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Lucio Dalla: La vita, le canzoni, le passioni
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Lucio Dalla: La vita, le canzoni, le passioni

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Lucio Dalla era un antropologo che viveva in mezzo alla gente, la osservava, la immagazzinava e poi la raccontava nelle sue canzoni. Lo ha fatto sempre in maniera spontanea, al contempo da giullare e da poeta: a Lucio, infatti, piaceva stare tra le persone comuni, vivendo intensamente i luoghi dove esse cuciono i fili delle proprie vite, quegli spartiti unici e irripetibili che lui sapeva mettere in musica, emozionando e divertendo. Il libro ci porta in esplorazione dentro il mondo sfaccettato del cantautore bolognese, fatto di attaccamento alle terre della sua infanzia e della sua maturità, di profonda sensibilità umana, mai venuta meno nonostante il successo, e instancabile sperimentazione artistica tra palchi, teatri e mari del Sud. Un ritratto inedito e intimo di un musicista, ricordato con affetto, che ha segnato la storia della canzone italiana.
LanguageItaliano
PublisherDiarkos
Release dateFeb 27, 2020
ISBN9788836160280
Lucio Dalla: La vita, le canzoni, le passioni

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    Book preview

    Lucio Dalla - Salvatore Coccoluto

    Introduzione

    È stato un musicista travolgente, sconvolgente, imprevedibile, innovativo personale, con una scuola importante alle spalle, avendo suonato con personaggi di grandissima levatura. Quel che ci rimane è il prodotto, sono le canzoni che ha scritto, canzoni destinate a essere letteratura per i giovani musicisti che verranno. Se vorranno essere sinceri e innovativi nella loro proposta artistica non potranno prescindere da Lucio Dalla.

    Ho voluto cominciare il libro con questa dichiarazione di Francesco De Gregori, rilasciata a Mario Luzzato Fegiz nel 2012, perché penso che colga a pieno la vasta e importante eredità che Lucio Dalla ha lasciato a tutti noi, alle nuove generazioni e a quelli più avanti con l’età, agli artisti emergenti o a quelli che devono ancora nascere.

    Il cantautore bolognese è stato un artista poliedrico, un musicista geniale e imprevedibile. Sempre pronto a smentire se stesso, a cambiare rotta, a esplorare nuove strade. Grazie anche alla sua purezza di eterno bambino che non smetteva mai di giocare e che appena iniziava ad annoiarsi cambiava gioco, cercando di sperimentarne di nuovi. Nel libro Gli occhi di Lucio, l’artista individuava nella «curiosità che ho sempre avuto per le cose che non conoscevo o non sapevo fare o non avrei mai fatto» un agente motore della sua storia e della sua arte. Un esempio? Lucio in adolescenza suonava il jazz e guardava con diffidenza il mondo della musica leggera. A sedici anni non avrebbe mai pensato di fare il cantante pop. Poi fu un incontro casuale e la curiosità di sperimentare a spingerlo su quella strada. E via verso la scrittura dei testi e la composizione cantautorale, fino a diventare un grande poeta della canzone italiana.

    Ma soprattutto per l’arte di Lucio Dalla sono stati decisivi gli incontri. Certamente quelli con Gino Paoli e Roberto Roversi furono fondamentali. L’incontro più importante, però, è stato quello con la gente comune, l’uomo della strada. Sempre ne Gli occhi di Lucio, realizzato a quattro mani con Marco Alemanno, collaboratore con cui ha condiviso una lunga fetta di arte e di vita, Dalla individuava l’epicentro della sua creatività «nell’interfaccia, nello scambio continuo e comune con il pubblico, che non ho mai ritenuto pubblico in quanto entità separata, opposta, dall’altra parte, ma piuttosto come una delle ragioni stesse del mio scrivere». Un antropologo che viveva in mezzo alla gente, la osservava, la immagazzinava e poi la raccontava nelle sue canzoni. Lo ha fatto sempre in maniera spontanea: a Lucio, infatti, piaceva stare tra le persone comuni. Non aveva alcun problema a firmare autografi o a fermarsi a chiacchierare con qualcuno per strada, si nutriva di questo contatto, per osservarsi da vicino. Assorbiva tutto ciò che gli girava intorno, lo rielaborava dentro di sé per ritrasmetterlo attraverso il filtro dell’arte. Se consideriamo l’intero repertorio di Dalla, nelle storie che ha cantato ritroviamo sempre la gente comune. Prendiamo, per esempio, Anna e Marco, Meri Luis, Il parco della luna, Il cucciolo Alfredo, Cara: Lucio ha sempre raccontato storie e sentimenti dell’uomo della strada filtrati dal suo occhio sensibile. Come viene ribadito dallo stesso Alemanno, Dalla si faceva antenna ricevente degli stimoli che lo circondavano.

