Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L.A. 1987 - Cercando Aurora
L.A. 1987 - Cercando Aurora
L.A. 1987 - Cercando Aurora
Ebook296 pages4 hours

L.A. 1987 - Cercando Aurora

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Los Angeles, California, fine anni Ottanta. Durante un tramonto con vista sul Pacifico, il detective privato Kevin Flow riceve un nuovo incarico poco legale dal corrotto capitano della polizia Brad Hocken: trovare Aurora Groovesnore, l'attrice più pagata di Hollywood, entro la mattina seguente. Un gruppo di rozzi messicani dal coltello facile, due sarcastici agenti del KGB con base segreta in una sala giochi, uno stregone hawaiano che gestisce un onirico sushi bar e un leggendario boss mafioso appassionato di opere d'arte e cibo spazzatura. Questi sono solo alcuni dei personaggi stravaganti, folli e surreali che Kevin incontrerà durante una sola, ed insolitamente lunga, notte americana. Storie di vite affascinanti, dialoghi fulminanti, inseguimenti, sparatorie, sensualità, droghe, degrado e un sacco di luci fluo: sono gli ingredienti per un succoso hamburger in salsa anni '80 che riserva al lettore divertimento, colpi di scena e anche qualche riflessione esistenziale dovuta all'eccesso di alcol nelle vene.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 23, 2022
ISBN9791221421484
L.A. 1987 - Cercando Aurora

Related to L.A. 1987 - Cercando Aurora

Related ebooks

Action & Adventure Fiction For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for L.A. 1987 - Cercando Aurora

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L.A. 1987 - Cercando Aurora - Marco Improta

    NOTA PER IL LETTORE

    Visto che siamo nel ventunesimo secolo e avere una connessione internet decorosa non è più un’utopia, ho pensato che puoi leggere questa storia ascoltando della buona musica. Quindi ho inserito nel libro dei brani che puoi cercare in rete, o su qualsiasi piattaforma online, per farne la colonna sonora di alcune parti di questo romanzo. Ad esempio per accompagnare questa breve introduzione puoi usare:

    Droid Bishop - Music

    Ovviamente se non ti va, non lo fare: il libro è ugualmente godibile anche senza musica.

    Ah, se vai su Spotify e digiti il titolo di questo libro, magari potresti trovare una comoda playlist con tutte le tracce già raccolte e pronte all’ascolto.

    Chissà...

    SECONDA NOTA PER IL LETTORE CHE MAGARI CON UNA SOLA SI SENTE TRASCURATO QUANDO INVECE IO SONO QUI A FARGLI CAPIRE CHE GLI SONO VICINO E LO RINGRAZIO TANTO PER AVER CONTRIBUITO A QUELLA VILLA CON PISCINA CHE ACQUISTERÒ CON I RICAVI DI QUESTO LIBRO

    Questa storia è ambientata negli anni ottanta.

    Si, i bellissimi e scintillanti anni ottanta che conosci anche tu.

    Sappi però che mi sono preso qualche libertà temporale, ma si tratta di minuzie e forse non te ne accorgerai neanche, quindi perché continuare a parlartene?!

    Stesso discorso per la location: siamo a Los Angeles, ma non proprio quella reale.

    Diciamo la Los Angeles che immaginavo da bambino quando guardavo i film americani.

    Perciò poi non mi venire a dire che quel luogo non esiste, che quell’altro non è esattamente lì, e quell’altro ancora non è come te lo ricordavi. Questa storia è semplicemente un gelato al sapor di Los Angeles ricoperto di abbondante crema anni ottanta.

    Ti ho avvisato.

    Bene. Adesso gira pagina e buttati in California.

