quell'uomo e personalmente aveva avuto poche occasioni di parlargli ma gli era sempre sembrato un Sians ineccepibile e depositario di grande saggezza e sapere. Altri membri della sua famiglia ricordavano con maggior affetto alcuni degli Aruth precedenti mentre Velthur non sopportava nessun religioso e metteva sempre in discussione la dottrina predicata dai diversi ordini.

    Un chiacchiericcio si alzò nella piazza ma fu subito sedato dalla guida, con un semplice gesto della mano. Quindi, con voce grave e severa, iniziò il suo discorso:

    Sono passate due ere da quando Vecu, la Lasa alata effigiata anche sul tetto di questo tempio, scrisse la profezia che annunciava la fine dei Rasna nella nostra epoca. Forse quel momento è arrivato. Per evitarlo, dobbiamo cercare di usare tutte le forze che abbiamo a disposizione, ora che il pericolo da Alos incombe. Ataris, che ha fondato l'isola di sale, e Turno, il condottiero al suo fianco, continuano con frequenti attacchi di guerriglia a indebolire le nostre difese mentre i loro adepti che si sono autonominati sacerdoti di Aplu hanno riscosso in tutto il mondo numerosi consensi tanto che il potere di Maris e dei Chechanar si sta indebolendo. Di pari passo, la potenza del dio del Sole sta aumentando sempre di più. Se Vestres cade e con essa le nostre divinità, l'intero Regno di Ligys e oserei dire l'intero mondo è in pericolo. Il re ha sottovalutato una grande minaccia e ha ritirato le truppe del suo esercito per portarlo a difendere un'altra regione del Regno. Se non corriamo ai ripari subito Alos avrà la meglio e l'unica soluzione per salvarci sarà un'altro Scontro degli Eterni in cui i nostri dei combatterebbero contro Aplu.

    A queste parole si diffusero tra gli astanti diverse reazioni: chi si portò al volto le mani in segno di preoccupazione, chi si scambiò sguardi interrogativi con altri, chi si mostrò scettico. L'Aruth aspettò che il brusio terminasse poi riprese la parola per invitare i convocati all'interno del tempio di Maris: La lettera che vi ho inviato avrà fatto nascere in voi diversi interrogativi. Entrate nella casa di Maris, vi spiegherò il motivo della vostra convocazione e benedirò il vostro arrivo. Con noi ci sarà il rector di Vestres, Mocezio, con cui ho deciso di intraprendere questo passo. Lui è costantemente attivo per riportare qui l'esercito del re.

    Senza aggiungere altro né aspettare risposta si voltò e rientrò nella stanza centrale dell'edificio. I sacerdoti, scalzi e vestiti da un chitone a maniche lunghe grigio e un mantello rosso scuro, fino a quel momento rimasti immobili, invitarono i presenti a prendere posto all'interno della stanza. Quando il gruppo fu raccolto nello spazio di fronte alla statua del dio, ci fu un momento di attesa dopo cui arrivarono due Ministri del destino con frutta e latte da offrire a Maris, poi gli altri sacerdoti chiusero i battenti e si disposero sui lati dell'ambiente. I due religiosi porsero le offerte a Tarchun che le posò ai piedi del simulacro in terracotta della divinità, raffigurato come un uomo giovane e senza barba, dal fisico possente, nell'atto di lanciare una freccia con l'arco. I suoi occhi erano neri mentre i capelli lunghi e raccolti in trecce erano fermati sulla fronte da un diadema d'oro. Il dio era parzialmente vestito da un lungo mantello giallo dai fitti drappeggi.

    Nella speranza di aver interpretato correttamente i segni che ci hai mandato, ti offriamo i frutti della stagione più fredda e latte per ringraziarti della protezione che vorrai offrirci nell'impresa che, per te, siamo pronti ad affrontare.

