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I Florio: La vera storia della famiglia diventata leggenda
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I Florio: La vera storia della famiglia diventata leggenda

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Il libro ricostruisce la storia di una delle più importanti famiglie italiane: quella dei Florio, il cui nome rievoca imprese formidabili sia sotto il profilo imprenditoriale che mondano e sportivo. Partendo dagli inizi dell’Ottocento delle prime imprese economiche, questo saggio rigoroso, restio a ogni concessione agiografica e romanzesca ma con un passo narrativo intrigante, attraversa la vicenda di questa famiglia fino al suo tramonto, nei primi decenni del Novecento. A questa dinastia è anche legata la nascita di una delle corse automobilistiche più importanti del mondo: quella Targa Florio che – iniziata nel 1906 e terminata nel 1977 – è fra le più antiche competizioni del secolo scorso. Una storia nella storia, che aggiunge fascino a un mosaico composto da molte tessere, compresa quella probabilmente più luccicante di Donna Franca, la “regina” della dinastia. Una donna che, al fianco del marito Ignazio jr, incarnò – nel bene e nel male – la Belle Ėpoque, consegnando la sua figura alla memoria comune come una delle icone del cosiddetto Secolo breve, contribuendo a trasformare in leggenda la parabola della dynasty siciliana.
LanguageItaliano
PublisherDiarkos
Release dateMar 29, 2022
ISBN9788836161935
I Florio: La vera storia della famiglia diventata leggenda

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    I Florio - Pino Casamassima

    Copertina.png

    Pino Casamassima

    I Florio

    La vera storia della famiglia diventata leggenda

    Alla mia, di famiglia: mia moglie Claudia,

    le mie figlie Valentina e Carolina e i loro

    rispettivi mariti Luca ed Elia, i miei nipoti

    Lorenzo e Leonardo.

    Premessa

    Come per ogni libro appartenente alla categoria non fiction, anche per questo il lavoro primario è stato il reperimento delle fonti. In questo caso, un lavoro quanto mai improbo per la scarsa documentazione relativamente agli aspetti biografici dei protagonisti, ad eccezione di donna Franca, l’effervescente moglie di Ignazio jr, icona della Belle Époque che, lasciandoci il suo diario, ha permesso di accedere anche alla quotidianità dell’ultimo segmento della storia dei Florio. Sono quindi in grande debito con la pubblicazione di quel diario da parte della casa editrice Nuova Ipsa di Palermo, curato da Salvatore Requirez. Grazie insomma a donna Franca, ho potuto conoscere anche le pieghe della sua vita oltre quelle del marito e di un ambiente ricco di molte sfumature quale l’alta borghesia e l’aristocrazia siciliana in generale e palermitana in particolare.

    Di grande aiuto sono stati anche i lavori di Orazio Cancila e Simone Candela, entrambi ricchi di documentazioni finanziarie, economiche, politiche, così come quello di Pino Fondi sulla Targa Florio, e tutti gli altri libri consultati e riportati in bibliografia. Ovviamente, fra le letture che hanno sostanziato la stesura di questo libro, anche i due imprescindibili romanzi di Stefania Auci. Utili sono state alcune chiacchierate con amici siciliani relativamente ad abitudini e tradizioni secolari, alcune delle quali riportate in questo libro perché oltremodo interessanti sotto il profilo storico.

    La cifra di rilievo presente in questo libro relativamente alla figura di donna Franca e della Targa Florio è coerente con quell’immaginario collettivo cui il nome Florio riconduce, quasi esclusivamente – oltre al Marsala – appunto a quella corsa diventata fra le più importanti competizioni automobilistiche del mondo, e all’italiana che a livello europeo ha incarnato come nessun altro la Belle Époque.