    Ma prima, cambia traccia e metti su questa:

    Electric Youth — Right back to you

    CAPITOLO 1

    SIREN DIPITY

    È il 19 maggio del 1987 e la contea di Los Angeles è lieta di offrirvi un tramonto memorabile sul Pacifico. Il sole rosso fuoco non ha ancora toccato la linea netta dell’oceano, ma ha tutta l’aria di volersi tuffare proprio lì. I suoi raggi pennellano di viola le nuvole in un cielo blu cobalto che all’orizzonte si fa arancione. Le onde si distendono sulle spiagge con un fragore costante e rilassante, mentre una brezza leggera si alza delicatamente facendo della California il posto in cui vorresti trascorrere tutta la tua vita. Ogni elemento della natura sta offrendo il meglio di sé con sontuosa pigrizia e divina fedeltà al proprio compito.

    Mentre il Creato regala il suo spettacolo quotidiano, la città non vuole essere da meno e cerca di incantare gli occhi ingenui e facilmente ingannabili degli uomini accendendo le sue prime luci. Lo fa per non arrendersi alla fine del giorno. Per conquistare anche la notte. Per non dormire mai. Per vivere per sempre.

    Le strade iniziano a trasformarsi in lunghi serpenti luminosi di fanali gialli e rossi. In una di queste arterie palpitanti, al volante di una Chevrolet C1 Corvette del ‘62 rossa con bande laterali bianche, interni color crema e capote abbassata, c’è Kevin Flow. Trentasette anni ben portati. Barba curata, scura con qualche riflesso biondo. Capelli castani mossi e piuttosto lunghi. Giacca di pelle nera con simbolo della pace ricamato sulla spalla sinistra e Ray-Ban a coprirgli gli occhi nocciola. Da quando nei cinema è uscito Top Gun ci sono un sacco di persone che vanno in giro in Ray-Ban e giacca di pelle: sembrano non rendersi conto che un paio di lenti scure e un pezzo di pelle lavorata non hanno il potere di trasformarli automaticamente in Maverick. Persino Tom Cruise non è davvero Maverick, è solo l’interpretazione dell’idea di Maverick. Però, ehi, siamo a Los Angeles! Qui c’è Hollywood! Si vive di concetti astratti, di idee, di ideali e di idoli. Tutti finti. E questo Kevin Flow lo sa. Lo sa perfettamente. Ma porta comunque due pezzi di vetro sul viso che gli separano gli occhi dalla luce. Per quale motivo?! Ma per darsi un tono, ovvio! Per farsi notare. Per cucirsi addosso un personaggio. Per dare un’immagine di sé che sia apprezzabile. Perché dà peso al giudizio altrui. Insomma per lo stesso motivo per cui lo facciamo tutti: per essere accettati, per sentirci meno soli e soprattutto per provare a riempire con l’approvazione degli altri quel vuoto cosmico che ci portiamo dentro.

    Il vuoto di Kevin in questo momento è coperto anche da una camicia bianca aperta fino al terzo bottone sul petto villoso, da un paio di jeans Levi’s blu, da Adidas bianche con le tre strisce rosse e da una pancetta fatta di hamburger e superalcolici, perché per non sentire l’abisso dentro di sé, i grassi saturi e lo stordimento dei sensi sono essenziali. Nonostante Kevin Flow nel suo profondo sia ben consapevole del castello di illusioni di cui è ricoperto, in questo momento si sente piuttosto bene. Sarà il tramonto d’autore, la strada lungo l’oceano, le file di palme che scorrono veloci, le luci della città che inizia ad eccitarsi per la sera che arriva, la musica della sua autoradio a tutto volume e il vento che si infrange sui suoi Ray-Ban. Sarà tutta questa roba messa insieme che lo fa stare bene facendolo sentire un fottutissimo Tom Cruise. O un Bruce Willis. O una qualunque altra icona virile di riferimento. Ed è tutto così perfetto. Tutto così american dream.

    La spider rossa svolta all’improvviso per infilarsi nel parcheggio di un locale sulla spiaggia. Kevin dimentica di mettere la freccia e l’auto alle sue spalle suona furiosamente il clacson. Poco male: neanche Eddie Murphy mette la freccia quando fa gli inseguimenti in Beverly Hills Cop. Parcheggia, spegne l’auto e scende.