    L'Aruth si inchinò davanti al dio, poi si rivolse nuovamente agli astanti, un gruppo eterogeneo, in cui comparivano diverse classi di streghe, uomini, fauni e anche un gigante, per arrivare a svelare il motivo della loro presenza là:

    Maris, dopo un lungo silenzio in cui il dio reggente e i Chechanar non davano alcun tipo di indicazione agli uomini, ci ha mostrato la strada da percorrere per risollevare le nostre sorti: per ridare forza al nostro regno e un appoggio agli immortali che ci governano, dobbiamo richiamare gli Antichi Dei – atto in cui per la prima volta un Aruth sarà chiamato a compiere un incantesimo - e, se questo non fosse sufficiente, risvegliare le Furie.

    A queste parole, qualcuno trasalì, altri si scambiarono sguardi dubbiosi, altri cominciarono a tempestarlo di domande, turbati da quello che avevano appena sentito:

    Non si sa nulla degli Antichi Dei da centinaia di anni. Come facciamo a risvegliarli se non sappiamo nemmeno dove sono?, chiedeva qualcuno.

    Ammettiamo anche di riuscire a riportare qui gli Antichi Dei. Come fai ad essere sicuro che si schiereranno dalla parte di Maris, visto che lui li ha sconfitti e condannati a vivere in chissà quale parte della terra, forse prigionieri in qualche caverna nel centro del globo o nei più profondi e freddi abissi del mare?, domandavano altri.

    Le Furie! Sono racchiuse, qui vicino, nel ventre delle Montagne del Lupo perché alla fine dello Scontro degli Eterni avevano messo a ferro e fuoco l'intero regno!, esclamavano altri ancora. Risvegliarle potrebbe essere molto pericoloso!.

    Diteci allora perché ci avete chiamati. Noi cosa abbiamo a che fare con tutto questo?, chiedevano i più.

    Tarchun alzò le mani per richiedere silenzio e quando gli animi dei presenti si furono placati cercò di rispondere alle domande:

    Sappiamo dove sono gli Antichi Dei. Queste informazioni sono state tramandate nei secoli dai libri e dalle pergamene custoditi dai Ministri del destino, che non sono mai stati accessibili al popolo.

    Fece una pausa poi proseguì: "Alla fine dello Scontro degli Eterni, gli Antichi Dei, usciti sconfitti, sono andati incontro a destini diversi. Alcuni di questi, quelli minori o quelli al contrario necessari per il controllo di alcuni elementi, hanno visto i loro poteri indeboliti e sono stati relegati in angoli remoti della Terra, nel Mare o nel regno dei morti.

    Per quanto riguarda le divinità più potenti, la paura dei vincitori che questi potessero tornare e ribellarsi era troppo forte. Così Maris e Thanchvil, uno dei più grandi maghi mai esistiti, a cui poi fu affidato dal dio il compito di fondare i Ministri del Destino, hanno lanciato sopra di loro un potente incantesimo. I nemici più pericolosi per il dio guida e i Chechanar sono stati intrappolati nella forma umana, costretti a passare di vita in vita, senza ricordarsi della loro vera identità. Potranno tornare alla loro essenza solo dopo aver seguito le prove che compongono la Via del ritorno segreto i cui passi sono custoditi dal nostro ordine da diversi millenni."

    E allora dove sono questi potenti Antichi dei?, chiese Velthur con voce scettica.

    Dopo qualche attimo di tentennamento, Tarchun rispose secco:

    Siete voi!

    Seguì un'altra reazione tumultuosa, ancora più grande della prima. Chi si confrontava animatamente con gli altri, chi inveiva contro Tarchun, chi se la prendeva col il rector Mocezio, chi, invece, era rimasto attonito e immobile. Tutti i presenti erano increduli e non volevano accettare le parole pronunciate dall'Aruth:

    Non posso crederci! Ma come puoi dirci una cosa del genere!

    Siamo uomini di carne e ossa! Se fossimo dei ce ne saremmo accorti da tempo!

    Se pensate di vincere così la guerra, allora siamo perduti!

    Se io sono uno degli Antichi Dei, allora mia suocera è una delle Furie!

