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Bocca di rosa
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Ebook181 pages

Bocca di rosa

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Storia di contadini che si improvvisano passeurs, di donne che si vendono per passione, di assassini senza scrupoli. La scena è quella del Ponente Ligure con il fascino dei suoi borghi antichi e la bellezza del mare sul quale si affacciano.
LanguageItaliano
Release dateAug 13, 2012
ISBN9788875637651
Bocca di rosa

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    Bocca di rosa - Negro Roberto

    2

    Il maresciallo Amato imboccò via Garibaldi con il passo di chi nell’Arma ha trascorso gli ultimi trentanove anni. Impeccabile nella divisa, perfetto nell’affrontare la discesa che portava verso la caserma situata in faccia al vescovado.

    Tra le case di Ventimiglia Alta si respirava il ritmo di un tempo che stava cambiando in fretta. Dietro le facciate austere, che un tempo proteggevano la nobiltà intemelia, abitavano famiglie di immigrati che si erano portati dietro tradizioni che sapevano di sud. Il reticolato dei vicoli che dalla Marina saliva sino a Forte San Paolo profumava di spezie e di caffè appena fatto.

    Era grazie a loro se il centro storico si poteva definire vivo. Gli indigeni se ne erano andati da tempo, preferendo l’anonima comodità dei palazzi edificati lungo l’Aurelia o affacciati sul mare.

    Il grande patrimonio architettonico, dalle radici doriche, si sarebbe sgretolato sotto la spinta dell’incuria e dell’umidità se non fossero arrivati ad occuparlo uomini e donne affamati di lavoro.

    A questi si erano mischiati personaggi dalla dubbia moralità che delle tradizioni si erano portati al seguito solo la forza intimidatoria di associazioni che trasudavano di ‘ndrina.

    Don Ciccio era tra questi. Un cinquantenne bruno con i capelli impomatati ed i baffi perennemente curati da Cecè il barbiere di fiducia, l’unico che gli poteva mettere le mani in faccia.

    Il mio rispettoso saluto a voi, maresciallo.

    Seduto su una sedia accanto all’ingresso del bar Ravotto, passava le proprie giornate ad osservare il vivace vagabondare di bambini che giocavano a rincorrersi e quello di poliziotti in borghese che battevano i carrugi alla caccia di pusher.

    Era preoccupato che gli sbirri gli facessero saltare qualche buon affare e perciò, come una vedetta, vigilava.

    Con la droga che arrivava da giù, monopolizzava tutto il traffico di eroina che girava nella Alta, anche se lui di roba non ne voleva neppur sentire l’odore. "Che schifo che fanno questi drogati che si bucano sotto la porta di casa mia".

    Il maresciallo Amato si bloccò in mezzo alla via. Prima o poi vi metterò le manette, Francesco Foti.

    Come siete teso, maresciallo. Forse ieri sera avete mangiato pesante?.

    è che voi mi date di stomaco sin dal mattino, ma prima o poi farò in modo di non incontrarvi più.

    Avete intenzione di trasferirvi?.

    No, ho voglia di sbattervi in galera.

    Ma io non ho fatto nulla, perché ve la prendete tanto con me?.

    Per la droga che....

    Che brutta cosa la droga. Tutti questi francesi che vengono a bucarsi da noi... ma non possono farlo a casa loro?.

    No, sino a quando in circolazione ci saranno persone come voi che la vendono.

    Attenzione maresciallo, mi state accusando senza prove e vi potrei querelare.

    Le prove... le prove, le avrò, statene certo ed allora....

    Sognate, sognate maresciallo... proferì ridendo forte Don Ciccio.

    Amato si allontanò verso la cattedrale inseguito dalla risata di Francesco Foti – Sognate... sognate... – che lo abbandonò solo quando entrò in caserma.

    Lo stabile d’angolo a tre piani aveva intonaci bianchi ed il tricolore nella staffa che sventolava accarezzato dal vento. Al primo piano c’era il suo ufficio.

    Comandi maresciallo era scattato sull’attenti il piantone dal viso imberbe.

    Comodo, comodo Cazzaniga... i colleghi di Trieste sono già arrivati?.

    Sì, comandante. La stanno aspettando di sopra.

    Nel corridoio un gruppo di persone faceva capannello intorno alla Gazzetta dello Sport distesa sulla seduta di una sedia. In mano avevano tazze fumanti di caffè e sul viso i segni di una notte passata in bianco.