    Oltre a questa dei Florio, ho lavorato solo alla storia di un’altra dynasty italiana: quella degli Agnelli, con un libro pubblicato una ventina d’anni fa. Un libro pensato due anni prima della scomparsa dell’Avvocato e che a pochi giorni dalla stampa fu bloccato per poter aggiungere un nuovo capitolo alla notizia della sua morte. Questa unicità d’interesse – sugli Agnelli e sui Florio – la dice lunga sulla posizione da podio che occupano i Leoni di Sicilia nella storia di questo Paese.

    Alla fine di questo libro – probabilmente il più faticoso di tutti i miei lavori, per le ragioni accennate relativamente alla documentazione – è uscita una narrazione che ritengo onesta oltre che accattivante per uno sviluppo che ha percorso cento anni di storia d’Italia a cavallo fra i due secoli attraverso le vicende di una famiglia che, «partita in maniche di camicia, s’è ritrovata in maniche di camicia dopo tre generazioni».

    Gardone Riviera, autunno 2021

    Targati Florio

    Dalle Madonie alla conquista del mondo

    Quella dei Florio è una storia che si consuma in un secolo, fra la prima metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. La storia di una famiglia che dalla povertà arriva alla ricchezza assoluta per poi riprecipitare nella povertà: una parabola che al suo vertice s’innalzerà fino a proiettare il nome dei Florio fra i più illustri dell’imprenditoria italiana, al pari degli Agnelli, insomma. Una storia arrivata a brillare anche per quella competizione che giunse a farsi conoscere a livello mondiale, per i migliori nomi del volante che vi parteciparono: da Tazio Nuvolari ad Achille Varzi, Manuel Fangio, Stirling Moss, oltre a quel Luigi Musso che – bambino – s’era presentato a casa Florio con Luciano, suo fratello più grande, per chiedere di Vincenzo, «quello della Targa»: Luigi Musso vincerà l’edizione del 1958, cioè due mesi prima di morire nel Gran Premio di Francia di Formula Uno a Reims.

    La scomparsa di Nino Vaccarella¹ – chiamato il preside voltante per quell’istituto scolastico privato che dirigeva con sua sorella – ha riportato in auge il nome dei Florio. Vaccarella aveva infatti vinto la corsa ideata da Vincenzo Florio jr per ben due volte: la prima, nel 1965, in coppia con Lorenzo Bandini (Ferrari), la seconda, nel 1971, con Toine Hezemans (Alfa Romeo).

    La Targa Florio (prima Coppa Florio, a Brescia) aveva insomma conquistato il mondo. Della storia dei Leoni di Sicilia, quel che oggi rimane nella memoria comune è appunto quella corsa, unitamente alla figura di Franca Iacona, moglie di Ignazio jr, fratello maggiore di Vincenzo, alla cui gestione delle aziende di famiglia si imputa la caduta della dinastia. Da parte sua, con i suoi ricevimenti, le sue toilette, i suoi gioielli, Franca ha fatto brillare la famiglia Florio nell’epoca della Belle Époque, diventando una figura iconica nella storia della stirpe. Ed era stata lei a incoraggiare suo cognato a portare avanti quell’idea non proprio felice invece per Ignazio jr, che anzi lo rimproverava di dedicarsi troppo alle automobili invece che agli affari. Presente alla prima edizione della corsa, Franca si lamenterà per i troppi rumori, la puzza dei gas di scarico, la troppa gente.

    La prima edizione si era svolta sul tormentato tracciato delle Madonie, che alla fine aveva salutato il successo di Alessandro Cagno. Quel torinese chiamato Sandrin aveva percorso i quasi 447 chilometri dei tre giri in programma in poco più di nove ore e mezza con la sua Itala 35/40 HP. A profetizzarne la vittoria era stato Giovanni Agnelli, il senatore, amico personale di Vincenzo Florio, che aveva assunto quel giovane talentuoso prima come autista, poi come operaio nella sua Fiat.²

    L’evento si svolse l’11 maggio 1906. La corsa iniziò alle 6 in punto, al suono di due bande musicali poste sulle tribune appositamente costruite nei pressi del rettilineo di Buonfornello al confine tra i comuni di Campofelice di Roccella e Termini Imerese. L’entusiasmo spinse migliaia di persone ad andare a Termini Imerese con automobili, carrozze, perfino carretti siciliani e soprattutto sui treni speciali. Alle 5.30, con mezz’ora di ritardo, era arrivato il treno da Palermo, riversando sul prato migliaia di persone.