    Queste alcune delle voci che si susseguivano tra i presenti e che si facevano sempre più incomprensibili con l'intensificarsi delle urla di commento a quello che era appena stato detto.

    Infine, Velthur, alzò in aria le braccia, nell'atto di chiedere silenzio, e lo ottenne, con un po' di fatica, mentre anche gli altri Ministri del Destino e Tarchun cercavano di fare lo stesso.

    Quindi, il fauno parlò: In primo luogo, dovresti dimostrarci che quello che dici è vero. In secondo luogo, come già qualcuno chiedeva, chi ti assicura che gli Antichi Dei, ritrovata la loro forma, non si mettano di nuovo a fare la guerra a Maris o, peggio, non si alleino con Aplu?.

    Terzo – intervenne Steleth – che cosa succederà quando verremo trasformati in dei? Dobbiamo lasciarci alle spalle la nostra vita umana? La nostra famiglia, i nostri figli? E se non volessimo farlo?.

    Tutte queste domande sono più che legittime e non tarderanno ad avere risposta, affermò Tarchun.

    A un suo cenno si fecero avanti due sacerdoti con un grande rotolo di pergamena.

    Questo è il Mysterii Liber, testo custodito dai Ministri del Destino, che lo hanno tenuto segreto per volere di Maris e lo hanno aggiornato nei secoli. Narra la storia dello Scontro degli Eterni e la vostra. Fu stabilito dai vincitori e da Thanchvil di tracciare il percorso delle divinità da un essere umano all'altro, sapendo che poteva essere necessario avere bisogno di loro, in modo da ritrovarle facilmente e riportarle alla loro essenza di immortali. Questo momento è arrivato. Ci sono dei segni decisi da Maris e dai Chechanar che i Ministri del destino hanno seguito nel tempo, per non perdere traccia degli dei e conoscere chi sono gli Aisna, Divini, nell'antica lingua dei Rasna, ossia gli umani che nascondono un immortale dentro di sé. Farò un esempio, legato a un particolare fisico, svelando la vera identità di uno di voi: una delle caratteristiche di Ate, la dea della discordia, è quello di essere zoppa, proprio come te Holaie. Inoltre, voi tutti avete sempre espresso al massimo o quasi le caratteristiche delle vostre rispettive classi.

    Il sacerdote notò che il gruppo lo stava ascoltando con attenzione, anche se qualcuno tratteneva in maniera evidente la rabbia. Proseguì comunque con il suo discorso: Purtroppo il passare degli anni, la disattenzione di alcuni trascrittori nel ricopiare il libro, la difficoltà di interpretare i testi antichi, scritti in una lingua ormai lontana, ci hanno portato a perdere le tracce di alcuni dei e a non essere completamente sicuri di tutte le corrispondenze. Scopriremo se le nostre ricostruzioni sono giuste dopo aver fatto insieme il percorso di prove che vi aspetta nella Via del Ritorno Segreto.

    Dopodiché, qual è il piano? Se come dici tu, terminato questo cammino, ritorniamo ad essere dei, che cosa saremo chiamati a fare? A far scoppiare un'altra guerra tra eterni e distruggere nuovamente la Terra?, chiese Thefri.

    Basterà il vostro ritorno per riportare Aplu e Ataris a più miti consigli e a cercare un accordo. Se non sarà così, gli dei si scontreranno e se non bastasse, come dicevo prima, dovremo risvegliare le Furie.

    Non c'è un altro modo? disse uno dei forestieri. Durante lo Scontro degli Eterni le terre sono state devastate, molti uomini sono stati costretti ad andare via dalla loro casa, i vulcani sono stati risvegliati, coprendo per mesi la terra di lava incandescente, le alluvioni hanno trascinato via le foreste e le frane hanno cambiato il profilo dei monti, le maree hanno nascosto intere città sotto alle onde. E ora questo sta per ripetersi? E poi, chi ti dice che non andremo a schierarci con Aplu, mettendo fine al regno dei Rasna?.