    Buongiorno a tutti la voce di Amato interruppe i commenti sul calciomercato che in quei giorni impazzava su ogni testata.

    In un attimo le tazze furono svuotate e le divise ricomposte.

    Ciao Antonio, abbozzò il più anziano del gruppo di militari.

    Ciao Sandro. Allora come è andata?.

    Il maresciallo Sandro Sidoti, in forza alla Compagnia di Trieste, si avvicinò con il sorriso dei vincitori: Alla grande. Le indicazioni erano precise ed i francesi sono stati molto collaborativi: li hanno presi tutti.

    Fantastico. Anche i passeurs?.

    No, purtroppo quelli no, ma non c’ è alcun problema. Stiamo aspettando che arrivi in giornata il mandato di arresto per i due.

    Quindi ‘il turco’ è stato prezioso?.

    Impeccabile. Tutto è andato come aveva detto lui. I quindici clandestini sono arrivati a Catellar Veil poco dopo le due. Sono curdi e non hanno opposto resistenza.

    Ed il confidente? chiese Amato.

    Quello lo abbiamo fatto rientrare a Trieste.

    Nessuno sospetterà che è un infiltrato?.

    Se ciò dovesse accadere per lui sarebbe la fine.

    Se il mandato arriva oggi come pensi di agire? domandò il comandante della Stazione di Ventimiglia Alta.

    Li arresteremo stasera. Anche se sono solo un ingranaggio dell’organizzazione avremo un ulteriore riscontro all’indagine; poi a fine mese tireremo la rete ponendo fine a questo sporco commercio.

    Amato guardò Sidoti: Ne sei convinto? Io penso che non si potrà mai debellare il traffico di uomini. Sono troppo grandi gli interessi economici e ci saranno altri che prenderanno il loro posto e così via, all’infinito.

    Sidoti era consapevole che il collega aveva ragione: Intanto godiamoci la soddisfazione del momento e per il futuro provvederemo.

    3

    Allora io vado.

    Sì. Mi raccomando di dire a tua madre che non perda mai di vista Matilde.

    Stai tranquilla, ha allevato cinque figli, da sola. Sarà capace di accudire per tre ore la piccola?.

    Ernesto prese in braccio la figlia e chiuse l’uscio, avviandosi verso la piazza dove era parcheggiata la sua R4. Il motore ruggì al primo stimolo del contatto elettrico e la marmitta sputò l’acqua di condensa insieme al fumo azzurrognolo della combustione.

    Manovrò dolcemente con acceleratore e frizione, consentendo al veicolo di lasciare lo spazio che lo costringeva tra un’Ape ed un trattore. Poi ingranò la prima e scivolò lungo la discesa che portava al mare.

    Lui’, seduto dentro il bar, osservò l’amico che lasciava il paese. Davanti aveva il primo caffè del mattino e nei pantaloni la frenetica passione per Maria.

    Mentre lo sorseggiava pensava ai giochini che avrebbe fatto a breve con lei. Per ogni sorso un fremito. E Lui’ i sorsi li faceva brevi alimentando la propria voglia.

    Maria era un’amante insaziabile e lui la trattava come fosse la sua troia perché a lei piaceva sentirsi tale. Riteneva che fare l’amore con Maria fosse fantastico, completo.

    Terminò il caffè nello stesso momento in cui la R4 superò, più a valle, il cimitero e veloce puntò verso Latte.

    Lui’ si alzò: Segna Renzo, che poi passo.

    Attraversò la piazza e si infilò tra i vicoli raggiungendo in fretta la casa di Ernesto. Non ebbe bisogno di bussare perché la porta era accostata, come sempre.

    Salì rapido la scala che portava alla camera da letto, spalancò la porta scoprendo che Maria era stesa sul materasso, completamente nuda.

    Si spogliò in fretta, senza proferire parola, scoprendosi eccitato come non mai.

    Presto la stanza si riempì dei gemiti di lei e le figure si susseguirono secondo il copione che Lui’ aveva immaginato sorseggiando il caffè.

    L’amplesso fu intenso e l’orgasmo di lei venne soffocato nel cuscino.

    Quando i corpi furono nuovamente proprietari dei rispettivi respiri, Maria parlò:

    Ho deciso che lo lascerò.

    Sei matta? Per fare cosa, poi?.

    Per stare con te. Non lo amo più, non lo ho mai amato.

    Ho capito, ma lasciarlo....

    Devo farlo, adesso più che mai.

    perché adesso più che mai?.