    Donna Franca Florio si faceva notare in territorio di Campofelice, dov’era fissato il via, con un ampio velo che le copriva l’ampio cappello e le spalle, l’ombrellino contro il sole, i guanti, l’abito per la campagna. Le altre dame non potevano gareggiare con lei in bellezza e toilette. Gli uomini portavano la paglietta. All’Hotel delle Terme, base della manifestazione, si scommetteva sul pilota vincitore. Le auto alzavano nuvole biancastre nonostante il fix sparso sulla strada. I tempi erano dati live alle tribune grazie al telegrafo.

    L’arrivo di un’auto sul traguardo era annunciato da un colpo di cannone e da uno squillo di tromba. Alla partenza il più applaudito era Vincenzo Lancia su Fiat; erano assenti però sette delle macchine francesi ottenute con l’interessamento de «L’Auto» – rivista parigina col cui direttore Vincenzo jr aveva parlato a lungo dell’idea di quella corsa sulle Madonie – a causa di uno sciopero che ne aveva impedito l’imbarco a Marsiglia e a Genova.

    La prima vettura a partire per quella che era la prima edizione della Targa Florio era stata la Fiat di Antonio Lancia. La prima ad arrivare al traguardo dopo i tre giri previsti la Itala di Cagno, e quando la gente assiepata lungo la strada, affacciata alle finestre, arrampicata su pezzi di muro, aveva capito che, nonostante l’agguerrita rappresentanza straniera, a vincere sarebbe stato un pilota italiano con una macchina italiana, cominciò a sbracciarsi e a urlare il nome di Cagno, mentre Vincenzo Florio lanciava per aria il suo cappello: un gesto che avrebbe poi sempre replicato Colin Chapman, il signor Lotus: quando le sue monoposto di Formula Uno tagliavano il traguardo per prime, saltava in mezzo alla pista come un grillo lanciando per aria il suo cappellino nero.

    A diversi decenni dalla conclusione della dynasty siciliana, la Targa Florio trova ancora spazio nelle narrazioni di vario genere, e non solo sportive. E dire che la sua nascita fu salutata dalla famiglia, ovvero dal fratello maggiore Ignazio jr, come un divertissement costoso di Vincenzo, giovane scapestrato che aveva quindici anni di meno.

    History

    La Targa Florio si è disputata sessantuno volte, praticamente senza soluzione di continuità (se si eccettuano gli anni delle due guerre mondiali), dal 1906 al 1977. Una volta soltanto la gara è stata trasformata da prova velocistica in prova di regolarità, precisamente nel 1957, cioè proprio l’anno in cui si verificò il terribile incidente alle Mille Miglia,³ che segnerà la morte di quella corsa. Una tragedia che metteva gli organizzatori della Targa di fronte a questa alternativa: sopprimere la gara oppure trasformarla in una passeggiata o poco più.

    Vincenzo Florio optò per la continuità, in quanto era un evento che faceva parte ormai della più antica tradizione motoristica italiana. Una competizione che s’era costruita una fama mondiale per la durezza del tracciato, al punto che, specialmente nei primi anni, il solo riuscire a completare la corsa significava compiere un’impresa. E proprio per questo le case costruttrici scese in campo con successo nel corso degli anni hanno sempre messo in risalto le prestazioni ottenute dalle loro macchine, pubblicizzandone appunto la bontà ingegneristica.