    Nella lettera che vi ho mandato è riportata la storia dell'inizio del mondo e della nascita degli umani. Gli dei sono influenzati dai sentimenti e dalla fede dei mortali e da quello che succede tra loro. Maris è indebolito dalle continue perdite di fiducia nei suoi confronti e di sconfitte sul campo da parte degli uomini. L'arrivo della vostra forza può essere decisiva. Gli Antichi Dei si schiereranno con Maris, su quello siamo sicuri: è pronto ad offrire un'alleanza basata su pace e condivisione in cambio del vostro aiuto. Altre due soluzioni poi, ci sarebbero. O che si chiudesse in qualche modo il conflitto qui nel mondo, non si sa però con quali conseguenze per Maris, oppure basterebbe trovare la divinità più potente di tutte, il Demone Perduto, che sarebbe in grado con la sua forza di mettere a tacere chiunque si dimostrasse suo nemico. Ma di lei non si sa più nulla da secoli e le nostre ricerche sono state vane.

    Il Demone Perduto?, chiesero molti all'unisono.

    "Culsu, si chiamava Culsu! – spiegò Tatia -. Pensavo che la sua storia fosse di pura invenzione. L'ho letta tanto tempo fa, quando ancora riuscivo a vedere. Era la guardiana di Tufulta, il Regno dei Morti, un demone bellissimo, con grandi ali dalle piume di diversi colori. I suoi occhi castani si arricchivano delle gradazioni del verde quando erano colpiti dal sole e spiccavano sul suo viso candido, incorniciato da lunghissimi ricci neri. Il suo corpo scultoreo era coperto da una sottile e lunga tunica di lino del colore del cielo notturno che lasciava scoperto il seno ed era fermata in vita da una cintura candida, ricamata da fili d'argento. Era talmente bella che si diceva fosse facile morire sapendo di incontrarla sulla soglia di Tufulta, mentre controllava l'ingresso con una torcia e delle forbici.

    Finito lo Scontro degli Eterni, Maris viaggiava sulla terra per conoscere le altre divinità, organizzare i diversi regni e capire se poteva fidarsi o meno di loro. Non appena la vide se ne innamorò. Il suo sentimento fu subito corrisposto da Culsu che fu elevata da guardiana dell'Oltretomba a dea. Poté salire dal sottosuolo e librarsi nell'aria passando splendente nel Cielo. Con il tempo Maris le donò molti poteri, che si aggiungevano a quelli che già possedeva, ossia conoscere il passato e il futuro, le arti magiche e la divinazione: a lei fu dato il ruolo di sovraintendere al controllo degli elementi naturali, della pioggia e de vento, del cambio delle stagioni, poté comunicare con gli animali e ammansirli, domare i fulmini e il fuoco, oltre a controllare mostri immortali.

    All'inizio il suo comportamento fu impeccabile e tutti l'adoravano. Amava volare con la sua forma visibile all'uomo nel cielo e mostrarsi ai diversi popoli. Gli umani alla sua vista si sentivano rassicurati: li aiutò a risollevare la terra dal periodo successivo alla guerra. Con il tempo, però, divenne superba e si approfittava sempre più spesso delle sue capacità. Le discussioni con Maris che le chiedeva di mantenere un comportamento equo con gli uomini e gli altri dei diventavano sempre più aspre finchè, dopo un litigio più intenso, reagì con impeto e mandò in rovina la regione della Grande Pianura: chicchi di grandine grossi come noci devastarono i raccolti e le case, il cielo rimase oscurato per giorni mentre a causa delle continue intemperie i fiumi strariparono inondando colture e paesi. Quando la popolazione, ridotta allo stremo, maledisse gli dei, Maris si indignò e le inflisse una terribile pena, che sembra simile a quella riservata agli Antichi Dei, di cui Tarchun ci ha appena parlato. Fu condannata a reincarnarsi in esseri umani nel corso delle generazioni. Tornerà ad essere Culsu soltanto se da sola prenderà coscienza di essere il Demone Perduto, comprendendo quali sono le conseguenze della superbia e soprattutto dell'ira".

