Datura e cioccolato
By Thalassa
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About this ebook
Una storia fra la passione e il dolore. Melissa è una bambina molto sensibile, orfana di padre, che viene isolata dalle compagne e ama preparare ricette al cioccolato. Durante la crescita, ella affronta diverse esperienze di vita cambiando città, dal difficile rapporto con i maschi, all’amicizia con uno di questi. Un giorno di scuola, vede un ragazzo impossibile. Questo segnerà l’inizio di un percorso pericoloso, che porterà Melissa a scoprire la verità sulla sua vita.
Thalassa
Thalassa Author è lo pseudonimo di un autore che ha deciso di rimanere anonimo e non ama far parlare di sé. Ha iniziato l’attività di scrittore col romanzo Dolce sporco sogno erotico, pubblicato su Amazon Kindle Direct Publishing il 1° settembre 2021. Il nome è ripreso dalla divinità greca del mare, mentre il logo ha come simbolo la stella marina, che rappresenta resistenza alle avversità. Se perde un braccio, questo ricresce. Il genere letterario di Thalassa include scene di romanzi di formazione, narrativa psicologica, avventure sentimentali e storie contemporanee.
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Book preview
Datura e cioccolato - Thalassa
Datura e cioccolato
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Copyright © 2022 by Thalassa
1° edizione digitale | Pubblicato il 15 maggio 2022
Distribuito con Smashwords
15 agosto 2022
Thalassa Author | www.thalassaauthor.com | contact@thalassaauthor.com
Autore
Thalassa è lo pseudonimo di un autore che ha deciso di mantenere la propria identità nascosta.
Ha iniziato la propria attività di scrittore col romanzo Dolce sporco sogno erotico, dopo il quale ha pubblicato L’angelo che dormiva sulle nuvole di lava, Il silenzio delle tenebre, Sei ragazzi e lei e Sospesa improvvisamente.
Avvertenza
Questo romanzo contiene riferimenti medici che possono non essere veri.
Non si tratta di un’autobiografia e tutti i personaggi riportati sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Qualsiasi somiglianza o coincidenza è puramente casuale, pure in riferimento ad ambientazioni realmente esistenti.
Ai miei genitori e ai miei nonni, che mi hanno concesso tante gioie.
Ai docenti che mi hanno sostenuta in momenti difficili.
Alle vittime di bullismo. Non vergognatevi delle vostre caratteristiche.
Pensando ad un ragazzo, che mi ha strappato il cuore e non me lo ha mai aggiustato.
A chi ha lottato contro l’alcol e la droga.
A chi ha vissuto bruttissime esperienze durante feste ed eventi che avrebbero dovuto essere piacevoli.
Indice
CAPITOLO 1: L’INFANZIA
CAPITOLO 2: IL PRIMO ANNO DI MEDIE
CAPITOLO 3: GLI ANNI BRESCIANI
CAPITOLO 4: GLI INIZI DEL LICEO
CAPITOLO 5: L’INTRAPRESA DELLA CADUTA
CAPITOLO 6: VERSO UN NUOVO ORIZZONTE
RINGRAZIAMENTI
CAPITOLO 1
L’INFANZIA
L’unica cosa di cui sono certa della mia esistenza è che non sono mai stata ferma col pensiero nemmeno un secondo, fin dalla prima infanzia. Forse, ciò deriva dal destino nel nome che mi è stato dato, Melissa. Deriva dal greco antico μέλισσα e significa colei che fa il miele
, ovvero, l’ape. Curiosamente, i miei occhi hanno proprio un colore simile a quello del miele, direi di un millefiori.