    Nel libro ho voluto raccontare prima di tutto questo aspetto di Lucio, intrecciandolo con i luoghi in cui ha vissuto e che hanno influenzato il suo lungo percorso umano e artistico. Il cantautore, infatti, amava l’Italia, le sue bellezze, il suo popolo. Oltre a Bologna, sua città natale e punto nevralgico della sua arte, ha vissuto a Roma, a Urbino, sulle Isole Tremiti, a Milo, ai piedi dell’Etna, e ha amato profondamente l’intero sud dell’Italia, Manfredonia e tutto il Gargano, le Isole Eolie e l’incanto della Sicilia, nutrendo un sentimento speciale per Napoli. In ognuno di questi luoghi Lucio ha lasciato la sua anima, i segni evidenti del suo passaggio. Ha preso ispirazione dai paesaggi, dalla gente che li abita e dalle tradizioni, restituendo in cambio affetto e umanità. Ho raccontato quindi questo aspetto di Dalla, cercando di individuare i posti e gli incontri che hanno ispirato molte delle sue canzoni. Poi ho voluto addentrarmi nel suo amore per l’arte e per il cinema, nelle sue esperienze giovanili di attore e nei film che hanno ispirato tante sue canzoni. Poi la passione per lo sport, in particolare per il basket, il calcio e i motori, discipline che seguiva quotidianamente e che gli hanno spesso donato emozioni che abbiamo ritrovato nei suoi brani. Non potevo però trascurare l’amore per il mare e per le barche su cui ha trascorso lunghe stagioni della sua vita e a bordo delle quali ha scritto numerose canzoni.

    Ma soprattutto ho voluto far emergere il Dalla mai sazio di stimoli culturali, un uomo all’incessante ricerca di innovazione, che non aveva paura di sperimentare, anche nella seconda parte della sua carriera. Quando avrebbe potuto godersi i frutti del successo, ha invece deciso di misurarsi con la regia teatrale e la riscrittura di un’opera come la Tosca. Infine il Dalla talent scout che, a partire dagli anni Ottanta, ha messo a disposizione di molti artisti emergenti la sua esperienza.

    Il mio viaggio è cominciato da Bologna, perché è lì che tutto ebbe inizio ed è lì che è nato, vissuto, partito e sempre tornato Lucio Dalla.

    Bibliografia, fonti web e video

    Ron, Chissà se lo sai. Tutta una vita per cercare me, Piemme Editore, 2015.

    Mario Luzzato Fegiz, Banana Republic spiegato da De Gregori, Fegiz Files, corriere.it, 26 luglio 2012.

    Davide Ratti (a cura di), Lucio Dalla. Paff…Bum!, Blues Brothers Edizioni, 2017.

    Lucio Dalla, Marco Alemanno, Gli occhi di Lucio, Bompiani, 2008.

    Via D’Azeglio, 15

    Questo viaggio nell’arte di Dalla non può che cominciare dal luogo che oggi racconta più di tutti gli altri chi fosse il cantautore emiliano: la casa al civico 15 di via Massimo D’Azeglio, nel centro di Bologna, a due passi da Piazza Maggiore, dove ha vissuto per decenni. Attualmente è gestita dalla Fondazione Lucio Dalla, nata il 4 marzo 2014 su iniziativa degli eredi dell’artista, che l’hanno trasformata in un museo, un luogo in cui custodire e tramandare la memoria e l’arte di Dalla.

    Sono andato a visitarla in un pomeriggio di maggio. Arrivato davanti al portone, il primo istinto è stato quello di alzare gli occhi verso le finestre al primo piano di quello splendido edificio senatorio del 1400, sperando che improvvisamente Lucio si affacciasse per fingere di sparare agli uccellini con il suo clarinetto. Prima di salire, mi sono spostato nell’adiacente piazza dei Celestini, dove c’è la chiesa in cui venne battezzato, e ho trascorso qualche minuto al bar a godere del sole di maggio, proprio come faceva lui appena aveva un po’ di tempo libero.

