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Un Drago per Natale: Santaclaws, #1
Un Drago per Natale: Santaclaws, #1
Un Drago per Natale: Santaclaws, #1
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Un Drago per Natale: Santaclaws, #1

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About this ebook

Una storia natalizia di draghi come nessun'altra.

Keir pensa di conoscere la sfortuna. Sua madre elfica si sta spegnendo a poco a poco per una malattia incurabile. Suo padre umano, gravemente ferito in guerra, fatica a camminare. Un brutale inverno stringe il suo regno di montagna con artigli di ghiaccio. La gente muore di fame. La sua famiglia, le sue sorelline, dipendono da lui per arrivare al Dragonmas.

Hanno bisogno di un miracolo. Ma chi crede più ai miracoli?

Molto tempo prima, il potente Drago Santaclaws salvò l'umanità e la reinsediò nel magico regno di Tyanbran, ma Santaclaws e i suoi miracoli sono scomparsi, così come i suoi Draghi. Ora, un mezz'elfo testardo deve sfidare bufere di neve e sentieri insidiosi per portare cibo al regno e trovare bacche d'inverno per alleviare le sofferenze di sua madre.

Ciò che scoprirà in questo viaggio manderà in frantumi ogni incredulità. Il tesoro nato da un fulmine, che egli colloca sotto il suo albero di Dragonmas, cambia tutto, perché i desideri sono diversi quando si tratta di Draghi.

I desideri prendono il volo e si avverano.

L'inizio di una nuova serie epica di Dragon Rider per i fan di Anne McCaffrey, Eragon e Come addestrare il tuo drago. Babbo Natale - Santaclaws - è in realtà un drago.

LanguageItaliano
PublisherMarc Secchia
Release dateSep 27, 2022
ISBN9798215559437
Un Drago per Natale: Santaclaws, #1

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    Un Drago per Natale - Marc Secchia

    Dedica

    A tutti i veri sognatori:

    I desideri sono diversi quando si tratta di draghi.

    I desideri prendono il volo e si avverano.

    Regno di Amarinthe

    Capitolo 1: Nevicata

    13 del mese di Septebrus

    XVII Anno del regno del buon re Daryan, 887

    TUO PADRE È NEI GUAI.

    Keir sollevò lo sguardo dal piccolo mucchio di frecce che stava scagliando sul tavolo da pranzo di quercia massiccia. Un lavoro noioso, ma la loro famiglia aveva un gran bisogno di denaro. Cosa... come?

    Di fronte, nascosta sotto un cumulo di coperte tartan turchesi che non riuscivano più a tenerla al caldo, sua madre si illuminò al tono incredulo della sua domanda. Aveva sempre immaginato che il suo perfetto ed enigmatico sorriso elfico nascondesse la metà dei misteri dell'Universo nella piega verso l'alto delle sue labbra. La sua sedia a dondolo preferita, scheggiata e logorata dall'amore di una famiglia, era accostata alle fiamme tremolanti, tanto che era sicuro che i suoi rivestimenti avrebbero iniziato a fumare da un momento all'altro, eppure niente riusciva più a tenere al caldo la madre malata.

    Domanda sbagliata, Keir. Stupida. Gli elfi sapevano le cose.

    Le madri ne sapevano di più.

    "Quanto nei guai?", si corresse, balzando in piedi.

    Non sono un Mistico, sussurrò in Umano. Non lo so, ma figliolo...

    Sto arrivando.

    Le sue labbra erano cenerine, i suoi capelli, divenuti grigi avevano perso l'argento lucente che avevano un tempo. Aveva l'eskirêna-l'næ, l'incurabile malattia dell'inverno che porta gli Elfi a svanire pian piano, propria della loro specie. Solo il tè alle bacche d'inverno alleviava i sintomi, ma gli infusi non facevano altro che prolungare il lento e inevitabile indebolimento.

    La sua diagnosi era sinonimo di una morte lenta.

    Hai il tuo tè?

    Minuscola, simile a uno scricciolo tra le coperte, sbatté i suoi vitrei occhi viola. Sì, ce l'ho. Chiamerò le tue sorelle se ne avrò bisogno. Svelto, figliolo. Vai.