    Il locale è il Siren Dipity: una bella struttura in legno bianco con finiture azzurre. Sopra la porta d’ingresso c’è una polena raffigurante una sirena dai capelli rossi in stile pin up anni ’50 con indosso una striminzita blusa da marinaio a righe orizzontali bianche e blu che le lascia scoperto l’ombelico e una dose abbondante di tette. Nonostante la luce del sole stia dando le ultime carezze alla città degli angeli, l’insegna del locale con la polena è ben illuminata. È sempre tutto ben illuminato in America. È come se avessero paura del buio. Kevin osserva per un attimo quella statua di legno e pensa che forse una sirena non dovrebbe avere l’ombelico. Cioè non sono mammifere, giusto?! O forse si? Però hanno la coda da pesce, non la patata. Come si accoppiano? Escono dalle uova di sirena? Eppure hanno i seni, quindi allattano...

    Improvvisamente si ricorda che è lì per lavoro e forse dovrebbe smetterla di ragionare sul sistema riproduttivo di una tipa con la coda da triglia e le tette grandi.

    Entra nel Siren Dipity. Beh, più che entrarci, lo attraversa velocemente: sa già che la persona che deve incontrare lo aspetta sulla terrazza del locale che dà sull’oceano. Ed è proprio lì, seduto ad un tavolino bianco di ferro battuto, che un tizio canuto sulla sessantina con la barba sfatta, la pancia da tricheco, la cravatta allentata, la camicia madida di sudore e la giacca color kaki poggiata sulla spalliera della sedia, lo saluta alzando un bicchiere verso di lui. Kevin lo raggiunge e si siede.

    «Brad quante dita di rum ci sono in quella coca?»

    «Fatti i cazzi tuoi Kevin.»

    «Buongiorno Brad, anche io ti trovo bene.» risponde sarcastico.

    «Devi trovare Aurora Groovesnore.»

    «Chi? L’attrice?»

    «Si.»

    «L’hanno rapita?»

    «Ah non lo so, dimmelo tu. Anzi sinceramente neanche mi interessa: voglio solo che le sue bellissime chiappe d’oro domattina siano nel mio ufficio.»

    «Il tuo ufficio al dipartimento di polizia o il tuo ufficio privato?»

    «Se l’avessi voluta al dipartimento non ti avrei fatto venire qui...»

    «Va bene. Soldi?»

    «Abbastanza per comprarti una bella villetta fuori città, o per farti un anno su qualche isoletta tropicale senza preoccuparti di quanto costino ristoranti e troie.»

    «Davvero? E chi la sta cercando? Richie Rich?»

    «Meglio: tre case di produzione di Hollywood.»

    Nel frattempo arriva una cameriera vestita alla marinara, con ombelico scoperto e una blusa a righe bianche e blu uguale a quella della Sirena all’ingresso.

    «Cosa ti porto?»

    «Un Negroni.»

    «Arriva.»

    «Cazzo Kevin! Aurora mi serve per domattina. Se inizi a bere adesso, tra due ore starai dando la caccia a Betty Boop!»

    «Lo sai che lavoro meglio con un pizzico di alcol in corpo. E poi mi sa che anche tu sei abbastanza avanti coi drink: stai sudando come un maiale con la brezza fresca del crepuscolo. Il tavolo che ti sta sottovento penserà che il tramonto di L.A. odori di barbecue e cipolla.»

    «Io bevo per calmare i nervi, altrimenti mi vien voglia di sbattere al muro ogni testa di cazzo di questa città di merda. Te compreso. Ora apri le orecchie e stammi a sentire...»

    «No, no, Brad aspetta...»

    «Cosa?»

    «È stata una giornata piuttosto complessa: se prima non mi faccio un sorso di alcol ghiacciato non riesco a comprendere tutte le vaccate che hai da dirmi.»

