La variabile nascosta
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La variabile nascosta - Gianfranco Manes
Nota dell’autore
Nel settembre del 1941, Werner Heisenberg si recò nella Danimarca occupata dal III Reich per incontrare il suo amico e maestro Niels Bohr. Insieme avevano concepito una rivoluzionaria visione della realtà. Con le parole dello stesso Heisenberg "…le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere è piuttosto rimesso al gioco del caso".
Albert Einstein non poteva accettare l’idea che l’Universo dovesse obbedire alle leggi del caso e sintetizzò il suo scetticismo in una frase "Dio non gioca a dadi con l’Universo…" La visione di Heisenberg e Bohr sarebbe stata superata, pensava, con la scoperta di un’entità ancora non individuata dai fisici che chiamò la variabile nascosta.
Alla fine della guerra, Heisenberg ed altri fisici tedeschi furono isolati in una villa della campagna inglese, Farm Hall, e le loro conversazioni segretamente registrate per carpire i segreti del programma atomico sviluppato dai nazisti, Uranverein. Heisenberg e il suo ruolo in Uranverein divennero oggetto di controversie alimentate anche dalle speculazioni sui motivi che avevano posto fine alla lunga amicizia con Bohr proprio a Copenaghen.
Quale fu la vera causa della rottura con Bohr, un tentativo di coinvolgerlo nella costruzione della bomba o un malinteso tra i due scienziati? Quale il ruolo di Heisenberg, quello di contribuire al progetto atomico nazista o di sabotarlo nascostamente? E ancora, fu un’errata teoria sviluppata da Heisenberg la causa del fallimento di Uranverein?
Alcune domande rimangono ancor oggi senza risposta, ma sappiamo per certo che Heisenberg aveva sviluppato già alla fine del ’39 una teoria della fissione e che nel 1941 aveva realizzato un rudimentale prototipo di reattore nucleare, la Macchina a Uranio.
Negli anni ’50 emersero alcune teorie a variabile nascosta che puntavano a superare la visione di Heisenberg e Bohr, ma la loro validità è tuttora controversa.
È possibile che Heisenberg avesse sviluppato una teoria a variabile nascosta prima del viaggio a Copenaghen e che questa sia stata la causa della rottura con Bohr?
Di una tale eventualità non vi è traccia, ma vi è forse una probabilità che la vicenda qui narrata sia veramente accaduta… da qualche parte.
la variabile nascosta
Prologo
Tirò un sospiro di sollievo quando lo informarono che la terza International Conference CloudComp si sarebbe tenuta a Vienna e non in Cina come la precedente. Detestava l’aereo. A Vienna andò in auto e si portò appresso la moglie, lui immerso tutto il giorno nell’informatica, lei in giro per musei; si ritrovavano verso sera, sotto il sereno cielo di un settembre dalle mille aiuole fiorite in quella città opulenta da cui, in certi angoli di strada, lievitava un’ombra inquietante. Attraversata forse da troppa storia. O forse inquieto era lui, Lorenzo, vai a capire perché, inquieto sotto sotto, dal giorno dell’arrivo. Come se dovesse capitarmi qualcosa di sgradevole o di sorprendente, e lo aveva pensato senza dirlo a Sandra troppo convinta di aver sposato un uomo con i piedi piantati per terra, immune da oscuri presentimenti.
Poi c’era stato il Naschmarkt, quel mercato delle pulci e dell’antiquariato che si tiene a Vienna il fine settimana e Lorenzo si era ritrovato a seguire la moglie da una bancarella all’altra, allegro come un ragazzino in vacanza, il congresso si era concluso due giorni prima. Eppure, era stato lì nel vociare e spintonare della folla, di fronte a un banco di porcellane e pizzi e mille cianfrusaglie, che aveva provato un curioso stordimento quando Sandra tra una teiera e una pila di piatti decorati gli aveva indicato un volumetto logoro: non poteva interessarlo visto che lui era collezionista di libri d’epoca, oltre che esperto di informatica e marito? Più che stordimento era stato un vago malessere mentre voltava la copertina di cuoio nero e consunta, mentre leggeva il titolo scritto in gotico, per l’esattezza in gotico-fraktur. Non che sapesse bene il tedesco, lui, ma abbastanza per capire il senso di quel titolo pretenzioso che nereggiava sotto i suoi occhi, qualcosa come Fondamenti matematici della Meccanica Quantistica. Ma guarda un po’, commentò a mezza voce, hai detto niente. Di meccanica quantistica sapeva poco. Fece scorrere qualche pagina, l’autore del testo gli era sconosciuto ma tra le righe sbucarono nomi come de Broglie, Planck, Schrödinger, Heisenberg, tutti Premi Nobel, e nomi di altri scienziati di cui molti ebrei, come Einstein. Subito controllò la data di pubblicazione. 1933. L’anno in cui Adolf Hitler grazie a libere elezioni era stato designato Cancelliere del Reich. Vale a dire Primo Ministro. 1933. Ah sì? Non fece in tempo a rimettere il libro sul bancone, liberandosene come avrebbe voluto… sua moglie aveva adocchiato una graziosa statuetta di porcellana di antica manifattura viennese e aveva chiesto ed ottenuto il volumetto come sconto. Gli sorrideva, tutta contenta, bella com’era con il suo sorriso lo incantava, impossibile dirle che avrebbe fatto a meno di quel dono. Lorenzo lo intascò, ringraziò come si conviene, prese Sandra per mano e se ne tornarono in albergo. Adesso però prometti che non ti metti a leggere e mi ignori
, gli disse lei. Promise.