    Alzando la testa, in prossimità del balconcino di quello che fu il suo ufficio, spicca sul muro l’installazione realizzata dallo scultore Mario Martinelli dopo la morte di Dalla, intitolata L’ombra di Lucio, in cui viene rappresentato mentre suona il sax, ormai un simbolo, che spesso ricorre in varie zone della città. Poi è arrivato il momento di cominciare la visita nei 650 metri quadrati di abitazione in cui il cantautore ha vissuto la sua vita, ha scritto canzoni, accolto artisti e amici.

    Non è un segreto che fosse una persona profondamente ironica. Amava fare gli scherzi, prendendosi gioco simpaticamente di coloro che lo circondavano, ma non rinunciava a ridere di se stesso. Basta entrare nell’androne del palazzo per avere immediatamente la conferma di quanto appena detto: soffermandosi davanti ai citofoni, infatti, è inutile cercare il suo nome. Non c’è. Per farsi rispondere da Lucio bisognava suonare al Commendator Domenico Sputo. Sì, perché Lucio non solo amava attribuire soprannomi alle persone che incontrava, agli oggetti che gli appartenevano (il suo computer lo aveva chiamato Dante), ma anche a se stesso. Pare che il nome Domenico derivi dalla sua simpatia per i frati domenicani, mentre il cognome Sputo sia ispirato al gioco che faceva da bambino con gli amici e i cugini, quando si sfidavano a chi sputava i lupini più lontano. Negli anni con questo pseudonimo ha firmato alcuni dei suoi blitz musicali nei dischi altrui, ma anche le e-mail che inviava, fino a farlo diventare, nel 2001, il titolo di una sua canzone.

    Sempre nell’androne del palazzo di via D’Azeglio, in mezzo alle molteplici targhe, spicca anche quella dell’avvocato Alvaro Tritone, altro soprannome di Dalla. Mi chiedo se qualcuno, ignaro della burla, abbia mai cercato veramente questo fantomatico avvocato per una consulenza legale. Salendo le scale, ci si ritrova davanti a uno degli ingressi della casa, abitazione che Lucio aveva acquistato a lotti a partire dal 1993. Fino al 1972 aveva vissuto insieme a mamma Iole in piazza Cavour numero 2, nella sua casa natale. Poi quando la donna aveva cominciato a manifestare problemi di deambulazione, si era stabilito fuori dal centro storico, in via delle Fragole. Dopo la morte di Iole, nel 1976, aveva deciso di tornare nel centro storico acquistando, con i guadagni da artista, la sua prima casa di proprietà in Vicolo Mariscotti 5, vicino a San Domenico. Fino ad approdare nel 1993 nella magnifica casa di via D’Azeglio, che diventò il suo rifugio e in cui negli anni emerse tutta la sua esuberanza, l’eclettismo, la versatilità dell’uomo e dell’artista.

    Appena varcata la soglia, infatti, si viene aggrediti dalle sue passioni e dalla prorompente personalità di Dalla, si comprende immediatamente che non siamo di fronte solamente a un compositore e a un cantante di musica pop dal talento smisurato, ma anche a un amante dell’arte e della bellezza, del teatro e della pittura, della letteratura, della fotografia e del cinema. Si sa, Lucio era anche molto credente e quindi, appena in casa, la prima suggestione è legata a questo aspetto. Quando arrivava Natale, infatti, si riproponevano in lui due patologie che si era autodiagnosticato: "l’alberite" e "la presepite". Il bambino che era in lui usciva fuori in maniera prepotente, dal 7 novembre al 27 gennaio riempiva la casa di presepi e di alberi di Natale, di luci e di addobbi. Ecco perché ancora oggi, nel suggestivo ingresso dell’abitazione, domina un presepe settecentesco napoletano che lui amava particolarmente, pezzo pregiato della sua collezione.