    Keir si precipitò all'ingresso, con la testa un po' confusa, mentre sintonizzava le sue orecchie sensibili al sommesso lamento della seconda grande tempesta invernale di quella stagione. Così presto. Così forte. Nevicava e imperversava ininterrottamente da cinque giorni, ma il padre insisteva per andare al lavoro. Testardaggine umana. Detto quello, anche gli elfi erano testardi. Aveva chiaramente ereditato la parte del Drago da entrambi i genitori.

    Avvolgendo il mantello logoro sulle spalle, infilò i piedi nei suoi stivali da neve marroni di pelle d'orco, ancora incrostati di ghiaccio dopo aver preso la legna da ardere dal loro scarso deposito. Non c'era bisogno di prendere una lampada. La vista dei mezz'elfi avrebbe penetrato facilmente l'oscurità. Socchiudendo la porta, scattò come un leopardo delle nevi nella notte.

    I cumuli di neve azzurra erano spessi, ma pressati dal vento volubile e sferzante. Intorno a lui, le case del villaggio dai tetti scoscesi spiccavano come cunei neri e affilati nelle raffiche di fiocchi di neve che si spargevano costantemente dal cielo torbido. Il freddo sembrava mordergli, come un lupo, le narici e le labbra screpolate. I fiocchi spessi vorticavano intorno alla sua forma alta ma esile, mentre si guardava intorno velocemente. Tutti gli abitanti del villaggio con un po’ di sale in zucca erano in casa.

    Che sia maledetto quel tempo! I passaggi dovevano essere già chiusi. Si preannunciava una lunga e brutale stagione fredda in montagna. L'unica salvezza era che le abbondanti nevicate avevano messo fine alla guerra di Certanshi, almeno fino alla primavera. Lo sguardo si spostò verso il punto in cui il castello si affacciava sulla città vera e propria, dove le case dei ricchi erano circondate da solide mura difensive grigie. Caldi saloni del castello. Servitori in livrea affaccendati. Un ruggente fuoco di legna nel focolare. Era lì che il suo amico, il principe Zyran, tornato di recente dal fronte, si stava riprendendo dalle interminabili campagne.

    Era il luogo in cui suo padre aveva combattuto.

    Non c'era tempo. Con il passo leggero di un cervo d'argento, sfrecciò attraverso le derive, giù verso la fucina di Alaxar, dove in quei giorni suo padre lavorava al posto dell'apprendista fabbro Tarisk. Si era unito alla guerra ed era morto una settimana dopo. Il corpo non era mai tornato. Pochi lo facevano.

    Keir di solito amava correre. Era una scheggia, così veloce che nessuno dei ragazzi del villaggio osava più gareggiare con lui. Lo chiamavano Keir Ali di falco. Non doveva essere così vanitoso da amare il suo soprannome, no?

    Quella notte, le preoccupazioni gli si si bloccarono in gola, togliendogli il respiro. Correva, ma cosa avrebbe trovato ad attenderlo alla fine? La paura gli fece accelerare il passo. Passò il pozzo, attraversò la piazza del mercato, come un vento turbinoso. Pozze di luce delle lanterne illuminavano qua e là il suo cammino. I suoi stivali percorrevano l'acciottolato grigio profondo, tra i cumuli di rifiuti poggiati alle solide case scavate nella pietra. Le braccia pompavano. A tutta velocità, superò un cumulo di neve alto fino alle spalle come se fosse un ramoscello di betulla bianca caduto, troppo piccolo persino per infastidire un topo. Il suo equilibrio e la sua agilità erano tipici degli Elfi. Nel frattempo, la premonizione di sua madre risuonava come una campana di morte nella sua mente.

    Padre. Padre! Dov'era?

    All'improvviso, come se fosse stato strattonato da fili invisibili, i suoi occhi caddero su una grande forma che giaceva prona nella neve accanto alla bottega del sarto Jamiss. Padre! La neve spolverava già le sue spalle ingombranti, come se non si fosse mosso da diversi minuti. Dalla fibbia del suo pregiato mantello delle Guardie Reali baluginava un guizzo d'oro, il cui tessuto blu marine spiccava nella neve, come se una pozzanghera di notte si fosse inavvertitamente accasciata sui ciottoli. La figura goffa si agitò. Keir colse il suono di un basso gemito attraverso una pausa del vento.