Mio padre vedeva in me il miele. Costui decedé quando avevo la tenerissima età di quattro anni, un mese dopo che ebbi iniziato il secondo anno di scuola materna. Ho solo un vago ricordo del suo aspetto dal vivo, che non fosse quello visto e rivisto in numerose foto del passato, ogni giorno che crescevo, a distanza di anni dal lutto. Era un bel ragazzo alto un metro e ottanta, con una corporatura magra, ma in grado di trasmettere sicurezza, i capelli corti e castani, gli occhi scuri, il viso semi-ovale, i peli folti e portava basette e mosca, che in quegli anni andavano di moda su tendenza dei musicisti nu metal. Mia madre mi ha sempre detto che mio padre mi adorava, come io amavo giocare con lui nei weekend, dopo una settimana passata fra le braccia femminili, e che se n’è andò su in cielo dopo che il suo cuore ebbe smesso di battere. Si chiamava Edoardo, di lavoro era meccanico e aveva solo trentasette anni quando ci lasciò per sempre, di punto in bianco, col suo bellissimo sorriso di uomo che stava invecchiando, ma ancora giovane, e gli abbracci calorosi ed avvolgenti come quelli di un orso. Non partecipai al suo funerale, né ai tanti inviti nel corso degli anni da parte di amici e parenti in sua memoria, non sopportando il ricordo della morte di colui che avrebbe dovuto essere l’uomo più importante della mia vita, che potesse proteggermi, almeno fino a quando non mi sarei sposata, da grande. Ormai era morto, anche se non volevo crederci, sognando di poter parlare ancora con lui mentre mi ascoltava e mi insegnava a vivere, stringendomi nei suoi abbracci. Sarebbe sicuramente stato un padre fantastico, se solo avesse potuto vivere di più.
All’epoca, mia madre Lena non lavorava, essendosi presa un periodo di aspettativa dal lavoro di segretaria presso una frequentatissima palestra di periferia, in cui ebbe proprio conosciuto Edoardo, un anno prima della mia nascita. Era anche lei di bell’aspetto e di statura medio-alta, sul metro e settanta, coi capelli lunghi e tinti di biondo, gli occhi verdi, il viso leggermente allungato e abbronzato e le sopracciglia sottilissime, altra moda degli anni Novanta e Duemila. Aveva trentadue anni e sette mesi prima aveva cercato di avere un secondo figlio, un maschietto che avrebbe chiamato Alberto, ma, dopo otto settimane di gravidanza, subì un aborto spontaneo. La perdita prima del figlio, poi del compagno la mandò totalmente fuori di testa per la disperazione, al punto che, per quattro mesi, decise di affidarmi ai miei nonni, Alfonso ed Elisabetta, suoi genitori. Alfonso era andato due anni prima in pensione, dopo una vita occupata per oltre trent’anni nel settore alberghiero come manager. Laureato in Ingegneria Chimica, era un uomo alto e longilineo, dai capelli brizzolati, lunghi una spanna e segnati da una lieve alopecia, gli occhi castani, il viso lungo e glabro e l’incarnato lievemente ambrato, come se fosse rientrato dalle ferie al mare. Da giovane e in mezza età, era considerato molto affascinante, e non poche furono le avances di donne, giovani e meno giovani, che si invaghivano di lui in vacanza, mentre erano accompagnate da uomini per cui non provavano più nulla di speciale. Elisabetta, invece, lavorava ancora come insegnante di storia e geografia in una scuola elementare privata, impartendo da decenni le lezioni con un programma scolastico rimasto pressoché invariato, ma partecipate da alunni sempre più distratti. Piccola e minuta, dagli occhi scuri e la carnagione pallida, portava i capelli tinti di biondo platino, tagliati fino al collo e mossi, e indossava degli occhiali dalle lenti tonde per rimediare alla miopia. Curava l’aspetto con bei vestiti e gioielli regalatele negli anni dal marito, senza esserne fanatica.
Nonostante Lena avesse avuto un rapporto scostante con i miei nonni, specialmente con Alfonso, un uomo duro e facilmente irascibile, che voleva avere moglie e figlie che lo accontentassero in tutto e per tutto, una volta che persi il padre, si riavvicinò a loro. Io e mamma non vivevamo nella stessa casa dei nonni, ma ci trovavamo a pochi chilometri di distanza, in modo che potessimo vederci tutti i giorni, per qualsiasi esigenza ed emergenza. Lena aveva bisogno di aiuto e, se voleva ottenerlo, non avrebbe potuto permettersi di conservare i rancori del passato, decidendo così di sorvolarli, invece di continuare a girare il dito nella piaga con accuse taglienti. Non aveva nemmeno fratelli o sorelle da cui potesse essere sostenuta concretamente, a parte qualche sporadica telefonata, non del tutto utile. Sebastiano, suo fratello maggiore, viveva a New York insieme alla moglie Selene, una ballerina di origine portoricana, e a due figlie, Ramona e Brigitte. Donata, sua sorella minore, risiedeva nel paese d’origine del fidanzato, dove lavorava in un albergo, prendendo così le orme di mio nonno. Dopo aver lavorato in Italia per due anni come ingegnere delle comunicazioni, a ventotto anni Sebastiano partì per gli Stati Uniti in cerca di fortuna, avendo il sogno di fondare una start up per la consegna a domicilio di pietanze smart
. L’idea imprenditoriale ebbe molto successo, tanto che riuscì ad acquistare una villa in un prestigioso quartiere residenziale di Brooklyn, dove andò subito a vivere con la futura moglie, che aveva conosciuto appena due mesi prima ad una convention.