    Sulla parete a destra spicca una riproduzione del dipinto di Arnold Böcklin, La Predica di Sant’Antonio ai Pesci, che ispirò la canzone Com’è profondo il mare. Alzando gli occhi verso il soffitto si rimane a bocca aperta, catturati dai suggestivi affreschi. Sulla parete sinistra centinaia di immagini di Dalla del fotografo Luigi Ghirri, che negli anni documentò i suoi tour con oltre 10.000 scatti. Alcuni di questi divennero copertine dei suoi album, altri restano simboli di una carriera indimenticabile. Passeggiando per le stanze della casa risalta agli occhi il suo amore per i tappeti, mai forte come quello per l’arte di tutte le epoche. Lucio, infatti, ha voluto circondarsi di opere di artisti contemporanei, eclettici e non catalogabili in un unico genere. Da Aldo Montino a Luigi Ontani, da Mimmo Palladino a Giuseppe Rossetti, da Daniele Pudini a Milo Manara. Ma lui era anche un grande amante dell’arte di altri secoli, della pittura di Caravaggio e dell’Espressionismo tedesco.

    La casa è un mix di sacro e profano: da una parte emerge tutta la sua religiosità, dall’altra la sua estrema libertà. Due stanze in particolare restituiscono la personalità indomabile di Lucio: la Stanza dell’esibizionista e quello dello Scemo. Quella dell’Esibizionista rappresenta l’ala profana dell’abitazione: prende infatti il nome dalla statua di Athos Ongaro, L’esibizionista, che Lucio teneva in bella vista, divertendosi a scandalizzare gli ospiti che rimanevano spiazzati alla vista di un uomo con l’impermeabile aperto e il fallo in evidenza, che emergeva dai vestiti. A rafforzare il clima di imbarazzo diversi dipinti di nudi maschili di artisti di fama. La Stanza dello Scemo, invece, è il regno dei giochi, delle giostrine, dei trenini, ma soprattutto il luogo dove guardava le partite di calcio in tv, nonché la sua personalissima sala cinematografica in cui godeva quasi ogni giorno della visione di un film. Un grande schermo con un impianto audio importante hanno di fronte un comodo divano riservato al padrone di casa. Alle spalle le sedute in legno provenienti da un cinema a luci rosse dismesso.

    La Stanza dello Scemo è vicina al secondo ingresso dell’abitazione, che è anche quello della Pressing Line, la casa discografica fondata da Lucio nel 1984 per produrre i propri lavori e quella di artisti emergenti. Sempre da quella parte della casa c’è lo studio di Lucio, in cui spiccano le foto di mamma Iole e un’immagine di Umberto Tobia Righi, amico e storico collaboratore, vestito da carabiniere. Proprio Tobia gli è stato al fianco per più di quarant’anni, svolgendo un’attività gestionale. Sì, perché Lucio era un creativo e non voleva sentir parlare di burocrazia. Per questo motivo aveva ribattezzato Tobia Il matto, per il suo senso pratico e per la precisione nel rispettare ogni scadenza, sobbarcandosi il vasto mondo contabile e burocratico che ruotava intorno a un artista così importante. Tobia, a sua volta, lo soprannominò Ragno perché esageratamente peloso. Un soprannome certamente adatto a Lucio, anche per la sua capacità di tessere una tela così fitta di idee da riuscire a intrappolare, in senso positivo, tutti quelli che transitavano nella sua orbita. Basti pensare agli artisti che ha lanciato nel mercato musicale e coinvolto nelle sue attività. A partire da Ron e dagli Stadio, passando per Luca Carboni, Angela Baraldi, Samuele Bersani e altri, che hanno vissuto per anni nell’orbita di Lucio, fin quando non ne sono usciti per cominciare a camminare con le proprie gambe.

    In quel pomeriggio di maggio sono rimasto intrappolato anche io in questa magnifica tela che era il mondo dell’artista. Mentre scendevo le scale che mi portavano nel cortile condominiale, era come se ne seguissi i passi. Sono uscito e ho raggiunto il ristornate da Cesàri, che Dalla considerava la sua cucina di casa. Lì gustava i piatti tradizionali dell’arte culinaria bolognese e poi la verza, la sua preferita. Da Cesàri, infatti, Lucio ci è andato per cinquant’anni, lì ha conosciuto Tobia e incrociato artisti come Keith Jarrett, Miles Davis, Dario Fo e Pupi Avati. Poi ho raggiunto un altro luogo importante della Bologna di Dalla: la Trattoria Da Vito, in via Mario Musolesi, che fu per tanti artisti un riferimento e un ritrovo soprattutto negli anni Settanta. Lucio ha ricordato spesso che, proprio in quel periodo controverso, Vito era un punto di riferimento, perché non chiudeva mai. Era il locale di

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