    Questo è riportato nel Libro della Rinascita, che narra avvenimenti accaduti, aggiungendo una buona dose di elementi fantastici per rendere la storia più avvincente. Del resto è un testo scritto per intrattenere e non è un testo sacro, commentò Tarchun.

    Maris ha lasciato tracce per ritrovarla?, chiese Tatia.

    No, non ci sono tracce – rispose l'Aruth -. Abbiamo provato a cercare informazioni su Culsu nei testi delle biblioteche più importanti e antiche e nei libri magici, ma non c'è niente da fare. Sembra quasi che Maris non voglia togliere la maledizione su di lei e nemmeno svelare dove si trova, posto che lo sappia.

    La guida guardò gli astanti uno per uno, poi li invitò a incontrarsi il giorno seguente: Domani ognuno di voi avrà modo di confrontarsi individualmente con me, in modo da sciogliere i vostri dubbi e capire cosa c'è da fare. Renderemo poi noto all'intero popolo....

    A quel punto Tarchun fu interrotto da qualcuno che bussava alle porte del tempio. Con un cenno, comandò ad un Ministro del Destino di aprire. Entrò un gruppo di Veggenti di Farthan, le sacerdotesse della dea Turan, con il naufrago catturato sugli scogli.

    Abbiamo trovato quest'uomo sulla costa ad Est. E' arrivato nuotando, stremato. Abbiamo provato ad interrogarlo ma non vuole parlare. Sicuramente proviene dall'isola di sale. Ha una collana su cui è inciso il sole.

    Portatelo nelle prigioni – sentenziò Tarchun -. Proveremo ad avere da lui qualche informazione utile.

    Tarchun tornò poi a rivolgersi ai futuri dei: Voi andate. Domani all'alba cominceranno i vostri incontri con me e il concilio, qui nel tempio. Che sia una notte di riflessione per voi. Vi aspetta un giorno importante.

    Il gruppo si accomiatò dandosi appuntamento al giorno seguente.

    La sirena e il tritone

    La sirena guardava la riva rocciosa della terraferma dagli scogli dell'isola. Il sole stava scendendo e il cielo si stava infiammando dei colori del tramonto mentre il corpo della creatura, disteso sulle pietre, si scaldava e asciugava ai suoi raggi, in un momento di riposo. Ma la sua presenza non passò inosservata: un grosso tritone, dal mare, ammirava il suo corpo candido, i suoi capelli lunghissimi fatti di alghe, il suo seno che due grandi conchiglie faticavano a contenere e il suo viso dai tratti sottili e perfetti, con la bocca del colore del fuoco. Senza farsi notare, le si avvicinò, nuotando, e la invitò a rientrare in acqua per stare con lui. Lei rifiutò e nonostante l'insistenza di lui si ritraeva sullo scoglio. Il tritone allora la prese con la forza, trascinandola in acqua. La sirena, allora, invocò il dio del mare in sua difesa, e questi non tardò ad aiutarla: Nethuns, condannando quella violenza, maledisse l'abitante del mare. Il corpo del tritone si immobilizzò, la sua coda dalla pelle lucente, con i riflessi uguali a quelli dell'acqua, perse la sua brillantezza e il suo colore per diventare rigida e dura. I suoi capelli e la sua lunga barba smisero di fluttuare e si irrigidirono, i suoi occhi si bloccarono e le sue braccia non poterono più stringere la sirena, che poté svincolarsi e fuggire. Era diventato di pietra, rimanendo immobile nell'acqua nell'atto di trattenere la sua preda. Come monito, il dio del mare pose il suo corpo impietrito, tra la terraferma e l'isola. Con il tempo, il lavoro incessante dell'acqua lo consumò rendendolo prima una spiaggia di ciottoli poi di sabbia. Si era così creato l'istmo che caratterizzava Vestres.