    Brad lo fissa con gli occhi socchiusi e le sopracciglia alzate. Un’espressione che sembra dire Mi stai prendendo per il culo? Ma dato che Brad è un uomo dalla comunicazione raffinata, decide di manifestare pienamente il suo composito pensiero: «Porca puttana stai diventando un alcolizzato di merda! Anche con i clienti normali ti fai un bicchierino prima di ascoltare un nuovo caso?»

    «Dipende. Quando entrano in ufficio gli offro sempre da bere. Se loro accettano allora bevo anch’io. Altrimenti devo radunare tutti i neuroni a mia disposizione per capire ciò che mi sta raccontando la persona che ho davanti.»

    Brad continua a guardarlo con la medesima espressione e sbotta con voce secca: «Kevin.»

    «Si?»

    «Tu non hai un ufficio.»

    «Per ufficio intendo il locale, il bar o il ristorante che di volta in volta scelgo per accogliere il mio nuovo cliente. Perché sprecare soldi investendo in un ufficio quando posso usare tutti i locali di L.A.?!»

    «Ma tu ci credi davvero alle stronzate che ti racconti?!»

    «Ecco il Negroni!» esclama con voce squillante la cameriera graziosa e procace, entrando a gamba tesa in una conversazione già sul punto di degenerare.

    «Grazie tesoro.»

    Mentre Brad aspetta che la cameriera si allontani prima di iniziare a parlare di cose serie, Kevin dà un bel sorso al suo drink rosso rubino. L’alcol gli scorre infuocato nell’esofago e poi nello stomaco, diffondendo un senso di bruciore che sale subito nel cervello ad assaltargli le sinapsi e a calmarlo. Dopo aver bevuto, sospira profondamente adagiando la schiena sulla spalliera della propria sedia.

    «Bene Brad, ora sono pronto: raccontami tutti i tuoi meravigliosi segreti da film alla Humphrey Bogart.»

    Brad poggia entrambi i gomiti sul tavolo incavando la testa tra le spalle e inizia a parlare a bassa voce: «Dato per assodato che la tua testa fradicia sappia che Aurora Groovesnore è l’attrice del momento e che fare un film con lei garantisce milioni di spettatori nei cinema, il mio segreto alla Humphrey Bogart è che pare svanita nel nulla da circa dieci giorni. Ora, queste teste di cazzo di attori spariscono in continuazione per una settimana o per un mese: c’è chi va a farsi un super droga party di qualche giorno nella sua villa a Malibu, o chi si nasconde un mese in rehab perché deve arrivare pulito sul set del prossimo film. Insomma sai meglio di me che quegli stronzi ne hanno sempre una nuova e nessuno sembra mai preoccuparsene troppo. Ma in questo caso la Groovesnore ha scelto il momento sbagliato per dileguarsi: è scomparsa proprio nei giorni in cui avrebbe dovuto scegliere il suo prossimo film.»

    «Le major se la litigano?»

    «Si, a colpi di verdoni e di contratti in esclusiva. E forse anche di qualcos’altro... La Goldie Pictures vuole scritturarla per la prossima commedia sentimentale: Stretti come in un roll di salmone e avocado, un film pensato per diventare l’icona romantica del decennio. Alla Stars & Cherries vogliono la Groovesnore per un kolossal di fantascienza: Il pistolero solitario nello spazio profondo, praticamente Sergio Leone ma con i laser e gli alieni.»

    «Questo mondo non è ancora troppo fresco di Star Wars?!»

    «Evidentemente no. Infine la Monumental sta preparando l’ennesimo film sulla guerra del Vietnam: Surf e hamburger sul Mekong

    «Oddio che stronzata...»

