Il desiderio di cadere
Di Max Deste
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Info su questo ebook
Max Deste è uno scrittore e cantautore svizzero. Laureato in lettere, sposato e padre di tre figli, vive nel Canton Ticino. Attualmente è insegnante di scuola media e docente DFA. Dirige inoltre un Centro di meditazione buddhista. Ha pubblicato numerose opere narrative, poetiche, teatrali, saggistiche e musicali, con le quali racconta e denuncia la solitudine dell’uomo contemporaneo in una società sempre più disumanizzata.
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Anteprima del libro
Il desiderio di cadere - Max Deste
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
A fronte praecipitium, a tergo lupi
(Proverbio latino)
Parte uno
Ogni uomo è un abisso,
e dà le vertigini a guardarci dentro
George Buchner
La vita fuori da una camera d’ospedale ricominciò un lunedì piovoso di novembre, quando verso le otto del mattino percepii il cellulare vibrare sotto la mia schiena. Lo agguantai con un gesto brusco, ma proprio in quel momento la vibrazione cessò. Misi a fuoco il display, visualizzando dodici chiamate perse, sempre dallo stesso numero, alcune addirittura dalla sera prima, e ciò significava che avevo dormito ben dodici ore di fila, insomma un buon segno. Se non avessi al più presto ritrovato il sonno, avrei infatti avuto un buon pretesto per farla finita, e non mi avrebbero di certo salvato le benzodiazepine di ultima generazione, che peraltro avevo smesso di assumere da qualche settimana. Per la precisione, molta gente si toglieva di mezzo per molto meno. Mi ero anche documentato. Ad esempio acufene, agorafobia, sindrome di Münchhausen per procura, per citare qualche esempio. Gli inquirenti avrebbero certamente capito. Producendo uno sforzo non indifferente, riuscii comunque ad ergermi in posizione verticale, mentre il display riprese a lampeggiare. Presi la linea, ma non ebbi nemmeno il tempo di dire il mio nome che una certa Natalia incominciò ad inondarmi di parole. Il suo umore era così serafico che fu terribile ascoltarla. Avvertii infatti un sensibile aumento della frequenza respiratoria, e i primi segni di lacrimazione si trasformarono presto in rigagnoli, che in poco tempo mi bagnarono il viso. Con il cuore che ancora mi pulsava in gola, sbirciai attraverso le tende della finestra, come per trovare una via di fuga. Le luci della città erano ancora accese, il traffico era piuttosto intenso, il brusio di fondo mi avrebbe certamente reso nevrotico, avrei dovuto pertanto ricoprirlo al più presto con un po’ di musica, ad esempio con un mood antagonista al mio, anche perché c’era qualcosa di orribile che aleggiava nell’aria, come un presentimento funesto. Una canzone un po’ stupida, per alleggerire la pressione, avrebbe potuto soddisfare il mio desiderio, riportandomi con i piedi per terra, ancorandomi al presente, facendomi percepire distintamente le articolazioni del mio corpo, i moti peristaltici, il muscolo corrugatore del sopracciglio. Ovviamente un elenco di simili brani era lunghissimo, stimavo una percentuale attorno al novanta per cento, forse novantacinque. Circoscrissi pertanto il campo ad uno dei tanti tormentoni estivi italiani, anche perché in inglese l’effetto sarebbe stato minore, dato che non avrei prestato molta attenzione al senso delle parole. Tolta Elettra Lamborghini, che apparteneva ad una categoria la cui etichetta per definirla andava ancora inventata, il primo nome che mi venne in mente fu quello di Baby K, dunque diciamo un livello di stupidità medio-alto. Poi con un sorprendente slancio masochista, le associai anche quello di Giusy Ferreri, memore di un suo featuring ascoltato una volta alla radio, mentre la parrucchiera mi radeva le basette con il rasoio elettrico. Si preannunciava pertanto un cocktail micidiale, e forse avrei ritrovato anche il sorriso, anche se l’attivazione contemporanea dei dodici muscoli facciali coinvolti non mi sembrava così scontata. Accesi il computer, aprii Spotify, e infine feci partire il brano.
Yo, Baby K
Vestiti in fretta perché ho voglia di far festa
Vacillai, restando poi, mi pare per un lunghissimo tempo, in un silenzio tombale, con quel sottofondo di parole che rimetteva violentemente in discussione le teorie linguistiche del mio compatriota Ferdinand de Saussure, più specificatamente l’arbitrarietà della relazione tra significato e significante. Peccato che l’esimio professore non avesse potuto deliziarsi con il reggaeton. Mi chiesi cosa ascoltasse? Nel primo Novecento, oltre alla musica classica, al jazz e alla canzone popolare, non c’era una grande scelta. Ma non ne ero del tutto sicuro. Nel frattempo, dall’altra parte della cornetta quella voce sconosciuta continuò ad emettere suoni certamente meno arbitrari di quelli di Baby K, ma comunque più metallici e lontani, come se mi stesse parlando un astronauta dallo spazio o, peggio, Siri.