    Papà! No!

    Un grido di disperazione gli uscì dal petto mentre raddoppiava la velocità.

    Perdendo l’equilibrio, si inginocchiò e scosse la spalla pesantemente muscolosa del padre. Sangue! Sangue nella neve, che colava da un taglio sulla fronte. Kalar l'Ascia non era un uomo minuto. Il fatto che fosse caduto in quel modo preannunciava qualcosa di serio. Sì. I resti spezzati di un bastone giacevano accanto al suo stomaco. Dov'era l'altro? Sotto di lui? Keir gli toccò il collo. Polso. Bene. Respiro? Poco profondo, ma distinguibile. I suoi occhi scrutarono ulteriormente, osservando le gambe piegate del padre, e l'impotenza ormai familiare gli fece venire il voltastomaco.

    Tre estati prima, Kalar era stato ferito durante una selvaggia battaglia a Crinale Anzon, quando un distaccamento di orchi del Canyon Certanshi, bruti alti più di tre metri alle spalle, aveva invaso la posizione del Re. Kalar li aveva ostacolati, facendo da scudo a Re Daryan con la vita e gli arti fino a quando il sovrano non aveva potuto effettuare la ritirata, ma era stato abbattuto da un terribile colpo di clava alla testa. Infuriati per la fuga del re, gli orchi avevano compiuto una terribile vendetta. Invece di uccidere un soldato ferito e indifeso, si erano alternati a bastonare e schiacciare le sue gambe per diversi minuti prima che la Guardia Reale potesse intervenire.

    Kalar era tornato a casa in un carro. Malconcio.

    Era un miracolo che camminasse, e così male, usando due bastoni per fare leva. Non avrebbe mai più combattuto in guerra.

    Papà. Keir gli scosse la spalla. Papà, svegliati. Su. Non puoi stare qui al freddo.

    Gemeva: Io... Keir? Camminerò. Aiutami ad alzarmi.

    Vecchio drago testardo! Keir rise, mentre avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto inveire, maledire e sputare su quelle bestie che avevano storpiato suo padre, ma non lo fece.

    Disse: Ecco, ti offro la mia spalla. Aggrappati.

    Grazie di cuore, figliolo.

    Kalar aveva sempre detto che la sua arma preferita, l'ascia da battaglia a due lame, si adattava meglio alla sua corporatura tarchiata, dato pesava circa 150 chili. Quello non significava che fosse un uomo basso. Era solo solido in tutte le dimensioni, a differenza di suo figlio.

    Keir sentì il digrignare dei denti mentre suo padre si metteva in ginocchio, respingendo chiaramente ogni segno di dolore. Cercò di alzarsi in piedi. Tentò. Finirono entrambi nella neve, la mole del padre lo appiattì come se un drago si fosse seduto sulla sua schiena.

    Kalar pronunciò alcune parole che probabilmente aveva detto a quegli orchi del Canyon. Disse: Ancora. Aiutami ad alzarmi. Ce la farò.

    Papà, non puoi camminare, vero?

    Figlio...

    No, ascoltami, vecchia capra testarda. Ti sei fatto male. Hai preso una storta al ginocchio e....

    Sei proprio sordo, ragazzo?, sbottò. Ho detto che è ora e ora è! Adesso alzami o ti tiro le orecchie fino a fartele a sventola come... come facevo una volta. Sì...

    Un brivido consapevole scosse il corpo di suo padre, e fu allora che il dolore uscì dalla sua tana come un animale selvaggio, e Keir sentì la propria voce incrinarsi mentre rantolava: Papà, non puoi... non puoi farlo! Ti prego!

    * * * *

    Sfortuna? Lui conosceva la sfortuna.

    Che dire del tipo di fortuna che ti prende a pugni nei denti come il pugno di un drago, e poi continua a colpire, a calciare e a mutilare finché non rimane più nulla per cui valga la pena sperare? Fino a quando la vita era cruda come l'uccisione sanguinosa di un Drago? Quello era ciò che aveva visto in suo padre negli ultimi tre anni, durante la sua convalescenza, e nella sua crescita da ragazzo al quattordicesimo anno di vita.