    Purtroppo anche la Targa Florio ha dovuto fare i conti con incidenti, morti e feriti tra il pubblico e tra i piloti: si ricordi in particolare la morte del conte Giulio Masetti, avvenuta a seguito di un’uscita di strada della sua Delage nel corso del primo giro dell’edizione del 1926; per chi crede nella cabala dei numeri, si trattava dell’edizione numero 17 e la macchina del Masetti era contrassegnata dal numero 13. Da quel momento, quel numero non sarà mai più assegnato né in Italia né all’estero.

    Nel 1955 e negli anni che vanno dal 1958 al 1973 la Targa Florio è stata tra le gare titolate ai fini dei Campionati internazionali o Mondiali, riservati alle vetture Sport o Gran Turismo, assumendo quindi una notevole importanza, testimoniata dalla discesa in campo di nomi altisonanti, sia per quanto riguarda i piloti sia le case costruttrici. Dopo l’edizione 1973, contrassegnata da una numerosa serie di incidenti abbastanza gravi che dimostrava come l’ormai anacronistico circuito delle Madonie poco si confacesse ad ospitare competizioni per vetture molto potenti, la Targa Florio veniva esclusa dal circuito delle grandi prove internazionali.

    La gara ebbe ancora tre edizioni, non troppo entusiasmanti. Poi, nel 1977, analogamente a quanto accaduto per la Mille Miglia vent’anni prima, anche nel caso della prova siciliana la fine venne determinata da un grave incidente. Domenica 15 maggio 1977, giorno in cui si correva la sessantunesima edizione, la Osella-Bmw di Gabriele Ciuti usciva di strada in un tratto di misto-veloce che seguiva il rettilineo di Bonfornello, travolgendo gli spettatori e provocando due morti e tre feriti gravissimi (tra cui lo stesso pilota): la gara veniva sospesa e la classifica veniva stilata in base ai passaggi al termine del quarto degli otto giri previsti. A quel punto, la vera Targa Florio esauriva il suo ciclo: a partire dal 1978 la gara veniva trasformata in rally e denominata Rally Targa Florio.

    Alla Targa Florio non mancava, se pur molto rara, la presenza delle donne: Maria Antonietta Avanzo era una di queste. Nata a Porto Viro il 5 febbraio 1889, fu la prima donna italiana a correre la Mille Miglia e la Targa Florio. Tentò anche di qualificarsi per la 500 miglia di Indianapolis, ma non riuscì nell’impresa. Elisabetta Junek, cecoslovacca, vedova di un pilota che aveva perso la vita in corsa su una Bugatti, si iscrisse come unica donna alla Targa Florio del 1928 dopo che acquistò una Bugatti 35B per poter essere al pari con i top team rivali.

    La Trionfale

    Il successo della prima edizione della Targa Florio ebbe una grande eco in tutta Europa. Un successo che galvanizzò il Cavaliere – come ormai era chiamato Vincenzo jr nell’ambiente automobilistico –, spingendolo a concentrarsi con i suoi collaboratori del Comitato Panormitan che gestiva la corsa ad allestire la seconda edizione nella maniera più sfarzosa e suggestiva per il pubblico: una edizione, quella del 1907, che non a caso passerà alla storia come La Trionfale.

    La data della nuova edizione della corsa siciliana fu fissata per il 21 aprile, con la novità rispetto all’anno precedente dei rifornimenti, che si sarebbero effettuati soltanto ai box e non più lungo il percorso, come era avvenuto nel maggio del 1906. Box che erano 26, a cui il Cavaliere aveva fatto realizzare delle pedane in legno per evitare che le ruote delle macchine potessero finire nel fango in caso di pioggia, col rischio di non poter ripartire una volta fermatesi. Nulla era stato tralasciato dalla puntigliosa organizzazione del Comitato Panormitan su precise disposizioni di Vincenzo Florio, che controllava personalmente che tutto fosse realizzato al meglio: del resto, a quella competizione partecipavano piloti che provenivano da ogni parte d’Italia e anche d’Europa e l’immagine della Sicilia e del nome Florio avrebbe dovuto uscirne glorificata. I ristoranti dei paesi attraversati dalla corsa avevano predisposto – sempre su disposizione del Cavaliere – i tavoli uno dietro l’altro, in fila indiana, in modo che i commensali potessero assistere al passaggio delle macchine continuando a mangiare. Per ripararsi dal sole implacabile che di norma splende sulla Sicilia, quei tavoli godevano di grandi ombrelloni. Sul piano tecnico, fu sempre il Cavaliere a introdurre una novità che sarebbe stata poi adottata da tutti gli organizzatori di corse di un certo livello, e cioè l’installazione di un telefono che collegava la cabina dei cronometristi con il grande quadro dei tempi sistemato di fronte alle tribune. Una sorta di tecnologia pionieristica per quanto riguarda il mondo delle corse.