    «Anche E.T. sembrerebbe una puttanata se te lo raccontassi qui su due piedi, e per quanto mi riguarda lo è, ma tutto ciò che produce denaro, anche se è un’atavica vaccata, viene magicamente considerato un capolavoro. È la specialità di Hollywood: trasformare stronzate in dollari. Bene. Ripeti quello che hai capito e vediamo se i tuoi pochi neuroni sanno recepire un messaggio che non sia quanti cubetti di ghiaccio vuoi?»

    «La Goldie vuole Aurora Groovesnore per Un roll di salmone e avocado.»

    «Stretti come in un roll di salmone e avocado.»

    «Stars & Cherries per Pistoleri nello spazio...»

    «Il pistolero solitario nello spazio profondo

    «Monumentala Mmm_ Happy Days sulMekong...?»

    «Surf e hamburger sul Mekong brutto rotto in culo.»

    «Ah già, esatto. Solo che la bionda dalle tette grandi è sparita e nessuno sa dove sia. Se la trovo mi becco un sacco di soldi perché immagino che tu, stimato capitano della polizia di L.A., abbia stretto sottobanco un garbato accordo tra gentiluomini con una delle tre major. O magari con tutte e tre. E gestirai talmente male il triplo gioco che se anche dovessi ritrovare riccioli d’oro, sicuramente finirai impiccato nel tuo ufficio, ma senza alcun colpevole perché l’avranno fatto sembrare un suicidio.»

    «Non sono cazzi tuoi con chi stringo accordi. Sappi solo che hai ventiquattro ore per trovare quella stronza. La voglio domattina. Nel mio ufficio. Quello privato.»

    «Domattina... Non ti sembra un po’ estrema come richiesta?»

    «Pensi che la stia cercando solo da mezz’ora?! Sono giorni che ho sguinzagliato i miei ragazzi...»

    «E allora perché ti sei rivolto a me?»

    «Perché Mike Madness Fletcher l’hanno trovato a galleggiare in una piscina di una villa a Beverly Hills, di Tony Colombo sono stati ritrovati solo alcuni resti sulle colline sopra Santa Monica, mentre Tex Rex e quel rompicoglioni del suo cane Derrick sono spariti. Ma con la fortuna che ho, immagino che quei cadaveri non ancora identificati di un umano e di un pastore tedesco che hanno rinvenuto giù allo scarico di liquami siano proprio loro. Quindi mi sei rimasto solo tu, che come detective privato sei una mezza sega. Non ti affiderei mai un caso simile, ma sei una delle ultime cartucce rimaste a mia disposizione, quindi ficcati in testa che domattina alle dieci voglio quella vacca nel mio ufficio privato.»

    «Grazie per la stima.»

    «Prego.»

    «Brad.»

    «Che c’è?»

    «E se è andata in Messico, in Florida o in Nicaragua? Se è andata a Parigi o in Giappone?»

    «Idiota gli aeroporti e le stazioni sono sotto controllo. Le sue chiappe sode non hanno lasciato il paese. È ancora a Los Angeles o nei dintorni. Trovala. Viva. Intera. E che sia ancora in grado di far rizzare il pisello a un buon padre di famiglia che porta moglie e figli al cinema.»

    «Brad.»

    «Che c’è?» dice alzando la voce.

    «Da adesso fino alle dieci di domattina non sono ventiquattro ore. Ne saranno a mala pena quindici.»

    «Fattele bastare.»

    Il capitano della polizia di L.A. Brad Hocken butta giù l’ultimo sorso di rum colorato da poca coca cola e si alza da quel tavolino sudato e incazzato nero.

    «Brad!»

    «Cosa cazzo c’è?»

    «Pensi di darmi un indizio? Uno schifo di pista? O inizio a chiederlo alla cameriera che mi ha portato il Negroni se per caso ha visto Aurora Groovesnore nel frigobar dietro al bancone?»

