Gentrification: guida semiseria a un fenomeno urbano
By Irene Ranaldi and Salvatore Santuccio
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Book preview
Gentrification - Irene Ranaldi
Piccola guida al disegno no-gentry
di Salvatore Santuccio
Per quanto presa con leggerezza, la gentrification è un fenomeno inquietante e irreversibile, caratterizzato dal cinismo di chi lo perpetra e dal senso generale di nostalgia di chi lo subisce.
Il processo è sostenuto da una grande truffa: «Così miglioriamo!». Migliora il quartiere, migliora il negozio, migliora la spiaggia, migliora tutto, ma con una prospettiva che vede nel meglio
un modello commerciale e modaiolo, lontano da tradizioni, differenze, cultura locale e pathos loci (chissà se si può dire?).
Il mio modo di contrastare questa aggressione modaiola e trendy è nel sarcasmo del disegno, nell’irriverenza della matita che mette l’osservatore direttamente di fronte al paradosso delle scelte che sostengono alcuni fenomeni di standardizzazione del fico
, del cool
, dell’à la page
.
Per descrivere ironicamente la gentrification c’è bisogno di disegnare immagini chiare e dirette, ma nel contempo c’è la necessità di descrivere un processo, un percorso articolato nel tempo; e così, i disegni qui presentati assumono la caratteristica di piccole narrazioni temporali, di eventi che nel loro svolgersi cercano di descrivere l’essenza del fenomeno.
I disegni prodotti hanno l’intenzione di criticare la superficialità con la quale è assorbito il fenomeno sociale, nella speranza di renderlo più chiaro: sfottere il progresso di un quartiere che rivendica la sua specificità nella perdita di specificità, che diventa uguale a mille altri quartieri di mille altri posti ovunque, è una delle poche armi che abbiamo per cercare di porre attenzione al fenomeno. Il sarcasmo può far vergognare e la vergogna alle volte fa riflettere.
Intanto qui, di seguito, ho cercato di produrre un piccolo elenco di fenomeni sui quali ragionare, fatto a matita e acquerello, cercando di puntualizzare delle questioni con degli spot che inquadrino con dura ma simpatica crudeltà dove stiamo andando e (forse) perché.
I terreni di questa descrizione sono diversi, e diverse sono anche le scale.
Si va dalla city tipologica proposta da una certa cultura urbana modaiola: la città del Verde, la città del Vetro, la città dall’estetica dominante, univoca, omologante, firmata
dall’archistar di turno; fino alla soppressione della trattoria con cibi ed estetica locale, a vantaggio di ristoranti tutti uguali, con tavoli e sedie di plastiche raffinate, con bottigliette stile deodorante per versare l’olio ecc.
Si denuncia la progressiva scomparsa del mercato rionale, con il caos e il colorito paesaggio di cassette, ombrelloni e rapporto personale con il venditore artigiano, che viene sostituito da contenitori modello non-lieu di Marc Augé, in cui la grande distribuzione omologa le scelte nel mangiare, nel vestirsi, nello spendere i propri soldi.
Infine, una serie di disegni che tentano di raccontare la trasformazione urbana, il lento e sordido processo di sostituzione dei centri più vitali delle nostre città, lentamente ma inesorabilmente modificati in luoghi del trendy, anonimi e annoiati; con una puntata nel fenomeno della gentrification delle spiagge e del consumo del tempo libero che ha nel Salento uno degli esempi più tristemente chiari.
Un excursus di flash disegnati che vogliono mordere la coscienza di chi si adagia sulla deriva globalizzata di un sistema economico che fagocita le differenze e con esse la cultura.
Il resto lo fa il testo scritto che, con più spazio e meno insolenza, ragiona e non si limita a provocare.
Miti e leggende sulla gentrification
I miti e le leggende sulla gentrification sono innumerevoli. Partiamo quindi con una definizione semiseria, o semplificata.
La gentrification è un processo urbano che si caratterizza con una sorta di lenta e pacifica invasione dei quartieri della working class da parte delle classi medie. Coloro che una volta si chiamavano borghesi
vogliono trasferirsi in un quartiere un po’ malandato e popolare. La molla dell’attrazione deve essere però la narrazione della creative city
: la borghesia è attirata dalla vitalità dei quartieri più poveri, ma questi devono essere allo stesso tempo creativi, ci devono essere ancora i posti in cui si mangia bene, l’atmosfera deve apparire informale e per le strade ci deve essere la gente del popolo
, la signora col carrello della spesa mescolata agli artisti, ai musicisti e a tutte quelle persone fintamente vestite con un sacco di iuta ad una prima osservazione (ma, ad una seconda osservazione, con abiti ecologic e cruelty free che, al di là della condivisione etica della questione, hanno costi non certamente accessibili ai più).
Tuttavia, alla fine del processo la borghesia detesterà proprio i motivi per cui è attirata da un quartiere: vuole i locali sempre aperti ma allo stesso tempo vuole godere del riposo notturno; vuole le strade animate ma non vuole vedere troppa gente, anche perché spesso svolge professioni creative e lavora comodamente da casa e ha necessità di silenzio e concentrazione; vuole la multietnicità per poter dire agli amici professionisti invitati a cena quanto è stato pittoresco comprare il coriandolo fresco dal Bangla
e essersi fatti spiegare che non si tratta di prezzemolo, ma allo stesso tempo ha paura di troppa etnicità.
La gentrification alla fine è una grande mantide religiosa urbana: finisce per uccidere ciò che ama.
È successo negli anni a Berlino, nel quartiere molto vivo di Kreuzberg, tradizionalmente uno dei più poveri della ex Berlino Ovest, e in tutti i quartieri della ex Berlino Est come Mitte, dove fino a dieci anni fa si potevano trovare ancora affitti bassi. È successo in moltissimi quartieri di New York, soprattutto nel Lower East Side dove l’omologazione commerciale sta lentamente uccidendo la parte più trasgressiva e underground della metropoli. La città attira il turismo in cerca di posti di tendenza, quelli che ti fanno sentire il place to be, ma si trasforma in un luogo sempre più per benino
.
Verso il