    Gli iscritti alla Trionfale furono 51, in rappresentanza di tutte le grandi marche europee, quali Fiat, Benz, Itala, Daimler. Tutte le auto sbarcarono a Palermo, con piroscafi – manco a dirlo – della flotta Florio. La Fiat presentò in quella occasione la nuova Tipo Targa Florio, cioè la 28/40 la cui cilindrata era stata portata a sette litri, a dimostrazione dell’autorevolezza ormai conquistata dalla corsa già con una sola edizione alle spalle. Una cosa che non deve meravigliare, ma che è conseguente al nome dei Florio, il quale brillava ancora in tutta Europa come fra i più blasonati e credibili.

    Nei giorni della settimana della Targa le condizioni meteorologiche contraddissero la vocazione al bel tempo della Sicilia. Una pioggia inattesa quanto sferzante imperversò sulle Madonie, trasformando presto le strade in corsie di fango. Tuttavia, giovedì 18 aprile la corsa riservata alle Vetturette su due giri, pari a 296 chilometri, prese regolarmente il via, con quindici vetture partecipanti: al via ne arrivarono solo quattro. Le preoccupazioni per la gara in programma la domenica successiva aumentarono esponenzialmente e ci fu qualche equipaggio che preferì ritirarsi per non compromettere la vettura.

    Da parte sua, il Cavaliere rassicurò tutti: «Domenica il sole ci sarà, parola mia!» Non è improbabile che don Vincenzo si fosse consultato con qualche suo contadino, la cui esperienza, relativa ai capricci del tempo, valeva da sempre più delle migliori stazioni meteorologiche, abituati come sono i lavoratori della terra a confrontarsi quotidianamente con quel cielo che può portare rovina da un momento all’altro, vanificando mesi di fatica e schiena spezzata nei campi. Com’è, come non è, il Cavaliere azzeccò la previsione. Domenica 21 aprile, lungo tutti i quasi centocinquanta chilometri delle Madonie, splendeva un sole implacabile: di quelli che arrivano alcune volte ad asciugare tutta l’umidità presente sulla Triacria, compresa quella di certi cervelli, favorendo gesti scriteriati.

    Di scriteriato in quella edizione ci fu solo uno spettatore che attraversò la strada sul muso della vettura di Cagno – vincitore della prima edizione – che riuscì a non investirlo con una manovra apprezzata dal numeroso pubblico presente con battimani fragorosi, quasi più rumorosi di quei tubi di scarico che sbuffavano fumi neri. Un pubblico oltremodo nutrito anche grazie alle agevolazioni messe in campo dal Comitato Panormitan per viaggiare sui piroscafi Florio.