Senza sapere quando
Andata senza ritorno
Ti seguirei fino in capo al mondo
Ormai impietrito, in uno stato di aporia mentale, non vedendo sbocchi sul presente, né tantomeno sul futuro, ricominciai pertanto a rimuginare sul passato; pensai al fatto che quella era stata la mia prima notte fuori dalla clinica e che nelle prime ore trascorse nel mio appartamento, da solo, l’assenza di Lea mi aveva procurato un persistente malessere.
Stacca dal tuo lavoro almeno per un po’
La vita costa meno trasferiamoci a Bangkok
Avevo infatti vomitato almeno una mezza dozzina di volte, e in alcuni momenti avevo avuto anche degli attacchi di diarrea, seppur a salve. Insomma, tanto rumore per nulla. Ma peggio ancora fu trovare la buca delle lettere che debordava di corrispondenza.
Abbassa i finestrini voglio il vento in faccia
Alza il volume della traccia
Mi ci sarebbero voluti giorni, probabilmente settimane prima di riorganizzarmi da un punto di vista amministrativo. Vedere tutte quelle bollette arretrate mi precipitò nello sconforto. La burocrazia era un nemico spietato, invincibile. Avrei dovuto fare delle telefonate, spedire delle raccomandate, annullare dei contratti.
Fino a Hong Kong
Passando per Londra, da Roma e fino a Bangkok
Cercando te
Gli ultimi tre versi, devo ammetterlo, più che alleggerirmi, m’incattivirono. La stupidità, seppur a livelli incommensurabili, in quel momento non funzionava, al contrario stava generando in me ulteriore terrore nei confronti dello spazio in cui ero collocato. Avrei pertanto dovuto fare al più presto scorta di vino, in aggiunta qualche superalcolico. Wodka su tutti, ma mi sarei potuto accontentare anche di un whisky dozzinale, tipo Jack Daniel’s, almeno per un po’. Dopo aver comunque rievocato il gusto di un single malt di qualità, bypassando le mie papille gustative, pensai ad un’atmosfera più vintage, vagamente sessantottina. Misi pertanto Knockin on heaven’s door, nella versione di Bob Dylan, ma già con le prime note m’incupii. Spensi di nuovo, e poi incominciai a scorrere nevroticamente le playlist che mi venivano proposte. Artisti su artisti, generi su generi, mix su mix. Contemplai almeno un centinaio di suggerimenti senza sussulti, poi con i Sepultura tentennai: una dose di ultraviolenza sguaiata era quello che ci voleva. Cliccai su play e ripresi a cogitare. Ripensai al fatto che ero andato a dormire con la convinzione che difficilmente ne sarei venuto fuori, ipotizzando che sarei potuto morire nel sonno, nel caso in cui mi fossi addormentato, e ciò avrebbe senz’altro semplificato l’intera faccenda, perciò rispondere al telefono il giorno dopo fu un po’ come nascere di nuovo, quello che gli uomini celebrano come un momento di gioia, ma che in realtà è un venire strappati fuori da un non so dove, un dolorosissimo balzo verso l’esterno, verso una realtà ostile; una caduta rapida e irreversibile su un pianeta dominato da un capitalismo sfrenato, il cui impulso a consumare voracemente cose e persone ci avrebbe portati presto ad estinguere la nostra specie. Oltre a quel sentimento da fine dei tempi, le mie orecchie furono molestate da versi terrificanti. Purtuttavia, i gargarismi selvaggi di Inhumane nature mi misero quasi di buon umore, in particolare l’ultimo verso, che diceva But Destruction Never Stops, risultò in perfetta risonanza con i miei pensieri. Lo spettacolo poteva andare avanti…
Non appena pigiai il tasto con il simbolo del microfono, una cantilena dolcissima e anche un po’ sensuale invase immediatamente la mia stanza. La mia prima reazione fu tuttavia quella di provare un sentimento di paura, quasi di terrore, come se mi fosse comparsa davanti agli occhi una strega, che mi avrebbe condotto alla perdizione. Provai a rassicurarmi con Vivere il mio tempo dei Litfiba, giocando la carta della musica pop d’inizio millennio.
Ti farei volare sulle onde
sulla vita come un’altalena
Signor Giacomo Daniele…
ripeté la donna, con un tono di voce ancora gioioso, evidentemente ignara del mio senso di inadeguatezza.
Silenzio.