    Brad si china sul muso di Kevin sforzandosi di tenere la voce bassa nonostante l’incazzatura gli stia facendo pulsare le vene. Quello che ne esce è un sibilo: «Non c’è nessuna pista. Non ha parenti. Le persone a lei vicine e quei quattro cazzi mosci con cui sappiamo che ogni tanto scopava non ne sanno niente e abbiamo constatato che è vero. Fletcher, Colombo e Rex sono morti senza farmi sapere nulla, ed è stato piuttosto maleducato da parte loro. Aurora Groovesnore in questo momento è la prima donna di Hollywood. Anche l’ultimo dei venditori di hot dog si ricorderebbe di averla incrociata per sbaglio. Fai i soliti giri: locali, feste, pusher, quello che vuoi. Parla poco. Soprattutto parla poco con le major. Anzi parla poco con chiunque. Domanda il giusto. E ascolta tanto. E trovami quella vacca!»

    «Ti è salita la misoginia?»

    «No mi sta salendo la pressione. Non chiamarmi a casa. Non chiamarmi affatto. O ti fai vedere domattina dove sai con lei, oppure puoi anche andartene a fare in culo.»

    «Brad.»

    «Cosa? Cosa? Cosa cazzo vuoi ancora?» sbraita senza ritegno provocando il silenzio imbarazzato dei clienti seduti agli altri tavoli che si voltano a guardarlo.

    «Dimmi quanto mi spetta di preciso se te la trovo. Se non so quanto ci guadagno da questa storia, non riesco a concentrarmi.»

    Brad abbassa di nuovo la voce: «Centomila. Non tracciati. Direttamente sul tuo conto. Un movimento apparentemente legale offerto con i cordiali saluti della polizia di L.A. brutto sacco di merda. Buon lavoro!» E se ne va. Sempre sudato. Sempre incazzato.

    «Quanto mi vuole bene quell’uomo^» mormora sarcastico mentre lo guarda allontanarsi.

    80s Stallone - Beach

    Kevin, ormai da solo con ciò che rimane del suo drink, guarda il sole scarlatto che finalmente tocca la linea dell’oceano all’orizzonte. Il vento fresco e leggero gli accarezza il viso e gli smuove i capelli. Una ciocca gli finisce sugli occhi, ma lui non la scosta perché gli piace sentirla sul volto. Nel frattempo cerca di fare il punto della situazione: centomila dollari per portare una donna nell’ufficio di Brad. No, meglio: centomila dollari per portare una donna su un set cinematografico dove guadagna milioni e viene riverita come una regina. Anzi: centomila dollari per trovare in una sola notte la stella del momento nella città delle stelle. Ecco, ora si che suona bene: centomila dollari per trovare in una notte la stella tra le stelle.

    «Se mi dice culo e la trovo, faccio bingo e mi sistemo per un po’» mormora Kevin «Altrimenti... Non succede niente. Beh, ottimo dai: o vinco tutto o non perdo nulla.» In quel momento la cameriera passa di nuovo vicino al suo tavolo. Kevin beve un altro sorso e alza un braccio: «Ehi.»

    «Te ne porto un altro?»

    «No finisco questo e poi vado. Come ti chiami?»

    «Cassidy.»

    «Cassidy voglio farti una domanda.»

    «Sentiamo.»

    «Se tu fossi una donna ricca, famosa e bellissima e avessi il desiderio di sparire dalla circolazione, dove ti rifugeresti qui a Los Angeles?»

    «Beh non rimarrei a Los Angeles, salire sul primo volo per le Maldive.»

    «Ah no no, il gioco è che non puoi prendere l’aereo né il treno. Quindi, dove andresti qui a L.A. o nei dintorni?»

    «A casa di Cassidy, la cameriera povera ma simpatica del Siren Dipity. Lì di sicuro nessuno verrebbe a cercare una tipa ricca e famosa.»

    La ragazza prende il bicchiere lasciato da Brad e continua il suo giro tra i tavoli.