    Un carretto siciliano

    Delle 51 vetture iscritte, ai nastri di partenza si erano presentate in 46, con partenze distanziate di tre minuti l’una dall’altra. La competizione entrò subito nel vivo con un’esuberanza agonistica ben superiore a quella dell’anno precedente. Alla fine del primo dei tre giri in programma passava in testa Vincenzo Trucco con la sua Isotta Fraschini, seguito da Lancia, Cagno, Nazzaro, Minoia e Wagner. Nel giro successivo accadde un episodio inscritto negli annali della storia della corsa con pieno diritto. Wagner era all’inseguimento del leader Jorns, che lo precedeva di cinque curve. Le due macchine fecero il loro ingresso nell’abitato di Petralia Sottana, il cui corso principale era addobbato a festa con bandierine tricolori e pieno di gente assiepata pericolosamente sul ciglio della strada. La Darracq di Wagner era ormai a poche centinaia di metri dalla Opel di Jorns quando quest’ultima, a metà corso, nel punto cioè che si stringeva ad imbuto, si trovò improvvisamente davanti un carretto. Un tipico carretto siciliano parcheggiato però in modo pericoloso per la corsa. Appoggiato contro il muro di una casa, aveva infatti le stanghe rivolte verso la strada. Jorns non le vide, a causa del sole che gli brillava di fronte, colpendole in pieno e facendo precipitare il birroccio in mezzo alla strada.

    «Levate quel carro da lì!»

    «Prendete quel carro!»

    «Attenzione!»

    Urla si levavano dalle finestre da cui già si vedeva arrivare di gran carriera la Darracq di Wagner. Un soldato e un contadino si precipitarono sul carretto, ma la macchina del pilota francese era ormai a pochi metri e le loro buone intenzioni si volatizzarono come la polvere alzata dalle ruote del bolide. Con una manovra mirabile quanto quella di Cagno, Wagner riuscì a infilare la sua vettura fra il carretto e la casa, mentre si sprigionavano le scintille provocate dalla carrozzeria della Darrcq che sfregava contro il muro.

    Non si sa se la manovra adrenalinica di Wagner abbia esaltato oltremodo il francese, fatto sta che all’uscita dall’abitato aumentò il ritmo della sua corda, riuscendo poco dopo a raggiungere e superare il rivale, che, invece di un carretto, si trovò improvvisamente davanti… una capra col suo padrone. Per evitarli, finì fuori strada, finendo in quel modo la sua partecipazione alla Targa Florio: quella Trionfale che andò a Felice Nazzaro che, una volta tagliato il traguardo da vincitore, si levò di tasca un pettine e risistemò i capelli scomposti per tutte quelle ore al volante.⁴ Un vezzo coerente con la sua giovane età.

    Si concludeva così la seconda edizione della Targa Florio, ma nessuno poteva sapere che molti anni dopo gli episodi della Trionfale si sarebbero arricchiti di una storia sconosciuta. Un segreto.

    Il segreto

    Quasi mezzo secolo dopo, nel 1956, un vecchio contadino di Castellana che in quei giorni si trovava a Palermo pensò bene di andare a raccontare quel che sapeva a casa Florio. Un segreto che aveva custodito da persona corretta quale era. Una persona che manteneva le promesse. Correva quell’anno il cinquantesimo anniversario della Targa e, quando una persona di servizio andò da don Vincenzo a informarlo che alla porta c’era un signore che voleva raccontare una cosa della corsa del 1907 a «U’ Cavalier», lui lo ricevette immediatamente.

    Dopo avergli fatto portare un caffè e un cordiale, Vincenzo Florio chiese quindi a quel signore cosa dovesse raccontargli. Quell’uomo – un po’ intimorito dallo sfarzo che gli stava attorno, che gli faceva girare la testa – cominciò a raccontare. A dire quel che era successo in quella edizione Trionfale che pareva non smettere mai di snocciolare episodi. Riguardava Victor Hémery, un pilota francese di grande talento alla guida di una Daimler. Contrariamente alla maggior parte degli altri piloti proveniva da una famiglia modesta: era riuscito a entrare nel mondo delle corse grazie alla sua passione per le automobili e alla competenza come meccanico acquisita in una officina di Le Mans, finché, lo stesso anno in cui sposò la bella Marie Louise che lui chiamava Marion, fu assunto da Darracq come collaudatore e pilota. Dopo essersi imposto in diverse gare in Europa, nel 1905 partecipò alla prestigiosa Coppa Vanderbilt di New York,⁵ vincendola. L’anno successivo non aveva però potuto raggiungere la Sicilia per la Targa Florio a causa dello sciopero dei traghetti, che aveva impedito di imbarcare le automobili ferme a Marsiglia.