    Striscerò, sussurrò Kalar. Sì, striscerò fino a casa, a costo di esalare il mio ultimo respiro.

    La furia gli riempì la gola di bile. Keir si rese conto che stava ringhiando: Ora no, non striscerai! Il giorno in cui ho lasciato che mio padre, il mio prezioso padre...

    Si strozzò.

    Dopo un tempo lunghissimo, braccia potenti lo circondarono e il padre strinse a sé il figlio. Keir. Il mio Keir, il mio cuore. Non saprò mai come fai a fare tutto quello che fai per la nostra famiglia, ma la tua forza mi rende così orgoglioso che fa male, fa più male di queste stupide ginocchia distrutte, sì. Sono grato oltre ogni dire di avere un figlio come te da chiamare mio.

    Soffocò un singhiozzo contro la neve. Solo uno, ma la sensazione nel petto gli fece temere che qualcosa si fosse spezzato.

    Si rannicchiarono sulla strada, insieme, respirando come una cosa sola. Soffrivano in tanti modi a causa della doppia tragedia che stava lentamente portando la loro famiglia alla rovina: una realtà di cui nessuno parlava, ma che tutti, tranne le sue sorelline, conoscevano con estrema precisione.

    Andiamo, brutto ceffo. Tua madre sarà già in preda alla disperazione. Ah! Ti ha mandato lei, ho ragione?

    Sì.

    È una piccola meraviglia, la verità di Santazathiar!

    Lo so bene, papà.

    Un braccio massiccio e solido si posò sulla spalla di Keir. Lascia quello stupido pezzo di legna. Tutto ciò di cui ho bisogno è mio figlio.

    La pesantezza della struttura del padre sembrava raddoppiata dalla comune conoscenza della sofferenza e dalla preoccupazione per il loro futuro. Keir puntò i piedi e si sollevò verso l'alto. Tanto valeva portarsi sulle spalle un masso vivo e vegeto.

    Sbuffò: Ancora sassi per colazione, papà?

    Non essendo il tipo di persona più robusta, la destrezza dei muscoli è più forte della forza bruta, secondo lo stampo elfico, Keir sapeva comunque di possedere la muscolatura ultra-sprintosa del suo retaggio elfico e i tendini del padre branditore d'ascia. Per quanto Kalar fosse enorme, Keir riuscì a mettere in piedi il padre, accasciato come un sacco di grano sulla sua schiena, e poi cominciò a barcollare tra le nevi, rivolto direttamente contro la potenza del vento, verso la loro casa. Ancora un passo. Un altro. La gola gli bruciava, ma continuò. Le ginocchia minacciavano di cedere da un momento all'altro. Andare avanti. Respirare e fare un passo, fare un passo e respirare.

    Dopo qualche minuto, costeggiò di nuovo il pozzo centrale di pietra, facendosi strada attraverso un grosso cumulo di neve. Il Padre cercò di prendere un po' di peso sulla gamba sinistra, ma era chiaramente una lotta dopo quella che doveva essere stata una pesante caduta in precedenza. Il ricordo del volo precedente svanì come un sogno di leggerezza e facilità al confronto. Keir sbatté le palpebre per togliersi la neve dagli occhi. Quasi a metà strada. I polmoni rischiavano di scoppiare. Non sentiva più la punta delle sue orecchie elegantemente appuntite. Nonostante il freddo brutale, il sudore gli imperlava le tempie e gli colava lungo il collo, come perle di ghiaccio che rotolavano sulla pelle.

    Riposa se ne hai bisogno, esortò il padre.

    No. Sto bene così.

    Eh. Testardo come il tuo vecchio, sai?

    Ignorando la constatazione del suo retaggio, proseguì oltre le case di pietra dalle spesse mura, con le loro alte finestre a triangolo, con ogni vetro intaccato agli angoli dalla brina bianca. Più in alto, in città, ponti di candele e lanterne decorative abbellivano i vetri piombati più scuri e casalinghi, che di conseguenza erano molto più costosi. Nel villaggio più basso era sufficiente una sola candela, di solito la tradizionale candela gialla di cera d'api, spessa fino a trenta centimetri e decorata con una cintura di ‘artigli’ di filamenti d'argento che rappresentavano la zampa compassionevole di Drago Natale.