… Si ricorda di noi? La Microtecnology…
Buong…
provai finalmente a risponderle, senza riuscire ad articolare tutta la parola.
"È da ieri sera che la chiamo… l’ufficio del lavoro ci ha segnalato che è di nuovo disponibile. Dovrei fissarle un appuntamento con la nostra responsabile del settore Risorse Umane…"
E parlare pure con i pesci come una sirena.
Ovviamente mi ricordavo di loro, avrei dovuto dire solo sì, ma dalla bocca mi uscì uno strano impasto sonoro, simile al verso del capretto prima della macellazione prepasquale. Natalia, non prestando attenzione alle mie evidenti difficoltà fonatorie, mi propose per un primo contatto
un aperitivo di lavoro se possibile ancora entro la fine del mese
, precisò. La mia attenzione rimase tuttavia bloccata all’espressione primo contatto, che mi spinse a smettere di stropicciarmi gli occhi umidi, per iniziare a grattarmi prima la schiena e poi le braccia, in una preoccupante regressione animalesca. Non era la prima volta che mi grattavo. Nei primi mesi durante il ricovero, questo avveniva con i piedi, più precisamente avevo sofferto di micosi. Trascorrevo ore e ore a sfregarli prima di provare un leggero sollievo. Peraltro non usavo solo le mani: qualsiasi oggetto nelle mie immediate vicinanze poteva andare bene. Non di rado vedevo anche un po’ di sangue, che aveva però il potere di calmarmi.
Mi sento un po’ giù…
tossicchiai, formulando finalmente una frase di senso compiuto.
Sono qui per tirarla su…
replicò Natalia, di nuovo gioviale.
Mi bloccai in un silenzio carico di sospetto.
Questo gioco è un gioco di equilibrio devo solo farci un po’ la mano.
Intendevo…
attaccò subito per correggere la piega un po’ ambigua della sua affermazione, se vuole, sono qua fuori. La responsabile delle risorse umane mi ha chiesto d’incontrarla di persona. Dato che ha già lavorato per noi per quasi due anni, ormai fa parte del nostro team di ausiliari… le sembrava pertanto il modo migliore per capire se era pronto a riprendere la sua funzione. Ma potrei darle del tu?
Riuscii a rispondere di sì, rimanendo in silenzio per altri secondi, incapace di produrre un benché minimo pensiero, prima che Natalia intervenisse di nuovo togliendomi dall’impasse.
Mi offriresti un caffè?
chiese, questa volta con un tono di voce decisamente più gentile. Lunghi respiri si susseguirono, dato che in vita mia non avevo mai accolto qualcuno in casa senza un buon margine di preavviso. Un flusso di domande esistenziali incominciò lentamente a rifluire nella mia testa. Ce l’avrò? Ma soprattutto, proiettando lo sguardo verso un mio improbabile futuro, ero in grado di ricominciare a guadagnarmi da vivere lavorando, cioè esattamente come faceva il novantasette percento della popolazione svizzera? Cercai di mettere a fuoco quest’ultima prospettiva. Niente. Non riuscivo a visualizzare un benché minimo scenario. Osservai però crescere in me la convinzione che quella donna là fuori mi avrebbe dilaniato, strappandomi le membra a morsi. Scossi la testa per riprendermi dallo stato di paranoia in cui ero piombato. Ero vivo, eppure mi sentivo come un sinistro, patetico e ripugnante antenato. Pur non nutrendo nessuna speranza, andai comunque ad aprire, spinto da una forza di volontà che non riconoscevo mia, muovendomi come un sommozzatore sopra ad un materasso ad acqua. Al momento il mio piano si arrestava a questo. Non potevo più tirarmi indietro. Non conoscevo altre procedure che mi avrebbero messo al sicuro, al riparo dalla sofferenza. Non provavo nostalgia, non ambivo a conservarmi, non avevo protocolli da seguire per un futuro migliore.
Vivere il mio tempo
è un equilibrio dentro
Una volta che la porta fu spalancata, apparve una ragazza incredibilmente bella, fresca, sensuale, con la pelle del viso leggermente mulatta e lucente come un ritratto di pittura su seta. Fu come l’apparizione di un miracolo, anche l’aria vibrava, e ovunque regnava letizia. I suoi lineamenti eleganti ed equilibrati mi procurarono addirittura un vago moto di gioia. Altro che medicine, la sua bellezza era decisamente superiore a qualsiasi terapia farmacologica. Bastava guardarla un attimo per capire che la depressione era un concetto inventato a tavolino dagli psichiatri americani, con i loro insulsi parametri per rifilarti pasticche e lucrare sulle spalle dei contribuenti. Lei era la dimostrazione empirica che Dio non soltanto esisteva, ma era anche buono e misericordioso, perché solo un’entità superiore poteva scegliere quel preciso momento per inviarla a casa mia, cioè a casa di un disperato, che dopo un lungo tunnel letargico rivedeva per la prima volta una persona che non indossava un camice sanitario. Non potevo dire di essere guarito, ma intuivo che per me c’era ancora una speranza. Vibravo, cercai tuttavia di mascherare la mia bramosia.