    Non posso far crescere Matilde con una persona che non sia suo padre. Lei ha il diritto di crescere con te.

    Ne abbiamo già parlato... devo pensarci....

    Ma la bimba è tua figlia!.

    In quell’esatto istante la porta della camera si spalancò e la figura cupa di Ernesto si materializzò.

    Bastardi... bastardi le parole gli uscirono dalla bocca con un soffio rabbioso, profondo.

    In mano aveva un coltello a serramanico la cui lama, accarezzata da un raggio di sole che filtrava dalla finestra, luccicò minacciosa.

    4

    Il maresciallo Amato passò in rassegna gli uomini addossati alla parete del corridoio.

    Bene, dobbiamo eseguire due mandati di arresto a Villatella. Sapete tutti dove si trova, vero?.

    Le teste dei dodici militari si mossero contemporaneamente in segno di assenso.

    Ci divideremo in due gruppi. Sei di voi: Abbagnale, Vallarin, Esposito, Rambaldi, Musumeci e Grillo verranno con me e gli altri andranno con il maresciallo Sidoti. Io mi occuperò di Allavena Luigi, il collega di Bacigaluppi Ernesto. I due non sono pericolosi, ma come ogni preda potrebbero diventare imprevedibili sentendosi braccati. Quindi cerchiamo di fare le cose con calma senza intossicarci troppo di adrenalina.

    Poi si diresse verso la lavagna nera che aveva fatto sistemare accanto alla porta del proprio ufficio.

    Prese un gesso e schematizzò una pianta essenziale dell’abitato di Villatella, indicando con due X le abitazioni dei soggetti da arrestare.

    Allavena abita qui, accanto alla chiesa e Bacigaluppi oltre la piazza. Le case hanno una sola entrata e nessuna finestra sul retro, per cui è quasi impossibile che tentino la fuga. In ogni caso, ogni gruppo si organizzerà circondando con quattro unità le abitazioni. Gli altri coadiuveranno il maresciallo Sidoti ed il sottoscritto nelle fasi di esecuzione.

    Rivolse lo sguardo ai carabinieri alla ricerca di dubbi, ma nessuno sollevò obiezione.

    Quindi è tutto chiaro? chiese per non lasciare nulla al caso.

    Un’ultima cosa: nessuno si azzardi ad inserire il colpo in canna, né nell’arma corta, né in quella lunga. Non voglio morti per fuoco amico. Se ognuno rispetterà le consegne, non avremo problemi.

    I dodici sfilarono in silenzio davanti ai due sottufficiali. Per qualcuno di loro era il primo arresto e la tensione si leggeva sulle espressioni dei loro volti.

    I due fuoristrada percorsero via Garibaldi con i lampeggianti attivati, suscitando la curiosità di nugoli di ragazzini che interruppero per l’occasione la corsa dietro ad un pallone. Placide signore, intente a godere il fresco della sera sugli scalini degli usci, smisero di parlare tra loro ed i cavalli di don Ciccio si eclissarono nei vicoli bui intorno al bar Ravotto.

    Gli anabbaglianti dei due mezzi ferirono il buio della strada tormentata che collegava Ventimiglia a Latte mentre Amato si accese l’ennesima sigaretta, l’ultima di quella giornata interminabile.

    Gli sfilarono accanto alte pareti di arenaria sospesa sulla lingua di asfalto che dominava il mare. Il maresciallo rivolse lo sguardo al cielo senza luna e poi all’orologio: le ventidue.

    Li troveremo a letto: stanotte nessun passaggio, così emerge dalle intercettazioni disse Amato al proprio autista.

    Lasciata l’Aurelia al bivio di Latte, la strada cominciò a salire verso Villatella. Tutt’intorno c’erano serre e piantagioni di mimose, sostegno di un territorio arido e sassoso.

    Amato pensò che i contadini di quella terra finivano per assomigliare a ciò che quotidianamente aggredivano a colpi di magaglio. Sorrise amaramente al pensiero che due di loro, cercando una via d’uscita da quella vita dal destino ingrato, avrebbero visto in futuro il sole a scacchi.

    Poco prima di giungere nella frazione, Amato diede l’ordine di spegnere i lampeggianti. Parcheggiarono in piazza, a quell’ora deserta perché a Villatella la gente andava a dormire presto.

    I due sottufficiali si diedero il cinque, con l’impegno di sentirsi per radio a cose fatte, separandosi

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