Mentre lei si truccava per prepararsi alla serata, una cena di tutto rispetto all’Anna Sacher Restaurant, mentre seduto poco più in là seguiva, come faceva spesso, l’affascinante rituale del maquillage, si ritrovò tra le mani quel volumetto; gli era sgradevole il contatto con il cuoio logoro della copertina, fece per posarlo, dalle pagine sfuggì e cadde a terra un foglio ripiegato in quattro. Lo raccolse. Era di carta ingiallita, per quanto ne sapeva uno di quei fogli usati una volta come carta da lettera. Sua nonna conservava lettere di famiglia scritte su carta simile. Si sporse a cercar luce verso la lampada che aveva accanto, il foglio era scritto a mano, una calligrafia sghemba e puntuta, un gotico corsivo frettoloso e difficile da decifrare, inchiostro verde tra l’altro, poche parole fitte a lui quasi incomprensibili intervallate da formule matematiche tra le quali però riconobbe un’espressione che conosceva ed era la disuguaglianza del Principio di Indeterminazione di Heisenberg. Ah, però! disse tra sé, e si incantò su quell’espressione formulata nel 1927, questo lo ricordava bene, quando Heisenberg doveva avere all’epoca ventisei anni, capirai, uno dei più brillanti fisici tedeschi, il Nobel gli sarebbe arrivato nel 1932 e due anni più tardi Hitler si sarebbe autoproclamato Führer, con quel che ne consegue. In fretta infilò il foglio tra quelle pagine, gli faceva impressione averlo tra le dita, metter le mani, insomma, dove le aveva messe qualcuno finito chissà dove, gasato probabilmente dati quei tempi.
Buttò il volumetto sul tavolo ma per tutta la sera, oppresso, continuò a pensare a quella calligrafia frettolosa come fosse di qualcuno avido di buttar giù, prima che sia tardi, appunti di angosciante importanza. Continuò a pensarci e intanto sorrideva come niente fosse alla moglie, splendida nel suo abito da sera al tavolo del ristorante arredato in stile fin de siècle, continuò a pensarci tra l’Hochschwab con cavoli rossi e la torta Sacher, tra il Zweigelt del 2008 per la carne di cervo e un Gewürztraminer del 2004 per il dolce.
In albergo subito riaprì il volumetto, subito cercò il foglio, lesse e rilesse le formule, inseguì il senso di quella calligrafia antiquata. La moglie gli tolse il libro da sotto gli occhi, non era lei quella sera ad avere la precedenza su ogni altra cosa?
Si addormentò che era quasi l’alba. Svegliandosi gli parve di aver sognato che il foglio vergato a mano non fosse un semplice appunto ma una dimostrazione riguardante il Principio di Indeterminazione di Heisenberg e la sua inapplicabilità in determinate condizioni, cosa che avrebbe automaticamente causato una grave falla in tutta la costruzione della Meccanica Quantistica. Si rese conto che da quando il manoscritto era finito nelle sue mani non riusciva a pensare ad altro e quel foglio di carta d’altri tempi aveva qualcosa di sinistro che lo intimoriva e lo attraeva nello stesso tempo, una cosa arrivata da lontano, da un’epoca tragica… ma perché proprio a lui?
Lasciò Sandra nella piscina dell’albergo e uscì in fretta.
Mezz’ora dopo era davanti alla bancarella di porcellane e pizzi e cianfrusaglie. Al tipo che lo riconobbe chiese se fosse lui a procurarsi abitualmente il materiale in vendita. Sì, era lui. Chiese se poteva fare quattro chiacchiere. Sì, poteva. Appena sedettero di fronte, a un tavolino all’aperto, Lorenzo ordinò due birre, poi tenendolo ben stretto perché non ne scivolasse il foglio, sollevò a mezz’aria il libro.