    Thefri era su quella spiaggia al tramonto e la sua mente vagava, ripercorrendo la leggenda della nascita del suo paese. Il dio dell'acqua e della tempesta lo aveva creato e quel dio poteva essere lui, Thisnaith, che era nato lì e lì aveva imparato a conoscere il mare, a rispettarlo, a sfruttarlo solo per il cibo e per necessità. Era cresciuto in quel luogo e tra quei flutti dove riusciva a comunicare con i suoi abitanti, a chiamarli in caso di aiuto, a usarlo come medicina per la cura di diverse patologie e come rifugio, quando i genitori erano in balia delle loro liti. Poi era arrivato il momento di andare via, seguire la madre nella Grande Pianura. Lì aveva trovato diverse occupazioni e si era costruito una famiglia per poi specializzarsi nella cura dei malati, lui che era stato a contatto e conosceva il più grande rimedio del mondo, come aiuto di alcuni dei più rinomati dottori di Medhelan. Ma parte del suo cuore era rimasto a Vestres.

    Il cielo era terso e le rade nuvole del cielo di fine inverno risplendevano delle sfumature del fuoco, mutando nei colori più scuri con il lento passare del tempo. Rifletteva su quello che era stato detto durante l'incontro con Tarchun. Dopo lo scetticismo iniziale, se da un lato condivideva i timori di sua sorella, che aveva espresso la paura di abbandonare i suoi cari e la sua famiglia, dall'altro era infervorato dalla possibilità di diventare un dio da lì a poco tempo. Il tutto, però, per combattere, probabilmente, un'altra guerra tra dei. Se avessero perso, quale condanna poteva ricevere questa volta?

    Ogni certezza anche per te è stata spazzata via.

    Thefri si voltò, riconoscendo la voce di Holaie.

    "No. Le certezze sono rimaste, nonna. La mia vita, la mia esperienza, i miei luoghi e voi ci siete ancora. Sono solo aumentati i dubbi e le paure. Se Tarchun non è un pazzo ed è vero quello che dice, sta per esserci un grande conflitto che coinvolgerà umani ed eterni.

    Questo porterà, come in passato, cambiamenti indelebili in ogni parte del mondo e forse anche dell'universo, segnando la storia dei mortali, quelli che sopravvivono e quelli che verranno. Da un lato mi alletta l'idea di essere un dio, dall'altro comprendo e condivido anche il punto di vista di Steleth".

    Siamo chiamati a difendere quello che amiamo, sia da uomini sia da dei. E quello che amiamo è legato a questo stato di cose, in equilibrio precario tra tanti elementi. Credo che siamo tenuti a combattere, sia noi vecchi, sia voi adulti, sia i giovani che erano presenti al tempio, sia in forma mortale sia divina, se davvero ci sarà concesso.

    Tu sarai chiamata a portare la discordia tra i nemici - sorrise Thefri -. Io ancora non lo so.

    La discordia... - sospirò Holaie -. Tuo padre e tua zia mi hanno già detto che mi ci vedono nei panni di Ate, che si aggirava invisibile tra gli uomini a riempirli di tracotanza e superbia, in modo da metterli l'uno contro l'altro. Da giovane ne avevo sempre per tutti. Forse te lo hanno già raccontato, ma una volta sono stata anche causa di discordia, perché sono ranga.

    Non lo sapevo, veramente. Cosa è successo?.

    Prima che conoscessi tuo nonno, ero innamorata di un ragazzo che stava nel Paese vicino. Era un bell'uomo, alto e grosso, ma buono. Nei giorni di riposo passava sotto la finestra della mia casa e mi dava un segnale per chiedermi di andare da lui. Avrei fatto una vita felice se lo avessi sposato. Ma, siccome sono zoppa, la sua famiglia non ha voluto e dopo liti infinite ci siamo lasciati. Lui non voleva e quando uscivo per qualche occasione e stavo con le amiche lui mi seguiva sempre. Siamo stati insieme per molti anni poi è stato costretto a sposare una sua cucina ed è morto qualche anno dopo. Ci ho sofferto molto perché gli volevo bene.

    Terminato il breve racconto, la Arath andò al sodo:

    "Volevo chiederti se sai dove è tua sorella. Non la troviamo da nessuna parte. I Ministri del Destino e le

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