    Compassionevole? L'illazione alimentò il suo furore interiore, rendendolo immune al vento battente e al freddo pungente della neve. Che importanza aveva la compassione, che significato possedeva, quando si ritrovava un padre storpio, una madre morente e due sorelle gemelle di cui prendersi cura, stava arrivando l'inverno profondo, e il Natale, e non avevano più nulla. Niente soldi. Niente cibo. Né mezzi per procurarselo.

    Chi l'ha fatto? Quella guerra aveva rubato così tanto a tanti.

    Barcollava. Passo dopo passo, i muscoli bruciavano. Affondò fino al ginocchio e poi fino alla vita quando inciampò su una pietra invisibile. Keir gemette quando si rialzò. Il sudore si rapprendeva sotto la camicia spessa, che si muoveva lenta e appiccicosa a causa del gelo, ma non si arrese. Solo altre quattro case. Quattro. Ora altre tre. Le sue cosce tremavano in modo incontrollato. Non era abbastanza forte. Non era mai stato abbastanza forte per aiutare, per cambiare il destino della sua famiglia, per...

    Da questa parte, figliolo! Permettimi.

    Keir sbatté le palpebre per lo shock. Chi... oh! Re Daryan... ehm, ci penso io, sire.

    Il suo rantolo sembrò mortale.

    Il volto barbuto del Re si incrinò in un sorriso severo. Chi di voi è il più testardo, ragazzo? Dovette gridare sopra il sibilo del vento, ma poi si chinò e Kalar si spostò, gettando un braccio sulle spalle del Re e uno intorno a quelle del figlio.

    Cosa ci fate fuori con questo tempo, Maestà? Chiese Kalar.

    Controllo i miei sudditi, disse. Ho percepito che c'era qualcosa che non andava. Non farci caso, ora. Questo è ciò che faccio.

    Keir sapeva che era quello ciò che la gente amava di Re Daryan. Non era un re la cui tavola si riempiva di cibi ricchi e vini pregiati mentre il suo popolo soffriva. Due settimane prima, aveva diviso tra i suoi sudditi tutte le provviste che il castello ancora conservava nei suoi magazzini, perché le tempeste di Septebrus si erano prese gioco di loro. Distratto dalla guerra e ritardato nel suo ritorno, i rifornimenti cruciali si erano bloccati durante il viaggio e ora non si sarebbero visti fino alla primavera. Il raccolto tardivo era stato rovinato da chicchi di grandine grandi come un pugno.

    Ogni casa aveva ricevuto un regalo.

    Keir aveva sentito dire che quello era l'Anno della Carestia.

    Insieme, aiutarono il padre a salire sulla veranda di legno che fronteggiava la loro casa e a entrare. Shanryssill si era alzata al suono della porta che si apriva, ma quando il Re entrò per primo, emise un forte grido di disperazione. Oh no!

    Kalar sollevò la barba scura e grigia. Non ti preoccupare, mio dolce fiore della giungla. Io sto bene. È stata solo una piccola scivolata nella neve...

    E un piccolo viaggio di ritorno a casa, tutto qui, aggiunse il Re.

    Sua madre attraversò di corsa la stanza, con quella fragilità che era diventata fin troppo evidente negli ultimi tempi, e gettò le braccia intorno all'enorme marito, che pesava tre volte lei, e tutti aiutarono Kalar a sprofondare nella sedia a dondolo accanto al focolare.

    Non fate storie su di me, protestò.

    Re Daryan disse: Se non ti fossi preoccupato per me a Crinale Anzon, ora sarei qui a coccolare le tue vecchie ossa scorbutiche, amico mio? No. Avrei preferito visitare la pentola di un orco.

    Shanryssill disse: Scalda il bollitore, vuoi, Keir? Cos'è successo là fuori, caro?