Dove l’ha trovato, questo?
chiese in un tedesco faticoso. È stato scritto all’epoca della Germania nazista
.
E lei viene a chiedermi dove l’ho trovato?
sospirò l’altro. Si lasciò andare contro lo schienale della seggiola e incrociò le braccia e in un viennese stretto accentuandone la cadenza tanto per chiarirgli la propria ostilità, attaccò una filippica densa di rancori: Cosa ne sapete voi giovani di Hitler e di quello che ha fatto il nazismo, ha presente? E di quello che ha combinato tra guerra e persecuzioni?
Ho solo chiesto dove ha trovato questo manuale, so bene che…
Lorenzo non riuscì a continuare, l’altro inarrestabile gli tappò brusco la bocca: Mio padre è morto quando mia madre mi aspettava, è morto in uno dei loro campi non molto distante da qui a Gausen vicino a Mauthausen. I tedeschi ci costruivano le loro armi segrete e perfino la loro bomba atomica. L’hanno scoperto di recente misurando i livelli di radiazione, una ragnatela di gallerie scavate da migliaia di poveri esseri costretti a lavorare fino allo sfinimento, alla morte
. Tacque, affannato. Seguì un silenzio. Poi, a voce bassa, riprese: Cosa ne sa lei dell’ansia di potere di Hitler e di quanto fosse infido Himmler suo fedelissimo e capo delle SS, sulla Gestapo e sul Servizio di Sicurezza, lo SD che si occupava di spionaggio, sulla repressione e sulle persecuzioni che colpivano tutti, anche gli scienziati?
Lei pensa che io non sia informato…
esclamò Lorenzo, accigliato, neanche gli avessero dato dell’ignorante, …e che non sappia che molti scienziati tedeschi sono scappati dalla Germania per sfuggire alle persecuzioni di Hitler?
Ma guarda…
strascicò l’altro derisorio e attaccò a parlargli di Heisenberg, e di come nel 1936 fosse stato oggetto di violenti attacchi da parte del fisico tedesco e nazista Stark, altro Premio Nobel, ma autore di invettive contro gli scienziati tedeschi che si riferivano alle teorie di scienziati ebrei come Einstein, gli ebrei bianchi li definiva. Invettive efficaci al punto da provocarne il brutale arresto da parte della Gestapo.
Questo non lo sapevo…
ammise Lorenzo e depose sul tavolo il volumetto che ancora stringeva in mano. Io…
Non riuscì a continuare, l’uomo si era alzato per tornare subito dopo con un libro che aveva preso dalla sua bancarella.
Guardi
gli disse, "si legga questo, Il club dell’Uranio di Hitler, quello che loro chiamavano Uranverein. Volevano costruire armi atomiche con l’idea di radere al suolo Londra e perfino New York. Sono quarant’anni che vendo libri e lei crede che io non li legga quelli che mi passano davanti?"
Lorenzo prese il libro e cominciò a sfogliarlo.
Legga
lo esortò l’altro, dopo la guerra gli scienziati tedeschi furono catturati e relegati per mesi in una casa di campagna in Inghilterra, così gli inglesi hanno potuto spiarli e hanno scoperto che erano molto vicini a realizzare la bomba. Lo dice Heisenberg chiaro e tondo
.
Ma Heisenberg non era nazista, fu anche arrestato, me l’ha detto lei
azzardò Lorenzo.
È vero ma se la cavò perché fu proprio Himmler, pensi un po’, a tirarlo fuori dai guai, poi ricevette la cattedra in fisica teorica a Lipsia e poi…
si sporse in avanti e batté due dita sul volumetto "…e poi eccolo partecipare al programma atomico nazista, a Uranverein. Di nuovo incrociò strette le braccia sul petto ergendosi indignato
E lei mi viene a chiedere dove l’ho trovato quel bell’affare con il foglio che c’è dentro? Me lo viene anche a chiedere?"
Ma allora lei sa del foglio! Mi dica dove diavolo l’ha trovato!
sbottò Lorenzo, veemente. Me lo dica!
L’altro si quietò all’istante. Ammutolito. Bevve qualche sorso di birra, riflessivo. Ripulì i baffi dalla schiuma.
Una soffitta
confidò poi circospetto e a voce bassa. L’ho trovato lì. Ci si era rifugiato non so chi. Ho svuotato quella soffitta e l’ho trovato lì. Come se qualcuno l’avesse nascosto. Ma lei non l’ha capito di chi potrebbe essere quel foglio? Chi potrebbe averlo scritto? Non ci arriva da solo?