Natalia entrò in sala senza esitare, come se fosse di casa, diffondendo dietro di sé una scia di profumo che lasciava presagire solo esperienze felici, di bontà estrema. E a confermare subito quella mia prima intuizione, non potei fare a meno di notare il paio di leggins neri che le modellavano perfettamente cosce, fianchi e soprattutto glutei, al punto di slogarmi quasi la mascella. La contemplazione del sedere femminile era sempre stata una delle mie inclinazioni più sorprendenti. Il mio era perlopiù un dono, per certi versi simile a quello dei rabdomanti. Avevo infatti la capacità di scoprire non tanto vene sotterranee di acqua, o metalli, ma la complessità di ogni donna nascosta nei lineamenti del suo fondo schiena. Quelle specifiche rotondità ispirarono anche la composizione della mia raccolta di poesie dal titolo B-side, prima che abbandonassi il genere lirico per dedicarmi a quello narrativo. Ad ogni modo, avrei dovuto scansionarlo ancora un po’ prima di avere un quadro caratteriale più esauriente, ma capii subito di essere fuori allenamento. Quel lato b non mi forniva nessuna informazione specifica, oltre al fatto di essere un gran bel culo. Per il momento avrei dunque dovuto mollare la presa. Per fare comunque conoscenza del mio interlocutore, ignorando bellamente i sei fattori della comunicazione teorizzati da Jakobson, iniziai a contemplare in rassegna prima il top bianco, anch’esso fin troppo aderente, probabilmente una taglia xs, che metteva per bene in risalto il rigonfiamento dei seni, i quali non avrebbero aggiunto nessun indizio alle mie indagini comportamentali, e poi i dettagli del viso, a cominciare dagli occhi, selvatici, il nasino, quasi all’insù (probabilmente il risultato di un ritocchino), soffermandomi in particolare sulle labbra, carnose il giusto, messe in risalto dal lucidalabbra, che mi misero voglia di mordicchiargliele, anche per accertarmi che fossero naturali. In generale, non mi piacevano le fighe di gomma, ma con lei avrei anche potuto fare un’eccezione.
Ormai la conoscevo abbastanza per dire che si trattava di un gran bel pezzo di donna. Restava tuttavia una domanda aperta, che riguardava la sfera sessuale, ma proprio nel momento in cui mi chiesi come sarebbe stata a letto, non ebbi nemmeno il tempo di lasciarmi trasportare dall’immaginazione che la stanza incominciò a girarmi attorno sempre più velocemente, e io non potei far altro che lasciarmi cadere, accartocciandomi su me stesso, implodendo come una torre gemella; lei fu comunque rapida ad afferrarmi per un braccio, e in parte a sostenermi, aiutandomi poi in una sorta di atterraggio assistito sul divano, su cui allungai le gambe, distendendo la schiena tra i quarantacinque e i sessanta gradi, appoggiando infine la nuca sul poggiatesta. Le mascelle erano contratte, e non sembrava esserci verso di sbloccarle. Vedevo tutto appannato, e il calore di quel morbido contatto mi scombussolò ulteriormente.
Natalia, rendendosi conto che non stavo ancora molto bene, mi accennò con la sua leggera cadenza spagnola (mi avrebbe rivelato in seguito che era di origini argentine, Cordoba per l’esattezza) a qualcosa del tipo vado a prenderti un po’ d’acqua. Poi sorrise, mostrandomi una dentatura equina al limite della perfezione, e infine si voltò. Denti così belli, soltanto il Petrarca era stato in grado di sugellarli in un suo sonetto tratto dal celebre Canzoniere. Laura, la sua musa ispiratrice, doveva peraltro essere una gran topa, peccato che di lei restasse solo un’immagine stilizzata.
Vidi ricomparire Natalia qualche istante dopo, davanti al mobile della cucina. Non potei fare a meno di indugiare di nuovo sul suo fondo schiena, appoggiato sopra ad un paio di gambe ben tornite, e ben proporzionate in confronto all’addome. La mia testa, come il processore di un computer, iniziò a connettersi alla rete dei ricordi. Ero ormai in grado di elaborare informazioni sull’universo femminile attingendo ad ambiti per così dire extrapoetici, come le serie tv su Netflix, il gossip di Novella 2000, e il porno gratuito