    «Fantastico» mormora sarcastico tra sé e sé Kevin, iniziando a pensare che forse non sarà così facile fare bingo. Deve inventarsi qualcosa per evitare di girare a vuoto per tutta la notte come ha fatto per quasi tutta la sua vita. Ma prima di alzarsi da quel tavolino vuole aspettare che il sole scompaia del tutto sotto il mare. Vuole guardare quello spicchio di fuoco che si rimpicciolisce a vista d’occhio. Vuole contemplarlo fino all’ultimo istante. Perché ha sempre avuto una passione per i tramonti. In fondo chi non ce l’ha?! Anche Hitler probabilmente diventava melenso davanti al sole morente tra le alpi bavaresi. Ma Kevin in quel momento non pensa alle alpi bavaresi, no, ha in mente un bel tramonto ai caraibi con un long drink e un vassoio di sushi. Il tutto gentilmente finanziato da accordi poco trasparenti tra un ufficiale corrotto della polizia di L.A. e una major cinematografica.

    Grazie Hollywood. Grazie California. Grazie America. Alla vostra!

    Nel momento in cui scompare anche l’ultimo puntino di quel disco rosso infuocato, la brezza che soffia dal mare aumenta leggermente d’intensità. Anche il fragore delle onde sembra un po’ più forte. Kevin rabbrividisce, finisce il Negroni, si alza e va.

    Con la fine del giorno e l’inizio della notte ha inizio la ricerca di Aurora.

    CAPITOLO 2

    BLACK HOLE

    Emmanuelle — Italove

    Lo chiamano la tana dei vip. Il centro di gravità permanente della movida d’élite. Il luogo dove tutti quelli che vogliono contare qualcosa a L.A. vanno almeno una volta a settimana a bere, a farsi vedere, a dimostrare che esistono e ancora il sistema non li ha ingoiati, digeriti e risputati nel nulla da cui sono venuti. Il luogo dove paghi circa quaranta dollari per un drink portato da un cameriere così bello, muscoloso e dalle mascelle scolpite che potrebbe fare il modello per Versace.

    O l’amante di Versace.

    È il Black Hole.

    Un posto dove una banale Caesar salad ha un sovrapprezzo così ignobile che Black Hole è anche il posto dove finiscono i tuoi soldi. D’altronde se vuoi metterti in mostra devi spendere. O perlomeno devi far finta che tu possa spendere. Ci sono attori e attrici di quart’ordine che mangiano pane e cipolle per una settimana pur di potersi permettere un aperitivo in questo locale. Così magari qualche casting director li nota e gli propone la parte di quello che deve morire per primo nel prossimo film di Brian De Palma, o il ruolo della madre di famiglia nel nuovo spot delle fettine di cheddar Happy Fifties che si sciolgono in bocca. Sono tutti convinti che queste comparsate possano essere delle opportunità: oggi lo spot della Happy Fifties e domani, chissà, una particina accanto a Danny De Vito, perché L.A. è tutta una continua scommessa sulla vita.

    Facciamola breve: se ti sei perso un attore da qualche giorno e non sai in quale buco di culo si sia andato a infilare, è normale iniziare a cercare proprio dal Black Hole. E a questo banale ragionamento ci arriva anche l’intuito non eccellente di Kevin Flow.

    Il posto? Immaginatevi il luogo più bianco, asettico e minimalista che abbiate mai visto. Ora abbassate l’illuminazione fino a fare quasi buio e accendete delle soffuse luci fluo blu. Aggiungete alcuni sporadici sbuffi di rosso irradiati da minuscoli faretti collocati sotto sedie, divani, tavoli e anche sotto il lungo bancone del bar.

    È tutto blu. Blu elettrico. Etereo. Sospeso. Intervallato solo da vampate di rosso che cova negli anfratti e cuoce a fuoco lento le voglie e i desideri. Aggiungeteci una spolverata di candide e scomodissime sedie di design, divani ugualmente bianchi e per niente accoglienti, musica fusion, e non

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1