Si alzò. Peggio per lei se le è toccato di metterci le mani, di portarselo a casa quel libro
aggiunse ma cortese, con l’aria di chi ti fa le condoglianze. Io buttarlo non osavo ma non vedevo l’ora che qualcuno se lo portasse via. Ma non lo sa che la vicenda che riguarda quel libro e soprattutto il foglio manoscritto è radicata in quegli anni terribili? È una vicenda velenosa, che trasuda sofferenza, io non voglio averci a che fare
. Agguantò di nuovo il boccale di birra e lo vuotò. Lo depose di schianto sul tavolino. Infilò le mani in tasca. Si allontanò di qualche passo.
Poi si voltò verso Lorenzo e: Sa che cosa le dico? Lei la dovrebbe proprio conoscere la vicenda che ha dato origine a quello che ha davanti. E soprattutto a quel foglio. Io non ne voglio sapere niente, non ci tengo a sapere di quel mondo terrificante. Ma lei dovrebbe proprio conoscerla quella storia
. Gli voltò le spalle e se ne andò.
Lorenzo lo seguì con lo sguardo.
Rimase lì, seduto al tavolino all’aperto, solo e stordito senza riuscire a distogliere il pensiero da quel libro e da quel foglio arrivati a lui da un’epoca tragica attraverso chissà quale tortuoso cammino.
parte prima
Il piano di Schellenberg
Operazione Zauberflöte
Quando aprì il fascicolo e ne lesse il contenuto sobbalzò. Una cosa inusuale per Rudolf Brandt, freddo ed efficiente segretario personale del capo delle SS: l’onnipotente Heinrich Himmler.
Rilesse il foglio con ancor maggior attenzione: la richiesta di Werner Heisenberg, il più importante fisico tedesco, di recarsi a Copenaghen per partecipare ad un convegno durante il quale avrebbe incontrato il suo vecchio amico Niels Bohr era qualcosa che richiedeva attenzione, molta attenzione e molta cautela. Dette un’occhiata al dossier personale di Heisenberg e lo scorse velocemente. Dopo le accuse del ’36 e l’intervento personale di Himmler che l’aveva scagionato, Heisenberg non aveva più dato motivi alle SS di interessarsi a lui, fino al marzo del ‘39, quando il Consiglio per la ricerca del Reich e l’ufficio armamenti della Wehrmacht avevano dato vita a Uranverein, il programma atomico nazista. Heisenberg fu messo a capo di uno dei due progetti. Questa posizione faceva di lui uno dei principali protagonisti del programma che doveva portare alla costruzione di una nuova arma dal terrificante potere distruttivo, in grado di volgere le sorti della guerra a favore dei nazisti. Era questo il segreto più gelosamente conservato del Reich, qualcosa di cui solo poche persone erano a conoscenza e della cui esistenza nulla, nemmeno il più insignificante indizio, doveva trapelare.
Heisenberg, si disse Brandt, non è certo una persona da lasciare girare liberamente in un paese come la Danimarca, occupato da un anno, ostile alla Germania e animato da propositi di resistenza passiva ed attiva. Ancor più preoccupante era la possibilità di un incontro con Bohr le cui posizioni antinaziste e filo-britanniche erano ben note. Qualunque indiscrezione di Heisenberg sulla sua attività, anche involontaria, sarebbe servita a Bohr per capire che il Reich stava lavorando alle applicazioni dell’energia atomica. E l’informazione sarebbe arrivata a Londra ancor prima del ritorno di Heisenberg a Lipsia dove era basata la sua attività in Uranverein.
Il permesso andava negato! Questo avrebbe immediatamente concluso qualunque altro funzionario del Sicherheitsdienst, lo SD, il temuto servizio informazioni delle SS. Qualunque altro, ma non Brandt. Era figlio di un modesto ferroviere e non sarebbe arrivato a soli trentatré anni a essere l’alter ego di Himmler, una vera e propria eminenza grigia delle SS, se si fosse limitato a prendere sempre la decisione più ovvia. Il suo istinto gli diceva che la richiesta di Heisenberg poteva essere un’opportunità da sfruttare. Con scaltrezza e spregiudicatezza, ovviamente, doti che gli erano proprie. La cosa meritava di essere valutata meglio prima di sottoporla a Himmler.
Aveva molte incombenze quella mattina e decise di riprendere in considerazione la cosa a tempo debito.
Quella sera si fermò a cena al Prinz-Albrecht Hotel dove le SS avevano stabilito il loro quartier generale e dove si trovavano i quartieri privati di Himmler, nella raffinata suite presidenziale.