    Osservando con la coda dell'occhio la cigolante pompa della cucina, Keir notò come la grossa mano di suo padre avvolgeva la guancia della sua esile moglie. Mentre il pollice calloso del guerriero le accarezzava l'angolo della bocca, le ciglia bianche e grigie, straordinariamente lunghe, sfioravano le guance abbronzate. È strano come i loro modi teneri non lo avessero mai messo in imbarazzo, nemmeno di fronte a un ospite reale. Gli elfi non si comportavano in modo così freddo come le favole suggerivano, non se sua madre era in grado di giudicare!

    Con un po' di imbarazzo, Kalar rispose: Questo vecchio orco è scivolato nella neve, ecco cos'è successo. Ora vieni qui, mia piccola e bella ragazza, e dammi un bacio come si deve. Proprio qui. Indicò la sua guancia barbuta. Sono mortificato che sia stato necessario chiamare la cavalleria, vedi.

    Il Re è diventato cavalleria?, chiese perplessa, ma i suoi occhi viola scintillarono con un accenno della sua vecchia gioia quando si strinse a lui e trasformò un semplice bacio sulla guancia in una prolungata dichiarazione d'amore.

    Si alzò in punta di piedi per spolverare la neve dai capelli brizzolati. Keir quasi non ricordava di averli visti così lunghi: invece dell'acconciatura militare e pulita che suo padre portava fin da ragazzo, le punte che si trascinavano sulle orecchie e fino al colletto gli davano un'aria arruffata, da orco. Scacciò via il pensiero. Stupido! Che cosa inappropriata...

    Oh si, stava solo vagando per la città come un toro smarrito, disse Kalar di cuore. Nostro figlio, intendevo. Mi ha portato a casa sulla sua schiena.

    Keir abbassò la testa mentre il Re ridacchiava e Shanryssill chiocciava infastidita. Papà!

    Mormorò: Non sono stato solo io.

    Appeso il bollitore al treppiede di metallo che si trovava sopra il fuoco, smosse le braci per farle rivivere. Dopo aver aggiunto un paio di legnetti dalla loro misera scorta nel cesto di giunco verde accanto al camino, si allontanò per portare al Re una sedia.

    Una buona campagna elettorale, mio signore? Chiese Kalar.

    È stata dura, amico mio. Un'altra stagione, e ora non c'è più nulla da mostrare, se non le vite perse. I Certanshi ci pressano molto, perché ci mettiamo tra loro e il ricco Pentate del Nord. Siamo solo una macchia di spine tra le montagne in cui continuano a rimanere bloccati. Rise in modo scialbo. Non voglio fare il tipo che si lamenta, ma gli aiuti dal Nord sono diminuiti fino a scomparire negli ultimi tempi, e il Ponte sul Fiume Arangar è stato perso e rovinato poco prima della prima nevicata.

    Il padre riprese fiato.

    Il silenzio si accumulò, denso e freddo come la neve. Keir sapeva che quella perdita aveva tagliato fuori il Regno di Amarinthe, alto e scosceso, dagli aiuti provenienti dall'Occidente, lasciando come ancora di salvezza solo gli infidi passi del Nord, una via che da quel momento era di fatto chiusa e sbarrata per il resto dell'Inverno, a meno che il tempo non fosse miracolosamente migliorato.

    Dolcemente, nella liquida lingua degli Alti Elfi, Shanryssill disse: Keirthynal anima mia, per favore, controlla le tue sorelle. Poi, verresti ad aiutarmi a preparare un cataplasma per il ginocchio di tuo padre?

    Keirthynal era il suo nome elfico completo, ma tra gli Umani si faceva chiamare Keir.

    Gli occhi dei suoi genitori tremolavano, condividendo i segreti.

    Kalar parlò, come se rispondesse a una domanda inespressa: Dopodiché, ragazzo, unisciti a noi accanto al fuoco. Non sei più un bambino dal momento che puoi portare tuo padre sulla tua forte schiena.

    Capitolo 2: La missione

    Anno di carestia

    NON ERA PIU’ un bambino, ma non era nemmeno un uomo. Non lo sarebbe stato fino al suo sedicesimo anno, quando sarebbe stato chiamato a servire come il padre eroe aveva fatto prima di lui. Grazie alle sue capacità e alle abilità elfiche, avrebbe potuto

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