    Quel contadino riprese quindi il suo racconto a don Vincenzo. Racconto che riguardava appunto Hémery. Era successo che a una curva la sua Daimler era uscita di strada e finita in uno strapiombo su cui era rimasta pericolosamente in bilico, col muso che guardava il vuoto. Era quindi arrivato un uomo dalle fattezze erculee che, dopo aver agganciato il posteriore della sua vettura, era riuscito a trascinare fuori la macchina con l’aiuto di altre due persone, nonostante il peso notevole. Nel mentre, era passato un ciclista-informatore: uno di quelli scaglionati lungo il percorso dall’organizzazione per raccogliere notizie utili sull’andamento della corsa e, soprattutto, su eventuali incidenti per il conseguente invio di un’ambulanza. Prima di rimettersi in corda con la sua macchina, che non aveva subito grossi danni, Hémery aveva chiesto a quel ciclista il favore di non dire nulla dell’incidente: sua moglie, che l’attendeva al traguardo, avrebbe potuto averne «un dolore indicibile». Del resto – aveva concluso il francese – nessuno si era fatto male, la macchina era a posto e si trattava quindi non di una bugia ma di una particolare situazione creatasi e risolta al meglio. E così era stato.

    «E come ‘a canuscite vui ‘sta storia?» aveva chiesto don Vincenzo.

    «Eccome ‘a canuscio… Vussia ava sapire ca io ce stavo. Stavo lì quando quel francese finì indu u fos’, e quel segreto lo feci mio».

    Don Vincenzo aprì quindi il portafoglio e tirò fuori qualche biglietto di banca che allungò a quel contadino che poteva avere la sua età. Quello si tirò indietro un attimo, giusto il tempo che patron Florio glieli infilasse nel taschino della giacca. E quando il popolano stava per alzarsi, gli disse di risedersi, ché adesso era lui che doveva dirgli una cosa.

    «Mi dovete fare un favore».

    «Tutto quello che volete, Cavaliere».

    «Chista storia deve restare qua. Nessuno la deve conoscere».

    «Va bene», rispose quello senza capire.

    Leggendo lo sconcerto nei suoi occhi, Vincenzo jr gli spiegò che i tempi stavano peggiorando per le corse su strada come la Targa Florio, visto che giusto l’anno prima era successa una tragedia a Le Mans, sulle strade trasformate a circuito.⁶ «Capite bene che si sapesse di questa storia, la Targa Florio ne riceverebbe danno notevole».

    U Cavaliere morirà poco più di due anni dopo e quel segreto tornerà a essere custodito fino al 1977, cioè l’anno dell’ultima edizione della corsa siciliana, quando fu resa pubblica da un cronista che l’aveva raccolta da Giovanni Canestrini, il giornalista amico di Vincenzo Florio.

    La Coppa

    Progenitrice della Targa Florio era stata la Coppa Florio, la cui prima edizione s’era disputata il 4 settembre 1905 a Brescia. In settantasei anni se ne sono disputate venti edizioni, in diversi cicli temporali, con formule e luoghi di svolgimento differenti. Le prime due a Brescia, la terza a Bologna, per approdare in Sicilia nel 1914, sugli stessi Circuiti delle Madonie sui quali si disputò come gara a sé stante per due anni. Nei cinque anni successivi venne invece assegnata nell’ambito della Targa, con un’edizione anche in Francia. Poi la lunga interruzione durata quarantacinque anni (dal 1929 al 1974), e la ripresa durata sino al 1981, quando a Pergusa si disputò con validità per il Campionato Mondiale Endurance.

    In realtà una Coppa Florio era stata messa in palio già nel 1904, nella competizione sul circuito stradale Brescia-Cremona-Mantova-Brescia

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