Una volta rimasta senza compagno, Lena dovette darsi da fare per farmi crescere al meglio. Il fatto che io non avessi un padre la premeva perché io potessi comunque ottenere un’esistenza felice e sentirmi amata e protetta come tutti gli altri bambini. Si sentiva una ragazza madre, pur non essendo stata abbandonata da uno di quegli uomini che cercano una nuova vita un po’ spensierata, lontano dai doveri coniugali e genitoriali. Dopo aver inviato il curriculum a tutti i negozi del paese, bussando anche alle porte, nessuno la considerò. Non c’erano negozianti che sembrassero provare pietà nei confronti di una donna, poco più che trentenne, senza lavoro e già madre. Si abbatté e si preoccupò molto, fino a quando, un giorno di domenica, non ebbe l’idea di partecipare alla messa delle 10:00 presso la Chiesa di San Francesco, sede di una delle tre principali parrocchie di Vigevano. Non si recava mai ad alcuna iniziativa religiosa, non nutrendo una particolare fede, ma era pronta anche a credere nei miracoli pur di aiutarmi. In quell’occasione, trovò un sacerdote, Don Michele, che, a fine evento, fermò per presentarsi insieme a me, raccontandogli la difficile situazione in cui versava. Gli confessò anche che non sopportava l’idea di spiegare, di giorno in giorno, a una bambina piccola, quale ero io, cosa significasse non avere una figura paterna accanto, che tornasse a casa la sera dal lavoro e ci supportasse emotivamente. Costui le tenne strette le mani, mentre le sgorgavano lacrime di dolore, assicurandole che avrebbe chiesto a tutti i membri e frequentatori della parrocchia se conoscessero qualcuno in cerca di personale. Tuttavia, le informò di non poterle garantire nulla, dato che non aveva sentito parlare di persone che avessero recentemente aperto nuove posizioni lavorative. Magicamente, circa una decina di giorni dopo, un negozio di articoli per la casa a basso prezzo chiamò la mia mamma per un colloquio. Il responsabile stava cercando una contabile e Lena, col suo diploma di ragioneria e le sue doti di precisione, lo convinse appieno, tanto che fu assunta sul posto. Lo stipendio offertole era piuttosto basso, ma in un paese come l’Italia, di quei tempi, quando mai una ragazza poteva aspirare ad alti guadagni, che non fosse una velina o un’attrice o una popstar. In tanti sostenevano che una donna dovesse rimanere a casa a crescere i figli, lasciando agli uomini faccende lavorative e di vita sociale. Ma coloro che un uomo non l’avevano, come avrebbero potuto fare altrimenti?
Il lavoro permise a Lena di portare a casa quel che bastava per mantenerci, evitando di intaccare i risparmi dei miei nonni, e di avere una distrazione dal dolore di aver perso mio fratello e mio padre, per di più a distanza di soli cinque mesi l’uno dall’altro, con me di quattro anni interamente da crescere. Tuttavia, doveva spesso interrompere le mansioni a causa delle continue richieste da parte delle mie maestre di scuola materna, che le chiedevano di venirmi a prendere. Spesso non stavo bene, fra le volte in cui avevo la febbre, quelle in cui ero colpita da un attacco di dissenteria, quelle altre in cui vomitavo il pasto. Ad un certo punto, contrassi la varicella da un compagno di classe, trasmettendola anche a mia madre, poiché non l’ebbe avuta quando era piccola. Per ella, assentarsi dal lavoro fu problematico, dato che era periodo di saldi, in cui si registrava il maggior numero di vendite e bisognava assicurarsi che gli incassi consentissero di pagare i