Al ristorante incontrò Walter Schellenberg con cui aveva intessuto un rapporto di amicizia e stima reciproca fondata sulla comune appartenenza alle SS, ma anche sui comuni studi, dato che erano entrambi laureati in legge. Schellenberg era l’astro nascente del SD per aver ideato il piano che aveva portato alla cattura di due agenti inglesi a Venlo nel ’39. Mentre conversavano in attesa della cena, Brandt continuava a pensare alla richiesta di Heisenberg, chiedendosi se esistesse un’alternativa a quella troppo ovvia di chiudere la questione con un diniego.
Quando Schellenberg si congedò, probabilmente per infilarsi nel letto di qualcuna delle sue molte amanti, a Brandt non dispiacque rimanere da solo per continuare a riflettere sorseggiando un cognac ben intiepidito, nella lussuosa sala da gioco adorna di stucchi e di decorazioni ed impreziosita da un grande tappeto che ricopriva l’intero pavimento.
Tornò con la mente a Uranverein: lo avevano organizzato in due progetti, uno diretto da Heisenberg, l’altro da Kurt Diebner, un fisico fervente nazista. Il primo quindi sotto il Consiglio delle ricerche del Reich, l’altro sotto la direzione armamenti della Wehrmacht. La solita tecnica del divide et impera, si disse Brandt. Due progetti in concorrenza tra loro per approfittare della rivalità dei due conduttori. In questa divisione di poteri, però, le SS erano rimaste escluse se non per il ruolo del tutto marginale di fornire i servizi di sicurezza. Himmler se n’era lamentato più volte ed aveva cercato un modo per acquisire una posizione preminente, ma Göring gli aveva precluso ogni possibilità.
E se questa fosse l’occasione per entrare in gioco, si chiese Brandt? Cominciò a lavorare ad una sua idea e prima di aver terminato il suo secondo cognac quell’idea aveva già preso corpo. Non era un piano preciso, ma solo una traccia abbozzata. Del resto, non spettava a lui sottoporre al suo capo piani ben delineati, quanto piuttosto indirizzare abilmente la discussione verso un certo esito, con allusioni e sottili insinuazioni per poi, al momento giusto, porgere un suggerimento o evidenziare un’opportunità. Era questo il rapporto che si era costituito tra i due in modo naturale. Il suo spregiudicato cinismo, unito alla straordinaria abilità di stenografo che gli permetteva di trascrivere tutto quello che Himmler gli comunicava, l’avevano reso un collaboratore indispensabile e onnipresente.
Non aveva quindi un piano preciso quando l’indomani alle sette si recò al rituale incontro mattutino con Himmler.
La sua vita si svolgeva prevalentemente in quel chilometro quadrato delimitato da Prinz-Albrecht-Straße e Wilhelmstraße dove si trovavano gli edifici che ospitavano i principali uffici delle SS, tra cui quelli della Gestapo, la temuta polizia segreta. Come ogni mattina varcò il portone del Prinz-Albrecht Hotel di buon passo, salendo le scale adornate con eleganti ringhiere Jugendstil e percorrendo i corridoi fino ad arrivare all’appartamento di Himmler.
Quando Brandt arrivava, Himmler si faceva trovare nel bagno, davanti allo specchio. Si radeva da solo. Come se non si fidasse di affidare ad altri l’uso del rasoio a mano libera che maneggiava con ammirevole destrezza facendo piazza pulita sulle guance grassocce ma salvando con precisione i baffetti, simili, se non identici, a quelli del Führer.
Brandt si fermò come al solito sulla porta con la cartella dei documenti da sottoporre al suo capo e la richiesta di Heisenberg era tra quelli. Ogni giorno, per lui, quello era un grande momento. Aveva per Himmler una totale ammirazione, gli era grato del rapporto particolare ed esclusivo che aveva stabilito con lui e gli doveva l’ascesa nella scala gerarchica fino al grado di maggiore delle SS, ricompensa che lo riconosceva come instancabile lavoratore e fidatissimo.
Allora?
Himmler non lo invitava a entrare e a lui, Brandt, andava bene così.
Per prima cosa riferì della richiesta di Heisenberg.
Cos’è questa storia del viaggio a Copenaghen?
Himmler si insaponò il viso.
Ho accertato che si tratta di un congresso di Astrofisica organizzato dall’Istituto di Cultura Germanica. Heisenberg ha ricevuto una regolare lettera di invito dagli organizzatori
Una richiesta per andare proprio a Copenaghen, ora che abbiamo occupato la Danimarca? Non potrebbe trattarsi di un pretesto per chissà cosa?
con gesti precisi e rapidi Himmler affilò il rasoio. Cosa ne pensa, Brandt?
"È